DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Not Specified
DIRITTO. La questione ha per Il Collegio deve preliminarmente dar conto dell’eccezione di incompetenza temporale sollevata dall’intermediario in via pregiudiziale. Tale eccezione va rigettata in quanto, pur essendo la competenza arbitrale effettivamente circoscritta ai ricorsi aventi ad oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrenteoperazioni o comportamenti successivi al 1° gennaio 2009, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso di specie, la domanda proposta dal ricorrente riguarda i conteggi di estinzione anticipata effettuati dall’intermediario resistente nel novembre 2015 e contestati dal ricorrente. Ne consegue che, trattandosi di operazioni o comportamenti successivi al 1° gennaio 2009, va affermata la competenza del Collegio arbitrale, come chiarito anche dal Collegio di Coordinamento di questo Arbitro (v. dec. 5866/2015, seguita ad es. da ABF Napoli n.809/2016). Venendo all’esame del merito, l’oggetto del ricorso riguarda l’accertamento della legittimità del metodi di calcolo previsto dall’art. 7 del contratto predisposto dall’intermediario e, conseguentemente, la validità e l’efficacia della clausola stessa che rappresenta la base normativa del suddetto calcolo. La norma contrattuale in esame l’obbligo prevede, in casi di segnalazione estinzione anticipata del finanziamento, che l’importo del capitale residuo vada primo convertito in Centrale franchi svizzeri al tasso di cambio convenzionalmente fissato nel contratto e successivamente riconvertito in euro al cambio franco/svizzero rilevato al giorno del rimborso. Espressamente: “Ai fini del rimborso anticipato, il capitale restituito, nonché gli eventuali arretrati che fossero dovuti, verranno calcolati in franchi svizzeri in base “ al tasso di cambio convenzionale”, e successivamente verranno convertiti in Euro in base alla quotazione del tasso di cambio franco svizzero - euro rilevato sulla pagina FXBK del circuito ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione e pubblicato su “Il Sole 24 Ore” nel giorno dell’operazione di rimborso”. Quindi, ai fini del garantesuddetto calcolo, come affermato dal ricorrentesono previste due operazioni: dapprima il calcolo del capitale residuo in franchi svizzeri sulla base del tasso convenzionale di cambio adottato al momento della stipula; successivamente tale cifra verrà convertita in euro sula base del tasso di cambio esistente al momento dell’estinzione, osubendo il cliente la doppia alea della duplice conversione del capitale residuo. Pertanto, viceversasulla base delle regole di correttezza, permangatrasparenza e buona fede, come sostenuto dalla parte resistente che devono caratterizzare qualsiasi regolamento contrattuale, risulta evidente che tale art. 7 non espone in considerazione della non risolta posizione debitoriamaniera trasparente e inequivoca il meccanismo di calcolo applicabile in occasione dell’estinzione anticipata, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, tutto ciò in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea contrasto con la giurisprudenza civile ed il Collegio disciplina prevista dalla direttiva 93/13/CEE (recepita dall’ordinamento nazionale attraverso l’adozione del Codice di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014Consumo). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., Né si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella trascuri che, secondo il prevalente orientamento della Cassazionela Corte di Giustizia dell’Unione Europea, esclude l’operare la violazione del termine principio di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) etrasparenza, di seguitocui all’art. 4, paragrafo 2 della direttiva sopra citata, fa sì che la clausola di cui si tratta sia valutata come abusiva ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1 della stessa, laddove “malgrado il requisito della buona fede, si determini un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto”. Conseguentemente, in quanto abusiva, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo clausola contrattuale è suscettibile di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersiessere dichiarata ex officio nulla, ai sensi dell’art. 1957 36 cod. cons. Ad esiti analoghi è pervenuta la stessa Cassazione, affermando che la violazione della fondamentale regola della trasparenza comporta la nullità della clausola (Cass., sez. III, 8 agosto 2011, n.17351). Ed alla luce dei predetti dati normativi e orientamenti giurisprudenziali, nazionali e europei, il Collegio di Coordinamento, con la citata decisione n. 5866/2015, ha stabilito che conseguentemente alla nullità della clausola abusiva “si applica la norma di diritto dispositivo alla quale il predisponente aveva inteso derogare a proprio vantaggio”, in quanto detta nullità non travolge l’intero contratto, ma impone soltanto un nuovo calcolo degli interessi. Questo Collegio deve altresì rilevare, con specifico riguardo al caso di specie, che il ricorrente, nella formulazione della domanda, richiede anche la disapplicazione del tasso ultralegale che regola il rapporto di finanziamento a vantaggio di quello sostitutivo di cui all’art. 117 TUB, previo accertamento dell’assoluta opacità dei meccanismi di indicizzazione tali da determinare incertezza sull’effettivo costo del finanziamento. E anche tale domanda merita accoglimento perché la formulazione contrattuale risulta opaca, non essendo facilmente intellegibile né su quale base di calcolo (“ La somma restituita dalla parte mutuataria al netto di quanto sopra e di quant’altro dovuto a qualsiasi titolo dalla parte mutuataria alla Banca determinerà la quota di capitale estinto sulla base della quale verrà calcolata la quota di capitale residuo”) sia applicata semestre per semestre l’eventuale differenza tra i tassi di cambio convenzionali e quelli di mercato, né tanto meno le differenti modalità di regolamento dei conguagli semestrali ( se positivi, accreditati su un conto vincolato e sostanzialmente infruttifero, con capitalizzazione annuale disallineata rispetto alla tempistica mensile dei pagamenti rateali; se negativi, immediatamente compensati con il saldo eventualmente positivo del conto oppure richiesti in pagamento alla successiva scadenza rateale). In considerazione di quanto precede ed, in specie della nullità della clausola contenuta dall’art. 7 del contratto stipulato tra le parti del presente giudizio, e tenuto conto del principio nominalistico di cui all’art.1277, 1° comma, c.c., estinta el’intermediario dovrà effettuare il conteggio dell’anticipata estinzione del finanziamento di cui si tratta applicando i principi sopra enunciati. In particolare, pertantoil capitale residuo che il ricorrente dovrà restituire dovrà essere pari alla differenza tra la somma mutuata di euro 90.000,00 e quella già corrisposta previamente ricalcolata sostituendo il tasso di interesse ultralegale applicato dalla banca con il tasso di interesse ex art. 117 TUB, non più giustificata senza praticare la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischiduplice conversione indicata dall’art. 7 di cui è stata dichiarata la nullità. .
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Sources: Financing Agreement
DIRITTO. Sul gravame presentato dal sig. ….. la Commissione, preliminarmente prende atto della dichiarazione del ricorrente di aver avuto accesso parziale alla documentazione richiesta e non può che ritenere cessata la materia del contendere con riferimento alla stessa. Procedendo alla verifica della sussistenza di un interesse del ricorrente all’accesso la Commissione osserva quanto segue. La questione citata sentenza n. …../13 ha per dichiarato la nullità del testamento olografo esistente del sig. ….. con conseguente apertura della successione ab intestato e devoluzione dell’asse ereditario agli eredi legittimi, dichiarando altresì l’indegnità a succedere del sig. ….., anch’egli prozio dell’istante e morto in corso di causa. Pertanto, in virtù del grado di parentela che lega il sig. ….. ai defunti della cui successione si tratta, egli rientra, in astratto, nella categoria dei successibili ex lege e ciò vale ad individuare, in capo al medesimo, un interesse qualificato ad accedere ai documenti richiesti. Il diritto all’accesso infatti si qualifica come “astratto” e “acausale” e prescinde da un sindacato, nel merito, sulla concreta spettanza del bene della vita cui l’accedente aspira: ciò che rileva è la titolarità di un interesse diretto, concreto ed attuale nonché la strumentalità tra il diritto fatto valere e la documentazione oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentedi richiesta ostensiva. Non spetta, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.cinfatti, a questa Commissione la verifica concreta dell’effettiva spettanza di una quota di eredità al ricorrente ma tale diritto dovrà essere accertato e sancito nelle sedi a ciò deputate. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione tutto quanto sopra esposto la Commissione ritiene sussistente il diritto del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artsig. 1957 c.cad accedere a tutta la documentazione richiesta., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Accesso Agli Atti
DIRITTO. La questione ha Il ricorso appare meritevole di accoglimento nei limiti e per oggetto l’assunta illegittimità le ragioni di seguito esposte. Si deve premettere che i contratti di cui si tratta contengono una clausola del seguente tenore: “Ferma restando la facoltà per la Banca di far valere le cause di risoluzione del contratto disciplinate dall’art. 40 del T.U. e salvo gli altri casi di risoluzione previsti dal presente contratto e dall’allegato capitolato, la banca avrà facoltà di ritenere risolto il presente contratto di mutuo, ex art. 1456 c.c., nel caso di mancato pagamento di due rate consecutive del mutuo stesso” e analoga previsione è contenuta nell’allegato A agli stessi contratti (v. ivi, art. 15, I° co.). Si deve anche rilevare che le esposizioni maturate dal ricorrente per i singoli contratti di mutuo, al momento di inoltro della perdurante segnalazione relativa comunicazione di risoluzione, erano le seguenti: n. 12 rate, per complessivi € 9.525,19 per il muto n. 305-179551000; n. 1 rata di € 1.120,74 per il mutuo n. 305-338028000; n. 2 rate per complessivi € 2.075,38 per il mutuo n. 305-339087000 e n. 1 rata di 1.097,69 per il mutuo n. 305-409026000, mentre nessuna rata arretrata risultava per l’ulteriore quinto mutuo. Con riferimento alle modalità di imputazione dei pagamenti, negli allegati A ai contratti di mutuo di cui si verte è previsto che: “Qualunque somma pagata alla Banca dalla Parte Mutuataria o da terzi verrà imputata al pagamento delle spese di qualunque natura … … e di quant’altro fosse stato pagato dalla Banca per conto della Parte Mutuataria, quindi, per ogni rata scaduta, a partire dalla più antica, al regolamento degli interessi di mora, degli accessori, degli interessi ordinari ed infine alla restituzione del capitale mutuato e ciò salvo che la Banca ritenga di adottare un diverso ordine di imputazione.” (v. ivi, art. 14). Ciò posto, si deve considerare che la clausola contrattuale sopra citata deve interpretarsi nel senso che la facoltà di deroga agli ordinari criteri di imputazione dei pagamenti ivi riconosciuta alla banca è legittimamente esercitabile solo in Centrale Rischi senso più favorevole al mutuatario, dovendosi altrimenti ritenere nulla in parte qua in applicazione del nominativo del principio di “nullità (parziale o totale) ex articolo 1418 cod. civ. della clausola … per contrasto con il precetto dell’art. 2 Cost. (per il profilo dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà)” (Corte Cost., ord., 21/10/13 n. 248), non essendo compatibile con tali doveri la previsione di una totale discrezionalità dell’intermediario che penalizzi immotivatamente il mutuatario con l’adozione di un diverso criterio di imputazione dei pagamenti ricevuti. Secondo quanto dedotto dal ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso di specie, applicando correttamente le previsioni negoziali sopra citate, la banca avrebbe potuto dichiarare risolto il solo contratto n. 305-179551000 con n. 12 rate arretrate, mentre non avrebbe potuto farlo con riferimento agli altri contratti e tale assunto appare corretto anche ove la compensazione con quanto dovuto per canone locativo fosse stata imputata (non al montante complessivo dell’esposizione del mutuatario conseguente alla risoluzione di tutti i contratti, come fatto dall’intermediario, ma) al mutuo con il maggior numero di rate arretrate. Anche in esame l’obbligo tal caso, infatti, la clausola risolutiva espressa non avrebbe potuto utilmente invocarsi per gli altri contratti, non essendo per questi maturato il ritardo minimo di segnalazione in Centrale cui all’art. 40 T.U.B.. In proposito questo ▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato ha già avuto modo di pronunciarsi nel senso di escludere che “tale disposizione (art. 40, II° co., T.U.B., n.d.r.) possa essere derogata in senso più sfavorevole per estinzione dell’obbligazione il mutuatario” rilevando che “La sua formulazione rende … evidente che, ai fini della risoluzione del garantecontratto, gli estremi del mancato pagamento di una rata di mutuo possono ritenersi realizzati solo quando siano decorsi oltre 180 giorni dalla data di scadenza” (ABF Coll. Roma dec. 15/03/13 n. 1430), come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto ritenuto anche dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 (v. Comunicazione febbraio 1991 (Cap1194, Chiarimenti sul Testo Unico, D. Lgs. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016385/93). In difetto di riscontri documentali a tale otticaspecifico riguardo e stante il mancato deposito di controdeduzioni da parte dell’intermediario, l’osservanza del suddetto onere esigenel caso di specie si deve presumere che, secondo il costante orientamento della Cassazionetrattandosi di rate mensili, i ritardi di una o due rate non potessero essere superiori ai 180 giorni e che non si siano verificati almeno sette volte nel corso dei rispettivi rapporti e non potesse perciò dichiararsi la risoluzione di diritto dei contratti nn. 305- 338028000 (1 rata arretrata), 305-339087000 (2 rate arretrate) e 305-409026000 (1 rata arretrata), dovendosi conseguentemente ritenere illegittima la condotta al riguardo tenuta dall’intermediario. Il Collegio accoglie il ricorso a mezzi processuali nei sensi di tutela del diritto cui in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditricemotivazione. Nella specieDispone, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersiinoltre, ai sensi dell’art. 1957 c.cdella vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 (euro duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e alla ricorrente la somma di € 20,00 (euro venti/00) quale rimborso dell’importo versato alla presentazione del ricorso., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Mutuo
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrenteIl Collegio, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di pronunciandosi sulla legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioCR e sul risarcimento del danno, ma anche i presupposti osserva che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il in contestazione riguarda esposizioni debitorie derivanti da un rapporto garantito’” di c/c acceso presso l’intermediario resistente, nonché da un contratto relativo a una carta di credito, come da evidenze documentali allegate (Collegio v. lettera di Milano, decisione n. 8288/2014messa in mora e richiesta di carta di credito). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. La parte ricorrente ha versato in atti la visura CR relativa al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione mese di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011)ottobre 2019, da cui è conseguita la costituzione in mora si desume che l’intermediario convenuto ha segnalato il nominativo del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) ricorrente nella categoria “a sofferenza” della Centrale Rischi per l’importo di 9.317,00 euro, e, per quanto concerne la permanenza della segnalazione, ha riferito che tale segnalazione «persiste come minimo dall’ottobre del 2016», ove l’intermediario resistente afferma, invece, di seguitoaver proceduto alla classificazione a sofferenza della posizione nel settembre 2017. A fronte di quanto sinora descritto, in forza del quale la parte ricorrente contesta la legittimità della segnalazione sia sotto il profilo formale che sostanziale, occorre preliminarmente valutare la questione posta soffermandosi sull’eccezione sollevata dall’intermediario convenuto sulla carenza di legittimazione passiva del resistente. Difatti, in via preliminare, l’intermediario ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, argomentando di aver ceduto il credito oggetto di segnalazione ad una società terza nell’ambito di un’operazione di cessione di crediti in blocco perfezionatasi il 1 luglio 2020, come da specifica notizia datane mediante pubblicazione sulla G.U., Parte II, n. 84 del 18 luglio 2020. Sul punto, il Collegio rileva che l’intermediario stesso dichiara di aver disposto la segnalazione “a sofferenza” del nominativo del ricorrente nel mese di quest’ultimosettembre 2017, stante il perdurare che è perdurata almeno sino al mese di ottobre 2019, come emerge dalla visura CR depositata dalla parte ricorrente. A riguardo è dirimente osservare che, sebbene le Istruzioni per gli intermediari creditizi sulla Centrale Rischi della sua insolvenza Banca d’Italia (Circolare n. 139 dell’11 febbraio 1991) specificano che l’ente tenuto alla segnalazione alla Centrale Rischi è l’intermediario titolare del credito, «[…] occorre altresì rammentare che, conformemente alla Circolare della Banca d’Italia n. 139/1991 e ai precedenti ABF, è anche vero che ciascun intermediario può essere chiamato a rispondere per le segnalazioni che ha effettuato, indipendentemente dal fatto che la posizione debitoria del soggetto segnalato sia stata successivamente trasferita ad un altro soggetto. Pertanto, posto che la segnalazione del ricorrente è stata effettuata dall’intermediario resistente prima della cessione, come affermato dallo stesso intermediario e confermato dal prospetto della Centrale dei Rischi allegato al ricorso, deve affermarsi la legittimazione passiva del resistente con riferimento esclusivo alle segnalazioni da comunicazione questo effettuate (in questi termini, Collegio di Roma, decisione n. 17870/2019)» (cfr. Collegio di Bari, n. 12789 del 09.09.20112020). Alla stregua di quanto precede, per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e sepertanto, quindil’attuale resistente risulta essere legittimato passivo nel presente ricorso. Passando al merito della questione, e, in particolar modo, alla esistenza del credito, la prima censura mossa da parte ricorrente concerne l’illegittimità dell’iscrizione del proprio nominativo in CR in ragione dell’avvenuta estinzione del debito oggetto di segnalazione. E invero, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (deduce che tutti i rapporti in essere con l’intermediario, compresi i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno rapporti di c/c, sono stati oggetto di definizione bonaria con l’atto di quietanza del 10 ottobre 2016 per come allegato in atti. Si evidenzia che tale documento si riferisce esclusivamente ai rapporti di mutuo ***961 e 289 rispetto ai quali prevede che l’odierna resistente, «a seguito della permanenza contabilizzazione dell’importo di euro 82,000 […] si intenderà soddisfatta di ogni pretesa vantata nei confronti della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se parte mutuataria […] non avendo più nulla a pretendere nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”confronti della parte mutuataria». La circostanza che parte ricorrente lamenta, inoltre, la mancata ricezione del preavviso di segnalazione, e, a riguardo, l’intermediario non ha fornito prova né dell’invio né della ricezione da parte della ricorrente di comunicazioni contenenti il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza predetto preavviso di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Casssegnalazione. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esigeAd ogni modo, secondo il costante consolidato orientamento dell’Arbitro, l’invio del preavviso al cliente non costituisce un requisito di legittimità della Cassazionesegnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia, ma rappresenta tutt’al più un obbligo di trasparenza, la cui violazione può giustificare una eventuale pretesa risarcitoria (cfr., sul tema, ex multis, Collegio di Bologna, decisione n. 33 del 3 gennaio 2020, e, in senso conforme, Collegio di Roma, decisione n. 12179 del ▇▇▇▇, ▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ▇▇▇▇▇▇, decisione n. 1444 del 2020). Quanto al presupposto sostanziale per l’apposizione a sofferenza, il ricorso ricorrente ne contesta la legittimità, sebbene costituisca orientamento costante dell’ABF quello secondo il quale, ai fini della segnalazione a mezzi processuali sofferenza, l’intermediario è tenuto a operare una valutazione complessiva dell’esposizione debitoria del cliente, finalizzata a verificare se quest’ultima possa considerarsi alla stregua di tutela una stabile e consolidata incapacità di costui di onorare i propri debiti (cfr. Collegio di Coordinamento, decisione n. 611 del diritto 2014). Nel caso di specie, infatti, l’intermediario ha affermato di aver proceduto alla segnalazione “a sofferenza” del nominativo del ricorrente tenuto conto di precedenti tentativi di recupero del credito non andati a buon fine e della grave situazione di insolvenza testimoniata anche dalla procedura di esecuzione immobiliare intrapresa nei confronti del ricorrente. A riprova di ciò, ha allegato la lettera di costituzione in mora del 5 maggio 2015, nonché evidenzia della notifica al ricorrente di un atto di precetto e di un atto di pignoramento immobiliare. Non risulta invece evidenza dei richiamati tentativi di recupero del credito, il cui effettivo esperimento è messo in discussione dal ricorrente in sede di repliche. Il ricorrente, al fine dimostrare l’insussistenza dei requisiti per l’apposizione a sofferenza, ha evidenziato di beneficiare di un ottimo stipendio in ragione dell’importante ruolo che ricopre nell’Arma dei Carabinieri e di non aver mai avuto problematiche nei confronti di alcun creditore, e a riprova dell’attività lavorativa svolta ha allegato un attestato di servizio del 10 novembre 2020. Alla stregua di quanto precede parrebbe pacifica, allora, la presenza dei requisiti per l’appostazione a sofferenza in CR in quanto il resistente, conformandosi alla decisione del Collegio di Coordinamento n. 611 del 2014 ha operato «una valutazione complessiva dell’esposizione debitoria del cliente, finalizzata a verificare se quest’ultima possa Sebbene, poi, la parte ricorrente chieda il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, asseritamente subiti a causa della segnalazione in CR, il Collegio, ritenendo infondate le domande sul merito, non è chiamato a pronunciarsi. In merito, infine, alla richiesta del resistente di consegna di documentazione, in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed telematica e senza applicazione di oneri a suo carico, questi si riferisce alla copia del contratto di mutuo ***961 e ***289, alla copia del contratto di servicing stipulato con la società X (ora incorporata nell’odierna resistente) al fine di gestire la procedura di vendita del bene offerto in garanzia, e alla copia della comunicazione di messa in mora e contestuale segnalazione a sofferenza. A riguardo, l’intermediario, unitamente alla memoria difensiva, ha allegato copia del contratto di mutuo ***961 e ***289 e copia della comunicazione di messa in mora, mentre non consta alcuna evidenza dell’avvenuta consegna del contratto di servicing anch’esso oggetto della richiesta documentale formulata dal ricorrente. Sebbene, pertanto, dalla documentazione afferente alla fase di reclamo, emergesse che l’intermediario avrebbe invitato il soddisfacimento ricorrente a ritirare la documentazione richiesta presso la filiale di riferimento, il ricorrente ha affermato di aver richiesto alla predetta filiale l’invio dei documenti in questione all’indirizzo pec del legale senza che tale richiesta fosse oggetto di riscontro. Tuttavia, alla luce di quanto sopra formulato, il Collegio ritiene che le richieste di ostensione documentale formulate dalla ricorrente non siano accoglibili. Quanto alla richiesta di indennizzo formulata in sede di repliche, la parte ricorrente ha disconosciuto la sottoscrizione apposta sulla ricevuta di consegna della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente lettera di messa in ordine al mancato assolvimento mora e ha lamentato la mancata verifica da parte dell’intermediario della corrispondenza di tale sottoscrizione con gli specimen di firma in suo possesso. Si rileva, sul punto, che le Disposizioni ABF escludono la possibilità di ampliare, in sede di repliche, la domanda formulata con il ricorso, prevedendo testualmente che «Entro il termine perentorio di 25 giorni dalla ricezione delle attività dirette a recuperare controdeduzioni, il creditocliente può trasmettere una memoria di replica. Resta comunque preclusa la possibilità di ampliare la domanda iniziale» (Sez. VI, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti§ 1), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità con conseguente inammissibilità delle nuove domande formulate in sede di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici repliche (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.ccfr., estinta eex multis, pertantoCollegio di Milano, non più giustificata la segnalazione decisione n. 204 del suo nominativo in Centrale Rischi2020).
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Sources: Settlement Agreement
DIRITTO. La questione ha per I ricorsi, avendo ad oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentela medesima sentenza, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio devo- no essere riuniti, ai sensi dell’art. 1957 c.c335 c.p.c. L’espropriazione e` soggetta alle norme dell’art. 5-bis del D.L. 11 luglio 1992 n. 333, che e` stato inserito dalla legge di conversione 8 agosto 1992 n. 359, ed e` applica- bile a tutti i rapporti non ancora definiti alla data di en- trata in vigore di detta legge. L’art. 5-bis, con il primo comma, per le aree edificabili, stabilisce che l’indennita` di espropriazione e` determina- ta dalla semisomma del valore venale e del valore «fi- scale» desunto dal reddito dominicale rivalutato; poi, con il terzo comma, dispone che, per la valutazione del- l’edificabilita` delle aree, si devono considerare le possibi- lita` legali ed effettive di edificazione esistenti «al mo- mento dell’apposizione del vincolo preordinato all’e- sproprio», cos`ı recependo, con quest’ultima espressione, il principio dell’ininfluenza ai fini indennitari delle pre- scrizioni finalizzate all’espropriazione, gia` presente nella normativa anteriore. Non e` in discussione l’edificabilita` dei suoli espropriati, in base al piano regolatore, ▇▇´ s’invoca un’edificabilita` «di fatto» divergente da quella «di diritto» (la questione dell’eventuale incidenza di detta edificabilita` «di fatto» e` stata affrontata in altra causa discussa e decisa in data odierna). La controversia, per la parte rimessa a queste Sezioni unite, si incentra sul problema dell’inclusione o meno, fra le suddette prescrizioni preordinate ad espropriazio- ne, come tali non computabili nella valutazione delle possibilita` legali ed effettive di edificazione, dell’indice di fabbricabilita`, diverso da quello del piano regolatore generale, fissato con un piano di zona, cioe` con uno strumento urbanistico cosiddetto di terzo livello, quale il piano per l’edilizia economica e popolare. La soluzione affermativa e` stata adottata dalla Sezione prima con le sentenze 27 febbraio 1989 n. 1067, 7 ago- sto 1989 n. 3612, 23 aprile 1990 n. 3366, 15 novembre 1990 n. 11040, 22 aprile 1998 n. 4091, sulla considera- zione che il piano di zona, anche quando si occupi di modalita`, densita` e limiti dell’edificazione, non ha natu- ra di strumento di programmazione generale, volto a di- sciplinare le facolta` edificatorie dei privati proprietari dei suoli, ma e` atto integralmente ablatorio, in quanto indirizzato all’espropriazione di tutte le aree incluse nel piano medesimo, per l’esecuzione delle opere con esso dichiarate di pubblica utilita`. Il rilievo del carattere espropriativo dell’insieme delle prescrizioni del piano per l’edilizia economica e popola- re si rinviene, ancorche´ senza specifico riferimento ai li- velli di fabbricabilita`, in numerose altre sentenze della medesima Sezione (da ultimo, 18 agosto 1997 n. 7152, 18 agosto 1997 n. 7655, 8 gennaio 1998 n. 97, 6 marzo 1998 n. 2513, 9 febbraio 1999 n. 1090). Per accertare se la soluzione negativa, si e` espressa la stessa Sezione prima, con la sentenza 16 gennaio 1992 n. 496, sostan- zialmente seguita dalle sentenze 18 aprile 1998 n. 3948 e 21 settembre 1999 n. 10183. Il piano di zona, si e` osservato, ha portata meramente 995 esecutiva ed attuativa del piano regolatore, nella parte in cui vara determinate opere di pubblica utilita` da ef- fettuarsi mediante espropriazioni, ma assume anche la consistenza di modifica dello strumento urbanistico di livello superiore, cioe` del piano regolatore, ove stabilisca le volumetrie realizzabili in modo «diffuso», definendo in via astratta e generalizzata le possibilita` edificatorie connesse al diritto dominicale. Il dissenso, come si e` visto, non tocca la regola della ri- levanza, sul valore venale del bene da prendersi a base del calcolo dell’indennita` di espropriazione, delle norme cosiddette conformative della proprieta`, che sono rivol- te a delineare le facolta` dei proprietari dei suoli in tema di ius aedificandi a prescindere dalle loro qualita` soggetti- ve o dagli specifici oneri costituiti sui loro beni con in- terventi autoritativi della pubblica amministrazione. Parimenti non e` messa in dubbio la speculare regola, esplicitata dal menzionato art. 5-bis terzo comma, dell’ir- rilevanza su detto valore delle prescrizioni e dei vincoli fissati a fini espropriativi, quali quelli contemplati nella dichiarazione di pubblica utilita` (che e` insita nell’appro- vazione di un piano di zona, con riferimento a tutte le opere pubbliche in esso previste). Le previsioni del progetto edificatorio mediante espro- priazioni, infatti, come non possono portare una mag- giorazione dell’indennita`, ai sensi dell’art. 42 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, che espressamente esclude la computabilita` dell’aumento di valore provocato dall’o- pera pubblica, cos`ı non possono rifluire negativamente sull’indennita` stessa, determinandosi altrimenti un’ac- quisizione della proprieta` privata con ristoro non corre- lato all’effettiva perdita patrimoniale dell’espropriato. Le riportate regole, univoche nella giurisprudenza di le- gittimita` (v., fra le piu` recenti, Cass. 16 maggio 1998 n. 4921, 27 agosto 1998 n. 8523, 9 febbraio 1999 n. 1090, 10 febbraio 1999 n. 1113, 21 marzo 2000 n. 3298, 21 marzo 2000 n. 3307), hanno anche trovato avallo nelle pronunce rese in materia dalla Corte costituzionale (v., in particolare, sentt. 16 dicembre 1993 n. 442 e 20 maggio 1999 n. 179). Il contrasto e` dunque circoscritto al quesito della quali- ficabilita` delle disposizioni dei piani di zona inerenti ai livelli di fabbricabilita` come conformative della proprie- ta`, ovvero come esclusivamente collegate all’espropria- zione, nei sensi sopra rispettivamente specificati. La risposta deve essere diversificata, in relazione alla na- tura ed al contenuto che le predette disposizioni in con- creto assumano nella fase della «zonizzazione» del terri- torio municipale. Queste Sezioni unite, con la sentenza 18 novembre 1997 n. 11433, condividendo e sviluppando principi gia` presenti negli indirizzi della Sezione prima (v. sent. 14 febbraio 1990 n. 1098), hanno ricordato che il piano per l’edilizia economica e popolare rientra, a norma del- l’art. 2 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, fra i piani di zona, e, quindi, fra gli strumenti urbanistici attuativi o di terzo livello, equivalenti ai piani particolareggiati o di lottizzazione (art. 28 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, modificato dall’art. 8 della legge 6 agosto 1967 n. 765, ribadito dall’art. 24 della legge 28 febbraio 1985 n. 47), ma hanno aggiunto che il piano per l’edilizia non puo` essere in contrasto con il piano regolatore generale (o con il programma di fabbricazione), ed ha natura di va- riante dello stesso piano regolatore, da considerarsi nella valutazione dell’edificabilita` al fine della liquidazione dell’indennita` espropriativa (ovvero al fine della quanti- ficazione del risarcimento del danno nell’ipotesi della cosiddetta accessione invertita od occupazione acquisiti- va), nella parte in cui imprima destinazione edificatoria ad un suolo in precedenza compreso in zona agricola. Il riportato enunciato, con il riconoscimento che il pia- no per l’edilizia puo` unire, rispetto alla funzione tipica di dare esecuzione al piano di livello superiore (fissando le linee di un progetto espropriativo e dichiarando la pubblica utilita` di tutte le relative opere), pure la fun- zione di mutare nella zona contemplata le pregresse op- zioni del piano regolatore con riguardo allo ius aedifican- di dei proprietari dei suoli, e` stato successivamente con- diviso dalla Sezione prima (v., di recente, sentt. 16 giu- gno 2000 n. 8223 e 20 giugno 2000 n. 8360), e va con- fermato, con la puntualizzazione che quell’ulteriore fun- zione postula, ai sensi e nel vigore dell’art. 8 della legge 18 aprile 1962 n. 167, l’approvazione del piano partico- lareggiato con il decreto ministeriale richiesto per il pia- no regolatore (circostanza non contestata nella fattispe- cie in cui ha pronunciato la citata sentenza n. 11433 del 1997, e pacifica anche nel caso in esame l’obbligo esame). Detto riconoscimento trova testuale sostegno nell’art. 3 quarto comma della citata legge n. 167 del 1962, ove si prevede che il piano per l’edilizia puo` apportare varian- te al piano regolatore. L’indicata consistenza di segnalazione variante e` in Centrale re ipsa, rispetto al- le disposizioni del piano per l’edilizia che cambino, da agricola ad edificatoria, la destinazione delle aree. L’inserimento di fabbricati ad uso abitativo e delle con- nesse infrastrutture, in un comprensorio classificato co- me agricolo dal piano regolatore, e` univoco ed indiscu- tibile segno di un sopraggiunto mutamento della pro- grammazione urbanistica generale, perche´ amplia la par- te edificabile del territorio, introduce o comunque sot- tende una nuova visione del complessivo assetto cittadi- no in ordine all’identificazione delle zone residenziali. Il cambiamento di destinazione non e`, o meglio non e` soltanto componente del progetto espropriativo e delle prescrizioni ad esso finalizzate, perche´ riposa su basi logi- che autonome, sopravvive all’evenienza di un successi- vo abbandono del progetto stesso, per elementi oggetti- vi, per scadenza di termini, o per preferenza accordata all’edificazione privata (v. art. 17 della legge 17 agosto 1942 n. 1150), e, quindi, di per se´ costituisce variante del piano regolatore. Con riguardo invece alle disposizioni del piano per l’e- dilizia attinenti agli indici di fabbricabilita`, gli estremi della variante del piano regolatore, con valenza confor- 996 URBANISTICA E APPALTI 9/2001 mativa dei diritti di proprieta` e conseguenziale compu- ▇▇▇▇▇▇▇▇` nella liquidazione dell’indennita` d’espropriazio- ne, anziche´ delle mere prescrizioni del progetto espro- priativo, non computabili allo stesso fine, non sono evi- denziabili con il semplice raffronto delle corrispondenti previsioni dell’uno e dell’altro strumento, e postulano il concorso di determinati requisiti. Le norme del piano per l’edilizia, che direttamente od indirettamente ripartiscano costruzioni e spazi liberi nel singolo fondo espropriando o in piu` fondi espropriandi coinvolti dall’opera pubblica o dalle opere pubbliche globalmente previste a scopo residenziale, non hanno funzione di variante del piano regolatore. Tali norme sono infatti «interne» al programma di edi- ficazione a mezzo d’espropriazione, e difettano della ge- neralita` ed astrattezza proprie delle disposizioni confor- mative della proprieta` privata. Nella fase della definizione dei connotati di un futuro complesso residenziale da realizzarsi previa espropriazio- ne dei suoli occorrenti, la decisione di collocare in al- cuni fondi una cubatura maggiore, rispetto a quella mediamente prevista dal piano regolatore, utilizzando poi altri fondi limitrofi per servizi ed infrastrutture di- verse dai fabbricati ad uso abitativo (come i parcheggi ed il verde pubblico per la cui realizzazione sono stati espropriati i terreni dei ricorrenti principali), e` mo- mento soltanto attuativo ed esecutivo del piano urba- ▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garantegenerale attraverso il piano particolareggiato, non esprime una revisione di valutazioni generali ine- renti alla densita` abitativa, non implica un mutamento delle possibilita` edificatorie suscettibile di vita autono- ma dal progetto espropriativo (e dalla dichiarazione di pubblica utilita` che l’inaugura), e, quindi, non incide sull’indennita`, insuscettibile di essere incrementata o compressa, come affermato si e` detto, per mero effetto della sorte assegnata a ciascun terreno nell’ambito di un articolato programma di edificazione pubblica tramite espropria- zioni. L’aumento o la riduzione della volumetria fabbricabile, da parte delle disposizioni del piano particolareggiato, segnano invece innovazioni rispetto alle precedenti de- terminazioni generali sull’edificabilita` dei suoli, indipen- denti dal ricorrenteprocedimento espropriativo e dalle opere pub- bliche alla cui esecuzione esso e` rivolto, oe come tali in- fluiscono sul valore delle aree ai fini della liquidazione dell’indennita`, viceversaquando si traducano in una variante del- l’indice medio fissato dal piano regolatore, permanganel senso che ugualmente fissino la cubatura realizzabile con riferi- mento all’intera estensione, come sostenuto dalla al lordo degli spazi da la- sciare poi inedificati per servizi ed infrastrutture, o co- munque siano rapportabili all’intera estensione in ragio- ne della separata individuazione di detti spazi liberi con una percentuale della superficie globale, e quando inol- tre estendano la variazione a tutta la zona investita dal piano, ovvero ad una sua porzione enucleabile ed enu- cleata per peculiarita` intrinseche e per motivi di coordi- namento con il complessivo assetto urbanistico svinco- lati dalle determinazioni separatamente (ancorche´ con- testualmente) adottate con il progetto espropriativo. Nel concorso di detti requisiti, al nuovo indice d’edifi- cabilita` si deve attribuire la portata di modificazione del piano regolatore, con funzione conformativa dei diritti di proprieta`, considerandosi che: – la natura media dell’indice ed il suo riferimento al- l’intera zona, od a parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 omogenea (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -nel senso menzio- nato), disancora la relativa previsione dalla vicenda espropriativa, ponendola in varie occasioni questo Arbitro - un momento concettual- mente distinto ed anteriore rispetto alla fase della ge- stione delle aree espropriande per l’ubicazione in linea con- creto di manufatti ed infrastrutture; – che quelle caratteristiche dell’indice sono proprie del- le scelte generali sui livelli di edificazione sopportabili dal territorio comunale, nel suo insieme o nelle sue autonome componenti; – che la fissazione dell’indice con un rapporto medio, senza collegamento con i singoli terreni e con le opere pubbliche che dovranno ospitare, ne conferma l’esorbi- tanza dalla funzione di attuazione del piano regolatore, nonche´ l’indipendenza dalle procedure espropriative per tale attuazione occorrenti, perche´ quel tipo di rapporto tiene conto del suolo per la giurisprudenza civile sua estensione, quale che sia la destinazione impressagli con il coevo progetto espropriativo, trova basi logiche svincolate dal progetto medesimo, e conserva validita` ed il Collegio di Coordinamento efficacia pure se la prevista espropriazione non abbia poi seguito, o venga sostituita da opzioni edificatorie diverse (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare espropriative o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014meno). