Common use of Motivi della decisione Clause in Contracts

Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.

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Samples: Locazione Di Cose

Motivi della decisione. 1Il primo motivo investe il problema della distinzione tra modelli ornamentali ed opere dell'arte applicate dall'industria. Con Col secondo motivo si ribadisce che, comunque, difetterebbe l'originalità del disegno in questione e, in ogni caso, la violazione del diritto della Naj Oleari in quanto il disegno è riproduttivo di schemi noti così come lo è quello della Fiorucci; concetto ribadito nel terzo motivo relativamente alla mancanza di creatività-novità nel disegno Naj Oleari. Nella sua sostanza, il primo motivo tende ad escludere che il criterio c.d. della dissociabilità ideale sia di ricorso per sé sufficiente a scriminare tra opere dell'arte applicate all'industria e disegni ornamentali. Secondo la tesi della società ricorrente, tutti i disegni e più in generale le opere bidimensionali sono in astratto dissociabili o scindibili dal concreto supporto sul quale ab origine sono state impresse, perché sono concepibili su di un supporto diverso; se così fosse risulterebbe priva d'ogni senso l'intera categoria dei disegni ornamentali che pure il ricorrente sostiene legislatore ha espressamente disciplinato, esclude l'applicabilità ad essi delle disposizioni sul diritto d'autore. Da questa costatazione risulterebbe evidente come, per questa categoria dei disegni ornamentali, occorra dar rilievo al criterio della destinazione e della funzione. Nella fattispecie concreta, la pretesa opera d'arte consisteva in un pezzo di stoffa, con un disegno che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti vi si ripeteva ciclicamente e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione era mai stato realizzato su diverso supporto "sì che non poteva dubitarsi che nessuno, tanto meno l'autore o il suo committente, avesse mai pensato ad una funzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto esso per un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del localegodimento estetico separato dal tessuto e dagli indumenti con esso confezionati". Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo La regola è chiara. Rilevante per la distinzione è la scindibilità o no del valore artistico dell'opera dell'ingegno dal carattere industriale del prodotto al quale l'opera stessa è concretamente associata. Tenendo conto anche dei contrasti dottrinari e giurisprudenziali precedenti alla entrata in vigore dell'attuale legge sul diritto di autore, è anche chiaro che dettando la disposizione di cui al n. 4 dell'art. 2 della legge sul diritto di autore (d'ora innanzi abbreviata in L. a) il quesito con il legislatore ha voluto negare rilevanza ad ogni altro criterio tra quelli che erano stati suggeriti o che in altre legislazioni sono stati accolti. Non rileva in specie - come è d'altronde costante giurisprudenza di questa Corte - la destinazione: né quella obiettiva quale esso termina verificatasi nei fatti fino al momento del sorgere della lite; né quella soggettiva, quella cioè pensata e voluta dall'autore al momento della creazione e dopo. Non rileva dunque che la creazione sia stata voluta dall'autore o obiettivamente considerata ed apprezzata come opera dell'arte (ad esempio valutata come pezzo unico, come originale, come tale esposta in mostre o musei) oppure come ornamento di prodotto industriale o artigianale (dunque calata in migliaia o milioni di esemplari tanti quanti i prodotti, così ornati, fabbricati e messi in circolazione). Questa regola, oltre che chiara, è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazioneanche soddisfacente perché logica. Il ricorrente lamenta diritto di autore protegge e deve proteggere la forma (in senso ampio cui si contrappone il contenuto) che abbia un valore estetico in sé, in assoluto: tant'è che all'autore è riconosciuto il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l'opera in ogni forma e modo e dunque anche se viene mutato il supporto materiale sul quale l'opera si è necessariamente, come è il caso delle opere di cui al n. 4 dell'art. 2 della legge sul diritto d'autore, materializzata. Il brevetto per modello ornamentale invece, protegge e deve proteggere la forma che l'autore dà o contribuisce a dare ad un prodotto industriale. Si tratta di forma che è e non può essere altro che forma di quello specifico prodotto industriale: l'autore infatti, è condizionato dalla forma necessaria che il giudice prodotto ha per rispondere alla sua funzione di meritooggetto utile, in violazione dell'art. 1362 c.c.può soltanto "abbellire" quella forma che è e resta la forma, abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico funzionale e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattualeestetica, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o quel prodotto.Tant'è che al titolare del brevetto per modello ornamentale è data l'esclusiva non per qualsiasi utilizzazione di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenutiquella forma, ma occorresolo sull'uso di quella forma per quel determinato prodotto o al più per un determinato "genus" di prodotti industriali (cfr. art. 5 del D.P.R. 25 agosto 1940, altresìn. 1411 e modificazioni, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostatoart. 4 reg. 31 ottobre 1941, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolvan. 1354, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cassart. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto2593 cod.

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Samples: Accordo De L’aja Relativo Al Deposito Internazionale Dei Disegni O Modelli Industriali Del 06/11/1925, Da Ultimo Riveduto a L’aja Il 28/11/1960. Atto 14 Luglio 1967. Atto Di Stoccolma Del 14 Luglio 1967 Aggiuntivo All’accordo Di Madrid Sulla Repressione Delle False O Fallaci Indicazioni Di Provenienza Del 14 Aprile 1891, Riveduto a Washington Il 2 Giugno 1911, All’aja Il 6 Novembre 1925, a Londra Il 12 Giugno 1934 E a Lisbona Il 31 Ottobre 1958

Motivi della decisione. 1Il ricorso è fondato in riferimento alle osservazio- ni esposte nel primo motivo. Con Infatti, rispetto alla vicenda, concisamente, ma esaurientemente compendiata nella surriferita impu- tazione, la difesa e l’accusa – poi, questa, condivisa dal Pretore nell’impugnata sentenza – hanno espres- so contrastanti avvisi circa la natura degli interventi originariamente assentiti e in effetti realizzati e circa la legittimità delle concessioni successivamente rila- sciate dal Sindaco per consentire la prosecuzione dei lavori, che, nel loro corso, s’erano discostati dalla originaria concessione. Il Pretore è pervenuto alla motivata conclusione che «le concessioni in variante incriminate fossero il- legittime», siccome «in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti». Al riguardo ha evidenziato che il primo motivo Catalano aveva «ammesso di ricorso essersi posto il ricorrente sostiene pro- blema della legittimità degli interventi poi assentiti, sin dal rilascio della concessione n. 108/87, che, a suo dire, aveva tenuto ferma a causa di alcuni dubbi interpretativi sul concetto di ristrutturazione e risa- namento». E che, «anche qualora volesse accedersi alla tesi della difesa, secondo cui il Catalano riteneva applicabile la normativa del nuovo piano regolatore, non potrebbero avanzarsi a scusa i – presunti – dubbi sull’interpretazione del concetto di ristrutturazione – ovvero sulla possibilità di farvi rientrare la demoli- zione e ricostruzione – posto che la corte d'appello avrebbe violato Suprema Corte di cassazione è assolutamente monolitica nel respin- xxxx tale tipo di interpretazione». Condivisa invece da alcune decisioni del Consiglio di Stato. Di qui la conferma, a giudizio del Pretore, del concorso del sindaco, siccome extraneus, mediante le norme sull'interpretazione del contratto laddoveconcessioni illegittime, nell'interpretare nel reato proprio di cui all’art. 20, lett. a) 1273 imputato agli interessati ai lavori, avendone favorito la clausola contenuta nell'artprosecuzione. 7 del contratto Xxxxxx, escluso che il sindaco con il rilascio delle due concessioni intendesse deliberatamente favorire gli interessati alla costruzione – in tal caso diversa e più grave sarebbe stata la ipotesi di locazione (che opportunamente riproducereato a suo carico – non può questi esser chiamato a rispondere di con- corso nel reato di cui all’art. 20 lett. a), ha ritenuto l. n. 47/1985 per il solo fatto che l'obbligo le concessioni fossero tornate a profitto degli interessati, giacché è nella natura stessa di provvedere alla insonorizzazione tali atti avere dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di destinatari che ne beneficino. Parimenti non produrre rumori molesti e rileva ai fini della responsabilità penale l’avere il Sindaco, nel rilascio delle conces- sioni, adottato un’interpretazione opinabile non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di leggerite- nuta corretta dal magistrato. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale Conviene ribadire che, a fronte di un provvedi- mento amministrativo – nel nostro caso le due con- cessioni edilizie – non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo è dato al giudice penale sinda- care in via principale la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione mera legittimità di un atto negoziale amministrativo. E ciò in base al principio di cui all’art. 5 legge abol. cont. amm. Non è tipico accertamento dato cioè so- vrapporre all’opinione dell’organo dell’Ammini- strazione, di avere adottato un provvedimento legitti- mo, la diversa valutazione, da parte del giudice penale, che quello stesso atto sia privo dei requisiti di legittimità – come appunto ha ritenuto il Pretore – giacché in sede penale l’atto amministrativo illegitti- mo, in quanto tale, è privo di sanzione e non sindaca- bile. Soltanto nel caso – ma non è quello del sindaco Catalano – in cui si verta in un’ipotesi di carenza di potere denotata da azione amministrativa esulante dai relativi presupposti e limiti, è legittimo e, anzi, si impone l’intervento dell’Autorità giudiziaria penale a condizione che tale azione 1) configuri un’ipotesi di reato e 2) sia connotata dal relativo elemento psi- cologico, che – non va mai dimenticato – del reato è uno degli elementi costitutivi (Cass., sez. III, 22 gen- naio 1993, c.c. 10 dicembre 1992, imp. Xxxxxxx, X.X. xxxxx. conf.; da ultimo Cass., sez. III, c.c. 10 dicem- bre 1996, Xxxxxxx). Ne consegue l’annullamento senza rinvio perché il fatto riservato non costituisce reato. G 1274 La sentenza in commento, nella sua essenziale strin- gatezza (in motivazione, a parte la breve rievocazione del giudizio pretorile e dei motivi del ricorso, nulla di più si legge rispetto al giudice principio enunciato), adotta una tesi che personalmente condividiamo. L’estensore della motivazione non si è posto però il problema dell’inqua- dramento di tale decisione assolutoria («il fatto non co- stituisce reato», si statuisce in dispositivo, nel cassare senza rinvio la decisione di merito) nel contesto del di- ritto urbanistico e nell’ampio dibattito che da almeno un ventennio ha fatto maturare orientamenti diversi, incensurabile in sede di legittimità«arroccati» su opposti versanti. La descrizione del fatto storico può aiutare a capi- re l’interesse che la sentenza suscita nell’opinione pubblica, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazionein essa. I commentatori sono in- fatti da tempo all’erta nel captare tutti i segnali della Cassazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenutianche i più impercettibili, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo nel dibattito annoso sulla configurabilità di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolvaun reato edilizio (e, in realtàcaso affermativo, quale) in caso di opere eseguite in conformità ad una concessione rilasciata dal Sindaco ma ritenuta dal giudice penale illegittima perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti. La vicenda è presto narrata. Un soggetto chiede la concessione edilizia per proseguire nei lavori di rico- struzione con strutture di cemento armato e laterizi di un edificio preesistente, già demolito, situato nel perimetro abitato di un piccolo Comune della provin- cia di Torino. Il Sindaco si pone il problema della possibilità di assentire un tale tipo di opera in presen- za di uno strumento urbanistico (nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cassspecie, la L.R. Piemonte n. 56/1977, art. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso85, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattualeprimo comma, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.lettera

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Samples: pa.leggiditalia.it

Motivi della decisione. 1. (omissis) Con il primo motivo di addotto a sostegno del ricorso il ricorrente sostiene principale W. L. e T. V. lamentano che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione Corte di appello «ha applicato il disposto dell’articolo 1478 Cc anziché quanto previsto dall’articolo 1479 Cc», pur se «al momento della sottoscrizione del contratto laddove, nell'interpretare preliminare di compravendita la clausola contenuta nell'art. 7 Sig.ra P. M. non aveva messo a conoscenza i promittenti acquirenti che l’immobile fosse di proprietà di altri» e in tali casi «è possibile per il compratore chiedere la risoluzione del contratto salvo che il venditore non abbia, nel frattempo, acquistato la proprietà della cosa», mentre «nella fattispecie ciò era tanto più importante perché esistevano, come è stato riconosciuto da tutti i tenti, problemi di locazione (esercizio del diritto di prelazione da parte di terzi, con la conseguenza che opportunamente riproduce)i ricorrenti non avrebbero più avuto la garanzia da parte del loro originale contraddittore e promittente venditore». Secondo i ricorrenti principali, ha ritenuto che l'obbligo pertanto, M. P. avrebbe dovuto acquistare lei stessa l’immobile in questione e poi trasferirlo a loro, sicché legittimamente avevano rifiutato di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo farselo alienare direttamente dagli effettivi proprietari, per il tramite della stessa P. in veste di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione loro procuratrice. In ordine alle modalità di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari adempimento dell’obbligazione assunta dal promittente venditore di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingressouna cosa altrui, nella valutazione della gravità dell'inadempimentogiurisprudenza di legittimità è insorto un contrasto, per la cui composizione la causa è stata assegnata alle Sezioni unite. In prevalenza, questa Corte si è orientata nel senso che la prestazione può essere eseguita, indifferentemente, acquistando il bene e ritrasmettendolo al promissario, oppure facendoglielo alienare direttamente dal reale proprietario, in quanto l’articolo 1478 Cc ‑ relativo al contratto definitivo di vendita di cosa altrui, ma applicabile per analogia anche al preliminare dispone che il venditore «è obbligato a procurarne l’acquisto al compratore», il che può ben avvenire anche facendo al che il terzo, al motivo individuale del locatorequale il bene appartiene, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibilelo ceda egli stesso al promissario (v., prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astrattotra le più recenti, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. InoltreCassazione, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito13330/00, in violazione dell'art. 1362 c.c2656/01, 15035/01, 21179/04, 24782/05)., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.

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Samples: www.corsolexfor.it

Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1851, 1346 e 1378 c.c., lamentando che erroneamente la Corte di ricorso appello aveva escluso che nella fattispecie ricorresse una ipotesi di pegno irregolare. Infatti, la descrizione dei titoli concessi in garanzia non era preclusiva dell’applicazione dell’articolo 1851 c.c., poiché anche nella fattispecie ivi prevista l’oggetto del pegno doveva essere necessariamente determinato; inoltre, la sentenza impugnata non aveva considerato che il Pi. aveva autorizzato la banca a tenere depositati i titoli presso la Banca d’Italia anche includendoli in un certificato rappresentativo cumulativo di altri titoli della stessa specie con conseguente perdita della individualità e specialità dei titoli concessi in garanzia. Infine, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, il patto di rotatività non può considerarsi incompatibile con il pegno irregolare, in quanto in tal caso il patto incide sull’eventuale debito restitutorio della banca per la parte dei beni costituiti in garanzia che eccedono l’ammontare dei crediti garantiti. Con il secondo motivo la ricorrente sostiene deduce il vizio di motivazione, lamentando che la corte d'appello avrebbe violato Corte di appello, da un lato, aveva ritenuto che i titoli fossero stati specificamente individuati, trascurando l’autorizzazione ad includerli in un certificato cumulativo e, d’altro canto, aveva escluso la volontà delle parti di porre in essere un pegno irregolare, omettendo di considerare, in violazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., tutte le norme sull'interpretazione del contratto laddoveclausole contrattuali e, nell'interpretare in particolare, l’articolo 10 delle condizioni generali, che autorizzava la banca “a recuperare il suo credito, senza bisogno di preavviso, di intimazione, di costituzione in mora, di previa escussione e di particolari formalità per il realizzo dei valori costituiti in pegno” e la clausola contenuta nell'artdell’atto costitutivo del pegno che prevedeva il meccanismo compensativo tipico del pegno irregolare. 7 Il primo ed il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi e sono infondati. Al riguardo giova ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si rientra, “nella disciplina del contratto pegno irregolare, qualora il debitore, a garanzia dell’adempimento della sua obbligazione, abbia vincolato al suo creditore un titolo di locazione credito o un documento di legittimazione individuati, conferendo a quest’ultimo anche la facoltà di disporre del relativo diritto, come delineato dall’art. 1851 c.c., norma (riferita all’anticipazione bancaria, ma che opportunamente riproducecostituisce tuttavia la regola generale di ogni altra ipotesi di pegno irregolare) in base alla quale il creditore garantito acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, che dovrà restituire al momento dell’adempimento o, in caso di inadempimento, dovrà rendere per quella parte eccedente l’ammontare del credito garantito, determinata in relazione al valore delle cose al tempo della relativa scadenza” (e plurimis Cass. 16 giugno 2005, n. 12964; Cass. 5 novembre 2004, n. 21237). Ne consegue che il pegno irregolare determina, in caso di adempimento, non l’obbligo di restituire l’idem, corpus, e cioè nella specie i titoli ricevuti, ma il tantundem eiusdem generis e qualitatis e, in caso di inadempimento, l’obbligo di restituire res eiusdem generis e qualitatis per l’eventuale eccedenza tra il valore delle cose al momento della scadenza del credito garantito e l’importo di quest’ultimo. In altre parole, la restituzione si trasforma da obbligazione di specie in obbligazione di genere. Esattamente, pertanto, la Corte territoriale, ha ritenuto l’incompatibilità con il pegno irregolare non di un generico patto di rotatività (che, comunque, secondo Cass. 5 marzo 2004, n. 4507, “in assenza di diversa previsione, non é in sintonia con i connotati e con la funzione, sostanzialmente satisfattiva, del pegno irregolare”) ma di un patto che l'obbligo preveda, come nella specie, “la facoltà del creditore pignoratizio di provvedere autonomamente alla insonorizzazione riscossione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo titoli alla loro scadenza e di non produrre rumori molesti impiegare d’ufficio gli importi riscossi nell’acquisto di altrettanti titoli della stessa natura e così di seguito a ogni successiva scadenza dei titoli provenienti dal rinnovo o dai rinnovi, con l’avvertenza che gli importi riscossi e i titoli con essi acquistati sarebbero stati soggetti all’originario xxxxxxx xx xxxxx (x. xxxxxxxx x. 0 del contratto)” (pagg. 8 e 9 dell’impugnata sentenza). La riscossione dei titoli alla scadenza, e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione la vendita in qualsiasi momento, e l’acquisto di rumori molesti all'interno titoli della stessa natura rendono, infatti, evidente, come ritenuto dalla sentenza impugnata, la mera surrogazione dell’oggetto di un pegno regolare e non l’attribuzione alla banca della facoltà di disporre dei titoli. In senso contrario non possono assumere rilievo le clausole, invocate dalla ricorrente, dirette soltanto a semplificare la procedura prevista dall’articolo 2797 c.c., in caso di inadempimento del locale condotto debitore e di conseguente vendita dei titoli, conferendo al creditore la facoltà di procedere direttamente alla vendita e compensare in locazione tutto o in parte il proprio credito con il debito derivante dalla riscossione. Infatti, “la disciplina dettata dall’articolo 2797 c.c., é derogabile consensualmente, non solo mediante la previsione di forme di vendita diverse da quelle prescritte dal secondo comma, ma anche mediante la dispensa dall’intimazione al debitore ed adibito a paninotecaal terzo garante e dal rispetto del termine per l’opposizione, oltre i limiti il cui unico scopo consiste nel consentire al debitore ed orari al terzo datore del pegno di leggeadempiere spontaneamente o di opporsi alla vendita, senza che l’omissione di tali forme faccia venir meno la riferibilità della vendita alla realizzazione della garanzia pignoratizia, purché essa sia il risultato dell’accordo intervenuto in proposito tra le parti per il soddisfacimento del creditore” (Xxxx. Inoltre evidenzia 28 maggio 2008, n. 13998). Neppure può darsi rilievo, per escludere una ipotesi di pegno regolare, alla inclusione dei titoli in un certificato cumulativo. La “dematerializzazione” dei titoli di credito, infatti, pur superando la fisicità del titolo, non é incompatibile con il pegno regolare, consentendone forme di consegna e di trasferimento virtuali, attraverso meccanismi alternativi di scritturazione, senza la movimentazione o senza neppure la creazione del supporto cartaceo (Cass. 27 ottobre 2006, n. 23268; Cass. 14 giugno 2000, n. 8107). Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilodell’articolo 1321 x.x., ovvero per aver dato ingressoxxxxxxxx 0000 x.x., nella valutazione della gravità dell'inadempimentox. 0, al motivo individuale del locatorearticoli 2697, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 2702 e 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazionelamentando, in modo tale cheda una parte, non avendo il ricorrente prodotto rumori molestiche la sentenza impugnata aveva desunto l’avvenuto acquisto dei titoli, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriales.r.l. Nuova Ulisse Edizioni, non contenendo la motivazione violazioni delle regole sulla base di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxxuna comunicazione unilaterale del Pi., sembra che il ricorrente tenda inidonea a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte contenere una manifestazione di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica volontà contrattuale, e non producendo, come sarebbe stato necessario, la delibera assembleare contenente l’atto di conferimento; e lamentando, d’altro canto, che la Corte di appello aveva attribuito rilievo, ai fini della prova dell’avvenuto trasferimento, al successivo comportamento della banca, che era estranea al preteso accordo ed il cui all'art. comportamento, pertanto, doveva ritenersi irrilevante ai sensi dell’articolo 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire .. Con il quarto motivo la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione ricorrente ripropone sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o profilo del vizio di motivazione le censure già proposte con il terzo motivo. Il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati. Invero, nel caso in cui il terzo datore di pegno trasferisca ad un terzo, ivi compreso il debitore garantito, la proprietà dei beni o la titolarità dei crediti costituiti in pegno, il creditore pignoratizio é certamente estraneo alla vicenda traslativa, dovendo soltanto subirne gli effetti, nel senso che gli obblighi di rendiconto e di eventuale restituzione esistenti nei confronti del terzo datore di pegno si risolvatrasferiscono in favore del terzo, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa volta che il creditore xxxxxxxxxxxx ne abbia ricevuto comunicazione (in questo senso Cassarg. n. 10554 del 2010ex articolo 1264 c.c.). All'interno Il creditore garantito, pertanto, non può pretendere la prova del medesimo trasferimento. Nella specie il terzo datore Pi. ha comunicato alla banca il trasferimento dei titoli e la banca ha adeguato la propria condotta alla nuova situazione. In questa prospettiva, con conseguente correzione della motivazione, devono essere inquadrati i rilievi della Corte di appello sulla comunicazione effettuata dal Pi. e sulla condotta successivamente tenuta dalla banca. Con il quinto motivo si deducono la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2787 c.c., lamentando che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che l’atto costitutivo del pegno non avesse individuato il ricorrente lamenta credito garantito, che, viceversa, era individuato con l’esatta indicazione, per tipologia ed ammontare, delle linee di credito garantite, considerato anche che il credito garantito traeva origine esclusivamente dal rapporto di affidamento, mentre il rapporto di conto corrente rappresentava soltanto lo strumento e la corte abbia mal motivato modalità concreta per l’utilizzo della concessa linea di credito. Con il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sesto motivo si ripropongono sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato profilo del vizio di motivazione manca poi totalmente le censure già proposte con il quinto motivo. Il quinto motivo é fondato. In proposito, si deve premettere che, la Corte territoriale ha esattamente interpretato la portata dell’art. 2787 x.x., xxxxx 0, xxxx xxxxxxx xxxxx xxxxxxxxxxxxxx di questa Corte, affermando che “affinché il credito garantito possa ritenersi sufficientemente indicato, non occorre che esso venga specificato, nella scrittura costitutiva di pegno, in tutti i suoi elementi oggettivi, bastando che la scrittura medesima contenga elementi idonei a consentirne l’identificazione (cfr., e plurimis, Xxxx. 12 luglio 1991, n. 7794)”. La Corte territoriale ha anche ricostruito, senza che sul punto siano state sollevate obiezioni, la portata della pattuizione nel senso che, come dalla stessa risultava testualmente, la garanzia reale era stata concessa “in relazione alla linea di credito di L. 210.000.000 utilizzabile per 10.000.000 Scop. di c/c e 200.000.000 Anticipo su effetti e/o ricevute scadenza Revoca”. In tale situazione, tuttavia, la sentenza impugnata é incorsa in una falsa applicazione dell’articolo 2787, terzo comma, affermando che i suddetti elementi non consentivano l’individuazione del necessario punto credito garantito. Il vizio di sintesi falsa applicazione di legge - che riguarda il momento in fatto.cui si applica la norma al caso concreto, dopo avere individuata ed esattamente interpretata la prima e dopo avere ricostruito esattamente il secondo nei suoi elementi di fatto - ricorre quando in relazione alla fattispecie concreta si traggono dalla norma conseguenze giuridiche che contraddicono la sua pur corretta interpretazione (cfr. Cass. 26 settembre 2005, n. 18782; Cass. 25 maggio 1987, n. 4698). Nella specie, il rapporto dal quale derivava il credito garantito era specificamente individuato a nulla rilevando l’omessa menzione del rapporto di conto corrente sul quale i risultati dell’apertura di credito erano destinati a confluire. Invero, la circostanza che le operazioni connesse ad un contratto di apertura di credito vengano eseguite in conto corrente non priva i due contratti della loro autonomia (Cass. 13 aprile 2006, n. 8711). Ne consegue che l’indicazione del credito complessivamente concesso e delle modalità (scoperto di conto corrente e anticipo su effetti e/o ricevute) nelle quali lo stesso poteva essere usufruito integravano gli estremi richiesti dall’articolo 2787 cit.. Il sesto motivo resta assorbito. P.Q.M.

