Common use of Motivi della decisione Clause in Contracts

Motivi della decisione. Con unico motivo il ricorrente denunzia “error in ludicando per difetto di giuri- sdizione”, in riferimento all’art. 360, c. 1, n. 1, c.p.c.; nonché violazione degli artt. 111 Cost., 1, cc. 231 e 232, l. n. 266/2005. Si duole che i giudici contabili abbiano erroneamente ritenuto «tardiva, “in quanto domanda nuova pro- posta per la prima volta in udienza dopo l’apertura della discussione (artt. 183, c. 5, e 359 c.p.c.)”», l’istanza di definizione agevolata (c.d. condono) della controversia ex art. 1 l. n. 266/2005, laddove non risultano a tali fini indicate “norme di rito” ma solo “i presupposti per la presentazione e l’accoglimento della stessa”, sicché “l’unico termine da osservare era quello per il deposito, che è stato rispettato, visto che la notifica è stata effet- tuata il 22 gennaio e (anche a voler prendere in considerazione il deposito in udienza) il deposito è avvenuto il 6 febbraio, rispettando il termine perentorio”. Lamenta che non essendo stata “esaminata nel merito” siffatta istanza, “la Corte dei conti ha di fatto [...] rifiutato di erogare la tutela giurisdizionale richiestale dall’odierno ricorrente, cosi violando i limiti esterni della giurisdizione”. Il ricorso è inammissibile.

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Samples: Corte Di Cassazione

Motivi della decisione. Con unico il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 608 cpc, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto che il ricorrente denunzia “error processo esecutivo si fosse concluso con il compimento delle attività descritte nella norma suddetta, senza tener conto del fatto se le esecutanti avessero con- seguito o meno la materiale disponibilità del bene. Con il secondo motivo lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, nonché violazione dell’art. 2909 c.c., avendo la Corte di merito er- roneamente ritenuto che l’accordo intervenuto tra le parti non avesse comportato il differimento della materiale ri- consegna dell’immobile ed essendo la sentenza impugnata palesemente in ludicando per difetto contrasto con il giudicato formatosi sul provvedimento di giuri- sdizione”rigetto dell’azione possessoria, in riferimento emesso dal Tribunale sul presupposto che il processo esecutivo avente ad oggetto la riconsegna dell’immobile non potesse considerarsi concluso il 14 settembre 1999. Con il terzo motivo denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo con ri- ferimento all’art. 360, c. 1, n. 1, c.p.c.; nonché violazione degli artt. 111 Cost1591 c.c., 1, cc. 231 e 232, l. n. 266/2005. Si duole che i giudici contabili abbiano erroneamente ritenuto «tardiva, “in quanto domanda nuova pro- posta per la prima volta in udienza dopo l’apertura della discussione (artt. 183, c. 5, e 359 c.p.c.)”», l’istanza di definizione agevolata (c.d. condono) della controversia ex art. 1 l. n. 266/2005, laddove non risultano a tali fini indicate “norme di rito” ma solo “i presupposti per la presentazione e l’accoglimento della stessa”, sicché “l’unico termine da osservare era quello per il deposito, che è stato rispettato, visto che la notifica è stata effet- tuata il 22 gennaio e (anche a voler prendere in considerazione il deposito in udienza) il deposito è avvenuto il 6 febbraio, rispettando il termine perentorio”. Lamenta che non essendo stata “esaminata nel merito” siffatta istanza, “avendo la Corte dei conti ha di fatto [...] rifiutato merito tenuto conto della circostanza che, continuando La Gri- glia d’Oro a pagare l’indennità d’occupazione senza titolo ai sensi della norma predetta, il procedimento esecutivo di erogare la tutela giurisdizionale richiestale dall’odierno ricorrente, cosi violando i limiti esterni della giurisdizione”. Il ricorso è inammissibilerilascio non poteva considerarsi ancora terminato.

