FATTI DI CAUSA Clausole campione

FATTI DI CAUSA. 1. Con sentenza n. 3018/2018, del 10 dicembre 2018, il Tribunale di Taranto ha accolto il gravame promosso da V.M. contro la decisione del Giudice di Pace di quella stessa città, resa il 18 maggio 2016, reiettiva della domanda risarcitoria proposta dal primo, nei confronti di Alitalia s.p.a., in relazione ai danni lamentati per la ritardata consegna del proprio bagaglio in occasione del volo di linea ***** del *****. Per quanto qui di residuo interesse, quel tribunale: i) ha ritenuto applicabile ratione materiae la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 e non contestata la mancata consegna del bagaglio all’arrivo all’aeroporto di *****; ii) ha escluso che il V. fosse incorso in qualsivoglia decadenza, avendo egli inviato il reclamo all’Alitalia s.p.a. nel termine di 21 giorni, giusta la menzionata Convenzione, art. 31, comma 2; iii) ha considerato corretta la quantificazione della pretesa risarcitoria dell’appellante “per gli esborsi effettuati per procacciarsi articoli di abbigliamento e medicinali per far fronte ai bisogni ordinari connessi con il soggiorno negli U.S.A.” ed ha condannato l’Alitalia s.p.a. al pagamento, in favore del primo, della somma di 2.275,00; iv) ha respinto, infine, la domanda di manleva ivi riproposta dall’appellata contro American Airlines ritenendo “mancata la prova dell’ascrivibilità del ritardo della compagnia evocata in giudizio”.
FATTI DI CAUSA. Il tribunale di Cremona, con sentenza dell'8/4/2014, ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato, in data 15/6/2008, tra l'attore L.G., promissario acquirente, ed i convenuti C.S. e P.P., promittenti venditori, ed ha condannato questi ultimi al pagamento, a titolo di restituzione dell'indebito, della somma complessiva di Euro 157.200,00, oltre rivalutazione e interessi. C.S. e P.P. hanno proposto appello avverso la sentenza del tribunale deducendo, in sostanza, che, da un lato, non risultava la disponibilità del L. a versare il saldo del prezzo e a stipulare il contratto definitivo e, dall'altro lato, che gli appellanti, a fronte dei versamenti delle caparre confirmatorie, avevano concesso numerose proroghe fino al rifiuto di accordare nuove dilazioni oltre il mese di (OMISSIS), con la conseguenza che, per l'inadempimento del promissario acquirente, avevano legittimamente receduto dal contratto preliminare ed avevano, quindi, il diritto di trattenere le somme ricevute a titolo di caparra confirmatoria. L.G. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto. La corte d'appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l'appello ed ha, per l'effetto, confermato la sentenza impugnata. La corte, in particolare, ha ritenuto che l'accettazione del versamento, in data (OMISSIS) e cioè dopo la scadenza del termine del 13/4/2009, concordato in data 12/3/2009, costituiva un comportamento concludente, conforme a quelli posti in essere fino a quel momento dal C. e tale, quindi, da legittimare l'affidamento in una proroga del termine. La corte, poi, ha dichiaratamente condiviso l'affermazione del tribunale lì dove il primo giudice aveva ritenuto che la diffida ad adempiere del 14/4/2009 non avesse prodotto gli effetti tipici dell'atto in quanto spedita dagli appellanti al L. ad un indirizzo diverso da quello risultante dal contratto preliminare (senza che gli stessi abbiano fornito elementi per ritenere che a tale differente indirizzo il destinatario potesse validamente ricevere la diffida) e non ritirata per compiuta giacenza. Pertanto, ha aggiunto la corte, pur a voler ritenere - "per mera ipotesi", posto che nessun elemento di prova depone in tal senso - che in occasione del versamento del (OMISSIS) il promittente venditore avesse per le vie brevi comunicato al L. di non volergli concedere termine oltre la fine di (OMISSIS) per la stipula del rogito notarile, tale comunicazione non poteva ritenersi equipollente a una ...