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Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso A.R. lamenta che erroneamente è stato dichiarato legittimo l'intervento nel processo di F.M. e B.A., le quali avevano preteso di sostituirsi ad A.A., facendo proprie le richieste che egli aveva formulato. La doglianza è infondata. Già il ricorrente Tribunale aveva ritenuto inammissibile l'intervento di cui si tratta, con riferimento all'adesione alla domanda riconvenzionale, sulla quale infatti si era astenuto dal provvedere, rilevando che doveva reputarsi abbandonata, poiché erano rimaste contumaci le eredi del convenuto, uniche abilitate a riproporla dopo la riassunzione della causa. D'altra parte, come pure correttamente era stato osservato dal primo giudice ed è stato ribadito dalla Corte d'appello, F.M. e B.A., erano senz'altro legittimate a intervenire nei processo, ai sensi dell'art. 105 c.p.c., comma 2, avendo un proprio interesse a sostenere le ragioni di A.A. e ad aderire alla richiesta di rigetto della domanda proposta dall'attrice, il cui accoglimento avrebbe potuto pregiudicare l'avvenuto acquisto, da parte loro, della quota ereditaria oggetto della controversia: acquisto dichiaratamente compiuto nella consapevolezza della pendenza di questa causa, il cui atto introduttivo peraltro era stato a suo tempo trascritto. Pertanto le intervenute, nonostante l'improprio richiamo all'art. 111 c.p.c., contenuto nella loro comparsa di costituzione in giudizio, non hanno inteso operare alcuna indebita "sostituzione processuale del de cuius" né "estromettere le legittime eredi", come sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il A.R.. Con il secondo motivo di ricorso vengono rivolte alla sentenza impugnata due distinte critiche, per avere la Corte d'appello: - ingiustificatamente ritenuto che la proposta di A.A. fosse stata accettata, pur se era stata formulata in maniera imprecisa e seguita da una diversa controproposta; - considerato valida la diffida ad adempiere, che invece era affetta da nullità, in quanto firmata da persona priva di procura rilasciata per iscritto. La prima di tali censure deve essere disattesa. Si verte nella materia dell'interpretazione ai atti negoziali, che può formare oggetto di sindacato in questa sede soltanto sotto i profili della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale e della omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Ma per il primo aspetto, nessun rilievo è inammissibilestato formulato dalla ricorrente. Quanto al secondo, prima ancora va rilevato che infondato. In primo luogo il quesito la Corte d'appello ha dato adeguatamente conto delle ragioni della decisione sul punto, richiamando "l'inequivoco tenore della comunicazione; in data 21 novembre 1996", con cui "l'attrice comunicava al fratello la propria accettazione ad acquistare la quota ereditaria come sopra meglio specificata per la somma di L. 150.000.000, facendo peraltro espresso riferimento all'atto notificato in data 2.10.96 dal fratello signor X.X. con il quale esso termina è astrattolo stesso, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico ai sensi e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, gli affetti di cui all'art. 1362 732 c.c., ha comunicato alla sottoscritta ed alla madre R.E. la volontà di alienare a terzi per un contro valore di L. 150.000.000 l'intera quota ereditaria", dal che si è desunto che A.R. "non formulò pertanto una nuova proposta contrattuale, ma sintetizzò il contenuto della proposta del fratello e della sua accettazione con gli stessi termini ed accettò quanto contenuto nell'atto notificato il 2.10.1996". Le contestazioni mosse da A.R. a queste argomentazioni non possono costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità, che consentono a questa Corte, sulle questioni di fatto, soltanto di verificare se la motivazione della sentenza impugnata sia esauriente e segglogicamente coerente e le inibiscono di compiere accertamenti e valutazioni prettamente di merito, come quelli che in sostanza la ricorrente richiede. Né può essere presa in considerazione la deduzione relativa all'asserito carattere indeterminato, quanto all'entità del prezzo, della proposta formulata da A.A.: il tema non ha formato oggetto di decisione nella sentenza impugnata, né la ricorrente ha precisato - come era suo onere - se e in quali atti lo abbia prospettato nel giudizio a quo. Sull'altra questione, sollevata con il motivo gì impugnazione in esame, si è verificato nella giurisprudenza di legittimità un contrasto, per la cui composizione il ricorso è stata assegnato alle sezioni unite. Negli esatti termini il cui si pone in questo giudizio, la questione è stata affrontata soltanto in tre sentenze, che le hanno dato soluzioni divergenti: secondo Xxxx. 25 marzo 1978 n. 1447 "affinché la diffida ad adempiere, intimata alla parte inadempiente da un soggetto diverso dall'altro contraente, possa produrre gli effetti di cui all'art. 1454 c.c., è necessario che quei soggetto sia munito di procura scritta del creditore, e che tale procura sia allegata, o comunque portata a conoscenza del debitore con mezzi idonei, atteso il carattere negoziale della diffida medesima, quale atto unilaterale destinato a incidere sul rapporto contrattuale determinandone la risoluzione per l'inutile decorso del termine assegnato"; da questo indirizzo si è discostata Cass. 26 giugno 1987 n. 5641, con cui si è deciso che "l'art. 1350 c.c., stabilisce l'obbligo della forma scritta per la conclusione o la modifica dei contratti relativi a diritti reali immobiliari, ma né esso, né altra disposizione di motivazione inadeguatalegge prevedono analogo requisito di forma per ogni comunicazione o intimazione riguardante l'esecuzione di detti contratti; pertanto, ovverosia è pienamente valida ed efficace la diffida ad adempiere un contratto preliminare di compravendita, intimata, per conto e nell'interesse dei contraente, da persona fornita di un semplice mandato verbale, come pure quella sottoscritta da un falsus procurator, e successivamente ratificata dalla parte interessata"; in una posizione intermedia si è infine collocata Xxxx. 1 settembre 1990 n. 9085, ritenendo che "per il combinato disposto degli art. 1324 e 1392 c.c., la procura per la diffida ad adempiere a norma dell'art. 1454 c.c., ancorché questa sia atto unilaterale, deve essere fatta per iscritto soltanto nei casi previsti dalla legge e quindi se per il contratto, che si intende risolvere, la forma scritta sia richiesta ad substantiam o anche soltanto ad probationem e non quando riguardi beni mobili, per cui può essere anche conferita tacitamente, sempre che promani dall'interessato e sia manifestata con atti o fatti univoci e concludenti, restando in facoltà dell'intimato di esigere a norma dell'art. 1393 c.c., che il rappresentante, o chi si dichiari tale, giustifichi, nelle forme di legge, i suoi poteri". Altre decisioni - come quelle richiamate nella sentenza impugnata, insieme con Xxxx. 5641/87 - non sono pertinenti, poiché non si riferiscono specificamente, come invece quelle sopra citate, alla procura per l'intimazione ad adempiere. Ritiene il collegio che debba essere seguito l'orientamento tracciato da Cass. 1447/78. Le norme che vengono in considerazione sono gli artt. 1454, 1324 e 1392 c.c., che rispettivamente dispongono: - "Alla parte inadempiente l'altra può intimare per iscritto di adempiere in un congrue termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s'intenderà senz'altro risoluto... Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto"; - "Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale"; - "La procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere". La diffida ad adempiere va certamente compresa tra gli atti equiparati ai contratti, data la sua natura prettamente negoziale: si tratta di una manifestazione di volontà consistente nell'esplicazione di un potere di unilaterale disposizione della sorte di un rapporto, di per sé idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertantoincidere direttamente nella realtà giuridica, onde far valere una violazione sotto il primo profilopoiché da luogo all'automatica risoluzione ipso iure del vincolo sinallagmatico, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta senza necessità di una interpretazione diversa (in questo senso Casspronuncia giudiziale, nel caso di inutile decorso del termine assegnato all'altra parte. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo E' pertanto soggetta alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione disciplina dei contratti, rispetto e in particolare a quella della rappresentanza, compresa la norma che estende alla quale procura il requisito di forma prescritto per il relativo negozio: norma la cui applicazione non costituisce un'unica censura; è impedita da alcuna incompatibilità né dall'esistenza di una qualche diversa disposizione. Poiché dunque la diffida deve essere rivolta all'inadempiente "per iscritto", è indispensabile che la procura per intimarla venga rilasciata in questa stessa forma dal creditore al suo rappresentante, indipendentemente dal carattere eventualmente "solenne" della forma richiesta per il denunciato vizio contratto destinato in ipotesi a essere risolto (carattere peraltro presente nella specie, dato che a norma dell'art. 1543 c.c., "la vendita di motivazione manca poi totalmente un'eredità deve farsi per atto scritto, sotto pena di nullità" e nella successione del necessario punto de cuius erano compresi anche beni immobili). Non contrastano con questa comunque ineludibile conclusione i precedenti della giurisprudenza di sintesi legittimità (Cass. 25 marzo 1995 n. 3566, 26 marzo 2002 n. 4310) nei quali si è fatto cenno alla possibilità che la diffida ad adempiere venga "fatta nella forma più idonea al raggiungimento dello scopo", ma esclusivamente con riferimento alle modalità della sua trasmissione e senza affatto disconoscere che debba rivestire forma scritta. Il principio da enunciare è quindi: "La procura relativa alla diffida ad adempiere di cui all'art. 1454 c.c., deve essere rilasciata per iscritto, indipendentemente dal carattere eventualmente solenne della forma richiesta per il contratto destinato in fattoipotesi ad essere risolto". Nella memoria di F.M. si è dedotto che A.A., costituendosi nel giudizio di primo grado e chiedendo che fosse accertata l'avvenuta risoluzione del contratto in questione, in forza del persistente inadempimento di A.R. dopo l'intimazione inviatale dall'avv. Xxxxx Xxxxxxxx, aveva comunque ratificato l'operato del suo legale e consolidato gli effetti della diffida. L'assunto non può essere preso in esame, per la stessa ragione esposta a proposito della tesi della ricorrente circa l'indeterminatezza della proposta rivoltale: la questione non ha formalo oggetto di decisione nella sentenza impugnata e non viene dedotto che sia stata sottoposta alla Corre d'appello. Né comunque poteva essere sollevata in questo giudizio con la memoria, che è atto destinato soltanto a illustrare le difese già svolte dalla parte resistente con il controricorso e non a farne valere di nuove (Cass. 13 marzo 2006 n. 5400).

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Motivi della decisione. 1Deve essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello, separatamente iscritto con il n. 11372/03, definito dalla controricorrente come ricorso incidentale condizionato. Con il primo motivo di del proprio ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione Tecnoimpianti s.r.l., denunciando violazione dell'art. 1346 c.c. in riferimento all'art. 1418 c.c., censura la sentenza impugnata per aver ravvisato la nullità del contratto laddoveper indeterminatezza dell'oggetto, nell'interpretare nonostante fossero state nella scrittura intercorsa tra le parti precisate le zone e l'ambito degli interventi oggetto dell'appalto e d'altro canto trovando la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto tipologia dei lavori di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti manutenzione ordinaria e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto straordinaria appaltati la propria individuazione in locazione norme codicistiche ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari in specifiche disposizioni di legge. Inoltre evidenzia Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 1355 c.c., si deduce che la violazione dei canoni sentenza impugnata ha errato nel ravvisare una condizione meramente potestativa in relazione alla emissione degli ordini di interpretazione anche sotto un diverso profiloservizio, ovvero per aver dato ingressodovendosi eventualmente ravvisare una condizione potestativa collegata alle esigenze della committente, nella valutazione della gravità dell'inadempimentoed ha fornito sul punto una motivazione carente ed incongrua. Si aggiunge che la ritenuta nullità avrebbe dovuto in ipotesi circoscriversi alla clausola, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del localee non estendersi all'intero contratto. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con Ed invero la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice Corte di merito, qualificato il contratto intercorso tra le parti come contratto di appalto, sul rilievo che tale definizione era agevolmente desumibile dal tenore letterale dell'accordo, di così chiara enunciazione da non richiedere il ricorso a criteri suppletivi di interpretazione della volontà delle parti, ha ancorato il giudizio di indeterminatezza indeterminabilità dell'oggetto non solo o non tanto alla mancata specificazione delle tipologie di lavori di manutenzione previsti in violazione dell'artcontratto, ma anche e soprattutto alla assoluta indeterminatezza degli interventi da svolgere in ordine a detti lavori, e quindi alla totale incertezza della loro effettiva prestazione, avulsa da ogni puntualizzazione che desse concretezza e certezza alle obbligazioni assunte dalla committente e rimessa unicamente alla valutazione discrezionale della medesima committente attraverso la adozione di ordini di servizio del tutto eventuali. 1362 Il convincimento così espresso nella sentenza impugnata costituisce puntuale applicazione del principio, fermo nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo il quale la determinabilità dell'oggetto del contratto in tanto sussiste in quanto detto oggetto possa essere in concreto definito con riferimento ad elementi provvisti di una preordinata rilevanza oggettiva e prestabiliti dalle parti, che si siano accordate circa la futura determinazione di esso e circa i criteri o le modalità da osservarsi a questo fine, così che dallo stesso contratto siano desumibili, sia pure per implicito, gli elementi idonei alla identificazione dell'oggetto stesso, onde non è sufficiente il riferimento ad elementi concernenti la fase di esecuzione del rapporto, come il comportamento successivo delle parti (v. sul punto Cass. 1987 n. 2007; 1983 n. 5421; 1979 n. 534; 1976 n. 743). La motivazione adottata sul punto appare congrua e logica, mentre ogni valutazione di merito circa la determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto intercorso tra le parti sfugge al controllo del giudice di legittimità. Una volta accertata la conformità a diritto della sentenza impugnata nel punto in cui ha ravvisato la nullità del contratto per difetto dei requisiti posti dall'art. 1346 c.c., abbia fatto uso del solo criterio appare non più necessario verificare la sussistenza della ulteriore causa di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè nullità ravvisata dalla Corte di Appello per aver ritenuto che l'assunzione della obbligazione della società committente fosse stata subordinata ad una condizione meramente potestativa. Il ricorso incidentale condizionato - così impropriamente definito in quanto proposto dalla parte interamente vittoriosa allo scopo di ottenere non abbia posto in correlazione l'obbligo già la riforma della sentenza su questioni pregiudiziali o preliminari di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice rito o di merito, incensurabile ma unicamente il mutamento della sua motivazione attraverso una diversa qualificazione del contratto intercorso tra le parti, e quindi diretto unicamente a prospettare deduzioni formulabili nelle difese del controricorso (v. per tutte sul punto Xxxx. 1996 n. 2067) - resta assorbito. La Tecnoimpianti s.r.l. va conseguentemente condannata al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, nella misura liquidata in sede dispositivo. P.Q.M. La Corte di legittimitàCassazione riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattualedichiara assorbito l’incidentale condizionato. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 2.600,00, di cui all'art. 1362 c.c. Euro 2.500,00 per onorario, oltre le spese generali e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito gli accessori come per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattolegge.

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Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima e con la seconda censura la ricorrente denuncia violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale di Bologna n. 1665 del 18, 6.1991, che aveva pronunziato la risoluzione del preliminare e condannato la M. al risarcimento del danno, nonchè la violazione dell'art, 1453 cc, sotto il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'artprofilo della autonomia della pronunzia di risoluzione rispetto a quella di danno per la occupazione dell'immobile, durata circa otto anni. 7 Le censure possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione. Esse sono infondate. L'intera costruzione logica della sentenza impugnata muove dalle premesse di fatto che nell'atto pubblico di vendita in favore di altri soggetti si legge che questa avveniva "in esecuzione del contratto preliminare " e che il definitivo era seguito alla nomina, assunta come dato pacifico, da parte della M., degli acquirenti del definitivo, secondo la previsione espressa del preliminare. In base al dato testuale ed a quello dall' avvenuta nomina degli acquirenti del definivo da parte della promissaria, nonchè dall'ulteriore dato, non smentito, che la vendita definitiva era avvenuta allo stesso prezzo a suo tempo concordato nel preliminare, la Corte distrettuale ha tratto il convincimento (analogo a quello del Tribunale) che la M.I.C. avesse, per facta concludenti a, abbandonato la domanda di locazione riproponendone risoluzione, su cui era intervenuta una pronunzia giudiziale non ancora passata in giudicato; che, inoltre, la propria interpretazionerinunzia alla domanda implicasse anche rinunzia al decisimi del Tribunale e che, infine» la domanda di danno, accessoria a quella di risoluzione, restasse travolta dalla rinunzia alla prima. Orbene, il Collegio osserva che la rinunzia all'azione non deve essere necessariamente espressa nè contenuta in atti formali ma può essere anche tacita e compiersi mediante atti e fatti concludenti incompatibili con la volontà di proseguire nella domanda proposta (Cass. 2267/90). Nel caso in cui, in un contratto a prestazioni corrispettive, la rinunzia all'azione di risoluzione venga ravvisata in un comportamento di effettiva esecuzione del contratto, posto in essere dal rinunziante ed accettato dall'altra parte, non assume rilievo la regola prevista nell'art. 1453 c. 3 cc, secondo cui il debitore inadempiente non può più adempiere dopo che sia stata chiesta risoluzione, poichè trattasi di norma a carattere dispositivo, sicchè nulla vieta che, nell'ambito delle facoltà connesse all'esercizio dell'autonomia privata, il creditore possa accettare l'adempimento della prestazione, successivo alla domanda, rinunziando, in tal modo, agli effetti della risoluzione, anche quando questa si sia già verificata per legge (artt. 1454, 1456 e 1457 cc.)o per effetto di una pronuncia giudiziale ex art. 1453 cc(Cass. 2^ n. 4908/91)- Il ricorrente lamenta contraente non inadempiente, infatti, così come può rinunziare ad eccepire l'inadempimento, che potrebbe dar causa alla pronunzia di risoluzione, può, allo stesso modo, rinunciare ad avvalersi della risoluzione già avveratasi per effetto o della clausola risolutiva espressa o dello spirare del temutine essenziale o della diffida ad adempiere, e può anche rinunziare ad avvalersi della risoluzione già dichiarata giudizialmente, ripristinando contestualmente l'obbligazione contrattuale ed accettandone l'adempimento. Ed è proprio questa l'ipotesi che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. merito ha ritenuto essersi verificata nella specie grazie alla nomina da parte della corte territorialeM., e l'accettazione da parte della M.I.C., dei contraenti del definivo, espressamente stipulato in esecuzione ed adempimento -"volontario" e “spontaneo", secondo le espressioni della sentenza impugnata - da parte della M.I.C. del (id est: degli obblighi del) preliminare, specificamente richiamato nell'atto definivo anche con gli estremi della registrazione, richiamo che, secondo la Corte d'Appello, sarebbe stato altrimenti "illogico ed inutile". Ed in proposito non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimitàha rilievo, se non nell'ipotesi come argomento logico non dirimente, l'assunto della ricorrente che insiste all'autonomia della domanda di violazione dei canoni legali risoluzione rispetto a quella di ermeneutica contrattualedanni nè mette conto di stabilire se su tale ultima domanda si sia formato il giudicato, posto che l'oggetto del presente giudizio riguardava unicamente la sorte della domanda di cui all'art. 1362 c.c. risoluzione che, in relazione ad uno soltanto degli effetti restitutori ad essa connessi - e segg. o controverso(cioè, quello della caparra) - è stata ritenuta oggetto di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostatorinunzia tacita, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo il conseguente "venir meno" della richiesta (definita accessoria) di ricorso danni che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cassdall'inadempimento sarebbero derivati. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta Da tanto consegue anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingressol'assoluta irrilevanza, ai fini della valutazione decisione che ne occupa, della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattualequestione relativa alla sussistenza della (eventuale) remissione del debito per risarcimento che viene, ai motivi personali prospettata nella censura sub 4). In ordine a tale questione, che è riportata tra le deduzioni dell'appellante (cfr. pag. 6 della sentenza), può osservarsi che, intanto, non viene dedotto il vizio di una delle omessa pronunzia e che, in ogni caso, la Corte di Appello è - come si è visto - risalita a monte dell'azione risarcitoria ritenendo che fosse avvenuta la rinunzia all'azione di risoluzione, logicamente ad essa preordinata, per avere le parti, con la volontaria esecuzione del preliminare, dopo la sentenza relativa all'inadempimento dello stesso, dato un diverso assetto al complesso dei loro interessi, rinunziando al decisum. Quest'ultima appare essere una censura autonoma Tale conclusione, frutto di ragionamento chiaro e logicamente ineccepibile, non viene puntualmente censurata dalla ricorrente, posto che, per contestare la rinunzia all'azione, che andava sussunta sotto è stata ritenuta sussistente nella specie pur in mancanza di formule sacramentali e/o espresse, non possono introdursi istituti diversi, come la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contrattiremissione del debito, rispetto alla quale quale, peraltro, neppure è a parlarsi della necessità di forme solenni o particolari (Cass. n. 5646/94; Cass. n. 5148/87; Cass., 1752/72; Cass. 1100/74). La nomina del terzo, che i giudici di merito hanno dato per pacifica e certa, viene dalla ricorrente contestata in maniera apodittica ed inefficace ovvero (come nella censura sub 3) per il solo profilo formale, sul rilievo della mancanza dell'atto scritto di nomina del terzo, previsto dall'art. 1403 cc. Tale censura, che era già stata ampiamente disattesa dal Tribunale, anche con riguardo alle carenze formali, non costituisce un'unica censura; risulta essere stata riproposta specificamente nei motivi di appello, ond'è che, per tale profilo, essa va ritenuta inammissibile. Da tutto quanto sopra detto deriva che l'inquadramento della fattispecie, da parte della Corte di Appello, deve ravvisarsi giuridicamente corretto e che altrettanto corretta, nonchè adeguatamente e logicamente motivata, deve ritenersi la soluzione - data dalla stessa Corte alla "quaestio voluntatis" con riguardo alla rinunzia all'azione. Resta, così, assorbita anche la questione - che è piuttosto un argomento logico, peraltro basato su un fatto di equivoco significato - della esecuzione spontanea della sentenza (non ancora passata in giudicato) mediante la restituzione dell'appartamento da parte della M., come prospettata nella censura sub 5). L'ultima questione (prospettata sub 6) relativa alla prova del "negozio transattivo" a del tutto nuova sia per quanto riguarda il denunciato vizio merito che, di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.conseguenza, il fatto da provare. In definitiva il ricorso deve essere rigettato. Il Collegio ravvisa giusti motivi per la compensazione totale delle spese tra le parti. P.Q.M.