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Motivi della decisione. l. Con unico il primo motivo il ricorrente denunzia “error in ludicando per difetto C. L. lamenta -come da rubrica- violazione e falsa applicazione di giuri- sdizione”norme di diritto, in riferimento all’art. 360, c. 1, n. 1, c.p.c.; nonché violazione degli artt. 111 Cost., 1, cc. 231 e 232, l. n. 266/2005. Si duole che i giudici contabili abbiano erroneamente ritenuto «tardiva, “in quanto domanda nuova pro- posta per la prima volta in udienza dopo l’apertura della discussione (artt. 183, c. 5, e 359 c.p.c.)”», l’istanza di definizione agevolata (c.d. condono) della controversia ex art. 1 l. 360 n. 266/2005, laddove non risultano a tali fini indicate “norme di rito” ma solo “i presupposti per la presentazione e l’accoglimento della stessa”, sicché “l’unico termine da osservare era quello per il deposito, che è stato rispettato, visto che la notifica è stata effet- tuata il 22 gennaio e (anche a voler prendere 3 cpc. in considerazione il deposito in udienza) il deposito è avvenuto il 6 febbraio, rispettando il termine perentorio”relazione all’art. Lamenta che non essendo stata “esaminata nel merito” siffatta istanza, “1180 cod. civ. Avrebbe errato la Corte dei conti ha di fatto [...] rifiutato di erogare la tutela giurisdizionale richiestale dall’odierno Salerno, secondo il ricorrente, cosi violando per aver escluso che l’atto stragiudiziale del 19 settembre 1993 non integrasse gli estremi di un’offerta di pagamento da parte di E. e di C. ex art. 1180 cod. civ. In particolare, secondo il ricorrente, non sarebbe fondata l’affermazione della Corte di merito secondo cui l’offerta di adempimento di cui all’atto stragiudiziale del 29 settembre 1993 non era (come, invece, richiederebbe l’art. 1180 cod. civ.) specifica e conforme all’obbligazione del debitore, perché nel momento in cui E. e C. si offrirono di. sostituirsi al R. per le prestazioni verso la s.a.s. C, V,, non potevano che riferirsi alle prestazioni non eseguite e, quindi, con tutta evidenza, a quella parte di prezzo che risultasse ancora non versata. Non sarebbe fondata, secondo il ricorrente, neppure l’affermazione della Corte salernitana che l’offerta di adempimento, non integrasse gli estremi di un intervento, come invece sarebbe dovuto essere. spontaneo, unilaterale, cioè, non legato da precedenti accordi o convenzioni. considerato che i limiti esterni sigg. C. ed E. nonostante legati da un vincolo contrattuale con il sig. R. non avevano alcun obbligo di adempiere il suo debito nei confronti della giurisdizione”sas C. V. rispetto alla quale venivano a connotarsi come terzi. Il ricorso è inammissibile.Piuttosto, specifica ancora, il ricorrente, l’adempimento che C. ed E. proponevano era del tutto spontaneo ed unilaterale, nonché incondizionato per come risulta proposto, appare evidentemente conforme in modo totale alla prestazione originariamente dovuta dal sig. R.

