Common use of Motivi della decisione Clause in Contracts

Motivi della decisione. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione dei limiti esterni di giu- risdizione, in carenza di alcun rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzone, che ne erano dipendenti – e la Regione Liguria: vertendosi, nella specie, in tema di contratto di appalto per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento del finanziamento pubblico comunitario, concesso, in realtà, alla Regione Liguria, e non alla società Stoppani. Le censure sono infondate. La sentenza impugnata valorizza, essenzialmente, la natura pubblica del finanziamento, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio appare esatto, dal momento che è jus receptum che sussiste il rapporto di servizio, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963). In questo quadro di riferimento, non assume rilievo, ai fini della giurisdizione, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato, nel caso in esame, in favore della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19). Con il secondo motivo si censura il difetto di giurisdizione sotto il diverso profilo del petitum sostanziale, prospettato nell’atto di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattuale. Il motivo è inammissibile. Premesso che nella narratio dei fatti di causa esposta in sentenza si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazione, quindi, in astratto compatibile con una domanda di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Corte, nella parte motiva, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano le parti interessate che nel caso di specie non è configurabile alcun rapporto di servizio, poiché la società non era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sent., p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia-t.u. spese di giustizia), art. 13 (Importi), c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diff.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.

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Motivi della decisione. Con Ma neanche in Cassazione il primo motivoricorso della società trova accoglimento. Argomenta, i ricorrenti deducono infatti, la violazione dei limiti esterni di giu- risdizioneCorte suprema che, in carenza di alcun rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzone, secondo le regole generali che ne erano dipendenti – e governano la Regione Liguria: vertendosi, nella speciemateria, in tema di contratto Xxx, sono legittime le detrazioni di appalto imposta effettuate in relazione a note di accredito per sconti su vendite praticati in base ad accordo, anche successivo all’originario contratto, e concluso verbalmente. A questo proposito, in base all’articolo 26, comma 2, del Dpr 633/1972, vigente ratione temporis, se un’operazione per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento del finanziamento pubblico comunitarioquale è stata emessa fattura, concessosuccessivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in realtàdipendenza di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il diritto di portare in detrazione, ai sensi del precedente articolo 19, l’imposta corrispondente alla Regione Liguriavariazione spetta al cedente del bene, e non alla società Stoppani. Le censure sono infondate. La sentenza impugnata valorizzail quale deve, essenzialmentea tal fine, la natura pubblica del finanziamentoregistrarla, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio appare esattoa norma dell’articolo 25, entro l’anno dal momento che è jus receptum che sussiste il rapporto compimento dell’operazione imponibile (articolo 26, comma 3), nel rispetto degli obblighi di serviziofatturazione di cui all’articolo 21 (cfr Cassazione, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 996325987/2014). In questo quadro di riferimento, non assume rilievo, ai fini della giurisdizione, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato, nel caso in esame, in favore della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19). Con il secondo motivo si censura il difetto di giurisdizione sotto il diverso profilo del petitum sostanziale, prospettato nell’atto di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbeDue sono, quindi, nella giurisdizione ordinariale condizioni previste dalla legge per fruire dell’agevolazione: che venga praticato dall’azienda uno sconto sul prezzo della vendita che la riduzione del corrispettivo al cliente sia il frutto di un accordo, vertendosi in materia civile contrattuale. Il motivo è inammissibile. Premesso che nella narratio dei fatti di causa esposta in sentenza si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazionesia esso documentale, quindi, in astratto compatibile con una domanda di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Corte, nella parte motivaverbale e financo successivo, non faccia cenno alcuno ad operando, la norma, distinzioni di sorta (cfr Cassazione, 9195/2001, 318/2006, 5006/2007, 26513/2011 e 8535/2014). Per smentire tali valutazioni di fatto, sarebbe stato, peraltro, onere del contribuente indicare specificamente i documenti allegati, al fine di dar concreto spessore ai vizi motivazionali dedotti e probatori, per profili che non siano stati già delibati e sussunti dai giudici di merito contro il cui iter logico-giuridico possono solo appuntarsi le pertinenti censure. A tal fine, si specifica che lo strumento della nota di variazione è applicabile anche nell’ipotesi in cui tra l’alienante e l’acquirente finale non intercorra un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infattirapporto giuridico diretto, sul punto: “Contestano le parti interessate che come nel caso di specie non rimborso di un buono sconto, presentato dal consumatore direttamente al produttore, anziché al dettagliante dal quale erano stati acquistati i beni. In questa ipotesi, tuttavia, per poter operare la variazione Iva, è configurabile alcun rapporto necessario che lo sconto, concesso all’acquirente finale, sia ricollegabile, in modo univoco, all’operazione originaria, effettuata dal produttore nei confronti del dettagliante (cfr risoluzione 147/2008). Infine, circa le conseguenze concernenti la determinazione dell’imponibile Irpeg, la Cassazione sottolinea che, con la variazione in diminuzione in conseguenza di abbuoni o sconti, ex articolo 26, comma 2, Dpr 633/1972, “l’operazione commerciale per la quale sia stata emessa fattura vede ridotto il suo aumentare”, in quanto lo sconto è “una componente che incide direttamente sul prezzo della merce o del servizio, poiché riducendone l’ammontare dovuto per le singole operazioni poste in essere”. Xxxxxxx, dunque, una prova, che non può essere la società non era concessionaria sola dimostrazione della registrazione della variazione o dell’emissione delle note di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfrcredito. sent., p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia-t.u. spese di giustizia), art. 13 (Importi), c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diff.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.di

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Motivi della decisione. Con l’unico motivo formulato il primo motivoC., denunciando viola- zione e/o falsa applicazione dell’art. 184 c.c. ed insuffi- ciente e contraddittoria motivazione, assume che la tesi del giudice di appello - secondo cui l’operatività dell’art. 184 c.c. sarebbe esclusa sia nel caso in cui il bene oggetto di comunione legale tra i ricorrenti deducono coniugi risulti intestato ad en- trambi, sia nel caso in cui l’atto dispositivo del bene sia stato posto in essere dal solo coniuge non intestatario - non può essere condivisa sotto diversi profili. Il ricorrente rileva anzitutto che il testo dell’art. 184 c.c. non autorizza a distinguere tra atti concernenti beni inte- stati nei registri immobiliari esclusivamente al coniuge disponente da un lato, ed atti concernenti beni intestati alla comunione coniugale ovvero non intestati al dispo- nente dall’altro, considerato che gli artt. 177 e ss. c.c., a differenza di quanto attiene alla comunione ordinaria, fanno riferimento ai beni della comunione coniugale in- dipendentemente dalla loro formale intestazione; né ciò appare in contrasto con il principio della continuità del- le trascrizioni, poiché, quando i coniugi operano con- giuntamente, risulta disponente del bene anche il coniu- ge non indicato nell’atto di provenienza; inoltre, poiché in caso di acquisto di un bene operato da uno solo dei co- niugi in regime di comunione l’acquisto opera automati- camente anche a vantaggio dell’altro, non si comprende perché lo stesso principio non debba valere anche nel ca- so di disposizione del bene medesimo. Il ricorrente evidenzia poi l’infondatezza dell’ulteriore as- sunto della Corte territoriale secondo cui la violazione dei limiti esterni di giu- risdizione, in carenza di alcun rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzone, che sottoscrizio- ne erano dipendenti – e la Regione Liguria: vertendosi, nella specie, in tema di contratto di appalto per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento del finanziamento pubblico comunitario, concesso, in realtà, alla Regione Liguriapreliminare suddetto da parte del solo T.F. non in- testatario formale comporterebbe l’inefficacia dell’atto, e non alla società Stoppanila semplice azione di annullamento ex art. Le censure sono infondate184 c.c., anche per la ragione che il coniuge intestatario non sa- rebbe stato in grado di conoscere l’atto e di attivarsi quin- di nel termine di un anno di cui all’art. 184 c.c.; invero il giudice di appello è incorso nell’equivoco di considerare il momento dai quale decorre il suddetto termine coinci- dente con la stipula dell’atto, laddove invece esso decor- re dal momento in cui il coniuge pretermesso ha effettiva conoscenza dell’atto e, in via sussidiaria, entro un anno dalla trascrizione. Il C. inoltre, sottolineando che l’art. 184 c.c. si limita a prevedere solo l’annullabilità (o la convalida) dell’atto di disposizione dell’intero bene da parte del singolo coniuge a richiesta del coniuge pretermesso, afferma che la norma suddetta presuppone la piena efficacia dell’atto di dispo- sizione dell’intero immobile fin dall’origine, nell’ambito di una scelta legislativa di bilanciamento della tutela da un lato della posizione del coniuge pretermesso e dall’al- tro del terzo acquirente. La censura è fondata. La sentenza impugnata valorizzaha affermato che, essenzialmentepoiché il con- tratto preliminare del 24 giugno 1996 riguardante un im- mobile oggetto di comunione legale tra i coniugi T.F. ed L. E. era stato stipulato dal solo marito, non intestatario del bene, si versava in una ipotesi non già di annulla- mento dell’atto ex art. 184 c.c., non essendo la parte in- teressata in grado di conoscerlo e quindi di attivarsi nel termine annuale ivi previsto, ma di sua inefficacia; a tal riguardo ha considerato tale caso assimilabile a quello di immobile che, pur appartenente alla comunione legale, sia intestato ad entrambi i coniugi, dove pure si determi- nerebbe una situazione di inefficacia dell’atto, xxxxxx- mando a conforto di tale assunto - secondo cui quindi l’art. 184 c.c. troverebbe applicazione solo nell’ipotesi di atto compiuto, nonostante il regime di comunione lega- le, dal coniuge intestatario del bene stesso - la pronuncia di questa Corte 2 febbraio 1995 n. 1252. Tale convincimento è frutto di un errata interpretazione dell’art. 184 c.c. ed anche di un palese fraintendimento della sentenza ora menzionata, che invero ha affermato un principio di diritto del tutto diverso rispetto a quello sostenuto dalla Corte territoriale. Muovendo dunque con tale ultimo rilevante profilo, è be- ne sottolineare che con tale pronuncia si è ritenuto che in tema di comunione legale tra i coniugi tutto gli atti di di- sposizione di beni immobili o beni mobili registrati appar- tenenti alla comunione legale, compiuti da un solo coniu- ge senza il necessario consenso dell’altro, ovverosia in vio- lazione della regola dell’amministrazione congiunta, sono validi ed efficaci e sottoposti alla sola sanzione dell’annul- lamento ai sensi dell’art. 184 c.c. in forza dell’azione pro- ponibile dal coniuge (il cui consenso era necessario) entro