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Motivi della decisione. 1Il ricorso va accolto per le ragioni che qui di seguito si espongono. Con il A sostegno della propria tesi, con riguardo al primo motivo del ricorso, la ricorrente Drive Rent S.P.A. depositava il contratto di factoring del (OMISSIS) evidenziando come lo stesso avesse ad oggetto, non già crediti attuali, bensì "le future cessioni verso corrispettivi di crediti vantati dal Fornitore (Car World Italia S.p.a.) nei confronti dei propri debitori". Xx, a riprova della corrispondenza tra il finanziamento ricevuto dalla Faber Factor e gli investimenti effettuati nell'acquisto di autovetture destinate al noleggio a lungo termine, la società depositava il prospetto di Movimentazione delle Immobilizzazioni materiali allegate al bilancio 2001 della società cedente Car World Italia S.p.a.. Inoltre, rappresentava che, tra i documenti depositati da quest'ultima nel procedimento da essa autonomamente azionato e poi riunito a quello oggetto del ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddovedella Drive Rent S.p.a, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 vi era una lettera di intenti, dell'11 settembre 2001, antecedente alla stipula del contratto di locazione factoring, con cui la Car World Italia S.p.a. ricostruiva lo stato della trattativa con la Faber Factor in tal senso: "...prendiamo atto della vostra disponibilità a metterci a disposizione una linea di finanziamento in una o più tranches di massime Lire 45.000.000.000 (circa 23 milioni di Euro) finalizzata al sostenimento degli investimenti nel parco noleggio a lungo termine effettuati e da effettuarsi"... "Dal punto di vista formale, per consentirvi di erogare il finanziamento in una o più tranches. ci impegnamo sin da ora ad accettare le Vostre condizioni standard per questo tipo di operazione cui abbiamo preso visione. Tuttavia resta fin d'ora inteso che, esulando questo finanziamento dagli schemi tipici dei contratti di factoring, sarà la scrivente Car World Italia S.p.a. e non già Faber Factor S.p.a. ad incassare dai clienti i crediti derivanti dall'attività di noleggio a lungo termine, dal momento che opportunamente riproduce)nessun credito sarà oggetto di cessione a Faber Factor. Il finanziamento di cui sopra sarà, quindi, direttamente restituito dalla scrivente Car World Italia S.p.a. a Faber Factor S.p.a.a mediante pagamento in rate mensili sulla base di un piano di ammortamento da concordarsi". Venivano, poi, depositati i prospetti dei bilanci relativi agli anni 2001 e 2002 della Car World Italia S.p.a dai quali risultava il valore delle autovetture immobilizzate per essere destinate a noleggio nonchè la scheda contabile della Car World Italia S.p.a. intestata a Faber factor per i finanziamenti ricevuti e pagati all'inizio del rapporto sino alla cessione, analoga scheda contabile della società cessionaria CWI Rent S.p.a. per il periodo successivo ed i relativi estratti conto. Da tali documenti risultava che, come pattuito nella lettera d'intenti di cui prima, sia la Car World Italia S.p.a, prima della cessione, sia la CWI Rent S.p.a., dopo la cessione, subentrata nel rapporto, avevano sempre proceduto alla restituzione del finanziamento mediante versamenti diretti senza operare alcuna cessione di crediti. Il primo motivo, dunque, ha ritenuto ad oggetto la denunciata insufficienza di motivazione della sentenza impugnata, per avere la CTR della Lombardia confermato la sentenza di primo grado senza esaminare la censura, debitamente posta al suo vaglio, della omessa valutazione della documentazione su riportata decisiva ai fini della interpretazione dell'atto sottoposto alla tassazione della tassa di registro. In effetti, sul punto la sentenza impugnata nulla osserva, limitandosi ad affermare, con riferimento alla 5deduzione difensiva dell'inerenza del debito societario de quo (le passività per debiti verso la società Faber Factor Spa erano effettivamente connesse all'acquisto nel tempo del parco auto relativo al noleggio auto a lungo termine senza conducente) che l'obbligo "In realtà, perchè il debito venga computato, in quanto inerente, occorre che l'inerenza venga dimostrata da una specifica connessione che, nel nostro caso, non risulta affatto". Il Collegio non ignora il costante indirizzo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto questa Corte secondo cui, in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni tema di interpretazione anche sotto un diverso profilodegli atti ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, ovvero per aver dato ingressoil criterio fissato dal D.P.R. n. 131 del 1986, nella valutazione della gravità dell'inadempimentoart. 20, impone di privilegiare l'intrinseca natura e gli effetti giuridici, rispetto al motivo individuale del locatoretitolo e alla forma apparente degli stessi, con la conseguenza che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo i concetti privatistici relativi all'autonomia negoziale regrediscono, di ricorso è inammissibilefronte alle esigenze antielusive poste dalla norma, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli a semplici elementi della fattispecie concretatributaria, per ricostruire la quale dovrà, dunque, darsi preminenza alla causa dei negozi giuridici (cfr. Inoltresentt. 23584/12, 6835/13, 17965/13, 3481/14). Va, però, nel contempo evidenziato che, quando si ponga la questione relativa alla interpretazione dell'atto soggetto a tassazione per evidenziarne l'intrinseca natura, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative giudice tributario è tenuto a due distinte ipotizzate violazioniconsiderare le deduzioni difensive sul punto, maggiormente, se suffragate da specifica documentazione, motivandone la eventuale non decisività, ma non può certo non tenerne conto, venendo meno, così, all'obbligo motivazionale. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di meritoIn sostanza, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico ricorso introduttivo entrambe le società ricorrenti avevano contestato la pretesa impositiva ribadendo l'inerenza del debito ceduto che era sorto per finanziare l'acquisto di autovetture destinate alla locazione a lungo termine e, dunque, direttamente e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti funzionalmente connesso con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattoramo d'azienda ceduto.

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Motivi della decisione. 1. Con La ricorrente, con il primo motivo motivo, denuncia falsa ed erronea applicazione, dell’art. 67, secondo xxxxx, l. fall., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., deducendo che il Tri- bunale aveva qualificato come cessioni di ricorso credito i negozi aventi ad oggetto la somma di £ 232.679.384 ed afferma- to che il ricorrente sostiene Fallimento non ne aveva chiesto la revoca, of- frendo una qualificazione neppure contestata dall’attore. A suo avviso, la Corte territoriale non avrebbe espresso una precisa posizione sul punto, nel senso che, dopo avere prospettato che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione cessione di ricevute bancarie è idonea soltanto a conferire al cessionario un mandato a riscuotere in nome e per conto del contratto laddovecedente, nell'interpretare sia pure in rem propriam, con la clausola contenuta nell'art. 7 conseguenza che la titolarità del contratto credito resta del mandante, con improvvisa «inversione di locazione (che opportunamente riproduce)rotta» ha poi sostenuto che, ha ritenuto che l'obbligo anche ritenendo sussi- stente una cessione di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingressocredito, nella valutazione specie mancava la prova dell’anteriorità della gravità dell'inadempimentodata della cessione rispetto al fallimento. Secondo la ricorrente, al motivo individuale nella specie sareb- be indubbio che l’incasso della ricevuta bancaria è av- venuto in forza di una cessione del locatorecredito, dato che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante sul punto non vi era particolarmente interessato contestazione e che sugli stampati ri- lasciati dalla Banca alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concretasocietà vi era la dicitura «ces- sione pro solvendo». Inoltre, non sussisteva un mero mandato a riscuotere, poiché essa istante provvedeva ad anticipare l’importo delle ricevute bancarie, curando il ricorrente propone successivo incasso delle somme dai terzi debitori, co- me risulta dagli estratti conto, i quali evidenziano l’af- fluenza delle somme sul c/c delle somme oggetto di det- te ricevute, al netto, delle commissioni. Pertanto, nella specie sussistono anche i presupposti della compensazione ex art. 56 l. fall., erroneamente ne- gata dalla sentenza, richiamando la giurisprudenza rife- rentesi alle semplici rimesse sul c/c scoperto, non affida- to. Ne consegue, che i pagamenti per £ 199.472.384 non erano revocabili in difetto della revoca del negozio di cessione del credito, secondo un principio affermato da questa Corte nelle sentenze n. 2936 del 1997 e n. 1295 del 1991. La Banca, con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioniil secondo motivo, denuncia falsa ed er- ronea applicazione dell’art. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 2704 c.c., abbia fatto uso del solo criterio in relazione al- l’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., sostenendo che la sentenza ha escluso la certezza della data delle cessioni di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico credito, ritenendola non desumibile dalle lettere di cessione, in quanto prive dei caratteri di cui all’art. 2704 c.c.. A suo avviso, si tratterebbe di una affermazione caratte- rizzata da «astrattezza», mentre essa istante, nell’atto di appello e nella comparsa conclusionale, aveva invocato anche altri fatti e atti idonei a dare prova della data cer- ta, e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo gli estratti del conto corrente, che riportavano il numero di non produrre rumori molesti con l'obbligo distinta di effettuare le opere presentazione, l’importo accre- ditato e la data di insonorizzazionevaluta. Inoltre, in modo tale lo stesso curatore ha dato prova della certezza della data producendo gli estratti conto che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molestirichiamando le distinte da essa depo- sitate per provare le cessioni di credito, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte stabilivano per relationem l’anteriorità della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione formazione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato documenti rispetto al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattofallimento.

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Samples: Cessione Di Ricevute Bancarie

Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto la sussistenza della conoscenza dello stato d'insolvenza sulla base, da un lato, della sottovalutata incidenza sulla cedente della dichiarazione di fallimento della società sua assunta capogruppo e, dall'altro, dell'intervenuta consapevolezza del deterioramento accentuato delle condizioni economìche e finanziarie di quest'ultima. Con il secondo motivo lamenta la violazione dei canoni interpretativi del contratto stabiliti dal codice civile in ragione di una mancata qualificazione del negozio secondo la comune volontà delle parti sull'oggetto e l'erronea interpretazione delle clausole contrattuali, basata su un solo articolo dello stesso (art. 15) senza prendere in considerazione altri rilevanti articoli,la cui corretta applicazione avrebbe dovuto portare la Corte d'appello a ritenere che il contratto per cui è causa integrava fattispecie contrattuali plurime. Con il terzo motivo deduce: a) omessa motivazione nella parte in cui il giudice di merito non spiega nè evidenzia gli elementi che lo hanno spinto ad attribuire causa di mandato al rapporto tra le parti; b) insufficiente e contraddittoria motivazione laddove la sentenza impugnata afferma che le parti, volendo sviluppare i loro traffici economici, avevano dato vita ad un contratto di factoring anzichè direttamente a rapporti di mandato, a solo fine di agevolare gli incassi a mezzo del trasferimento fittizio della titolarità dei crediti e nonostante che i debitori ceduti sarebbero state primarie imprese di interesse nazionale, perfettamente solvibili; c) insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la Corte d'appello arriva alla affermazione della sussistenza di causa mandato nelle cessioni sulla base di supposizioni prive di concretezza a mezzo di un parziale richiamo ad una sola clausola contrattuale. Con il quarto articolato motivo deduce che con la cessione, a norma dell'art. 1260 c.c. e segg., e della L. n. Con il quinto motivo Ifitalia deduce che, dovendosi al caso di specie applicare la L. 21 febbraio 1991, n. 52, il fallimento avrebbe potuto semmai esperire l'azione di dichiarazione di inopponibilità della cessione dei crediti d'impresa e non già l'azione revocatoria fallimentare prevista dalla L. Fall., art. 67. Vanno esaminati in via preliminare il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che, in quanto tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Come già rilevato in precedenza, con tali motivi IFITALIA contesta la violazione da parte della Corte d'appello dei canoni di interpretazione dei contratti stabiliti dal codice civile, in particolare tramite l'omesso esame delle clausole contrattuali nel loro insieme ed una mancata ricostruzione della effettiva volontà delle parti, che ha portato quel giudice ha ritenere che il contratto di factoring in questione avesse dato luogo ad un rapporto di mandato relativo alla gestione dei crediti messi a disposizione da parte della resistente anzichè ad una cessione degli stessi. Sostiene, invece, la ricorrente sostiene che una corretta interpretazione del contratto avrebbe dovuto indurre a ravvisare, nella situazione giuridica conseguente alla perfezionata cessione, un risultato traslativo definitivo, specificamente ed autonomamente rilevante (anzichè un mero strumento di agevolazioni delle gestione del credito),in cui assumeva carattere essenziale e centrale, appunto, la corte d'appello cessione dei crediti, con i conseguente risultato giuridico del trasferimento del valore patrimoniale rappresentato dai crediti stessi, laddove la funzione gestoria, pur presente nel tipo contrattuale del factoring, si collocava in posizione subordinata e strumentale. Secondo la ricorrente, quindi, la posizione giuridica attiva correlata a ciascuno dei crediti oggetto di cessione doveva considerarsi dismessa dal cedente per effetto della cessione e trasferita in capo al Factor cessionario che avrebbe violato così acquisito, quale elemento essenziale di tale cessione (e non ad altro titolo), fa legittimazione ad esigerne ed a riceverne l'adempimento pire proprio e non per conto di altri. I motivi si rivelano anzitutto ammissibili ponendo gli stessi, da un lato,del le questioni in punto di diritto in tema di osservanza delle norme sull'interpretazione del contratto laddovee,dall'altra, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 deducendo vizi motivazionali in relazione al mancato esame di articoli del contratto rilevanti ai fini della decisione. Per altro verso, i quesiti risultando debitamente formulati ponendo essi adeguate questioni giuridiche e riassumendo le questioni inerenti ai vizi di locazione motivazione. Ciò posto, i motivi si rivelano fondati. Va premesso che questa Corte ha ripetutamente affermato che il factoring (che opportunamente riproduce)anche dopo l'entrata in vigore della L. n. 52 del 1991) rimane un contratto atipico il cui nucleo essenziale è l'obbligo assunto da un imprenditore (cedente o fornitore) di cedere ad altro imprenditore (il facior) la titolarità dei crediti derivati dall'esercizio della sua impresa. Le funzioni economiche del factoring sono molteplici ed esso, ha ritenuto che l'obbligo di provvedere regola, è caratterizzato dalla compresenza di plurime operazioni quali, appunto, la cessione di uno o più crediti (con le possibili varianti del finanziamento in favore dell'impresa, attraverso le anticipazioni o smobilizzi, e dell'assunzione del rischio dell'insolvenza) e l'assunzione da parte del factor di obbligazioni non strettamente inerenti alla insonorizzazione cessione, aventi ad oggetto la gestione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo crediti (quali: informazione, consulenza, collaborazione nella gestione aziendale etc.) di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione secondaria importanza nell'economia del contratto. A fronte di rumori molesti all'interno ciò è prevista una commissione in favore del locale condotto factor che costituisce il corrispettivo di quell'attività, variabile in locazione ed adibito rapporto a paninoteca, oltre i limiti ed orari molteplici elementi che incidono sul grado di leggeassunzione del rischio dell'operazione. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale Ne consegue che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della qualificazione del contratto, che dipende dagli effetti giuridici e non da quelli pratico-economici, il giudice deve fare riferimento all'intento negoziale delle parti che renda palese il risultalo concreto dalle stesse perseguito, valutando, in particolare, se esse abbiano optato per la causa vendendi, per quella mandati, o per altra ancora" (Cass. 2746/07, Cass. 6192/08, Cass. 15797/09, Cass. 17116/04, Cass. 10004/03, Cass. n. 1510/01, Cass. 684/01). Nel caso di specie,dunque, il giudice doveva ricostruire quale fosse stato l'intento delle parti nella conformazione del contratto sulla base di una adeguata interpretazione delle clausole contrattuali alla luce dei principi del codice civile e doveva fornire adeguata motivazione su tale punto. Vanno a tale proposito ulteriormente rammentati i principi ripetutamente ribaditi da questa Corte in tema di motivazione che deve estrinsecarsi nell'esposizione degli elementi di fatto e di diritto, nonchè nelle argomentazioni nelle quali si sostanzia la ratio decidendi, che costituiscono il fondamento logico della decisione, allo scopo di consentire alla parte, prima, ed al giudice dell'impugnazione, poi, di eseguire la valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattualeconformità dell'atto alle regole che lo governano. (Cass. 6192/08) A tal fine è necessario, ai motivi personali in primo luogo, che la sentenza contenga una "concisa esposizione" (art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), costituita da un'esposizione minima degli argomenti che permettano di ricostruire il procedimento logico - giuridico seguito per pervenire ad una determinata conclusione e degli elementi di fatto che la fondano (ex plurimis Cass., n. 5434/03; Cass. n. 10484/01). Inoltre, la sentenza di secondo grado deve esplicitare gli elementi imprescindibili a rendere chiaro il percorso argomentativo che fonda la decisione (Cass., SS.UU. n. 10892/01). Nella specie, la pronuncia non si sottrae alle censure svolte dalla ricorrente. La Corte d'appello, dopo avere dato atto delle censure avanzate da Ifitalia alla sentenza di primo grado osserva che "agli scopi più diretti di causa basterà qui tornare a sottolineare che xxxx tipologia contrattuale comporta la cessione da parte di un imprenditore del propri crediti mercantili a breve termine all'operatore specializzato, il quale si assume, a fronte di un compenso, l'obbligo di curarne appunto la gestione e l'incasso ed insieme di finanziare quel cedente mediante lo smobilizzo delle partite in carico, da attuarsi attraverso anticipi ragguagliati in una certa misura percentuale al valore nominate del crediti. Nello svolgimento del quali compiti il factor viene dunque ad operare alla stregua, prevalentemente, di un negozio di mandato: una causa del rapporto contrattuale in oggetto che vale a rendere nella specie inapplicabile la legge, qui invocatasi dalla difesa appellante, n. 52/1991 sulla cessione dei crediti d'impresa, e del resto - pare senz'altro significativo - nemmeno richiamata net testo dell'accordo stipulato nel luglio 1995brattandosi di una disciplina che si rapporta piuttosto alto schema categoriale più specifico, e però anche delimitato, della compravendita. La pluralità delle partifunzioni cui viene invece ad adempiere il factor cessionario con la complessa articolazione del suo intervento, ove solo si pensi alla gestione del portafoglio crediti nonchè anche il grado di intrinseca onerosità valgono, d'altra parte a evidenziarne una saliente alterità rispetto alle attività di smobilizzo del crediti commerciali d'ordinario esercitate da altri intermediari, e per lo più di matrice bancaria, quali sono i soggetti operanti, vale a dire, nel c.d. Quest'ultima appare commercial finaticing - in primo luogo fra questi, appunto, gli enti creditizi". Tale motivazione non risulta conforme ai principi dianzi enunciati. Come detto, questa Corte ha ripetutamente affermato che la qualificazione giuridica del negozio di factoring deve essere effettuata in base ad una censura autonoma analisi della effettiva volontà delle parti fondata su un esame delle clausole contrattuali. Nel caso di specie, invece, la Corte d'appello, afferma in via di principio che andava sussunta il contratto di factoring è di regola equiparabile ad un contratto di mandato senza che in nessuna parte della sentenza siano stati indicati, sia pure sommariamente, il contenuto del contratto e le clausole del medesimo (eccetto il riferimento all'art. 15, di cui si dirà di seguito); circostanza che, di per sè, già pone in luce la carenza espositiva della motivazione, in quanto la conclusione cui perviene la pronuncia risulta del tutto avulsa dalle risultanze processuali e non comprensibile in riferimento al contenuto concreto del negozio ed alle ragioni che, sulla scorta appunto delle pattuizioni contrattuali, hanno fondato la conclusione. L'affermazione in esame, apoditticamente resa, inoltre contrasta con altro principio affermato da questa Corte secondo cui il nucleo essenziale del contratto di factoring è costituito dal l'obbligo assunto da un imprenditore (cedente o fornitore) di cedere ad altro imprenditore (factor) la titolarità dei crediti derivati o derivandi dall'esercizio della sua impresa (Cass. 24.6.2003, n. 10004; Cass. 27.8.2004, n. 17116; Cass. 2746/07). In tale contesto il factor può acquistare i crediti "pro soluto" (assumendosi il rischio dell'insolvenza dei debitori) o "pro solvendo" (in questo caso saranno accreditate all'imprenditore le sole somme recuperate). Lo strumento formale adoperato è l'istituto della cessione dei crediti regolato dall'art. 1260 c.c. e ss. (Cass. 2746/07). Dalla affermazione di tali principi si evince con tutta evidenza che il contratto di factoring comporta,di regola, la cessione della titolarità dei crediti ed è basato quindi su una ratio vendendi sia pure collegata con una serie di servizi accessori. Da ciò consegue che nel caso in cui questi ultimi acquisitino una prevalenza rispetto alla causa naturale del negozio sino a trasformarlo in un mandato, occorre fornire da parte del giudice una adeguata motivazione in tal senso motivazione che nel caso di specie è del tutto carente. A parte, infatti, l'apodittica affermazione di cui si è finora discusso, Punica motivazione contenuta nella sentenza si riferisce alla clausola relativa al conto di dare ed avere tra le parti contenuta nell'art. 15 del contratto. A tale proposito la sentenza impugnata rileva che "l'art. 15 delle menzionate Condizioni generali prevedesse che il corrispettivo del erediti di cessione fosse volta a volta annotato a credito del cedente all'atto dell'accettazione da parte del factor ma venendo poi reso disponibile per il cedente stesso, ed ancorchè solo ad avvenuta riscossione del crediti medesimi: con il che dunque i pagamenti in oggetto, e - ripetesi - pur sotto condizione dell'incasso, diventavano infine a quello disponibili, in quanto susseguentemente computati in deduzione dal debito maturato verso il cessionario per le anticipazioni erogatene. E così, di là dalle indubitate partieolarità proprie dell'accordo sovraordinato all'apposito conto unitario su cui il faci or, a norma dell'art. 15 succitato procedeva, da un lato, ad annotare il corrispettivo del crediti di cessione a vantaggio del fornitore, e dall'altro per converso a registrare a suo debito il corrispettivo anticipato, gli interessi maturati, nonchè quant'altro ancora ad esso dovutone, il globale contesto pattizio in esame doveva e deve ravvisarsi incentrato, come in precedenza rilevato, su di un incarico di mandato, qualificato nel senso della gestione di un monte - crediti, piuttosto che su di una cessione a titolo derivativo - traslativo, quanto a dire avente un'efficacia compiuta e definitiva. Le cessioni di credito in parola, quindi, in luogo di denotarsi come generate da una causa contrattuale commutativa, manifestano invece un costitutivo loro carattere strumentale, mirando esse, più essenzialmente, a dotare il factor di una titolarità formale, ovvero della legittimazione occorrente per l'esercizio del diritti inerenti verso i terzi con la violazione finalità di dare concreta esecuzione al compito gestionale assuntosi, ed a provvederlo insieme della norma garanzia del compenso spettantegli per le attività esplicate a vantaggio dell'imprenditore, ivi compresa quella precipuamente connotativa del suo finanziamento: e dunque anche al fine dette restituzioni conseguenti". In definitiva dunque la natura di mandato del contratto intercorso tra le parti è desunta dal regolamento dei rapporti di dare ed avere tra le parti sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente base di un conto che la sentenza definirà poi equiparabile ad un conto corrente bancario. Il giudice di seconde cure non ha però in alcun modo tenuto conto di diverse altre clausole contrattuali che, se esaminate avrebbero potuto, in ipotesi, portare anche alla diversa conclusione secondo cui la cessione dei crediti era avvenuta con autonomo motivo di il trasferimento in proprietà degli stessi. In particolare, come sostenuto nel ricorso, il terzo) e la Corte d'appello non sotto quella della interpretazione ha tenuto conto dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio seguenti articoli citati nel ricorso con la trascrizione integrale del testo in osservanza del principio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattoautosufficienza.

