Motivi della decisione Clausole campione

Motivi della decisione. Preliminarmente, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.). Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., n. 5). Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360 c.p.c., n. 3). Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le ragioni che seguono. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come un...
Motivi della decisione. E’ documentalmente provato (v. doc. 1 attoreo) che in data 16/03/2004 *** *** ha concluso un contratto denominato di “affiliazione commerciale” che è incontestato in giudizio essere intercorso con l’affiliante *** *** s.r.l. bella persona della legale rappresentante *** ***, sebbene nell’intestazione documento risulti indicata tal North Electric Vehicles (soggetto risultato inesistente). La società a fronte del versamento di un contributo di affiliazione ha concesso al xxxx il diritto non esclusivo di vender e noleggiare veicoli elettrici e relativi accessori; la società ha dichiarato di essere titolare del diritto all’utilizzazione del marchio depositato e degli altri segni distintivi indicati nell’allegato A; inoltre ha assunto con tal contratto nei confronti dell’affiliato plurimi obblighi specificatamente indicati ai punti 9.10.11 del contratto e negli allegati facenti parte del contratto ed altresì dato atto della esistenza di una “rete in forte sviluppo ed affermata sul mercato in partnership con i più importanti gruppi internazionali di autoveicoli”(v. doc 3 attoreo)- alle prove e documentali acquisite in giudizio è emersa senza ombra di dubbio l’ingannevolezza di quanto affermato in sede di trattative e poi trafuso nel contratto circa il fatto che si trattasse di “rete in forte sviluppo ed affermata sul mercato” (v. doc.3) e circa la titolarità del vantato marchio; la Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con provvedimento di data 7/12/2005 ha accertato la sussistenza di pubblicità ingannevole in relazione ai suddetti profili, vietandone ulteriore diffusione ( v. doc. 1 attoreo prodotto nel sub procedimento cautelare) e tale provvedimento è divenuto definitivo per mancata impugnazione. In particolare il provvedimento de quo ha rilevato che non vi era alcun elemento che suffragasse l’esistenza delle rete di affiliati ed ha altresì constatato con riferimento al marchio vantato che risultava solo la “ semplice richiesta di registrazione di un marchio diverso da quello vantato in pubblicità e per giunta effettuata successivamente alla diffusione dei messaggi in oggetto”. Tali valutazioni sono state ampiamente suffragate dai fatti emersi dalla esperita istruttoria che ha dato contezza di una generale situazione di ingannevolezza dalle pubblicità e dalle informative contenute negli allegati al contratto essendo in particolare emerso dalla istruttoria orale in buona sostanza che la tanto reclamizzata consolidata rete di affiliati è risultata ne...
Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazion...
Motivi della decisione. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione dei limiti esterni di giu- risdizione, in carenza di alcun rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzone, che ne erano dipendenti – e la Regione Liguria: vertendosi, nella specie, in tema di contratto di appalto per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento del finanziamento pubblico comunitario, concesso, in realtà, alla Regione Liguria, e non alla società Stoppani. Le censure sono infondate. La sentenza impugnata valorizza, essenzialmente, la natura pubblica del finanziamento, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio appare esatto, dal momento che è jus receptum che sussiste il rapporto di servizio, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963). In questo quadro di riferimento, non assume rilievo, ai fini della giurisdizione, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato, nel caso in esame, in favore della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali ...
Motivi della decisione. 1- Il ricalcolo del saldo del c/c n. 81208 Preliminarmente occorre esaminare la tematica della prescrizione con riguardo all’azione di ripetizione di addebiti illegittimi effettuati su conto corrente affidato e alla soluzione adottata dalla giurisprudenza. Il conto corrente è stato aperto in data 19.9.2000 (v. doc. n. 4 dell’attore, n. 3 della convenuta) e chiuso in data 26.8.2015 mediante versamento di euro 888,11 in contanti (v. doc. n. 21 dell’attore). La banca non vanta quindi ragioni creditorie nei confronti della Cremonesi X.xxx s.r.l., ora fallita. Secondo l'insegnamento della Suprema Corte, la particolare natura del rapporto di conto corrente bancario incide sul dies a quo del termine prescrizionale, che comincia a decorrere soltanto dalla chiusura del rapporto, perché solo il saldo finale – quale frutto di tutte le movimentazioni in dare e avere – ha il carattere della definitività: invero il rapporto, pur articolandosi in una pluralità di atti esecutivi, si atteggia come unico ed unitario, per cui è soltanto con quella chiusura che i crediti e i debiti diventano definitivi. È noto peraltro che la questione va scrutinata alla luce di Cass. n. 24418/2010, così massimata: Firmato Da: XXXXXXX XXXXXXXXX Emesso Da: POSTE ITALIANE EU QUALIFIED CERTIFICATES CA Serial#: 1e0969d1407fb1d6 - Firmato Da: XXXXXX XXXXXX Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 602cc64342c6d0a9608655eb580409ba RG n. 2570/2015 “L'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell'anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens”....