FATTI DI CAUSA. 1. Come si legge nella sentenza impugnata, con atto di citazione notificato il 18 dicembre 2001, C.S. ed Z.E., premesso che avevano stipulato con N.M.N. e T.G. un contratto preliminare per l’acquisto di un fabbricato in [Omissis] e delle aree scoperte di pertinenza, che, a termini dell’accordo, l’immobile, già ristrutturato, avrebbe dovuto essere consegnato il 30 giugno 2001 al prezzo di lire 300 milioni, che, alla firma del pre- liminare, avevano versato la caparra confirmatoria di lire 100.000.000, che, decorso invano il termine pattuito, avevano integrato, in data 12 luglio 2001, il contratto preliminare, prevedendo l’acquisto di un’ul- teriore porzione di immobile dello stesso compendio per ulteriori lire 300 milioni e il versamento di una caparra confirmatoria di lire 50 milioni e procrasti- nando la data di consegna del bene, che, nelle more, avevano messo in vendita la propria abitazione, pro- mettendo di consegnarla entro il 15 novembre 2001, che, nel settembre 2001, avevano scoperto che non era stata mai rilasciata alcuna concessione edilizia e che l’immobile non era stato frazionato, né era fra- zionabile, che, pertanto, avevano inizialmente chiesto la restituzione della somma di lire 200 milioni fino ad allora versata e successivamente valutato, invece, l’acquisto dell’intero compendio, con versamento di un’ulteriore somma che avrebbe consentito di liberare il bene dall’ipoteca, che, appreso della demanialità di una parte dell’immobile, avevano chiesto di ridiscute- re il prezzo, indicato dai T. in lire 900 milioni, e che, al loro rifiuto, questi ultimi avevano loro comunicato il recesso per inadempimento, convennero in giudizio i promittenti venditori, onde ottenere la risoluzione per inadempimento del preliminare, il versamento del doppio della caparra e il risarcimento del danno. Costituitisi in giudizio, i coniugi T. addebitarono ad essi l’inadempimento, domandando lo scioglimento dei contratti per manifestazione dello ius variandi delle parti e l’accertamento dell’illegittima interruzio- ne delle trattative, con condanna al risarcimento dei danni. Emesso, in corso di causa, il sequestro conserva- tivo dei beni dei convenuti, il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 2582/2007 del 7 settembre 2007, dichiarò l’inammissibilità della domanda di accerta- mento della nullità dei contratti preliminari, accertò e dichiarò l’impossibilità di esecuzione degli stessi e condannò i convenuti, in solido, a pagare la somma di Euro 106.937,07, oltre interes...
FATTI DI CAUSA. 1. Con ricorso depositato il 27 giugno 2008 i signo- ri (OMISSIS) e (OMISSIS), comproprietari di un’unità immobiliare posta al settimo piano dell’edificio del
FATTI DI CAUSA. 1. I lavoratori meglio indicati in epigrafe, docenti di religione cattolica presso la scuola pubblica, hanno agito presso il Tribunale di Viterbo nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca (di seguito, MIUR), esponendo di aver prestato servizio, in forza di rapporti in successione a tempo determinato, fin dal 24 ottobre 2001 ed insistendo per il riconoscimento dell’illegittimità dei termini apposti ai contratti, con conversione a tempo indeterminato e risarcimento del danno. Il Tribunale di Viterbo, ritenuta l’assenza di causale giustificativa e dando atto della continua reiterazione dei rapporti ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno che ha liquidato, secondo i parametri di cui all’art. 32, co. 5, L. 183/2010, in importi variabili, per ciascuno dei ricorrenti, da 6 a 7,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e rigettando invece la domanda di conversione dei rapporti a tempo indeterminato. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’AppelloNudmieroRdoi rmaccaol,ta cgehneerale 19044/2022 ha disatteso sia l’appello principale del MIUR, sia quello incidentale dei lavoratori, quest’ultimo finalizzato ad insistere per la conversione a tempo indeterminato dei rapporti di docenza.