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Motivi della decisione. 1. Con Il primo motivo censura la violazione degli artt. 342, 112 e 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, lamentando che la Corte distrettuale abbia ritenuto inammissibile il primo motivo di ricorso appello, benché l'appellante avesse argomentato le proprie tesi sostenendo che il Tribunale aveva ordinato la ricostituzione della servitù con la larghezza originaria del tracciato, trascurando che tale statuizione non poteva essere eseguita, poiché la ricorrente sostiene aveva alienato il fondo servente in corso di giudizio. Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 111 e 342 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza dichiarato inammissibile il primo motivo di impugnazione non considerando che la corte d'appello avrebbe violato ricorrente aveva contestato specificamente che la pronuncia di primo grado aveva accordato alle controparti una tutela obbligatoria, condannandola ad un facere insuscettibile di attuazione, data l'intervenuta alienazione dei fondo gravato, e per aver mal applicato l'art. 111 c.p.c., avendo ritenuto che, a seguito della vendita del fondo servente, fosse possibile condannare l'alienante ad un facere riguardante il bene venduto. I due motivi, che necessitano di esame congiunto, sono fondati. La ricorrente aveva denunciato in appello che la sentenza di primo grado, nel porre a carico dell'appellante l'obbligo di procurare la costituzione della servitù con una larghezza costante di metri sei, le norme sull'interpretazione del contratto laddoveaveva imposto un obbligo incoercibile o non eseguibile spontaneamente, nell'interpretare la clausola contenuta nell'artpoichè il fondo servente era stato alienato a terzi. 7 del contratto di locazione Le censura trascritta in ricorso (che opportunamente riproducecfr. pag. 13), sottoponeva - quindi al giudice del gravame, sia pure con argomentazioni succinte, un quesito specifico concernente la portata del decisum, la sua coerenza rispetto alla natura della domanda proposta dai Be. e, soprattutto, gli effetti derivanti dalla cessione del fondo servente nella pendenza del giudizio, evidenziando le ragioni di dissenso rispetto alla pronuncia del Tribunale, che sul punto si era espresso in poche righe, soffermandosi esclusivamente sull'opponibilità della pronuncia nei confronti dell'acquirente del fondo. La Corte distrettuale ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali l'appellante si fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto limitato a riproporre le medesime argomentazioni già disattese in locazione primo grado ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia ha giudicato inammissibile la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del localecensura. Il motivo di ricorso appello era tuttavia - come si è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione detto - sufficientemente specifico e rispondeva ai requisiti previsti dal disposto dell'art. 1362 c.c.342 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, abbia fatto uso art. 54, comma 1, lett. 0a)). Nel giudizio di appello la cognizione del solo criterio giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall'appellante attraverso l'enunciazione di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale specifici motivi. Tale requisito esige che, non avendo alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell'appellante, dirette ad incrinare il ricorrente prodotto rumori molestifondamento logico-giuridico delle prime con sufficiente grado di specificità, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo correlare con la motivazione violazioni della sentenza impugnata (Xxxx. 10401/2001; Cass. S.U. 28498/2005; Cass. s.u. 16/2000; Cass. 3805/1998; Cass. 8297/1997), ma ciò è possibile anche mediante la deduzione delle regole medesime ragioni addotte nel giudizio di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxxprimo grado, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte purchè, come è accaduto nel caso di legittimitàspecie, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto percepire con certezza il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione contenuto delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa censure (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010s.u. 28057/2008). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.

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Motivi della decisione. 1In quanto proposte contro la stessa sentenza, le due impugnazioni vanno riunite in un solo processo, in applicazione dell'art. 335 c.p.c.. Con il primo motivo di addotto a sostegno del ricorso il ricorrente sostiene principale La Xxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxx lamentano che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione Corte di appello "ha applicato il disposto dell'art. 1478 c.c. anzichè quanto previsto dall'art. 1479 c.c.", pur se "al momento della sottoscrizione del contratto laddove, nell'interpretare preliminare di compravendita la clausola contenuta nell'art. 7 sig.ra Profeti Xxxxxxx non aveva messo a conoscenza i promittenti acquirenti che l'immobile fosse di proprietà di altri" e in tali casi "è possibile per il compratore chiedere la risoluzione del contratto salvo che il venditore non abbia, nel frattempo, acquistato la proprietà della cosa", mentre "nella fattispecie ciò era tanto più importante perché esistevano, come è stato riconosciuto da tutti i testi, problemi di locazione (esercizio del diritto di prelazione da parte di terzi, con la conseguenza che opportunamente riproduce)i ricorrenti non avrebbero più avuto la garanzia da parte del loro originale contraddittore e promittente venditore". Secondo i ricorrenti principali, ha ritenuto che l'obbligo pertanto, Profeti Xxxxxxx avrebbe dovuto acquistare lei stessa l'immobile in questione e poi trasferirlo a loro, sicché legittimamente avevano rifiutato di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo farselo alienare direttamente dagli effettivi proprietari, per il tramite della stessa Profeti in veste di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione loro procuratrice. In ordine alle modalità di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari adempimento dell'obbligazione assunta dal promittente venditore di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingressouna cosa altrui, nella valutazione della gravità dell'inadempimentogiurisprudenza di legittimità è insorto un contrasto, per la cui composizione la causa è stata assegnata alle sezioni unite. In prevalenza, questa Corte si è orientata nel senso che la prestazione può essere eseguita, indifferentemente, acquistando il bene e ritrasmettendolo al promissario, oppure facendoglielo alienare direttamente dal reale proprietario, in quanto l'art. 1478 c.c. - relativo al contratto definitivo di vendita di cosa altrui, ma applicabile per analogia anche al preliminare - dispone che il venditore "è obbligato a procurarne l'acquisto al compratore", il che può ben avvenire anche facendo sì che il terzo, al motivo individuale del locatorequale il bene appartiene, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del localelo ceda egli stesso al promissario (v., tra le più recenti, Xxxx. Il motivo di ricorso è inammissibile6 ottobre 2000 n. 13330, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto23 febbraio 2001 n. 2656, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre27 novembre 2001 n. 15035, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito5 novembre 2004 n. 21179, in violazione dell'art. 1362 c.c24 novembre 2005 n. 24782)., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.

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Motivi della decisione. 1Tanto premesso, preliminarmente rileva il giudicante l'assenza del requisito della attualità della dedotta condotta antisindacale per gli anni scolastici 1998-2002, considerato il lungo tempo trascorso tra la condotta denunciata e il deposito del ricorso. Con Tale considerazione induce a ritenere assorbite le ulteriori eccezioni di inammissibilità sollevate dalla resistente ed innanzi riportate. Quanto, invece, alla condotta denunciata con riferimento all'anno scolastico in corso, si rileva che il primo motivo ricorso è fondato e deve essere accolto. L'art.3 del CCNL del Comparto scuola 2002/2005 prevede che il sistema di ricorso relazioni industriali si articola, tra l'altro, nel modello relazionale della contrattazione collettiva che si svolge a livello integrativo nazionale, regionale e a livello di istituzione scolastica, con le modalità, i tempi e le materie articolate agli artt. 4 e 6 . (Omissis) Per valutare il merito della controversia, pertanto, occorre verificare, alla luce delle vicende di fatto illustrate dalle parti, se ed in che misura il resistente ha rispettato gli obblighi previsti dalla contrattazione collettiva in tema di relazioni sindacali. Xxxxxx, l'esame delle dichiarazioni rese dalle parti e della documentazione acquisita consente di affermare che nella specie il dirigente scolastico della scuola ….. non ha osservato le disposizioni contrattuali in tema di contrattazione integrativa d'istituto. Ed invero, a fronte delle reiterate richieste, inoltrate anche a mezzo del difensore del ricorrente sostiene e documentate in atti, detto dirigente non ha mai convocato al tavolo delle trattative il rappresentante territoriale dell'O.S. ricorrente, né ha formulato la proposta contrattuale che, ex art. 6 citato, avrebbe dovuto essere fatta entro termini congrui con l'inizio dell'anno scolastico. (Omissis) Alla luce degli elementi di fatto testè evidenziati emerge dunque che il dirigente, anziché avviare le trattative con l'O.S. ricorrente e, conseguentemente, negoziare su tutte le materie indicate dal 2° comma dell'art 6 del CCNL, onde poi formulare la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione proposta contrattuale da sottoporre all'approvazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce)sindacato, ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo "saltare" la fase delle trattative o, meglio, di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare trattare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, materie di cui all'art. 1362 c.c6 esclusivamente con gli RSU -in violazione dell'art. 7 del CCNL, che individua le delegazioni trattanti a livello di istituzione scolastica, nelle RSU e seggnei rappresentanti territoriali delle XX.XX. o firmatarie del CCNL-, formulando all'esito la proposta contrattuale. Detto comportamento ha indotto quindi l'estromissione del ricorrente dalle trattative, posto che la successiva sottoposizione ad esso della proposta contrattuale, per l'approvazione, certamente ha escluso, per il ricorrente, la possibilità di motivazione inadeguataessere parte attiva del processo formativo dell'accordo sindacale; ha escluso, ovverosia non idonea praticamente, la possibilità del sindacato di negoziare preventivamente le forme di tutela dei diritti del personale scolastico, nonché dei diritti sindacali di cui al punto f) dell'art. 6 del CCNL, venendo informato preventivamente sulle modalità ed i tempi di gestione della scuola e della ripartizione delle risorse economiche del dirigente, nonché di negoziare le forme di prevenzione della conflittualità delle relazioni sindacali. La condotta della resistente assume, a consentire parere del giudicante, il carattere della antisindacalità in quanto in aperta violazione dei diritti all'informazione e di contrattazione che il CCNL della scuola riconosce alle XX.XX. Ed invero, la ricostruzione dell'"iter" logico seguito finalità dell'incontro tra le parti sociali è quella di contemperare una serie di interessi giuridicamente rilevanti, al fine di migliorare le condizioni di lavoro e la professionalità dei dipendenti e nel contempo mantenere elevata l'efficacia e l'efficienza dei servizi per giungere alla decisionela collettività. L'art. 6 del CCNL, come visto innanzi, garantisce l'attivazione dell'informazione, della consultazione e della contrattazione in una serie di materie. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre posto che l'attività del sindacato non si esaurisce solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenutisul posto di lavoro, ma occorresi estende a tutti quei casi nei quali la contrattazione riconosce al sindacato posizioni partecipative dei processi decisionali, altresìne deriva che ogniqualvolta il datore di lavoro elude tale prerogativa, precisare rendendo di fatto nullo il ruolo del sindacato nella fase di informativa e di consultazione, sussiste la condotta antisindacale (nello stesso senso, Trib. Avellino, decreto del 28.6.2003). In giurisprudenza, comunque, è pacifico l'orientamento che afferma la antisindacalità della condotta datoriale in qual modo caso di violazione di disposizioni, di legge o contrattuali, che riconoscono al sindacato il diritto di informazione e con quali considerazioni di consultazione (cfr., X. Xxxx, 00-00-0000, Xxx. Xxxxxx, 13-03-2001, Trib. Pistoia, 29-02-2000 ). (Omissis) Il mancato rispetto del ruolo del sindacato concordato in sede di contrattazione costituisce certamente condotta antisindacale in quanto mette in discussione la credibilità e l'immagine del sindacato, vanificandone l'azione e sminuendo il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo ruolo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolvaagente contrattuale soprattutto agli occhi dei lavoratori che, in realtàtal caso, nella proposta ben possono ritenere di una interpretazione diversa (non essere validamente rappresentati. L'esclusione del ricorrente dalla trattativa e dalla consultazione, considerata anche l'importanza degli argomenti da trattare, appare anche in questo senso Casscontrasto con i principi di buona fede e correttezza in quanto altera le regole del confronto sindacale stabilite in sede di contrattazione, dando luogo ad atteggiamenti di negazione del ruolo svolto dalle XX.XX., Non v'è dubbio che tale atteggiamento toglie credibilità al ricorrente, il quale si è visto spogliato della sua effettiva rappresentatività in seguito al disconoscimento del ruolo dialettico e di potere contrattuale. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche Quanto alla intenzionalità della condotta, basta osservare che la corte abbia mal motivato il più recente giurisprudenza, cui questo Xxxxxxx ritiene di aderire, esclude la necessità della dimostrazione della intenzionalità della condotta datoriale ai fini della qualificazione della antisindacalità; sul punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, si è pronunciata la Suprema Corte a Sezione Unite (sent.n. 5295 del 12.6.1997) affermando che " ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattualeantisindacalità della condotta datoriale è sufficiente che il giudice accerti che il comportamento del datore di lavoro abbia oggettivamente leso la libertà sindacale o il diritto di sciopero, ai motivi personali di non essendo necessario (ma nemmeno sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte dell'imprenditore" (conf. Cass. 00.0.0000 x.0000; id. n. 1600 del 16 .2.1998). Sussiste nella specie anche l'attualità della condotta. Ed invero, l'attualità della condotta antisindacale, che costituisce presupposto necessario per l'esperibilità dell'azione ex art. 28 l. 20 maggio 1970 n. 300, in quanto diretta ad una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) pronunzia costitutiva e non sotto quella di mero accertamento, non è esclusa dall'esaurirsi della interpretazione dei contrattisingola azione sindacale del datore di lavoro, rispetto ove il comportamento illegittimo di questi risulti tuttora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, tale da determinare una restrizione o un ostacolo al libero svolgimento dell'attività sindacale (in tal senso, Cass., sez. lav., 02-06-1998, n. 5422). (Omissis) Conseguentemente, va ordinata alla quale resistente la immediata cessazione della condotta antisindacale di cui sopra, con il conseguente ordine, per rimuoverne gli effetti, di convocare formalmente il ricorrente per le trattative inerenti le materie di cui all'art. 6 del CCNL per il corrente anno scolastico entro e non costituisce un'unica censura; oltre il denunciato vizio termine di motivazione manca poi totalmente gg. 10 dalla comunicazione della presente ordinanza e di formulare la conseguente proposta contrattuale entro i successivi 10 giorni decorrenti dalla riunione fissata entro il termine che precede. Le spese seguono la soccombenza P. Q. M. Accoglie in parte il ricorso ex art. 28 L. n. 300/70 proposto dalla ……O.S., in persona del necessario punto di sintesi in fatto.segretario provinciale sig. ….., nei confronti del Dirigente e, per l'effetto, così provvede:

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Motivi della decisione. 1Nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. Con n. 415 del 1996, art. 18; D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23; artt. 1326, 1350 e 1418 cod. civ. per non avere la Corte d'Appello dichiarato la nullità del contratto di quadro in quanto non sottoscritto da entrambi i contraenti. Secondo le parti ricorrenti la disciplina normativa applicabile ratione temporis è il D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 18 che contiene la previsione dell'obbligo della forma scritta. La norma è stata sostanzialmente nel successivo art. 23. Alla luce di questo univoco quadro normativo di riferimento deve ritenersi che la dichiarazione scritta unilaterale pur se ricognitiva di una sola delle parti del rapporto non è idonea ad integrare il requisito di validità richiesto dalla legge. Rispetto a tale preciso obbligo di forma risulta irrilevante la previsione contrattuale relativa allo scambio dei documenti contrattuali sottoscritti unilateralmente dall'altra parte e che il rapporto scaturente dal contratto quadro abbia avuto ampia esecuzione. Ciò che manca è, infatti, la conoscenza o conoscibilità per iscritto del contenuto della dichiarazione negoziale sottoscritta e fatta propria dalla banca. Precisano le parti ricorrenti che la funzione dell'obbligo della forma scritta non si esaurisce nella tutela della trasparenza, come affermato nella sentenza impugnata, ma risponde all'esigenza di dotare una disposizione di volontà di particolare rilievo economico della necessaria certezza e ponderazione che solo la forma scritta può assicurare. Oltre all'assolvimento degli obblighi informativi cui deve conformarsi la condotta dell'intermediario vi è un contenuto minimo del contratto quadro desumibile dagli elementi indicati nell'art. 30 del Regolamento Consob che viene garantito con l'obbligo di redazione del testo per iscritto contenuto anche nelle norme in vigore anteriormente all'art. 23. Infine sottolinea la parte ricorrente che la corte d'Xxxxxxx ha escluso che si possa far valere la nullità del contratto quadro solo rispetto ad alcuni ordini e non dell'intero rapporto. L'uso selettivo della nullità è coerente con il peculiare regime giuridico delle nullità di protezione. L'investitore che non può interferire nella formazione del contratto a causa dell'asimmetria negoziale che ne costituisce una delle principali caratteristiche, è libero di decidere di avvalersi dell'eccezione di nullità e di limitarne gli effetti restitutori senza travolgere per intero gli investimenti eseguiti. Nel secondo motivo viene dedotto il vizio di omessa pronuncia ed in subordine di violazione di legge in ordine all'invocata nullità di quattro ordini perchè non redatti per iscritto. Nel terzo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di omessa pronuncia ed in subordine di violazione di legge per non avere la Corte d'Appello considerato che la forma scritta per la redazione dei singoli ordini era anche imposta dal contratto quadro (art. 2 proposta del contratto di negoziazione) in quanto gli investimenti avevano ad oggetto prodotti negoziati fuori dei mercati regolamentati. Nel quarto e quinto motivo viene censurata sia sotto il profilo del vizio di motivazione che sotto il profilo dell'omessa pronuncia e della violazione di legge l'illegittima esclusione degli ordini relativi agli investimenti eseguiti nel 1997/98, trattandosi di 19 operazioni che per dimensioni ed entità del rischio dovevano ritenersi inadeguate. Nel sesto motivo viene censurata sotto il profilo della violazione degli artt. 1123, 1224 e 1226 cod. civ. la illegittima decorrenza della rivalutazione monetaria dalla messa in mora e non dall'inadempimento da identificarsi nel momento del default. Nel settimo motivo viene svolta analoga censura con riferimento alla quantificazione del danno da lucro cessante in misura pari all'1% sulla somma via via rivalutata, e non invece in misura pari al tasso medio dei titoli di stato o degli interessi legali, dovendosi applicare il criterio del cumulo d'interessi e rivalutazione. Nel primo motivo di ricorso incidentale viene dedotto il ricorrente sostiene vizio d'insufficiente motivazione riscontrato nella sentenza impugnata in ordine al nesso causale tra gli inadempimenti addebitati alla banca e il danno dubito dai ricorrenti, non essendo stata considerata l'elevata propensione al rischio e gli intenti speculativi degli investitori reiteratamente sottolineati dalla parte controricorrente nel giudizio di merito e riconosciuti dai ricorrenti medesimi nel profilo di rischio del 2001. Nel secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 1223, 1224 e 1226 cod. civ. per non avere la Corte d'Appello fissato la decorrenza degli interessi riconosciuti a titolo di lucro cessante dalla data di deposito della sentenza, secondo i principi stabiliti dalle S.U. nella pronuncia n. 26008 del 2008. La questione formante oggetto del primo motivo è stata affrontata in una recentissima pronuncia di questa Corte (Cass. n. 5919 del 2016) con orientamento pienamente condivisibile così illustrato: "Il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, così come il precedente D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 18 stabilisce che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento debbano essere redatti per iscritto a pena di nullità, ma già la corte d'appello avrebbe violato le L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6, lett. c), secondo quanto più volte ribadito da questa Corte, poneva il medesimo requisito di forma per la stipulazione del "contratto quadro" (Xxxx. 7 settembre 2001, n. 11495; Cass. 9 gennaio 2004, n. 111; Cass. 19 maggio 2005, n 10598). La univocità e la continuità interpretativa delle norme sull'interpretazione che si sono succedute in ordine alla qualificazione giuridica dell'obbligo di forma scritta, facilitano l'esame della censura e rendono irrilevante l'individuazione applicabile a tutto il rapporto, al suo momento genetico, al suo sviluppo attuativo. L'obbligo in questione, dettato, secondo la prevalente opinione, a fini protettivi dell'investitore (Xxxx. 22 marzo 2013, n. 7283), non è incompatibile con la formazione del contratto laddoveattraverso lo scambio di due documenti, nell'interpretare entrambi del medesimo tenore, ciascuno sottoscritto dall'altro contraente. Non v'è difatti ragione di discostarsi dall'insegnamento più volte ribadito, secondo cui il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti sono contenute in documenti distinti, purchè risulti il collegamento inscindibile del secondo documento al primo, "sì da evidenziare inequivocabilmente la clausola contenuta nell'artformazione dell'accordo" (Xxxx. 13 febbraio 2007, n. 3088; Cass. 18 luglio 1997, n. 6629; Cass. 4 maggio 1995, n. 4856). Ne consegue che vertendosi in tema di forma scritta sotto pena di nullità, in caso di formazione dell'accordo mediante lo scambio di distinte scritture inscindibilmente collegate, il requisito della forma scritta ad substantiam in tanto è soddisfatto, in quanto entrambe le scritture, e le corrispondenti dichiarazioni negoziali, l'una quale proposta e l'altra quale accettazione, siano formalizzate. E, insorta sul punto controversia, vale la regola generale secondo cui, con riguardo ai contratti per i quali la legge prescrive la forma scritta a pena di nullità, la loro esistenza richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura (Cass. 14 dicembre 2009, n. 26174). La stipulazione del contratto non può viceversa essere desunta, per via indiretta, in mancanza della scrittura, da una dichiarazione quale quella nella specie sottoscritta dall'investitore: "Prendiamo atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi". La verifica del requisito della forma scritta ad substantiam si sposta sul piano della prova, ove trova applicazione la disposizione dettata dal codice civile che consente di supplire alla mancanza dell'atto scritto nel solo caso previsto dall'art. 2725 x.x., xxxxx 0, xxx xxxxxxxx x'xxx. 0000 x.x., x. 0: in base al combinato disposto di tali norme, la prova per testimoni di un contratto per la cui stipulazione è richiesta la forma scritta ad substantiam, è consentita solamente nell'ipotesi in cui il contraente abbia perso senza sua colpa il documento che gli forniva la prova del contratto. E la preclusione della prova per testimoni opera parimenti per la prova per presunzioni ai sensi dell'art. 2729 c.c. nonchè per il giuramento ai sensi dell'art. 2739 c.c.. Interdetta è altresì la confessione (Xxxx. 2 gennaio 1997, n. 2; Cass. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce)giugno 1985, ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di meriton. 3435) quale, in violazione dell'artdefinitiva, sarebbe la presa d'atto, da parte della M., della consegna dell'omologo documento sottoscritto dalla banca. 1362 D'altronde, la consolidata giurisprudenza di questa Corte esclude l'equiparazione alla "perdita", di cui parla l'art. 2724 c.c., della consegna del documento alla controparte contrattuale. Nell'ipotesi prevista dalla norma, difatti, il contraente che è in possesso del documento ne rimane privo per cause a lui non imputabili: il che è il contrario di quanto avviene nel caso della volontaria consegna dell'atto, tanto più in un caso come quello in discorso, in cui non è agevole comprendere cosa abbia fatto uso mai potuto impedire alla banca, che ha predisposto la modulistica impiegata per l'operazione, di redigere il "contratto quadro" in doppio originale sottoscritto da entrambi i contraenti. E' stato al riguardo più volte ripetuto che, in tema di contratti per cui è prevista la forma scritta ad substantiam, nel caso in cui un contraente non sia in possesso del solo criterio di interpretazione letterale documento contrattuale per averlo consegnato all'altro contraente, non si può fornire la prova del contratto senza integrarlo con il criterio logico avvalendosi della prova testimoniale, xxxxxx non si verte in un'ipotesi di perdita incolpevole del documento ai sensi dell'art. 2724 c.c., n. 3, bensì di impossibilità di procurarsi la prova del contratto ai sensi del precedente n. 2 di tale articolo (Xxxx. 26 marzo 1994, n. 2951; Cass. 19 aprile 1996, n. 3722; Cass. 23 dicembre 2011, n. 28639, la quale ha precisato che l'esclusione della prova testimoniale opera anche al limitato fine della preliminare dimostrazione dell'esistenza del documento, necessaria per ottenere un ordine di esibizione da parte del giudice ai sensi dell'art. 210 c.p.c.; per completezza occorre dire che c'è un precedente di segno diverso, Xxxx. 29 dicembre 1964, n. 2974, ma si tratta di un'affermazione assai remota, isolata e cioè non abbia posto per di più concernente una fattispecie in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazioneparte diversa). Resta allora da chiedersi se la validità del "contratto quadro" possa essere ricollegata alla produzione in giudizio da parte sua del medesimo documento ovvero a comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca e documentati per iscritto. I ricorrenti hanno più volte richiamato, in modo tale cheproposito, non avendo il ricorrente prodotto rumori molestinel ricorso per cassazione, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo l'autorità di eseguire le opere di insonorizzazioneXxxx. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale22 marzo 2012, non contenendo n. 4564 (massimata ad altro riguardo) nella quale si trova affermato, con riguardo ad una vicenda simile, pure involgente la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione stipulazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito contratto bancario da redigersi per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.iscritto:

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Motivi della decisione. 1Col ricorso, la difesa di L.C.G., dopo aver riassunto i fatti di causa rilevanti ai fini della decisione, ha richiamato il contenuto del D.Lgs. Con n. 165 del 2001, art. 63, che attribuisce alla giurisdizione ordinaria le controversie inerenti il primo motivo diritto all'assunzione e a quella amministrativa quelle relative alle procedure concorsuali di ricorso assunzione, comprensive queste ultime, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche di quelle di cui sono destinatari soggetti già dipendenti dalla P.A., quando riguardino l'attribuzione di un inquadramento superiore e qualitativamente diverso dal precedente. Ciò posto, il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione lamenta il travisamento da parte della Corte territoriale del contratto laddovepetitum sostanziale proposto in giudizio, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 chiaramente attinente alla richiesta di accertamento del suo diritto alla trasformazione del contratto di locazione (che opportunamente riproduce)formazione e lavoro in contratto a tempo indeterminato, ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninotecaragione della illegittimità della reiterata proroga dello stesso, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia contrastante sia con la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 disciplina del contratto di locazione riproponendone formazione e lavoro che con quella, comunitaria e interna, relativa al contratto di lavoro subordinato a tempo determinato. Viceversa, la propria interpretazioneCorte d'appello aveva erroneamente interpretato la domanda come diretta principalmente all'ammissione al concorso interno per il passaggio dall'area B all'area C indetto dall'INAIL tra i dipendenti a tempo indeterminato inquadrati nella prima area, che viceversa, nell'economia del giudizio promosso, rappresentava la mera conseguenza della eventuale trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro. Il ricorrente lamenta che il ricorso è parzialmente fondato. A norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario "tutte le controversie relative ai rapporti di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni lavoro alle dipendenze delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1362 c.c1, comma 2... incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro..." (primo comma), ma "restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni". e seggIn proposito, questa Corte ha precisato che "alla devoluzione al giudice ordinario di tutta la materia del lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni deve riconoscersi carattere generale - rilevando a tal fine la sola inerenza della controversia al rapporto di lavoro - a fronte della quale le disposizioni che prevedono il perpetuarsi, nella materia, della giurisdizione del giudice amministrativo rivestono portata limitata ed eccezionale" (cfr. o Cass. S.U. 3 febbraio 2004 n. 1989). Con riguardo all'eccezione rappresentata dalle controversie in materia di motivazione inadeguataprocedure concorsuali per l'assunzione, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito è ormai consolidato, anche in conseguenza della giurisprudenza costituzionale nella materia (cfr., per giungere tutte, Corte costituzionale 4 gennaio 2001 n. 2), l'orientamento di queste sezioni unite nel senso che appartengono alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre giurisdizione del giudice amministrativo non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenutile procedure finalizzate alla costituzione per la prima volta del rapporto di lavoro con la P.A., ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni anche quelle promosse per il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche passaggio ad una area o del vizio di motivazione e si risolvafascia funzionale superiore, in realtàvirtù del combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, nella proposta di una interpretazione diversa art. 35, comma 1, e art. 52, comma 1, (in questo senso cfr., ad es., Cass. S.U. 15 ottobre 2003 n. 10554 del 201015403 o 12 novembre 2007 n. 23439 o 15 ottobre 2008 n. 25173). All'interno Facendo applicazione di tali regole e a parte la possibile confusione indotta dalla impropria evocazione da parte del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche di procedure di stabilizzazione nel posto di lavoro in realtà in alcun modo attivate nel caso in esame, deve rilevarsi che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di L.C. G. ha promosso nel presente giudizio una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.duplice domanda:

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Motivi della decisione. 1In xxx xxxxxxxxxxx xx osservato che in relazione al mancato accoglimento della domanda risarcitoria di [Xxxxxxx] per i pretesi danni patiti a causa delle omesse informazioni di [Factor] sui mancati pagamenti del debitore ceduto Farmacia (omissis), [Cedente] non ha proposto appello incidentale, ma il giudicato formatosi sul rigetto della domanda non produce certamente le conseguenze che vorrebbe trarne l’appellante [Factor], la quale ritiene che la sua controparte sia “decaduta dalla garanzia con riferimento al predetto debitore con il conseguente obbligo …di restituire ad [Factor] le anticipazioni nella misura …di Euro 220.000, non avendo titolo per trattenerli”. Il giudicato sul rigetto della domanda risarcitoria non ha, infatti, altro effetto che di impedire a [Cedente] di richiedere il risarcimento per i danni che affermava di aver patito a causa della mancata informazione sull’inadempimento della Farmacia (omissis) da parte di [Factor]: la questione della “decadenza” dalla garanzia “pro soluto” in relazione a tale debitore ceduto e del conseguente obbligo di restituire le anticipazioni non è affatto collegata a tale rigetto, essendo questione del tutto diversa che deve essere decisa in questa sede, unitamente alle questioni analoghe riguardanti gli altri debitori ceduti, costituendo appunto oggetto dell’appello principale sul rigetto della domanda di accertamento e restituzione formulata da [Factor]. I suddetti motivi vengono illustrati solo per ragioni di completezza in ordine al rilievo svolto da [Factor] nella parte finale del “Riepilogo” della comparsa conclusionale, ove afferma che “invia del tutto subordinata, stante la mancata impugnazione incidentale da parte di [Cedente] riguardo la posizione del debitore (omissis), è comunque dovuto l’importo di Euro 220.000,00 anticipato per detto debitore”. – Con il primo motivo di ricorso appello [Factor] lamenta l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto irrilevante l’omessa comunicazione di insoluti pregressi dei debitori ceduti. Il Tribunale ha sostenuto che essendo il ricorrente sostiene Factor un soggetto che la corte d'appello avrebbe violato esercita professionalmente l’attività di cessionario di crediti “è tenuto ad acquisire autonomamente le norme sull'interpretazione necessarie informazioni per valutare il grado di solvibilità dei creditori ceduti” e che pertanto “si tratta di un onere di ricerca documentale, che con particolare riferimento ai debiti assunti dalla clientela del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 cedente in epoca anteriore al perfezionamento del contratto di locazione factoring grava sul factor che non può, invece, essere inopinatamente trasferito sul fornitore in base alla generica affermazione per cui il primo non è in grado di assumere cognizione della pregressa situazione economico finanziaria dei debitori ceduti esclusivamente sulla base di ufficiali informazioni tratte da banche dati di pubblico dominio.” L’appellante censura l’interpretazione del contratto data dal giudice di prime cure, rilevando che il dato letterale sarebbe inequivoco e che il giudice non potrebbe sostituire la sua opinione alle conseguenze volute dalle parti. Secondo [Factor] società appellata sarebbe venuta meno agli obblighi di informazione previsti dal contratto, ed in particolare al dovere di collaborazione di cui all’art. 7 delle Condizioni Generali, ai sensi del quale il Fornitore è tenuto a fornire “ogni notizia di rilievo circa la solvibilità dei debitori e in genere, ogni loro eccezione, pretesa, reclamo domanda giudiziale o stragiudiziale, nonché eventuali rapporti pregressi, ivi compresi ritardati pagamenti dei debitori e controversie in corso, anche non attinenti al rapporto commerciale” Secondo l’appellante l’omessa comunicazione di un insoluto pregresso costituisce, pertanto, violazione degli obblighi contrattuali, con le conseguenze di cui all’art. 7 dell’Appendice, che sanziona con “l’inefficacia ex tunc” della garanzia pro soluto l’inadempimento da parte del Fornitore “agli obblighi previsti dalle Condizioni Generali” così letteralmente statuendo: “Il rischio di mancato pagamento del debitore assunto dal Factor tornerà ad essere in carico del Fornitore nei seguenti casi, in qualsiasi momento riscontrati, in cui la garanzia del Factor si intenderà ex tunc inefficace di pieno diritto: Ritiene la Corte che il motivo sia infondato. Ai rilievi svolti in motivazione dal giudice di primo grado si può aggiungere il rilievo dell’assoluta genericità, idonea ad inficiarne la validità, della clausola invocata dall’appellante. La previsione, secondo la quale viene meno con effetto retroattivo l’Appendice con cui il Factor ha assunto su di sé il rischio dell’insolvenza del debitore se l’altra parte contrattuale (Fornitore) non adempia agli obblighi previsti dalle Condizioni Generali, senza la puntuale indicazione degli obblighi che opportunamente riproduce)le parti abbiano considerato così determinanti nel programma negoziale, ha ritenuto che l'obbligo può essere considerata nulla per indeterminatezza dell’oggetto, in adesione a quanto affermato dal S.C. In applicazione dei principi generali in tema di provvedere risoluzione per inadempimento si deve, pertanto, procedere, una volta esclusa la validità della clausola, alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimentodell’inadempimento e, al motivo individuale del locatore, che in considerazione di quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso si è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 già detto sulle caratteristiche del contratto di locazione riproponendone factoring e sulla effettiva riscossione dei crediti da parte del Factor durante la propria interpretazionevigenza del contratto, si può escludere che le omesse informazioni su parziali pregressi ritardi nei pagamenti da parte dei debitori ceduti costituiscano inadempimento grave del cedente agli effetti di cui all’art. Il ricorrente 1455 c.c. In punto di fatto si può comunque aggiungere che dai documenti prodotti emerge che prima delle cessioni erano state date comunicazioni relative all’esistenza di piani di rientro, chiaro indice di ritardi nei pagamenti (v. ad es. doc. 42 [Cedente], relativo al debitore Farmacia Cavaliere). Con il secondo motivo di appello [Factor] lamenta l’erronea valutazione della ritardata consegna della documentazione probatoria dei crediti. Anche per tale motivo, che si fonda sulla medesima clausola dell’Appendice esaminata in relazione al primo motivo (il Factor contesta al fornitore il ritardato adempimento dell’obbligo previsto dalle Condizioni Generali di fornire la documentazione probatoria del credito entro 30 giorni dalla richiesta, e ritiene che tale violazione giustifichi l’inefficacia ex tunc del “pro soluto” ex art. 7 dell’Appendice cit.), va rilevata la nullità della clausola invocata e va valutata in concreto la gravità dell’inadempimento. Come ha rilevato il giudice di meritoprimo grado sulla base dei documenti prodotti, con i debitori ceduti che ritardavano i pagamenti sono state avviate trattative che hanno coinvolto cedente, ceduto e cessionario (v. ad es. docc. 53 e 54 [Cedente]); il cessionario, odierna appellante, pur dopo aver richiesto la documentazione probatoria al cedente, ha poi atteso di verificare se i debitori ceduti rispettassero i piani di rientro concordati ed ha infine ricevuto la documentazione, richiesta nel settembre/ottobre2012, alla fine di gennaio 2013. Tale ricostruzione in violazione dell'artfatto non consente, come ha ritenuto la sentenza impugnata, di considerare il ritardato invio dei documenti probatori inadempimento grave ai fini dell’invocata “decadenza”, da qualificarsi come risoluzione dell’Appendice. 1362 c.c.Va infatti precisato che, abbia fatto uso indipendentemente dal nomen iuris che [Factor] ha inteso dare alla propria domanda (qualificata nelle conclusioni della comparsa di risposta del solo criterio primo grado come “decadenza dalla garanzia”), l’accertamento che [Factor] ha richiesto è un accertamento volto a privare di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo effetti retroattivamente, a seguito di inadempimenti della propria controparte, le pattuizioni negoziali contenute nell’Appendice con cui le parti hanno convenuto che il criterio logico Factor assumesse il rischio dell’insolvenza dei debitori ceduti: tale domanda è, pertanto, volta ad ottenere lo scioglimento da un vincolo contrattuale, e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazionela risoluzione, in modo tale che, non avendo per l’inadempimento addebitato alla controparte. Con il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del terzo motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che appello [Factor] censura la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per non aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto adeguatamente valutato la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo del principio di globalità delle cessioni. Anche tale motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattorisulta infondato.

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Motivi della decisione. 1Il primo motivo di ricorso, rubricato come "mandato all'Avvocato della Regione" si duole del fatto che la Corte di appello abbia ritenuto che l'ente era legittimato a valersi dell'avvocatura regionale, sebbene fosse stata varata un'apposita legge regionale. Con Parte ricorrente nega che l'ente sia dipendente della regione e espone che gli avvocati pubblici dipendenti non possono occuparsi degli affari di altro ente e che la "leggina" regionale 1/2004 avrebbe derogato a tale principio, che deriverebbe dalla normativa nazionale sull'esercizio della professione forense. Il secondo motivo, intitolato "eccezione di incostituzionalità" espone che nelle conclusioni (da intendere la precisazione delle conclusioni in appello) il ricorrente aveva eccepito l'incostituzionalità della L.R. n. 1 del 2004, sotto i profili della riserva della materia alla legislazione statale e ai principi in materia di professione e di tutela della concorrenza, i quali porrebbero il "chiaro principio di "esclusività" della competenza dell'avvocato pubblico dipendente". Le censure non possono essere accolte. La sentenza impugnata ha rilevato che in ordine al mandato alle liti il ricorrente non aveva sollevato eccezione alcuna sul punto in prime cure, non essendovene traccia nè in sentenza di primo grado, "nè nei verbali, nè è formulato specifico gravame in appello". Questo rilievo non solo non è stato contraddetto, ma risulta confermato in ricorso dalla narrativa di pag. 2 e 3, ove si legge che in appello solo "nelle memorie successive" era stata "sollevata un'eccezione di nullità assoluta della difesa esercitata dall'Avvocato della regione". Nè è stata confutata la rilevanza giuridica di cui il rilievo era portatore. Ed invero, con riguardo al vizio processuale costituito dall'asserito difetto di procura in primo grado, il rilievo di tardività, ancorchè la Corte di appello abbia comunque esaminato nel merito la questione della legittimità dell'opera difensiva svolta in base a legge regionale vigente, rende inammissibile la doglianza in sede di legittimità. Il vizio attinente alla costituzione di parte convenuta in primo grado doveva essere fatto valere con tempestivo appello, poichè ai sensi dell'art. 161 c.p.c., i motivi di nullità delle sentenze soggette ad appello possono essere fatti valere soltanto con i mezzi di impugnazione. Tuttavia l'impugnazione sul punto non è stata proposta, come imponeva a pena di inammissibilità l'art. 345 c.p.c., con l'atto di appello, ma solo esposta in memorie successive e in conclusioni di appello. La validità della costituzione della convenuta, questione cui il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che sembra riferirsi - ed infatti la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione conclusione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'artmotivo ad inizio pag. 7 8 del contratto ricorso parla proprio di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti "convenuta" e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione anche di rumori molesti all'interno del locale condotto "appellata" - è rimasta quindi consolidata dalla mancata tempestiva impugnazione in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, appello; non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile può essere perciò ridiscussa in sede di legittimità. Nè, se si badi, il ricorso ha distinto dal precedente un profilo autonomo, relativo alla costituzione in appello della difesa dell'ente con avvocati regionali, non nell'ipotesi enucleato specificamente nei presupposti di violazione dei canoni legali fatto, nè articolato in relazione ai profili più strettamente processuali della questione o al rilievo in rito formulato dalla Corte di ermeneutica contrattuale, di cui all'artappello. 1362 c.c. La censura si è soffermata solo sulla legittimità della leggina regionale e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenutisulla sua incostituzionalità, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni termini tali da indurre il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità procuratore generale a concludere per la inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolvaperchè non espresso con "ordinata formulazione giuridica", come, in realtàdiversi termini, nella proposta eccepito anche dal controricorso. Restano conseguentemente ininfluenti i riferimenti delle memorie al fatto che sulla base della legge regionale l'ARPA sarebbe stata "rappresentata illegittimamente in ben due gradi di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche giudizio", riferimenti che la corte abbia mal motivato il punto non arrecano specificità alla censura iniziale, mirata sull'ormai non contestabile costituzione della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattoconvenuta.

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Motivi della decisione. 1. Con Va anzitutto sgombrato il primo motivo campo dall'eccezione, sollevata in limine dalla Società Cattolica di Assicurazione Coop. a r.l. e dalla Zurich Insurance PLC, di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza. Sostengono invero le resistenti che l'impugnazione violerebbe il ricorrente sostiene disposto dell'art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 6, posto che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione non sarebbe riportato il testo del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del localene sarebbe indicata l'esatta allocazione nel fascicolo processuale. Il motivo di rilievo non ha pregio. La preliminare verifica evocata dalle società assicuratrici è destinata ad avere esito positivo a condizione che il ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli contenga tutti gli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative necessari a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che porre il giudice di meritolegittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto nonchè di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle argomentazioni con le quali il decidente ha giustificato la scelta decisoria adottata. Nello specifico, il nodo problematico sul quale è stato sollecitato l'intervento nomofilattico delle sezioni unite, attiene alla validità di una clausola il cui contenuto è assolutamente pacifico tra le parti ed è comunque stato trascritto in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattualericorso, di cui all'arttalchè non avrebbe senso sanzionare con l'inammissibilità l'omissione delle indicazioni necessarie alla facile reperibilità del testo dell'intero contratto, considerato che nessun ausilio esso apporterebbe alla soluzione delle questioni poste dalla proposta impugnazione. 1362 c.c. e segg. o E' sufficiente all'uopo considerare che le deduzioni hinc et inde svolte a sostegno delle rispettive tesi difensive, omettono qualsivoglia riferimento a pattuizioni diverse da quella racchiusa nella clausola in contestazione, volta a circoscrivere, nei sensi che di motivazione inadeguataqui a poco si andranno a precisare, ovverosia non idonea a consentire l'obbligo della garante di manlevare la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattogarantita.

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Motivi della decisione. 1. Con il La Corte di appello, discostandosi dalle argomentazioni del primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 Giudice sul punto della mancanza dell'oggetto del contratto di locazione (che opportunamente riproduce)finanziaria, ha ritenuto evidenziato come - alla luce della clausola n. 2 delle cond. gen. di contratto di locazione finanziaria ("ove i beni siano determinati solo nel genere, la loro individuazione, agli effetti dell'art. 1378 cod. civ., si intenderà avvenuta solo con la messa a disposizione dei beni a favore dell'utilizzatore... la sottoscrizione da parte dell'utilizzatore della dichiarazione di accettazione dei beni costituirà a tutti gli effetti benestare al pagamento") e in considerazione della "dichiarazione di accettazione del bene e benestare al pagamento" sottoscritta dal V., con la quale l'utilizzatore comunicava d'aver ricevuto i beni oggetto della locazione finanziaria (individuandoli come "ecografo Thoshiba modello SSA-140 SHG, completo di monitor e carrello, sonda Convex da 3,75 MHz, sonda endovaginale da 6 MHZ, stampante colore Polaroid modello TX1100, stampante Sony b/n modello UP 890 collocati nell'immobile in Via (OMISSIS)" di proprietà dello stesso V.) - non fosse lecito dubitare dell'avvenuta individuazione dei beni e del conseguente trasferimento della proprietà degli stessi alla s.p.a. Centro Leasing. La Corte territoriale ha, altresì, precisato che l'obbligo - anche ad ipotizzare, in conformità a quanto affermato dal Tribunale che, per la mancata consegna e la mancata indicazione del numero di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilomatricola, ovvero per aver dato ingressodi fatti ed elementi identificativi dei beni, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 mancasse l'oggetto del contratto di locazione riproponendone finanziaria - non poteva con ciò negarsi che la propria interpretazionesuddetta dichiarazione fosse idonea a far ritenere alla Centro Leasing che era dovuto il pagamento della fornitura, con conseguente responsabilità del V., che, di conseguenza, era tenuto al risarcimento del danno, commisurato al controvalore dei beni, ovvero ai canoni insoluti, come richiesto con il decreto ingiuntivo. Il ricorrente lamenta che Ciò in quanto i raggiri dell' O., pur avendo determinato il giudice di meritoV. a sottoscrivere la dichiarazione, in violazione dell'artnon lo esoneravano dal comportarsi secondo buona fede ex art. 1362 1375 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale nell'esecuzione del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo la Centro Leasing, imponendogli di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazioneindirizzare alla concedente un documento non rispondente al vero e determinandola, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmentetal modo, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato eseguire il pagamento al giudice di meritofornitore, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattoapparentemente dovuto.