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esameDetto indice medio, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità pertanto, nell’ambito della zona contemplata dal piano per l’edilizia, va a mutare le di- sposizioni del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussionepiano regolatore, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata prevedano per la scadenza dell’obbligazione principalezona stessa un diverso indice di fabbricabilita`, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguitoconseguenza, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo non e` prescrizione preordinata e finalizza- ta ad espropriazione, ma si inserisce nella disciplina astratta e generale sull’utilizzazione edificatoria dei suo- li (cosiddetta edificabilita` di quest’ultimotipo territoriale, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016non fon- diario). In tale otticaconclusione, l’osservanza del suddetto onere esigesi deve affermare che, secondo il costante orientamento al fine della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla de- terminazione dell’indennita` per l’espropriazione di un affidamento della posizione debitoria ad una società fondo edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per l’edilizia economica e popolare, la valu- tazione delle possibilita` legali ed effettive di recupero crediti)edificazione, senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo al momento dell’apposizione del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersivincolo preordinato al- l’espropriazione, ai sensi dell’art. 1957 c.c.5-bis del D.L. 11 luglio 1992 n. 333, estinta eintrodotto con la legge di conversione 8 agosto 1992 n. 359, pertantodeve tenere conto delle previsioni di tale piano per l’edilizia in punto di densita` volumetri- che, non più giustificata quali varianti del piano regolatore, quando esse si traducano in indici medi di fabbricabilita`, correlati (o correlabili) al totale della superficie al lordo dei terreni da destinarsi a spazi liberi, ed inoltre si riferiscano all’in- tera area del piano stesso, o ad una porzione differenzia- ta per situazioni indipendenti dal progetto espropriativo, mentre deve trascurare la segnalazione maggiore o minore fabbricabi- lita` che il fondo venga a godere o subire per effetto del- 997 le disposizioni del suo nominativo piano per l’edilizia attinenti alla collo- cazione sui singoli fondi di specifiche edificazioni ovvero di servizi ed infrastrutture. Il principio comporta l’accoglimento della seconda censura del secondo motivo del ricorso principale, ed esige, previa cassazione sul punto della sentenza impu- gnata, un riesame in Centrale Rischi.sede di merito circa i presupposti per la configurabilita` nel caso concreto di sopravvenu- ta variante del piano regolatore ad opera del piano di zona. Per la pronuncia sulle altre censure del ricorso principa- le e sul ricorso incidentale, e per i provvedimenti conse- guenzia
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità Il ricorso verte su un contratto di finanziamento, da rimborsare mediante cessione del quinto della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentepensione. Il Collegio, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garantemerito, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare chedisattesa, in relazione conformità al costante orientamento dei Collegi ABF in materia, l’eccezione preliminare di carenza di legittimazione passiva formulata dall’intermediario in ordine alla Circolare domanda di retrocessione della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento quota assicurativa (cfr. Collegio di Coordinamento, decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (6167/2014; Collegio di Milano, decisione n. 8288/20147216/2014 e Collegio di Napoli, decisione n. 856/ 2015). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso , richiama il costante indirizzo interpretativo dei Collegi ABF in esame, pare materia di rimborsabilità delle commis- sioni e degli oneri non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale goduti in sede di estinzione anti- cipata dei contratti di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire finanziamento per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie la quota parte non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, maturata ovvero secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfrcriterio proporzionale ratione temporis. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, Considerato che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte l’intermediario resistente non ha offerto se appli- cato detto criterio in sede di estinzione anticipata; tenuto conto che non indicazioni generiche circa si rinviene, nella documentazione in atti, una compiuta descrizione delle voci di costo oggetto di contestazione da parte della ricorrente; ritenuto che le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, medesime commissioni devono tutte qualificarsi recurring ai sensi dell’art. 1957 35, comma 2, del Codice del Consumo e dell’art. 1370 c.c.: (a) sono rimborsabili, estinta per la parte non maturata, le commissioni di intermediazione (comunque denominate); (b) l’importo da rimborsare viene stabilito secondo un criterio proporzionale ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; (c) l’inter- mediario è tenuto al rimborso a favore del cliente delle suddette voci, inclusi gli “oneri assicurativi” (Collegio di Coordinamento nn. 10035/2016, 10017/2016 10003/ 2016). Il Collegio richiama, più specificamente, l’approfondita e analitica motivazione della decisione n. 6167/2014 (i cui principi sono stati ribaditi dal Collegio di Coordi- namento nelle recenti pronunce del 2016 sopra citate) con la quale il Collegio di coordinamento ha fatto il punto sulle questioni ricorrenti nelle controversie in materia di estinzione anticipata dei prestiti contro ces- sione del quinto della retribuzione/pensione ed opera- zioni assimilate, con riferimento al rimborso delle commissioni a vario titolo corrisposte e dei costi assi- curativi (criterio di distinzione tra costi up-front e recur- ring, eccessiva onerosità dei costi di mediazione e legittimazione passiva degli intermediari in relazione al ristoro dei premi assicurativi non goduti). Con riferimento alla clausole in contestazione, per quanto concerne le “commissioni intermediario incaricato” si rappresenta che è consolidato l’orientamento ABF che ha ritenuto recurring la provvigione dell’agente indicata con clausola di tenore analogo a quella del contratto oggetto dell’odierna controversia; lo stesso è a dirsi, con riferimento alle “commissioni di gestione pratica”, la cui voce di costo è da ritenersi recurring ogni qualvolta ricom- prenda attività non chiaramente definite e/o non colle- gate ad attività preliminari. A supporto si richiama la decisione del Collegio di coor- dinamento n. 5031/2017 che pronunciandosi su clausole relative alle “commissioni bancarie”, di tenore analogo a quella formulata nel contratto in controversia, si è espresso per la loro natura recurring “sia in considerazione della opacità delle relative clausole, sia per la natura recurring delle attività a queste riconducibili”: Non si ravvedono, pertanto, elementi per discostarsi da tale consolidato orientamento. Si fa altresì presente che nel caso di specie l’interme- diario ha manifestato nelle controdeduzioni la propria disponibilità a riconoscere alla parte ricorrente la differenza tra quanto già rimborsato per le commissioni de quo in sede di conteggio estintivo e quanto spet- tante in base all’applicazione del criterio pro rata temporis. Per le ragioni sin qui esposte anche i costi relativi alle voci degli “oneri assicurativi” in contestazione sono altresì da considerarsi recurring e rimborsabili pro rata temporis (cfr. le citate pronunce n. 10003, 10017 e 10035 del 2016, nelle quali il Collegio di Coordina- mento ha ripreso quanto espresso nella citata decisione n. 6167/2014). Preso atto, quindi, che l’intermediario non più giustificata ha fatto applicazione dei sopra richiamati criteri, in linea con il citato orientamento, tenuto conto delle posizioni con- divise da tutti i Collegi territoriali, considerate le restituzioni già intervenute in sede di estinzione, respinte le eccezioni dell’intermediario stesso, le richieste del cliente meritano di essere accolte in applicazione del criterio pro rata temporis, secondo il prospetto che segue: L’importo come sopra calcolato pari ad euro 3.373,80 coincide con la segnalazione somma richiesta dalla parte ricorrente. Quanto agli interessi legali, si rileva che essi devono essere riconosciuti, in conformità ai principi fatti propri da tutti i collegi territoriali (ex multis si veda il Collegio di Coordi- namento decisione n. 5304/2013, nello stesso senso cfr. la pronuncia del suo nominativo Collegio di Coordinamento n. 6167/2014). Dovendo il rimborso, “qualificarsi come obbligazione pecuniaria avente natura meramente restitutoria, e non risarcitoria” ne deriva “che il decorso degli interessi debba essere considerato a partire dal reclamo, inteso quale atto formale di messa in Centrale Rischimora da parte del creditore della prestazione”. Quanto alle spese legali e di difesa tecnica in favore di parte ricorrente, la richiesta non può accogliersi, accertato che non sussistono comunque i presupposti indicati dal Col- legio di Coordinamento (in generale decisione n. 3498/ 2012 e ancora la decisione n. 6167/2014) per il riconosci- mento delle spese legali in favore di parte ricorrente. Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso e dispone che l’intermediario corrisponda alla parte ricorrente la somma di euro 3.373,80, oltre interessi legali dal reclamo al saldo. Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di euro 200,00, quale con- tributo alle spese della procedura, e alla parte ricor- rente la somma di euro 20,00, quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso. rate pagate 58 rate residue 62 Importi Metodo pro quota Rimborsi già effettuati Residuo Commissioni di gestione pratica 1.466,23 757,55 471,10 286,45 Commissioni intermediario incaricato 4.389,60 2.267,96 2.267,96 Oneri assicurativi 1.585,92 819,39 819,39 In caso di estinzione anticipata del finanziamento assistito da cessione del quinto, la riduzione del costo totale del credito, prevista dall’art. 125 sexies T.U.B., opera sulla scorta del criterio di competenza economica, incidendo in misura proporzionale alla quota-parte di finanziamento effetti- vamente usufruita dal cliente. Accogliendo la bipartizione tra costi fissi e costi ricorrenti, anche di natura assicurativa, l’A.B.F. torinese riconosce in favore dell’autonomia negoziale uno spazio di manovra commisurato all’esigenza di esatta quantificazione delle voci di costo rimborsabili. (*) Il presente contributo è stato sottoposto, in forma anonima, al vaglio del Comitato di valutazione.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità Il Collegio preliminarmente deve esaminare l’eccezione formulata dall’intermediario circa la natura della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato quietanza liberatoria sottoscritta dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed Sul tema il Collegio di Coordinamento di questo Arbitro ha evidenziato che: “…non sono prospettabili conclusioni generali ed astratte, valide per tutti i casi in cui la clientela sottoscrive atti di quietanza liberatoria. La valutazione deve essere invece compiuta in concreto, con particolare riferimento al singolo caso, interpretando le dichiarazioni contenute negli atti di quietanza sottoscritti dai clienti in sede di estinzione anticipata” (dec. n. 8827/17). La quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa deve essere intesa, di regola, come semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell’interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti, e pertanto alla stregua di una dichiarazione di scienza priva di efficacia negoziale, salvo che nella stessa non siano ravvisabili gli estremi di un negozio di rinuncia o transazione in senso stretto, ove, per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde, risulti che la parte l’abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti (Cass., 21 febbraio 2017, n. 4420). Sul punto, inoltre, occorre precisare che è necessario che la dichiarazione debba contenere, in termini non equivoci la volontà del dichiarante di non limitarsi a dare atto del pagamento ricevuto, ma di abdicare, con effetti estintivi, alla pretesa di ricevere le restanti somme da lui corrisposte. Vi è di più. I Collegi territoriali hanno condiviso che, in generale, le quietanze liberatorie possono essere reputate quali rinunce o transazioni solo se rilasciate contestualmente o in seguito all’estinzione del finanziamento, in quanto solo in quel momento diviene attuale il diritto alle restituzioni degli oneri non maturati. Passando alla disamina della quietanza emerge che la stessa è stata sottoscritta in data 18 luglio 2019, mentre l’estinzione è avvenuta in data 31 luglio 2019. La quietanza è stata sottoscritta prima dell’estinzione del finanziamento. Nel caso di specie si ritiene che il ricorrente non ha assunto una condotta abdicativa, con effetti estintivi rispetto alla pretesa di ricevere le restanti somme corrisposte. Ne consegue che la predetta eccezione va disattesa. Il Collegio, pertanto, deve esaminare il merito della domanda. Secondo il consolidato orientamento dell’ABF (Coll. Roma, decisione n. 3978/2015; e Coll. Coord. n. 6167/2014), nel caso di estinzione anticipata del finanziamento, deve essere rimborsata la quota delle commissioni e di costi assicurativi non maturati nel tempo, ritenendo contrarie alla normativa di riferimento le condizioni contrattuali che stabiliscano la non ripetitività tout court delle commissioni e dei costi applicati al contratto nel caso di estinzione anticipata dello stesso (cfr. decisione Accordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008; Comunicazione della Banca d’Italia 10 novembre 2009; e art. 49 del Regolamento ISVAP n. 3089/201235/2010; cui sono seguiti l’art. 125-sexies TUB, introdotto dal d. lgs. n. 141/2010; e la Comunicazione della Banca d’Italia 7 aprile 2011). Il Collegio ritiene in linea di principio che: (1) - ha evidenziato siano rimborsabili, per la parte non maturata, non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediariole commissioni bancarie e finanziarie, ma anche le commissioni di intermediazione e i presupposti costi assicurativi; (2) al loro rimborso sia tenuto l’intermediario mutuante, atteso che ne legittimano la cancellazionesua legittimazione passiva oltre che la competenza dell’ABF trovano fondamento nel rapporto di accessorietà dei contratti assicurativi e di mediazione creditizia rispetto al rapporto di finanziamento; (3) l’importo da rimborsare deve essere equitativamente stabilito secondo un criterio proporzionale, precisando come tale per cui l’importo di ciascuna delle suddette voci viene moltiplicato per la percentuale del “l’obbligo finanziamento estinto anticipatamente”, risultante (se le rate sono di eguale importo) dal rapporto fra il numero complessivo delle rate e il numero delle rate residue. L’estinzione anticipata del finanziamento è avvenuta alla 48ma rata, previa emissione in data 08/07/2019 del conteggio estintivo. Le commissioni in favore dell’intermediario finanziario, sebbene contrattualmente ripartite in una quota non ripetibile e una quota ripetibile (con indicazione del relativo criterio di segnalare o rimborso), devono considerarsi interamente recurring in quanto tra le attività della componente up front figurano “gli oneri per le operazioni di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (acquisizione della provvista”, che costituiscono un’attività recurring secondo quanto previsto dal Collegio di Milano, coordinamento (decisione n. 8288/20145031/2017); di conseguenza per il rimborso si applica il criterio proporzionale pro rata temporis. Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esameIn relazione alla “commissioni di distribuzione”, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentola stessa ha natura recurring, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c.conseguentemente, si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, devono essere rimborsate secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfrcriterio pro rata temporis. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone Il ricorrente ha diritto al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento rimborso delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.seguenti voci:
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Sources: Financing Agreement
DIRITTO. La questione Il ricorrente chiede di potersi sottrarre all’obbligo di garanzia fideiussoria in virtù dell’intervenuta cessione della propria partecipazione nella società che riveste il ruolo di debitore principale. Come già chiarito da questo Collegio a fronte di analoghe vicende (cfr. Collegio ABF di Napoli, decisioni n. 3320/2015, n. 5712/2013), la cessione delle partecipazioni sociali non è un accadimento che vale a estinguere l’obbligazione fideiussoria. Una volta prestata, l’obbligazione fideiussoria, quale garanzia accessoria rispetto all’obbligazione principale, segue la sorte del debito principale e permane sino a quando quest’ultimo non venga meno. Il ricorrente si duole, altresì, del comportamento tenuto dall’intermediario nella fase di esecuzione del contratto di fideiussione: più esattamente, l’intermediario avrebbe tenuto una condotta improntata a scarsa diligenza, avendo continuato, in assenza di sua specifica autorizzazione, ad erogare credito al debitore principale anche in presenza di radicali mutamenti della compagine societaria tali da incidere sulla capacità di restituzione del finanziamento. Anche sotto questo profilo, la richiesta del ricorrente non può essere accolta. Nel contratto di fideiussione sottoscritto in data 11 maggio 1990, è contenuta infatti, oltre a una clausola “omnibus”, con la quale la ricorrente si impegna a garantire “tutto quanto dovuto dal debitore, per capitale, interessi anche se moratori e ogni altro accessorio, nonché per ogni spesa anche se di carattere giudiziario ed ogni onere tributario”, una espressa deroga al dovere del creditore di “chiedere la speciale autorizzazione prevista dall’art. 1956 cod. civ. per far credito al debitore”. In presenza di tale clausola, non può censurarsi il comportamento dell’intermediario che ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione continuato a fare credito al debitore principale senza specifica autorizzazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art(art. 1957 1956 c.c.). D’altro canto, richiamato dall’una e dall’altra parte il ricorrente non ha fornito alcuna prova che l’intermediario fosse a sostegno conoscenza di un peggioramento delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare checondizioni patrimoniali del debitore garantito, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento presenza delle quali avesse comunque continuato a fare credito a quest’ultimo (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario., ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazioneal riguardo, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio ABF di Milano, decisione n. 8288/2014239/2010). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Fideicommissary Guarantee Release
DIRITTO. La questione ha Il ricorso deve essere dichiarato irricevibile per oggetto l’assunta illegittimità tardività. Dalla documentazione versata in atti dall’Agenzia delle Dogane risulta che l’istanza di accesso del signor ........................ pervenne all’Amministrazione in data 27.10.2010. Essendo decorsi inutilmente trenta giorni dalla predetta data, si deve ritenere che in data 26.11.2010 si è formato il silenzio-rigetto della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentepredetta istanza, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c25, comma 4, della legge n. 241/90. Per accertare se nel caso Stante la natura decadenziale del termine di trenta giorni decorrente dalla formazione del silenzio-rigetto in esame l’obbligo questione, ne deriva la tardività del ricorso proposto dal signor avverso il rigetto della sua istanza di segnalazione accesso, proposto in Centrale data 7.1.2010, ai sensi del combinato disposto dell’art. 25, comma 4, della legge n. 241/90 e dell’art. 12, comma 7 del d.P.R. n. 184/2006, a nulla rilevando la circostanza che l’Amministrazione, in data 2.12.2010 abbia esplicitamente rigettato l’istanza di accesso in questione. Giova richiamare il consolidato orientamento del Consiglio di Stato, secondo il quale, in ragione del carattere decadenziale del termine di cui all’art. 25, comma 4, della legge n. 241/90, laddove non sia stato tempestivamente impugnato il provvedimento di diniego o la formazione del silenzio-rigetto sull’istanza di accesso, non è consentita né la reiterazione dell’istanza di accesso, né l’impugnazione del successivo diniego, laddove al secondo ▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione non possa non esser riconosciuto carattere meramente confermativo del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento primo (cfr. decisione C.d.S., sent. n. 3089/2012) - ha evidenziato 6 2006; C.d.S., sent. n. 7/2007; C.d.S., sent. n. 442/2010). Nel caso di specie, non solo i requisiti essendo stati rappresentati dal ricorrente nuovi elementi di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare fatto o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (diritto rispetto a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c.quelli contenuti nell’istanza originaria, si stabilisce in 36 mesi dalla deve concludere che la successiva impugnazione della nota del 2.12.2010 non vale ad escludere l’irricevibilità del presente ricorso, proposto ben oltre la scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia per l’impugnazione del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta silenzio-rigetto formatosi in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c26.11.2010., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. Preliminarmente, devesi ritenere l'ammissibilità dei proposti ricorsi. L'art. 53 del d. lgs. n. 231/01, che disciplina il sequestro preventivo, in verità, nel fare rinvio alle norme codicistiche relative allo stesso istituto, non richiama espressamente l'art. 325 c.p.p. sul ricorso per cassazione, il che ha indotto alcuni studiosi della materia ad escludere la praticabilità di tale mezzo d'impugnazione sia avverso la decisione del riesame, sia - per saltum - avverso il provvedimento dispositivo della misura. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’arttesi non può essere condivisa. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ▇▇, invero, la Corte che la lettura ragionevole e sistematica della norma di cui all'art. 53 del garanted. lgs. n. 231 impone di ritenere in essa implicitamente richiamato l'art. 325 c.p.p.. La previsione, come affermato dal ricorrenteinfatti, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artdel riesame del provvedimento di sequestro preventivo (con richiamo espresso all'art. 1957 c.c322 c.p.p., richiamato dall’una che rinvia all'art. 324) e dall’altra parte a sostegno dell'appello avverso gli altri e diversi provvedimenti in materia (con esplicito richiamo all'art. 322bis c.p.p.) comporta il rinvio al complessivo regime delle proprie opposte ragioniimpugnazioni previsto al riguardo dal codice di rito, sia alle previsioni negoziali stante lo stretto e diretto collegamento delle norme di cui alla costituzione della fideiussioneagli art. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare 322bis e 324 con quella di cui all'art. 325 c.p.p.. Né tale conclusione è contraddetta dall'art. 52 del d. lgs. n. 231 che, in relazione alla Circolare tema di misure interdittive, prevede espressamente, a differenza dell'art. 53 sulla cautela reale, oltre all'appello il ricorso per cassazione, quasi a voler sottolineare una deliberata scelta del legislatore di differenziare, per le due situazioni, la regolamentazione delle impugnazioni. La diversa formulazione delle due norme è giustificata, invece, dalla peculiarità del regime delle impugnazioni disciplinato dall'art. 52, che, al contrario dell'art. 53, non recepisce in toto la disciplina dell'appello di cui all'art. 322-bis c.p.p. e quindi implicitamente quella dell'eventuale ricorso per cassazione, ma richiama i soli commi 1-bis e 2 della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -norma da ultimo citata, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile conseguente necessità, per intuitive ragioni di coordinamento, di una esplicita previsione del ricorso di legittimità, che altrimenti non avrebbe trovato spazio. E' sufficiente considerare, per comprendere la ragione dell'omesso rinvio, nell'art. 52/1° d. lgs. n. 231, all'intera disciplina dell'art. 322-bis c.p.p., che la legittimazione a proporre appello avverso la misura interdittiva è riservata soltanto al pubblico ministero e all'ente, per mezzo del suo difensore, dato questo che avrebbe reso distonico il recepimento tout court anche della disposizione di cui al primo comma dell'art. 322 bis c.p.p.; ed ancora, il Collegio rinvio, nel secondo comma del citato art. 52, alle disposizioni di Coordinamento (cfrcui all'art. decisione 325 c.p.p. deve ritenersi circoscritto ai soli commi 3 e 4 della medesima norma, gli unici concretamente applicabili: il comma 1 dell'art. 325, infatti, è inapplicabile, prevalendo la disposizione specifica di cui all'art. 52/2° d. lgs. n. 3089/2012) - ha evidenziato 231; anche il comma 2 dell'art. 325, disciplinando il ricorso diretto per cassazione, non solo i requisiti può trovare operatività, dal momento che oggetto dell'impugnazione prevista dall'art. 52/2° è soltanto la decisone del giudice di legittimità appello e non anche il provvedimento genetico della segnalazione misura. L'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il riesame del sequestro preventivo è stata sostenuta anche in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediariobase alla considerazione che il giudizio di riesame, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione ai sensi del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014)comma 6 dell'art. Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c324 c.p.p., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfrsvolge con le forme previste dall'art. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore127 c.p.p., il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro quale al comma 7 stabilisce che "il debitore principale giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussionecomma 1, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”)possono proporre ricorso per cassazione". Accertata la scadenza dell’obbligazione principaleTale opzione ermeneutica, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento però, si rivela piuttosto riduttiva (avvenuta in data 23.06.2011)porterebbe, da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) einfatti, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, ad escludere il ricorso a mezzi processuali per saltum) ed è superata dalle argomentazioni di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.campio respiro sistematico innanzi sviluppate., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Sentenza
DIRITTO. La questione ha per domanda avanzata dalla parte ricorrente, nei termini in cui è stata formulata (“si richiede…di svincolare immediatamente i titoli”), parrebbe volta ad ottenere una condanna dell’intermediario ad un facere specifico. Come noto, le “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” circoscrivono la competenza dell’ABF alle questioni “aventi ad oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà” (Sez. I, § 4) sicché risulta preclusa all’ABF la possibilità di esaminare richieste finalizzate ad ottenere pronunce di carattere costitutivo. La domanda del ricorrente, stante l’asserito venir meno tuttavia, va correttamente interpretata alla stregua di una richiesta di accertamento della sopravvenuta inefficacia della fideiussione e della conseguente illegittimità del suo obbligo fideiussorio diniego opposto dalla banca rispetto alla richiesta di svincolo dei titoli (cfr. Collegio di Roma, decisione n. 20143/2021, per un caso analogo, e v. anche Collegio di Roma, n. 7741/2020 e Collegio di Bologna, n. 13375/2021 quanto ai sensi dell’artcriteri interpretativi da adottarsi). 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante▇, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla con contratto sottoscritto in data 9/05/2018 l’intermediario convenuto rilasciava la predetta garanzia in favore della parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte locatrice sino a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali concorrenza dell’importo di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento euro 9.600,00 (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014infra). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del Contestualmente la parte ricorrente si impegnava a mantenere indenne la banca dalle conseguenze derivanti dal contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla di fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. CassAll. 2 alle controdeduzioni: dichiarazione di manleva) e conferiva altresì alla banca, a titolo di controgaranzia, mandato irrevocabile a vendere i titoli detenuti sul conto n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile *330 (come infatti risulta previsto al già ricordato artcfr. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”All. 1 alle controdeduzioni). Accertata E’ pacifico tra le parti che il contratto di locazione è stato risolto in via anticipata e l’immobile riconsegnato alla parte locatrice in data 18 aprile 2020 (cfr. verbale di riconsegna dell’immobile). Con il presente ricorso la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella parte ricorrente contesta dunque la legittimità del diniego opposto dalla banca alla richiesta di svincolo dei titoli osservando che la risoluzione anticipata del contratto di finanziamento (avvenuta locazione, in data 23.06.2011)assenza di escussione della garanzia ad opera della parte locatrice, da cui è conseguita avrebbe determinato l’estinzione dell’obbligazione fideiussoria e conseguentemente il venir meno del vincolo imposto sui titoli offerti in controgaranzia. Per contro, la costituzione in mora del debitore principale e banca resistente rileva che, trattandosi di garanzia autonoma “a prima richiesta”, la liberazione del garante (il 28.07.2011) e, prima della scadenza del termine finale di seguitoefficacia richiede la restituzione della documentazione originale fideiussoria o in alternativa la liberatoria del beneficiario. Tanto premesso in punto di fatto, la segnalazione “a sofferenza” questione sottoposta all’attenzione del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare Collegio riguarda l’accertamento della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga cessazione o sia venuto meno dell’efficacia della garanzia e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla la valutazione della legittimità o meno della permanenza condotta della segnalazione banca per aver negato lo svincolo dei titoli oggetto di mandato irrevocabile a vendere. A tal proposito, si evidenzia che la garanzia rilasciata dalla banca appare qualificabile – indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalle parti, notoriamente non vincolante la qualificazione – come contratto autonomo di garanzia, attesa la presenza delle clausole di pagamento dietro semplice richiesta e, quel che conta, di rinuncia alle eccezioni relative al rapporto principale, rispetto al quale la garanzia è dunque insensibile, venendo a perdere il requisito dell’accessorietà. Dalle pattuizioni contrattuali emerge che la garanzia ha validità dal 9/05/2018 sino al 17/05/2024 (data di scadenza del suo nominativo contratto di locazione) e perde efficacia ”trascorsi 30 giorni da quest’ultimo termine, senza che sia pervenuta alla Banca richiesta di pagamento Il contratto non disciplina tuttavia espressamente gli effetti della garanzia in Centrale Rischicaso di risoluzione anticipata del contratto di locazione ovvero non chiarisce se, per determinare l’immediato scioglimento del vincolo, sia come garantenecessaria la restituzione del documento originale o il rilascio di una liberatoria da parte del beneficiario. Dalla dichiarazione di manleva emerge, siatuttavia, che gli obblighi assunti dalla parte ricorrente in dipendenza del rilascio della garanzia perdurano “sino a che non sia stata data integrale ed incondizionata liberatoria da parte del beneficiario ovvero a giudizio della banca l’impegno assunto possa considerarsi estinto” (cfr. art. 4). ▇▇▇▇▇▇, nel contratto di seguitolocazione (cfr. supra) si prevede, come debitore inoltre, che “in sofferenzaipotesi di rilascio anche anticipato dell’immobile la fideiussione dovrà essere restituita dal locatore entro 60 giorni dalla liberazione dell’immobile, previa verifica del corretto adempimento di tutte le obbligazioni derivanti dal … contratto…”. Nel caso di specie, non consta in atti evidenza di una dichiarazione liberatoria rilasciata dal beneficiario, né emerge una inequivoca volontà del soggetto garantito di liberare il garante. Di contro, all’atto della riconsegna dell’immobile (cfr. verbale del 18/04/2020) il locatore contestava “l’omesso ripristino dell’immobile ed il conseguente inadempimento contrattuale e si riserva[va] ogni più opportuna iniziativa a tutela dei propri diritti, avendone già richiesto con raccomandata del 4/02/2020 la demolizione e regolarizzazione ad opera e spese del conduttore”. Dalla natura autonoma della garanzia deriva che, quand’anche il rapporto garantito fosse estinto e non residuassero pretese di sorta del locatore (il che, per quanto osservato, appare smentito) il conduttore sarebbe unicamente legittimato non già a pretendere dal garante di vedere svincolati i titoli vincolati alla stregua di garanzia per l’esercizio del regresso nei confronti del ricorrente (per il caso di escussione della fideiussione), occorre valutare bensì a pretendere dal proprio creditore, sussistendo puntuale adempimento dei propri obblighi contrattuali, il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbiarilascio di una quietanza liberatoria e, come dispone l’artper quanto qui rileva, la liberazione dalla garanzia prestata (art. 1957 1200 c.c.), con restituzione della polizza. Inoltre, i titoli oggetto di mandato irrevocabile di vendita sono posti a garanzia della “proposto le sue istanze contro il debitore fideiussione bancaria” nonché “di ogni altra esposizione che la Banca venisse a vantare direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo nei confronti del ricorrente” e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro ricorrente ha assunto, limitatamene all’importo di euro 4.000,00, l’impegno a non disporre dei titoli né diminuirne il debitore principale, per recuperare valore senza il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare preventivo consenso della banca. Ne deriva in conclusione che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cpuò essere accolto., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Contract of Lease