i termini previsti dalla stessa norma, ed ha cassato la sen- tenza del giudice di merito, il quale aveva ritenuto che l’annullabilità prevista dall’art. 184 c.c. riguarderebbe la sola ipotesi in cui l’atto di disposizione sia compiuto dal coniuge che risulti unico intestatario del bene. Occorre poi evidenziare che la motivazione della pronun- cia 2 febbraio 1995 n. 1252 di questa Corte offre esaurien- ti e convincerti argomentazioni a sostegno de principio di diritto sopra enunciato; è stato invero ivi affermato in par- ticolare che, a differenza della comunione ordinaria, la natura pubblica co- munione legale tra i coniugi prescinde rigorosamente dal dato della intestazione formale dei beni, e che d’altra par- te, se le risultanze dei registri immobiliari sono indifferen- ti per quanto attiene all’accertamento circa l’appartenen- za dei beni alla comunione legale, è del finanziamentotutto arbitrario af- fermare che la norma in esame non riguardi qualsiasi atto, utilizzato ma soltanto gli atti concernenti i beni intestati nei registri immobiliari al coniuge disponente. Rilevato poi che, in mancanza di espresse disposizioni de- rogatorie, gli effetti della disposizione dell’intera cosa co- mune nella comunione tra i coniugi soggiacciono alle stesse regole stabilite per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: la comunione ordinaria, e che nessun argomento autorizza a ritenere che l’art. 184 c.c. preveda che gli atti di disposizione posti in essere da uno solo dei coniugi siano soggetti a sanzioni diverse dalla an- nullabilità e, quindi, sottoposti ad una disciplina diversa, la sentenza impugnata ha concluso che tale criterio norma, per l’esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circola- zione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole al primo, con il regime degli effetti ten- dente alla conservazione del negozio. Alla luce di tali considerazioni si deve concludere che il convincimento della sentenza impugnata in ordine alla asserita inefficacia dell’atto di disposizione di un immobi- le oggetto di comunione legale tra i coniugi da parte del coniuge non intestatario del bene appare esattosprovvisto di ogni aggancio positivo ed in contrasto con il sistema di circolazione dei beni in regime di comunione legale co- me sopra delineato; del resto l’orientamento consolidato di questa Corte esclude una disciplina differenziata per tale ipotesi, dal momento che ritenendo che, in regime di comunione lega- le tra i coniugi, il contratto preliminare di vendita di be- ne immobile stipulato da un coniuge senza la partecipa- zione o il consenso dell’altro è jus receptum che sussiste il rapporto soggetto alla disciplina dell’art. 184 c.c., comma 1, e non è pertanto inefficace nei confronti della comunione, ma solamente esposto al- l’azione di servizioannullamento da parte del coniuge non con- senziente, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato nel breve termine prescrizionale entro cui è ri- stretto l’esercizio di svolge- retale azione, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubblichedecorrente dalla cono- scenza effettiva dell’atto, un’attività ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o un servizio pubblico in sua vece dallo scioglimento della comunione (Cass., S.U., . 21 maggio 2014, dicembre 2001 n. 1122916177; 27 aprile 2010, Cass. 11 giugno 2010 n. 996314093). In questo quadro definitiva in accoglimento del ricorso la sentenza im- pugnata deve essere cassata, e la causa deve essere rinvia- ta da altra sezione della Corte di riferimentoAppello di Torino che deciderà la controversia in conformità del principio di di- ritto sopra enunciato e che provvedere anche alla pro- nuncia sulle spese del presente giudizio. La Cassazione ribadisce, non assume rilievo, ai fini della giurisdizionea distanza di diciassette anni dal suo precedente del 1995, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogatol’azione di annulla- mento ex art. 184, primo e secondo comma, x.x. xxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxxxx xx xxxx xx xxxxxxxxxx- xxx amministrazione compiuto da un coniuge su beni della comunione in assenza del necessario consenso dell’altro. Viene così ulteriormente smentita la tesi, proposta da una parte della dottrina, che voleva ricon- durre la fattispecie al generale rimedio della radicale inefficacia gli atti dispositivi (e, più in generale, di stra- ordinaria amministrazione) nel caso il disponente non risultasse intestatario del bene sui pubblici registri im- mobiliari, o vi risultasse intestatario con il coniuge in esamecomunione, in favore della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività laddove la speciale ipotesi di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19). Con il secondo motivo si censura il difetto di giurisdizione sotto il diverso profilo del petitum sostanziale, prospettato nell’atto di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattuale. Il motivo è inammissibile. Premesso che nella narratio dei fatti di causa esposta in sentenza si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazione, quindi, in astratto compatibile con una domanda di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Corte, nella parte motiva, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano le parti interessate che nel caso di specie non è configurabile alcun rapporto di servizio, poiché la società non era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sent., p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti annullamen- to di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari alla norma in materia di spese comunione avrebbe trovato applicazione nella sola situazione di giustizia-t.uesclusiva intestazione del bene in favore del disponente stesso. spese La decisione si pronuncia però anche sull’applicabili- tà dell’art. 184 cit. al preliminare di giustizia)vendita, art. 13 (Importi)mentre non affronta una serie di questioni di un certo interesse, c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diffche pure la fattispecie in esame pone all’attenzione dell’interprete.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.

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Motivi della decisione. Ricorso principale. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono motivo la violazione dei limiti esterni ricorrente denuncia giurisdizione del g.a. sulla domanda di giu- risdizione, in carenza di alcun rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzone, che ne erano dipendenti – e la Regione Liguria: vertendosi, nella specie, in tema di contratto di appalto per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento dichiarazione d’inefficacia o nullità del finanziamento pubblico comunitario, concesso, in realtà, alla Regione Liguria, e non alla società Stoppani. Le censure sono infondate. La sentenza impugnata valorizza, essenzialmente, la natura pubblica del finanziamento, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio appare esatto, dal momento che è jus receptum che sussiste il rapporto di servizio, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963). In questo quadro di riferimento, non assume rilievo, ai fini della giurisdizione, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato, nel caso in esame, in favore della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19)contratto. Con il secondo motivo si censura il difetto denuncia giurisdizione esclusiva del g.a. sulle domande di ripetizione dell’indebito, o arricchimento senza causa, conseguenti alla dichiarazione d’inefficacia o nullità del contratto. I due motivi sono trattati congiuntamente, essendo intimamente connessi per le ragioni che seguono. Le Sezioni Unite di questa Corte si sono ormai più volte pronunciate - in materia di giurisdizione sotto - nelle controversie relative a procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, sugli effetti della direttiva 11 dicembre 2007, n. 2007/66/CE - recante modifica delle direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE (S.U. ord. 10.2.2010, n. 2906; S.U. ord. 5.3.2010, n. 5291; v. anche S.U. 24.6.2011, n. 13910). Con tali pronunce, le Sezioni Unite della Corte di cassazione - dando rilievo alle modifiche al sistema derivate dalle direttive anzidette - hanno superato il diverso profilo principio che negava la giurisdizione del petitum sostanziale, prospettato nell’atto giudice amministrativo sulla domanda di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale invalidità o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta inefficacia del contratto stipulato all’esito di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattuale. Il motivo è inammissibile. Premesso che nella narratio dei fatti di causa esposta in sentenza si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazione, quindigara annullata perchè illegittima, in astratto compatibile con una domanda base all’argomento che non può incidere la riconosciuta connessione tra più domande oggetto di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Cortedistinte giurisdizioni, nella parte motiva, non faccia cenno alcuno per spostare questa da uno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoriaaltro giudice. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano le parti interessate che nel caso di specie non è configurabile alcun rapporto di servizio, poiché la società non era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sent., p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivoInfatti, sulla base della Direttiva del valore della causa Parlamento Europeo e del numero e complessità Consiglio dell’11 dicembre 2007 n. 66, relativa al miglioramento dell’efficacia delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti procedure di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari ricorso in materia di spese aggiudicazione degli appalti pubblici" - i cui principi dovevano essere trasposti nel nostro ordinamento interno entro il 20 dicembre 2009 - fin dalla data di giustizia-t.uentrata in vigore di essa, una interpretazione orientata costituzionalmente, e quindi comunitariamente (art. spese di giustizia117 Cost.), artdelle norme sulla giurisdizione - per le gare bandite dopo tale data - ha reso necessario l’esame congiunto della domanda di invalidità dell’aggiudicazione e di privazione degli effetti del contratto concluso, nonostante l’annullamento della gara, prima o dopo la decisione del giudice adito, in ragione dei principi che la norma comunitaria impone agli Stati membri di attuare, che corrispondono a quelli di concentrazione, effettività e ragionevole durata del giusto processo disegnato nella carta costituzionale. 13 Per effetto di tale Xxxxxxxxx, anche prima del termine indicato per la sua trasposizione nel diritto interno, la pubblica amministrazione era, infatti, onerata a dichiarare privo di effetti il contratto, se concluso con aggiudicatario diverso da quello dovuto, a meno che sussistessero condizioni che consentissero di non farlo. Lo stesso potere-dovere dell’amministrazione, poi, imponeva di attribuire al giudice amministrativo, nelle materie di giurisdizione esclusiva, la cognizione delle controversie relative anche ai contratti, essendo tale giudice l’organo indipendente dalla amministrazione (Importiindicato dalla Direttiva), c. 1-quaterche ha, introdotto dall’artnell’ordinamento interno, il potere di pronunciare l’annullamento della aggiudicazione. 1Ora, c. 17si tratta di stabilire se gli stessi principii possano applicarsi anche nell’ipotesi in cui sia stata chiesta la declaratoria di inefficacia o di nullità del contratto di fornitura, l. 24 dicembre 2012quale effetto dell’annullamento in autotutela delle precedenti deliberazioni con le quali - nel caso in esame - era stata affidata, n. 228 (legge senza gara, all’odierna resistente la fornitura del sistema robotico "Da Vinci"; con le conseguenti domande di stabilità 2013). 12325 – Corte ripetizione di cassazione, Sezioni unite civiliindebito e di arricchimento senza causa formulate dalla stessa azienda ospedaliera; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diffe con le domande riconvenzionali di condanna al pagamento delle somme dovute - come precisato in atti - e di risarcimento dei danni.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.