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Motivi della decisione. La controricorrente ha dedotto la inammissibilità del ricorso, risultandovi indicato un codice fiscale non corrispondente a quello di parte ricorrente. Oltre che speciosa, l’eccezione è del tutto inconsistente. L’errata indicazione del codice fiscale nell’atto introduttivo del giudizio, peraltro non prevista da alcuna disposizione del codice di rito, non può non avere alcun effetto invalidante l’atto medesimo sotto il profilo della identificazione del suo autore. Del resto, anche l’omessa o erronea indicazione dei requisiti di cui all’articolo 143 comma 1 Cpc produce nullità (e non certo inammissibilità) soltanto se comporti l’impossibilità di identificare con sicura certezza il postulante (Cassazione 3745/94, 2895/97). Senza considerare, poi, che qualunque ipotetica nullità dell’atto ricorso, riconducibile a quelle previste e regolate dall’articolo 164 Cpc, comma 1, sarebbe stata nella specie sanata per effetto del raggiungimento dello scopo, identificabile nello svolgimento, da parte della N., di compiute difese nel merito della controversia, per mezzo del tempestivo controricorso. Con unico l’unico motivo del ricorso, denunziando la violazione degli articoli 143 e 151 Cpc, il G. lamenta che la corte palermitana, al pari del tribunale, ha omesso di valutare comparativamente i comportamenti dei coniugi aifini della dichiarazione di addebito e valorizzato soltanto alcune delle affermazioni da lui fatte in sede di interrogatorio formale. Da quelle pretermesse si sarebbe potuto evincere che la decisione di interrompere ogni rapporto, anche di natura sessuale, con la moglie, pur continuando i coniugi a vivere sotto lo stesso tetto, era stata determinata dalla condotta di quest’ultima. Facendo venire sono l’affectio maritalis, la consorte aveva, infatti, preso le difese del fratello, che, per difendersi dalle proprie responsabilità gestionali, lo aveva ingiustamente accusato di essersi appropriato di somme appartenenti alla cooperativa edilizia che aveva costruito la casa coniugale. Da nessun atto del giudizio, soggiunge il G., era lecito inferire che l’interruzione dei rapporti sessuali fosse stata frutto di una determinazione unilaterale, e ancor meno da ricollegare a una intrapresa relazione adulterina. Il ricorrente imputa, infine, alla corte territoriale di avere ritenuto offensivo per la moglie l’atteggiamento affettuoso da lui tenuto verso una collega d’ufficio, laddove null’altro era emerso in corso di causa se non che egli era solito viaggiare con la donna per recarsi al posto di lavoro e che in un’occasione aveva ritirato presso l’ufficio postale una raccomandata a lei diretta. Il motivo appare inammissibile nella sua formulazione, in quanto, nonostante il richiamo formale a vizi di violazione di legge, si risolve in una serie di censure di mero fatto, diretta a contrastare la valutazioni compiute nella sentenza impugnata e a proporre una diversa ricostruzione dei fatti, ed una diversa lettura del materiale probatorio acquisito, del quale si sostiene la idoneità a dimostrare la responsabilità del G. nel fallimento dell’unione coniugale. In particolare, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la corte di merito non ha affatto disatteso il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale l’indagine sull’intollerabilità della convivenza deve essere svolta sulla base della valutazione globale e comparativa dei comportamenti di entrambi i coniugi, dacchè la condotta dell’uno non può essere giudicata senza un raffronto con quella dell’altro, e solo tale comparazione consente di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano rivestito, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crsi matrimoniale (vedi, tra le altre, Cassazione 14162/01, 279/00, 2444/99, 7817/97, 3511/94, 961/92). Per vero, il giudice a quo ha avviato e condotto la sua indagine proprio seguendo questa prospettiva. Sennonché egli è arrivato alla ineccepibile conclusione che il comportamento provatamente mantenuto dal G., costituendo lesione alla dignità, di donna e di moglie, della N., e non potendo giustificarsi per l’evidente sproporzione, come atto di ritorsione alla dedotta provocazione dell’altro coniuge, era tale da rendere di per se addebitabile