DIRITTO. ▇.▇▇ controversia portata alla cognizione del Collegio richiede di esaminare la questione della disciplina applicabile per l’estinzione anticipata dei contratti bancari e parabancari a tempo determinato. Dall’esame della documentazione contrattuale emerge, infatti, la mancata previsione della facoltà di riscatto anticipato del bene e di estinzione del rapporto prima della sua naturale scadenza. La questione ha stessa indicazione nel documento di sintesi di spese per oggetto l’assunta illegittimità “riscatto anticipato” nella misura di € 51,65 si riferisce verosimilmente all’ipotesi — questa, invece, contemplata nelle condizioni generali di contratto — di deterioramento del bene imputabile al locatario ovvero di furto o perdita, al cui verificarsi il cliente è tenuto a corrispondere — al netto degli eventuali indennizzi assicurativi — l’importo dei canoni a scadere, attualizzato al tasso ufficiale di sconto (TUR). È appena il caso di notare che questo tasso — fissato, al momento della perdurante segnalazione in Centrale Rischi presentazione della richiesta di riscatto anticipato del nominativo bene da parte del ricorrente, stante l’asserito venir meno nella misura dell’1% e pari al costo della liquidità presso la Banca centrale — è stato applicato dall’intermediario per attualizzare l’ammontare del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artcredito residuo. 1957 c.c. Per accertare se nel caso Ne discende — ad avviso del Collegio — l’operatività nella vicenda negoziale in esame l’obbligo della regola di segnalazione in Centrale diritto comune relativa al pagamento del termine fissato a favore sia del creditore sia del debitore. D’altro canto, che questa sia la regola generale propria di tutti i contratti bancari e parabancari a tempo determinato è dimostrato da diversi ordini di considerazioni. ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ▇▇, anzitutto, riconoscere la peculiarità della presunzione di termine a favore del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia debitore di cui all’art. 1957 1184 c.c., richiamato dall’una la quale può essere superata dalla considerazione delle circostanze concrete del rapporto, senza necessità di una specifica pattuizione sul punto. È quanto mai significativo, inoltre, che siffatta presunzione sia accantonata dallo stesso legislatore con riferimento all’”ipotesi maestra” del mutuo oneroso, ponendo, invece, l’art. 1816 c.c. la presunzione di termine a favore di entrambi i contraenti. Merita, infine, evidenziare — ed il rilievo è dirimente per quanto qui rileva — la natura imprenditoriale svolta dall’intermediario nell’erogazione del credito ed il suo “fisiologico” interesse alla remunerazione del finanziamento concesso fino alla scadenza del termine fissato per la sua restituzione. Se così è, consegue dai comuni principi generali che il debitore — nelle obbligazioni pecuniarie con termine fissato anche nell’interesse del creditore — può estinguere anticipatamente il debito (e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioniquindi chiudere il rapporto contrattuale) solo versando una somma di denaro pari all’intero montante del medesimo, comprensivo sia della sorte capitale, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussionedegli interessi a scadenza. In prospettiva generaleOgni diversa soluzione richiede, occorre inoltre ricordare cheperciò, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento un consenso del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbiaoppure un intervento del legislatore (v. § 3, come dispone l’art. 1957 c.cinfra)., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Leasing Agreement
DIRITTO. Per quanto attiene alla legittimazione del Sindacato l’orientamento della giurisprudenza amministrativa e della Commissione è costante ed univoco ritendendo sussistente il diritto dell’organizzazione sindacale ad esercitare l’accesso agli atti della P.A. per la cognizione di documenti che possano coinvolgere sia le prerogative del sindacato, quale istituzione esponenziale di una determinata categoria di lavoratori, sia le posizioni di lavoro di singoli iscritti nel cui interesse e rappresentanza opera l'associazione (in tal senso, Cons. Stato Sez. VI, 20/11/2013, n. 5511). Nel caso di specie, la documentazione richiesta inerisce certamente alle prerogative del sindacato, in quanto tale e ai diritti di informazione del medesimo, posti a salvaguardia degli aspetti più significativi del rapporto di lavoro, vantando parte ricorrente un interesse di tipo endoprocedimentale all’ostensione, in forza del combinato disposto degli artt. 7 e 10 della legge n. 241/1990. Le organizzazioni sindacali sono parte del procedimento di formazione del Fondo di istituto nonché di accesso allo stesso da parte dei lavoratori e di ripartizione delle risorse finanziarie, di talché, hanno diritto a conoscere, acquisendone la copia, i dati di distribuzione del FIS per ogni singolo beneficiario (prospetto analitico degli importi erogati a ciascun beneficiario e per quale incarico) e ciò proprio per verificare il rispetto dei criteri e la corretta applicazione del Contratto di Istituto in materia di distribuzione del FIS, trattandosi di un accesso partecipativo e non solo conoscitivo, "la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici" (art. 24, comma 7, primo periodo, l. 241/1990), vale a dire gli interessi dei quali il sindacato è portatore sia quale ente esponenziale dei lavoratori iscritti sia quale soggetto coinvolto nel procedimento di formazione e di distribuzione delle risorse del Fondo di istituto. La questione Commissione osserva che il sindacato vanta un interesse differenziato, anche di carattere difensivo, a verificare la correttezza della valutazione (CDS., sent. 20 luglio 2018, n. 4417 e da ultimo TAR per il Friuli Venezia Giulia, sent. n. 42 del 2021). La Commissione da ultimo rileva che la tutela della riservatezza dei terzi non viene in rilievo, trattandosi dell’ostensione degli importi erogati, vantando il sindacato un interesse differenziato, anche di carattere difensivo, a verificare la correttezza della valutazione e non potendo il personale che ha ricevuto l’importo essere considerato “controinteressato”. Né rileva il parere del Garante per oggetto l’assunta illegittimità la protezione dei dati personali, allegato alla memoria di replica dell’Amministrazione resistente, reso il ….., in cui si legge espressamente “Restano, in ogni caso, salve le forme di conoscibilità degli atti amministrativi, nei limiti e con le modalità stabilite dalla disciplina di settore (artt. 22 ▇▇. ▇▇▇▇▇ ▇. ▇. ▇▇▇ ▇▇▇ ▇/▇/▇▇▇▇ e art. 5 d.lgs. 33/2013), i cui presupposti saranno valutati dall’amministrazione al fine di consentire o meno l’ostensione della perdurante segnalazione in Centrale Rischi documentazione richiesta, tenuto conto che l’organizzazione sindacale può essere legittimata all’esercizio del nominativo diritto di accesso documentale limitatamente alla “cognizione di documenti che possono coinvolgere le prerogative del ricorrentesindacato quale istituzione esponenziale di categoria, stante l’asserito venir meno [e alle] posizioni di lavoro di singoli iscritti nel cui interesse opera l’associazione [sindacale]” (cfr., fra le altre, le sentenze: Cons. Stato, sez. III, 23/10/2014, n. 5236; Cons. Stato, sez. VI, del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art20/11/2013, n. 5511; T.A.R. Bari, Puglia, sez. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale III, 5/10/2018, n. 1275; T.A.R. Parma, ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante▇-Romagna, come affermato dal ricorrentesez. I, o13/05/2015, viceversan.141)”. D’altronde, permangasulle organizzazioni sindacali graverà l'obbligo di non divulgare il contenuto della documentazione oggetto dell’istanza di accesso, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della se non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una nelle sedi istituzionali e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 laddove "strettamente indispensabile" (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione24, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principalecomma 7, ultimo periodo, L. n. 241 del 1990) e di non utilizzarlo per scopi diversi da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.cquelli propri dell'organizzazione sindacale., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Access Request
DIRITTO. La questione Si constata come le doglianze esposte dalla parte ricorrente e la problematica giuridica ad esse sottesa siano da ricondursi all’utilizzo fraudolento di strumenti di pagamento a seguito di furto. Orbene, alla luce di tale qualificazione, ed in virtù della collocazione temporale dei fatti esposti in denuncia alla P.G. nonché dalla documentazione prodotta da entrambe le parti, il Collegio deve ricordare, innanzitutto, che le operazioni contestate da parte ricorrente in quanto ritenute fraudolente sono successive all’entrata in vigore del D. Lgs. 11/2010 (1° marzo 2010) che, come noto, ha provveduto a recepire la c.d. Payment Service Directive, ossia la Direttiva 2007/64/CE. Il menzionato decreto legislativo, in particolare, introduce una ripartizione del rischio connesso all’utilizzo di strumenti elettronici di pagamento tale da fare ricadere sull’intermediario il rischio stesso, a meno che non risulti provata una colpa grave dell’utilizzatore-cliente, sul quale ultimo resta, comunque, una partecipazione al rischio nella misura massima di euro 150,00 (c.d. franchigia), da applicarsi in relazione ad ogni singolo strumento di pagamento utilizzato e salvo che esista una diversa pattuizione contrattuale migliorativa per oggetto l’assunta illegittimità il cliente stesso (tale, ad esempio, da trasferire anche il rischio della perdurante segnalazione in Centrale Rischi c.d. franchigia sullo stesso intermediario). Ovviamente, la scansione di tale rischio sulle parti coinvolte presuppone la corretta autenticazione e contabilizzazione delle operazioni contestate, così come richiesto dall’art.10 del nominativo del ricorrentemedesimo D.Lgs.11/2010. Va però chiarito che tale normativa, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel che risulterebbe idealmente idonea a valutare il caso in esame l’obbligo esame, non è utilizzabile dal generico utilizzatore di segnalazione una carta, ma dal soggetto titolare della carta ovvero dello strumento di pagamento elettronico in Centrale questione. Del resto, l’intero impianto normativo anche nella parte relativa all’eventuale disconoscimento delle operazioni di pagamento, e del conseguente diritto alla restituzione di somme eventualmente sottratte per effetto di frodi o a seguito di altri comportamenti fraudolenti o criminosi di terzi, si riferisce al pagatore ovvero al legittimo utilizzatore della carta o strumento di pagamento, il quale ha stipulato con il fornitore del servizio il contratto relativo. ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante▇, come affermato dal nel caso in esame la carta prima rubata e poi illegittimamente utilizzata non risulta essere intestata alla parte ricorrente, ola quale è mera contitolare del conto corrente su cui la carta di pagamento poggia. Il titolare della carta di pagamento, viceversaal contrario, permangaresta nel caso in esame totalmente estraneo al conflitto, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della tanto da non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte aver nemmeno sottoscritto il ricorso per adesione oltre a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali non aver conferito alcun potere di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare cherappresentare, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -questa sede, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”suoi diritti. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta ericorrente, pertanto, non più giustificata risulta essere il soggetto idoneo a domandare tutela per il mancato rimborso delle somme sottratte per mezzo del bancomat rubato. Non ha, del resto, rilevanza ai fini della legittimazione ad agire il fatto che il conto corrente di riferimento sia cointestato anche alla ricorrente, perché l’oggetto del ricorso non si riconduce alla tutela della proprietà comune degli eventuali fondi residui sul conto, ma pertiene alle tutele offerte dalla legge e/o dal contratto al titolare dello strumento di pagamento e soprattutto enuclea una precisa domanda di restituzione degli importi sottratti con l’utilizzo del bancomat medesimo. Ne discende che il mero fatto per cui l’addebito in conto abbia avuto riflessi – mediati - anche sulla posizione economica della attuale ricorrente non vale a conferirle legittimazione ad agire. Questo Collegio deve pertanto concludere che, senza pregiudizio alcuno rispetto ai diritti azionabili dai soggetti titolati all’eventuale restituzione degli importi sottratti a seguito del furto, la segnalazione domanda formulata dalla parte con l’attuale ricorso non possa essere esaminata per difetto di legittimazione attiva della parte ricorrente medesima, con conseguente improcedibilità del suo nominativo in Centrale Rischiricorso.
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DIRITTO. La prima questione di merito che questo Collegio è chiamato a dirimere attiene alla validità della fideiussione rilasciata dal ricorrente (e da altro soggetto cointestatario del ricorso) a garanzia delle obbligazioni contratte da una società nei confronti dell’intermediario resistente, asseritamente riproduttiva dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI e censurato dalla Banca d’Italia, perché ritenuto contrastante con la disciplina Antitrust. Più precisamente, il ricorrente si duole della conformità di tale fideiussione allo schema uniforme predisposto dall’ABI e ha chiesto di accertare la nullità delle clausole dichiarate illegittime dalla Banca d’Italia col provvedimento n. 55/2005 e, conseguentemente, di affermare l’avvenuta estinzione della fideiussione per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi il decorso del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’arttermine semestrale entro cui il creditore avrebbe dovuto attivarsi per far valere le sue ragioni ex art. 1957 c.c. Per accertare se Dall’analisi della documentazione in atti è possibile riscontrare che la fideiussione omnibus oggetto di contestazione è stata stipulata dal ricorrente nel caso 2015 per l’adempimento delle obbligazioni contratte da una società fino a concorrenza dell’importo di € 6.500,00 (poi elevato, nel 2016, a € 13.000). Il ricorrente non ha prodotto il testo dello schema ABI, né ha riferito in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione modo specifico le proprie contestazioni ad alcuna delle clausole del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussionecontratto sottoscritto. In prospettiva generalesede di repliche, occorre inoltre ricordare chetuttavia, in relazione alla Circolare ha allegato copia dello schema ABI e del provvedimento della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 55/2005 e ha precisato che la nullità parziale del contratto dovrebbe limitarsi «alle clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema ABI dichiarati nulli dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Seznn. 2, Par6 e 8)». 3 - Garanzie ricevute -La questione alla base della presente controversia trae origine dal provvedimento n. 55 del 2.05.2005 emesso dalla Banca d’Italia in funzione di autorità garante della concorrenza tra banche, ai sensi degli artt. 14 e 20 della legge n. 287 del 1990. Nel citato provvedimento Banca d’Italia ha dichiarato che gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI nell’ottobre del 2002 contenessero disposizioni in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a) della Legge n. 287/1990 (Legge Antitrust), «nella misura in varie occasioni questo Arbitro - cui vengano applicate in linea con modo uniforme». La Banca d’Italia, che – è bene rammentarlo – all’epoca rivestiva la giurisprudenza civile ed il Collegio qualità di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - autorità garante della concorrenza per le banche, ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioritenuto che la standardizzazione contrattuale fosse anticoncorrenziale, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al nel caso in esamecui gli schemi contrattuali prevedano clausole, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità incidenti su aspetti rilevanti del fideiussore) contratto, tali da impedire «un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti» e da ostacolare la possibilità di una diversificazione del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoprodotto offerto, in deroga a ragione della loro costante e uniforme applicazione. Più specificamente, la natura anticoncorrenziale di siffatte clausole è stata ravvisata nella loro attitudine, in quanto previsto dall’art. 1957 c.c.uniformemente applicate, si stabilisce ad addossare in 36 mesi dalla scadenza capo al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca, ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) edegli atti estintivi della stessa, di seguito, la segnalazione “senza risultare funzionali a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no garantire l’accesso al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’artcredito bancario. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esigeIl menzionato provvedimento, secondo il costante orientamento della Cassazionegiurisprudenza di legittimità, costituirebbe prova privilegiata in relazione alla sussistenza del comportamento accertato e del suo eventuale abuso. A seguito dell’accertamento condotto dalla Banca d’Italia si è posto il problema della sorte dei contratti stipulati “a valle”, ossia delle fideiussioni rilasciate in epoca posteriore a detto provvedimento da soggetti terzi a beneficio di intermediari finanziari, il ricorso a mezzi processuali cui contenuto riproduca le clausole del modello di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento fideiussione omnibus oggetto di censura da parte dell’intermediario delle attività dirette della Banca d’Italia. Al tale proposito, giova ricordare che il Collegio di Coordinamento, con la decisione n. 14555/20, dopo aver preliminarmente osservato che «lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a recuperare il credito“fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali”, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero creditirisultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità della legge n. 287 del 1990», ha affermato la nullità parziale delle clausole de quibus, in applicazione del principio di esperirle per la presenza conservazione del contratto. In particolare, il Collegio ha enunciato i seguenti principi di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.diritto:
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Sources: Fideiussione
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi controversia concerne il comportamento tenuto dalla banca nella gestione delle operazioni di estinzione anticipata del nominativo mutuo del ricorrente. Parte ricorrente contesta il comportamento della resistente per avergli addebitato un importo superiore a quello in precedenza comunicato in sede di conteggio per estinzione anticipata. Chiede pertanto la restituzione dell’eccedenza pari ad € 2.049,48. La resistente deduce che tale somma è giustificata (oltre che dagli interessi maturati successivamente al conteggio) dalla penale per estinzione anticipata, stante l’asserito venir meno in un primo momento non conteggiata a causa di un errore nell’inquadramento dell’operazione (surroga anziché estinzione). Dalla documentazione prodotta dalle parti emerge che il mutuo è stato stipulato il 3/5/2004 ed estinto il 24/3/2015; si trattava di mutuo a tasso fisso e durata ventennale, ed in seguito alla istruttoria disposta dal Collegio si è accertato che il regolamento contrattuale prevedeva l’applicazione di una penale di estinzione anticipata pari al 3%; l’ammortamento aveva scadenza originaria 30/6/2024; la sospensione dei pagamenti dall’1/9/13 al 28/2/14 ha determinato lo slittamento in avanti del suo obbligo fideiussorio piano di ammortamento, con nuova data scadenza 30/9/2025, per cui l’ammortamento sarebbe giunto a metà soltanto il 30/9/2015. Dal punto di vista normativo occorre richiamare quanto previsto dall’art. 120-ter, comma 1, TUB, secondo il quale «E’ nullo qualunque patto o clausola, anche posteriore alla conclusione del contratto, con il quale si convenga che il mutuatario sia tenuto al pagamento di un compenso o penale o ad altra prestazione a favore del soggetto mutuante per l’estinzione anticipata o parziale dei mutui stipulati o accollati a seguito di frazionamento, anche ai sensi del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, per l'acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche. La nullità del patto o della clausola opera di diritto e non comporta la nullità del contratto». In base poi all’art. 161, comma 7-ter, TUB, «Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 120-ter si applicano ai contratti di mutuo per l'acquisto della prima casa stipulati a decorrere dal 2 febbraio 2007 e ai contratti di mutuo per l’acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche stipulati o accollati a seguito di frazionamento, anche ai sensi del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, a decorrere dal 3 aprile 2007. La misura massima dell'importo della penale dovuta per il caso di estinzione anticipata o parziale dei mutui indicati nel comma 1 dell'articolo 120-ter stipulati [come quello ora in esame] antecedentemente al 2 febbraio 2007 è quella definita nell'accordo siglato il 2 maggio 2007 dall'Associazione bancaria italiana e dalle associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale, ai sensi dell'articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206». Ricostruito in questi termini il quadro normativo, la misura massima della penale dovuta per il caso di estinzione anticipata di contratti di mutuo immobiliare stipulati, qual è quello oggetto di controversia, prima del 2 febbraio 2007, è quella prevista dall’Accordo ABI – CNCU del 2 maggio 2007, richiamato dalla resistente. Sul punto, le previsioni dell’Accordo sono chiare nel prevedere che «per i contratti di mutuo a tasso fisso stipulati successivamente al 31 dicembre 2000» la misura massima della penale è pari a «1,90 punti percentuali nella prima metà del periodo di ammortamento del mutuo»; con la precisazione che, qualora le «penali contrattualmente previste» siano «in misura pari o inferiore alle misure massime sopra indicate», le penali così previste subiscono un’ulteriore riduzione pari, per i «mutui a tasso fisso» stipulati successivamente al 31 dicembre 2000, a «0,25 punti percentuali». Orbene, dalla lettura del contratto di mutuo, concluso dalla ricorrente, risulta la previsione di una penale per il caso di anticipata estinzione nella misura del 3%, misura evidentemente superiore a quella massima richiamata dall’Accordo ABI – CNCU del 2 maggio 2007. Deve, pertanto, ritenersi corretta e conforme al dettato normativo la condotta dell’intermediario resistente, che ha provveduto a determinare la penale dovuta dalla ricorrente per l’estinzione del contratto di mutuo a tasso fisso stipulato nell’anno 2004 nella misura dell’1,9%, anziché del 3% come contrattualmente previsto, senza applicare l’ulteriore riduzione dello 0,25%, prevista unicamente per l’ipotesi di penale negozialmente fissata in una misura pari o inferiore all’1,90% indicato dall’Accordo ABI – CNCU del 2 maggio 2007. Sulla base di questi dati risulta dunque correttamente applicata la penale dell’1,90% sul capitale residuo, pari a: 100.014,61 x 0,019 = 1.900,27 euro. I restanti euro 149,21, addebitati al momento dell’estinzione anticipata (in eccesso rispetto a quanto in precedenza comunicato), sembrerebbero riferibili agli interessi maturati successivamente al primo conteggio effettuato, ma sul punto non vi è specifica contestazione da parte del ricorrente. Non può dunque essere accolta la domanda restitutoria. Ciò posto la condotta della banca deve essere scrutinata sotto il profilo della conformità ai canoni di correttezza e diligenza che ne devono informare l’operato, al fine di verificare la sussistenza di una responsabilità in capo alla medesima. Ed invero deve rilevarsi che non è contestato il fatto che la discordanza tra l’importo comunicato al ricorrente e quello a costui addebitato sia dovuto ad un errore ascrivibile alla resistente nell’effettuare il primo conteggio di estinzione; altrettanto incontestata è la circostanza – ancor più grave - per cui il ricorrente non sia stato preventivamente informato del maggior addebito. Nel caso in esame ad avviso del Collegio emerge infatti una palese violazione dei princìpi di correttezza e buona fede e di protezione della controparte che avrebbero dovuto caratterizzare l’agire dell’intermediario resistente. Non senza ribadire come il grado di diligenza cui è tenuto l’intermediario nell’esecuzione delle disposizioni che gli siano state impartite dal cliente è particolarmente elevato e qualificato, infatti, deve essere individuato nella diligenza del c.d. bonus argentarius (cfr. Cass., 12 giugno 2007, n. 13777, secondo cui «ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 1176 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni2° comma, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generalela banca appellata, occorre inoltre ricordare chela quale, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione svolgendo attività professionale, deve adempiere tutte le obbligazioni assunte nei confronti dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea propri clienti con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato diligenza particolarmente qualificata dell’accorto banchiere, non solo i requisiti con riguardo all’attività di legittimità della segnalazione esecuzione di contratti bancari in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediariosenso stretto, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario in relazione ad ogni tipo di segnalare atto o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” operazioni oggettivamente esplicati») (Collegio di MilanoColl. Roma, decisione dec. n. 8288/20141362/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso Appare evidente come nella vicenda in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) contestazione la banca resistente sia venuta meno a tale obbligo di diligenza qualificata nella fase di estinzione del contratto (non comunicando preventivamente ed in maniera puntuale e trasparente l’importo dovuto dal cliente che si è ritrovato addebitato un importo superiore rispetto a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’artquello preventivato. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, Tuttavia a fronte della contestazione acclarata responsabilità della banca, appare del ricorrente in ordine al mancato assolvimento tutto assente qualsiasi indicazione, da parte dell’intermediario delle attività dirette del ricorrente, circa il pregiudizio che al medesimo sarebbe derivato dal ritardo e dalle modalità con le quali è venuto a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle conoscenza dell’importo realmente dovuto per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertantol’estinzione, non più giustificata potendo quindi trovare accoglimento la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischidomanda risarcitoria.
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Sources: Mutuo
DIRITTO. La questione ha per Prima di esaminare nel merito la controversia sembra opportuno riportare alcuni aspetti essenziali ai fini della decisione. I due contratti aventi ad oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione il conto corrente numero 1688 e il conto corrente numero 1690 risultano sottoscritti rispettivamente in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento data 16.12.2011 (cfr. decisione n. 3089/2012allegato 2 controdeduzioni) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica 19.12.2011 (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”allegato 1 controdeduzioni). Accertata la scadenza dell’obbligazione principaleDa quanto si evince dai documenti di sintesi riferiti a ciascun rapporto di conto corrente il tasso creditorio previsto contrattualmente, da individuarsi nella risoluzione corrisponde al seguente (cfr. allegato 1 e 2 controdeduzioni): Contemporaneamente alla sottoscrizione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011)conto di corrispondenza, da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante ambedue i rapporti sono stati integrati mediante accordi “di modifica delle condizioni senza effetti novativi” (il 28.07.2011contratto n. 208/1690 è stato integrato il 19.12.2011, mentre il contratto n. 208/1688 è stato integrato il 16.12.2011) ein cui sono state convenute le seguenti variazioni ai rispettivi rapporti, di seguito, la segnalazione “a sofferenzamodifica di quelle attualmente in essere” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno cfr. allegati 1 e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no 2 controdeduzioni): - c/c numero 208/1690: tasso creditore 4,00% fino al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo 19.03.2012 - c/c numero 208/1688: tasso creditore 4,50% fino al 15.06.2012 In entrambi gli accordi veniva specificato tra l’altro quanto segue: Da quanto si evince dalla documentazione in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specieatti non risulta che, a fronte del riconoscimento di tali tassi di interesse particolarmente vantaggiosi, esistesse il vincolo temporale e il divieto di effettuare versamenti sugli stessi diversi dal conferimento originario, così come affermato dalla resistente. Sul punto, al contrario, l’intermediario, ha riconosciuto che non è stata raccolta la sottoscrizione dei clienti su un documento avente ad oggetto una “Integrazione al contratto di conto corrente” in cui il correntista avrebbe dovuto dichiarare di prendere atto che l’operatività del conto corrente sarebbe stata limitata tassativamente al versamento/conferimento della contestazione somma destinata a deposito, restando esclusa l’operatività di tutte le norme contrattuali con essa incompatibili. È stato prodotto agli atti un modulo prestampato che la Banca utilizzerebbe per i contratti della specie (allegato 9 controdeduzioni). Secondo le evidenze prodotte dall’intermediario, i ricorrenti in data 19.03.2012 (allo scadere dei tre mesi in cui era previsto un tasso di interesse del ricorrente 4,00% sul conto corrente n. 208/1690) hanno bonificato l’importo riveniente dall’estinzione del rapporto n. 208/1690 sul conto corrente n. 7890, loro intestato, svincolando in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario pari data la somme versate tramite emissione di assegno di € 1.155.221,00. Ciò chiarito e venendo all’esame del merito della questione, deve anzitutto rilevarsi che non è controverso tra le parti che siano intercorsi i contratti di conto corrente bancario di corrispondenza di cui si discute. Con gli atti contestuali modificativi delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (condizioni economiche rispettivamente apportati si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle sarebbe determinata per la presenza Banca anche una modifica del contratto posto in essere per renderlo un contratto di ostacoli giuridici (comeconto corrente detto “a monopartita”. I clienti, ad estuttavia, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.ccontestano questa ricostruzione e sostengono l’inadempimento dell’intermediario agli obblighi contrattuali., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Controversy Resolution Agreement
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione L’eccezione (in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentesenso lato) d’incompetenza, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.csollevata dal resistente, non può essere accolta. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi«collegato», ai sensi dell’art. 1957 2, comma 5, delibera CICR n. 275/2008, deve intendersi anche la transazione che modifica (nell’oggetto o anche nella disciplina) un’obbligazione derivata da un contratto bancario ovvero dall’inosservanza di doveri precontrattuali. Infatti, scopo dell’istituto dell’ABF è quello di assicurare effettività al rispetto della normativa nelle relazioni tra banca e cliente. Tant’è che, come noto, l’Arbitro include nella figura del cliente anche il potenziale cliente, quando si controverta dell’inosservanza di doveri precontrattuali. Nel merito, è da negarsi che l’intermediario sia stato inadempiente all’obbligo di provvedere alla cancellazione dell’ipoteca «senza indugio». Infatti, ricevuto il pagamento il 21 Febbraio, la cancellazione è comunque avvenuta il 7 Marzo. In tempi brevi, dunque, se si considera, da un lato, che, nel caso di specie, secondo il Giudice Tavolare di Rovereto, era necessaria, per ottenere la cancellazione dell’ipoteca, una richiesta dell’intermediario stesso, di cui fosse almeno autenticata la sottoscrizione; dall’altro, che l’art. 13, commi 8- sexies ss., l. n. 40/2007 (c.d. decreto Bersani-bis), pur prevedendo una procedura semplificata di cancellazione (al fine di renderla meno costosa e più rapida), assegna alla banca un tempo per attivarla di trenta giorni. Né la circostanza che il resistente non fosse a conoscenza – come invece avrebbe dovuto (ex art. 1176, comma 2°, c.c.) – dell’orientamento del Giudice Tavolare di Rovereto (dove operava) ha significativamente allungato i tempi della cancellazione: dopo due giorni dal pagamento, estinta ecomunque, pertantol’intermediario si è reso disponibile presso il notaio per il perfezionamento dell’atto necessario alla cancellazione [in questo procedimento non è emersa la ragione specifica per cui il Conservatore del Libro Fondiario o il Giudice Tavolare hanno considerato necessaria, nella specie, una richiesta di cancellazione almeno in forma di scrittura autenticata: se perché si è ritenuto del tutto incompatibile la procedura semplificata di cancellazione dell’ipoteca con il sistema tavolare di pubblicità dei diritti immobiliari in vigore nel Trentino-Alto Adige (R.D. 28 Marzo 1929, n. 499) o se perché, ad esempio, l’ipoteca non più giustificata accedeva ad un «mutuo»]. Solo incidentalmente, dunque, si nota che la segnalazione ricorrente non ha fornito prova del pregiudizio che asserisce derivato dal fatto che la cancellazione è avvenuta il 7 Marzo: non dimostra, precisamente, che, a causa di ciò, ha perduto il credito di cui era titolare, quale promissario venditore, a concludere la vendita dell’immobile ipotecato. Quanto alle spese notarili, invece, l’intermediario, implicitamente, riconosce che, anche per le trattative intercorse (art. 1362, comma 2, c.c.), la clausola n. 6 della transazione (già sopra riportata per quanto d’interesse) poneva a suo nominativo carico le spese per la cancellazione dell’ipoteca. Nega infatti che le spese notarili poi effettivamente dovute fossero ancora a suo carico perché la «clausola deve ritenersi risolta, essendo venuto meno il presupposto» su cui si fondava: quello, cioè, «di ottenere la cancellazione dell’ipoteca con il deposito senza indugio .. di un’istanza tavolare, e con una spesa preventivata di € 15,00 per diritti di deposito e di € 168,00 per la registrazione del contratto»; sul presupposto, quindi, che fosse applicabile (almeno in Centrale Rischiparte) la procedura semplificata di cancellazione, prevista dal decreto Bersani-bis. E la ricorrente riconosce, dal canto proprio, sia pure nel reclamo (allegato e richiamato nel ricorso), che «la trattativa … ha portato da parte Vostra [del resistente] alla quantificazione della somma di € 168 … per la cancellazione». E’ però da escludere, allo stato degli atti almeno, che abbia operato la regola della presupposizione. L’applicazione di tale regola, infatti, richiede – secondo quanto comunemente si ritiene – che il fatto presupposto, che ha determinato una parte o le parti a concludere il contratto, sia stato considerato come incerto (per quanto altamente probabile), nel suo essersi verificato (se presente) ovvero nel suo verificarsi (se futuro). Altrimenti, se la parte per cui il fatto è stato determinante lo ha ritenuto certo, essa, in realtà, deve ritenersi caduta in errore, con conseguente applicazione degli artt. 1427 ss. c.c. (nella specie, si tratterebbe di errore di diritto che si riflette sul valore della prestazione). E l’intermediario non ha fornito elementi (e prove) da cui risulti che il fatto – la sufficienza di una richiesta di cancellazione in forma di semplice scrittura privata – era stato dato per incerto durante le trattative (anzi, pare il contrario: l’intermediario avendo senz’altro presentato, a mezzo del proprio «procuratore», una richiesta non autenticata). Né ha dimostrato che l’istante abbia compreso che la possibilità che si applicasse il decreto Bersani-bis era determinante per l’intermediario; né che davvero lo fosse: anche tenuto conto che era comunque possibile una richiesta di cancellazione semplicemente con sottoscrizione autenticata; l’assunto del resistente, secondo cui il notaio avrebbe rifiutato tale ufficio «per questioni legate alla Legge notarile», in effetti, è rimasto tale: sprovvisto anch’esso di qualsivoglia dimostrazione (d’altro canto, lo si nota incidentalmente, fuoriuscendosi dal petitum, l’intermediario neppure ha provato che il proprio errore fosse riconoscibile alla controparte).