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Motivi della decisione. Con 31. Preliminarmente, riguardo alla rinuncia presentata il primo motivo30 maggio 2012 e riformulata una seconda volta in forma ampliativa della precedente dall’odierno instante il 23 giugno 2012 , i ricorrenti deducono il Collegio ha ritenuto di non poter pronunciare l’estinzione del giudizio e ha disposto la violazione dei limiti esterni di giu- risdizione, in carenza di alcun rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzone, che ne erano dipendenti – e la Regione Liguria: vertendosi, nella specie, in tema di contratto di appalto per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento prosecuzione del finanziamento pubblico comunitario, concesso, in realtà, alla Regione Liguria, e non alla società Stoppani. Le censure sono infondate. La sentenza impugnata valorizza, essenzialmente, la natura pubblica del finanziamento, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio appare esatto, dal momento che è jus receptum che sussiste il rapporto di servizio, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963)medesimo. In questo quadro di riferimentobase , non assume rilievoinfatti, al principio contenuto nell’art. 306 c.p.c. che trova applicazione alla fattispecie, ai fini della giurisdizionelegittima estinzione del giudizio , la rinuncia deve essere accettata dalle parti costituite che abbiano dimostrato di avere interesse alla prosecuzione del giudizio ovvero che con il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogatoproprio comportamento processuale abbiano dimostrato di avere interesse ad un pronuncia nel merito. La Federazione intimata ha espressamente dichiarato agli atti del giudizio di avere interesse ad una pronuncia accertativa della responsabilità della parte istante. Compete certamente al Collegio la valutazione della sussistenza in concreto dell’interesse della FIGC, nel caso in esameregolarmente costituita, in favore alla prosecuzione del giudizio nonché della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività non palese pretestuosità della determinazione di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19). Con il secondo motivo si censura il difetto di giurisdizione sotto il diverso profilo del petitum sostanziale, prospettato nell’atto di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con accettare la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattualerinuncia. Il motivo è inammissibile. Premesso Collegio ritiene che nella narratio dei fatti fattispecie sussista l’interesse della FIGC e la determinazione della Federazione di causa esposta non accettare la rinuncia è, ad avviso del Collegio , non pretestuosa ma motivata . Valga in sentenza si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria proposito una duplice considerazione: quella del ruolo peculiare della FIGC nell’ambito del movimento e dell’ordinamento calcistico nazionale nonché quella derivante dalla particolare rilevanza del procedimento all’esame del Collegio e dalle modalità di svolgimento dello stesso. La FIGC è l’ente di governo dello sport del calcio in relazione al programma Italia, avente lo scopo di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazionepromuovere, quindi, in astratto compatibile con una domanda regolare e sviluppare l’attività calcistica italiana ed è indubbiamente pertanto titolare di accertamento un interesse qualificato a conoscere dell’accertamento della responsabilità contabile – si osserva come di un proprio tesserato al più alto grado possibile, ivi compreso il giudizio instaurato dal Doni dinanzi al TNAS. Anche la stessa Corteparticolare rilevanza ed il clamore anche mediatico destato dalla vicenda che ha coinvolto il calciatore giustificano l’interesse della FIGC ad una pronuncia sulla responsabilità di Doni , nella parte motivaall’esito di un procedimento particolarmente lungo, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano le parti interessate che nel caso di specie non è configurabile alcun rapporto di servizio, poiché la società non era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sentarticolato e complesso., p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia-t.u. spese di giustizia), art. 13 (Importi), c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diff.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.

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Motivi della decisione. Con il La sentenza di primo motivogrado ha fondato la responsabilità erariale dello Scopelliti su due concorrenti rationes decidendi, i ricorrenti deducono consistenti, rispettivamente, nell’ingiustificata eccessività del prezzo pagato e nella carenza di alcuna proficua utilizzazione dell’immobile acquistato. La sentenza di appello ha fatto venir meno la violazione prima voce di addebito – ritenuta l’incertezza del reale valore di mercato del complesso immobiliare, alla luce delle diverse stime espresse in più perizie – confermando, invece, la sussistenza del dan- no erariale per inutilità dell’acquisto immobiliare rispetto all’interesse pubblico: circostanza, confermata dallo stato di abbandono e degrado del complesso immobiliare a distanza di anni. Proprio tale statuizione viene contestata dal ricorrente come invasiva della discrezionalità della pubblica amministrazione e quindi lesiva dei limiti esterni di giu- risdizione, in carenza di alcun rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzone, che ne erano dipendenti – e la Regione Liguria: vertendosi, nella specie, in tema di contratto di appalto per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento del finanziamento pubblico comunitario, concesso, in realtà, alla Regione Liguria, e non alla società Stoppani. Le censure sono infondatedella giurisdizione contabile. La sentenza impugnata valorizza, essenzialmente, la natura pubblica del finanziamento, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio appare esatto, dal momento che censura è infondata. È jus receptum che sussiste l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute da soggetti sottoposti, in astratto, alla giurisdizione della Corte dei conti non ne comporta la sottrazione ad ogni possibilità di controllo. L’insindacabilità nel merito sancita dall’art. 1, c. 1, l. 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giuri- sdizione e controllo della Corte dei conti) non priva, infatti, la Corte dei conti della possibilità di accertare la conformità alla legge dell’attività amministrativa, verificandola anche sotto l’aspetto funzionale: in ordine cioè, alla congruità dei singoli atti compiuti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo specifico, dal legislatore. Si deve quindi richiamare, quale limite all’insindacabilità delle scelte discrezionali della pubblica ammini- strazione, l’esigenza di accertare che l’attività svolta si sia ispirata a criteri di ragionevole proporzionalità tra costi e benefici. Ne consegue che la Corte dei conti, nella sua qualità di giudice contabile, può verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico. Se da un lato, infatti, l’esercizio in concreto del potere discrezionale dei pubblici amministratori costituisce espressione di una sfera di autonomia che il rapporto legislatore ha inteso salvaguardare dal sindacato della Corte dei conti, dall’altro, l’art. 1, c. 1, l. 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di servizioprocedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) stabilisce che l’esercizio dell’attività amministrativa deve ispirarsi a criteri di economicità e di efficacia, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato co- stituenti specificazioni del più generale principio costituzionale di svolge- recui all’art. 97 Cost. e rilevanti non solo sul piano della mera opportunità, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece ma anche della legittimità dell’azione amministrativa (Cass., S.U., 21 maggio 201429 settembre 2003, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 996314488). In questo quadro di riferimentoCiò premesso in sede dogmatica, non assume rilievo, ai fini della giurisdizione, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato, nel caso in esame, in favore della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19). Con il secondo motivo si censura il difetto di giurisdizione sotto il diverso profilo del petitum sostanziale, prospettato nell’atto di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattuale. Il motivo è inammissibile. Premesso che nella narratio dei fatti di causa esposta in sentenza si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazione, quindi, in astratto compatibile con una domanda di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Corte, nella parte motiva, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano le parti interessate che nel caso di specie non è configurabile alcun rapporto di servizio, poiché la società non era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sent., p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso ha fondato, nel caso di esaminare e riportare specie, l’accerta- mento del danno erariale nella sostanziale inutilità della compravendita di un immobile in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinatadisuso, rimasto privo di alcuna proficua utilizzazione, per un prezzo onerosissimo per le finanze comunali. Tale accertamento rientra certamente nella giurisdizione della Corte dei conti per le ragioni testé esposte; restando, per contro, sottratto a sindacato sotto il ricorso peccherebbe profilo di autosufficienzaeventuali errores in judicando. P.q.m., non indicando rigetta il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respintoricorso; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.xX.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia-t.uT.u. spese di giustiziaxxxxxx- xxx), art. 13 (Importi), c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diff.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.

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Motivi della decisione. Con La domanda è fondata, per le ragioni e nei limiti che si vanno ad esporre. Va preliminarmente rilevata l’ininfluenza sul presente giudizio della norma introdotta dall’art. 21, comma 1 bis, del D.L. 25 giugno 2008, conv. in L. 6 agosto 2008, n. 133 che testualmente recita: (Omissis). Tale norma processuale transitoria, con efficacia solo re- troattiva, che mutua il primo motivomeccanismo ed i criteri dell’art. 8 della L. n. 604/66, espressamente richiamato, è applica- bile, ad eccezione delle sentenze passate in giudicato, soltanto ai giudizi in corso al momento della pubblica- zione della legge di conversione del D.L. n. 112/08, cioè fino al 21 agosto 2008, ed è stata oggetto di numerose ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale da parte della Magistratura del lavoro per profili diversi, e tutti condivisibili, d’illegittimità costituzionale. Tuttavia, se è vero che l’art. 4-bis prevede che «nei casi di violazione degli artt. 1, 2 e 4, D.Lgs. n. 368/2001» sia corrisposto un indennizzo pari ad un numero di mensilità variabile da 2,5 a 6, è pur vero che occorre soffermarsi su quali possano essere le ipotesi di violazione dell’art. 2. La violazione dell’art. 2, comma 1-bis, infatti, è ravvisa- bile allorquando le organizzazioni sindacali provinciali di categoria non ricevono le richieste di assunzione da parte delle aziende indicate nel comma, come può ri- scontrarsi anche nella memoria di parte resistente, nel- la quale si evidenzia che il contratto azionato è stato sti- pulato nel pieno rispetto di quanto dettato dall’art. 2, anche previa comunicazione alle organizzazioni sinda- cali, evidenziandone, quindi, la legittimità. Altra ipotesi di possibile violazione dell’art. 2 può aversi nelle ipotesi, sicuramente estranea alla fattispecie de- dotta in giudizio, in cui di detta speciale clausola si av- valga l’impresa che non presenta i ricorrenti deducono requisiti soggettivi fissati da detta norma (aziende di trasporto aereo etc. o, nel nostro caso, imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste). Va anche rilevato, poi, che la circostanza che l’art. 4-bis riguardi solo la violazione dei limiti esterni di giu- risdizione, in carenza di alcun rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzone, che ne erano dipendenti – e la Regione Liguria: vertendosidegli articoli innanzi enun- ciati è confermato da una recentissima sentenza della S.C. (cfr. Xxxx. n. 26935/2008), nella speciequale è chiara- mente affermato che «tale norma è espressamente riferi- ta soltanto alle ipotesi di “violazione delle disposizioni di cui al cit. D.Lgs. artt. 1, in tema di contratto di appalto 2 e 4”, nel quale è inserita, e, per la bonifica sua evidente natura eccezionale, non può essere inter- pretata estensivamente né può essere applicata al di un’area demanialefuori dei casi contemplati. Contestano altresì La norma stessa non trova, pertanto applicazione, alle controversie che …non abbiano ad og- getto il criterio sistema sanzionatorio per la violazione delle dette disposizioni…». Pertanto, nel caso di collegamento del finanziamento pubblico comunitario, concesso, in realtà, alla Regione Liguriaspecie i contratti a termine inter- corsi tra le parti sono stati stipulati ai sensi, e non alla società Stoppaniin violazione, dell’art. Le censure sono infondate2, comma 1-bis, cioè in base a quan- to previsto da questa norma di legge. La sentenza impugnata valorizzaNe discende che, essenzialmente, la natura pubblica del finanziamento, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio appare esatto, dal momento che è jus receptum che sussiste il rapporto di servizio, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963). In questo quadro di riferimento, non assume rilievogiudice, ai fini della giurisdizionedeci- sione del presente giudizio, non si pone, nella fattispe- cie in esame, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del