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Motivi della decisione. 1SULLA RICOSTRUZIONE DEI FATTI DI CAUSA Il primo Giudice, alla luce dell'istruttoria svolta, ha correttamente ricostruito le modalità con le quali i ricorrenti svolgevano la loro attività lavorativa, rilevando che: "La prestazione lavorativa dei ricorrenti si è svolta a grandi linee nel modo seguente. Con Dopo avere compilato un formulario sul sito di F. (doc.12 ricorrenti), venivano convocati in piccoli gruppi presso l'ufficio di Torino per un primo colloquio nel quale veniva loro spiegato che l'attività presupponeva il primo motivo possesso di ricorso il ricorrente sostiene che una bicicletta e la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare disponibilità di uno smartphone; in un secondo momento veniva loro proposta la clausola contenuta nell'art. 7 del sottoscrizione di un contratto di locazione collaborazione coordinata e continuativa e, dietro versamento di una caparra di Euro50, venivano loro consegnati i dispositivi di sicurezza (casco, maglietta, giubbotto e luci) e l'attrezzatura per il trasporto del cibo (piastra di aggancio e box). Il contratto che opportunamente riproduceveniva sottoscritto aveva le seguenti caratteristiche (risultanti dallo stesso doc.6 dei ricorrenti): - era un contratto di "collaborazione coordinata e continuativa"; - era previsto che il lavoratore fosse "libero di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità ed esigenze di vita"; - il lavoratore si impegnava ad eseguire le consegne avvalendosi di una propria bicicletta "idonea e dotata di tutti i requisiti richiesti dalla legge per la circolazione"; - era previsto che il collaboratore avrebbe agito "in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente", ma era tuttavia "fatto salvo il necessario coordinamento generale con l'attività della stessa committente " - era prevista la possibilità di recedere liberamente dal contratto, anche prima della scadenza concordata, con comunicazione scritta da inviarsi a mezzo raccomandata a/r con 30 giorni di anticipo; - il lavoratore, una volta candidatosi per una corsa, si impegnava ad effettuare la consegna tassativamente entro 30 minuti dall'orario indicato per il ritiro del cibo, pena applicazione a suo carico di una penale di 15 Euro; - il compenso era stabilito in Euro 5,60 al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali per ciascuna ora di disponibilità; - il collaboratore doveva provvedere ad inoltrare all'INPS "domanda di iscrizione alla gestione separata di cui all'art.2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335" e la committente doveva provvedere a versare il relativo contributo; - la committente doveva provvedere all'iscrizione del collaboratore all'INAIL ai sensi dell'art.5 del X.Xxx. 23 febbraio 2000, n. 38; il premio era a carico del collaboratore per un terzo e della committente per due terzi; - la committente doveva affidare al collaboratore in comodato gratuito un casco da ciclista, un giubbotto e un bauletto dotato dei segni distintivi dell'azienda a fronte di un versamento di una cauzione di Euro 50. Al contratto era allegato un foglio contenente l'informativa sul trattamento dei dati personali e la prestazione del consenso. La gestione del rapporto avveniva attraverso la piattaforma multimediale "Shyftplan" e un applicativo per smartphone (inizialmente "Urban Ninjia" e poi "Hurrier"), per il cui uso venivano fornite da F. delle apposite istruzioni (docc.14 e 15 ricorrenti). L'azienda pubblicava settimanalmente su Shyftplan gli "slot", con indicazione del numero di riders necessari per coprire ciascun turno. Ciascun rider poteva dare la propria disponibilità per i vari slot in base alle proprie esigenze personali, ma non era obbligato a farlo. Raccolte le disponibilità, il responsabile della "flotta" confermava tramite Shyftplan ai singoli riders l'assegnazione del turno. Ricevuta la conferma del turno, il lavoratore doveva recarsi all'orario di inizio del turno in una delle tre zone di partenza predefinite (Piazza Xxxxxxxx Veneto, Piazza Xxxxx Xxxxxx o Piazza Bernini), attivare l'applicativo Hurrier inserendo le credenziali (user name e password) per effettuare l'accesso (login) e avviare la geolocalizzazione (GPS). Il rider riceveva quindi sulla app la notifica dell'ordine con l'indicazione dell'indirizzo del ristorante. Accettato l'ordine, il rider doveva recarsi con la propria bicicletta al ristorante, prendere in consegna i prodotti, controllarne la corrispondenza con l'ordine e comunicare tramite l'apposito comando della app il buon esito della verifica. A questo punto, posizionato il cibo nel box, il rider doveva provvedere a consegnarlo al cliente, il cui indirizzo gli era stato nel frattempo comunicato tramite la app; doveva quindi confermare di avere regolarmente effettuato la consegna". SULLA MOTIVAZIONE POSTA DAL PRIMO GIUDICE A FONDAMENTO DELLA SUA DECISIONE. Ciò premesso, il Giudice di prime cure ha ritenuto che l'obbligo tali rapporti di provvedere lavoro non avessero natura subordinata alla insonorizzazione luce delle seguenti considerazioni: 1) la volontà delle parti che avevano sottoscritto contratti di collaborazione coordinata e continuativa; 2) la circostanza che i ricorrenti non fossero obbligati a dare la propria disponibilità lavorativa per uno dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito turni indicati da F. e, a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatoresua volta, che la convenuta potesse accettare la disponibilità data dai ricorrenti e inserirli nei turni da loro richiesti ma potesse anche non farlo (pertanto se il datore di lavoro non poteva pretendere dal lavoratore lo svolgimento della prestazione lavorativa non poteva neppure esercitare il potere direttivo e organizzativo); 3) con riferimento all'inserimento del rider in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi un turno (a seguito della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. disponibilità manifestata dallo stesso) l'istruttoria aveva dimostrato l'insussistenza dell'esercizio un potere gerarchico disciplinare da parte della corte territorialesocietà nei confronti dei ricorrenti (convenuta che non aveva mai adottato azioni disciplinari nei confronti degli attori anche se questi dopo avere dato la loro disponibilità la revocavano o non si presentavano a rendere la prestazione). Mentre le modalità di svolgimento della prestazione e le relative indicazioni e verifiche operate dalla convenuta rientravano a pieno titolo nelle esigenze di coordinamento dettate dalla necessità di rispetto dei tempi di consegna. Il primo Xxxxxxx ha, non contenendo pertanto, respinto le domande aventi ad oggetto: la motivazione violazioni condanna al pagamento delle regole differenze retributive, quelle di ermeneutica contrattuale nè vizi logicinullità ed inefficacia del licenziamento e quelle risarcitorie in quanto presupponevano il riconoscimento della subordinazione. XxxxxxxxxInoltre il Tribunale, sembra nel rammentare che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento i ricorrenti avevano invocato in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, via subordinata l'applicazione della norma di cui all'artall'articolo 2 del D.Lgs. 1362 c.c. n. 81 del 2015, ha accolto la tesi sostenuta dalla difesa dell'azienda e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso cioè che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta trattava di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto disposizione incapace di produrre nuovi effetti giuridici sul piano della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali disciplina applicabile alle diverse tipologie di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo rapporti di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattolavoro.

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Motivi della decisione. 1. Con il primo on l’unico motivo di ricorso si denunzia, in rife- rimento all’art. 360 nn. 3 e 5, Codice di proce- dura civile, violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di corrispondenza tra il ricorrente sostiene chiesto e il pronunciato, di simulazione del contratto e di elementi caratterizzanti dell’interposizione fittizia di persona, di forma scritta «ad substantiam» e di impossibi- lità di surrogarne gli effetti a mezzo di confessione o di dichiarazione ricognitiva di diritti reali, di ambito di operatività del negozio di accertamento, con conseguen- te omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Osserva il ricorrente: La Corte barese, fondando la soluzione del caso prospet- tatole sul riferimento ad una interposizione fittizia, senza che la corte d'appello avrebbe violato fattispecie della simulazione fosse stata indicata da nessuno dei contraddittori, si era arrogato un compito che non le norme sull'interpretazione apparteneva, interferendo nel potere disposi- tivo delle parti, alterando gli elementi obiettivi di iden- tificazione dell’azione, in sostanza introducendo nel pro- cesso un titolo nuovo e diverso da quello enunciato da- gli interessati (come desumibile dallo stesso testo della gravata pronunzia le tesi che si erano contrapposte, ad iniziativa dei diversi contraddittori, erano state - a parte quella del contratto laddovericorrente evidenziata in una esplicita conclu- sione, nell'interpretare riferita alla diretta realtà dell’intestazione in capo agli acquirenti - o quella di una «intestazione arbitraria» da parte di M. e A. - ipotesi che ovviamente contraddi- ceva alla fattispecie della simulazione, la clausola contenuta nell'artquale invece suppone una intestazione concordata ovvero quella di una «intestazione fiduciaria» dovesse o meno questa es- sere accostata allo schema del mandato senza rappresen- tanza ad acquistare immobili). 7 del L’assunto della Corte territoriale contraddiceva inoltre con il costante indirizzo giurisprudenziale e dottrinale, che ha sempre riconosciuto che l’interposizione fittizia presuppone un accordo simulatorio trilatero al quale partecipano contraente apparente (interposto), con- traente effettivo (interponente) e controparte, laddove nel caso di specie, per ammissione dello stesso giudican- te, «non era provato che i venditori, di cui al contratto di locazione (che opportunamente riproduce)compravendita del 18 novembre 1972, ha ritenuto che l'obbligo avente ad og- getto il fondo de quo fossero consapevoli dell’accordo fra compratore e terzi». Ove anche fosse stato possibile immaginare l’esistenza di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo un accordo trilatero, necessario a caratterizzare una in- terposizione fittizia, avendo il contratto in questione ad oggetto il trasferimento di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltrebene immobile, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazionirelativo accordo simulatorio avrebbe comunque dovuto essere documentato per iscritto. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto Sulla base di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di meritotale premessa, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. confortata da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte consolidata giurisprudenza di legittimità, inammissibilmentenessuno degli elementi che, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento sia pur in fatto riservato al giudice di meritoaltra parte della motivazione, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostatod’appello aveva addotto a sostegno della sua conclusio- ne, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare poteva essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattoritenuto plausibile.

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Motivi della decisione. 1L’articolo 3.6, co. I, lett. Con a) e II del Regolamento prevede che il primo motivo trasferimento di ricorso un nome a dominio al Ricorrente può essere disposto qualora sia provata l’identità del segno o la sua confondibilità con “...un marchio, o altro segno distintivo aziendale, su cui il ricorrente sostiene Ricorrente vanta diritti...”. L’art. 4.2.4, comma 2, delle Linee Guida per la Risoluzione delle Dispute nel ccTLD .it, vers. 2.0, precisa, con riguardo ai diritti vantati dal ricorrente, che “…è necessario verificare se si possa dimostrare la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddovetitolarità di un proprio diritto sul nome a dominio che si intende sottoporre a tale procedura (per esempio, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto diritti di locazione (che opportunamente riproduce)proprietà intellettuale o industriale, ha ritenuto che l'obbligo di provvedere quale marchi, diritto d’autore, diritto alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti denominazione e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninotecaragione sociale, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profiloalla ditta, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimentoall’insegna, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del localenome proprio e cognome)”. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra diritto che il ricorrente tenda deve “vantare” per poter ottenere la riassegnazione deve pertanto consistere in un diritto di privativa, o comunque in un diritto di carattere monopolistico che, seppur entro certi limiti (per esempio territoriali), attribuisca uno ius excludendi alios, che legittimi il ricorrente a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, vietare ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione altri l’utilizzo di un atto negoziale certo segno/marchio. L’esistenza di un simile diritto sul marchio/nome confondibile con il nome a dominio è tipico accertamento il presupposto per la riassegnazione, un rimedio di carattere eccezionale rispetto alla regola generale nelle registrazioni dei nomi a dominio, basata sul criterio “first come, first served”. Ad avviso del Collegio, non appare sussistere in fatto riservato al giudice capo alla Ricorrente un diritto sul marchio LADA idoneo a impedire alla Resistente l’utilizzo del nome a dominio XXXXXXXXX.XX. Ciò per i seguenti motivi. Il marchio LADA è oggetto di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, una registrazione internazionale di cui all'artè titolare la Autovaz (v. doc. 1362 c.c16). Centrus ha altresì depositato domanda di registrazione nazionale per i marchi “LADA”, “LADA DUAL FUEL” e segg“LADA JOB”, ma a tutt’oggi nessuna delle predette registrazioni risulta concessa. Poiché l’acquisto del diritto all’uso esclusivo di un marchio si realizza con la registrazione (art. 15.1 c.p.i.), allo stato attuale Centrus non risulta titolare di diritti di privativa di sorta sul marchio nazionale LADA (e sui marchi simili sopra richiamati). Ci si deve quindi domandare se Centrus detenga a titolo derivativo (in forza di una licenza o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice altra autorizzazione del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità titolare del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche marchio) diritti sul marchio LADA che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingressolegittimino a rivendicarne un uso esclusivo, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattoquindi a impedirne ad altri l’utilizzo.

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Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso doglianza si deduce "carenza e/o insufficienza e comunque erroneità della motivazione", con particolare riferimento al passaggio della sentenza impugnata ove viene privilegiato l'argomento attinente alla puntuale ed espressa accettazione della cessione del credito, tale da precludere, anche sotto il ricorrente sostiene profilo della tutela della buona fede, l'opposizione di eccezioni riguardanti i rapporti fra cedente e ceduto. Si osserva, per contro, che gli inadempimenti contrattuali di [cedente] erano stati "canonizzati" nel procedimento di rescissione ex art. 340 del rd 1148/1865 all. F; che la corte d'appello avrebbe violato suddetta rescissione produce gli effetti della risoluzione del contratto; che detti effetti risalgono alla data di stipulazione e determinano la restitutio in integrum. Si censura la decisione del primo Giudice, ove si è escluso che a factor non potessero essere opposte le norme sull'interpretazione del contratto laddoveeccezioni opponibili a [cedente] e fra esse quella di compensazione dei crediti risarcitori con il debito per il corrispettivo dell'appalto, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha e ove si è ritenuto che l'obbligo comunque il suddetto credito non fosse sorretto da idonea dimostrazione. Sotto tale ultimo aspetto, l'appellante sottolinea che i costi de quibus sono stati oggetto di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo prova testimoniale. Con il secondo mezzo, l'appellante lamenta la mancata considerazione della domanda svolta in via subordinata, riguardante la necessità di ridurre l'ammontare del credito reclamato in ragione della non esaustività del prezzo corrisposto al cedente (euro 80.000,00) rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di leggeall'importo della fattura ceduta. Inoltre evidenzia La decisione della controversia deve passare necessariamente per la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimentoricaduta, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.sui rapporti

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Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo del ricorso lo S., deducendo viola- zione e falsa applicazione dei principi generali della lealtà e buona fede con riferimento all’abuso del diritto nell’e- sercizio del recesso ad nutum previsto dall’accordo nazio- nale agenti, formula il seguente quesito di ricorso diritto: “se, nell’ipotesi in cui la legge o un accordo collettivo … pre- vedono una clausola che riconosca a un contraente il ricorrente sostiene di- ritto di recedere ad nutum dal contratto, spetti al giudice, in presenza di una inconfutabile disparità di forze fra i contraenti, valutare dal punto di vista giuridico e da quello extragiuridico, in modo ampio e rigoroso, se l’eser- cizio del recesso e le modalità con cui è attuato integrino o meno l’ipotesi di abuso del diritto al fine di riconoscere l’eventuale diritto al risarcimento del danno”. Con la seconda censura il ricorrente, denunciando omessa, insufficiente e contradditoria motivazione, for- mula, ex art. 366-bis c.p.c., il seguente interpello: “se l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo e controverso per il giudizio, quale la ricorrenza dell’abuso di diritto, possa essere rav- visata nell’avere la Corte di appello erroneamente con- siderato l’abuso del diritto speculare agli atti emulativi”. Con la terza critica il ricorrente, allegando omessa, in- sufficiente e contraddittoria motivazione, chiede, ex art. 366-bis c.p.c.: “se l’omessa, insufficiente o contradditto- ria motivazione circa un punto decisivo e controverso per il giudizio, quale la configurabilità dell’abuso di di- ritto, possa essere ravvisata nell’aver la Corte d’appello valutato i fatti di causa in modo illogico”. Con il quarto motivo lo S., assumendo erroneo rigetto delle prove orali, chiede, ai sensi del richiamato art. 366- bis c.p.c.: “se, in presenza di atti compiuti nell’ambito dell’autonomia contrattuale di una parte, non aventi, di per sé stessi, carattere illecito, abbia rappresentato un er- ror in procedendo il rigetto delle prove orali volte a indivi- duare la configurabilità dell’abuso del diritto e della con- seguente lesione cagionata all’altra parte del contratto”. Con la quinta censura, il ricorrente, deducendo erroneo rigetto dell’ordine di esibizione, chiede, sempre ex art. 366-bis c.p.c.: “se in presenza di contestazioni sulla mo- tivazione (peraltro non richiesta) del recesso ad nutum, abbia rappresentato un error in procedendo il rigetto del- l’istanza volta a ordinare l’esibizione ex artt. 210 e/o 212 c.p.c. di quei documenti che avrebbero potuto escludere la corte d'appello avrebbe violato sussistenza di detta motivazione così da far desumere la configurabilità dell’abuso del diritto nell’e- sercizio del recesso ad nutum”. Con la sesta critica il ricorrente, prospettando violazione dell’art. 1750 c.c., dell’art. 13 comma 4 lett. g dell’accor- do nazionale agenti e dell’art. 1753 c.c., articola il se- guente interpello: “se nell’ipotesi in cui la legge (art. 1750 c.c.) preveda un meccanismo di quantificazione dell’indennità sostitutiva del preavviso in concreto più favorevole all’agente rispetto al meccanismo indicato da un accordo collettivo (art. 13 dell’accordo nazionale agenti) debba essere riconosciuta la prevalenza della di- sciplina codicistica sulla contrattazione collettiva”. Preliminarmente va rilevato che le norme sull'interpretazione censure, alla stregua di conforme giurisprudenza di questa Corte, vanno valu- tate alla stregua della formulazione del contratto laddovequesito di dirit- to, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo (Cass., sez. un., 11 marzo 2008, n. 6420, nonché per tutte Cass., sez. un., 5 luglio 2011, n. 14661). Tanto precisato e passando all’esame delle varie censu- re, mette conto osservare che il primo motivo, con il quale esso termina si chiede se spetta al giudice di valutare se l’eser- cizio del recesso e le modalità con cui è astrattoattuato integri- no o meno l’ipotesi di abuso di diritto, è infondato. Infatti la Corte del merito valuta con diffusa argomenta- zione la non configurabilità dell’abuso del diritto rispetto all’esercizio e alle modalità con cui è stato esercitato il di- ritto di recesso da parte delle compagnie di assicurazione. Va peraltro annotato che non è ravvisabile abuso del diritto nel solo fatto che, perseguendo un risultato in sé consentito attraverso strumenti giuridici adeguati e le- gittimi, una parte non tuteli gli interessi dell’atra in se- de di esecuzione del contratto, essendo necessario, inve- ce, che il diritto soggettivo sia esercitato con modalità non necessarie e irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato e ingiustifica- to sacrificio della controparte contrattuale, e al fine di conseguire risultati diversi e ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti (per tutte v. da ultimo Xxxx. 29 maggio 2012, n. 8567). A tale regula iuris la Corte del merito si è rigidamente attenuta accertando che il recesso non motivato è con- sentito dalla legge, la comunicazione dello stesso è av- venuta secondo buona fede e correttezza e l’avviso ai clienti era doveroso. Né risulta dedotto, come sottolineato dalla Corte di- strettuale, che le compagnie miravano a conseguire fini diversi e ulteriori a quelli per i quali i poteri di recesso risultano attribuiti. Anche il secondo motivo e il terzo, concernenti rispet- tivamente la pretesa confusione fra abuso del diritto e atti emulativi e la valutazione illogica del diritto, sono infondati. L’atto emulativo presuppone, infatti, che l’at- to di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri ed è, quindi, evidente che una volta accertato da parte della Corte del merito che gli atti di cui si tratta costituiscono esercizio di un dirit- to-potere attribuito dalla legge e dall’accordo collettivo e che non vi è stato nell’esercizio di tale diritto-potere violazione dei doveri di buona fede e correttezza nonché il perseguimento di scopi diversi da quelli per i quali ta- le diritto-potere è riconosciuto non è configurabile al- cun atto emulativo. Analoghe considerazioni valgono, come rilevato innanzi, per l’abuso del diritto. Tanto comporta che contrariamente a quanto assunto da parte ricorrente non vi è stata la dedotta confusione fra abuso del diritto e atto emulativo né illogicità nella valutazione dei fatti di causa ai fini dell’identificazione dell’abuso di diritto. La quarta censura relativa alla mancata ammissione del- le prove testimoniali e la quinta concernente l’ordine di esibizione sono inammissibili. Infatti ambedue i motivi sono privi del requisito di autosufficienza non essendo riportati i capitoli di prova di cui si denuncia la mancata ammissione e non essen- do precisato in quale atto e con quali modalità è stato richiesto l’ordine di esibizione. L’ultimo motivo, afferente la questione della prevalenza, per la quantificazione dell’indennità di preavviso, della di- sciplina codicistica rispetto a quella collettiva non essen- do questa di maggior favore, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta è scrutinabile atteso che il giudice di meritoricorrente, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio principio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale cheautosufficienza, non avendo trascrive nel ricorso il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo testo della clausola collettiva di eseguire le opere cui sostiene la previsione di insonorizzazioneun’indennità inferiore a quella che risulterebbe dall’applicazione dell’art. Non sussiste violazione dell'art. 1362 1750 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che In conclusione il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattova rigettato.