la separazione, sottraendosi, quindi, al giudizio comparativo. Ciò in applicazione di altro principio su cui questa Suprema Corte è uniformante orientata. E’ stato infatti più volte affermato che nell’ipotesi in cui i fatti accertati a carico di un coniuge integrino violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili, in quanto si traducano nell’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale e la dignità dell’altro coniuge, così superando la soglia minima di solidarietà e di rispetto per la personalità del partner, essi sfuggono ad ogni giudizio di comparazione, non potendo in alcun modo essere giustificati come atti di reazione o ritorsione rispetto al comportamento dell’altro (Cassazione 15101/04, 5397/89, 6256/87, 2809/78). Quindi, la valutazione dei comportamenti dei coniugi effettuata dal giudice a quo è conforme a diritto non potendosi dubitare che il rifiuto, protattosi per ben sette anni, di intrattenere normali rapporti affettivi e sessuali con il coniuge costituisca gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner e situazione che oggettivamente provoca senso di frustrazione e disagio, spesso causa, per come è notorio, di irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico. Consimile contegno, pertanto, configura e integra violazione del dovere di assistenza morale e materiale sancito dall’articolo143 Cc, nella cui nozione sono da ricomprendere tutti gli aspetti di sostegno nei quali, con riferimento anche alla sfera effettiva, si estrinseca il concetto di comunione; si tratta, peraltro, di un dovere che non può non essere il riflesso precettivo di quel legame sentimentale sul quale realmente può reggersi e prosperare il rapporto di coppia. Ove volontariamente posto in essere, il rifiuto alla assistenza affettiva ovvero alla prestazione sessuale non può che costituire addebitamento della separazione, rendendo impossibile all’altro il soddisfacimento delle proprie esigenze di vita dal punto di vista affettivo e l’esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato. Oltre che condotto secondo corretti criteri giuridici, l’iter arqomentativo espresso dal giudice del merito è privo di mende logiche e sorretto da stringente e esaustiva motivazione. Esso sfugge, pertanto, alle censure mosse dal ricorrente che, come anticipato, pretende di sottoporre al sindacato di questa Corte la valutazione della prova istituzionalmente riservata al giudice del merito. Inammissibile anche sotto altri profili è infine la doglianza riguardante la valenza offensiva asseritamene attribuita dalla corte palermitana all’atteggiamento del G. verso una collega d’ufficio. In proposito, la Corte territoriale, premesso, con argomentazione chiaramente ad abundantiam, che la corrispondente valutazione del primo giudice era sintonica con giurisprudenza di questa Suprema Corte – per la quale la separazione è addebitabile allorquando, in considerazione dei suoi aspetti esteriori, la relazione del coniuge con estranei dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e comporti quindi offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge – ha solo osservato , in rito, che tale ratio decidendi della pronuncia di prime cure non era stata censurata in modo specifico dal G., limitatosi a rimarcare, con l’atto di gravame, la emersa falsità della circostanza addotta dalla moglie a comprova della relazione extraconiugale (la ricezione a casa della collega di una raccomandata a lei dirett). In più, la corte palermitana ha ritenuto del tutto in conducente la doglianza formulata dall’appellante dacchè, per la stessa sentenza del tribunale, non era stata raggiunta la prova dell’adulterio. Ora tale punto della decisione, come detto essenzialmente attinente al rito, e in particolare alla individuazione del devolutum, non è stato censurato con il ricorso dal G., il quale non può riproporre in questa sede la questione relativa alla (presunta) valutazione anche di quell’aspetto dell’atteggiamento tenuto nei confronti del coniuge. Inoltre, la corte territoriale ha posto a base della statuizione di addebitabilità della separazione, quale causa determinante dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza, esclusivamente il comportamento del G., tradottosi nel prolungato rifiuto di avere rapporti sessuali con la moglie, e