D.Lgs. n. 368/01. In ogni caso, se anche si volesse aderire ad una diversa impostazione, alla luce delle pronunzie della Giurispru- denza della Corte di Giustizia (le sentenze “Xxxxxxx”, “Xxxxxxxx”, “Del Cerro Xxxxxx”, “Impact”, nonché l’ordinanza “Vassilakis” del 12 giugno 2008 nella causa C-364/07, senza trascurare le importanti indicazioni che provengono dalle conclusioni dell’Avvocato gene- rale Xxxxxxx Xxxxxx presentate il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato4 dicembre 2008 alla Corte di Giustizia), della Corte Costituzionale (senten- za n. 44/2008) e della Corte di legittimità (la fonda- mentale sentenza n. 12985/2008), il quadro interpreta- tivo va attentamente rivisto nel solco del rapporto tra il diritto comunitario e il diritto nazionale. Infatti, in presenza di una normativa interna di recepi- mento (anche se successivamente modificata e integra- ta) della direttiva comunitaria, il problema interpretati- vo e applicativo della norma interna va risolto priorita- riamente (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 284/07) alla luce del rapporto tra il diritto comunitario e il diritto nazionale. La stessa Corte Costituzionale (v. da ultimo la sentenza n. 348/07; in precedenza v. le sentenze nn. 389/1989 e 113/1985, ma anche le ordinanze nn. 62/2003, 125/2004, 241/2005 e 252/2006) e la Cassazione (v. la recente ordinanza n. 22260/08) hanno in più occasioni e concordemente ribadito che, nel caso in esamecui la norma interna violi il diritto comunitario, in favore il giudice ordinario può sollevare la questione di pregiudizialità comunitaria ai sensi dell’art. 234, comma 3, Trattato CE o confron- tarsi direttamente con la norma “illegittima”, quando sulle questioni controverse siano già intervenute una o più decisioni della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività Corte di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto Giustizia (come nel caso di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppanispecie), rientrante per risolvere la questione utilizzando tutti gli strumenti interpretativi idonei a superare il contrasto con il diritto comunitario. In particolare, secondo la ri- costruzione dell’Avvocato generale Xxxxxx al punto 122 delle conclusioni nelle cause riunite 378-379- 380/07, (Omissis). Questo giudicante, peraltro, ha già fatto in passato ap- plicazione dello strumento interpretativo della non ap- plicazione della norma interna in contrasto con il dirit- to comunitario, proprio in giudizi in cui Poste aveva ap- plicato al contratto a termine l’art. 2, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 368, disapplicandola. Sul punto della possibile non applicazione dell’art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/01 vi è il precedente del Tribunale di Trani del 22 settembre 2008. Rispetto a questa posizione che, seppure minori- taria nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento giurisprudenza di merito, insindacabile già questo giudi- cante ha condiviso, va fatta una ulteriore riflessione alla luce proprio delle complesse considerazioni fatte dal- l’Avvocato generale Xxxxxx nelle cause nn. 378-379- 380/07, che sono di particolare rilievo sia per la rico- struzione dei principi di diritto comunitario e dell’inter- pretazione della Corte di Giustizia in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione materia di con- tratto a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso tempo determinato sia per i suoi dirigenti riflessi che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti l’appli- cazione di collaudo quei principi e omesso di tenere una contabilità separata, quell’interpretazione han- no (o possono avere) sull’ordinamento interno italiano come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali jus superveniens (cfr. sent. 21 novembre 2013, ordinanza n. 1001, p. 19252/2006 della Corte Costituzionale). Con il secondo motivo si censura il difetto di giurisdizione sotto il diverso profilo del petitum sostanziale, prospettato nell’atto di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattuale. Il motivo è inammissibile. Premesso che nella narratio dei fatti di causa esposta in sentenza si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazione, quindi, in astratto compatibile con una domanda di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Corte, nella parte motiva, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano le parti interessate che nel caso di specie non è configurabile alcun rapporto di servizio, poiché la società non era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sent., p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo punto da poter vanificare l’ef- fetto delle ordinanze di rimessione alla Consulta sia in ordine alla norma transitoria sia per quanto attiene le altre pregevoli questioni di legittimità costituzionale che hanno messo in discussione la parte più importante del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivoD.Lgs. n. 368, qui in esame – modulatosull’art. 1 e sull’art. 2, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia-t.u. spese di giustizia), art. 13 (Importi), c. comma 1-quaterbis. Cinque le conclusioni della Kokott, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diff.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.utili ai fini della decisione della presente controversia:

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Motivi della decisione. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono motivo la ricorrente deduce la violazione dei limiti esterni di giu- risdizione, in legge e la carenza di alcun rapporto motivazione nell’interpretazione del concetto di servizio tra l’ex società Stoppani – videogramma adottato nel contratto per identificare l’oggetto dei diritti ceduti. Il motivo è infondato. La stessa parte riconosce che il vocabolo non è consa- crato in una specifica definizione normativa - eventual- mente di natura stipulativa - così da acquisire un signifi- cato legale tipico, nel contesto dei contratti aventi ad oggetto l’utilizzazione economica di un’opera tutelata dal diritto di autore. Al contrario, dalla disamina di vari spunti dottrinari, ol- tre che da disposizioni sparse nella L. 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti con- nessi ai suo esercizio), emerge un’anfibologia del voca- bolo, promiscuamente utilizzato ad indicare talvolta il “contenente” - e cioè il supporto materiale che fissa im- magini e suoni dell’opera d’autore - sia il “contenuto”: e cioè, la stessa opera nella sua identità artistica e cultura- le. Da questa premessa concettuale, aderente al dato legisla- tivo, discende come logica conseguenza che rientra negli ordinari canoni ermeneutici la ricostruzione della volon- tà effettiva delle parti contraenti nel disegnare t’ambito ed i limiti del diritto di sfruttamento di films a fortiorimezzo vi- deogrammi: ricostruzione, i ricorrenti Pirondini rimessa al prudente giudizio del giudice di merito e Bruzzonenon soggetta a sindacato di legit- timità, se non inficiata da violazione di parametri norma- tivi (art. 1362 c.c. e ss.), o da vizio di logicità. Né l’una, né l’altra censura possono muoversi alla deci- sione della Corte d’appello di Roma, che ne erano dipendenti – e la Regione Liguria: vertendosicon diffusa motivazione ha messo in evidenza il carattere onnicom- prensivo dei diritti di utilizzazione concessi dalla Alber- to Grimaldi Production s.a., nella specie, in tema di contratto di appalto per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento analiticamente elencati nell’allegato B) del finanziamento pubblico comunitario, concesso, in realtà, alla Regione Liguriacontratto, e non riportati per esteso in sentenza: incluso il richiamo alla società Stoppani. Le censure sono infondate. La sentenza impugnata valorizzapiattaforma “video on demand” - reiterato due volte nel testo negoziale - appa- rentemente riferibile proprio alla comunicazione, essenzialmentetramite Internet, la natura pubblica del finanziamento, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio appare esatto, dal momento che è jus receptum che sussiste il rapporto di servizio, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963). In questo quadro di riferimento, non assume rilievo, ai fini della giurisdizione, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato, nel caso in esame, in favore della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx utilizzata dalla Telecom Italia s.p.a., tramite il suo sito web “(omissis)”. Dev’essere dunque esclusa la forzatura di alcun parame- tro normativo; tanto più che il giudice di merito ha pure valorizzato la previsione di chiusura della clausola, inclusiva di “qual- siasi altra forma e modo e di qualsiasi altro mezzo e pro- cesso tecnico, scoperto o che in futuro sarà inventato e per aver sottoscritto atti qualsivoglia utilizzazione commerciale, ivi incluso ogni canale di collaudo vendita diretta o indiretta (ad es., ... tramite piattaforma video on demand ...)”, rilevandone l’ampiezza incompatibile con i pretesi limiti del diritto di utilizzazione legati al mezzo tecnico adottato. Al riguardo, si può anche aggiungere che così facendo la corte ha implicitamente richiamato il parametro legale di cui all’art. 1365 c.c.; oltre a locuzioni sparse nella stessa legge sul diritto d’autore, a conferma dell’eclettismo semantico del termine videogramma, spesso usato in ac- cezione contenutistica (art. 71 sexies: “È consentita la riproduzione privata di fonogrammi e omesso videogrammi su qualsiasi supporto ...; art. 171, secondo cui è punito co- lui che “... a) abusivamente duplica... con qualsiasi pro- cedimento, ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di tenere opere cinematografiche o audiovisi- ve...”). Fuori dell’ambito rigoroso della violazione dei criteri le- gali di interpretazione e del vizio di logicità - entrambi assenti - la prospettazione di una contabilità separatatesi ermeneutica alter- nativa, come previsto mediante argomentazioni contrapposte (di natura retorica, in convenzionesenso tecnico- giuridico) attiene, in ultima analisi, al merito; e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali non può essere quindi oggetto di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19)rie- same in questa sede. Con il secondo motivo si censura il difetto la violazione dell’art. 1362 c.c. e ss., nonché la carenza di giurisdizione sotto il diverso profilo motivazione nell’interpretazione del petitum sostanziale, prospettato nell’atto di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattualecontratto. Il motivo è inammissibileripercorre in gran parte l’iter argomentativo te- sté vagliato. Premesso L’unico argomento davvero aggiuntivo riguarda la pre- tesa violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1363 c.c. (Interpretazione complessiva delle clausole): violazione, che nella narratio dei fatti di causa esposta discenderebbe dall’omessa valorizzazio- ne della clausola limitativa del territorio in sentenza cui si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce poteva svolgere l’utilizzazione economica dell’opera (Italia, Città del torrente Lerone – enunciazioneVaticano, quindiSan Marino, in astratto compatibile con una domanda di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Cortenavi e aerei battenti bandiera nazionale). L’argomento, nella parte motiva, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano le parti interessate che nel caso di specie non è configurabile alcun rapporto di servizio, poiché la società non era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatriceperaltro, non è stata inserita nell’organizzazione pubblicapunto decisivo, perché la possibilità di un abuso nell’utilizzazione del programma oltre tali confini, col sistema video on demand, (abuso, materialmente realizzabile, del resto, anche con i sup- porti materiali cui sicuramente si riferiva la cessione dei diritti) non vale a rendere necessitata l’interpretazione proposta: dando luogo, in ipotesi, ad un’inadempienza contrattuale della concessionaria, suscettibile di sanzio- ne. Resta il fatto che la previsione espressa del sistema di- stributivo indicato con l’acronimo “vod” (video on de- mand) corrisponde alla modalità di sfruttamento dei films in questione attuata dalla Telecom Italia tramite il portale “(omissis)”: e cioè all’acquisizione, da parte di clienti, della visione, a richiesta, di opere facenti parte del catalogo, senza programmazione predefinita. Il terzo motivo, con cui si denunzia la violazione di leg- ge e la carenza di motivazione nel ritenere di scarsa im- portanza l’inadempimento dell’obbligo di rendiconto semestrale, è inammissibile, risolvendosi in una diffor- me valutazione degli elementi di fatto apprezzati dalla corte territoriale, con motivazione adeguata, immune da vizi logici: fondata sul rilievo che il rendiconto era stru- mentale all’eventuale corrispettivo aggiuntivo in caso di superamento del volume predefinito di fatturato. Né del resto la parte ha allegato, nei ricorso, di aver sol- lecitato l’adempimento, nel corso del biennio di durata del rapporto contrattuale: così da dimostrare un interesse attuale, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativigenerico, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sent.all’acquisizione dei dati, p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia indipen- dentemente da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addottaalcuna finalità specifica. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con . L’obiettiva incertezza della controversia giustifica la conseguente condanna alla rifusione compensazione delle spese della fase di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattatelegittimità. - si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia-t.u. spese di giustiziaomissis), art. 13 (Importi), c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diff.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.