FATTI DI CAUSA. 1. Nel 2011 la società Alfa concesse in affitto alla società Beta l'azienda commerciale di proprietà della prima, avente ad oggetto l'attività di ristorazione e gestione di un ristorante, una piscina ed un lido balneare. Nel 2012 l'affittante convenne dinanzi al Tribunale di Tempio Pausania, sezione di Olbia, l'affittuaria, chiedendo che il Tribunale accertasse l'avvenuta risoluzione automatica del contratto, ex art. 1456 c.c., in virtù di una clausola risolutiva espressa. Dedusse che il contratto prevedeva la risoluzione automatica nel caso di omesso pagamento del canone da parte dell'affittuaria, e che quest'ultima aveva omesso di pagare i canoni dovuti per l'anno 2012, nonchè le spese condominiali dovute per gli anni 2011 e 2012.
FATTI DI CAUSA. 1. La Corte d'appello di Genova, con sentenza del 16.12.2016, respingeva il gravame proposto da e da altri litisconsorti - ex dipendenti di s.p.a. con qualifiche e mansioni di
FATTI DI CAUSA. 1. La Corte d'Appello di Lecce, respingendo l'appello principale e incidentale proposti avverso la sentenza del Tribunale della stessa citta', ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato la nullita' dei contratti di lavoro a termine, intercorsi nel periodo tra il 12 dicembre 2002 e il 5 gennaio 2009, tra il Comune di e , aveva rigettato la domanda di conversione a tempo indeterminato di tali rapporti e aveva condannato il Comune al risarcimento del danno in favore del lavoratore, quantificato nella misura corrispondente a quindici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
FATTI DI CAUSA. La Corte d'appello aveva respinto il reclamo di una lavoratrice avverso la sentenza di primo grado che aveva confermato l'ordinanza di rigetto dell'impugnativa del licenziamento intimato dalla società per superamento del periodo di comporto, per assenze protratte oltre 180 giorni a causa di infortunio. La Corte territoriale argomentava che le assenze per infortunio sul lavoro o malattia professionale rientravano nella disciplina di cui all'art. 2110 c.c. e erano computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro, la cui determinazione è rimessa, dalla citata disposizione, alla legge, alle norme collettive, agli usi o all'equità. Rilevava come il c.c.n.l. fissava, per la disciplina di conservazione del posto in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale, il periodo di comporto in 180 giorni. Escludeva anche che l'infortunio occorso alla lavoratrice avesse avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni o comunque presenti nell'ambiente di lavoro oppure in inadempienze del datore di lavoro agli obblighi imposti dall'art. 2087 c.c..
FATTI DI CAUSA. 1. (omissis) docente di religione cattolica presso la scuola pubblica, ha agito presso il Tribunale di Avezzano nei confronti del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (di seguito, MIUR), esponendo, per quanto qui ancora interessa, di aver prestato servizio, in forza di reiterati rapporti a tempo determinato, continuativamente dall'anno scolastico 1993/1994 fino all'epoca di deposito del ricorso in primo grado (anno scolastico 2011/2012) ed insistendo, sul presupposto di essere stato dichiarato idoneo nella graduatoria del concorso del 2004, per la declaratoria del suo diritto all'assunzione a tempo indeterminato e comunque per il risarcimento del danno, anche per abusiva reiterazione dei rapporti a termine. Il Tribunale di Avezzano ha riconosciuto il solo diritto al risarcimento del danno per abusiva reiterazione dei rapporti a termine, che ha liquidato, secondo i parametri di cui all'art. 32, co. 5, L. 183/2010, in misura di 10 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, rigettando invece la domanda di accertamento del diritto all'assunzione. La sentenza è stata confermata dalla Corte d'Appello di L'Aquila, la quale ha rigettato sia il gravame principale del MIUR, sia quello incidentale del lavoratore, con cui egli aveva insistito per la conversione del rapporto a tempo indeterminato.