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Motivi della decisione. 1Si osserva preliminarmente che il contratto datato 23 maggio 2003 non è stato sottoscritto dalla convenuta. Con E' vero tuttavia che con lettera 5 febbraio 2004 W.H.S. Saddlers International chiedeva di "rinnovare il primo motivo contratto di ricorso vendita dei prodotti di Pessa Studio ... sino al 31.12.2009" (v. doc. n. 2 del fasc. dell'attore). Si può perciò ritenere che il ricorrente sostiene contratto fosse stato effettivamente concluso, almeno in forma orale. Rimane però il dubbio circa il luogo in cui sarebbe avvenuta la perfezione del negozio, giacché l'indicazione "Montagnana- Montanaro" presente in calce al documento non può essere presa in considerazione, in ragione della mancanza di contestuale sottoscrizione del testo contrattuale. E' possibile che l'accordo sia stato raggiunto telefonicamente oppure che la corte d'appello convenuta, ricevuto il contratto sottoscritto dall'attore presso la propria sede legale, l'abbia accettato dandone comunicazione orale al proponente. Si spiegherebbe così il fatto che l'attore non è in possesso di esemplare firmato da W.H.S. Saddlers International. A prescindere da ciò, si rileva che l'accordo attribuiva alla parte convenuta la facoltà di promuovere, in condizioni di esclusiva, la vendita dei prodotti di Pessa Studio in Gran Bretagna "rendendosi acquirente diretto o acquistandoli per conto del cliente finale"; l'attore si obbliga fra l'altro a "fornire il materiale venduto e, se richiesto, montarlo nel luogo, entro il tempo e alle condizioni di volta in volta pattuite". Si trattava quindi di un contratto normativo, che avrebbe violato dovuto disciplinare successive forniture da eseguirsi in Gran Bretagna, ove la merce sarebbe stata consegnata ed eventualmente installata da Xxxxx Xxxxxxx. Le due forniture del giugno 2003 sono state per l'appunto eseguite in Inghilterra, come attestano i documenti di trasporto allegati dall'attore. Si tratta di due compravendite di giostre, contenenti un clausola di gradimento, che consentiva al compratore di restituire la merce entro sei mesi dal ricevimento: in mancanza di restituzione, il prezzo doveva essere pagato, a prescindere dal fatto che W.H.S. Saddlers International avesse o no rivenduto le giostre. Anche le modalità di conclusione di queste compravendite internazionali risultano incerte. La venditrice ha trasmesso la sua proposta per iscritto alla convenuta, inviandola presso la sua sede legale. Non è però dato sapere come W.H.S. Saddlers International abbia accettato l'offerta, non essendo stata prodotta alcuna documentazione in proposito. E' comunque verosimile che l'accettazione sia intervenuta, considerato che le giostre sono state consegnate ed installate in due località inglesi (Tamporlay e Xxxxxx). Allo scadere del termine semestrale, l'attore ha richiesto il pagamento, senza ottenere risposta. Questione pregiudiziale è stabilire se sussista la giurisdizione del giudice italiano. Per affrontare il problema, occorre dapprima individuare le norme sull'interpretazione di diritto internazionale processuale applicabili. Nella specie esse sono le norme poste dal Regolamento CE n. 44/2001 del contratto laddoveConsiglio del 22 dicembre 2000, nell'interpretare concernente la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (regolamento cosiddetto Bruxelles 1, di locazione (che opportunamente riproduceseguito: Regolamento), che a partire dalla data di entrata in vigore - ossia dal 1° marzo 2002 - ha ritenuto sostituito (fatta eccezione per le ipotesi in cui il foro adito sia un foro danese o in cui il convenuto abbia la propria sede d'affari in Danimarca, ma non anche per l'ipotesi in cui l'attore abbia la propria sede d'affari in Danimarca) la Convenzione di Bruxelles del 1968, relativa alla competenza giurisdizionale e alla esecuzione di decisioni in materia civile e commerciale. Affinché il Regolamento - obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in Italia come negli altri Stati membri della Comunità Europea (nel limite già ricordato) in base al trattato che l'obbligo istituisce quest'ultima - possa trovare applicazione, debbono coesistere più requisiti, come chiarito anche dalla giurisprudenza straniera (v., ad esempio, OLG Xxxxxxxxxx, 00 gennaio 2004, pubblicata alla pagina web <xxxx://xxx.xxxx- xxxxxx.xx/xxxx/xxxxxxx/000.xxx>), alla quale occorre fare riferimento (senza che però ad essa possa attribuirsi valore di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimentoprecedente), al motivo individuale fine di assicurare al Regolamento la piena efficacia, nonché un'applicazione uniforme in tutti gli Stati contraenti: esigenza già sottolineata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con riferimento alla Convenzione di Bruxelles richiamata in precedenza (per tutte, x. xxxxxxxx 0° xxxxxxx 0000, xxxxx 000/00, Xxxxxx für Konsumenteninformation, punto 35). Da un punto di vista temporale, è sufficiente che l'azione sia proposta posteriormente all'entrata in vigore del locatoreRegolamento, come si evince facilmente dal suo art. 66, 1° comma: condizione di applicabilità (temporale) che nel caso di specie senz'altro sussiste. Da un punto di vista materiale occorre che la controversia verta su una questione "civile e commerciale" (art. 1, 1° comma, del Regolamento). Quando questo accada non viene precisato dal Regolamento, come non era precisato neppure dalla Convenzione di Bruxelles. Ciò non deve però indurre ad "interpretare i termini di tale disposizione come un semplice rinvio al diritto interno dell'uno o dell'altro degli Stati in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato questione" (Corte di Giustizia, sentenza 14 novembre 2002, causa 271/00, Gemeente Xxxxxxxxxxx, punto 28); occorre piuttosto interpretare il concetto in modo "autonomo", come affermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in relazione alla insonorizzazione del localeConvenzione di Bruxelles (v. sentenza 15 maggio 2003, 266/01, Préservatrice foncière TIARD SA, punto 20; sentenza 14 novembre 2002, causa 271/00, Gemeente Xxxxxxxxxxx, punto 28; sentenza 21 aprile 1993, causa 172/91, Xxxxxx Xxxxxxx, punto 18; sentenza 16 diecembre 1980, causa 814/79, Niederlande, punto 7; sentenza 22 febbraio 0000, X-000/00, Xxxxx Xxxxxxxx, punto 3): giurisprudenza alla quale, sulla questione in esame, ci si può senz'altro richiamare, anche allo scopo di "garantire la continuità tra la Convenzione di Bruxelles e il presente Regolamento" (esigenza a cui fa riferimento il considerando 19). Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astrattoNel caso in esame, non contenendo alcun riferimento agli elementi può esservi dubbio che la disputa rientri tra la "materia civile e commerciale", avendo l'attore richiesto il pagamento di una somma di denaro che rappresenta il corrispettivo della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto fornitura di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. beni mobili da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisionelui professionalmente prodotti. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali trattandosi di una delle partimaterie che l'art. Quest'ultima appare essere una censura autonoma 1, 2° comma, del Regolamento esclude dal suo ambito di applicazione, può dirsi che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata esso risulti applicabile anche dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattovista materiale.

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Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione Qualificazione giuridica del contratto laddoveintercorso fra le parti. Occorre procedere in primo luogo alla corretta qualificazione giuridica del rapporto contrattuale intercorso fra le parti. Entrambe le parti concordano, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 sia pur con alcuni "distinguo" e puntualizzazioni, sulla riconducibilità di tale rapporto alla figura tipica del contratto di locazione edizione di cui all'art.118 e segg. della legge 633 del 22.4.1941 e successive modifiche e integrazioni (che opportunamente riproducedi seguito, semplicemente LDA). Tale norma individua il contratto di edizione in quello con cui "l'autore concede ad un editore l'esercizio del diritto di pubblicare per le stampe, ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti per conto e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninotecaspese dell'editore stesso, oltre i limiti ed orari di leggel'opera dell'ingegno". Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 L'elemento essenziale del contratto di locazione riproponendone edizione, messo in evidenza dalla giurisprudenza di merito è "la propria interpretazionesopportazione da parte dell'Editore di tutti i costi da sostenere per la pubblicazione e la diffusione di un'opera, invece, se è l'Autore che sopporta detti costi, rimanendo a carico dell'altro contraente l'obbligo di far stampare e di diffondere l'opera dell'ingegno, viene ad evidenziarsi la diversa figura dell'appalto." Ai sensi dell'art. 119 LDA il contratto può avere per oggetto tutti i diritti di utilizzazione che spettano all'autore nel caso dell'edizione, o taluni di essi, con il contenuto e per la durata che determinati dalla legge vigente al momento del contratto. Il ricorrente lamenta contratto di edizione può essere "per edizione" (che conferisce all'editore il giudice diritto di meritoeseguire una o più edizioni entro vent'anni dalla consegna del manoscritto completo previa indicazione del numero delle edizioni e del numero degli esemplari di ogni edizione) o "a termine"(che conferisce all'editore il diritto di eseguire quel numero di edizioni che stima necessario durante il termine, in violazione dell'art. 1362 c.c.che non può eccedere venti anni, abbia fatto uso del solo criterio e per il numero minimo di interpretazione letterale esemplari per edizione, che deve essere indicato nel contratto, a pena di nullità, del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010medesimo). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che Il contratto 6.9.2001 appartiene sicuramente alla seconda categoria perché attribuisce a UTET i diritti di utilizzazione economica per la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento durata massima prevista dalla legge (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo20 anni) e non sotto quella indica il numero delle edizioni previste, ma solo la loro presumibile tiratura. "Ai sensi dell'art. 122 l. 22 aprile 1941 n. 633 sul diritto di Autore, il contratto di edizione, pur nella varietà di contenuto che può assumere nei singoli casi, rientra in due fondamentali fattispecie. La prima, contratto di edizione "per edizione", in cui la durata del rapporto è legislativamente fissata (venti anni), ed è predeterminato dalle parti il numero delle edizioni e degli esemplari, stabilendosi - peraltro - che in mancanza delle indicazioni richieste o di altre speciali pattuizioni sostitutive il contratto si intende stipulato per una sola edizione e per il numero massimo di duemila esemplari. La seconda, contratto di edizione "a termine" in cui, nel termine fissato dalle parti, che non può comunque eccedere i venti anni, è conferito all'Editore un ampio potere dispositivo in ordine allo sfruttamento dell'opera con il diritto di eseguire quel numero di edizioni e per il numero di esemplari per edizione che reputi necessario a sua discrezione, stabilendosi, tuttavia, in considerazione della interpretazione dei contrattiposizione egemonica dell'Editore e a tutela del contraente più debole, che sia almeno indicato, a pena di nullità del contratto, il numero minimo di esemplari per ogni edizione.". La parte convenuta, nei suoi scritti difensivi e ancora in comparsa conclusionale addebita all'attrice un rovesciamento dell'interpretazione del rapporto rispetto alla quale realtà, come che la prof. P. avesse incaricato UTET di stampare la sua opera, per poi lamentare il mancato rispetto delle sue richieste e delle sue specifiche indicazioni; al contrario - ribadisce la convenuta - era stata la UTET a conferire l'incarico all'attrice di redigere, a fronte di equo e concordato compenso, il contributo scientifico destinato ad essere integrato nella collana di Storia dell'Arte diretta e coordinata dal prof. C.. L'insistito ragionamento dell'UTET non costituisce un'unica censura; può essere condiviso. Parte attrice deduce e argomenta sulla base della stipulazione di un contratto di edizione, lamentandone inadempimento colpevole da parte dell'editore. L'iniziativa nella proposta della collaborazione è del tutto irrilevante, anche se ben si può concedere che gli interessi scientifici nella materia della prof. P. siano stati sollecitati dall'Editore, probabilmente coadiuvato dal direttore e coordinatore della Collana, alla ricerca dell'acquisizione di validi contributi da integrare nella più complessa iniziativa editoriale di largo respiro sul tema della Storia dell' Arte promossa dalla Casa. Poco importa infatti chi per primo abbia proposto alla controparte il denunciato vizio contratto in questione, che pienamente ricade nella particolare tipologia di motivazione manca poi totalmente del necessario punto contratto di sintesi in fattoedizione considerata dall'art. 120 LDA (contratto che ha per oggetto opere non ancora create).

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Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti 3 - Le Curatela fallimentare - denunziando violazione e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione falsa applicazione dell'art. 1362 c.c.72, abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazionequarto comma, in modo tale cheX.X. 00 marzo 1941, non avendo il ricorrente prodotto rumori molestin. 267, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del nonché vizio di motivazione e si risolva- censura la sentenza impugnata per aver negato che avesse il diritto di sciogliersi dal contratto ai sensi dell'art. 72, quarto comma, L. fall., senza considerare: a) che, in realtàbase a quanto disposto da tale disposizione, nella proposta l'esecuzione della prestazione da parte del contraente in bonis, in caso di una interpretazione diversa fallimento del venditore, non è di ostacolo all'esercizio della facoltà di scelta, da parte del curatore, tra l'esecuzione del contratto e il suo scioglimento; b) che tale principio, formulato esplicitamente per il contratto di compravendita e riconosciuto (pacificamente) applicabile anche al contratto preliminare, è da ritenersi operante anche rispetto al preliminare di permuta; c) conseguentemente, non poteva esservi dubbio che, nel caso di specie, il curatore potesse legittimamente optare per lo scioglimento del contratto, sebbene la controparte avesse già provveduto al trasferimento della proprietà dell'area in questo senso Cass. n. 10554 favore del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche fallito, posto: c1) che la corte abbia mal motivato posizione di quest'ultimo era assimilabile a quella del venditore e che doveva, quindi, farsi applicazione del principio sancito dall'art. 72, quarto comma, L. fall.; c2) che, in ogni caso, quando sia stato stipulato un contratto preliminare, l'esercizio della facoltà di scioglimento del contratto da parte del curatore del promettente venditore può essere impedito solo se, in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, sia stato concluso il punto contratto definitivo, ovvero sia passata in giudicato la statuizione giudiziale che tenga luogo di quella stipulazione; c3) che, lo stesso effetto preclusivo non può invece essere riconosciuto alla trascrizione, sempre prima della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingressodichiarazione di fallimento, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali domanda giudiziale di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi esecuzione in fattoforma specifica un contratto.

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Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione dei canoni legali di ermeneutica e degli artt. 1939, 1945 e 1952 cc nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello violato i canoni di ermeneutica che, se fossero stati correttamente applicati, avrebbero portato a qualificare i patti di riacquisto intercorsi tra le parti come garanzia autonoma. E ciò, senza considerare che aveva omesso qualsiasi motivazione sul perché avesse ritenuto di qualificare il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'artpatto di riacquisto come fideiussione anziché come garanzia autonoma. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazioneLa doglianza in entrambi i profili merita attenzione. Il ricorrente lamenta che il giudice di meritoA riguardo, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione corre l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale sottolineare preliminarmente che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesticome ha già avuto modo di statuire questa Corte con un orientamento, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo cui questo Collegio intende aderire, "l'interpretazione del contratto, dal punto di eseguire vista strutturale, si collega anche alla sua qualificazione e la relativa complessa operazione ermeneutica si articola in tre distinte fasi: a) la prima consiste nella ricerca della comune volontà dei contraenti; b) la seconda risiede nella individuazione del modello della fattispecie legale; c) l'ultima è riconducibile al giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto concretamente accertati. Le ultime due fasi, che sono le opere sole che si risolvono nell'applicazione di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territorialenorme di diritto, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte possono essere liberamente censurate in sede di legittimità, inammissibilmente, ad mentre la prima - che configura un nuovo giudizio tipo di accertamento che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, poiché si traduce in un'indagine di fatto a lui affidata in via esclusiva - è normalmente incensurabile in sede nella suddetta sede, salvo che nelle ipotesi di legittimità, se non nell'ipotesi motivazione inadeguata o di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'artcosì come previsti negli artt. 1362 c.ce seguenti cod. e seggciv. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fatto.

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Motivi della decisione. 1Con due motivi illustrati congiuntamente, il ricorso de- nunzia i vizi di violazione o falsa applicazione degli artt. Con il primo motivo 1175, 1176, 1218, 1223, 1350, 1351, 1453, 1455 e 1457 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., nonché di ricorso il ricorrente insufficiente motiva- zione su punti decisivi della controversia. Si sostiene che la sentenza gravata è incorsa in moltepli- ci violazioni e false applicazioni di norme di legge ed in illogiche ed incongrue valutazioni dei fatti, frutto di ina- deguata ed erronea interpretazione degli elementi pro- batori acquisiti nel corso del processo, che le hanno im- pedito di giungere alla conclusione di ritenere che il ter- mine stabilito dalle parti per la conclusione del contrat- to definitivo era essenziale ovvero, comunque, di qualifi- care in termini di inadempimento grave e definitivo la condotta posta in essere dai promittenti venditori. La corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione territoriale, in particolare, non ha considerato, anche in ragione della mancata ammissione delle prove orali ritualmente dedotte, che la essenzialità del termine derivava, nel caso concreto, dalla stretta connessione temporale, di cui i B. erano stati più volte informati, esi- stente tra la stipula del contratto laddovede quo e la vendita, nell'interpretare da parte dell’odierno ricorrente, del proprio appartamento, necessaria al fine di fargli procurare la clausola contenuta nell'art. 7 provvista per il pa- gamento del prezzo e di mantenere, nel contempo, una abitazione, condizioni che richiedevano entrambe il ri- spetto del termine prefissato per la stipula del contratto definitivo. La mancata ammissione delle prove dedotte su tali circostanze è illegittima, atteso che esse non mira- vano a provare l’esistenza di locazione (un contratto formale, ma solo a dimostrare che opportunamente riproduce)i promittenti venditori conosceva- no le circostanze di fatto in forza delle quali il termine doveva considerarsi essenziale. Non risulta perciò osser- vato il principio affermato dalla Corte di legittimità, ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno se- condo cui l’essenzialità del locale condotto in locazione ed adibito a paninotecatermine, oltre i limiti che espressa, può essere anche implicita e desumibile dalla natura, dall’oggetto del negozio o da altre circostanze. Del tutto illogica ed orari di legge. Inoltre evidenzia incongrua appare poi la violazione ricostruzio- ne dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il fatti operata dal giudice di merito, sia con riferi- mento ai motivi del breve rinvio deciso il 28 giugno 1989, che in violazione dell'artrelazione al telegramma inviato dal F. alla controparte il giorno successivo. 1362 Sotto altro profilo, la sentenza impugnata merita censura per l’erronea appli- cazione dei principi stabiliti dagli artt. 1453 e 1455 c.c.. e per insufficiente motivazione sul punto, abbia fatto uso per non avere ritenuto, pur dopo aver escluso l’essenzialità del solo criterio termine, che comunque il comportamento dei promittenti vendi- xxxx, che avevano disertato l’appuntamento concordato del 30 giugno ed erano poi rimasti silenti per il mese suc- cessivo, non integrasse di interpretazione letterale per sé un inadempimento di non scarsa importanza, tale da giustificare la domanda di risoluzione del contratto. A tal fine, la Corte di merito ha colpevolmente trascurato che la ragione della man- cata conclusione del contratto senza integrarlo con in data 28 giugno era ascrivibile ai soli B., che tra essi erano sorti contrasti, e che, inoltre, il criterio logico loro comportamento successivo era co- munque contrario ai principi di correttezza e cioè buona fede ed era stato causa di pregiudizio per la controparte, che si è vista costretta a rinunciare, pur sopportando, tra l’altro, le spese di mediazione, a concludere il contratto collega- to di vendita del proprio appartamento; per contro, rilie- vo eccessivo è stato attribuito alla lettera dei B. del 28 lu- glio 1989, che manifestava una disponibilità a contrarre ormai inutile, disattendendo in questo caso la Corte il principio in forza del quale il comportamento delle parti del contratto va valutato, ai fini di accertare la gravità dell’inadempimento, tenendo conto della permanenza in capo alla parte non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazioneinadempiente dell’interesse ad un adempimento tardivo. Entrambi i motivi, nelle loro articolate censure, sono, in modo tale cheparte, inammissibili e, in parte, infondati. Giova invero precisare che non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo possono trovare ingres- so nel giudizio di eseguire legittimità le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. doglianze sollevate nel ri- corso che lamentano una errata lettura e valutazione del materiale probatorio da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile trat- tandosi di apprezzamenti di fatto incensurabili in cassa- zione, se non sotto il profilo della sufficienza e congruità della motivazione. Parimenti, appartengono alla specifi- ca competenza del giudice di merito tanto l’interpreta- zione del contratto, quanto il giudizio in ordine alla rile- vanza delle prove, sindacabili, in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattualeil primo, sotto il profilo della applicazione delle regole er- meneutiche stabilite dalla legge, e, entrambi, sotto il profilo della motivazione. Tanto precisato, assume il ricorso che la conclusione cui è giunta la Corte territoriale, di negare carattere di es- senzialità al termine stabilito nel contratto preliminare per la stipula del contratto definitivo, è errata in quanto, pur in mancanza di espressioni contrattuali esplicita- mente volte a qualificare il termine come essenziale, ta- le invocata qualità risultava impressa per implicito dalla presenza di un collegamento tra il contratto de quo e quello, sostanzialmente contemporaneo, in forza del quale l’odierno ricorrente avrebbe venduto ad altri il proprio appartamento. Aggiunge infatti il ricorrente che i due negozi dipendevano reciprocamente l’uno dall’al- tro, atteso che la vendita gli avrebbe procurato la prov- vista in denaro necessaria per l’acquisto, mentre que- st’ultimo gli avrebbe consentito di avere un apparta- mento in cui all'artabitare. 1362 Sul punto può osservarsi che certamente corretta, e nemmeno smentita dall’attuale difesa del ricorrente, è l’affermazione del giudice di merito secondo cui, in tema di contratto preliminare di compravendita, il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo non costituisce normalmente un termine essenziale, il cui mancato rispetto legittima la dichiarazione di sciogli- mento del contratto. Tale conclusione appare conforme all’orientamento più volte ribadito da questa Corte, se- condo cui il termine per l’adempimento può ritenersi es- senziale ai sensi dell’art. 1457 c.c. solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di me- rito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e seggdell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà del- le parti di considerare ormai perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine (così, ex multis, Cass. o n. 5797 del 2005 e Cass. n. 1815 del 2004). Xxxxxxxx appare altresì la soluzione della Corte di motivazione inadeguataappel- lo che ha negato rilevanza, ovverosia non idonea a consentire al fine della essenzialità del termine, alla connessione tra le due compravendite de- dotta dal F., assumendo che essa rifletteva mere esigenze personali dello stesso, mai esplicitate nel contratto. Fer- ma la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisionevalutazione di fatto operata sul punto dal giudice di merito, quale risultato della attività di interpretazione del contratto (Cass. Pertanton. 14611 del 2005), onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolvadeve infatti os- servarsi, in realtàlinea di diritto, nella proposta che il collegamento negozia- le è fenomeno incidente direttamente sulla causa della operazione contrattuale che viene posta in essere, risol- vendosi in una interdipendenza funzionale dei diversi at- ti negoziali rivolta a realizzare una finalità pratica unita- ria. Al fine di acquisire autonoma rilevanza giuridica, specie nel caso in cui le parti contrattuali siano diverse e laddove la connessione rifletta l’interesse soltanto di uno dei contraenti, è necessario tuttavia che il nesso teleolo- gico tra i negozi o si traduca nell’inserimento di appro- priate clausole di salvaguardia della parte che vi ha inte- resse ovvero venga quanto meno esplicitato ed accetta- to dagli altri contraenti, in guisa da poter pretendere da essi una interpretazione diversa condotta orientata al conseguimento dell’utilità pratica cui mira l’intera operazione. In altri termini, la fattispecie del collegamento negoziale se, da un lato, è configuratale anche quando i singoli atti siano stipulati tra soggetti diversi, richiede, dall’altro, pur sempre che i negozi siano concepiti ed accettati come funzionalmen- te connessi e tra loro interdipendenti (in questo senso senso: Cass. n. 10554 18655 del 20102004). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che La sentenza impugnata ha invece escluso tanto la corte abbia mal motivato il punto pre- senza di clausole contrattuali espressione della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei dedotta interdipendenza tra i due contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio quanto che un tale legame fosse noto e fosse stato condiviso e fatto proprio dagli altri contraenti. L’affermata inesistenza di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattoquesti presupposti rende la soluzione adottata pienamente con- divisibile.

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Motivi della decisione. 1on l’unico motivo i ricorrenti si dolgono della violazione o falsa applicazione dell’art. Con il primo 1352 Co- dice civile avendo la Corte territoriale erronea- mente considerato come risoluzione per mutuo consen- so un effettivo recesso unilaterale. Il motivo non è fondato. Xx xxxxxx, la denuncia di ricorso il ricorrente sostiene inosservanza della norma sopra citata, la quale dispone che «se le parti hanno convenu- to per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la corte d'appello avrebbe violato for- ma sia stata voluta per la validità di questo», non pre- senta alcuna pertinenza con le norme sull'interpretazione risultanze probatorie del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'artpresente giudizio e con l’esatta e corretta valutazione da- tane nella sentenza impugnata. 7 Tale conclusione si giustifica in base al rilievo che nes- sun dato probatorio si riscontra a sostegno della tesi pro- pugnata dai ricorrenti in ordine alla asserita unilateralità del recesso dal contratto di locazione della parte condut- trice. Non risulta, infatti, che le parti abbiano mai pattuito di adottare la forma scritta per procedere alla risoluzione consensuale del rapporto locatizio. Nessuna clausola, avente un tale contenuto, è stata mai indicata dalle parti come inserita nel contratto inter par- tes, né alcun accordo in ordine alla forma scritta per la suddetta risoluzione consensuale può farsi derivare dalla lettera del 16 maggio 1996 indirizzata ai locatori dalla soc. Gom Oil. e contenente - secondo la giusta interpre- tazione fornitane dai giudici di appello - una proposta di transazione non accolta dai resistenti, che non avevano restituito la copia sottoscritta per accettazione, come ri- chiesto dalla mittente. Escluso, dunque, che le parti abbiano pattuito per iscrit- to di adottare la forma scritta per lo scioglimento del contratto, ai sensi dell’art. 1372 Codice civile, comma 1, per mutuo consenso, e premesso altresì che la risoluzione per mutuo consenso di un contratto per il quale non sia richiesta la prova scritta ad substantiam può risultare - ol- tre che da un apposito accordo al riguardo dei contraen- ti - anche dalla loro tacita comune volontà di non dare ulteriore corso al contratto, liberandosi delle rispettive obbligazioni (che opportunamente riproducex. Xxxx. Lav., 24 marzo 2001, n. 4307), ha ritenuto che l'obbligo ri- leva questo Collegio come la Corte territoriale abbia evidenziato, con adeguata e logica motivazione, tutti gli elementi dai quali si evince un comportamento assolu- tamente concludente delle parti nel senso della compro- vata sussistenza della suddetta tacita comune volontà delle parti, facendo riferimento a circostanze quali l’ac- cettazione, da parte degli Z., senza riserva delle chiavi e della restituzione dei locali, la mancata pretesa del paga- mento del canone per gli ultimi giorni del giugno 1996, la quasi immediata nuova locazione dell’immobile e la mancata richiesta per anni dell’indennità di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatoremancato preavviso, che si pongono incofutabilmente come in- compatibili con la volontà delle parti stesse di mantene- re in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del localevita il rapporto di locazione. Il motivo di ricorso è inammissibileÈ infatti innegabile che l’accertamento giudiziale, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con circa la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione sussistenza di un atto negoziale è tipico accertamento accordo dei contraenti diretto a scio- gliere il rapporto contrattuale e risultante da un compor- tamento concludente delle parti stesse del tutto incom- patibile con la loro contraria volontà di mantenerlo in vigore, costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice giudi- ce di merito, incensurabile merito e come tale insindacabile in sede di legittimitàlegitti- mità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattualequando esso, di cui all'artcome si è visto, risulta sorretto da lo- gico e congruo apparato argomentativo. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostatoIl ricorso va perciò rigettato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolvala condanna dei ricor- renti, in realtàsolido tra loro, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una al pagamento delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattospese proces- suali.