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Motivi della decisione. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardano la impugnazione della stessa sentenza. Con il primo motivomotivo del ricorso principale la società deduce violazione “degli artt. 2094 cc e 360 n. 3 e 5 cpc per avere la Corte ignorato, nella qualificazione, del rapporto come di lavoro subordinato, i ricorrenti deducono presupposti necessari del relativo vincolo e comunque omesso di motivare, nelle ricostruzione delle caratteristiche del rapporto, sugli elementi prova decisivi prospettati dalla Agenzia Ippica”. Sostiene in particolare la violazione dei limiti esterni di giu- risdizione, in carenza di alcun rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzone, che ne erano dipendenti – e la Regione Liguria: vertendosiche, nella specie, in tema manca l’elemento fondamentale della subordinazione rappresentato dall’obbligo di contratto continuativa messa a disposizione del datore di appalto per lavoro, durante l’orario di lavoro, delle energie lavorative senza la bonifica possibilità di un’area demanialediscrezionale rifiuto immotivato. Contestano altresì Essenziale, dunque, afferma la società, sarebbe stato l’accertamento dell’obbligo di presenza quotidiana o secondo scansioni temporali fissate dal datore di lavoro. Né, afferma la società, la Corte di merito tiene conto delle specifiche e contrarie prove che erano state indicate nell’atto di appello. Neppure, sottolinea la ricorrente, la Corte palermitana rileva la totale assenza di prova del potere disciplinare. La censura è infondata. Preliminarmente va rilevato che questa Corte, sulla premessa che ogni attività umana eco- nomicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, afferma che l’elemento tipico che contraddistingue il criterio primo dei suddetti tipi di collegamento rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del finanziamento pubblico comunitarioprestatore nei con- fronti del datore, concessocon assoggettamento del prestatore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell’organiz- zazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all’attività di impresa (tra le numerose decisioni x. Xxxx. 3 aprile 2000 n. 4036; Cass. 9 gennaio 2001 n. 224; Cass. 29 novembre 2002 n. 16697; Cass. 1 marzo 2001 n. 2970; Cass. 15 giugno 2009 n. 13858 e Cass. 19 aprile 2010 n. 9251). Viene, però, precisato, in realtàtali pronunzie che l’esistenza del vincolo va concretamente apprez- zata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito; e, proprio con riguardo alle difficoltà che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato alla Regione Ligurialuce di principi fondamentali ora indicati, e non alla società Stoppani. Le censure sono infondate. La sentenza impugnata valorizzasi è asserito che in tali ipotesi è legittimo ricorrere a criteri distintivi sussidiari, essenzialmentequali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale ovvero l’incidenza del rischio economico, l’osservanza di un orario, la natura pubblica del finanziamentoforma di retribuzione, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: la continuità delle prestazioni e tale criterio appare esattovia di seguito. E’ stato, dal momento di conseguenza, enucleata la regula iuris – che è jus receptum che sussiste il rapporto di servizio, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico va in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963). In questo quadro di riferimento, non assume rilievo, ai fini della giurisdizione, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogatoquesta sede ribadita – secondo la quale, nel caso in esamecui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata, nelle sue modalità di esecuzione, oppure, all’opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresen- tato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in favore della Regione Liguriaquel particolare contesto, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato significativo per l’attività la qualificazione del rapporto di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la con- tinuità e la durata del contratto rapporto, le modalità di appaltoerogazione del compenso, inserito in un progetto la regolamentazione dell’orario di riqualificazione complessiva lavoro, la presenza di una zona pur minima organizzazione imprenditoriale (inquinata anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore. A tali principi la Corte di merito si è attenuta quando, sulla premessa che il lavoratore in causa era addetto a mansioni ripetitive e che tali mansioni, una volta ricevute le istruzioni iniziali, non richiedevano ulteriori direttive e controlli, ha dato rilievo, ai fini di cui trattasi, alle risul- tanze istruttorie dalle quali emergeva che: i turni settimanali erano predisposti dalla società, ancorchè sula scorta delle disponibilità inizialmente manifestate dal prestatore di lavoro; una volta predisposti i turni il lavoratore era tenuto a rispettarli e non poteva allontanarsi senza essere autorizzato; in caso d’indisponibilità il lavoratore doveva avvertire preventivamente il preposto; il lavoro veniva svolto nei locali dell’agenzia con l’uso dei beni aziendali secondo orari predeterminati; il compenso corrisposto era fisso, senza che vi fosse alcun riferimento al risultato della prestazione; non vi era alcun rischio economico da cromo parte del lavoratore. E’, quindi, corretta l’affermazione della Corte di merito secondo la quale il rapporto era connotato dal requisito della subordinazione, intesa come sottoposizione del lavoratore al potere organizzativo, di controllo e, all’occorrenza, disciplinare da parte del datore di lavoro non ravvisandosi, peraltro, nelle modalità delle prestazioni lavorative come sopra effettuate margini di autonomia. Né e vale la pena di sottolinearlo il mancato esercizio del potere disciplinare è indice di per effetto di attività produttiva assenza del potere disciplinare. D’altro canto in ordine alla valutazione delle emergenze istruttorie non vi è motivazione illogica o non formalmente coerente o, ancora, inadeguata, sicchè anche sotto tale aspetto la censura è infondata, non potendo, in tale ambito, il controllo devoluto a questo giudice di legittimità andare oltre. Con la seconda critica del ricorso principale la società, denunciando violazione dell’art. 36 Cost. e della società Stoppani)Legge n. 604 del 1966 e 300 del 1970, rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva rileva che dall’accoglimento del primo motivo – sulla natura non subordinata del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblicolavoro – deriva l’inapplicabilità della garanzia costituzionale di cui alla denunciata norma e delle leggi poste a tutela del lavoratore per il caso di licenziamento illegittimo. La critica, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di meritoatteso il rigetto del primo motivo, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19)rimane assorbita. Con il secondo terzo motivo si censura il difetto del ricorso principale la società ricorrente, allegando omessa ed insuffi- ciente motivazione su “punto” decisivo della controversia, evidenzia l’erroneità della senten- za impugnata in punto di giurisdizione sotto il diverso profilo accertamento del petitum sostanziale, prospettato nell’atto tempo della prestazione lavorativa ed in partico- lare rileva l’inattendibilità di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattualeun teste. Il motivo è inammissibileinfondato. Premesso Va premesso che costituisce principio del tutto pacifico nella narratio giurispru- denza di questa Corte che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di control- larne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del proces- so, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di causa esposta prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) (in tal senso Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267, Cass. 27 luglio 2008 n. 2049 e, da ultimo, Xxxx. 25 maggio 2012 n. 8298). In tale ottica si è ribadito da questa Corte che la deduzione di cui all’art. 360 n. 5 cpc non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali con- tenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa valutazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fat- to compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono, pertanto, risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (Cass. 30 marzo 2007 n. 7972). Neppure, si enuclea è ulteriormente rimarcato, il petitum come condanna motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un pre- teso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), cpc; in caso contrario, questo motivo di ricorso si ri- sarcimento solverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei danni arrecati convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una diversa pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla Regione Liguria natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 26 aprile 2006 n. 9233). Sulla base di tali principi non può trovare ingresso in relazione al programma questa sede la censura in esame che, a fronte di bonifica una valutazione delle risultanze istruttorie sorrette da congrua motivazione, la quale dà conto del percorso logico seguito per addivenire all’accertamento dell’orario di lavoro os- servato, mira sostanzialmente a meramente contestare, e la scelta del giudice di merito, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esso sottesi, e la concludenza delle emergenze valutate. Con il primo motivo del ricorso incidentale il lavoratore deduce la violazione degli artt. 112 cpc, 1362-1365 cc, travisamento dei fatti, violazione dell’art. 24 Cost., 1227 cc e 416 cpc nonché omessa motivazione su “punto” decisivo. Prospetta il ricorrente sostanzialmente che la Corte del merito ha errato nell’interpretare il terzo motivo dell’appello della zona costiera società dove il mero riferimento alla foce mancata messa a dispo- sizione delle prestazioni lavorative veniva in rilievo quale indicatore di una presunta carenza probatoria. Assume, poi, il ricorrente incidentale che la Corte non ha tenuto conto che con atto del torrente Lerone – enunciazione15 settembre 2001 impugnandosi il licenziamento venne manifestata la volontà di proseguire il rapporto di lavoro con esclusione, quindi, in astratto compatibile con una domanda di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Corte, nella parte motiva, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoriaogni colpevole inerzia. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano le parti interessate che nel caso di specie La censura non è configurabile alcun rapporto esaminabile. Infatti il ricorrente incidentale pur lamentando l’erronea interpretazione dell’atto di servizioappello e la mancata considerazione di un documento, poiché omette del tutto, in violazione del principio di autosufficienza di trascrivere nel ricorso il testo e dell’atto di appello e del documento mal considerato (x. Xxxx. 12 ottobre 1998 n. 10101 e Cass. 25 settembre 2002 n. 13945 nonché Cass. 19 maggio 2006 n. 11886). Né tale ultimo documento risulta depositato secondo quanto stabilito, a pena di improcedibi- lità, dal n. 4 dell’art. 369 cpc, così come modificato dall’art. 7 D.Lgs. del 2 febbraio 2006 n. 40 applicabile ratione temporis. Con la seconda censura del ricorso incidentale il lavoratore assume violazione dell’art. 112 cpc, travisamento dei fatti, violazione degli artt. 345, 414, 416, 420 e 437 cpc nonché omessa motivazione su “punto” decisivo. Sostiene al riguardo il ricorrente incidentale che la deduzione da parte della società dell’aliun- de perpeptum è tardiva, sicchè la Corte del merito non era concessionaria poteva pronunciarsi sulla questione. Né, aggiunge, la circostanza di opere pubblichenon voler accettare il contraddittorio equivale all’ammissione sull’avvenuta percezione di latri redditi da lavoro. La censura alla luce della giurisprudenza di questa Corte è infondata. E’ principio di diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore l’eccezione, ma era appaltatricecon la quale il datore di lavoro deduca che il di- pendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di nuova occupazione ovvero de- duca la colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l’aggravamento del danno, non è stata inserita nell’organizzazione pubblicaoggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte. Pertanto, non allorquando vi è stata investita allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possono ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio mezzi di poteri autoritativiprova legittimamente disposti, né ha avuto la gestione il giudice può trarne d’ufficio (anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l’acquisizione possa ricondursi ad un comportamento della controparte) tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato (Cass. 26 ottobre 2010 n. 21919). A tale regula iuris il giudice di denaro pubblico” (cfrappello si è attenuto traendo dalla mancata negazione, da parte del lavoratore, e, quindi, dal silenzio della parte interessata, il convincimento della avvenuta corresponsione di altri redditi tali da incidere sulla quantificazione del danno. sent., p. 8)In conclusione i ricorsi vanni rigettati. La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi reciproca soccombenza la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione compensazione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base legittimità. La Corte riuniti i ricorsi li rigetta e compensa le spese del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti giudizio di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia-t.u. spese di giustizia), art. 13 (Importi), c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. difflegittimità.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.