non certo il contrastante atteggiamento premuroso da costui mantenuto nei confronti di una collega. Il ricorso va in definitiva dichiarato inammissibile. Le spese del presente grado seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente denunzia “error al pagamento delle spese, liquidate in ludicando euro 3.100,00, di cui euro 3.000,00 per difetto onorari d’avvocato, oltre alla spese generali e agli accessori di giuri- sdizione”legge. Così deciso in Roma il 24 gennaio 2005. Depositata in cancelleria il 23 marzo 2005. TRACCIA Il costruttore Tizio intende realizzare, su di un suolo di sua proprietà, un complesso immobiliare composto di sei fabbricati, ognuno di cinque piani. Si reca, quindi, presso la banca Alfa e le comunica che intende assicurarsi l’erogazione della somma di dieci milioni di euro; offre in garanzia il credito di pari somma che egli vanta nei confronti del comune di Roma per lavori precedentemente eseguiti. La banca è d’accordo a mettere a disposizione la suddetta somma, ma pretende interessi e provvigione, oltre al patto di utilizzare il credito alla scopo di realizzare la predetta costruzione. Il contratto viene firmato il giorno 20 agosto 2003, con termine previsto il 20 agosto 2005. Tizio nel 2004 chiede l’erogazione della somma di cinque milioni di euro. Il 25 agosto 2005, Tizio si vede recapitare una raccomandata con ricevuta di ritorno dalla banca Alfa, in riferimento all’art. 360, c. 1, n. 1, c.p.c.; nonché violazione degli artt. 111 Cost., 1, cc. 231 cui gli viene chiesta la restituzione di dieci milioni di euro più gli interessi sul prestito e 232, l. n. 266/2005. Si duole che i giudici contabili abbiano erroneamente ritenuto «tardiva, “in quanto domanda nuova pro- posta per la prima volta in udienza dopo l’apertura della discussione (arttprovvigione. 183Tizio si reca da un legale. Il candidato rediga motivato parere sulla questione giuridica proposta POSSIBILE SCHEMA DI SOLUZIONE In premessa poteva essere utile ricostruire sinteticamente il fatto. Successivamente era necessario inquadrare giuridicamente il fatto narrato nell’ambito del contratto di apertura di credito, c. 5, e 359 c.p.c.)”», l’istanza di definizione agevolata (c.d. condono) della controversia ex art. 1 l. n. 266/20051842 c.c., laddove in quanto si tratta di una “messa a disposizione”. La banca Alfa si obbliga a pagare verso Tizio qualsiasi somma di denaro richiesta, nei limiti dei dieci milioni di euro; dal contratto di apertura di credito, nasce un vero obbligo imposto sulla banca ed il cliente (Tizio) vanta un diritto di credito (in senso tecnico). La somma per cui si conviene l’apertura di credito può essere usata liberamente (ad esempio per assumere un’obbligazione verso terzi, realizzando, ad esempio, una fideiussione) ovvero entro determinati limiti (e forme), come nel caso di specie (sulla falsariga del mutuo di scopo, da cui l’apertura di credito diverge perché non risultano vi è un trasferimento patrimoniale immediato, ma una messa a tali fini indicate disposizione). Generalmente, si dice che gli atti di utilizzazione non sono atti di esecuzione del contratto di apertura di credito, ma atti autonomi ancorchè collegati al predetto contratto; i prelevamenti da parte del cliente, danno luogo ad un rapporto sostanzialmente di mutuo, per cui il cliente dovrà corrispondere non gli interessi di fido, ma quelli tipici dei prestiti; id est, per il denaro prestato effettivamente vi saranno interessi come quelli del mutuo, mentre per la restante somma messa a disposizione, ma non effettivamente erogata vi saranno interessi più bassi (detti di fido). Nel caso di specie, allora, Tizio sarà tenuto a restituire la somma prelevata pari a cinque milioni, con l’aggiunta degli interessi sulla somma prelevata (interessi corrispondenti a quelli del mutuo classico, perché con il prelievo il cliente realizza sostanzialmente un mutuo, collegato con l’apertura di credito); la provvigione, invece, andrà applicata alla sola somma restante (cinque milioni di euro) a titolo di corrispettivo per il servizio della norme messa a disposizione”. Alcune differenze tra apertura di rito” credito e figure molto simili andrebbero ricordate: -l’apertura di credito differisce dal mutuo, come visto, in quanto il secondo non comporta una messa a disposizione di