LOCAZIONE DI COSE
Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-10-2014, n. 22346
Fatto Diritto P.Q.M.
LOCAZIONE DI COSE
Locazioni in genere
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Risoluzione del contratto per inadempimento in genere
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Xxxxxxxx - Presidente - Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxxxx - Consigliere - Xxxx. XXXXXX Xxxx - rel. Consigliere -
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxxx Xxxxx - Consigliere - Xxxx. XXXXXXXX Xxxx - Xxxxxxxxxxx -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12670-2008 proposto da:
A.D., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato DETTORI XXXXXX XXXXXXXX XXXXXX, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente - contro
P.E.A. (XXXXXXX), elettivamente domiciliato in XXXX, XXX XXXXXXXX 000, presso lo studio dell'avvocato XXXXXXX XXXXXXX, rappresentato e difeso dall'avvocato XXXXXXXX Xxxxxxxx xxxxxx procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 129/2008 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 11/02/2008 R.G.N. 27/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/07/2014 dal Consigliere Xxxx. XXXX XXXXXX;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. XXXXXXXXXX Xxxxxxxx che ha concluso per l'accoglimento.
Svolgimento del processo
1. A.D., conduttore, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Brescia P.A.E., locatore, chiedendo che si dichiarasse la nullità o l'annullabilità ovvero la risoluzione per inadempimento della controparte del contratto con cui nel 2003 egli aveva preso in locazione commerciale dal P. un bar paninoteca, assumendo che il locatore non gli avesse fornito alcuna indicazione in relazione al titolo per il quale deteneva l'immobile, ed in subordine chiese la condanna del P. al rilascio delle quietanze di pagamento.
A sua volta in via riconvenzionale il P. chiese la risoluzione del contratto di locazione ad uso commerciale per inadempimento dell' A., per aver questi omesso di realizzare le pattuite opere di insonorizzazione dei locali e di rimborsargli alcune spese. Il Tribunale di Brescia con sentenza n. 3479 del 2006 rigettò le domande dell' A. ed accolse in parte quelle del P., pronunciando la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore.
2. La Corte d'Appello di Brescia, con la sentenza impugnata, n. 129 del 2008, ha rigettato l'appello proposto dall' A., che ha riproposto le stesse censure già svolte in primo grado. Per quanto ancora qui interessa, la corte territoriale ha rilevato che dalle risultanze istruttorie di primo grado non emergeva a sufficienza la prova che dal locale, affittato all' A., provenissero rumori molesti che si propagavano alla sovrastante abitazione del P. e che il ricorrente si era obbligato contrattualmente ad evitare. La corte ha confermato però che il conduttore non aveva idoneamente provato il proprio adempimento rispetto all'obbligo assunto nel contratto di effettuare lavori di insonorizzazione del locale, obbligazione autonoma rispetto alla produzione o meno in esso di rumori molesti, nè tanto meno di aver pagato alcune spese accessorie dovute e rimborsato la tassa di registro, e che tale inadempimento doveva ritenersi di non scarsa importanza per il conduttore, il quale abitava con la propria famiglia immediatamente sopra i locali oggetto del contratto di locazione. La corte territoriale affermava anche l'irrilevanza dell'esistenza o meno di un titolo di proprietà in capo al P. in ordine alla sua legittimazione a locare l'immobile, e rigettava anche la domanda dell' A. volta ad ottenere il rilascio della quietanze avendo questi già aliunde la prova dei pagamenti effettuati e non avendo indicato un proprio specifico interesse ad ottenere quei documenti.
3. L' A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. Resiste il P. con controricorso. Le parti non hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale.
Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta.
Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione.
Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione.
Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010).
All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.
2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta sia la violazione di norme di diritto che la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il diritto, ex art. 115
c.p.c., per non aver tenuto conto il giudice d'appello, ai fini della decisione, della perizia di parte prodotta dall' A. solo in grado di appello, che a suo avviso dimostrava l'avvenuta esecuzione da parte sua dei lavori di insonorizzazione, la loro consistenza e la loro idoneità ad evitare il diffondersi di rumori molesti, ritenendola documento nuovo e quindi inammissibile ex art. 345 c.p.c., u.c. Evidenzia che la norma da richiamare nel caso di specie avrebbe dovuto essere l'art. 437 c.p.c. e non l'art. 345 c.p.c., essendo applicabile alla fattispecie il rito delle locazioni, e che la perizia da lui prodotta sia stata erroneamente ritenuta un documento, piuttosto che una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, e quindi una prova costituita e pertanto ammissibile nel rito del lavoro, anche a prescindere da una valutazione di indispensabilità ed a prescindere dalla valutazione in ordine al fatto che la parte sarebbe stata o meno in grado di produrla nel corso del giudizio di primo grado (il ricorrente richiama a questo proposito Xxxx.