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Sources: Contratto Di Apertura Di Credito
DIRITTO. La questione ha Sul ricorso presentato la Commissione osserva non può che dichiarare la propria incompetenza, essendo competente solo per oggetto l’assunta illegittimità il riesame del diniego di accesso opposto alle istanze presentate ex lege 241/’90, nel rispetto dei relativi principi e prescrizioni. L’istanza della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui ricorrente è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011)stata proposta, per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditricedi accesso civico previsto e disciplinato dal d.lgs. Nella specien. 33 del 2013, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento modificato dal d.lgs. n. 25 maggio 2016, n. 97, né è sorretta da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersiinteresse qualificato, ai sensi dell’artdella l. 241 del 1990. 1957 c.cIn generale, si ricorda che i recenti interventi normativi contenuti nel ▇.▇.▇▇ n. 33 del 2013 e nel d.lgs n. 97 del 2016, estinta ehanno introdotto l’accesso civico e l’accesso civico generalizzato quali strumenti di controllo democratico sull’apparato pubblico e misura fondamentale per la prevenzione ed il contrasto anticipato della corruzione, pertantospettante a chiunque. Orbene, l’art. 5, comma 7 del d.lgs. n. 33 del 2013, così come modificato dall’art. 6 del d.lgs n. 97 del 2016, stabilisce che “nei casi di diniego totale o parziale dell'accesso o di mancata risposta entro il termine di trenta giorni, il richiedente può presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, di cui all'articolo 43, che decide con provvedimento motivato, entro il termine di venti giorni……Avverso la decisione dell'amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il richiedente può proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell'articolo 116 del Codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”. Il successivo comma 8 della medesima disposizione stabilisce, altresì che “Qualora si tratti di atti delle amministrazioni delle regioni o degli enti locali, il richiedente può altresì presentare ricorso al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito. Qualora tale organo non più giustificata sia stato istituito, la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischicompetenza è attribuita al difensore civico competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore”.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrenteMOTIVI DELLA DECISIONE Con la prima doglianza, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artdeducendo la violazione e la falsa applicazione dei canoni legali di ermeneutica e degli artt. 1957 1939, 1945 e 1952 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ., ▇▇▇▇▇▇ sia cessato l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per estinzione dell’obbligazione del garanteaver la Corte di Appello violato i canoni di ermeneutica che, se fossero stati correttamente applicati, avrebbero portato a qualificare i patti di riacquisto intercorsi tra le parti come garanzia autonoma. E ciò, senza considerare che aveva omesso qualsiasi motivazione sul perchè avesse ritenuto di qualificare il patto di riacquisto come fideiussione anzichè come garanzia autonoma. La doglianza in entrambi i profili merita attenzione. A riguardo, corre l'obbligo di sottolineare preliminarmente che, come affermato ha già avuto modo di statuire questa Corte con un orientamento, cui questo Collegio intende aderire, "l'interpretazione del contratto, dal ricorrentepunto di vista strutturale, osi collega anche alla sua qualificazione e la relativa complessa operazione ermeneutica si articola in tre distinte fasi: a) la prima consiste nella ricerca della comune volontà dei contraenti; b) la seconda risiede nella individuazione del modello della fattispecie legale; c) l'ultima è riconducibile al giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto concretamente accertati. Le ultime due fasi, viceversache sono le sole che si risolvono nell'applicazione di norme di diritto, permangapossono essere liberamente censurate in sede di legittimità, come sostenuto dalla parte resistente mentre la prima - che configura un tipo di accertamento che è riservato al giudice di merito, poichè si traduce in considerazione della non risolta posizione debitoriaun'indagine di fatto a lui affidata in via esclusiva - è normalmente incensurabile nella suddetta sede, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali salvo che nelle ipotesi di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare motivazione inadeguata o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, così come previsti nell'art. 1362 ▇.▇. ▇ ▇▇. (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014▇▇▇▇. ▇. ▇▇▇▇▇/▇▇). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Fideicommissum
DIRITTO. La questione ha controversia all’esame del Collegio concerne la contestazione della legittimità di un contratto di finanziamento per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi violazione dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c117 T.u.b., richiamato dall’una e dall’altra nonché l’applicazione di tassi di interesse oltre la soglia antiusura. Occorre rilevare che la controversia concerne il contratto c.d. Multiconto, tipologia di finanziamento che viene stipulata in occasione della richiesta da parte a sostegno delle proprie opposte ragionidel cliente di un prestito finalizzato all’acquisto di un bene o di un servizio, sia alle previsioni negoziali mediante un modulo prestampato che contiene, altresì, la facoltà di cui alla costituzione della fideiussionerichiedere ulteriori finanziamenti ad uso rotativo, spesso connessi all’utilizzo di carta di credito da attivare per via telefonica. In prospettiva generaleNumerosi sono i precedenti già portati all’attenzione dei Collegi ABF nonché del Collegio di coordinamento, occorre inoltre ricordare cheil quale, riconoscendo la sostanziale autonomia dei finanziamenti “attivati” telefonicamente (anche in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -allo iato temporale tra contratto iniziale e successivi “riutilizzi”), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio si è espresso nel senso della nullità di Coordinamento tali ulteriori contratti (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione coordinamento n. 8288/20143257/2012). Circa l’applicabilità Inoltre, va ricordato che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (con provvedimento n. 22450/11) ha sanzionato questa tipologia di contratti come pratica commerciale scorretta. Ebbene, il caso di specie si pone nell’ambito delle questioni concernenti le modalità di stipula di tali contratti, con specifico riferimento al requisito della forma scritta; la ricorrente lamenta, infatti, la violazione dell’art. 1957 c.c117 Tub chiedendo che sia dichiarata la nullità della pattuizione con tutte le conseguenze che deriverebbero da siffatto accertamento. al caso Tuttavia, dalla documentazione in esameatti risulta che il contratto di finanziamento originario è stato stipulato nel novembre 2000 così come l’attivazione dei successivi “utilizzi” si colloca in epoca anteriore all’1.1.2009, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore come riportato dall’intermediario e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti come risultante da una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica verifica effettuata sugli estratti conto forniti da quest’ultimo (cfr. CassDisposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, Sezione I, Par. n. 16836/20154: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone Non possono essere sottoposte all’ABF controversie relative a operazioni o comportamenti anteriori al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita1° gennaio 2009”). Accertata Ne deriva pertanto l’irricevibilità ratione temporis delle domande di parte ricorrente cui ai punti 1,2,3,4,5,7 e 9, sopra elencati. Per quanto concerne la scadenza dell’obbligazione principaledomanda di restituzione, da individuarsi nella risoluzione del in subordine, di quanto indebitamente percepito per interessi successivamente all’1/1/2009 (v. supra punto 6), come si è avuto modo di precisare altre volte, non si può giungere ad un risultato diverso dall’inammissibilità di domande al di fuori dell’ambito di competenza temporale di questo Collegio, attraverso un’operazione di sostanziale frazionamento della domanda, considerato che la richiesta restitutoria della ricorrente implica l’accertamento di un vizio genetico di un contratto di finanziamento sorto in epoca anteriore a tale limite temporale. Da ultimo residua la contestazione relativa al mancato all’invio periodico degli estratti conto (avvenuta in data 23.06.2011)cfr. punto 8). Al riguardo, da cui è conseguita l’intermediario respinge tale richiesta affermando che la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguitocliente ha ricevuto al domicilio le informative periodiche. In ogni caso, la segnalazione “a sofferenza” domanda risulta comunque soddisfatta in quanto l’intermediario ha allegato alle sue controdeduzioni l’estratto conto storico del nominativo rapporto. In definitiva, ritenendo prevalente ai fini della pronuncia di quest’ultimorigetto la parte restitutoria della domanda, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindirispetto alle richieste di diversa natura, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare Collegio si orienta per considerare non ricevibile il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.cpresente ricorso., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Financing Agreement
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità materia del contendere va esaminata alla luce della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi recente riformulazione dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo 125 sexies TUB introdotto con la legge n. 106 del 23/7/2021 di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione conversione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, D.L. n. 73/2021 in relazione alla Circolare quale la medesima legge di conversione ha previsto quale criterio temporale che: “Alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti”. Sulla portata di tale intervento normativo, è intervenuto con la decisione n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap21676/2021, il Collegio di Coordinamento, che ha espresso il seguente principio di diritto: “in applicazione della Novella legislativa di cui all’art. II - Classificazione dei rischi 11-octies, Sezcomma 2°, ultimo periodo, d.l. 225 maggio 2021, Par. 3 - Garanzie ricevute -)n. 73, convertito in legge n. 106 del 23 luglio 2021, in varie occasioni questo Arbitro - caso di estinzione anticipata di un finanziamento stipulato prima della entrata in vigore del citato provvedimento normativo [25/7/2021], deve distinguersi tra costi relativi ad attività soggette a maturazione nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale (c.d. costi recurring) e costi relativi ad adempimenti preliminari alla concessione del prestito (c.d. costi up front)”. Dunque, allo stato attuale, sono retrocedibili i primi, limitatamente alla quota non maturata degli stessi in ragione dell’anticipata estinzione, e non i secondi. Ciò premesso in punto di diritto, risulta dal conteggio estintivo, elaborato dopo la scadenza di n. 48 rate sulle 120 complessive al 31/1/2019, che a parte ricorrente sono stati riconosciuti € 380,16 a titolo di pro quota delle ‘commissioni mandataria’. Gli oneri contrattuali applicati sono le commissioni per il perfezionamento del finanziamento, commissioni per la gestione del finanziamento (cd. commissioni mandataria) e provvigioni per l’intermediario del credito. Il contratto prevede che in caso di estinzione anticipata è dovuto il rimborso solo delle commissioni per la gestione del finanziamento. Quanto alle citate provvigioni, nel modulo SECCI vengono indicati due distinti soggetti quali intermediario del credito, apparentemente qualificati come intermediario finanziario ex art. 106 TUB. Tuttavia, nel contratto vi è evidenza dell’intervento solo di uno di questi due soggetti che, inoltre, non risulta iscritto all’elenco degli intermediari finanziari ex art.106, e non espone nel timbro il riferimento all’iscrizione all’elenco degli agenti in attività finanziaria. L’altro soggetto indicato nel SECCI risulta essere un intermediario finanziario iscritto all’elenco art. 106 TUB (e come tale riveste la qualifica di intermediario del credito) ma non risulta intervenuto in contratto. Non sono stati prodotti l’eventuale accordo distributivo con l’intermediario del credito, né la relativa fattura. Dunque, tenuto anche conto del tenore delle disposizioni contrattuali, vi è assoluta incertezza sul ruolo svolto dal soggetto effettivamente intervenuto, stante la mancata spendita del ruolo di agente e la non iscrizione all’albo degli intermediari finanziari. Alla luce di quanto precede, vanno qualificati come costi recurring le citate ‘commissioni mandataria’ per la gestione del finanziamento e le provvigioni dell’intermediario del credito e come upfront le commissioni per il perfezionamento del finanziamento. Pertanto, trattandosi di contratto stipulato prima del 25/7/2021 e tenuto conto di quanto già riconosciuto, il conteggio delle somme dovute a parte ricorrente in sede di estinzione anticipata va effettuato come segue, in linea con la giurisprudenza civile ed il i principi espressi dal Collegio di Coordinamento nella richiamata decisione n.21676/21: Numero di pagamenti all'anno 12 Quota di rimborso pro rata temporis 60,00% Data di inizio del prestito 01/02/2015 Quota di rimborso piano ammortamento - interessi 40,63% rate pagate 48 rate residue 72 Importi Natura onere Percentuale di rimborso Importo dovuto Rimborsi già effettuati Residuo Commissioni mandataria perfezionamento ( A ) 633,60 Upfront 0,00% 0,00 0,00 0,00 Commissioni mandataria gestione (cfr. decisione n. 3089/2012B) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” 633,60 Recurring 60,00% 380,16 380,16 0,00 Provvigioni intermediario (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussoreC) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.2.534,40 Recurring 60,00% 1.520,64 0,00 1.520,64
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Sources: Loan Agreement
DIRITTO. La questione ha Oggetto del presente procedimento è la richiesta di riduzione del costo totale del finanziamento anticipatamente estinto mediante rimborso dei costi ivi applicati, in base al combinato disposto degli artt. 121, comma 1, lett. e) D.Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario – T.U.B.), che indica la nozione di costo totale del credito, e 125 sexies T.U.B., che impone una riduzione del costo totale del credito pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per oggetto l’assunta illegittimità la vita residua del contratto. In base all’orientamento finora consolidato dell’ABF (per tutte, decisione del Collegio di Coordinamento n. 6167/2014), anche e soprattutto alla luce della perdurante segnalazione disciplina sub primaria della Banca d’Italia (cfr. le Disposizioni sulla trasparenza e le Indicazioni della Vigilanza del 2009, 2011 e 2018, nonché le Comunicazioni Banca d’Italia del 2009 e 2011), nel caso di estinzione anticipata del finanziamento doveva essere rimborsata al mutuatario la quota di commissioni e costi assicurativi non maturati nel tempo, distinguendo fra oneri in Centrale Rischi corrispettivo di prestazioni compiute nella fase delle trattative e della conclusione del nominativo contratto di finanziamento (commissioni up front), ritenuti non ripetibili, e oneri che maturano nel corso dell’intera durata del ricorrenterapporto negoziale (commissioni recurring), stante l’asserito venir meno rimborsabili in proporzione alle rate residue non maturate del suo obbligo fideiussorio finanziamento (cd. criterio pro rata temporis: l’importo da restituire si ottiene dividendo l’importo della commissione per il numero totale delle rate del finanziamento e moltiplicando il risultato per il numero di rate residue al momento dell’estinzione anticipata). In ogni caso, qualora la clausola contrattuale che disciplina la singola commissione non sia chiara ed univoca nell’individuarne la natura up front o recurring, o sia del tutto assente in contratto, in applicazione degli artt. 1370 c.c. e 35, comma 2, cod. cons. l’intero importo della commissione deve essere preso in considerazione per la quantificazione della quota da rimborsare. All’esito di un procedimento avviato ai sensi dell’art. 1957 c.c267 TFUE al fine di ottenere la esatta interpretazione dell’art.16, par. Per accertare 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori, che ha abrogato la direttiva 87/102 CEE del Consiglio e, in particolare, al fine di chiarire se tale disposizione, nel prevedere che “Il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, includa o meno tutti costi del credito, compresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto, la Corte di Giustizia Europea, con decisione emessa in data 11/09/2019 in causa C-383/18, ha statuito che ai sensi dell’art. 16 della Direttiva “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. Il Collegio di Coordinamento di questo Arbitro, investito della questione relativa agli effetti del citato provvedimento, con decisione n. 26525/2019 ha enunciato i seguenti principi di diritto: “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art. 125 sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front. Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una diversa previsione pattizia, che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF. La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda. Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring. Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Inoltre, con argomentazione cui questo Collegio aderisce, il Collegio di Coordinamento ha ritenuto che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile debba essere analogo a quello che le parti avevano previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Alla luce di tutto quanto sopra, nel caso di specie, considerato che la commissione mandataria per il perfezionamento del prestito e le provvigioni per l’intermediario intervenuto hanno natura up front poiché remunerano attività solo preliminari, mentre la commissione mandataria per la gestione del prestito ha natura recurring ma è stata rimborsata (per importo leggermente superiore al dovuto) mediante l’abbuono nel conteggio estintivo e le imposte non sono rimborsabili poiché tecnicamente non un “costo” ai sensi della sopra richiamata decisione della Corte di Giustizia Europea, il resistente è tenuto, in esame l’obbligo base al criterio previsto per la riduzione degli interessi corrispettivi per il rimborso dei costi up front, al pagamento delle seguenti somme: rate complessive 120 rate scadute 48 Importi Natura Rimborsi dovuti Rimborsi già effettuati Residuo rate residue 72 TAN 6,70% Denominazione % rapportata al TAN 39,27% Commissione mandataria perfezionamento prestito 695,52 € Up front 273,13 € 273,13 € Commissione mandataria gestione prestito 695,52 € Recurring 417,31 € 417,60 € -0,29 € Provvigioni intermediario del credito 3.047,04 € Up front 1.196,57 € 1.196,57 € oltre interessi legali maturati dalla data del reclamo. Circa la richiesta di segnalazione refusione delle spese legali - peraltro non rimborsabili quale autonoma voce di costo ma solo laddove consistenti in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato un effettivo pregiudizio subito dal ricorrente, oda provare documentalmente (Collegio di Coordinamento, viceversadecisione n. 3498/2012) e da avanzare già in sede di reclamo (Collegio di Coordinamento, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia decisione n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -4618/2016), data la serialità del contenzioso in varie occasioni questo Arbitro - esame in linea con la giurisprudenza civile ed il base all’orientamento espresso dal Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.20116167/2014), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.cessa va rigettata., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione Il ricorso ha ad oggetto la domanda della parte ricorrente che chiede all’Arbitro di accertare il proprio diritto ad ottenere la restituzione delle quote di commissioni non integralmente rimborsate dall’intermediario al momento dell’estinzione anticipata del prestito, nonché degli interessi corrispettivi non maturati e retrocedibili secondo le condizioni previste dal punto 4 del modulo SECCI. Quanto alla domanda di rimborso delle quote di commissioni ed oneri non maturati in ragione dell’estinzione anticipata del prestito, non vi è dubbio che possano applicarsi al caso di specie i principi enunciati nella decisione del Collegio di Coordinamento n. 21676 del 15.10.2021, pronunciata a seguito dell’intervento legislativo occorso con l’art. 11- octies, d.l. 25 maggio 2021, n. 73, “Misure urgenti connesse all'emergenza da COVID-19, per oggetto l’assunta illegittimità le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali”, c.d. Decreto Sostegni-bis, introdotto dalla legge di conversione n. 106 del 23 luglio 2021; in tale occasione il Collegio di Coordinamento ha ritenuto che “in applicazione della perdurante segnalazione Novella legislativa di cui all’art. 11- octies, comma 2°, ultimo periodo, d.l. 25 maggio 2021, n. 73, convertito in Centrale Rischi legge n. 106 del nominativo 23 luglio 2021, in caso di estinzione anticipata di un finanziamento stipulato prima della entrata in vigore del citato provvedimento normativo, deve distinguersi tra costi relativi ad attività soggette a maturazione nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale (c.d. costi recurring) e costi relativi ad adempimenti preliminari alla concessione del prestito (c.d. costi up front). In ragione di quanto affermato dal Collegio di Coordinamento, nel caso di specie per l’individuazione della natura up front o recurring dei costi sostenuti dal ricorrente al momento della sottoscrizione del prestito possono ritenersi recurring le commissioni della mandataria per la gestione del finanziamento e up front le commissioni della mandataria per il perfezionamento del contratto. Con riferimento alle provvigioni dell’intermediario del credito, si ritiene di poter fare riferimento a quanto espresso nella decisione n. 22084 del 26.09.2019, in occasione della quale è stato stabilito che devono considerarsi up front quando, pur essendo intervenuto un intermediario ex art. 106 TUB, è presente agli atti l’allegato al SECCI che descrive l’attività di tale soggetto limitandola alla fase di perfezionamento del contratto. Da quanto esposto, si desume che i rimborsi già ottenuti dalla parte ricorrente siano stati conformi agli obblighi restitutori posti a carico dell’intermediario che ha correttamente restituito le quote delle commissioni il cui costo anticipatamente corrisposto è a maturazione progressiva nel tempo. Resta, invece, controverso il tema relativo alla sorte della domanda formulata dalla parte ricorrente nella parte in cui chiede all’Arbitro di accertare il proprio diritto ad ottenere il rimborso degli interessi corrispettivi non maturati in ragione dell’estinzione anticipata del prestito, secondo le condizioni previste al punto 4 del modulo SECCI che prevede che – in caso di estinzione anticipata del prestito – gli interessi vengano restituiti secondo il principio di calcolo pro rata temporis, ossia “in proporzione al tempo che rimane tra la richiesta di estinzione e la scadenza naturale del contratto, dividendo ciascun importo massimo per il numero di quote previste dal finanziamento e moltiplicandolo per il numero di rate residue”. Al riguardo, parte resistente ha eccepito la correttezza di quanto rimborsato in sede di conto estintivo, pari all’ammontare totale delle quote interessi relative alle 85 rate residue, come da piano di ammortamento alla francese, che produce in copia recante la sottoscrizione del cliente. Sebbene sul punto gli orientamenti espressi dai Collegi territoriali si siano recentemente uniformati nel senso di riconoscere la fondatezza della domanda restitutoria della parte ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio non sono mancate pronunce di segno opposto. In particolare, molte pronunce dei Collegi territoriali, recentemente, evidenziano che “in caso di ambiguità della clausola si debba applicare il criterio pro rata temporis anche per la restituzione della quota interessi ai sensi dell’art. 1957 1370 c.c. Per accertare se nel caso e, più in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione particolare, dell’art. 35, comma 2 d.lgs. n. 206 del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che2005 (secondo cui, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 caso di dubbio sull’interpretazione di una clausola, prevale quella più favorevole al consumatore)” (CapColl. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -Torino Decisione N. 24644 del 03 dicembre 2021); in senso analogo si sono espressi anche il Collegio di Palermo (Decisione N. 296 del 05 gennaio 2022), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile il Collegio di Napoli (Decisione N. 737 del 12 gennaio 2022), il Collegio di Bari (Decisione N. 1820 del 28 gennaio 2022) ed il Collegio di Coordinamento Milano (cfrDecisione N. 1236 del 19 gennaio 2022). La decisione n. 3089/2012) - 311/2021 del 07.01.2021 del Collegio di Napoli, in particolare, ha evidenziato come la questione del calcolo degli interessi non maturati secondo il piano di ammortamento “alla francese” anche in sede di estinzione anticipata, è stata già affrontata e risolta dai Collegi di questo Arbitro nel senso del riconoscimento della sua legittimità (Coll. Coord. N. 10003/2016, Coll. Napoli n. 2164/2020, Coll. Palermo n. 22945/2019), sottolineando come la misura dell’interesse restituendo non sia oggetto di previsione normativa inderogabile e possa essere rimessa alla libertà discrezionale delle parti (rectius, del predisponente). Il Collegio di Napoli, ha preso le mosse della propria ricostruzione dalla struttura del piano di ammortamento alla francese (che prevede che l’importo costante di ciascuna rata risulti composto da una quota capitale – via via crescente – ed una quota interessi – decrescente – determinata sulla base del tasso di interesse e delle condizioni indicate in contratto) ed ha evidenziato come la costruzione della rata preveda che gli interessi mensili, al tasso annuo concordato siano calcolati, per ogni singola rata sull’intero capitale residuo, comprensivo di quello in scadenza. Tanto premesso, la decisione n. 311/2021 del Collegio di Napoli evidenzia che, seppur il contratto preveda un piano di ammortamento alla francese, il modulo SECCI disciplina le restituzioni dovute dal ricorrente comprendendo “gli interessi e gli oneri maturati fino alla data del rimborso anticipato”. Il documento prosegue precisando che “In tal caso il Cliente avrà diritto al rimborso della quota di interessi e di oneri non ancora maturata; tale quota viene calcolata in proporzione al tempo che rimane dalla richiesta di estinzione e la scadenza naturale del contratto, dividendo ciascun importo massimo per il numero di quote previste dal finanziamento e moltiplicandolo per il numero di rate residue”. I Collegi territoriali hanno evidenziato che, dall’analisi letterale del periodo e dal contesto della sezione in cui esso è inserito (che tratta unitariamente le commissioni e gli interessi), può inferirsi che quando interviene la richiesta di rimborso anticipato, il calcolo delle restituzioni si uniforma secondo il metodo che determina l’importo degli interessi dovuti per ogni rata come costante nel tempo (cd. criterio proporzionale), sostituendosi al piano di ammortamento alla francese previsto originariamente per la naturale evoluzione del contratto. I Collegi territoriali hanno sottolineato che tale previsione relativa all’estinzione anticipata, a ben vedere, non si pone in contrasto con quella relativa al piano “alla francese” quale criterio di rimborso del finanziamento, in quanto il diverso criterio del calcolo lineare interverrebbe solo nell’ipotesi speciale di estinzione anticipata, prevalendo sul primo e così regolando sia le restituzioni dal Finanziatore al Cliente, sia quelle dal Cliente al Finanziatore. Pertanto, non solo l’interpretazione letterale ma, altresì, l’interpretazione complessiva e conservativa dell’atto (artt. 1363 e 1367 c.c.) indurrebbero a ritenere, in presenza di pattuizione dal tenore sopra esposto, applicabile il metodo di calcolo lineare all’estinzione anticipata di un finanziamento basato su un ammortamento alla francese. D’altronde, i requisiti di legittimità Collegi territoriali aderenti a tale impostazione interpretativa hanno evidenziato come la formulazione linguistica della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediariodisposizione contenuta nel modulo SECCI è tale da determinare una ambiguità che, ma anche i presupposti indipendentemente dal significato che ne legittimano la cancellazionealla norma vorrebbe attribuire l’intermediario, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione non potrebbe non comportare l’applicazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milanoprincipio contenuto nell’art. 35, decisione n. 8288/2014)comma 2, cod. Circa l’applicabilità dell’artcons. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore norma del quale “I diritti derivanti in caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore”. E’ indubbio che il meccanismo di imputazione utilizzato dal piano di ammortamento “alla Banca francese”, che non determina un maggior onere in termini di interessi per il debitore se il finanziamento si sviluppa lungo tutto l’arco temporale originariamente pattuito, si mostra più oneroso per il mutuatario in caso di estinzione anticipata del rapporto, poiché tale piano anticipa l’esazione degli interessi, consentendo al creditore di incassare rata per rata tutti i frutti maturati, non solo quelli generati dalla fideiussione restano integri fino quota di capitale in scadenza; pertanto, in applicazione dell’art. 35 comma 2, cod. cons., il punto 4 del modulo SECCI dovrebbe interpretarsi nel senso di ritenere applicabile il più vantaggioso criterio di rimborso pro rata temporis. Sulla base di tali argomentazioni, i Collegi territoriali si sono espressi nel senso di ritenere accoglibile la domanda del ricorrente che chiede il rimborso degli interessi corrispettivi non goduti secondo il criterio pro rata temporis, quando tale facoltà sia prevista nel modulo SECCI, anche nel caso in cui le condizioni contrattuali prevedano un piano di ammortamento alla francese quale modalità di rimborso del prestito. Il Collegio di Roma, che ha rimesso la questione de qua a totale estinzione questo Collegio, in numerosi precedenti ha esposto i propri dubbi sull’orientamento maggioritario assunto dagli altri Collegi territoriali (si vedano, ex multis, le Decisioni n. 12183/2021, n. 19787/2021 e n. 17976/2021), negando l’applicabilità del criterio lineare al rimborso degli interessi corrispettivi ed evidenziando alcuni aspetti critici rispetto agli effetti della sua applicazione. All’origine della impostazione contraria talvolta assunta dal Collegio rimettente, è stato evidenziato come il Collegio di coordinamento, con decisione n. 6167/2014, ha stabilito che “al di là di ogni suo credito verso più analitica considerazione circa l’esatta individuazione dei c.d. piani di ammortamento alla francese, denominazione che in realtà copre una tipologia variegata di metodologie di calcolo, ed anche al di là dei parimenti sofisticati trattamenti matematici che danno precisione al calcolo delle rate costanti, rimane che gli interessi corrispettivi sono necessariamente calcolati in riferimento al capitale residuo, pertanto l’effetto per cui seguendo detti piani, l’ammontare della quota di interessi rispetto alla quota di ammortamento del capitale prestato è decrescente, mentre la seconda è crescente, deriva dall’ovvio fatto che per mantenere la rata di ammortamento costante, l’ammontare degli interessi diminuisce necessariamente e quello della quota capitale relativamente si Sulla base di tale premessa fondamentale, il debitore Collegio rimettente ha ritenuto che la previsione contestata e il termine entro il quale agire per l’adempimentocontenuta nel modulo SECCI “vada interpretata secondo buona fede e ragionevolezza, tenendo conto anche delle altre previsioni di contratto, da cui non può che discendere l’infondatezza della pretesa della parte ricorrente, in deroga a quanto previsto coerenza, peraltro, con il principio imperativo e inderogabile statuito dall’art. 1957 125 sexies, comma 1, TUB secondo cui la riduzione del costo totale del credito è “pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”, con conseguente “abbuono” dei soli interessi che devono ancora maturare e non di quelli già maturati per un godimento del capitale già verificatosi”. In sintesi, si è osservato come l’oggetto della cessione del quinto riguarda il debito complessivo (comprensivo di sorte capitale, interessi, spese e imposte) dovuto dal cliente in relazione alla durata originaria del contratto, nella rappresentazione del conteggio iniziale normalmente allegato (come nel caso di specie) dal finanziatore in sede di erogazione del prestito. La natura stessa della cessione, pertanto, renderebbe inammissibile l’interpretazione della clausola del SECCI contestata che il ricorrente propone e che non troverebbe giustificazione nell’art. 125 sexies, co. 2 TUB. Infatti, il D.Lgs. 385/93 (TUB) dispone la facoltà incondizionata del consumatore di adempiere in via anticipata alle proprie obbligazioni “senza penalità e senza possibilità di patto contrario”, avendo egli diritto in tal caso “a un'equa riduzione del costo complessivo del credito”. Secondo la struttura del contratto di cessione, al cliente cedente/delegante viene erogata la somma ottenuta detraendo dall’importo finanziato i costi trattenuti in unica soluzione, ma non anche gli interessi che maturano ratione temporis in funzione del capitale che progressivamente si riduce per effetto dei pagamenti periodici previsti dal piano di rimborso in regime di ammortamento francese. La maturazione progressiva degli interessi, nella ricostruzione compiuta dal Collegio rimettente, potrebbe indurre a ritenere che la clausola contestata – quando si riferisce ai “costi da restituire” al cliente – debba intendersi riferita alle commissioni e alle spese ripetibili, in quanto pagate in anticipo mediante trattenuta in unica soluzione in sede di erogazione. Peraltro, l’interpretazione maggioritaria dei Collegi territoriali mal si concilierebbe con l’azione di ripetizione di indebito oggettivo (ex art. 2033 c.c.) laddove esercitata dal ricorrente, si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante visto che la sua ambigua formulazione, riduzione sancita dall’art.125-sexies Tub comporterebbe la restituzione a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare favore del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia cliente dei costi del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale finanziamento soggetti a maturazione nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussionetempo, che siano già stati pagati (in anticipo e in unica soluzione), ma non siano più dovuti perché afferenti al periodo di dilazione non usufruito. Viceversa, con riferimento agli interessi compensativi, la prematura estinzione del prestito non comporterebbe un obbligo di “restituzione” nel senso letterale del termine, bensì una deduzione dal “montante lordo” oggetto dell’accordo di cessione inter partes, di cui al conteggio rilasciato in sede di erogazione, che deve essere ridotto in misura equivalente all’importo degli interessi non ancora maturati, né tantomeno pagati. Pertanto, l’azione di ripetizione di indebito sarebbe improponibile per il cliente atteso che il presupposto del suo esercizio sarebbe rappresentato dall’antecedente fattuale del pagamento non dovuto e già compiuto dall’attore, e che rappresenterebbe il fatto costitutivo del diritto ad ottenerne la restituzione. E’ opportuno precisare che anche lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”)stesso Collegio rimettente ha più recentemente condiviso la linea interpretativa emersa come maggioritaria dagli altri Collegi territoriali, evidenziando – oltre alle motivazioni già rappresentate dagli altri interpreti – come la formulazione del modulo SECCI possa ritenersi sostanzialmente conforme al contenuto dell’art. Accertata la scadenza dell’obbligazione principale11, da individuarsi nella risoluzione comma 1, del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011sotto la rubrica «estinzione anticipata), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento quale il «cedente ha sempre facoltà di rimborsare anticipatamente il prestito, in tutto o in parte, avendo in tal caso diritto a una riduzione del costo totale del credito in misura pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto, secondo quanto i criteri e nella misura indicati nel punto 4 del modulo “informazioni europee di base sul credito al consumo» e sottolineando come la convergenza delle due norme induca a ritenere che “l’autonomia delle parti (qui, l’autonomia del predisponente) ben può prevedere, d’altra parte, criteri differenti per il calcolo degli interessi. Così come senz’altro avviene nel caso che qui concretamente si esamina: la stessa indicazione definitoria dell’ammortamento alla francese, che è contenuta nel modulo Secci, mostra del resto che questo criterio risulta nella specie riferito alla sola ipotesi della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto restituzione in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specierateale («ammortamento a scalare: modello di rimborso detto “alla francese”, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle che prevede per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.rata una quota capitale crescente e una quota