una somma di denaro, ma un effettivo pagamento al momento della conclusione del contratto, tanto che si tratta di un contratto reale (mentre l’apertura di credito è contratto obbligatorio); -l’apertura di credito differisce dalla promessa di mutuo, in quanto il primo è un contratto definitivo e non preliminare e, inoltre, ha come scopo finale non il trasferimento di una somma di denaro o di altro bene fungibile, ma solo “i presupposti la creazione a favore dell’accreditato di una disponibilità che quest’ultimo può anche non utilizzare, senza che il contratto venga meno; -l’apertura di credito differisce dal mutuo consensuale, perché questo contratto, autonomo rispetto al mutuo, obbliga il mutuatario a prendere la somma stabilita, mentre l’accreditato non ha alcun obbligo di prelevamento. Si consiglia di leggere la sentenza che segue, seppur non attinente al caso preso in esame per la presentazione redazione del parere. -Il contratto di apertura di credito, qualora risulti già previsto e l’accoglimento della stessa”disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, sicché “l’unico termine da osservare era quello non richiede la stipula per il deposito, che è stato rispettato, visto che la notifica è stata effet- tuata il 22 gennaio e (anche iscritto a voler prendere in considerazione il deposito in udienza) il deposito è avvenuto il 6 febbraio, rispettando il termine perentorio”. Lamenta che non essendo stata “esaminata nel merito” siffatta istanza, “la Corte dei conti ha pena di fatto [...] rifiutato di erogare la tutela giurisdizionale richiestale dall’odierno ricorrente, cosi violando i limiti esterni della giurisdizione”. Il ricorso è inammissibilenullità.

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Samples: Contratto Di Apertura Di Credito:…………………………pg. 74 Cass. 14470/2005:

Motivi della decisione. Con unico motivo il ricorrente denunzia “error 1. La questione di diritto posta dall'ordinanza di rimessione. La Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a decidere l'impugnazione proposta dalla società Pro Genia srl, ha rimesso gli atti al primo presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite della Corte per la composizione del contrasto, sottoponendo la seguente questione di diritto: Sottolinea l'ordinanza interlocutoria che la giurisprudenza della Corte di cassazione si era espressa in ludicando per difetto di giuri- sdizione”senso favorevole alla necessità dell'autorizzazione, con orientamento costante da Cass. 2576/1970 a Cass. 1639/1999, fino alla pronuncia della stessa terza sezione civile n. 10498 del 2009, che aveva affermato l'opposto principio secondo cui, in riferimento all’arttema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull'equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa, costituisce un effetto automatico scaturente direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale. 360A quest'ultima impostazione conseguirebbe che, c. 1in caso di pignoramento dell'immobile e di successivo fallimento del locatore, n. 1la rinnovazione non necessiterebbe dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, prevista dall'art. 560, secondo comma, c.p.c.; nonché violazione degli artt. 111 Cost., 1, cc. 231 e 232, l. n. 266/2005. Si duole che i giudici contabili abbiano erroneamente ritenuto «tardiva, “in quanto domanda nuova pro- posta per la prima volta in udienza dopo l’apertura della discussione (artt. 183, c. 5, e 359 c.p.c.)”», l’istanza di definizione agevolata (c.d. condono) della controversia ex art. 1 l. n. 266/2005, laddove non risultano a tali fini indicate “norme di rito” ma solo “i presupposti per la presentazione e l’accoglimento della stessa”, sicché “l’unico termine da osservare era quello per il deposito, che è stato rispettato, visto che la notifica è stata effet- tuata il 22 gennaio e (anche a voler prendere in considerazione il deposito in udienza) il deposito è avvenuto il 6 febbraio, rispettando il termine perentorio”. Lamenta che non essendo stata “esaminata nel merito” siffatta istanza, “la Corte dei conti ha di fatto [...] rifiutato di erogare la tutela giurisdizionale richiestale dall’odierno ricorrente, cosi violando i limiti esterni della giurisdizione”. Il ricorso è inammissibile...

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