Motivi della decisione. La motivazione della presente sentenza viene redatta ai sensi dell’art. 132 comma1 n.4) c.p.c., quale novellato dall’art. 45 comma17 legge 18 giugno 2009 n.69. Oggetto del presente giudizio è l’appello proposto dalla [Casa di cura], con atto di citazione notificato ai sensi della legge 27 gennaio 1994 n.53 con atto spedito in data 5 novembre 2015 all’Azienda U.S.L. di (omissis) ed a [Factor] e da entrambe tali parti ricevuto il 6 novembre 2015, nonché l’appello incidentale proposto da [Factor] con la comparsa di costituzione e risposta depositata in data 11 febbraio 2016, rispetto all’udienza di vocazione in giudizio, da parte dell’appellante principale, del 3 marzo 2016, differita ai sensi di quanto previsto dall’art. 168bis comma5 c.p.c. al 27 settembre 2016, gravami entrambi proposti avverso la sentenza n.2568/2015 del Tribunale di (omissis), depositata il 21 ottobre 2015, con cui era stato così statuito: il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede: rigetta la domanda proposta dalla [Casa di cura] e dalla [Factor] che condanna in solido al pagamento in favore dell’Azienda U.S.L. di (omissis) delle spese di lite che liquida in € 2.100,00 per compensi oltre accessori di legge. Osserva preliminarmente la Corte che la pretesa avanzata in primo grado dalla [Casa di cura] era relativa alla corresponsione, da parte dell’Azienda U.S.L. di (omissis), della somma di € 437.054,05, somma detratta dalla menzionata Azienda dalla complessiva somma di € 776.462,55, importo indicato nella fattura n.10582 del 30 giugno 2008, detrazione effettuata in base all’asserita comunicazione, da parte della Regione Lazio, dell’importo totale delle prestazioni per l’anno 2007, importo corrispondente ad € 9.126.048,70. Detta detrazione era stata contestata dalla società attrice, deducendosi che la Regione Lazio, con la nota in data 5 agosto 2008, aveva precisato che i dati inviati precedentemente alla Aziende Unità Sanitarie Locali erano ancora oggetto di ulteriori verifiche e dovevano pertanto essere utilizzati quali elemento di riallineamento dei dati di contabilità generale e non quale comunicazione della remunerazione effettiva spettante ai soggetti erogatori per l’anno 2007. Il contraddittorio era stato poi integrato nei confronti di [Factor], in quanto cessionaria del credito oggetto della controversia.
Motivi della decisione. Con unico motivo il ricorrente denunzia “error in ludicando per difetto di giuri- sdizione”, in riferimento all’art. 360, c. 1, n. 1, c.p.c.; nonché violazione degli artt. 111 Cost., 1, cc. 231 e 232, l. n. 266/2005. Si duole che i giudici contabili abbiano erroneamente ritenuto «tardiva, “in quanto domanda nuova pro- posta per la prima volta in udienza dopo l’apertura della discussione (artt. 183, c. 5, e 359 c.p.c.)”», l’istanza di definizione agevolata (c.d. condono) della controversia ex art. 1 l. n. 266/2005, laddove non risultano a tali fini indicate “norme di rito” ma solo “i presupposti per la presentazione e l’accoglimento della stessa”, sicché “l’unico termine da osservare era quello per il deposito, che è stato rispettato, visto che la notifica è stata effet- tuata il 22 gennaio e (anche a voler prendere in considerazione il deposito in udienza) il deposito è avvenuto il 6 febbraio, rispettando il termine perentorio”. Lamenta che non essendo stata “esaminata nel merito” siffatta istanza, “la Corte dei conti ha di fatto [...] rifiutato di erogare la tutela giurisdizionale richiestale dall’odierno ricorrente, cosi violando i limiti esterni della giurisdizione”. Il ricorso è inammissibile.
Motivi della decisione a) Xxxxx identità e confondibilità del nome a dominio
Motivi della decisione. 1. Il ricorso è infondato.
Motivi della decisione. 1. Il primo motivo del ricorso tocca la questione di diritto per la cui risoluzione sono state investite le sezioni unite. Il ricorrente, lamentando la violazione dell'art. 1418 c.c., e della L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6, nonchè vizi di motivazione dell'impugnata sentenza, critica la corte d'appello per aver affermato che la violazione delle prescrizioni con cui il citato art. 6, impone determinati comportamenti agli intermediari finanziari nei riguardi dei propri clienti, incidendo tali prescrizioni sul momento prenegoziale o su quello esecutivo ma non sul contenuto del contratto, non potrebbe determinarne la nullità. Altrimenti - argomenta il ricorrente - non sarebbe mai possibile far discendere la nullità del contratto dalla violazione di norme imperative che pongono limiti alla libertà delle parti con riferimento a situazioni esterne al negozio, come ad esempio quelle concernenti la qualità dei contraenti o i presupposti e le procedure del contrarre; ma, viceversa, vi sono molteplici casi (per esempio: mancanza di autorizzazione allo svolgimento dell'attività d'intermediazione mobiliare, difetto di adempimenti preliminari in materia valutaria, e simili) in cui la violazione di norme non attinenti al contenuto del negozio è stata ritenuta sufficiente a provocare la nullità. La sentenza impugnata è poi anche censurata per avere erroneamente ritenuto che le violazioni contestate alla banca riguardassero soltanto attività prenegoziali o esecutive di contratti già conclusi. Quelle violazioni invece - a parere del ricorrente - concernevano comportamenti incidenti sulla formazione del consenso delle parti, e quindi sul contenuto dell'accordo che del contratto è uno degli elementi essenziali.