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DIRITTO. La questione ha oggetto di controversia riguarda l’assunto mancato pagamento dei premi di una polizza assicurativa per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire il ricorrente afferma di avere rilasciato autorizzazione permanente all’addebito in conto corrente all’intermediario convenuto. Attribuendo al mancato ottemperamento degli obblighi contrattuali da parte dell’intermediario la conseguente sospensione della polizza e la mancata attivazione della copertura assicurativa per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindiun sinistro successivamente subìto, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no chiede il riconoscimento di un importo pari al danno sofferto in occasione del dichiarato sinistro. In proposito, si rileva che agli atti non risulta allegato né il contratto di conto corrente, né l’accordo relativo al servizio di pagamento delle somme dovute dei premi assicurativi né la polizza assicurativa con le CGA; sono invece stati prodotti gli e/c del conto corrente n. *969, dai quali si ricava che: la rata addebitata in conto per l’importo di € 16,06 era relativa alla polizza indicata genericamente come “Poste Assicura”; la rata risulta addebitata mensilmente il giorno 10, sino al mese di maggio 2020 compreso; per la rata del mese di giugno 2020, primo pagamento non eseguito, il conto non presentava sufficiente provvista alla data del 10/06; la copertura era invece presente per i mesi successivi di luglio, agosto e settembre 2020, nei quali non sono stati tuttavia effettuati addebiti per l’importo di € 16,06, corrispondente al premio. Si evince, inoltre, che nel riscontro fornito in data 22.01.2021 dalla Compagnia assicurativa, questa individua la rata insoluta in quella del 9/6/2020 (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, per l’assenza di seguitoprovvista, come debitore sopra evidenziato) ed inoltre afferma di aver inviato un SMS di sollecito e una lettera che informava della sospensione della polizza, comunicazioni che il ricorrente sostiene di non avere ricevuto. Si sottolinea, altresì, che non sono presenti agli atti evidenze relative alla denuncia di sinistro, che il cliente dichiara di aver effettuato telefonicamente (non viene indicata la data ma solo il n. di riferimento: “in sofferenza2020.09PCA.244637”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente né alcuna prova in ordine al lamentato danno conseguente all’assunto sinistro. Stante l’assenza di qualunque evidenza documentale idonea a supportare l’affermazione circa la responsabilità dell’intermediario in ordine alla sospensione della polizza assicurativa ed al conseguente mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette rimborso del danno derivante dal dichiarato sinistro, danno peraltro a recuperare il creditosua volta indimostrato, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cdomanda deve essere respinta., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La controversia verte sulla ormai nota questione ha del mancato rimborso da parte dell’intermediario dell’importo della quota non maturata «dei costi dovuti per oggetto l’assunta illegittimità la vita residua del contratto» e già corrisposti in occasione della perdurante segnalazione in Centrale Rischi stipulazione di un contratto di finanziamento contro cessione del nominativo del ricorrentequinto dello stipendio/pensione o con delegazione di pagamento, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio a seguito dell’estinzione anticipata dello stesso ai sensi dell’art. 1957 c.c125-sexies tub. Per accertare se Preliminare è la questione della legittimazione passiva, atteso che nel caso di specie l’originario contratto, stipulato con un mandatario di un intermediario poi incorporato dall’odierno Intermediario B, è stato prima dell’estinzione anticipata ceduto mediante una operazione di cartolarizzazione ad una SPV, la quale ha delegato in esame l’obbligo qualità di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, servicer l’odierno Intermediario A. Sul punto occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare rilevare che, in relazione seguito alla Circolare della Banca d’Italia riforma del Titolo V del Tub (disposta dal d. lgs. n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -141 del 2010), in varie occasioni i soggetti cessionari di credito, vale a dire le SVP, non sono più qualificati come intermediari finanziari, pertanto l’eventuale richiesta di ripetizione delle commissioni ed oneri non goduti presentata a questo Arbitro - dovrebbe essere dichiarata inammissibile qualora si ritenesse come unico legittimato passivo la SVP in linea con la giurisprudenza civile ed qualità di cessionario. In tal senso si è recentemente pronunciato il Collegio di Coordinamento coordinamento di questo Arbitro, il quale ha affermato che “l’indebito (cfre la conseguente obbligazione restitutoria) sorge nel momento dell’estinzione del finanziamento, quando il mutuatario corrisponde l’intero importo previsto dal conteggio estintivo. decisione n. 3089/2012) - In questo momento, infatti, il soggetto finanziato, in base al disposto dell’art. 125-sexies – secondo cui, in caso di rimborso anticipato, «il consumatore ha evidenziato diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto» –, dovrebbe corrispondere non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediariogià le somme richieste dal finanziatore, ma anche i presupposti l’importo calcolato al netto dei costi c.d. recurring. Pagando l’importo più elevato che ne legittimano ricomprende tali costi, in realtà non dovuti, determina l’insorgenza dell’indebito e la cancellazionenascita, precisando in quel momento, del credito restitutorio. Non possono pertanto sussistere dubbi in ordine alla circostanza che obbligato alla restituzione sia il soggetto che riceve tale pagamento, il quale sarà, come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere tale, l’unico legittimato passivo all’esercizio della pretesa restitutoria. Se dunque è la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno SPV a ricevere il rapporto garantito’pagamento, legittimata passiva all’azione è esclusivamente quest’ultima. E poiché essa è soggetto non sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, nei suoi confronti non può essere proposto ricorso innanzi all’ABF” (Collegio di Milano, decisione Abf – Coll. Coord. n. 8288/20146861 del 27 marzo 2018). Circa l’applicabilità dell’artTuttavia, quest’ultima pronuncia ha altresì affermato che qualora il ricorso volto ad ottenere la ripetizione degli oneri non goduti venga proposto nei confronti del servicer, questo – pur rivestendo una posizione differente rispetto a quella dell’SPV – in qualità di soggetto coinvolto nel sistema ABF è tenuto ad effettuare i dovuti rimborsi. 1957 c.c. al caso in esameCiò posto, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità si deve affermare l’inammissibilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoricorso nei confronti dell’SPV, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c.soggetto non sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, si stabilisce il rigetto nei confronti dell’intermediario B, in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabilequanto soggetto che ha ceduto il credito prima dell’estinzione del finanziamento, mentre con riguardo all’intermediario A, stante la sua ambigua formulazionelegittimazione passiva, a quella cheil ricorso è meritevole di parziale accoglimento secondo i termini e per le ragioni di seguito precisati. Secondo il consolidato orientamento di questo Arbitro (cfr., secondo il prevalente orientamento della Cassazioneex multis, esclude l’operare Abf – Coll. Roma n. 3978 del termine 15 maggio 2015; e Coll. Coord. n. 6167 del 22 settembre 2014), nel caso di decadenza stabilito dalla norma codicistica estinzione anticipata del finanziamento, deve essere rimborsata la quota delle commissioni e di costi assicurativi non maturati nel tempo, ritenendo contrarie alla normativa di riferimento le condizioni contrattuali che stabiliscano la non ripetibilità tout court delle commissioni e dei costi applicati al contratto nel caso di estinzione anticipata dello stesso (cfr. CassAccordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008; Comunicazione della Banca d’Italia 10 novembre 2009; e art. 49 del Regolamento ISVAP n. 35/2010; cui sono seguiti l’art. 125-sexies tub, introdotto dal d. lgs. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui 141/2010; e la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditoreComunicazione della Banca d’Italia 7 aprile 2011). Ciò posto, il Collegio richiama il proprio costante e consolidato orientamento secondo il quale, dopo in caso di estinzione anticipata del prestito contro cessione del quinto della retribuzione/pensione o con delegazione di pagamento: (a) sono rimborsabili, per la scadenza dell’obbligazione principaleparte non maturata, voglia conservare la garanzia le commissioni bancarie (comunque denominate) così come le commissioni di intermediazione e le spese di incasso quote; (b) in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (c) l’importo da rimborsare viene stabilito secondo un criterio proporzionale ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; (d) l’intermediario è tenuto al rimborso a favore del fideiussorecliente di tutte le suddette voci, l’onere di proporre le sue istanze contro incluso il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile premio assicurativo (come infatti risulta previsto al già ricordato artv. Abf – Coll. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”Coord. n. 6167/2014 cit.). Accertata In particolare, per quanto riguarda il rimborso delle quote non godute del premio assicurativo, posta la scadenza dell’obbligazione principalelegittimazione passiva dell’intermediario, da individuarsi nella risoluzione in ragione dell’accessorietà del contratto di assicurazione rispetto a quello di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011cfr. Abf – Coll. Coord. n. 6167/2014 cit.), da deve affermarsi l’obbligo dell’intermediario resistente di provvedere al rimborso delle quote in parola. In applicazione dei menzionati criteri, la somma che l’intermediario A è obbligato a restituire dev’essere così determinata: rate pagate 50 rate residue 70 Importi Metodo pro quota Metodo contrattuale Rimborsi già effettuati Residuo Commissioni finanziarie 855,00 498,75 582,50 -83,75 Commissioni di intermediazione 2.565,00 1.496,25 1.496,25 Oneri assicurativi 598,16 348,93 348,93 Totale 1.761,43 In virtù del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), tuttavia, la domanda può essere accolta nei soli limiti del petitum. La domanda di ripetizione di n. 2 quote erroneamente considerate come insolute deve invece essere rigettata, atteso che il ricorrente, su cui è conseguita grava per orientamento consolidato di questo Arbitro il relativo onere della prova, ha omesso di fornire prova del doppio pagamento. Non può invece accogliersi la costituzione domanda di condanna al pagamento di spese di assistenza professionale, considerato che: (i) le “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in mora materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” che regolano il presente procedimento non contemplano alcuna espressa previsione al riguardo, considerata la natura alternativa del debitore procedimento instaurabile – e di norma instaurato – senza il ministero di un difensore; (ii) le spese di assistenza professionale non hanno carattere di accessorietà rispetto alla domanda principale e del garante (il 28.07.2011) e, conseguentemente, non sono automaticamente rimborsabili nel caso di seguito, la segnalazione “a sofferenza” accoglimento della medesima (cfr. Abf – Coll. Coord. n. 4618 del nominativo 19 maggio 2016); (iii) al fine di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”)un loro eventuale riconoscimento, occorre valutare il comportamento verificare la funzionalità dell’intervento del creditore professionista coinvolto ai fini della decisione; (iv) infine, l’orientamento consolidato di quest’Arbitro in subiecta materia e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza agevole conoscibilità non paiono rendere indispensabile l’assistenza di evitare che un professionista per la posizione mera richiesta di rimborso di oneri pagati e non goduti in relazione a contratti di cessione del garante resti sospesa sine die quinto dello stipendio, o rimborsabili mediante delegazione di pagamento (così, da ultimo, Casscfr. Abf – Coll. Roma. n. 1724/201611244 del 21 dicembre 2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi controversia sottoposta all’esame del nominativo Collegio verte sulla non corretta determinazione del TAEG lamentata dal ricorrente, stante l’asserito venir meno in ragione della mancata inclusione nel costo complessivo del suo obbligo fideiussorio finanziamento delle polizze assicurative sottoscritte dal ricorrente unitamente al contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente. Come noto, il vigente art. 121 TUB prevede che “Nel costo totale del credito sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte”. In senso conforme anche le Disposizioni in materia di Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari per la rilevazione del TAEG: “Nel TAEG sono inclusi i costi, di cui il finanziatore è a conoscenza, relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito e obbligatori per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni offerte” (Sez. VII, par. 4.2.4). Nel caso ora in esame, il contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente nel maggio 2011 – e cui trovano applicazione le previsioni normative sopra richiamate – qualifica espressamente le polizze assicurative sottoscritte dal ricorrente come facoltative. Al riguardo, come segnalato anche dall’ordinanza di rimessione, è ormai acquisita e condivisa dai Collegi territoriali la considerazione per cui l’espressa qualificazione come facoltativa della polizza (o delle polizze) assicurativa(e) sottoscritta(e) dal cliente non è di per sé sola sufficiente e decisiva per considerare la polizza (o le polizze) facoltativa(e) anche ai sensi dell’arte per gli effetti di cui all’art. 1957 c.c121 TUB (cfr. Per accertare se nel caso tra le molte Collegio di Roma, decisioni n. 8128/2015; n. 735/2016; n. 8009/2016; Collegio di Napoli, decisioni n. 6797/2016; n. 7811/2016). Le conclusioni raggiunte dai Collegi territoriali poggiano sulla ritenuta – e qui condivisa – inadeguatezza del solo dato formale per una valutazione (e una conseguente qualificazione) in esame l’obbligo termini di segnalazione facoltatività della polizza assicurativa ai fini di cui all’art. 121 TUB. In tal senso depongono chiaramente anche i risultati delle indagini condotte da IVASS e Banca d’Italia e illustrati nella lettera congiunta al mercato del 26 agosto 2015, che confermano l’inadeguatezza e l’insufficienza del mero dato formale: “Dalle risultanze degli accertamenti ispettivi autonomamente condotti nei rispettivi ambiti di competenza dall’IVASS e dalla Banca d’Italia sono emersi casi in Centrale cui l’erogazione del prestito è risultata sistematicamente abbinata alla sottoscrizione di una polizza di assicurazione nonostante la natura facoltativa di quest’ultima. Alcuni indici di ‘penetrazione assicurativa’ rilevati, risultati anche superiori all’80%, possono essere sintomatici del carattere sostanzialmente vincolato delle polizze”. Nella stessa lettera congiunta si dà, inoltre, atto delle indagini di mistery shopping svolte da alcune Associazioni dei consumatori “presso sportelli bancari, dalle quali è emerso che in una percentuale Ragionare in senso contrario, dando esclusivo rilievo al mero dato formale e riconoscendo, pertanto, la natura facoltativa della polizza assicurativa in ragione della sua sola qualificazione negoziale, comporta, all’evidenza, la possibilità di ridurre sensibilmente, fino ad escluderla, la portata precettiva della normativa di riferimento (art. 121 TUB; nonché, seppur in una diversa prospettiva, art. 28, d.l. n. 1/2012), pregiudicando, di fatto, quel “livello elevato (…) di tutela” degli interessi dei “consumatori della Comunità” cui il legislatore nazionale è chiamato dalla normativa comunitaria (cfr. il considerando n. 9, Direttiva2008/48/CE) e nella cui direzione si muovono anche gli auspici di IVASS e Banca d’Italia per la definizione da parte degli intermediari di “modalità e tempi di offerta atti a evitare condizionamenti nella negoziazione del finanziamento” (v. la già citata lettera congiunta del 26 agosto 2015). Come confermato anche dai risultati degli accertamenti compiuti dalle Autorità di ▇▇▇▇▇▇ sia cessato ▇▇▇▇, il ricorso al solo criterio formale determinerebbe, infatti, un elevato rischio di falsi negativi, connesso alla qualificazione come facoltative di polizze assicurative, in realtà, obbligatorie, con conseguente esclusione del relativo costo dal computo del TAEG. Ciò premesso, appare, pertanto, decisivo chiarire in quali circostanze e a quali condizioni la polizza assicurativa collegata ad un contratto di finanziamento possa essere considerata obbligatoria ai sensi dell’art. 121 TUB, anche contrariamente a quanto indicato dalle parti (recte, dal finanziatore) nella documentazione contrattuale. Se la chiara e formale indicazione della natura facoltativa della polizza per estinzione dell’obbligazione la concessione del garantefinanziamento appare, infatti, in assenza di altrettanto chiari e formali indici contrari, difficilmente superabile e tale da non consentire di qualificare la polizza assicurativa come affermato dal ricorrenteobbligatoria “per ottenere il credito”, oa differenti conclusioni può e deve giungersi, viceversainvece, permangacon riferimento alla possibilità di considerare la polizza obbligatoria (non per la mera volontà del finanziatore, come sostenuto dalla parte resistente ma) per ottenere il finanziamento “alle condizioni offerte”. Mentre nel primo caso, l’obbligatorietà della polizza assicurativa è riconducibile alla mera volontà (alla richiesta) del finanziatore che trova naturale espressione nella documentazione contrattuale, quale indice rivelatore, appunto, della natura attribuita al “servizio accessorio” difficilmente superabile; nel secondo caso, invece, essa appare connessa (anche) alla idoneità e capacità della stessa polizza di incidere sulle “condizioni [del credito] offerte”, in considerazione ragione delle quali il finanziatore può richiederne la relativa stipulazione, potendosi, pertanto, prospettare una differente soluzione qualora tali caratteristiche e condizioni della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una polizza emergano in maniera precisa e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussioneoggettiva. In prospettiva generaletermini generali, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata stipulazione di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione polizza assicurativa può incidere sulle condizioni del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, a seconda dei casi, anche sulla sua stessa conclusione) ogni qual volta sia idonea ad incidere ex ante – eliminandolo o riducendolo – sul rischio di seguito, la segnalazione “a sofferenza” solvibilità del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguitocliente sopportato dal finanziatore; rischio che, come debitore “noto, costituisce uno dei principali fattori in sofferenza”), occorre valutare il comportamento base ai quali lo stesso finanziatore compie normalmente la valutazione sul merito creditizio del creditore cliente (art. 124-bis TUB) e cioè se nei 36 mesi successivi definisce al giugno 2011 abbia, come dispone l’artcontempo le condizioni del credito. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza Tale capacità/idoneità è espressamente riconosciuta dal legislatore nell’ambito dell’erogazione di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die prestiti o mutui rimborsabili mediante cessione di quote dello stipendio o della pensione (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 art. 54 d.P.R. n. 180/1950, sono obbligatoriamente assistiti da una copertura assicurativa: “Le cessioni di quote di stipendio o di salario consentite a norma del presente titolo devono avere la garanzia dell'assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego od altre malleverie che ne assicurino il ricupero nei casi in cui per cessazione o riduzione di stipendio o salario o per liquidazione di un trattamento di quiescenza insufficiente non sia possibile la continuazione dell'ammortamento o il ricupero del residuo credito”), sia alla assicurazione “sulla vita dell’assicuratore/debitore prestata in funzione dell’erogazione dei prestiti o mutui” (v. art. 10, Reg. ISVAP n. 29/2009), sia alla assicurazione stipulata “dal debitore/assicurato per garantirsi dell’impossibilità di adempiere all’obbligazione di pagamento a favore dell’ente finanziatore a causa della perdita dell’impiego, con conseguente cessazione dell’erogazione dello stipendio” (v. art. 14, Reg. ISVAP, n. 29/2009). Nelle ipotesi ora richiamate, il legislatore prende atto della funzione delle polizze assicurative che, oltre a garantire in via immediata il bisogno o l’interesse dell’assicurato quale beneficiario della polizza (artt. 1882, 1904 c.c.), estinta tutelano – in via mediata riducendo o eliminando gli effetti (patrimoniali) negativi degli eventi e dei sinistri dedotti in polizza (i.e., la morte e la perdita di impiego) – anche l’interesse del finanziatore alla conservazione della originaria situazione patrimoniale e finanziaria del cliente presente al momento della concessione del finanziamento, alla luce della quale l’intermediario ha: i) effettuato le proprie valutazioni sul merito creditizio del cliente e, pertanto, non per quanto qui più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.rileva,
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità Ai fini dell’individuazione della perdurante segnalazione in Centrale Rischi corretta composizione del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio Collegio ai sensi dell’art. 1957 c.c4, sez. Per accertare se nel caso III, del “Regolamento per il funzionamento dell’Organo decidente dell’ABF” si evidenzia che i ricorrenti in esame l’obbligo sede di segnalazione in Centrale ricorso, si identificano come tipologia di clienti “consumatore”. Occorre considerare che - la fideiussione prestata dagli stessi risulta a favore di una s.r.l.; - la ragione alla base della prestazione di tale garanzia sembra fondata, nella narrativa dei ricorrenti, non tanto sulla qualità di soci di tale s.r.l., quanto sul rapporto affettivo che legava gli stessi al padre, titolare dell’azienda di cui la suddetta s.r.l. era proprietaria: In proposito il Collegio di ▇▇▇▇▇▇ sia cessato ▇▇▇▇▇▇▇▇, nella decisione n. 5368/2016 ha stabilito che “nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per estinzione dell’obbligazione scopi di natura privata”. Nella fattispecie esaminata, il Collegio ha rilevato che “non risultano agli atti elementi tali da indurre a contestare l’esposizione del garante, come affermato dal ricorrente, oche come anticipato si è autoqualificato come “consumatore”. Non emerge il possesso al momento del rilascio della garanzia di una partecipazione non trascurabile al capitale della società, viceversaoppure l’assunzione di cariche sociali. Al contrario, permangala natura di cooperativa edilizia della società garantita e le finalità stesse della garanzia (agevolare la concessione di un finanziamento alla società per la realizzazione degli immobili programmati) lascia ipotizzare che il garante non sia stato mosso esclusivamente da favor societatis ma anche dall’interesse mutualistico a diventare proprietario di un immobile. Più di recente, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento ha ribadito tali principi (decisione n. 14555/20), richiamando il proprio precedente del 2016 e l’ordinanza della Corte di Giustizia UE del 19 novembre 2015 nella causa C-74/15. Si segnala al riguardo anche il recente intervento della Suprema Corte (ord. 742/2020) che ha considerato consumatore “il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (a anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità non inerenti allo svolgimento di tale attività, bensì estranee alla stessa, nel senso che si tratti di atto non espressivo di questa, né strettamente funzionale al suo svolgimento (c.d. atti strumentali in senso proprio)”. Può dunque concludersi per la competenza del Collegio in composizione non consumatori. Ciò premesso, i ricorrenti chiedono che venga accertata la non debenza dell’importo richiesto loro dalla banca resistente in virtù di una garanzia fideiussoria prestata dagli stessi per un debito della C* s.r.l. di cui erano soci. In particolare, lamentano l’illegittimità di tale richiesta in quanto successiva al loro recesso dalla fideiussione prestata e risultato di una sostanziale concessione abusiva del credito nei confronti della medesima s.r.l. A supporto di ciò producono la raccomandata a/r di recesso dalla fideiussione del 22.10.2019 (di cui manca tuttavia la ricevuta di ritorno della missiva); la comunicazione del 03.01.2021 ricevuta dalla banca e contenente il rendiconto al 31.12.2010; la lettera di riscontro al recesso da parte della banca resistente; ulteriori comunicazioni inviate alla banca in data 16.02.2021 e 20.02.2021; comunicazione inviata dalla banca alla debitrice s.r.l. del 13.11.2019. L’intermediario eccepisce che l’importo richiesto ai ricorrenti è esatto, poiché calcolato (nonostante il soddisfacimento in linea capitale) sugli interessi, spese e commissioni rimasti insoluti alla data di efficacia del recesso, che, secondo quanto emergente in atti, sarebbe la data del 23.11.2019 (dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di recesso, avvenuta il 13.11.2019). Produce a tal fine copia della fideiussione rilasciata in data 09.01.2019 (in particolare art. 3) e il riscontro al recesso inviato tramite raccomandata ricevuta in data 27.11.2019, nonché estratti conto scalare per il periodo intercorrente tra il 31.03.2020 e il 31.12.2021. Orbene, secondo l’orientamento dell’Arbitro, il recesso dalla garanzia fideiussoria non ha l’effetto di estinguere la garanzia, ma solo di circoscriverne l’importo al debito esistente alla data di efficacia del recesso (cfr. Collegio di Roma, decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione 428 del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (10.01.2019; Collegio di Milano, decisione n. 8288/20142773 del 29.01.2019; Collegio di Roma, decisione n. 7290 del 05.04.2018). Circa l’applicabilità dell’artLa domanda dei ricorrenti va dunque accolta nel limitato senso per cui la garanzia deve essere circoscritta all’importo del debito esistente alla data predetta: ad avviso della Banca, la pretesa riguarderebbe unicamente somme dovute a titolo di interessi, ma la Banca non ha dimostrato quali fossero e come fossero stati computati. 1957 Gli estratti conto (primo trimestre successivo) non consentono di individuare con chiarezza quale fosse il debito per interessi al momento del recesso, il che rientrava negli oneri probatori dell’intermediario, giusta la ripartizione di cui all’art. 2697 c.c. al caso in esameL’intermediario non ha dunque fornito prova sufficiente della consistenza del debito ulteriore rispetto all’esposizione capitale, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazionemodo che deve ritenersi che nulla sia, a quella chetale titolo, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento dovuto da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cricorrente., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Fideicommissary Agreement
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale In ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇, ▇▇ sia cessato esaminata l’eccezione di improcedibilità del ricorso formulata dall’intermediario resistente sulla base dell’asserito carattere costitutivo della pronuncia richiesta all’ABF. Sul punto, il Collegio osserva che, nel procedimento davanti all’ABF, le parti possono fare a meno di avvalersi dalla difesa tecnica e che la conseguente possibilità per estinzione dell’obbligazione le parti di elaborare personalmente la formula delle proprie domande e allegazioni giustifica un’interpretazione non strettamente letterale e formale di queste ultime, anche in ossequio ad una esigenza di conservazione della domanda. Ciò premesso, il Collegio ritiene che il ricorso in esame, indipendentemente dalle espressioni letterali usate, possa essere legittimamente qualificato come volto ad ottenere dall’Arbitro l’accertamento del garantediritto della ricorrente all’applicazione della richiamata normativa -Accordo per il Credito 2013-, anche considerato che una domanda di accertamento sarebbe sempre implicita in una domanda, pur vietata, di pronuncia costitutiva. Ritiene pertanto infondata la predetta eccezione di improcedibilità. Nel merito, il Collegio osserva che la controversia trae origine dall’emanazione del D.L. n. 78/2009, convertito con modificazioni nella L. n. 102/2009, il cui art. 5, c. 3-quater, prevedeva che “al fine di sostenere le piccole e medie imprese in difficoltà finanziaria, il Ministro dell’economia e delle finanze” fosse autorizzato a “stipulare (…) un’apposita convenzione con l’Associazione bancaria italiana per favorire l’adesione degli istituti di credito a pratiche finalizzate alla attenuazione degli oneri finanziari sulle citate piccole e medie imprese, anche in relazione ai tempi di pagamento degli importi dovuti tenendo conto delle specifiche caratteristiche dei soggetti coinvolti”. A tale provvedimento seguiva la stipula della convenzione con l’ABI, denominata “Accordo per il credito 2013” in cui si prevedeva che potessero accedere ai benefici ivi definiti tutte le PMI che, “al momento di presentazione della domanda” possedessero determinati requisiti e “con una temporanea tensione finanziaria generata dalla congiuntura economica”. Sotto il profilo delle modalità di svolgimento dell’istruttoria sulle domande, l’Accordo precisava che le Banche aderenti avrebbero dovuto attuare un esame “su base individuale (…) senza alcuna forma di automatismo nella concessione del credito o realizzazione dell’intervento” e che “nell’effettuare l’istruttoria” si sarebbero attenute “ai principi di sana e prudente gestione, nel rispetto delle proprie procedure e ferma restando la loro autonoma valutazione”, impegnandosi “a fornire una risposta di norma entro 30 giorni lavorativi dalla presentazione della domanda o delle informazioni aggiuntive eventualmente richieste dalla banca” (così il par. 4), principi, questi ultimi, ribaditi dall’ABI nella propria Circolare di chiarimento del 03/07/2013. Tale disciplina, secondo un orientamento consolidato (e condiviso dal Collegio) di questo Arbitro, rimettendo la decisione sull’applicazione del beneficio alla decisione discrezionale della banca improntata al rispetto del principio di sana e prudente gestione, esclude, con evidenza, un diritto soggettivo del cliente di ottenere i benefici previsti dall’Accordo (cfr. Coll. Milano n. 872/2015; n. 369/2011; Coll. Centro n. 6673/2013; Coll. Sud n. 1710/2012). In particolare, “non può ritenersi sussistente alcuna obbligazione di contrarre a carico delle banche aderenti, le quali sono libere di valutare il merito creditizio di ciascuna impresa richiedente” (cfr. Coll. Centro n. 5222/2014; n. 819/2013). Ciò non di meno, riconosciuta, anche nel caso di specie, l’autonomia della banca nel valutare l’accoglimento della domanda formulata dal cliente ai sensi del suddetto Accordo, va comunque osservato che la stessa disciplina in esame obbliga la banca a dare tempestiva risposta al cliente (entro 30 giorni lavorativi dalla domanda) sulla decisione assunta in merito alla domanda ricevuta. Tale risposta deve essere debitamente motivata, nel rispetto dei generali doveri di correttezza e buona fede che le incombono nei rapporti con il cliente ed in particolare nel caso di decisioni connotate da discrezionalità (v. Coll. Milano n. 872/2015; Coll. Napoli n. 5222/2014; Coll. Roma n. 5913/2013) Ciò premesso, nel caso de quo, il Collegio rileva che tale obbligo di tempestivo riscontro e di adeguata informazione alla cliente non è stato assolto dall’intermediario dal momento che, come affermato dal ricorrentedalla ricorrente e non contestato dall’intermediario resistente, oalla prima richiesta di accesso alla moratoria non è stata fornita risposta alcuna fino al momento della proposizione di un primo reclamo, viceversamentre la seconda richiesta è rimasta del tutto priva di riscontro fino all’instaurazione del presente procedimento. Né tali doveri possono dirsi validamente adempiuti dall’intermediario con le risposte e le motivazioni fornite nell’ambito delle controdeduzioni presentate nel presente procedimento. Pertanto, permangaferma restando l’impossibilità di accogliere il ricorso per l’esclusione di ogni automatismo nella concessione dei benefici collegati al predetto Accordo e la riconosciuta autonomia riservata alla banca in tali decisioni, come sostenuto dalla parte il Collegio reputa opportuno invitare l’intermediario resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare chefornire ai propri clienti, in relazione alla Circolare casi consimili, un’informativa adeguata e tempestiva circa le ragioni della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -decisione, Sez. 2mediante risposte motivate, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio soprattutto se relative a decisioni di Coordinamento diniego fondate su valutazioni discrezionali (cfr. decisione Coll. Nord, n. 3089/2012) 872/2015), e - ha evidenziato non solo i requisiti al pari di legittimità quel che accade nei casi di c.d. diniego di credito - “indicazioni, anche se di carattere generale (in quanto applicazione di criteri elaborati per la generalità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioclientela), ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’pur sempre adeguatamente rapportate alle concrete circostanze individuali” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. CassColl. Coord. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”6182/2013). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Mutuo
DIRITTO. La questione L’intermediario ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi sollevato eccezione di improcedibilità del nominativo del ricorrentericorso, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artnon rivestendo più la qualifica di intermediario finanziario. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ Deve, tuttavia, rilevarsi come l’intermediario sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali stato cancellato dall’albo di cui al TUB in data 23/10/2017, quindi successivamente alla costituzione presentazione del ricorso avvenuta il 24/05/2017. Il Collegio, nel richiamare sul punto la consolidata giurisprudenza dell’Arbitro, secondo cui la legittimazione passiva si radica al momento della fideiussione. In prospettiva generaleproposizione del ricorso (tra le altre, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di MilanoRoma, decisione n. 8288/201412988/2017), ritiene che l’eccezione non possa essere accolta. Venendo al merito del ricorso, il Collegio richiama il proprio costante orientamento secondo il quale, in caso di estinzione anticipata del prestito contro cessione del quinto della retribuzione: (a) sono, in principio, rimborsabili, per la parte non maturata, le commissioni bancarie (comunque denominate), così come le commissioni di intermediazione e le spese di incasso quote; (b) in assenza di una chiara ripartizione, nel contratto, tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione, al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (c) l’importo da rimborsare è stabilito secondo un criterio proporzionale, ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; (d) l’intermediario è tenuto al rimborso a favore del cliente di tutte le suddette voci, incluso il premio assicurativo (v. Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014). Circa l’applicabilità dell’artDalla disamina delle domande avanzate e alla stregua della documentazione in atti deve senz’altro affermarsi la natura recurring delle commissioni bancaria come delle commissioni di intermediazione; ciò emerge chiaramente dalla descrizione – sia pure sintetica e non già analiticamente dedicata a ciascuna voce commissionale, il che pure invera una opacità della relativa clausola negoziale – dei costi di cui le stesse sono state poste a copertura (tra cui quelli di “acquisizione provvista”), oltre che delle attività di cui dichiaratamente fungono corrispettivo, tra le quali “tutte le prestazioni e le attività preliminari, conclusive e successive indispensabili per il perfezionamento e l’esecuzione del contratto”. 1957 c.c. Con specifico riguardo, poi, alle commissioni bancarie, non ha pregio l’eccepito difetto di legittimazione passiva dell’intermediario; ciò, stante il chiaro orientamento interpretativo dell’Arbitro che ha al caso riguardo – ed in esamesenso contrario alla sollevata eccezione - richiamato il principio dell’apparenza allorché, pare come nella specie, “il conteggio estintivo sia stato In ordine, infine, alla eccepita non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoretrocedibilità degli oneri assicurativi, in deroga a quanto previsto dall’artforza della previsione contenuta nella legge 212/2012, il Collegio ritiene di aderire pienamente all’indirizzo esplicitato, in precedenti in termini, da più Collegi territoriali, secondo cui detta disciplina, “pur estendendosi espressamente ai contratti «commercializzati precedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione» (art. 1957 c.c.22, si stabilisce comma 15-septies, D.L. 179/2012, conv. in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”L. 221/2012) configura infatti una fattispecie non assimilabilepuò trovare vigenza per quei contratti che alla data indicata risultavano già estinti: la data di entrata in vigore della nuova norma è il 19 dicembre 2012 (art. 1, comma 3, L. 221/2012) mentre il contratto oggetto di lite è stato estinto il 16 novembre 2011. In linea, dunque, con il richiamato orientamento e tenuto conto delle posizioni condivise dai Collegi territoriali, rilevata altresì la natura recurring degli oneri assicurativi, il Collegio ritiene che le richieste del cliente meritino di essere parzialmente accolte, secondo il prospetto che segue: rate pagate 100 rate residue 20 Importi Metodo pro quota Rimborsi già effettuati Residuo Commissioni bancarie 580,71 96,79 96,79 Commissioni di intermediazione 4.947,90 824,65 33,00 791,65 Rimborso premi assicurativi rischio vita 634,47 105,75 105,75 Rimborso premi assicurativi rischio di impiego 571,15 95,19 95,19 Non accoglibile è, infine, la domanda volta ad ottenere il ristoro delle spese legali, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare serialità del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.cricorso., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha Oggetto del presente procedimento è la richiesta di riduzione del costo totale del finanziamento anticipatamente estinto mediante rimborso dei costi ivi applicati, in base al combinato disposto degli artt. 121, comma 1, lett. e) D.Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario – T.U.B.), che indica la nozione di costo totale del credito, e 125 sexies T.U.B., che impone una riduzione del costo totale del credito pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi la vita residua del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussionecontratto. In prospettiva generalebase all’orientamento finora consolidato dell’ABF (per tutte, occorre inoltre ricordare chedecisione del Collegio di Coordinamento n. 6167/2014), in relazione anche e soprattutto alla Circolare luce della disciplina sub primaria della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato le Disposizioni sulla trasparenza e le Indicazioni della Vigilanza del 2009, 2011 e 2018, nonché le Comunicazioni Banca d’Italia del 2009 e 2011), nel caso di estinzione anticipata del finanziamento doveva essere rimborsata al mutuatario la quota di commissioni e costi assicurativi non solo i requisiti maturati nel tempo, distinguendo fra oneri in corrispettivo di legittimità prestazioni compiute nella fase delle trattative e della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione conclusione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011commissioni up front), da cui è conseguita la costituzione in mora ritenuti non ripetibili, e oneri che maturano nel corso dell’intera durata del debitore principale e del garante rapporto negoziale (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011commissioni recurring), rimborsabili in proporzione alle rate residue non maturate del finanziamento (cd. criterio pro rata temporis: l’importo da restituire si ottiene dividendo l’importo della commissione per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno numero totale delle rate del finanziamento e se, quindi, moltiplicando il ricorrente sia ancora obbligato oppure no risultato per il numero di rate residue al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016momento dell’estinzione anticipata). In tale otticaogni caso, l’osservanza qualora la clausola contrattuale che disciplina la singola commissione non sia chiara ed univoca nell’individuarne la natura up front o recurring, o sia del suddetto onere esigetutto assente in contratto, secondo il costante orientamento in applicazione degli artt. 1370 c.c. e 35, comma 2, cod. cons. l’intero importo della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto commissione deve essere preso in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento considerazione per la quantificazione della pretesa creditricequota da rimborsare. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla All’esito di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, procedimento avviato ai sensi dell’art. 1957 c.c.267 TFUE al fine di ottenere la esatta interpretazione dell’art.16, estinta par. 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori, che ha abrogato la direttiva 87/102 CEE del Consiglio e, pertantoin particolare, al fine di chiarire se tale disposizione, nel prevedere che “Il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, includa o meno tutti costi del credito, compresi quelli non più giustificata dipendenti dalla durata del rapporto, la segnalazione Corte di Giustizia Europea, con decisione emessa in data 11/09/2019 in causa C-383/18, ha statuito che ai sensi dell’art. 16 della Direttiva “il diritto del suo nominativo consumatore alla riduzione del costo totale del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. Il Collegio di Coordinamento di questo Arbitro, investito della questione relativa agli effetti del citato provvedimento, con decisione n. 26525/2019 ha enunciato i seguenti principi di diritto: “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art. 125 sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in Centrale Rischicaso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front. Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una diversa previsione pattizia, che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF. La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda. Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring. Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Inoltre, con argomentazione cui questo Collegio aderisce, il Collegio di Coordinamento ha ritenuto che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile debba essere analogo a quello che le parti avevano previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Alla luce di tutto quanto sopra, nel caso di specie, considerato che la commissione mandataria per il perfezionamento del prestito e le provvigioni per l’intermediario intervenuto hanno natura up front poiché remunerano attività solo preliminari, mentre la commissione mandataria per la gestione del prestito ha natura recurring ma è stata abbuonata nel conteggio estintivo, il resistente è tenuto, in base al criterio previsto per la riduzione degli interessi corrispettivi, al pagamento delle seguenti somme: rate complessi ve 1 20 rate scadute 49 Import i Natu ra Rimborsi dovuti Rimb orsi già effett uati Residuo rate residue 71 TAN 4,77 % Denominazione % rapportata al TAN 37,4 1% Commissione mandataria perfezionamento prestito 685,26 € Up front 256,36 € 256,36 € Commissioni intermediario del credito 3.499, 20 € Up front 1.309,05 € 1.309,05 € oltre interessi legali maturati dalla data del reclamo.