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Motivi della decisione. In via pregiudiziale, occorre esaminare la questione concernente la sussistenza della potestas iudicandi del Collegio arbitrale, con riferimento alla domanda riconvenzionale dispiegata dal Comune di Lecce, con l’atto di costituzione del 2 maggio 2017. Parte resistente chiede, infatti, che XxX venga condannata a risarcirle “i danni subiti a causa della negligente conduzione delle prestazioni professionali affidate all’allora Italtekna” in forza della Convenzione stipulata inter partes in data 1 dicembre 1989. Con il primo motivoriferimento a tale domanda riconvenzionale, i ricorrenti deducono parta istante eccepisce tempestivamente la violazione dei limiti esterni carenza di giu- risdizionepotestas iudicandi del Collegio, declinandola sia “in funzione dell’incompromettibilità in arbitrato ai sensi dell’art. 806 e 808 c.p.c.” xxx, in carenza via concorrente, “per difetto di alcun giurisdizione ai sensi dell’art. 817 c.p.c.”. Evidenzia, in particolare l’istante, che il Comune di Lecce avrebbe “svolto la propria domanda riconvenzionale nei confronti di Holding di Ingegneria facendo specificamente riferimento ai servizi di progettazione e direzione dei lavori complessivamente svolti dal concessionario”, in forza della Convenzione e che ciò “secondo un costante ed uniforme orientamento della Suprema Corte” costituirebbe “presupposto e criterio per l’incardinamento della giurisdizione contabile della Corte dei Conti in relazione alla posizione dell’autore responsabile del danno erariale”. A tale prospettazione, il Comune di Lecce, in Seconda memoria, controeccepisce osservando, in via generale, che “sussiste la giurisdizione contabile, sotto il profilo dell’esistenza di un sostanziale rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e con la P.A., solo con riferimento alle controversie che riguardino la posizione del direttore dei lavori di un appalto di opere pubbliche, mentre non sussiste quanto a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzonequelle che riguardino le controversie con il progettista dell’opera, che ne erano dipendenti – concernerebbero un rapporto di natura privatistica, originante da un contratto di opera professionale”; ciò premesso, l’Amministrazione deduce che, nel caso di specie, la domanda risarcitoria dispiegata trarrebbe origine da negligenze ascritte ad HdI, ma soltanto limitatamente “alle gravi carenze progettuali” emerse in virtù dei tre Lodi, pronunciati a definizione delle controversie instaurate dall’Appaltatore. Secondo parte resistente, dunque, con riguardo alla propria pretesa riconvenzionale, dovrebbe negarsi la sussistenza della giurisdizione contabile, atteso che l’oggetto della domanda risarcitoria dispiegata “non riguarda la posizione di direzione dei lavori ma inerisce alla posizione di progettista, a nulla rilevando la duplice qualificazione soggettiva di progettista e la Regione Liguria: vertendosidi direttore dei lavori” Alla stregua di tali difese, nella specieridetta Seconda memoria, il Comune precisa il proprio quesito n. 7, chiedendo al Collegio di accertare che “i danni che il Comune di Lecce è stato condannato a pagare all’Impresa Leadri, in tema forza dei sopra richiamati tre lodi arbitrali del 26/10/2006, 24/05/2011 e 26/05/2011, sono imputabili alla colposa conduzione delle attività progettuali affidate alla società Bonifica S.p.A., in forza della convenzione del 1° dicembre 1989, rep. n. 3542, e, conseguentemente dica che la Holding di contratto Ingegneria S.p.A. è tenuta al risarcimento Ebbene, innanzitutto, deve osservarsi come la questione relativa alla sussistenza della potestas iudicandi del Collegio appena prospettata attenga propriamente al profilo della giurisdizione e non, come eccepito in via alternativa da parte istante, all’incompromettibilità in arbitrato della domanda de qua, ex artt. 806 e 808 c.p.c. Ciò, peraltro, è supportato da consolidata giurisprudenza di appalto per legittimità, secondo cui l’attività degli arbitri rituali ha natura giurisdizionale e, perciò, sostitutiva del Giudice Ordinario “sicchè lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo a una questione di giurisdizione” (così, fra le altre, Cass. Sent. n. 24153 del 25 ottobre 2013). Tanto premesso, con riferimento alla domanda risarcitoria dispiegata in via riconvenzionale dal Comune di Lecce deve affermarsi l’insussistenza della competenza giurisdizionale del Collegio adito, stante la bonifica giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti. Al riguardo si deve, in primo luogo, constatare la correttezza del principio di un’area demanialediritto riferito da entrambe le parti nei rispettivi scritti difensivi, con riferimento al fatto che, anche ai fini della delibazione sulla giurisdizione, rileva la prospettazione della domanda introduttiva e, in particolare, il relativo petitum sostanziale, “da identificarsi, in funzione della natura della pretesa azionata, quale oggettivamente rivelata dal complesso delle richieste e dei fatti allegati” (cfr. Contestano altresì Cass. SS. UU. Sent . n. 11229 del 21 maggio 2014 e, nel medesimo senso, Cass. Sent. n. 2926/2012, 20902/2011). Ed è proprio l’esame del petitum sostanziale dedotto dal Comune di Lecce, condotto secondo i predetti criteri, a dimostrare la riconducibilità della relativa domanda risarcitoria alla competenza giurisdizionale della Corte dei Conti. Per un verso, infatti, le circostanze fattuali allegate dalla resistente a supporto della domanda riconvenzionale concernono, a ben vedere, il criterio complesso delle attività professionali, di collegamento progettazione e direzione lavori, espletate da parte istante in attuazione della Convenzione. Il Comune di Lecce, a supporto della pretesa responsabilità risarcitoria ascritta a HdI richiama, infatti, gli integrali accertamenti contenuti nelle Consulenze Tecniche espletate nell’ambito dei procedimenti arbitrali promossi dall’Appaltatore, senza operare nessuna distinzione fra le attività riconducibili all’incarico di progettazione rispetto a quelle proprie della direzione lavori. Xxxx, a ben vedere, nei passaggi motivazionali dei Lodi ritrascritti da parte resistente si fa ampio riferimento anche ad attività espletate dall’allora società Bonifica nella propria qualità di direttore lavori (ad esempio, gli ordini di servizi impartiti dal D.L., la sospensione lavori intimata dal D.L., le continue consegne parziali operate dal D.L. e via dicendo) Per altro verso, quanto alle richieste e alle pretese risarcitorie azionate, occorre considerare la quantificazione del finanziamento pubblico comunitariodanno operata da parte resistente, concessola quale anche in Seconda Memoria, nonostante la delimitazione formale del quesito all’accertamento della “colposa conduzione delle attività progettuali affidate alla società Bonifica S.p.A.” in realtà, conferma la liquidazione del pregiudizio effettuata sin dall’atto di costituzione nel presente procedimento arbitrale, senza operare nessun particolare scomputo da tale importo complessivo delle voci eventualmente riconducibili ad inadempienze relative alla Regione Liguriafunzione di direttore lavori. Più precisamente, in relazione a tale profilo, il Comune ha richiesto ad HdI il risarcimento dell’integrale esborso sostenuto per effetto delle statuizioni contenute nei tre Lodi pronunciati nei confronti dell’Appaltatore; ebbene, risulta con evidenza dalla documentazione prodotta in causa, ed in particolare dai Lodi e non dalle relative CTU, che i danni riconosciuti all’Appaltatore in ragione dell’andamento anomalo dei lavori conseguono, quantomeno in parte, anche dal complesso delle attività professionali affidate alla società StoppaniBonifica, oggi HdI. E del resto, è la stessa resistente a ribadire con fermezza tale assunto, nei propri scritti defensionali; tuttavia, pur muovendo da tale premessa e pur affermando di aver agito per ottenere il ristoro dei danni causati dalla [sola] pretesa negligente attività di progettazione, il Comune di Lecce non individua mai, specificamente, né lì indica, quali sarebbero gli importi liquidati a favore dell’Appaltatore, in virtù dei tre Lodi pronunciati, in conseguenza della [sole] dedotte carenze progettuali. Le censure sono infondateCiò ad ulteriore riprova che il titolo giuridico dedotto in atti dalla resistente a supporto della propria domanda è unico e inscindibile ed è costituito dal complesso delle attività professionali svolte dalla società Bonifica, oggi HdI, per effetto della Convenzione del 1989. La sentenza impugnata valorizza, essenzialmentePeraltro, la natura pubblica formale delimitazione del finanziamentoquesito n. 7 effettuata dal Comune di Lecce nella propria Seconda memoria, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio se, da un lato, appare esattoposta in essere al fine di superare l’eccezione di carenza di giurisdizione del Collegio adito, dal momento che è jus receptum che sussiste il rapporto di serviziodall’altro lato, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963). In questo quadro di riferimentoogni caso, non assume rilievocostituisce comunque argomento idoneo ad incardinare la giurisdizione sulla relativa domanda in capo al Collegio. Nonostante la ridetta precisazione, ai fini “il complesso delle richieste e dei fatti allegati” dalla resistente dimostrano e confermano, invero, che, con riguardo alla domanda riconvenzionale de qua, viene in rilievo la doppia qualifica attribuita alla società Bonifica, oggi Hdi, nonché le attività espletate da tale soggetto, con riguardo ad entrambi gli incarichi di progettista e direzione lavori al tempo affidategli. Da ultimo, deve osservarsi che tutti gli scritti difensivi di parte resistente, compresa, quindi, la Seconda memoria contenente la delimitazione del quesito riconvenzionale, rivelano inequivocamente che il petitum sostanziale della giurisdizionepretesa azionata dal Comune è riferita ad un danno patrimoniale tipicamente "erariale", inteso quale depauperamento del patrimonio della Pubblica amministrazione e, dunque, per sua stessa natura, appartenente alla giurisdizione esclusiva del Giudice contabile È infatti, incontestabile, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato, nel caso Comune abbia agito in esamevia riconvenzionale per ottenere il recupero delle proprie perdite finanziarie ed il ripristino del suo patrimonio leso dalla pretesa negligente condotta del soggetto preposto ai servizi di progettazione e direzione lavori, in favore virtù della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale Convenzione del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale1989. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a.Dunque, per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separatatutti i motivi che precedono, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19). Con il secondo motivo si censura deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione sotto il diverso profilo del petitum sostanzialeCollegio adito, in relazione alla domanda risarcitoria svolta in via riconvenzionale dal Comune di Lecce, siccome concernente un danno erariale, prospettato nell’atto come derivante dal complesso delle attività di citazione come accertamento dell’inadempimentoprogettazione e direzione lavori, totale o parzialesvolte dalla società Bonifica, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattuale. Il motivo è inammissibile. Premesso che nella narratio dei fatti di causa esposta in sentenza si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazione, quindioggi HdI, in astratto compatibile esecuzione della Convenzione del 1989, stante la competenza giurisdizionale esclusiva della Corte dei Conti, norma dell’art. 103 Cost. componenti, declina la propria potestas iudicandi con riferimento al Passando ora alla trattazione delle questioni di merito, questo Xxxxxxxx ritiene opportuna una domanda sorta di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Corteinversione dell’ordine logico giuridico di esame delle stesse; dunque, nella parte motivapreliminarmente, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano saranno trattate le parti interessate che nel caso di specie non è configurabile alcun rapporto di servizio, poiché la società non era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sent., p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla letteraeccezioni formulate dalle parti, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove fine di contrastare le reciproche pretese, e, solo in un secondo momento, verranno eventualmente analizzati i profili relativi all’an e al A tale proposito, occorre previamente verificare la fondatezza delle eccezioni di prescrizione, formulate da entrambe le parti, ricordando che il secondo motivoconvenuto ha eccepito la prescrizione dei diritti di credito azionati dall’istante, qui in esame – modulatoche, piuttostoa propria volta, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia ha opposto all’azione di danni / eccezione di inadempimento, formulate dal convenuto, la asserita prescrizione. Entrambe le eccezioni sono da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia-t.u. spese di giustizia), art. 13 (Importi), c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diffreputarsi infondate.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.