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Samples: Contratto Preliminare Di Vendita Di Cosa Altrui

Motivi della decisione. 1L'attuale ricorrente prospetta la domanda di risarcimento danni quale conseguenza di un danno alla salute alla stessa causato dall'inosservanza, da parte della P.A., dei comuni canoni di diligenza e prudenza, integranti il precetto di cui all'articolo 2043 cod. Con civ., in applicazione dei quali la P.A. e' tenuta a far si' che i beni pubblici non costituiscano fonte di danno per il primo motivo privato. Ha, infatti, dedotto che il distacco di ricorso un muretto di contenimento di un costone roccioso posto alle spalle del fabbricato ove era ubicata la propria abitazione, aveva reso precaria la staticita' dell' appartamento abitato dall'attrice, imponendole, con provvedimento sindacale, l'immediato sgombero, per consentire al Comune gli interventi necessari. Al fine di ovviare al danno cosi' procurato alla Ma. , il Comune le aveva procurato temporaneamente altra sistemazione abitativa, protrattasi, peraltro, per circa undici anni; ma le carenze igienico-sanitarie della nuova abitazione avevano causato serie infermita' all'attuale ricorrente. Nel caso in esame, quindi, non e' prospettata la lesione del diritto della parte quale effetto di un comportamento materiale, espressione di poteri autoritativi, in conseguenza di atti posti in essere dall'ente pubblico di cui venga denunciata l'illegittimita', in materie riservate alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi (come quella della gestione del territorio; cfr. Cass. sez. un. n. 27187 del 2007), ma e' addebitata alla P.A. la cattiva gestione e l'omessa manutenzione di un proprio bene, in violazione delle disposizioni di legge e di regolamento, nonche' delle generali norme di prudenza e diligenza, imposte dal precetto del neminem laedere a tutela dell' incolumita' dei cittadini e dell' integrita' del loro patrimonio. Le Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato - ed a tale principio consolidato va data continuita' - che, in caso di inosservanza da parte della pubblica amministrazione, nella sistemazione e manutenzione di aree o beni pubblici (delle regole tecniche, ovvero) dei comuni canoni di diligenza e prudenza, ricorre la giurisdizione del giudice ordinario. E cio' perche' anche la manutenzione di tali beni pubblici deve adeguarsi alle regole di comune prudenza e diligenza, prima fra tutte quelli del neminem laedere di cui all' articolo 2043 cod. civ., in applicazione del quale la pubblica amministrazione e' tenuta a far si' che il bene pubblico non sia fonte di danno per il privato ( Sez. Un. ord., 22 dicembre 2010, n. 25982; Sez. Un. ord. 20 marzo 2008, n. 7442; Sez. Un. 20 ottobre 2006, n. 22521; Sez. Un. 28 novembre 2005, n. 25036 ). Non vale, in tal caso, invocare la giurisdizione esclusiva introdotta nella materia urbanistica dal Decreto Legislativo n. 80 del 1998, articolo 34, (nel testo sostituito dalla Legge n. 205 del 2000), perche' il dato normativo, ivi contenuto, rimanda ad attivita' che esprimono l'esercizio del potere amministrativo nella forma tipica degli atti o provvedimenti attraverso i quali si esterna l'attivita' amministrativa, ovvero attraverso comportamenti, che pero' debbono, pur sempre, essere ancorati, sia pure in via mediata, all'esercizio di un potere amministrativo. Ne deriva che, quando, come nel caso in esame, si sia in presenza di comportamenti (positivi ovvero omissivi) meramente materiali, che non risultino "espressione di una volonta' provvedimentale", ne' alla stessa comunque collegabili, tali comportamenti, pur se implicanti un uso del territorio non sono riconducibili alla materia urbanistica (Cass. sez. un. 9139/2003 e succ; Corte Costit. 191/2006). Ne' vale, in senso contrario, affermare - secondo la tesi prospettata dal ricorrente sostiene in memoria - che non si verterebbe in materia di beni pubblici, posto che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione causa della precarieta' dell'abitazione in questione non sarebbe dovuta al distacco del contratto laddovemuretto di contenimento, nell'interpretare ma al distacco di materiali lapidei dal costone roccioso e dalla mancanza del piede d'appoggio al " bordo di recinzione in cemento su detto costone roccioso". Da un lato, infatti, la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto precisazione e' irrilevante, posto che, in ogni caso, si tratterebbe, pur sempre, di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto modalita' attinenti ad un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltrebene pubblico; dall'altro, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di meritocontesta, in violazione dell'art. 1362 c.c.memoria, abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazionequanto dallo stesso richiamato, in modo tale chesede di ricorso (pag. 4), laddove afferma che la domanda risarcitoria proposta dalla Ma. si fondava su lamentati comportamenti omissivi e danni prodotti " dall'esercizio illegittimo di un potere e della funzione amministrativa afferente e discendente - in esito all'accertata situazione di instabilita' e pericolo in cui versavano le abitazioni dei sigg.ri Ma. Gi. (odierna attrice) e Ma. Fr. a causa del distacco di un costone roccioso posto nelle vicinanze delle predette costruzioni - dall'Ordinanza sindacale contingibile e urgente di sgombero ..."; concludendo che i danni alla salute lamentati "non trovano causa in un rapporto fra soggetti confinanti o nel dovere di neminem laedere tra soggetti in piano di parita', ma che sono piuttosto espressione di scelte urbanistico - edilizie riservate al potere della pubblica amministrazione" (pag. 6 del ricorso). Conclusione questa esclusa dalle considerazioni che precedono. E', pertanto, dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario. Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese, non avendo il ricorrente prodotto rumori molestil'intimata svolto attivita' difensiva. P.Q.M. La Corte di Cassazione, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazionepronunciando a Sezioni Unite, dichiara a giurisdizione del giudice ordinario. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattoNulla spese.

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Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'artsi deduce violazione degli artt. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti 1755 e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il motivo di ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 1759 c.c., abbia fatto uso e relativo difetto di motivazione, in quan- to erroneamente i giudici d’appello osservano che nella mediazione sarebbe “insito” un rapporto di mandato; si ag- giunge che “ciò è errato e forviante perché la mediazione presuppone la imparzialità del mediatore, che istituzio- nalmente non è ne’ può essere il rappresentante o comun- que il mandatario di una sola parte, se non rinunciando al proprio ruolo di intermediario imparziale e perdendo quindi il diritto alla provvigione” ed inoltre che “in senso contrario non può certo invocarsi il disposto della L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, là dove prevede l’iscrizione nel Ruolo, in un’apposita sezione, anche degli agenti muniti di mandato a titolo oneroso: iscrizione che ha il solo scopo di garantire la professionalità anche di tale categoria di soggetti, ma che non implica il venir meno della differenza ed incompatibilità oggettiva tra le due figure”; si afferma, infine, che erroneamente “nel nostro caso la Corte di merito ha ritenuto per l’appunto che l’accertamento della proprietà costituisse una verifica elementare, come tale dovuta dal mediatore in forza dell’obbligo di adeguamento della propria attività al criterio di interpretazione letterale diligenza professionale media”. Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1224 e 1277 c.c., e relativo difetto di motivazione, in quanto “errata è poi la sentenza della Corte d’Appello di Firenze nella parte in cui ha confermato la decisione del Tribunale di gravare l’importo di Euro 2.582,28 della riva- lutazione monetaria e degli interessi legali sulla somma così rivalutata”; si aggiunge che “la mera condanna alla restituzione della provvigione era invece in astratto giu- stificata dal ritenuto inadempimento del mediatore, ma costituiva all’evidenza debito di valuta, giacché l’obbligo restitutorio si concretizza nel pagamento della stessa som- ma ricevuta, cioè di un tantundem già predeterminato nel suo ammontare” e che “la Corte di merito dimentica anche che il danno da svalutazione nelle obbligazioni pecunia- rie va dimostrato come danno ulteriore ex art. 1224 c.c., comma 2”. Il ricorso è infondato in relazione a entrambi i suddetti motivi. Riguardo alla doglianza di cui al primo motivo avente ad oggetto la natura della mediazione e la “misura” della responsabilità del mediatore, considerate dal Giudice della Corte territoriale come entrambe ricon- ducibili al “rapporto di mandato”, rapporto non ritenuto invece sussistente dall’odierna ricorrente, con conseguen- te esclusione dell’obbligo di diligenza professionale in ordine alla comunicazione di tutti i dati e le circostanze, note al mediatore o comunque dallo stesso conoscibili del- l’immobile oggetto di compravendita, occorre rilevare che la censura non è meritevole di accoglimento, pur doven- dosi provvedere a rivisitare le argomentazioni dei Giudici di secondo grado. Xxxxxxx in proposito osservare, anche sulla base, in parte, di quanto recentemente affermato da questa Corte (in particolare le sentenze nn. 24333/2008 e 19066/2006) che, oltre alla mediazione c.d. ordinaria o tipica di cui all’art. 1754 c.c., consistente in un attività giuridica in senso stretto, è configurabile una “mediazione” di tipo contrattuale che risulta correttamente riconducibile, più che ad “una mediazione negoziale atipica”, al contratto di mandato. Accanto, infatti, all’ipotesi delineata dall’art. 1754 c.c., i disposti di cui agli artt. 1756 e 1761 c.c., supportano l’eventuale configurazione di un vero e proprio rapporto di mandato ex art. 1703 c.c.. La previsione tipica di cui all’art. 1754 c.c., individuan- do nel mediatore “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza integrarlo essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione di dipen- denza o di rappresentanza”, pone in rilievo tre aspetti: a) l’attività di mediazione prescinde da un sottostante ob- bligo a carico del mediatore stesso, perché posta in essere in mancanza di un apposito titolo (costituente rapporto subordinato o collaborativo); b) “la messa in relazione” delle parti ai fini della conclusione di un affare è dunque qualificabile come di tipo non negoziale ma giuridica in senso stretto; c) detta attività si collega al disposto di cui all’art. 1173 c.c., in tema di fonti delle obbligazioni, e, spe- cificamente, al derivare queste ultime, oltre che da con- tratto, da fatto illecito, o fatto, da “ogni altro atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” (nel senso, quindi, che l’attività del mediatore è dallo stesso le- gislatore individuata come fonte del rapporto obbligatorio nel cui ambito sorge il diritto di credito alla provvigione di cui all’art. 1756 c.c.). Appare preferibile ritenere l’attività in oggetto (per quanto “di regola” previsto nel codice civile) quale giu- ridica in senso stretto e non negoziale, non solo perché, riconducendosi all’antica distinzione tra atto e negozio, gli effetti della stessa sono specificamente predeterminati dallo stesso legislatore (con particolare riferimento a det- ta provvigione) ma soprattutto perché non vi è alla base della stessa un contratto (rectius: regolamento di interes- si “preventivamente” concordato dal mediatore con una o più parti); ciò comporta che il criterio logico e cioè mediatore, sempre per quanto configurato nell’art. 1754 c.c., acquista il diritto alla provvigione (a condizione della conclusione dell’af- fare) non abbia in virtù di un negozio posto in correlazione l'obbligo essere ai sensi dell’art. 1322 c.c., (in tema di autonomia contrattuale) ed i cui effetti si producono ex art. 1372 c.c. (“il contratto ha forza di legge tra le parti”, nel senso che l’efficacia con- trattuale è giuridicamente vincolante) bensì sulla base di un mero comportamento (la messa in relazione di due o più parti) che il legislatore riconosce per ciò solo fonte di un rapporto obbligatorio e dei connessi effetti giuridici. Ciò non produrre rumori molesti toglie, per come già esposto, che l’attività del c.d. mediatore possa essere svolta anche sulla base di un con- tratto di mandato. Per definizione, l’affidamento di un incarico “col quale una parte si obbliga a compiere uno più atti giuridici per conto dell’altra” da luogo al contratto di mandato ex art. 1703 c.c., (oltre che ad alcune particolari figure di con- tratto, quali la commissione, la spedizione e l’agenzia di cui rispettivamente agli artt. 1731, 1737 e 1742 c.c., in cui il nucleo essenziale degli interessi dei soggetti contraenti, caratterizzato da un’attività giuridica posta in essere da una parte per conto dell’altra, con l'obbligo presunzione di effettuare le opere onerosi- tà, e individuante la causa, è analogo a quello tipizzante il mandato stesso ed è altresì specificato; nella commissione: acquisto o vendita di insonorizzazionebeni per conto del committente e in nome del commissionario; nella spedizione: conclusione di un contratto di trasporto in nome proprio e per conto del mandante; nell’agenzia: promozione, in modo tale chestabile, non avendo il ricorrente prodotto rumori molestiper la conclusione di contratti in una zona determinata). Ne deriva, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo come spesso avviene nella prassi (e come è fa- cile rinvenire nei contratti standard di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da mediazione immo- biliare, ove appunto si indica, nella maggior parte della corte territorialedei casi, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxxun mandato o un incarico a vendere o ad acquistare beni immobili), sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione dei fatti. L'interpretazione mediatore in molti casi agisca non sulla base di un atto negoziale è tipico accertamento comportamento di mera messa in fatto riservato al giudice contatto tra due o più soggetti per la conclusione di merito, incensurabile un affare (attività giuridica in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c. e segg. senso stretto che prescinde da un sottostante titolo giuridico) ma proprio perché “incaricato” da una o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (in questo senso Cass. n. 10554 del 2010). All'interno del medesimo motivo il ricorrente lamenta anche che la corte abbia mal motivato il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, più parti ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattualeconclusione dell’affare (generalmen- te in ordine all’acquisto o alla vendita di un immobile); in tal caso risulta evidente che l’attività del mediatore - man- datario è conseguenziale all’adempimento di un obbligo di tipo contrattuale (e dunque, ai motivi personali ex art. 1173 c.c., questa volta riconducibile al contratto come fonte di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo motivo di ricorso, il terzo) e non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattoobbligazioni).

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Motivi della decisione. 1Il primo motivo di appello è infondato. Con Infatti, dall'esame del contratto di locazione del 10/1/2000, sottoscritto dalla sig.ra (...) e dal sig. (...), non emerge alcuna circostanza da cui poter inferire che l'immobile di Via (...) non fosse idoneo all'uso "ufficio" concordato dalle parti con il contratto stesso. Del resto, si deve presumere che, ove effettivamente detto immobile non fosse stato idoneo all'uso che il conduttore -con l'accordo della locatrice- intendeva farne, non avrebbe sottoscritto il contratto stesso o, comunque, avrebbe preteso che di tale circostanza fosse dato espressamente conto nello stesso contratto, convenendo, eventualmente, che il canone di locazione fosse da lui versato solo a partire dal momento in cui l'immobile fosse stato reso idoneo a tale uso, previa apposita ristrutturazione connessa alle specifiche condizioni del bene locato. Al contrario, le parti non fecero mai menzione di tale circostanza nel contratto, mentre il semplice fatto che il conduttore sia stato autorizzato dalla locatrice "alla ristrutturazione dei locali" a propria cura e spese non permette di collegare tale attività ad una effettiva condizione di inidoneità del locale all'uso pattuito. Giova poi evidenziare che il giudicante di prime cure, a differenza di quanto sostenuto dall'odierno appellante, non risulta aver mai affermato "che non sia onere del locatore fornire un appartamento idoneo all'uso concordato", essendosi limitato solo a statuire che gli obblighi previsti a carico del locatore dagli artt. 1575 e 1576 c.c. non comprendono l'esecuzione di opere di modificazione o trasformazione della cosa locata tali da rendere il bene stesso idoneo alle specifiche esigenze del conduttore, tranne il caso in cui sia stata, nello stesso contratto, specificamente garantita l'idoneità dell'immobile ad un determinato uso: ipotesi, questa, che nel contratto in questione non è assolutamente ravvisabile, essendosi le parti limitate solo a convenire genericamente l'uso dell'immobile come "ufficio". Ne consegue che i lavori svolti dal conduttore a seguito dell'accoglimento della sua generica richiesta di essere autorizzato alla "ristrutturazione dei locali" non possono essere ritenuti indispensabili per rendere l'immobile locato idoneo ad essere utilizzato come ufficio, con la conseguenza che essi non potevano incombere a carico della locatrice. Ne deriva che del tutto inconferenti si appalesano le richieste probatorie avanzate dall'appellante che, pertanto, debbono essere disattese, con la conseguenza che il primo motivo di ricorso appello deve essere respinto. Analoghe considerazioni, poi, valgono per il ricorrente sostiene che la corte d'appello avrebbe violato le norme sull'interpretazione del contratto laddove, nell'interpretare la clausola contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione (che opportunamente riproduce), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere alla insonorizzazione dei locali fosse autonomo rispetto all'obbligo di non produrre rumori molesti e non collegato nè subordinato all'eventuale produzione di rumori molesti all'interno del locale condotto in locazione ed adibito a paninoteca, oltre i limiti ed orari di legge. Inoltre evidenzia la violazione dei canoni di interpretazione anche sotto un diverso profilo, ovvero per aver dato ingresso, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, al motivo individuale del locatore, che in quanto abitante nell'appartamento sovrastante era particolarmente interessato alla insonorizzazione del locale. Il secondo motivo di ricorso è inammissibilecensura, prima ancora che infondato. In primo luogo il quesito con il quale esso termina è astratto, non contenendo alcun riferimento agli elementi della fattispecie concreta. Inoltre, il ricorrente propone con esso due diverse censure relative a due distinte ipotizzate violazioni. Con l'appellante ha nuovamente sostenuto che la prima il ricorrente censura l'interpretazione data dalla corte d'appello all'art. 7 del contratto di locazione riproponendone la propria interpretazione. Il ricorrente lamenta che il giudice di merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., abbia fatto uso del solo criterio di interpretazione letterale del contratto senza integrarlo con il criterio logico e cioè non abbia posto in correlazione l'obbligo di non produrre rumori molesti con l'obbligo di effettuare le opere di insonorizzazione, in modo tale che, non avendo il ricorrente prodotto rumori molesti, egli non sarebbe stato neppure soggetto all'obbligo di eseguire le opere di insonorizzazione. Non sussiste violazione dell'art. 1362 c.c. da parte della corte territoriale, non contenendo la motivazione violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale nè vizi logici. Xxxxxxxxx, sembra che il ricorrente tenda a contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella operata dalla corte d'appello per indurre questa corte di legittimità, inammissibilmente, ad locatrice gli avesse manifestato un nuovo giudizio che abbia per oggetto la ricostruzione espresso consenso all'esecuzione dei fatti. L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, miglioramenti di cui all'art. 1362 1592 c.c.. Infatti, secondo il costante insegnamento della Corte di Cassazione, cui questa Corte di merito aderisce, "nel contratto di locazione, il diritto del conduttore alla indennità per i miglioramenti della cosa locata presuppone, ai sensi dell'art. 1592 c.c., che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore, e segg. o tale consenso, importando cognizione dell'entità, anche economica, e della convenienza delle opere, non può essere implicito, né può desumersi da atti di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenutitolleranza, ma occorredeve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le eseguite innovazioni, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni così che la mera consapevolezza (o la mancata opposizione) del locatore riguardo alle stesse non legittima il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa conduttore alla richiesta dell'indennizzo" (in questo senso Cass. n. 10554 del 201015317/2019; nello stesso senso, vedi Cass. n. 4532/2019, n. 2494/2009 -riportata dallo stesso giudice di prime cure- e n. 6094/2006). All'interno Inoltre, ai sensi dell'art. 2967 c.c., grava sul conduttore che chieda l'indennità ex art. 1592 c.c. per i miglioramenti apportati alla cosa locata, l'onere di provare il consenso del medesimo motivo locatore alla loro esecuzione, trattandosi di fatto costitutivo del preteso diritto (Cass. n. 14/2017; 17861/2007; 2740/1988). Ciò premesso, dall'esame degli atti emerge solamente la dimostrazione che il ricorrente lamenta anche sig. (...), in occasione dell'invio della missiva datata 10/2/2000, comunicò alla sig.ra (...) i lavori di ristrutturazione che egli aveva in animo di effettuare all'interno dell'immobile locato, da lui personalmente ritenuto "inabitabile", senza però ottenere una risposta al riguardo e, tanto meno, una risposta interpretabile quale inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare possibili innovazioni; inoltre, la circostanza che la corte locatrice non abbia mal motivato espressamente manifestato un dissenso al riguardo, a differenza di quanto sostenuto dall'appellante non può essere interpretato quale specifica approvazione all'effettuazione dei miglioramenti di cui agli artt. 1592 e/o 1593 c.c., soprattutto ove si consideri che la sig.ra (...), in occasione della stipula del contratto, aveva già accolto la generica richiesta del conduttore di procedere ad una ristrutturazione dell'immobile a sua esclusiva cura e spese. Riguardo, poi, alla mancata ammissione della prova testimoniale richiesta, secondo cui la sig.ra (...), "in un incontro avvenuto in Ostia presso un negozio di ottica all'incirca fine marzo-inizio aprile 2000", venne informata dal conduttore che nell'immobile locato erano stati eseguiti i lavori in questione, dimostrandosi contenta della loro effettuazione, l'estrema genericità della stessa giustificava -e tutt'ora giustifica- una valutazione in termini di completa inammissibilità. Ne consegue che anche il punto della sentenza relativo alla gravità dell'inadempimento per aver dato ingresso, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento nell'economia contrattuale, ai motivi personali di una delle parti. Quest'ultima appare essere una censura autonoma che andava sussunta sotto la violazione della norma sulla gravità dell'inadempimento (denunciata dal ricorrente con autonomo secondo motivo di ricorso, il terzo) e appello non sotto quella della interpretazione dei contratti, rispetto alla quale non costituisce un'unica censura; il denunciato vizio di motivazione manca poi totalmente del necessario punto di sintesi in fattopuò che essere respinto.

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