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DIRITTO. La controversia sottoposta all’esame del Collegio verte sulla ormai nota questione ha per oggetto l’assunta illegittimità del mancato rimborso da parte dell’intermediario dell’importo della perdurante segnalazione quota non maturata delle commissioni bancarie e finanziarie nonché degli oneri assicurativi corrisposti in Centrale Rischi occasione della stipulazione di un contratto di finanziamento contro cessione del nominativo quinto dello stipendio (o con delegazione di pagamento), a seguito dell’estinzione anticipata dello stesso. Secondo il consolidato orientamento dell’ABF, confermato dal Collegio di Coordinamento (decisione n. 6167/2014), nel caso di estinzione anticipata del ricorrentefinanziamento deve essere rimborsata la quota delle commissioni e dei costi assicurativi non maturati nel tempo, stante l’asserito venir meno dovendosi ritenere contrarie alla normativa di riferimento le condizioni contrattuali che stabiliscano la non ripetibilità tout court delle commissioni e dei costi applicati al contratto nel caso di estinzione anticipata dello stesso (cfr. art. 125-sexies TUB; Accordo ABI-Ania del suo obbligo fideiussorio ai sensi 22 ottobre 2008; Comunicazione della Banca d’Italia 10 novembre 2009; Comunicazione della Banca d’Italia 7 aprile 2011; art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010; art. 22, comma 15-quater d.l. n. 179/2012; lettera al mercato congiunta di Banca d’Italia e Ivass del 26 agosto 2015). Sulla base di tale orientamento: (1) nella formulazione dei contratti, gli intermediari sono tenuti ad esporre in modo chiaro e agevolmente comprensibile quali oneri e costi siano imputabili a prestazioni concernenti la fase delle trattative e della formazione del contratto (costi up front, non ripetibili) e quali oneri e costi maturino nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale (costi recurring, rimborsabili pro quota); (2) in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri up-front e recurring, anche in applicazione dell’art. 1957 1370 c.c. Per accertare e, più in particolare, dell’art. 35, comma 2 d.lgs. n. 206 del 2005 (secondo cui, in caso di dubbio sull’interpretazione di una clausola, prevale quella più favorevole al consumatore), l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (3) l’importo da rimborsare deve essere determinato, com’è noto, secondo un criterio proporzionale, tale per cui l’importo di ciascuna delle suddette voci viene moltiplicato per la percentuale del finanziamento estinto anticipatamente, risultante (se nel caso le rate sono di eguale importo) dal rapporto fra il numero complessivo delle rate e il numero delle rate residue; (4) altri metodi alternativi di computo non possono considerarsi conformi alla disciplina vigente (Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014). È principio anch’esso consolidato che siano rimborsabili, per la parte non maturata, non solo le commissioni bancarie, finanziarie e di intermediazione, ma anche i costi assicurativi relativi alla parte di finanziamento non goduta (art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010; art. 22, comma 15-quater, d.l. n. 179/2012). Principio su cui questo Collegio si è già ampiamente pronunciato e che in esame l’obbligo questa sede non può che essere confermato (decisione n. 6167/2014). Con riguardo ai costi assicurativi, se c’è ormai consenso tra i Collegi territoriali (anche sulla scorta della posizione espressa dal Collegio di segnalazione Coordinamento nella decisione n. 6167/2014) sul fatto che obbligato al rimborso (in Centrale ▇via solidale) sia (anche) l’intermediario mutuante, il quale non può eccepire la propria carenza di legittimazione passiva (atteso il rapporto di accessorietà del contratto assicurativo rispetto al rapporto di finanziamento, nonché il pagamento del premio assicurativo per tramite dello stesso intermediario mutuante), sussiste, invece, ancora incertezza circa i criteri da seguire per la quantificazione dell’importo da rimborsare e, più in particolare, circa la valutazione di conformità delle previsioni negoziali contenute nella polizza assicurativa (e richiamate dal contratto di finanziamento) alle disposizioni normative di riferimento (art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010; art. 22, comma 15-quater e quinquies, d.l. n. 179/2012), ▇▇▇▇▇ restando la necessità che il criterio di calcolo sia cessato comunque chiarito ex ante (decisione n. 6167/2014). In relazione agli indicati esiti della elaborazione giurisprudenziale dei Collegi ABF, si rendono, peraltro, opportune alcune considerazioni e precisazioni di rilievo generale con riguardo agli spazi che la legge riserva all’autonomia contrattuale nel determinare l’ammontare dei costi del finanziamento retrocedibili nel caso di sua anticipata estinzione, segnatamente circa la possibilità per estinzione dell’obbligazione le parti di definire il criterio di determinazione del garanterimborso dovuto ai sensi dell’art. 125-sexies, primo comma, TUB e, più in particolare, circa la possibilità di derogare al criterio pro rata temporis. L’art. 125-sexies TUB stabilisce che il consumatore ha il diritto di rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento il finanziamento ottenuto e che, in tale ipotesi, ha anche il diritto a ricevere «una riduzione del costo totale del credito» (come affermato dal ricorrentedefinito dall’art 121, osecondo comma, viceversalett. e), permangaTUB). Lo stesso art. 125-sexies TUB individua il criterio di determinazione di tale riduzione, come sostenuto che, per quanto qui ora rileva, deve essere «pari all’importo (…) dei costi dovuti per la vita residua del contratto» e non ad una parte soltanto di tali costi. La norma, in sé autosufficiente, enuncia quindi la regola che il criterio e la base di calcolo degli importi da retrocedere devono essere determinati e applicati oggettivamente e non secondo riferimenti soggettivi (anche) fondati su un accordo tra le parti. Una limitazione dell’importo dovuto al consumatore, attraverso la previsione di un criterio di rimborso difforme da quello della competenza economica esplicitato dall’art. 125-sexies, primo comma, TUB, oltre a contrastare con il diritto così riconosciuto al consumatore è, inoltre, preclusa (o comunque circoscritta) dalla lettera del secondo comma dello stesso art. 125-sexies TUB, il quale ha cura di disciplinare e delimitare il titulus retentionis dell’intermediario, ossia il diritto di ritenere somme in ragione del pregiudizio economico sofferto per l’estinzione anticipata del finanziamento: «In caso di rimborso anticipato il finanziatore ha diritto ad un indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito. L’indennizzo non può superare l’1 per cento dell’importo rimborsato in anticipo, se la vita residua del contratto è superiore a un anno, ovvero lo 0,5 per cento del medesimo importo, se la vita residua del contratto è pari o inferiore a un anno. In ogni caso, l’indennizzo non può superare l’importo degli interessi che il consumatore avrebbe pagato per la vita residua del contratto» (art. 125-sexies, secondo comma, TUB). Tale disposizione impone alla parte resistente di qualificare la causa dell’attribuzione patrimoniale quale «equo indennizzo» per l’estinzione anticipata, predeterminandone l’importo massimo al fine di remunerare i costi direttamente collegati al rimborso anticipato del finanziamento. E’ chiaro il nesso tra le due previsioni normative dell’art. 125-sexies TUB, per il quale non è possibile che, attraverso una artificiosa indicazione negoziale dei criteri di rimborso, si possa sforare l’ammontare massimo dell’«equo indennizzo» (peraltro non sempre dovuto, art. 125-sexies, terzo comma, TUB), così vulnerando il diritto del consumatore alla riduzione del costo del credito «pari» ai costi dovuti per la vita residua del contratto. L’autonomia delle parti si ferma alla determinazione dell’oggetto del rapporto e, segnatamente, delle prestazioni recurring e dei relativi corrispettivi. Una volta stabilito tale sinallagma, l’estinzione anticipata implica l’automatico effetto della restituzione degli importi corrispondenti ai servizi non resi, per i quali viene, quindi, a mancare ogni ragione (titolo) dell’apprensione da parte dell’intermediario. Su questa linea, la misura dell’indebito discende automaticamente dalla corretta determinazione dell’oggetto, recata in considerazione della non risolta posizione debitoriacontratto: anche in assenza dell’art. 125-sexies TUB, occorre rifarsi sia all’artil consumatore avrebbe comunque il diritto alla ripetizione delle somme indebitamente trattenute dall’intermediario, secondo la disciplina generale dell’art. 1957 2033 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui l’art. 125-sexies, primo comma, TUB è chiaramente espressione. Del resto, se il contratto prevedesse, in luogo del pagamento totale anticipato dei costi accessori, un pagamento posticipato rispetto alle corrispondenti prestazioni recurring, una volta estinto il rapporto anticipatamente, non sussisterebbe alcun dubbio che l’intermediario non potrebbe pretendere il pagamento di prestazioni non rese, ossia delle prestazioni successive alla costituzione estinzione. Se il cliente pagasse, egli avrebbe per definizione diritto alla ripetizione dell’indebito. Del tutto analoga è – deve essere – la situazione in cui viene a trovarsi il consumatore qualora i costi e gli oneri accessori del finanziamento siano interamente sostenuti al momento della fideiussioneconclusione del contratto. Deve, quindi, concludersi che le parti non sono contrattualmente libere di determinare l’entità del rimborso dei costi recurring in misura inferiore a quella prevista dalla legge; più chiaramente, il ricorso all’autonomia negoziale non può spingersi fino ad escludere ex ante – attraverso la negoziazione di un criterio di rimborso alternativo a quello pro rata temporis – il rimborso di costi versati dal cliente e dovuti per attività o prestazioni non erogate per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento. Eventuali previsioni in tal senso non possono che ritenersi nulle per violazione di norma imperativa (art. 1418, primo comma, c.c.), quale deve ritenersi sia l’art. 125-sexies TUB, in ragione della sua funzione di tutela del contraente debole, testualmente confermata dall’art. 127, primo comma, TUB; sia l’art. 2033 c.c., che nell’art. 125-sexies, primo comma, trova una delle sue declinazioni. Le conclusioni sinora raggiunte, se consentono di escludere la qualificazione del criterio pro rata temporis (competenza economica) quale criterio meramente residuale – e quindi astrattamente derogabile dalle parti – per il calcolo della quota parte oggetto di rimborso delle commissioni finanziarie e accessorie, non precludono, tuttavia, che il rimborso dovuto in caso di estinzione anticipata del contratto e «pari all’importo (…) dei costi dovuti per la vita residua del contratto» possa avere uno sviluppo non strettamente lineare o proporzionale (come normalmente avviene). Ferma restando la necessaria individuazione dei costi recurring nei termini sopra delineati, se il contratto non prevede e chiarisce anticipatamente quali costi saranno di volta in volta sostenuti dall’intermediario e quindi addebitati al cliente (e di conseguenza, se non ancora maturati per effetto della estinzione anticipata, ripetibili dal finanziato), il criterio di rimborso deve – e non può che essere – esattamente proporzionale, dimodochè l’importo complessivo delle voci recurring viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare chealtri termini, in relazione alla Circolare difetto di una precisa e scadenzata preventivazione contrattuale dei costi (come avviene invece per gli interessi corrispettivi) deve ritenersi che le commissioni bancarie/finanziarie pagate anticipatamente per remunerare costi continuativi siano state quantificate in un ammontare globale in ragione della durata normale del rapporto e secondo un criterio rigidamente proporzionale con riguardo a ciascuna rata: in mancanza di una diversa indicazione, deve, infatti, presumersi che i costi recurring abbiano un andamento (sviluppo) «costante in pendenza di rapporto», in quanto normalmente «il tempo e le energie dedicate al loro svolgimento è indipendente dall’ammontare delle somme amministrate ed è piuttosto correlato alle complicazioni della normativa che si deve applicare, sicché anche diminuendo l’ammontare complessivo del prestito amministrato i costi recurring non variano e non ha alcun senso imputare diversamente nel tempo il loro ammontare» (Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014). Di conseguenza, in mancanza di diverse previsioni di legge e di specifiche indicazioni negoziali sulla maturazione dei costi nel corso del rapporto, tali da consentire una distinzione tra le attività effettivamente prestate e quelle ancora da prestare, l’estinzione anticipata del contratto deve consentire al consumatore di ottenere il rimborso dei costi secondo un criterio rigorosamente proporzionale e non secondo diverse formule (ancorchè concordate contrattualmente) che abbiano l’effetto di far conseguire al consumatore una restituzione inferiore a quella che gli spetterebbe secondo il criterio lineare. Qualora, invece, le parti, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano previsto costi continuativi (recurring) in misura differenziata per ogni frazione di tempo della durata complessiva del rapporto, il criterio di recupero degli esborsi sopportati per remunerare tali costi a seguito della estinzione anticipata del finanziamento, ancorchè non esattamente proporzionale, sarebbe sempre conforme al criterio di competenza economica (pro rata temporis), dato che il rimborso avverrebbe comunque secondo la quota dei costi «dovuti» tempo per tempo maturati. In conclusione, le parti sono libere di determinare i futuri costi recurring e la loro distribuzione nel corso del tempo, ma non la quota di quei costi oggetto di rimborso in caso di estinzione anticipata del finanziamento, la cui determinazione è, in ogni caso, regolata dal principio di competenza economica, da intendersi quale criterio legale di rimborso ex art. 125-sexies TUB (cfr. la Comunicazione della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 304921/11 del 7 aprile 2011 (Cap«è necessario sia applicato correttamente il principio di competenza economica nella rilevazione delle commissioni percepite in relazione all’operatività in CQS, distinguendo quelle che maturano in ragione del tempo (c.d. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -recurring), da rilevare pro quota temporis, dalle altre, da rilevare quando percepite»). Così inteso, il criterio pro rata temporis non è solo il più «logico», ma trova sempre necessaria applicazione indipendentemente dalla sua integrazione con norme secondarie; solo il principio di stretta proporzionalità che vi è normalmente sotteso può essere contrattualmente derogato, nel caso in varie occasioni questo Arbitro - cui sia anticipatamente concordata e stabilita la quota (differenziata nel tempo) di commissioni recurring in linea maturazione riferibili ad ogni rata, dovendo sempre applicarsi la regola che tutte le commissioni continuative, pagate in anticipo al momento di conclusione del contratto, devono poi essere rimborsate al consumatore per le quote imputabili alla rate non maturate (competenza economica). Sebbene non si registrino sul punto posizioni divergenti tra i Collegi territoriali, in via preliminare paiono inoltre opportune alcune considerazioni con la giurisprudenza civile ed riferimento al rimborso delle commissioni finanziarie e accessorie, in ragione, in particolare, delle specificità presentate dal contratto di finanziamento oggetto del ricorso e sulle quali il Collegio di Coordinamento (cfrnon ha avuto modo, quanto meno direttamente, di pronunciarsi. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al Nel caso in esame, pare non doversi dubitareesame la descrizione delle voci di costo del finanziamento risulta la seguente: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso L’intermediario resistente sostiene che il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento «chiaramente e univocamente distingue tra costi fissi (avvenuta in data 23.06.2011c.d. up-front) e costi a maturazione nel tempo (c.d. recurring), da cui è conseguita esplicitando le singole voci» e indicando «in ottemperanza alle prescrizioni in tema di trasparenza (…) i costi previsti e quindi applicati all’operazione di finanziamento de qua nonché i ristori dovuti in caso di estinzione anticipata». Al riguardo, occorre ribadire che la costituzione in mora chiara distinzione tra costi c.d. up front e recurring risponde, anzitutto, ad una esigenza di trasparenza delle disposizioni negoziali prescritta dalla normativa di riferimento (Disposizioni di Vigilanza del debitore principale 29 luglio 2009 e del garante (il 28.07.2011s.m.i. – Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediario e clienti) e, di seguitoprima ancora, la segnalazione “a sofferenza” alla necessità che le prestazioni oggetto del nominativo di quest’ultimo, stante contratto e il perdurare della sua insolvenza relativo titolo siano determinati o determinabili (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’artart. 1957 1346 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa Se le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.parti sono certamente libe
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DIRITTO. Va innanzitutto esaminata l’eccezione preliminare sollevata dall’intermediario resistente, il quale chiede che vengano dichiarate irricevibili le domande relative all’accertamento dell’inosservanza della forma scritta prevista per i contratti bancari e alla restituzione degli interessi anatocistici, perché introdotte solo in sede di ricorso e non presenti nel reclamo. La Sez. VI, par. 1 delle “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” prevede che “Il ricorso all’ABF è preceduto da un reclamo preventivo all’intermediario […] il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione ha esposta nel reclamo”. Nel caso in esame, il reclamo contiene una contestazione relativa alla “mancata pattuizione per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del iscritto degli interessi, delle commissioni e delle spese”. Come si evince dalla perizia prodotta dal ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio tale doglianza discende dall’asserita inosservanza della forma scritta dei contratti (dovuta all’assenza di sottoscrizione della banca). Pertanto, non può essere accolta l’eccezione preliminare sollevata dall’intermediario resistente in riferimento alla domanda di accertamento dell’inosservanza della forma scritta e di condanna alla restituzione delle somme addebitate ai sensi dell’art. 1957 c.c117 TUB. Per accertare se In applicazione delle medesime norme, risulta, invece, fondata l’eccezione di irricevibilità formulata dalla resistente con riguardo alla richiesta di restituzione degli interessi anatocistici, data l’assenza nel caso reclamo di qualsiasi riferimento alla richiesta formulata sul punto nel ricorso. Tale domanda è pertanto da ritenersi improcedibile. Venendo alla domanda di accertamento della nullità del contratto di conto corrente e del contratto di apertura di credito per l’inosservanza della forma scritta prevista per i contratti bancari dall’art. 117 del TUB, il Collegio rileva che la questione è stata affrontata in esame l’obbligo giurisprudenza e in dottrina con esiti non univoci. In materia di segnalazione contratti per la prestazione di servizi di investimento, disciplinati quanto alla forma in Centrale maniera molto simile ai contratti bancari, la Corte di Cassazione ha recentemente affermato che è nullo il contratto sottoscritto soltanto dal cliente, poiché la forma scritta bilaterale richiesta ad substantiam dall’art. 23 del Testo Unico della Finanza deve intendersi un elemento costitutivo del contratto (cfr. Cass. 5919/2016; 7068/2016; 8395/2016; 8396/2016; 10331/2017). La Suprema Corte, con successiva ordinanza n. 10447/2017 di rimessione alle Sezioni Unite della questione, ha tuttavia rilevato la necessità di ulteriori riflessioni sul punto, posto che al recente orientamento sopra ricordato si contrappone un diverso orientamento che trova consensi in dottrina e nella giurisprudenza soprattutto di merito, il quale esclude la necessità della sottoscrizione della banca per la validità del contratto di prestazione di servizi di investimento, laddove il modulo contenente le condizioni generali di contratto, sottoscritto dal cliente, sia stato predisposto dalla banca. Tale orientamento, che ha trovato conferme nella giurisprudenza di merito e di legittimità (cfr. Appello Venezia n. 1377/2016; Trib. di Reggio ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art28/04/2015; Cass. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -22223/2006), nonché in varie occasioni precedenti di questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti Coll. di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di MilanoRoma, decisione n. 8288/20147009/2015), valorizza le differenze tra la ratio della forma scritta ad substantiam prevista dal codice civile per contratti che richiedono particolare solennità nell’ambito di rapporti paritari e la ratio della forma scritta prevista dalla disciplina bancaria e finanziaria, finalizzata alla protezione del contraente debole e alla soddisfazione di esigenze di chiarezza e trasparenza informativa. Tale orientamento tiene anche debitamente conto dell’esigenza di prevenire un uso opportunistico della nullità di protezione da parte del contraente debole. Il Collegio intende uniformarsi a questo secondo orientamento, ritenendo che il requisito formale stabilito a fini informativi e di tutela del contraente debole debba intendersi riferito alla manifestazione di volontà di quest’ultimo, mentre la volontà dell’intermediario possa essere manifestata anche attraverso altre forme (non potendo, peraltro, l’intermediario contestare la validità per carenza di forma scritta). Circa l’applicabilità dell’artA tale proposito, può ritenersi sufficiente la predisposizione del modulo contenente le condizioni generali di contratto da parte dell’intermediario ovvero l’incontestata esecuzione del contratto da parte dell’intermediario nel rispetto delle condizioni contrattuali sottoscritte dal cliente. 1957 c.c. al Nel caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità le copie dei contratti versate in atti contengono la sottoscrizione del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore correntista e il termine entro il quale agire visto dell’addetto della banca che ha acquisito la firma del cliente. Inoltre, è pacifico che ai contratti di conto corrente e apertura di credito oggetto del ricorso sia stata data esecuzione nel rispetto delle condizioni pattuite. Per queste ragioni, la doglianza relativa alla nullità per l’adempimento, in deroga a quanto previsto mancanza della forma scritta prevista dall’art. 1957 117 del TUB e la conseguente pretesa restitutoria (peraltro del tutto generica) relativa a spese ed oneri quantificati in euro 2.213,57 devono ritenersi infondate. Il ricorrente chiede, infine, la restituzione di somme addebitate a titolo di interessi in applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., si stabilisce in 36 mesi per l’asserito superamento della soglia usura nei trimestri I, II, III e IV del 2011 e I e II del 2015. In particolare, la perizia prodotta dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti parte ricorrente contesta come distorta la metodologia di calcolo prevista dalle Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi, poiché essa escluderebbe numerosi oneri, e al suo posto utilizza una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare metodologia di calcolo del termine di decadenza stabilito TEG che deriverebbe direttamente dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi L. 108/96 nella parte in cui sancisce che “per la durata determinazione del tasso di una fideiussione sia correlata non interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo delle spese, escluse quelle per imposte e tasse collegate alla scadenza La citata disposizione impone al creditoreerogazione del credito”. L’usura oggettiva è regolata da un quadro normativo complesso: a livello primario, il qualein diritto civile, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato artdall’art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 1815 comma 2 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e, in diritto penale, dall’art. 644 c.p. e le abbia con diligenza continuate”dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 (cd. ▇▇▇▇▇ ▇▇▇▇▇) e dal D.l. 394/2000, di interpretazione autentica della stessa. La circostanza che norma penale è, inoltre, completata dai decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze (al quale è demandato il creditore debba prendere sollecite compito di individuare il limite oltre il quale gli interessi sono considerati sempre usurari e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali stabilire le diverse categorie di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle operazioni creditizie) e dalle “Istruzioni per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi dell’artdella legge sull’usura” della Banca d’Italia, che per ogni categoria di operazione creditizia prevedono le voci di cui tenere conto e la metodologia di calcolo per la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi necessari ai fini della determinazione dei tassi soglia ex art. 1957 c.c.2, estinta comma 4, della Legge Usura. Con riferimento alla metodologia di calcolo da utilizzare per la verifica di usurarietà dei tassi in concreto applicati, l’orientamento di questo Arbitro è costante nell’affermare che le Istruzioni della Banca d’Italia costituiscono il punto di riferimento imprescindibile per il calcolo del TEG e, pertanto, vi deve essere piena simmetria tra la tra formula utilizzata per la rilevazione del TEGM e la formula utilizzata per il calcolo dello specifico TEG contrattuale (cfr., ex multis, sul cd. “principio di simmetria”, Collegio di Coordinamento, dec. n. 3412/2014; Coll. di Roma, decisione n. 6759/2016; Coll. di Roma, decisione n. 11395/2016). Anche la Corte di Cassazione si è di recente pronunciata in questo senso con sentenza n. 12965/2016 affermando, tra l’altro, che se il “raffronto non più giustificata viene effettuato adoperando la segnalazione medesima metodologia di calcolo, il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato”. Ne deriva che, avendo la perizia di parte utilizzato una metodologia di calcolo ex professo diversa da quella prevista dalle Istruzioni della Banca d’Italia, sia per i fattori in essa inclusi che per la struttura della formula, deve ritenersi non soddisfatto dalla parte ricorrente l’onere della prova circa l’asserito superamento del suo nominativo tasso soglia previsto dalla legge in Centrale Rischiriferimento ai trimestri indicati nel ricorso. Né spetta all’Arbitro rielaborare i conteggi relativi al rapporto controverso, essendo pacifico che all’Arbitro non possono essere demandate attività di tipo consulenziale (cfr., ex multis, Coll. di Roma, decisione n. 1780/2017). Il Collegio ritiene, pertanto, che la domanda relativa di restituzione delle somme addebitate a titolo di interessi debba essere respinta in quanto infondata.
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Sources: Conto Corrente E Apertura Di Credito
DIRITTO. La questione ha domanda principale proposta dalla parte ricorrente mira ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto per oggetto l’assunta illegittimità carenza di forma. Sia la ricorrente sia l’intermediario hanno prodotto la medesima documentazione contrattuale, ovvero copia della perdurante segnalazione in Centrale Rischi “richiesta di prestito personale e di apertura di linea di credito” recante la sola sottoscrizione del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno finanziato e del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artgarante. 1957 c.cLa richiesta reca la sottoscrizione della ricorrente a conferma di “…aver ricevuto copia completa della presente richiesta, compilata in ogni sua parte e corredata da documento di sintesi…”. Per accertare se nel caso Alla luce della documentazione in esame l’obbligo di segnalazione suo possesso, parte ricorrente si duole, in Centrale ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇, ▇▇▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato del contratto per estinzione dell’obbligazione del garantemancanza di uno dei requisiti essenziali, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla la forma scritta ad substantiam ex art. 117 TUB e più precisamente la mancanza della sottoscrizione per accettazione da parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artdell’intermediario. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte Pone a sostegno della sua tesi cita alcune recenti pronunce della Cassazione in materia di contratti c.dd. “monofirma”. L’intermediario eccepisce l’infondatezza della contestazione, ricordando come la consolidata giurisprudenza di merito riconosca validità al contratto bancario quand’anche firmato dal solo cliente su modulo stampato dalla banca: Al riguardo, si osserva che al contratto in esame (“prestito personale e di apertura di linea di credito”, garantito da fideiussione e finalizzato all’ “acquisto abitazione”) risulta senz’altro applicabile l’art. 117 TUB. È pertanto prevista la forma scritta ad substantiam, mentre il principio della libertà delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussioneforme è circoscritto a casi eccezionali. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio materia di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione nullità del contratto di finanziamento per difetto di accettazione scritta dalla banca sussisteva un contrasto giurisprudenziale, posto in luce dalle stesse parti, sulla rilevanza della mancanza di sottoscrizione dell’intermediario ai fini del rispetto dell’obbligo della forma scritta sancito, a pena di nullità, dall’art. 117 T.U.B (avvenuta in data 23.06.2011materia di contratti bancari) e dall’art. 125-bis T.U.B. (in materia di contratti di credito al consumo). Parte della giurisprudenza di merito affermava la sufficienza della sola sottoscrizione del cliente, facendo leva sulla finalità della forma scritta dei contratti bancari e finanziari, volta a garantire il recupero di simmetria informativa a protezione del contraente debole, che sarebbe comunque realizzata. Altro orientamento, avallato anche da cui è conseguita sentenze della Suprema Corte, riteneva equipollenti all’omessa sottoscrizione le manifestazioni dell’intento di avvalersi del contratto successivamente esternate dall’intermediario, tra le quali si menziona la costituzione produzione in mora giudizio del debitore principale e documento contrattuale firmato dal solo cliente. Infine, parte della giurisprudenza di merito si esprimeva nel senso della necessità della sottoscrizione dell’intermediario a pena di nullità non sanabile da successivi atti esecutivi, costituendo il documento firmato dal cliente mera proposta contrattuale non accettata. Stanti i contrasti rilevati, con l’ordinanza n. 10447 del garante 27.4.2017 la Prima Sezione della Cassazione rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle SS.UU. della decisione concernente la necessità, ai fini della validità del contratto quadro di negoziazione titoli (il 28.07.2011) e“contratto quadro di gestione, consulenza ed amministrazione di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenzaportafogli”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbiadella firma dell’intermediario finanziario. Pronunciandosi sulla questione, come dispone l’art. 1957 c.cla Cassazione, a SS.UU., “proposto le sue istanze contro ha infine recentemente affermato il debitore seguente principio di diritto: «…il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e le abbia con diligenza continuate”ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell'intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti» (Cassazione, SSUU., sentenza n. 898 del 16.1.2018). La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principaleTale principio, per recuperare il creditosicuramente applicabile anche ai contratti bancari, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza ha confermato anche l’orientamento assunto dall’Arbitro nella materia di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die competenza (cosìex multis, da ultimoColl. Milano, Cassdec. n. 1724/20165070/16). In tale otticaPer tali motivi, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente la domanda principale non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cpuò essere accolta., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione Con l’unico motivo la societa` ricorrente richiama in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇, ▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇ di appalto ex legge n. 1369 del garante1960, come affermato dal ricorrentedi un contrasto giurisprudenziale, oe quindi la necessita` di un intervento delle Sezioni unite, viceversasegnato rispettivamente dalle sentenze nn. 12363/2003 e 12664/2003 «sembrando» la prima, permangaa differenza della seconda, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione escludere che la organizzazione e la direzione dei la- voratori impiegati possa integrare il presupposto di legittimita` dell’appalto; deduce, quindi, violazione ed errata applicazione della non risolta posizione debitorialegge n. 1369 del 1960, occorre rifarsi sia all’artartt. 1957 1 e 3, dell’art. 2094 c.c., richiamato dall’una e dall’altra dell’art. 115 c.p.c. Richiama in proposito, a conforto della denuncia, di aver esposto precise argomentazioni in ordine rispettivamente al pagamento da parte di ▇▇▇▇▇ alle Ff Ss dei corrispettivi per visite sani- tarie; alle penalita` previste per l’esecuzione dei contratti di appalto e alla cauzione a sostegno delle proprie opposte ragionigaranzia dell’esatto adempimento degli obblighi con- trattuali. Ribadisce, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generalepoi, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile genuinita` economico imprenditoriale dell’appaltatore ed il Collegio rischio assunto nell’esecuzione dell’appalto come con- fermato dal contratto di Coordinamento appalto; l’apporto di mezzi strumentali da parte dell’appaltatore e la insussistenza di una fornitura di capitali, macchine ed attrezzature da parte dell’appaltante come emerso dal libero interrogatorio delle parti e dalle prove testimoniali; l’au- tonomia organizzativa dell’impresa appaltatrice nei rapporti con i propri dipendenti secondo quanto documentato ed emerso nel corso del giudizio di primo grado con particolare riferimento alla circostanza che presso i passaggi a livello era presente un respon- sabile della ditta appaltatrice al quale i dipendenti della stessa societa` dovevano render conto e riferire di ogni vicenda relativa alla loro prestazione lavorativa (cfrassenze, ferie, avvicendamenti, sostituzioni, ecc); la non omogeneita` tra le mansioni che il ricorrente assume di aver espletato e l’inquadramento rivendicato di ausiliario di stazione per il quale il Ccnl 90 - 92 prevede mansioni ben piu` ampie e complesse rispetto a quelle indicate da controparte. decisione n. 3089/2012) - ▇▇▇▇▇▇, quindi, la societa` ricorrente che il giudice di appello pur «riferendo di alcune emergenze istruttorie del primo grado, ne ha evidenziato del tutto omesso un esame critico ed ha trascurato le analitiche considerazioni esposte nel ricorso di appello. Assume che la liceita` dell’appalto va desunta dalla presenza di un effettivo rischio d’impresa a carico dell’appaltatore, di una reale organizzazione di que- st’ultimo e dalla sua titolarita` dei poteri direttivi e di coordinamento dei lavoratori. Occorre guardare, precisa, soltanto alla reale organizzazione del fattore lavoro da parte dell’appaltatore, organizzazione che si traduce nella predisposizione di turni di lavoro, nella garanzia di presidio e di compimento di attivita` nella direzione controllo dell’attivita` del personale, nell’esercizio disciplinare. E` emerso nel giudizio di merito, secondo la societa`, che «FS era assolutamente estranea, non solo i requisiti solo, come riduttivamente afferma la Corte, al pagamento delle retribuzioni, alla predisposizione di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioturni di lavoro ed alla gestione dei permessi e ferie, ma anche ad aspet- ti del rapporto ben piu` significativi: scelta dei lavoratori da assumere, rapporto disciplinare che correva soltanto tra la Sogaf ed i presupposti che ne legittimano la cancellazionelavoratori». Il giudice dell’appello considera non rilevante tale ultimo aspetto, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza pur affermando che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principalepotere disciplinare e` strettamente collegato a quello gerarchico direttivo, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza fraintendo altres`ı dati documentali acquisiti agli atti univocamente emergenti nell’istruttoria di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cprimo grado., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha Il Collegio deve anzitutto rilevare l’infondatezza della domanda formulata dal ricorrente in via principale volta ad ottenere la restituzione integrale delle commissioni di intermediazione per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi presunta violazione dell’art. 1957 1754 c.c. Per accertare se Ed infatti, risulta documentalmente che il contratto è stato eseguito e la provvigione mediatizia è stata pagata, sicché la pretesa nullità costituisce esclusivamente presupposto di un’azione di ripetizione d’indebito, la quale non può che esperirsi nei confronti del mediatore stesso; non sussiste, infatti, alcuna fonte idonea a configurare l’assunzione di una responsabilità dell’intermediario per l’ipotesi di invalidità del contratto di mediazione; né, all’uopo, potrebbe giovare il collegamento negoziale, perché i contratti collegati restano distinti ed il collegamento vale esclusivamente ad istituire la loro interdipendenza ed a conferire una regolazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, onde essi simul stabunt, simul cadent: eventualità che, nel caso di specie, non sarebbe di alcuna utilità per il ricorrente (in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale termini, ▇▇▇▇. ▇▇▇▇▇., ▇. ▇▇▇▇/▇▇▇▇, ▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ▇▇▇▇ di Cass., 22.3.2013, n. 7255). Merita, invece, accoglimento la domanda relativa all’accertamento del garanteproprio diritto alla restituzione di quota parte degli oneri economici connessi al finanziamento anticipatamente estinto rispetto al termine convenzionalmente pattuito, come affermato dal ricorrentein applicazione del principio di equa riduzione del costo dello stesso, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia sancita all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione125-sexies t.u.b. In prospettiva generaleconformità alla ormai consolidata giurisprudenza dei tre Collegi di questo Arbitro, occorre inoltre ricordare che, in relazione ed alla Circolare stregua degli indirizzi della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, si è stabilito che la concreta applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determina la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (Capcc.dd. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -recurring), che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in varie occasioni favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale. Per converso, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (cc.dd. up front). Per quanto concerne il criterio di calcolo del rimborso spettante al ricorrente, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento espresso dal Collegio di coordinamento di questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione dec. n. 3089/2012) - ha evidenziato 6167/2014), secondo cui il criterio pro rata temporis è il più logico e, al contempo, il più conforme al diritto ed all’equità sostanziale. Posto quanto precede, dalla lettura della clausola contrattuale relativa alla commissione bancaria emerge che la stessa sia stata corrisposta al fine di remunerare attività eterogenee non solo tutte ascrivibili alla fase prodromica alla concessione del prestito; in tal caso, l’opacità delle clausola dipende dall’indistinto riferimento sia ad attività recurring (ad es., “oneri per la copertura del differenziale per la conversione o la convertibilità da variabile a fisso del tasso degli interessi”: cfr. lett. a del contratto), sia ad attività up front. Pertanto, deve essere riconosciuto il diritto del ricorrente alla restituzione della quota non maturata di detta commissione che, tenuto conto dell’estinzione del finanziamento in corrispondenza della quarantottesima rata di ammortamento (su centoventi complessive), pari ad euro 90,36. Con riguardo alla commissione di intermediazione, emerge in modo evidente dalla relativa clausola contrattuale che la stessa è stata corrisposta al fine di remunerare attività concernenti l’intera durata del finanziamento: esemplari i requisiti riferimenti all’”amministrazione del finanziamento nel corso della sua intera durata” ed alla “garanzia non riscosso per riscosso”. Deve pertanto riconoscersi il diritto del ricorrente al rimborso, a titolo di legittimità della segnalazione commissione di intermediazione non maturata, dell’importo di euro 2.769,06, al netto del rimborso già effettuato in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediariosede di conteggio estintivo di euro 288,72. Il Collegio reputa retrocedibile, ma nel caso di specie, anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come quota parte relativa alle “l’obbligo dell’intermediario spese di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoistruttoria”, in deroga a quanto previsto dall’artla descrizione contenuta nella relativa clausola contrattuale fa riferimento anche ad attività c.d. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica recurring (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”5). Accertata la scadenza dell’obbligazione principaleDeve pertanto riconoscersi il diritto del ricorrente al rimborso, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) ea tale titolo, di seguitoeuro 180,00. La domanda di ristoro delle spese per la difesa tecnica è respinta, la segnalazione “a sofferenza” tenuto conto della natura seriale del nominativo di quest’ultimoricorso (e v., stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’artColl. 1957 c.ccoord., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione n. 4618/2016 ed accordo del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/201624 giugno 2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazioneconsiderazione di quanto precede, il ricorso a mezzi processuali di tutela Collegio accerta il diritto del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ricorrente ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella speciedall’intermediario l’importo complessivo di euro 3.039,42, a fronte della contestazione titolo di commissioni per il periodo di finanziamento non goduto, oltre interessi legali dalla data del ricorrente reclamo (che ha valore di formale messa in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cassmora) all’effettivo soddisfo. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.P.Q.M.