22669 del 2004).
Con lo stesso motivo di ricorso e sempre sotto il profilo della violazione dell'art. 437 c.p.c. l' A. lamenta che la corte d'appello non si sia pronunciata sul giuramento decisorio, anch'esso indispensabile per la decisione sull'esistenza o meno dell'inadempimento della obbligazione di insonorizzare.
Il motivo è infondato, superando alcuni profili di inammissibilità (il quesito proposto è plurimo, ovvero sottopone alla Corte la risoluzione di questioni distinte). La corte d'appello ha ritenuto non provato a mezzo dei documenti prodotti nel giudizio di primo grado che l' A. avesse fatto eseguire le opere di insonorizzazione a cui era tenuto. In particolare, ha considerato espressamente in motivazione che i documenti prodotti dall' A. in primo grado e la richiesta consulenza tecnica erano relativi prevalentemente al profilo della proprietà dei locali affittati, ritenuta poco rilevante.
Per quanto concerne la relazione tecnica di parte prodotta dall' A. in appello la corte non l'ha presa in considerazione qualificandola (pag. 10 della sentenza) documento nuovo, inammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c., u.c.. Attraverso la produzione della perizia stragiudiziale in appello, l' A. ha probabilmente tentato di integrare l'adempimento dell'onere probatorio in ordine all'avvenuta esecuzione dei lavori.
Tuttavia, il ricorrente non precisa sotto quale profilo la perizia stragiudiziale, non considerata dal giudice d'appello, sarebbe stata decisiva ed avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione, nel merito, della causa.
La decisione della corte d'appello di ritenere inammissibile la produzione della perizia appare conforme all'orientamento di legittimità in materia di produzione documentale in appello (Cass. S.U. n. 8202 del 2005), atteso che si tratta di un approfondimento tecnico sugli stessi fatti dedotti a base della domanda di primo grado. Per quanto riguarda il giuramento decisorio la censura assai sinteticamente formulata "se deferito il giuramento in grado di appello, il giudice debba valutarne l'indispensabilità ovvero lo debba ammettere senza alcuna valutazione" non coglie nel segno, in quanto così come formulata non ha riferimenti alla fattispecie concreta.
Sempre in relazione al secondo motivo di ricorso inoltre viene prospettato, insieme alla violazione di norma di diritto, anche un vizio di motivazione (tra l'altro in relazione a tutte le possibili e tra loro contrastanti ipotesi di vizio di motivazione), ma il motivo di ricorso non viene poi sviluppato in riferimento a questo profilo.
3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il diritto in riferimento al fatto che la corte abbia ritenuto l'inadempimento dell' A., consistente nel non aver portato a termine i pattuiti lavori di insonorizzazione, di non scarsa importanza, e quindi idoneo a
giustificare una pronuncia di risoluzione del contratto per suo inadempimento, in violazione dei criteri imposti dalle citate norme per giudicare la importanza di un inadempimento ed alla regola di proporzionalità da esse dettata.
Suggerisce che la rilevanza dell'inadempimento, ai fini di giustificare l'adozione di una pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento, debba essere ancorata non a valutazioni soggettive, che tengano conto cioè del particolare interesse del creditore a quella particolare prestazione a carico dell'obbligato, ma piuttosto al rilievo oggettivo dell'inadempimento ed alla sua attitudine a turbare l'equilibrio contrattuale. Ciò premesso, il ricorrente ritiene la sentenza viziata per non aver minimamente preso in considerazione la gravità dell'inadempimento addebitato all' A. sotto un profilo obiettivo.
Il motivo di ricorso è infondato.
I criteri alla stregua dei quali valutare la gravità dell'inadempimento sono chiaramente indicati da Cass. n. 7083 del 2006, la cui massima riprende Cass. n. 1773 del 2001, che impone di tener conto in primo luogo di un parametro oggettivo, dovendosi verificare che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; l'indagine va poi completata mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione , ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità.
L'apprezzamento dell'interesse del creditore all'adempimento della prestazione integra l'elemento oggettivo della gravità dell'inadempimento, laddove nell'elemento soggettivo rientrano i comportamenti dell'una e dell'altra parte tali da rendere, nel caso concreto, meno grave un inadempimento che sotto il profilo oggettivo, avuto riguardo all'interesse della parte non inadempiente, raggiungerebbe la soglia della risoluzione. La valutazione della gravità dell'inadempimento sotto il profilo oggettivo comporta la verifica che l'inadempimento abbia inciso in modo apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), si da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma negoziale. Essa quindi non si limita ad una stima meramente economica della parte di prestazione rimasta inadempiuta ma considera in che misura l'inadempimento precluda alla parte non inadempiente di realizzare l'interesse che intendeva perseguire e per il quale ha instaurato il vincolo obbligatorio con l'altra parte. Nel caso di specie, la corte d'appello non pare essersi discostata da questi parametri di riferimento, avendo tenuto conto dell'interesse concreto del locatore, in particolare in riferimento alla controprestazione di insonorizzazione dei locali, che aveva un peso economico non indifferente in quanto poneva un onere aggiuntivo economicamente consistente in capo al conduttore rispetto al semplice pagamento del canone di locazione, e rispetto alla quale il locatore aveva un interesse non solo di tipo patrimoniale, ma anche personale, come evidenziato in motivazione.
4. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1571 c.c. per non aver la corte di merito ritenuto che, perchè un soggetto possa legittimamente assumere la veste di locatore, è necessario che abbia quanto meno la disponibilità giuridica, e non solo di fatto, sulla cosa, fondata su un titolo giuridico che comprenda il potere di trasferirne al conduttore detenzione e godimento, con la conseguenza che non possa acquisire la qualità di locatore colui che abbia solo la disponibilità di fatto della cosa stessa. Aggiunge che tale disponibilità giuridica a disporre del bene deve sussistere non solo
nei rapporti tra locatore e proprietario ma anche nei rapporti tra locatore e conduttore. Il motivo va rigettato.
Il conduttore nel corso del giudizio di merito non ha contestato, nè tanto meno provato, che il locatore detenesse l'immobile illecitamente, ma ha affermato soltanto che il locatore non gli avesse documentato la sussistenza della propria legittimazione a disporre del bene.
In realtà, sulla base di quanto emerge nella sentenza e nella documentazione allegata al ricorso dallo stesso X., il P. legittimamente disponeva dell'immobile nell'ambito di un patto interno alla società Immobiliare Meridiane s.r.l. con il quale si riconosceva in capo al controricorrente, xxxxxx non fosse ancora divenuto intestatario dell'immobile, la facoltà di gestirlo in modo del tutto autonomo (la scrittura privata doc. 5 prodotta in allegato al ricorso, proveniente da Immobiliare Meridiane s.p.a. riconosce che "per quanto concerne detta proprietà il P. è il solo arbitro").
Va poi richiamata la consolidata giurisprudenza di legittimità, richiamata sul punto correttamente dalla stessa corte d'appello (Cass. n. 8411 del 2006 ) per cui "Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al de tentare di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente e, a maggiore ragione, deve considerarsi valido e vincolante anche il contratto stipulato tra chi, acquistato il possesso (o la detenzione) sulla scorta di un valido ed efficace titolo giuridico, abbia conservato tale possesso, non opponendosi il proprietario, dopo la scadenza dell'efficacia di tale titolo". (Così anche Cass. n.l5443 del 2011).
5. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1199 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per aver la corte di merito rigettato la sua domanda volta ad ottenere dal
P. le quietanze per i pagamenti effettuati, avendo la corte ritenuto che le ricevute di spedizione dei vaglia postali, in possesso del conduttore che li aveva inviati, fornissero già idonea prova dei pagamenti effettuati e che, in difetto di una indicazione specifica dell'interesse del conduttore ad ottenere le quietanze, le stesse fossero superflue.
Deduce invece il ricorrente che, a norma dell'art. 1199 c.c, il creditore che riceve il pagamento è tenuto a rilasciare la quietanza, e il debitore che ha pagato ha diritto ad averla, senza per ciò dover dimostrare di avere un obbligo specifico in tal senso, e potendo pretendere che nella stessa sia indicato anche il titolo del pagamento.
Anche quest'ultimo motivo va rigettato, in quanto è ben vero che, a norma dell'art. 1199 c.c. il debitore che ha pagato ha diritto al rilascio da parte del creditore della quietanza che costituisce prova dell'avvenuto pagamento, e tuttavia nel caso di specie - in cui nel corso del giudizio non è stato mai messo in discussione che il pagamento dei canoni di locazione sia avvenuto - il debitore- conduttore non ha precisato quale interesse abbia ad ottenere le quietanze di pagamento. Infatti nel caso di specie il debitore, che ha pagato a mezzo di vaglia postale, già dispone di una prova autonoma dell'avvenuto pagamento sebbene diversa dalla quietanza, e non ha precisato per quale ulteriore scopo o motivo individuale, diverso da quello di aver un mezzo di prova del pagamento (circostanza si ripete non contestata e comunque in ordine alla quale il debitore dispone direttamente della prova senza necessitare della dichiarazione del creditore) egli abbia interesse ad ottenere le quietanze.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di lite che liquida in Euro 2.300,00, di cui 200,00 per spese, oltre accessori e contributo spese generali come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 17 luglio 2014. Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2014