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Motivi della decisione. Con il primo motivoIn ordine al petitum principale, i ricorrenti deducono la violazione dei limiti esterni ovvero alla richiesta di giu- risdizionecorresponsione dell’importo finanziato da restituire alla società Plusvalore, in carenza via preliminare si deve operare il “distinguo” tra le due distinte fattispecie contrattuali che investono la controversia in esame, invero il contratto di alcun rapporto somministrazione stipulato tra il sig. Barison e la società Nettare S.r.l. e il contratto di servizio finanziamento, meglio noto come “contratto di credito al consumo” ma pur sempre riconducibile all’alveo dell’articolo 1813 del codice civile, stipulato tra l’ex il sig. Barison e la società Stoppani – e a fortiorimutuante “Plusvalore”. Alla luce delle disposizioni vigenti in materia di credito al consumo, i ricorrenti Pirondini e Bruzzonepreviste dal decreto legislativo n.206 del 6 settembre 2005 , c.d. “Codice del Consumo”che rinvia, per quanto in esso non previsto, al Testo Unico Bancario di cui al decreto legislativo n.385 del 1 settembre 1993, ai due rapporti negoziali, che coinvolgono parti contraenti solo parzialmente coincidenti, se ne erano dipendenti – aggiunge un terzo di natura “interna”, che lega il fornitore del servizio alla società finanziaria e noto nella prassi del settore come “accordo di convenzionamento” previsto dalla disciplina in materia di finanziamento finalizzato (e non personale) che si concretizza quando l’importo del finanziamento viene versato dalla società finanziaria direttamente al fornitore del servizio a fronte del quale il corrispettivo viene versato a rate dal consumatore. Tanto premesso, pur sussistendo in linea logica un’indubbia correlazione causale tra il finanziamento finalizzato all’installazione dell’impianto e l’erogazione del servizio richiesto, giuridicamente si può sostenere che non sussista alcun collegamento negoziale tra il contratto di somministrazione e quello di finanziamento (Tribunale di Torino, sez. III, 11 settembre 2007). In via generale, il consumatore che stipula un contratto di “credito al consumo” (finanziamento finalizzato) per la fruizione di un servizio non può rifiutare alla società finanziaria il pagamento delle rate a fronte della mancata erogazione del servizio da parte dell’operatore. Pertanto, il consumatore è tenuto al pagamento dell’intero importo anticipato dalla società finanziaria con la facoltà di rivalersi successivamente nei confronti del fornitore del servizio per la sua inadempienza, salvo che, dalle condizioni generali di contratto, non risulti la possibilità del consumatore di opporre direttamente alla società finanziaria le eccezioni relative al contratto di somministrazione. Orbene, nel caso di specie, dalla documentazione acquisita agli atti, ed in particolare dalla nota inviata dalla società Plusvalore in data 20 luglio 2009, si evince l’insussistenza della predetta clausola di opponibilità alla finanziaria delle eccezioni inerenti alle problematiche intercorse tra il sig. Barison e la Regione Liguria: vertendosi, nella speciesocietà Nettare S.r.l.. Pur tuttavia, in tema considerazione della mancata attivazione del servizio richiesto, la società Nettare S.r.l. sarà tenuta al rimborso dell’importo complessivo del finanziamento, previa esibizione di copia di avvenuto pagamento delle relative rate da parte del sig. Xxxxxxx, anche in considerazione della nota del 25 febbraio 2009, con la quale la società Nettare S.r.l. ha comunicato l’impegno di risolvere la problematica inerente al finanziamento. In ordine alla mancata attivazione del servizio internet Wireless, richiesto in data 25 maggio 2008, in considerazione di quanto previsto dall’articolo 3 delle condizioni generali di abbonamento di Nettare S.r.l. secondo il quale “l’attivazione del servizio avverrà entro i successivi 45 giorni lavorativi; i termini di attivazione decorrono dalla scadenza del periodo riservato a Nettare S.r.l. per l’accettazione della proposta (15 giorni)” si deve circoscrivere il disservizio nel periodo intercorrente tra il 25 luglio 2008 e il 1 luglio 2010, data di deposito dell’istanza. Al riguardo, in mancanza di qualsiasi elemento di prova, la mancata attivazione del servizio richiesto sull’utenza in epigrafe per il numero di 706 giorni è da imputarsi esclusivamente alla responsabilità della società Nettare S.r.l. ed in quanto tale implica la corresponsione di un indennizzo proporzionato al disservizio subito dall’utente. Per il computo dell’indennizzo per ogni giorno di disservizio, in assenza di una previsione espressa nelle condizioni generali di contratto di appalto per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento del finanziamento pubblico comunitarioNettare S.r.l., concessosi prenderà a riferimento, in realtàvia equitativa, alla Regione Liguriauna somma corrispondente all’importo del canone mensile contrattualmente previsto, che dalla documentazione allegata è pari ad euro 30,00 e non alla società Stoppani. Le censure sono infondatesi dividerà per 30 (la media dei giorni mensili). La sentenza impugnata valorizza, essenzialmente, la natura pubblica del finanziamento, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio appare esatto, dal momento che cifra così ottenuta è jus receptum che sussiste il rapporto di servizio, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963). In questo quadro di riferimento, non assume rilievo, ai fini della giurisdizione, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato, nel caso in esame, in favore della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata pari ad euro 1,00 da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione di denaro pubblico, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19). Con il secondo motivo si censura il difetto di giurisdizione sotto il diverso profilo del petitum sostanziale, prospettato nell’atto di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattuale. Il motivo è inammissibile. Premesso che nella narratio dei fatti di causa esposta in sentenza si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazione, quindi, in astratto compatibile con una domanda di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Corte, nella parte motiva, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano le parti interessate che nel caso di specie non è configurabile alcun rapporto di servizio, poiché la società non era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sent., p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia-t.u. spese di giustizia), art. 13 (Importi), c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diff.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti moltiplicarsi per il Lazio e altrinumero di 706 giorni di disservizio.

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Motivi della decisione. Con Da un’attenta analisi del caso di specie, emerge che la richiesta di parte istante merita un parziale accoglimento, considerato che non sono riscontrabili elementi di scorrettezza nella condotta del sig. Xxxxx, il primo motivoquale ha fatto del servizio telefonico un utilizzo conforme al regolamento contrattuale. Di contro, diversi sono i ricorrenti deducono profili di illegittimità ravvisabili nella condotta tenuta dall’operatore nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale. Nel dettaglio, la violazione dei limiti esterni di giu- risdizionevalutazione della fattispecie che ci occupa è incentrata sulla problematica riguardante la legittimità dell’iniziativa della “messa in scadenza” del credito da autoricarica maturato entro il 31.12.2006. Su tale questione l’operatore H3G ha evidenziato che, in carenza sostanza, la maturazione di somme notevolmente ingenti da parte dell’utente sembra derivare da un utilizzo improprio dell’utenza telefonica, in contrasto con il divieto contrattuale di uso dei servizi a scopo lucro prescritto dall’art. 12 delle Condizioni generali di abbonamento. Con riferimento alle argomentazioni addotte dal gestore a supporto della propria posizione, rileva in questa sede evidenziare che, al tempo della costituzione del rapporto contrattuale, nessuna clausola indicava limitazioni circa l’utilizzazione del credito residuo accumulato, né lo differenziava in alcun rapporto modo rispetto a quello frutto di servizio tra l’ex versamento diretto di somme di denaro a favore del gestore. A ciò si aggiunga che la disciplina contrattuale, prevedendo apposite forme di autotutela, avrebbe consentito all’operatore di disporre rimedi quali la sospensione dei servizi ovvero la risoluzione del contratto per usi anomali o a scopo di lucro, conformemente a quanto disposto dall’art. 18 e dall’art. 20 delle Condizioni Generali di contratto. Non può trascurarsi, pertanto, la circostanza che la società Stoppani – H3G S.p.A., pur potendo, non ha attivato quelle clausole che le avrebbero permesso di tutelarsi per tempo senza far sorgere equivoci né aspettative di sorta rispetto ad un comportamento del cliente indubbiamente anomalo, che però era già oggettivamente riscontrabile da tempo. Sotto altro profilo interpretativo, poi, si deve aggiungere che l’assenza originaria, nel piano Super Tua Più, di qualsivoglia tetto massimo o limite per l’autoricarica e la recente previsione di tetti di autoricarica che ancora permettono l’accumulo di somme rilevanti, rappresentano un indice della volontà originaria del gestore di consentire accumuli anche ingenti di credito da autoricarica. Tali caratteristiche hanno reso tali piani tariffari particolarmente “appetibili” per una parte di clientela, consentendo al gestore di realizzare una campagna di acquisto clienti evidentemente vantaggiosa. Si deve, quindi, ritenere che il comportamento tenuto dal gestore, che avrebbe dovuto essere improntato a diligenza e perizia qualificate per evitare il verificarsi di situazioni quali quella in esame, è stato per contro lungamente connotato da inerzia, per poi manifestarsi con una soluzione che appare ingiustificata e sproporzionata, qual è quella del netto rifiuto di restituire l’intero ammontare del credito generato da meccanismi di autoricarica. Da ciò deriva che l’eccezione del gestore relativa all’uso anomalo rilevato non può trovare integrale accoglimento, poiché la società H3G S.p.A., dopo aver comunque tratto tutto il possibile vantaggio dallo svolgimento del rapporto, beneficiando del traffico generato dal cliente e lucrando, ovviamente, sotto il profilo dei prezzi di terminazione, con il disconoscimento del credito da autoricarica ha mirato a riservare a sé tutti i vantaggi del contratto e a fortioriliberarsi di tutti i correlativi oneri. Fermo quanto sopra, i ricorrenti Pirondini e Bruzzoneelemento dirimente ai fini della soluzione del caso che ci occupa è la valutazione della condotta del sig. Xxxxx al fine di stabilire se lo stesso abbia fatto un utilizzo del servizio telefonico pienamente conforme al regolamento contrattuale ed alla causa del contratto di abbonamento telefonico, che ne erano dipendenti – e dovrebbe identificarsi in uno scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo. Se è vero, infatti, che le decisioni del gestore relative alle soglie di autoricarica, o ad altre offerte che invoglino al consumo, possono essere sindacate per valutare eventuali carenze di trasparenza nelle collegate condizioni sull’utilizzo tecnico/economico dei servizi, non può seriamente ritenersi che la Regione Liguria: vertendosimancanza di un tetto massimo di autoricarica mensile nella prima formula del piano tariffario Super Tua Più equivalesse a legittimare qualsiasi forma di uso (o abuso) dell’utenza telefonica, nella speciea prescindere dalla naturale funzione economico- sociale del contratto, in tema che consiste nello scambio tra un servizio di contratto di appalto per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento del finanziamento pubblico comunitario, concesso, in realtà, alla Regione Liguriacomunicazione interpersonale ed un corrispettivo, e non nell’autoricarica. Una simile affermazione, infatti, negherebbe in radice le regole basilari della società civile, in pratica presupponendo che l’assenza di un idoneo controllo legittimi qualsiasi comportamento. Da ciò deriva anche l’ulteriore, evidente, considerazione che, in ogni caso, anche la previsione di un tetto in ipotesi elevato, per sua stessa definizione e natura, non implica affatto la necessità del suo costante raggiungimento da parte degli utenti in violazione delle più elementari regole di buona fede nella esecuzione del contratto, in ossequio a quanto prescritto dal combinato disposto degli artt. 1337, 1175 e 1375 del c.c.. L’obbligo di attenersi al rispetto della buona fede, fondato sul dovere di solidarietà di cui all’art. 2 del Costituzione, impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere dagli specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere. In via generale, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, “la buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla società Stoppani. Le censure sono infondate. La sentenza impugnata valorizzasalvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico” (ex pluribus, essenzialmenteXxxx., la natura pubblica del finanziamento, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: 15.02.2007 e tale criterio appare esatto, dal momento che è jus receptum che sussiste il rapporto di servizio, allorché un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 201411.01.2006, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963264). In questo quadro di riferimento, non assume rilievo, ai fini della giurisdizione, che il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato, nel Nel caso in esame, tra l’altro, l’utente Xxxxx aveva anche aderito ad obblighi contrattuali che ponevano limiti espressi: l’art. 12, comma 3, delle Condizioni Generali applicabili, infatti, stabiliva che “Il cliente si impegna a non utilizzare o far utilizzare, direttamente o indirettamente, i servizi per scopo di lucro, anche indiretto”, mentre i successivi articoli 18 e 20 implicavano un divieto più generico di “ogni altro caso di uso improprio o illegittimo del servizio”, prevedendo la facoltà del gestore di sospendere o risolvere il contratto. Pure il messaggio pubblicitario originariamente diffuso, tra l’altro, implicava chiaramente un uso bidirezionale dell’utenza, naturalmente anche solo potenziale. La locuzione “parlare praticamente gratis” utilizzata dal gestore, infatti, presupponeva con tutta evidenza un’attività di traffico in favore uscita, tant’è che la promessa di gratuità fu giudicata ingannevole dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (provvedimento n. 16010 del 27 settembre 2006) anche perché vi erano una serie di oneri che riducevano “notevolmente la possibilità per il cliente di riuscire a compensare il costo del traffico in uscita con quello in entrata” (per esempio lo scatto alla risposta). Non vi è dunque alcuno spazio per ritenere che il piano tariffario, per quanto contraddistinto da un’accattivante logica di autoricarica, potesse essere usato come strumento di accumulo di denaro tramite la sola ricezione ininterrotta di traffico voce o dati. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, è necessario valutare se nel periodo di riferimento vi siano stati episodi di utilizzo del servizio da parte dell’utente non conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che l’istante può avere diritto esclusivamente al riconoscimento di un importo di credito che sia compatibile con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto, improntati ad un canone di “uso normale” e ragionevole del servizi. Nella definizione concreta di questo canone, l’Autorità è tenuta peraltro a valutare i peculiari equilibri economici propri dello specifico rapporto in tutta la complessità dei loro risvolti, non circoscrivendoli ai soli elementi formali e tecnici della Regione Liguriafattispecie secondo un parametro di giustizia sostanziale del caso concreto. Rileva, stante allora, al di là delle abitudini nell’uso dei servizi descritte dall’utente, sopra riassunte, il rilievo decisivo contegno dell’operatore successivo alla stipula, che esso è stato poi utilizzato – come già illustrato – non ha per l’attività lungo tempo azionato le clausole pattizie che gli avrebbero permesso di bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente tutelarsi, lasciando che l’istante accumulasse credito anche ingente (ed anzi prevedendo nei successivi Piani Tariffari limiti di autoricarica mensile decisamente elevati, con ciò evidentemente permettendo l’insorgenza di un’aspettativa per l’utente). Sotto quest’ultimo profilo, inoltre, importa, inoltre, ricordare il filtro formale canone del Codice civile di cui all’art. 1370, che impone di risolvere a carico del contraente che predispone le Condizioni Generali di Contratto le ambiguità del loro testo, ivi compresa, nel caso specifico, quella connessa al richiamo del solo generico divieto di perseguire uno scopo di lucro, privo di qualsivoglia riferimento a soglie massime di utilizzazione e a scadenze predeterminate. Nella specifica vicenda, pertanto, il parametro da applicare ai fini di una concreta ed equa determinazione dell’ammontare del credito da autoricarica da corrispondere all’utente risiede nella valutazione del contratto alla stregua del suo uso normale del servizio da parte del cliente medio residenziale del servizio telefonico, avuto riguardo alla naturale destinazione di appaltoquest’ultimo, inserito in consistente nella comunicazione interpersonale e non nell’autoricarica. Si tratta di un progetto criterio che, oltre ad essere usualmente adoperato per valutare la consistenza delle condotte di riqualificazione complessiva di una zona abuso del diritto (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppaniex multiis, Cass., sez. III, 15.04.2004, N. 7169; 18.6.1991, N. 6896), rientrante nella fun- zione pubblica dell’ente territoriale. Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto l’utilizzazione è suggerito dalle stesse condizioni generali di denaro pubblicocontratto, risultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, insindacabile in questa sede – in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19). Con il secondo motivo si censura il difetto di giurisdizione sotto il diverso profilo del petitum sostanziale, prospettato nell’atto di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del finanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, così formulata, rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattuale. Il motivo è inammissibile. Premesso che nella narratio dei fatti di causa esposta in sentenza si enuclea il petitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazione, quindile quali, in astratto compatibile con una domanda diverse disposizioni lo considerano quale parametro al quale si ancorano alcune conseguenze contrattuali. Come già anticipato, inoltre, l’art. 12.3 delle condizioni generali di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Cortecontratto vieta al cliente di utilizzare il servizio per scopo di lucro, nella parte motivaanche indiretto. Non può che ridursi, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infatticonseguenza, sul punto: “Contestano le parti interessate l’importo che nel caso di specie non è configurabile alcun rapporto di serviziopuò essergli riconosciuto, poiché la società non era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sent., p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo della giurisdizio- ne) corrisponde, pressoché alla lettera, al primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui non sia da intendere meramente ripetitivoesso è stato il frutto di una condotta eccedente le soglie compatibili con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto. Nella fattispecie in oggetto, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un diverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, il ricorso peccherebbe di autosufficienza, non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, in effetti, puntualmente addotta. Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivodeve rilevarsi che, sulla base di un’attenta valutazione e disamina delle informazioni rese dalle parti, deve escludersi il denunciato utilizzo del valore servizio “in modalità non adeguata ad un uso normale dell’utenza telefonica”, che avrebbe giustificato, anche nei confronti del sig. Xxxxx, secondo la ricostruzione della causa Società, l’operazione di “messa in scadenza” del credito autoricaricato. Gli importi di autoricarica accumulati dall’istante, infatti, sono stati maturati in un periodo abbastanza lungo e risultano decisamente non significativi ai fini del numero preteso uso anomalo dell’utenza, se rapportati alle logiche di autoricarica applicate (0,04 euro per ogni sms ricevuto off net e complessità 0,010 euro per ogni minuto di traffico ricevuto off net), nel senso che gli stessi equivalgono alla ricezione di una quantità di traffico o dati compatibile con un uso normale e ragionevole dell’utenza. A supporto dell’assunto che si sta sostenendo, si consideri che, nel caso di specie, il criterio dell’uso normale del diritto, conformemente ai parametri già utilizzati da questa Autorità nella Delibera n. 11/09/CIR, può essere individuato, per l’utenza interessata dall’operazione di messa in scadenza del credito, in 6 ore giornaliere di traffico in sola ricezione, pari ad euro 1.080,00 di autoricarica mensile. Tanto, in considerazione: - delle questioni trattate. caratteristiche specifiche dell’offerta, contraddistinta da una logica di autoricarica molto accattivante per gli utenti che certamente invogliava alla ricezione, pur senza prevedere limiti mensili; - si dà atto del fatto che l’utenza in ricezione era una; - del fatto che, in ogni caso, qualsiasi utente, durante la vita quotidiana, compie attività molteplici ed ulteriori rispetto all’utilizzo dei servizi di comunicazione interpersonale; della sussistenza ragionevolezza della presunzione di più pause giornaliere nell’uso dei presupposti servizi, di cui xx x.x.xuna notturna di perlomeno 7 ore. 00 xxxxxx 0000Applicando la soglia di 1.080,00 euro mensili, x. 000 (x.xemerge con palmare evidenza che, nel periodo in contestazione, tale soglia non è mai stata superata dal sig. Xxxxx. Non si ravvisa dunque la prova del lamentato scopo di lucro nell’utilizzo del servizio da parte dell’utente. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle disposizioni legislative norme contrattuali citate, si ritiene che, nel periodo in contestazione, l’utilizzo del servizio sia stato conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che la domanda di restituzione del credito da autoricarica formulata dall’utente deve trovare pieno accoglimento. Per quanto concerne, da ultimo, la richiesta dell’istante per la mancata risposta al reclamo ricevuto dall’operatore in data 30 ottobre 2007, deve evidenziarsi che la nota in parola risulta essere una mera reiterazione delle doglianze precedentemente manifestate dall’utente a cui la società H3G S.p.A. ha fornito tutte le dovute risposte tramite lo scambio di e-mail prodotto dallo stesso sig. Xxxxx e regolamentari in materia presente agli atti. Pertanto la domanda relativa alla corresponsione di spese di giustizia-t.u. spese di giustizia), art. 13 (Importi), c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). 12325 – Corte di cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diffun indennizzo per la mancata risposta al reclamo non può trovare accoglimento.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e altri.

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