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DIRITTO. Per quanto attiene alla legittimazione del Sindacato l’orientamento della giurisprudenza amministrativa e della Commissione è costante ed univoco ritendendo sussistente il diritto dell’organizzazione sindacale ad esercitare l’accesso agli atti della P.A. per la cognizione di documenti che possano coinvolgere sia le prerogative del sindacato, quale istituzione esponenziale di una determinata categoria di lavoratori, sia le posizioni di lavoro di singoli iscritti nel cui interesse e rappresentanza opera l'associazione (in tal senso, Cons. Stato Sez. VI, 20/11/2013, n. 5511). Nel caso di specie, la documentazione richiesta inerisce certamente alle prerogative del sindacato, in quanto tale e ai diritti di informazione, posti a salvaguardia degli aspetti più significativi del rapporto di lavoro, vantando parte ricorrente un interesse di tipo endoprocedimentale all’ostensione, in forza del combinato disposto degli artt. 7 e 10 della legge n. 241/1990. Le organizzazioni sindacali sono parte del procedimento di formazione del Fondo di istituto nonché di accesso allo stesso da parte dei lavoratori e di ripartizione delle risorse finanziarie, di talché, hanno diritto a conoscere, acquisendone la copia, i dati di distribuzione del FIS per ogni singolo beneficiario (prospetto analitico degli importi erogati a ciascun beneficiario e per quale incarico) e ciò proprio per verificare il rispetto dei criteri e la corretta applicazione del Contratto di Istituto in materia di distribuzione del FIS, trattandosi di un accesso partecipativo e non solo conoscitivo, "la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici" (art. 24, comma 7, primo periodo, l. 241/1990), vale a dire gli interessi dei quali il sindacato è portatore sia quale ente esponenziale dei lavoratori iscritti sia quale soggetto coinvolto nel procedimento di formazione e di distribuzione delle risorse del Fondo di istituto. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità Commissione osserva che il sindacato vanta un interesse differenziato, anche di carattere difensivo, a verificare la correttezza della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.cvalutazione (CDS., richiamato dall’una sent. 20 luglio 2018, n. 4417 e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragionida ultimo TAR per il Friuli Venezia Giulia, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussionesent. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione 42 del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/20142021). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esameD’altronde, pare sulle organizzazioni sindacali graverà l'obbligo di non doversi dubitare: l’art. 5 divulgare il contenuto della documentazione oggetto dell’istanza di accesso, se non nelle sedi istituzionali e laddove "strettamente indispensabile" (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione24, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principalecomma 7, ultimo periodo, L. n. 241 del 1990) e di non utilizzarlo per scopi diversi da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.cquelli propri dell'organizzazione sindacale., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha per L’eccezione pregiudiziale di irricevibilità del ricorso è, ad avviso del Collegio, parzialmente meritevole di accoglimento. In merito alla contestata riproposizione di richieste già oggetto l’assunta illegittimità di esame da parte del Collegio, in via preliminare, si riportano le domande formulate dal ricorrente in occasione del primo ricorso, presentato in data 30 luglio 2012: - accertamento della perdurante segnalazione “possibilità di esercitare congiuntamente i diritti dell’opzione scelta tasso”; - “il rispetto dei termini contrattuali e l’applicazione del nuovo tasso da utilizzare uguale a quello rilevato l’ultimo giorno del mese di maggio, senza l’aggiunta di alcuno spread”; - “la rideterminazione del tasso fisso contrattuale, il ricalcolo del piano di ammortamento e la restituzione delle somme indebitamente pagate”; - “il rispetto di quanto disposto dal d.lgs. n. 385/93” in Centrale Rischi tema di comunicazioni periodiche; - il risarcimento del nominativo danno. Ciò chiarito, deve anzitutto sottolinearsi che le domande che questo Collegio può prendere in esame nel presente procedimento sono quelle che non siano già state oggetto del ricorrenteprecedente ricorso e della successiva decisione. Muoviamo dal primo profilo. Con riferimento al ricorso in esame, stante l’asserito venir meno si discute se il parametro Euribor 6M sia da rilevare ed utilizzare con base 360 oppure con base 365 (domanda non formulata dal ricorrente in occasione del suo obbligo fideiussorio precedente ricorso e, dunque, meritevole di essere esaminata). Sulla variazione del tasso, il contratto di mutuo e surrogazione prevede, all’art. 4, che: “In ogni caso di variazione del tasso la banca rileverà i parametri EURIBOR SEI MESI e IRS lettera dal quotidiano il Sole 24 ore ovvero dai comunicati stampa della Banca d’Italia o, in difetto, da altra analoga pubblicazione, con obbligo, in questi ultimi casi, di rendere edotta la parte mutuataria”. Preliminarmente, lo stesso contratto sancisce, alla lettera “H” che “al presente contratto è unito un Documento di sintesi, ai sensi dell’artdella delibera C.I.C.R. del 4 marzo 2003, che, firmato dalle parti e da me Notaio, si allega sotto la lettera “C” e che la parte mutuataria dichiara di ben conoscere per averne ricevuta copia dalla Banca in precedenza”. 1957 c.cNel “Riquadro condizioni operative” riportate nel Documento di sintesi, quale allegato “C” al contratto, è previsto quale tipo divisore per ammortamento il divisore “Commerciale/Commerciale”. Per accertare se nel caso Sulla questione, la resistente ha prodotto il Foglio informativo Ed. 3 aprile 2009 (“Mutui ipotecari e fondiari privati – Mutui residenziali. Tasso variabile”), messo a disposizione della clientela, vigente al momento della sottoscrizione del mutuo nonché successivo foglio informativo vigente al momento dell’esercizio dell’opzione da parte del mutuatario. A seguito dell’opzione “scelta tasso”, ovvero dal 5 maggio 2012, il mutuo in esame l’obbligo questione è regolato a tasso variabile ed entrambi i fogli informativi citati farebbero riferimento ad un divisore 365. La resistente, tuttavia, inoltrava, in data 31 maggio 2012, una e-mail, avente ad oggetto la “Rendicontazione periodica” del mutuo in oggetto, con cui comunicava alla parte ricorrente “il modulo di segnalazione trasparenza condizioni e la comunicazione relativa all’opzione cambio tasso, con il nuovo piano di ammortamento”. Nel documento di sintesi del 31 maggio 2012, si prevede quale tasso base “EURIBOR 6 MESI – STIPULA” e, quale tipo di divisore per ammortamento, ancora il divisore “Commerciale/Commerciale”: denominazione che, nella prassi, indica, appunto, il divisore 360. Sotto tale profilo, dunque, la domanda del ricorrente appare fondata con il conseguente obbligo, per l’intermediario, di rilevare ed applicare l’Euribor 6M su base 360 e, per quanto riguarda le rate pregresse già scadute, a partire dalla rata n. 37, rideterminarne l’esatto ammontare facendo corretta applicazione del divisore applicabile e provvedendo alle opportune compensazioni con giusta valuta. Al riguardo, il Collegio prende atto della dichiarazione dell’intermediario il quale ha riconosciuto che, per un mero errore procedurale, l’aggiornamento da effettuare in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione corrispondenza della rata n. 43 è stato posticipato alla rata n. 44 e si è impegnato a decurtare l’importo dovuto al ricorrente a titolo di conguaglio da una successiva rata. Non merita, invece, accoglimento la domanda riguardante lo spread. Posto che la resistente eccepisce un ne bis in idem sulla richiesta di ricalcolare l’importo delle rate del garantemutuo, senza l’aggiunta di alcuno spread, si osserva che in relazione al precedente ricorso il Collegio prendeva atto di come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare cheil ricorrente lamentasse che “Nessuna previsione contrattuale stabilisce poi, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -all’esercizio dell’opzione, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio un eventuale spread da aggiungere ai tassi di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuatemercato”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principaledecisione n. 2948/13 ha, per recuperare altro, accertato la corretta applicazione dello spread in caso di opzione per il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti)tasso fisso, senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità scendere espressamente nel merito della questione per l’ipotesi di esperirle per scelta del tasso variabile. Ancora una volta assume, tuttavia, rilievo decisivo il documento di sintesi del 31 maggio 2012, nel quale è chiaramente indicata l’applicazione dello spread dell’1,10% rispetto all’EURIBOR 6M. Appare infondata anche la presenza di ostacoli giuridici (comedoglianza relativa alla mancata comunicazione preventiva dell’importo delle rate, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi atteso il tenore dell’art. 1957 c.c.4 del contratto, estinta ein base al quale, pertanto“per l’ipotesi di variazione dal tasso fisso al tasso variabile, e viceversa, la parte mutuataria autorizza sin d’ora la banca ad apportare, senza alcuna comunicazione scritta, le modifiche dell’ammontare delle rate che saranno determinat5e di volta in volta”. Infine, la richiesta avanzata dal ricorrente avente ad oggetto il mancato ricevimento delle comunicazioni al proprio indirizzo PEC, non più giustificata può ritenersi procedibile, trattandosi di questione che era già stata avanzata con il precedente ricorso. Non può perciò che confermarsi quanto ha formato oggetto (nei limiti della domanda in esame) della decisione di questo Collegio n. 2948/2013, la segnalazione del suo nominativo cui motivazione in Centrale Rischidiritto deve intendersi qui integralmente richiamata.
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Sources: Mutual Loan Agreement
DIRITTO. È in atti copia del conteggio estintivo, allegato da entrambe le parti, che riporta 63 rate scadute su 120 complessive, con decorrenza dal 31/08/2019. Risulta in atti anche la quietanza liberatoria, che conferma l’effettiva estinzione del finanziamento con decorrenza dal 31.08.2019. Ciò premesso, il Collegio ricorda anzitutto che con la legge n. 106 del 23/7/2021 di conversione del D.l. n.73/2021 (pubblicata sulla G.U. n. 176 del 24.7.2021 ed entrata in vigore il successivo 25.7.2021), è stato riformulato l’art. 125 sexies TUB. La questione medesima legge di conversione prevede, con riferimento alla successione delle norme nel tempo, che: “Alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti”. Sulle implicazioni di tale intervento normativo, è intervenuto con la decisione n.21676/21 il Collegio di Coordinamento, esprimendo il seguente principio di diritto: “in applicazione della Novella legislativa di cui all’art. 11-octies, comma 2°, ultimo periodo, d.l. 25 maggio 2021, n. 73, convertito in legge n. 106 del 23 luglio 2021, in caso di estinzione anticipata di un finanziamento stipulato prima della entrata in vigore del citato provvedimento normativo [25/7/2021], deve distinguersi tra costi relativi ad attività soggette a maturazione nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale (c.d. costi recurring) e costi relativi ad adempimenti preliminari alla concessione del prestito (c.d. costi up front). Ne deriva la necessità di distinguere nell’ambito delle domande avanzate dalla parte ricorrente quelle relative al rimborso di costi up - front ( costi relativi ad attività svolte in occasione della concessione del prestito che hanno esaurito in quella fase la loro efficacia ) e costi recurring ( costi relativi ad attività il cui svolgimento si è articolato nel corso dell’intero sviluppo del rapporto). Solo i secondi saranno da considerare soggetti a rimborso, nei limiti ovviamente , della quota non maturata. Venendo al caso di specie, L’intermediario ha prodotto in sede di controdeduzioni l’allegato al modulo SECCI, di cui il ricorrente ha dichiarato di avere ricevuto copia, da cui risultano le attività svolte dagli intermediari del credito. L’intermediario allega l’accordo di distribuzione (doc. 4, CTD) e la fattura relativa alla provvigione dell’intermediario del credito (doc. 5 CTD). Venendo alla qualificazione degli oneri controversi, secondo il consolidato orientamento dei Collegi, le Commissioni mandataria per il perfezionamento del contratto (A) e le Provvigioni intermediario del credito (C), vanno considerate upfront; mentre le Commissioni mandataria per la gestione del contratto (B), vanno considerate recurring. L’intermediario allega copia delle CGA relative all’assicurazione impiego e vita (all. 7), di cui risulta che il cliente abbia preso visione. Per quanto riguarda entrambe le coperture, le condizioni di assicurazione descrivono i criteri di calcolo della quota di premio da restituire al cliente in caso di estinzione anticipata. Secondo i più recenti orientamenti condivisi dai Collegi, con riguardo al rimborso dei premi assicurativi, si applicano le condizioni di polizza, richiamate nel contratto di finanziamento, in quanto tali condizioni indicano il criterio di rimborso, sebbene non indichino anche la formula di calcolo. L’intermediario afferma che la Compagnia assicuratrice ha già provveduto al rimborso dei premi, determinato a norma delle CGA sopra riportate, per un totale di € 864,45. Allega evidenza contabile, comprensivo di codice CRO. Il ricorrente chiede anche la restituzione della quota non maturata degli interessi, calcolata in misura proporzionale alla vita residua del finanziamento facendo riferimento alla previsione del punto 4 del SECCI relativo all’estinzione anticipata. L’intermediario sostiene la rimborsabilità degli interessi in caso di estinzione anticipata secondo quanto indicato al punto 2 del SECCI. Tuttavia, mentre alla sez. 2 del modulo SECCI è previsto che le rate sono calcolate secondo un piano di ammortamento alla francese, alla sez. 4 dello stesso modulo, a cui fa espresso rinvio l’art. 11 del contratto, gli interessi sono inclusi tra le voci da rimborsare in caso di estinzione anticipata secondo il criterio pro rata temporis. In merito all’applicabilità del criterio del pro rata temporis alla restituzione degli interessi in base a quanto previsto nel contratto in caso di anticipata estinzione del finanziamento, l’orientamento prevalente dei Collegi (cfr. decisioni del Collegio di Milano nn. 13473 del 27/05/2021, 23481 del 22/12/2020 e 3820 del 16/02/2021) è nel senso che - per l’ambiguità della clausola - si applichi il criterio pro rata temporis anche per la restituzione della quota interessi, se oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentedi specifica domanda, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 1370 c.c. Per accertare se e, più in particolare, dell’art. 35, comma 2 d.lgs. n. 206 del 2005 (secondo cui, in caso di dubbio sull’interpretazione di una clausola, prevale quella più favorevole al consumatore), in quanto nel modulo SECCI allegato al contratto è previsto, da un lato, che gli interessi vadano restituiti con il criterio pro rata temporis e, dall’altro, che le rate del finanziamento sono calcolate secondo il piano di ammortamento alla francese. Nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale specie risulta prodotto dall’intermediario il piano di ammortamento del prestito che evidenzia gli interessi (non sottoscritto dal cliente), ed un prospetto di liquidazione (sottoscritto dal cliente “per accettazione”), indicante solo la quota capitale residuo - e non anche la quota interessi - dovuta dopo ciascuna rata di rimborso Tutto ciò premesso, ribadito che secondo i principi espressi dal Collegio di ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato nella decisione pocanzi ricordata, per i contratti stipulati prima del 25/7/2021 sono retrocedibili i soli costi relativi ad attività soggette a maturazione nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale (c.d. costi recurring) e tenuto conto di eventuali restituzioni già intervenute in sede di estinzione dell’obbligazione o in corso di procedimento, si ottiene pertanto il seguente risultato: Numero di pagamenti all'anno 12 Quota di rimborso pro rata temporis 47,50% Data di inizio del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente prestito 01/06/2014 Quota di rimborso piano ammortamento - interessi 25,36% rate pagate 63 rate residue 57 Importi Natura onere Percentuale di rimborso Importo dovuto Rimborsi già effettuati Residuo Commissioni per il perfezionamento (A) 932,88 Upfront 0,00% 0,00 0,00 Commissioni per ila gestione (B) 932,88 Recurring 47,50% 443,12 443,37 -0,25 Provvigioni Intermediario del credito( C ) 1.435,20 Upfront 0,00% 0,00 0,00 Premi assicurativi (G-H) 2.052,88 Criterio contrattuale 864,45 864,45 0,00 Interessi 9.781,61 Recurring 47,50% 4.646,26 2.480,56 2.165,70 L’importo da rimborsare è da arrotondare a E. 2.165,00. Non può essere accolta la domanda di rimborso delle spese legali in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.cnatura del giudizio avanti all’ABF e della serialità del ricorso., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Prestito Contro Cessione Del Quinto
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità domanda della perdurante segnalazione ricorrente è diretta ad ottenere una più precisa informazione circa le ragioni che hanno indotto l'intermediario a non accogliere la sua richiesta di concessione di fido. Il Collegio di Milano richiama e si uniforma alla decisione del Collegio di coordinamento n. 6182/2013 del 29.11.2013. A tale riguardo premette che non può considerarsi esistente, alla luce dell'attuale disciplina generale della materia, un diritto del cliente alla concessione del credito. L'intermediario, infatti, è certamente autonomo nelle proprie valutazioni in Centrale Rischi ordine alla concessione del nominativo credito in quanto afferenti alla sfera di discrezionalità nella gestione imprenditoriale. Di conseguenza, l'ABF non può sostituirsi al banchiere nella valutazione della convenienza di un'operazione creditizia. Tuttavia, tale discrezionalità tecnica si deve svolgere nei limiti dei principi di correttezza, buona fede e adeguata professionalità quale, in particolare, coniugato nelle norme primarie di settore (artt. 124, comma 5, e 127, comma 1, TUB) e nelle disposizioni della Banca d'Italia sulla "trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari". I principi e le disposizioni richiamate rendono, pertanto, sindacabile, limitatamente a tali profili, la condotta degli intermediari nell'esercizio del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artcredito. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo Si aggiunga che l'Autorità di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ▇▇▇▇, con la Comunicazione del garante22.10.2007, come affermato dal ricorrenteha indicato che, oqualora, viceversanell'ambito della propria autonomia gestionale, permangal'intermediario "decida di non accettare una richiesta di finanziamento, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione è necessario che . fornisca riscontro con sollecitudine al cliente. Nell'occasione, anche al fine di salvaguardare la relazione col cliente, andrà verificata la possibilità di fornire indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito". Tanto premesso, questo ABF ritiene che le comunicazioni inviate dall'intermediario all'odierna ricorrente non soddisfino né l'obbligo di collaborazione attiva nei confronti del cliente né il dovere di "assistenza" nei suoi riguardi quali risultano dalle disposizioni sopra sinteticamente richiamate. Infatti, nella lettera del 2.3.2013 di diniego della non risolta posizione debitoriarichiesta di credito, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali l'intermediario si limita ad indicare i parametri valutativi di cui si avvale a livello generale per le valutazioni delle richieste di credito, senza, tuttavia, indicare nello specifico quale/quali di questi parametri abbiano condotto l'intermediario ad una valutazione negativa del merito creditizio della ricorrente. La risposta dell'intermediario è all'evidenza una lettera standard inviata indifferentemente a tutta la clientela, mentre mancano del tutto indicazioni personalizzate, ancorché di carattere generale, laddove, sulla base degli esposti principi, la specifica indicazione delle motivazioni di esclusione del cliente dal credito è imprescindibilmente collegata alla costituzione della fideiussionedoverosa funzione che le risposte dell'intermediario sono destinate ad assumere ai fini dell'orientamento del cliente stesso nei suoi rapporti di credito presenti e futuri. In prospettiva generaleconclusione, occorre inoltre ricordare chepur restando ferma la insindacabilità della decisione dell'intermediario in ordine alla concessione del credito, la ricorrente ha senza dubbio diritto a ricevere indicazioni, anche se di carattere generale (in relazione alla Circolare quanto applicazione di criteri elaborati per la generalità della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -clientela), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioma pur sempre adeguatamente rapportate alle concrete circostanze individuali, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla ragioni del diniego di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.ccredito., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Informazioni Precontrattuali
DIRITTO. La questione ha Prima di esaminare nel merito la controversia sembra opportuno riportare alcuni aspetti essenziali ai fini della decisione. Non è controverso che il cliente avesse sottoscritto, in data 20/11/2006, una richiesta di carta di credito con la convenuta. In tale sede, la modalità di rimborso mensile prevista era “100% del saldo”. Origine del presente ricorso è l’“offerta” proposta dall’intermediario nel corso di una telefonata commerciale avvenuta in data 19/11/12 e le modifiche delle condizioni contrattuali che ne sarebbero risultate “convenute” dalle parti. Sul punto si rileva che: • Non è chiaro se sia stato il cliente a contattare la Banca o viceversa: dalla narrativa proposta dalla parte istante, la chiamata parrebbe essere nata su iniziativa dell’intermediario. Di converso, la convenuta afferma la circostanza per oggetto l’assunta illegittimità cui sarebbe stato il ricorrente a chiamare la Banca, riportando trascrizione della perdurante segnalazione chiamata effettuata. Si rileva che, dal tenore di quanto trascritto (che parrebbe provenire dal ricorrente), sembrerebbe, tuttavia, farsi riferimento ad un precedente contatto tra le parti. € 500, ma non pare chiarirsi se tale rata faccia riferimento al mero rimborso della liquidità concessa (come inteso dal ricorrente) oppure anche all’ulteriore ed eventuale utilizzo della carta (come applicato dall’intermediario). Ciò premesso e venendo all’esame del merito della controversia, giova rammentare che – in Centrale Rischi un quadro normativo ove la mancanza della forma scritta nei contratti di credito è sanzionata con il rimedio della nullità (seppure relativa) – le disposizioni della Banca d’Italia, emanate sulla base della delibera CICR del nominativo 4.3.2003 e del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi rinvio ad essa dell’art. 1957 c.c117, co. 2, TUB, prevedono espressamente, nella normativa in materia di “Trasparenza delle operazioni e servizi bancari e finanziari” (sez. Per accertare se nel caso III, par. 2), che “la forma scritta non è obbligatoria: a) per le operazioni e i servizi effettuati in esame l’obbligo esecuzione di segnalazione previsioni contenute in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato contratti redatti per estinzione dell’obbligazione iscritto”. Ora, ad avviso di questo Collegio, il mutamento della forma della restituzione del garantefinanziamento erogato per mezzo della carta di credito da “restituzione integrale” a “restituzione revolving” non può essere considerato operazione e/o servizio svolto in esecuzione delle previsioni contenute in contratti precedentemente redatti nella forma scritta – posto che il contratto stipulato tra le parti non pare prevedere alcun espresso riferimento alla possibilità di tale modifica – sicché la mancanza della forma scritta determina necessariamente la nullità delle relative pattuizioni. Le conseguenze di tale nullità impongono che l’intermediario proceda a riconteggiare le restituzioni reciproche, come affermato tenendo in considerazione le previgenti condizioni contrattuali. Ne deriva che, essendo stato utilizzato l’affidamento, i debiti in linea capitale dovranno essere restituiti all’intermediario secondo le condizioni originariamente stipulate. La domanda risarcitoria di € 500,00 formulata dal ricorrente, onon può, viceversainvece, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato essere accolta risultando non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioassolutamente generica, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario priva di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.cqualsiasi riscontro probatorio., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Financing Agreement
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio Il ricorso merita di essere accolto. L’istanza di accesso ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali documenti di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -alle lettere b), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012c) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussoree d) del contratto (a tenore punto 1) del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoricorso veniva giustificata dall’esigenza del dottor B.F., in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) euti singulus, di seguito, acquisire la segnalazione “a sofferenza” del nominativo documentazione richiesta al fine di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto meglio documentare le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese pretese risarcitorie vantate dallo stesso nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersidell’Amministrazione, ai sensi dell’art. 1957 c.c24, comma 7 della legge n. 241/90. Tale documentazione consiste nei curricula, schede informative, appunti e similia predisposti e/o valutati dall’Amministrazione per pervenire all’adozione dei provvedimenti di mobilità menzionati nella narrativa in fatto, in analoghi documenti relativi a funzionari direttivi della Polizia di Stato che attualmente prestano attività lavorativa presso gli uffici, organismi e/o amministrazioni specificamente indicati dai ricorrenti (autorità amministrative indipendenti, commissioni e/o uffici parlamentari, uffici studi, ricerche e consulenza e legislazione e affari parlamentari presso il Dipartimento della P.S., Servizio ordinamento e contenzioso c/o il Dipartimento della P.S., altre amministrazioni pubbliche), in atti e documenti dai quali sia possibile evincere quanto indicato nella nota dell’Amministrazione del 22.7.2010 in ordine alle difficoltà di carattere tecnico-applicativo per cui era stato sospeso lo svolgimento della procedura informatizzata per la gestione della mobilità, nonché ai programmi ed obiettivi dell’Amministrazione, di cui al comma 1, dell’art. 58 del d.P.R. n. 334/2000, valevoli dal maggio 2006 fino alla data di presentazione dell’istanza di accesso, con particolare riferimento agli incarichi cui aspirava il dottor B.F.. La partecipazione alla formulazione dell’istanza di accesso da parte della Federazione sindacale CONSAP Italia sicura ANIP veniva giustificata con riferimento all’interesse dell’organizzazione sindacale in questione alla tutela di un proprio dirigente sindacale oltreché del complesso dei suoi iscritti, interessati al buon andamento dell’Amministrazione di appartenenza. Non appare seriamente contestabile l’interesse diretto, concreto ed attuale del dipendente – che aspira a prestare servizio presso gli uffici direttivi dell’Amministrazione dell’Interno e presso gli altri organismi ed Amministrazioni specificamente indicati alle lettere b) e c) del punto 1 del ricorso – ad acquisire la documentazione relativa ad altri funzionari direttivi presa in considerazione e valutata dall’Amministrazione sia ai fini dell’adozione dei provvedimenti di mobilità di cui alla lettera a) del punto 1) del ricorso, sia ai fini dell’utilizzazione di altri funzionari presso gli uffici, organismi ed amministrazioni indicati alla lettera c) del punto 1) del ricorso. Analogo rilievo vale per i documenti indicati alla lettera d) del punto 1) del ricorso (atti e documenti dai quali sia possibile evincere quanto indicato nella nota dell’Amministrazione del 22.7.2010 in ordine alle difficoltà di carattere tecnico- applicativo per cui era stato sospeso lo svolgimento della procedura informatizzata per la gestione della mobilità, nonché ai programmi ed obiettivi dell’Amministrazione, di cui al comma 1, dell’art. 58 del d.P.R. n. 334/2000, valevoli dal maggio 2006 fino alla data di presentazione dell’istanza di accesso), anch’essi certamente rilevanti ai fini della valutazione della legittimità della procedura di mobilità in questione e dell’assegnazione degli incarichi cui aspira il dottor B.F. L’acquisizione di tale documentazione appare necessaria ai fini della valutazione della proponibilità di un’eventuale azione risarcitoria da parte del dr. B.F. nei confronti dell’Amministrazione. Né possono valere a precludere l’accesso ai documenti in questione – che deve essere consentito, ai sensi dell’art. 24, comma 7, della legge n. 241/90 – le considerazioni svolte dall’Amministrazione in ordine alla mancanza di provvedimenti che definiscano le dotazioni di personale direttivo degli uffici ai quali è interessato il dottor B.F. e comunque dell’assenza dal servizio dello stesso, essendo di tutta evidenza che si tratta di rilievi che attengono al merito delle pretese che il dottor B.F. potrebbe far valere in giudizio. La legittimazione all’accesso che deve esser riconosciuta in capo al dottor ▇.▇. ▇▇▇ singulus, estinta ein ragione della carica da questi ricoperta in seno all’organizzazione sindacale di cui è rappresentante legale l’altro ricorrente, pertantodeve essere estesa anche alla Federazione Consap-Italia Sicura (ANIP), non più giustificata la segnalazione quanto meno in considerazione del suo nominativo in Centrale Rischi.interesse differenziato e qualificato a tutelare gli interessi del dottor B.F..
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DIRITTO. La questione Il Collegio rileva che la vicenda, sulla base delle affermazioni delle parti e della documentazione a disposizione, può essere così riassunta: a) il padre del ricorrente era titolare di un rapporto di c/c n. ***108, di un deposito titoli, n. ***464, e di una polizza assicurativa vita; b) in data 13/04/2020 decedeva il padre; c) la richiesta di liquidazione pro quota fatta del ricorrente veniva respinta in ragione, come afferma l’intermediario, dell’opposizione manifestata dal fratello del ricorrente. Parte ricorrente formula essenzialmente due domande: (i) la liquidazione di parte dell’asse ereditario depositato sui conti accesi dal de cuius presso l’intermediario; (ii) il risarcimento del danno subito in conseguenza del precedente diniego. Quanto alla prima domanda, il Collegio, in punto di diritto, richiama anzitutto la decisione del Coll. Coord. n. 27252/18 la quale, sulla scia dell’ordinanza della Cassazione n. 27417/2017, ha per fissato il seguente principio di diritto: «Il singolo coerede è legittimato a far Il Collegio evidenzia che nei casi in cui vi è un conflitto tra il cointestatario superstite di un conto e gli eredi del cointestatario defunto – la giurisprudenza dei Collegi ABF ritiene legittimo il rifiuto dell’intermediario a procedere allo svincolo dei fondi (richiesto dal cointestatario iure proprio e non iure successionis) in caso di opposizione manifestata da uno dei coeredi, quando ciò sia oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi di specifica previsione contrattuale. Nel caso di specie, nessuna delle parti ha depositato la documentazione contrattuale e, di conseguenza, il Collegio ritiene che non sia documentata l’eventuale base negoziale dell’eccezione dell’intermediario. L’intermediario, inoltre, non documenta l’opposizione da parte del nominativo fratello del ricorrente, stante l’asserito venir meno pur se parte ricorrente non contesta la presenza della stessa, in punto di fatto. Ne consegue che la domanda avente ad oggetto la liquidazione di metà della quota di euro 15.726,97 giacente sul conto corrente può essere accolta; del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.cpari, deve essere accolta la domanda di liquidazione della somma di euro 6.746,14 reclamato dal ricorrente. Per accertare contro, non può essere accolta la domanda di liquidazione dell’intero deposito titoli in assenza di richiesta o adesione alla richiesta di apertura da parte dell’intermediario di un conto corrente “dedicato”, anche per gli adempimenti di natura fiscale, necessario per il trasferimento su di esso dei titoli ai fini della loro liquidazione. Ciò anche in considerazione del fatto che al seguito della morte del de cuius si viene a creare una comunione ereditaria sui titoli caduti in successione e il diritto alla liquidazione spetta solamente dopo la loro vendita. Da ultimo, in relazione alla domanda di risarcimento danni, il Collegio rileva che parte ricorrente individua il danno subito “nell’aggravio di costi - inerenti gli interessi, le spese legali e gli oneri tributari - addebitati alla società ingiunta” in relazione a due decreti ingiuntivi di cui la società era stata destinataria; decreti ingiuntivi che sarebbero stati evitati – afferma – se nel caso il ricorrente avesse potuto disporre tempestivamente delle somme di cui all’esse ereditario. Si deve osservare che parte ricorrente è citato quale fideiussore in esame l’obbligo di segnalazione uno dei due decreti ingiuntivi notificati alla società (quello da circa € 3.000,00). Tuttavia, dalla narrazione dei fatti risulta che i costi aggiuntivi in Centrale ▇relazione a tale decreto ingiuntivo siano stati sopportati dalla società precettata e, dunque, da un soggetto separato ed indipendente rispetto a parte ricorrente. ▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, non potrebbero nemmeno essere reclamati dal ricorrente ma dalla società. Il Collegio evidenzia, altresì, che parte ricorrente nulla argomenta circa eventuali danni subiti in proprio, in via indiretta o riflessa, né fornisce informazioni circa lo stato patrimoniale della società atte a dimostrare che i decreti ingiuntivi non si sarebbero potuti evitare in altro modo. L’intermediario, al riguardo, rimarca come detti debiti fossero sorti anteriormente alla morte del de cuius e, quindi, in un momento in cui il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’artnon poteva comunque fare affidamento sulle sostanze ereditarie. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare Ne consegue che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali domanda di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente risarcimento danni non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cpuò trovare accoglimento., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. Con il primo motivo di doglianza la ricorrente lamenta la mancata indicazione del TAEG/ISC nel contratto, e quindi l’indeterminatezza del tasso pattuito, con conseguente sostituzione, ex art. 117, comma 7, del TUB, del tasso convenuto con il tasso minimo dei BOT mensili, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto e restituzione delle somme indebitamente corrisposte. Ai sensi delle Disposizioni della Banca d’Italia sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari applicabili all’epoca della conclusione del contratto de quo (provvedimento del 29.7.2009) ed in particolare del paragrafo 8 “Indicatore sintetico di costo”, punto 8 “Finanziamenti”, “Il foglio informativo e il documento di sintesi riportano un indicatore sintetico di costo denominato “Tasso Annuo Effettivo Globale” (TAEG) quando riguardano le seguenti categorie di operazioni indicate nell'Allegato alla delibera del CICR del 4 marzo 2003: mutui; anticipazioni bancarie; altri finanziamenti; aperture in conto corrente offerte a clienti al dettaglio. Il TAEG è calcolato secondo quanto previsto dalla disciplina in materia di credito per i consumatori (Sezione VII, paragrafo 4.2.4 e Allegato 5B)”. Dalle succitate disposizioni si desume che le norme di trasparenza estendono il metodo di calcolo del TAEG, previsto per i rapporti di credito con i consumatori, solo ad alcuni rapporti di credito instaurati con soggetti che non abbiano, come nel caso di specie, tale natura. Si tratta pertanto di verificare se le operazioni di leasing finanziario, qual è quella oggetto della presente controversia, siano comprese nell’ambito della predetta disposizione e nello specifico in una delle categorie di operazioni previste ai fini dell’indicazione dell’ISC con le modalità di calcolo previste per il TAEG nei contratti di credito ai consumatori. Escluse le categorie di finanziamenti specificatamente individuate (mutui e anticipazioni bancarie oltreché aperture in conto corrente) che sono chiaramente estranee alla natura delle operazioni di leasing finanziario, si tratta in sostanza di valutare se la categoria “altri finanziamenti” includa, nella sua formulazione di ordine generale, le operazioni in parola. Come affermato dal Collegio di Milano (dec. 4974/2015) “ la riconducibilità … alla categoria residuale degli “altri finanziamenti” è da negarsi in ragione del chiaro enunciato di cui al § 1 della … Sez. II delle Norme di Trasparenza, là dove, nell’individuare l’ambito applicativo della materia, la disposizione elenca i seguenti servizi e operazioni: “depositi; certificati di deposito (secondo quanto previsto dalla sezione I); finanziamenti (mutui; aperture di credito; anticipazioni bancarie; crediti di firma; sconti di portafoglio; leasing finanziario; factoring; altri finanziamenti) che non configurano operazioni di credito ai consumatori ai sensi della sezione VII”. La questione ha disposizione distingue con estremo nitore, nell’insieme dei finanziamenti, il leasing finanziario dagli “altri finanziamenti” con ciò precludendo l’ascrivibilità del primo alla categoria residuale in parola. Ne consegue che l’estensione della metodologia di calcolo del TAEG all’ISC non investe il contratto di leasing finanziario il cui ISC verrà conteggiato secondo i criteri suoi propri e non già secondo quelli che conducono alla formazione del TAEG in ragione della carenza dell’estensione metodologica per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione siffatta tipologia di finanziamento. […]”. In sostanza il costo dell’operazione in Centrale Rischi parola risulta sufficientemente determinato attraverso l’indicazione del nominativo “tasso leasing” iniziale, calcolato secondo i criteri di attualizzazione dei flussi previsti dalle pertinenti disposizioni di vigilanza, e del relativo parametro finanziario di indicizzazione. Quanto alla prima doglianza il ricorso è pertanto infondato. Con il secondo motivo di doglianza la ricorrente, stante l’asserito venir meno ribadendo quanto già contenuto nel reclamo, lamenta il superamento del suo obbligo fideiussorio “tasso soglia” da parte del tasso di mora e chiede pertanto, previa dichiarazione di nullità della relativa clausola, la restituzione di ogni somma e/o compenso corrisposto a seguito del ritardo nel pagamento delle rate del finanziamento, ai sensi dell'art. 644 c.p. e dell’art. 1957 1815 c.c., secondo comma. Nel caso di specie, il contratto di leasing finanziario fissa il tasso corrispettivo (tasso interno di attualizzazione) al 5,44% (indicizzato all’Euribor a 3 mesi) e il tasso di mora in misura pari all’Euribor a 3 mesi maggiorato di 10 punti percentuali. E’ inoltre prevista, quale ulteriore voce di costo in caso di ritardo nei pagamenti, la corresponsione del 15% degli importi insoluti, per il relativo incasso, anche tramite intervento di agenzie esterne specializzate. Secondo la ricorrente il “tasso soglia” vigente nel primo trimestre del 2010 era pari al 9,84%, se si considera come data di stipula il 19.1.2010; quello vigente nel secondo trimestre del 2010, l’8,325%, se si considera come data di stipula il 13.5.2010: entrambi i livelli del “tasso soglia” sono inferiori al tasso di mora. Ciò detto occorre peraltro rilevare che il Collegio di coordinamento ha affrontato in generale il tema dell’usurarietà degli interessi moratori (anche a seguito di alcune pronunce della Corte costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione) pervenendo alla conclusione che deve escludersi l’estensione agli interessi di mora della disciplina riguardante l’usura. Nella decisione n. 1875/2014 (cfr. p. 14 e ss. cui si fa rinvio), il Collegio ha precisato, in particolare, che: “il punto è comunque risolto dal diritto positivo, posto che l’art. 1224 c.c. Per accertare se indica con chiarezza la specifica funzione degli interessi moratori e la loro radicale differenza rispetto agli interessi corrispettivi. Pertanto alla luce dei dati positivi e della loro ratio la tesi della equivalenza tra interessi moratori ed interessi corrispettivi emerge come insostenibile”. Da ciò il Collegio ha fatto conseguire la non configurabilità degli interessi di mora come “usurari”, in quanto “non possono essere assoggettati alla disciplina relativa agli interessi usurari elementi di costo del credito che non siano contemplati nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale calcolo dei tassi soglia” (cfr. dec. cit., pp. 16 e 18). Quanto sopra non vuol dire, come anche recentemente affermato da questo stesso ▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014dec. 8392/2015). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa tale conclusione equivalga a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principalesottrarre gli interessi moratori da qualsivoglia vaglio di legittimità, da individuarsi nella risoluzione del contratto dovendosi avere riguardo, trattandosi nel caso di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla specie di un affidamento della posizione debitoria ad una società contratto stipulato con un soggetto non consumatore, al potere officioso del giudice di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersiridurre, ai sensi dell’art. 1957 1384 c.c., estinta eil tasso convenzionale degli interessi moratori ove manifestamente eccessivo (cfr. sempre Coll. di Coord. Dec. 1875/2014). Nella predetta decisione il Collegio di ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ha affermato che la mancata disponibilità, pertantoda parte del Collegio medesimo, di parametri di giudizio sufficienti per pronunciarsi circa l’eccessività degli interessi moratori pattuiti non pregiudica l'esercizio officioso del potere del giudicante, il cui potere di controllo è ad esso attribuito non nell'interesse della parte, ma nell'interesse dell'ordinamento, per evitare che l'autonomia contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutela delle posizioni soggettive delle parti appare meritevole di tutela. Il Collegio di Coordinamento è consapevole che, in caso di ritardato pagamento, la maggiorazione stabilita contrattualmente rispetto agli interessi corrispettivi, secondo quanto rilevato nel 2001 dalla Banca d’Italia, era mediamente pari a 2,1 punti percentuali. Ritiene peraltro che quanto all’epoca rilevato costituisca un dato non sufficiente ai fini della individuazione di un tasso soglia applicabile anche agli interessi moratori che può, invece, fornire indicazioni concorrenti con altre al fine di formare nel giudicante il razionale convincimento della eccessività della misura degli interessi moratori pattuiti. Afferma inoltre il Collegio che “… sia la valutazione di sproporzione sia la misura della susseguente riduzione non può prescindere dal rapporto quantitativo intercorrente tra i tassi corrispettivi e quelli moratori convenzionalmente predefiniti. Infatti benché i due tipi di tassi siano assai diversi tra loro per natura e funzioni, tuttavia entrambi incorporano la stima del sacrificio che il prestatore accetta di subire per trasferire una somma di denaro dalla propria sfera patrimoniale nella sfera di disponibilità altrui. Ne discende che … la elisione di ogni rapporto di proporzionalità comporta conseguenze inaccettabili perché contraddittorie con la premessa già assunta circa l’applicabilità del disposto dell’art. 1384 c.c. ai tassi moratori e che … la riduzione degli interessi moratori si impone quando la funzione assegnata alla misura pattizia degli interessi moratori sia completamente scollegata dalla stima del sacrificio illecitamente imposto al prestatore di denaro per assumere quella di atterrire il debitore. […]” Alla luce di quanto detto, occorre raffrontare la misura del tasso del leasing, indicizzato all’Euribor a 3 mesi, pari al 5,44% all’atto della stipula del finanziamento, e la misura del tasso di mora (pari al tasso Euribor a 3 mesi maggiorato di 10 punti percentuali, quale risultante dalla relativa previsione contrattuale che non coincide con quella citata dalla ricorrente nel ricorso, secondo cui la maggiorazione sarebbe di 8 punti percentuali). Non risulta dalla documentazione in atti quando si siano verificati i ritardi dei pagamenti che hanno cagionato, a carico della ricorrente, l’applicazione degli interessi di mora e di cui si chiede la restituzione. Da una semplice verifica dell’andamento del tasso Euribor a tre mesi dall’epoca di conclusione del contratto di leasing a quella del ricorso può notarsi come nel periodo considerato tale tasso dall’iniziale 0,65 circa abbia raggiunto una punta di circa 1,60% nella seconda metà del 2011 per poi discendere considerevolmente attestandosi dalla seconda metà del 2012 a un livello poco superiore allo zero fino a raggiungere livelli negativi. In base alla comparazione dei livelli del tasso corrispettivo e di quello del tasso di mora, cui vanno aggiunte le ulteriori componenti di costo a carico del finanziato in caso di ritardo nei pagamenti e nello specifico il pagamento del 15% degli importi insoluti per il relativo incasso, quanto pattuito in caso di ritardati pagamenti risulta manifestamente eccessivo. Ai sensi dell’art. 1384 c.c. si ritiene equa la riduzione del tasso di mora ad un saggio pari a quello del tasso leasing dell’operazione de quo aumentato di 2,1 punti percentuali, incremento che rappresenta, nella citata rilevazione della Banca d’Italia, la maggiorazione mediamente applicata ai tassi corrispettivi in caso di ritardo nei pagamenti. Da ciò discende l’obbligo di restituzione alla ricorrente di quanto percepito in eccesso, a tale titolo. Con la terza ed ultima doglianza la ricorrente richiede che, accertati la mancata consegna del contratto in originale ed il mancato adempimento delle comunicazioni di trasparenza, siano assunti i provvedimenti ritenuti più giustificata opportuni. Si osserva a riguardo che la segnalazione documentazione contrattuale, sottoscritta a nome della resistente seppur priva di data in calce, risulta allegata al ricorso. L’esatta data di stipula (19.1.2010 ovvero 13.5.2010 come può alternativamente desumersi dal testo del suo nominativo contratto) non è oggetto di contestazione né appare rilevante ai fini della decisione sul ricorso. Quanto all’invio delle comunicazioni periodiche previste dalla normativa in Centrale Rischitema di trasparenza non risulta alcuna evidenza fornita a riguardo dalla resistente. Tuttavia la richiesta di un accertamento finalizzato all’assunzione dei “provvedimenti ritenuti più opportuni” appare implicare, se del caso, l’espletamento di un’attività finalizzata all’irrogazione di sanzioni che esula dalla competenza dell’Arbitro.
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Sources: Contract of Financial Leasing
DIRITTO. La questione ha Il servizio POS (point of sale) è una convenzione accessoria a un contratto bancario, con la quale l’intermediario (acquirer) pone a disposizione del cliente un apparato con il quale, una volta collocato presso punti vendita o di erogazione di servizi, è possibile un trasferimento telematico di fondi dal conto corrente dell’utente a quello dell’esercente, a sua volta cliente dell’istituto bancario; il contratto si configura certamente come atipico, giacché presenta profili propri della locazione, quanto all’uso del terminale, ma prevede anche la contabilizzazione e rendicontazione dei pagamenti, la reportistica e gestione delle controversie, la comunicazione dei flussi informativi con i circuiti di pagamento entro i quali il servizio si inserisce (in genere, mediante una delega all’acquirer a installare i POS), a fronte di commissioni e altri oneri. Il rilievo assorbente della gestione delle transazioni effettuate mediante il terminale rispetto al profilo della messa a disposizione del terminale, strumentale esclusivamente all’esecuzione del servizio, induce a ritenere che la disciplina del contratto vada ricostruita sulla base della normativa in materia di rapporti bancari e, per oggetto l’assunta illegittimità quanto riguarda l’oggetto della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentepresente controversia, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artsecondo gli artt. 1957 c.c126 bis ss. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale t.u.b., introdotti dal ▇.▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione . 13 agosto 2010, n. 141, e modd. del garanteD.Lgs. 14 dicembre 2010, come affermato n. 218. Ciò premesso, in punto di fatto non è contestato dall’intermediario che la ricorrente abbia formulato il recesso dal ricorrentecontratto di servizio del POS in data 5 novembre 2014, omentre sostiene, viceversaperò, permangache l’efficacia della dichiarazione di scioglimento andrebbe posticipata al momento in cui la cliente ha provveduto alla restituzione del terminale. A sostegno della sua eccezione, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoriaha invocato l’art. 17 del contratto che, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c.rubricato “Durata del contratto”, richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare stabilisce che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -caso di richiesta di chiusura da parte dell’esercente, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando banca si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (obbliga a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e provvedervi entro il termine entro il quale agire per l’adempimentomassimo di quindici giorni lavorativi dalla ricezione, in deroga “fatto salvo – però – l’adempimento di tutti gli obblighi contrattuali a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantitacarico dell’esercente”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) ; e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, dell’art. 20, dedicato agli “Obblighi dell’esercente in caso di scioglimento del contratto”, in forza del quale il ricorrente sia ancora obbligato oppure no cliente si obbliga, tra l’altro, a corrispondere la commissione per il terminale relativa al pagamento delle mese in corso, nonché le spese per la disattivazione, e a restituire tutto quanto consegnatogli in uso e, in mancanza di restituzione del terminale, a corrispondere un importo forfettario di euro 200,00. A tale ultimo proposito, appare subito opportuno precisare che non risulta che l’intermediario abbia mai richiesto somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno diverse da quelle addebitate a titolo di corrispettivo per l’uso del POS oggetto della permanenza contestazione della segnalazione del suo nominativo ricorrente. A questo punto, va rilevato che, in Centrale Rischi, sia come garante, sia, disparte di seguito, come debitore “una formulazione della clausola contrattuale in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti parte non corretta – ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specieesempio, a fronte della contestazione dell’esercizio del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il creditorecesso, parte resistente non ha offerto senso la previsione dell’obbligo dell’intermediario a provvedervi, giacché si tratta dell’attuazione di un diritto potestativo rispetto al quale il destinatario ha una mera posizione di soggezione e nulla deve e può fare se non indicazioni generiche circa subire gli effetti della dichiarazione – ciò che deve essere stabilito è il rapporto tra il recesso, la sua efficacia e l’eventuale pendenza di rapporti di dare/avere tra le attività intraprese parti. Soccorre sul punto la disciplina dettata dall’art. 126 septies tub che prevede il diritto di recesso senza spese del cliente, in caso di modifiche delle condizioni contrattuali, stabilite unilateralmente, e non accettate. Un diritto che si colloca nell’ampio riconoscimento della facoltà del cliente di sciogliersi dal contratto in ogni momento (prevista, per i servizi di pagamento dall’art. 126 sexies e, in via generale, dall’art. 120 bis tub), di guisa che è possibile richiamare il principio, espresso univocamente per ogni fattispecie di recesso dai contratti bancari, in forza del quale la cessazione del rapporto di conto corrente, che si produce per effetto della dichiarazione recettizia del correntista, è del tutto autonoma ed indipendente rispetto alla sussistenza, o meno, di una esposizione del correntista medesimo nei confronti dell’obbligato principale dell’intermediario banca (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996ex pluribus ABF Milano decisione n. 1267/2011). Da ciò consegue cheE’ evidente, risultando inutilmente trascorsi più peraltro, come si tratti di 36 mesiun’applicazione della disciplina generale del contratto, l’obbligazione fideiussoria nella quale lo scioglimento del vincolo determina la nascita delle obbligazioni restitutorie. Alla luce di tanto, deve ritenersi non legittima la prospettazione dell’intermediario che ha inteso collocare cronologicamente l’efficacia del recesso alla data nella quale il cliente ha provveduto a carico restituire il terminale utilizzato per il servizio POS; e parimenti non legittima il conseguente addebito del ricorrente debba ritenersicanone periodico, ai sensi dell’art. 1957 c.cche deve essere restituito nell’importo percepito dopo il 5 novembre 2014., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Service Agreement
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed Nota il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo un orientamento ormai consolidato, il prevalente orientamento della Cassazioneius variandi riconosciuto agli intermediari – ancorché l’art. 118, esclude l’operare comma 2, del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. CassD.Lgs. n. 16836/2015: 385/1993preveda la formula “nell’ipotesi proposta di modifica unilaterale del contratto” – configura un diritto potestativo, che attribuisce il potere di modificare la sfera giuridica della controparte, indipendentemente dall’accettazione o del rifiuto di quest’ultima. Gli effetti sono risolutivamente condizionati all’esercizio del recesso, potere riconosciuto in cui capo al cliente che subisca la durata modifica, in senso a sé sfavorevole, delle condizioni contrattuali. Va ricordato che il nuovo testo dell’art. 118 del D.Lgs. n. 385/1993 – risolvendo problemi di una fideiussione coordinamento tra la disciplina dei contratti bancari e il Codice del consumo – richiede espressamente l’indicazione di un “giustificato motivo” con la proposta di modifica. Sull’esercizio del ius variandi e sulla nozione di giustificato motivo appare utile la Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico del 21/2/2007 la quale – risolto il giustificato motivo in “eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario” – ha precisato che “tali eventi possono essere sia correlata non quelli che afferiscono alla scadenza La citata disposizione impone al creditoresfera del cliente (ad esempio, il qualemutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, dopo la scadenza dell’obbligazione principaletassi di interesse, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”inflazione ecc.). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza “Il cliente deve essere informato circa il giustificato motivo alla base della modifica unilaterale, in maniera sufficientemente precisa e tale da consentire una valutazione circa la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base”. Dall’esame dei documenti in atti emerge che,nella “proposta di modifica delle condizioni contrattuali” si fa genericamente riferimento ad un “andamento sfavorevole della congiuntura economica e della qualità del credito”. Non sono allegati fatti o circostanze concrete tali da poter essere verificate, sicché non appare soddisfatto il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione requisito essenziale del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cassgiusto motivo. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento Donde l’inefficacia della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cvariazione unilaterale., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Mutuo Fondiario
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità .1 – Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla parte resistente. Tale eccezione risulta infondata, posto che non potrebbe ravvisarsi una decisione di tipo costitutivo nell’ipotesi di accoglimento della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato domanda formulata dal ricorrente, oconsiderato che l’eventuale accertata inefficacia della modifica unilaterale formulata dall’intermediario dovrebbe determinare la permanenza tra le parti delle originarie pattuizioni presenti nelle condizioni generali di contratto, viceversanon potendosi astringere il cliente in quella che questo Collegio ha già in passato definito come “implacabile alternativa” fra l’accettazione della modifica e la rinuncia ai servizi bancari (in tal senso, permangaseppur con riguardo all’ipotesi di modifica unilaterale dei tassi di interesse in un contratto di mutuo, cfr. Coll. Roma, dec. n. 10006/16). .2 – Nel merito deve rilevarsi quanto segue. Innanzitutto occorre verificare se (e in che misura) l’intermediario possa modificare – come sostenuto dalla parte resistente sarebbe avvenuto nel caso qui in considerazione della non risolta posizione debitoriaoggetto – le condizioni di un contratto a tempo indeterminato. Sul punto viene in rilievo l’art. 118 T.U.B., occorre rifarsi sia in tema di c.d. ius variandi, che – in deroga al principio generale di cui all’art. 1957 1372 c.c. - prevede che “Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo”. La norma prosegue, stabilendo, poi, sotto il profilo procedurale, che “Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: ‘Proposta di modifica unilaterale del contratto’, con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente”. Infine, è previsto che “La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tal caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate”. Secondo un consolidato orientamento di questo Arbitro, premesso che l’art. 118 T.U.B. risulta applicabile anche alle modifiche normative e regolamentari del contratto (cfr., richiamato dall’una di recente, Coll. Roma, dec. n. 2505/17): - la modifica da parte dell’intermediario delle condizioni previste nei contratti a tempo indeterminato è possibile solo ove il contratto preveda espressamente tale possibilità e dall’altra parte solo in caso di giustificato motivo. Dovendosi a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare contrario ritenere che, in relazione difetto di previsione contrattuale o della ricorrenza di un giustificato motivo, la facoltà di modifica da parte dell’intermediario sia esclusa; - quand’anche l’intermediario possa procedere alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Capmodifica unilaterale delle condizioni contrattuali, è fatta salva la possibilità per il cliente di recedere dal contratto. II - Classificazione dei rischi -Ciò premesso, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. relativamente al caso in esame, pare occorre osservare quanto segue. In primo luogo, deve rilevarsi che non doversi dubitaresono versati in atti i contratti a cui si riferirebbero le modificazioni in oggetto. Sì che non è dato verificare la presenza, o meno, della previsione a favore dell’intermediario della facoltà di modifica unilaterale della condizioni contrattuali per giustificato motivo Inoltre deve, altresì, rilevarsi che l’adozione delle modalità di firma proposte dall’intermediario è regolata da una specifica disciplina di settore. Al riguardo viene in rilievo, innanzitutto, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 febbraio 2013, “Regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme elettroniche avanzate, qualificate e digitali”, che disciplina, in via generale, sia la firma digitale, sia la firma grafometrica (avanzata), in quanto ‘firme elettroniche avanzate’. Tale D.P.C.M. prevede espressamente all’art. 57 del D.P.C.M. - regolante gli obblighi a carico dei ‘soggetti che erogano soluzioni di firma elettronica avanzata’ (quale è, in questo caso, l’Intermediario resistente) - che tali soggetti debbano: l’art- “a) identificare in modo certo l’utente tramite un valido documento di riconoscimento, informarlo in merito agli esatti termini e condizioni relative all’uso del servizio, compresa ogni eventuale limitazione dell’uso, subordinare l’attivazione del servizio alla sottoscrizione di una dichiarazione di accettazione delle condizioni del servizio da parte dell’utente; - […] h) assicurare, ove possibile, la disponibilità di un servizio di revoca del consenso all’utilizzo della soluzione di firma elettronica avanzata e un servizio di assistenza”. 5 Sì che dalla normativa in esame sembra potersi ricavare che la disciplina di settore richieda, ai fini dell’impiego di tali modalità di firma, l’assenso del titolare espresso per iscritto. Pertanto, rilevato che la disciplina di settore allo scopo di salvaguardare la consapevole scelta del soggetto interessato in ordine all’utilizzo delle suddette modalità di firma presuppone il suddetto assenso scritto, rilevato, altresì, che non sembrano emergere ragionevoli motivi per escluderne l’applicazione nell’ambito dei contratti bancari, deve concludersi che, in virtù di una interpretazione sistematica della intera normativa di riferimento, per dar corso a quella particolare modifica del contratto che introduca tanto la firma digitale quanto la firma grafometrica avanzata, è necessario – oltre alla previsione contrattuale di uno ius variandi e il ricorrere, in concreto, di un giustificato motivo – l’assenso scritto da parte del cliente. Requisiti, questi, non soddisfatti nella vicenda in esame. Peraltro, con particolare riguardo alla firma grafometrica – che, richiedendo il trattamento di dati biometrici, involge profili di tutela della privacy – il quadro di diritto si arricchisce di ulteriori prescrizioni normative. Sul punto, premesso che, secondo l’orientamento dell’Arbitro, questo è competente a conoscere delle controversie che impingono le materie disciplinate dal Codice della Privacy (Responsabilità o da testi normativi adottati ai suoi sensi), quante volte venga dedotta in giudizio una violazione “riconducibile o comunque connessa all’esecuzione da parte dell’intermediario di servizi od operazioni bancari e finanziari” (cfr. Coll. Roma n. 984/2016), vengono in rilievo, innanzitutto, le ‘Linee Guida in materia di riconoscimento biometrico e firma grafometrica’ allegate al ‘Provvedimento generale prescrittivo in tema di biometria n. 513’, adottate dall’Autorità Garante della Privacy il 12 novembre 2014. In particolare, all’art. 4.1 (Liceità) di tale provvedimento si stabilisce, nell’ambito dei Principi Generali cui è informato il trattamento dei dati biometrici (quale è la firma grafometrica), che i soggetti privati (a differenza di quelli pubblici) “prima di iniziare il trattamento, devono, di regola, acquisire il consenso informato dell’interessato, che è sempre revocabile e deve essere manifestato in forma libera ed espressa, ossia deve essere scevro da eventuali pressioni o condizionamenti, fermi restando i casi in cui si è in presenza di uno dei presupposti equipollenti (artt. 23 e 24 del fideiussore) Codice)”. In secondo luogo, e più in particolare, viene in rilievo il Provvedimento dell’Autorità Garante della Privacy denominato «Rettifica alla Deliberazione n. 513 del 12 novembre 2014 recante 'Provvedimento generale prescrittivo in tema di biometria'» del 15 gennaio 2015 (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 34 dell'11 febbraio 2015). Tale provvedimento precisa, con riguardo al trattamento dei dati biometrici costituiti da informazioni dinamiche associate all'apposizione a mano libera di una firma autografa, che «il presupposto di legittimità del trattamento dei dati biometrici è dato dal consenso, effettivamente libero degli interessati ovvero, in ambito pubblico, dal perseguimento delle finalità istituzionali del titolare. Il consenso è espresso dall'interessato all'atto di adesione Pertanto, come già rilevato, nella vicenda in oggetto, in difetto del necessario assenso scritto – e in presenza, come nel caso di specie, addirittura di un rifiuto scritto – la modifica unilaterale del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone quand’anche fosse stata prevista dal contratto al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla ricorrere di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, giustificato motivo ai sensi dell’art. 1957 118 T.U.B) deve ritenersi non perfezionata. Ciò detto, occorre ulteriormente valutare se l’esercizio di tale rifiuto da parte del cliente possa tradursi nella facoltà, per l’intermediario, di negare i propri servizi o nell’onere, per il cliente, di esercitare il recesso dal contratto. Una simile soluzione, tuttavia, appare in contrasto con il dovere di correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. – anche tenuto conto dell’onere modesto che, in concreto, il ricorrente sembra richiedere all’intermediario nell’adempimento delle sue obbligazioni contrattuali. Diversamente opinando, poi, come già osservato, finirebbe per astringersi il cliente in quella che questo Collegio ha ritenuto rappresentare una “implacabile alternativa” fra l’accettazione della modifica e la rinuncia ai servizi bancari (cfr., estinta eancora, pertantoColl. Roma, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo dec. n. 10006/16). Sì che deve ritenersi, una volta accertato il mancato perfezionamento della modifica unilaterale formulata dall’intermediario, che il resistente abbia diritto a vedere applicate le originarie condizioni contrattuali in Centrale Rischimateria di firma previste nei diversi contratti stipulati con l’intermediario stesso.
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Sources: Contract Modification Proposal
DIRITTO. La questione controversia ha per ad oggetto l’assunta illegittimità la domanda di risarcimento del danno provocato dall’asserito ritardo da parte dell’intermediario convenuto nel comunicare l’esito negativo della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del richiesta di finanziamento, presentata dalla ricorrente, stante l’asserito venir per il quale questa aveva già ottenuto la garanzia del Confidi. Al riguardo, il Collegio richiama il costante orientamento dell’Arbitro (v. per tutte, Collegio di coordinamento, n. 6182/13), per il quale, non può dirsi esistente, nel nostro ordinamento un obbligo dell’intermediario di erogare credito, né tanto meno l’ABF può sostituirsi ad un intermediario per valutare la convenienza di un’operazione e per imporgli la concessione di un finanziamento. Nel contempo, però, è del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali pari indubitabile che anche nell’esercizio dell’attività creditizia “la discrezionalità tecnica di cui alla costituzione indiscutibilmente gli intermediari dispongono ... non può che svolgersi all’interno del perimetro segnato dai limiti di correttezza, buona fede e specifico grado di professionalità che l’ordinamento loro richiede, il che rende certamente sindacabile, limitatamente a tali profili la condotta degli stessi nello svolgimento di tale attività” (Collegio di Napoli, 3181/15; Collegio di Roma, n. 2625/2012). Sotto quest’ultimo profilo, si può rilevare come la normativa regolamentare si sia assunta il compito di rendere il più possibile espliciti i parametri di riferimento della fideiussionecorrettezza e buona fede dell’intermediario nella materia che qui occupa: - ad esempio, nella Comunicazione Banca d’Italia del 22 ottobre 2007 (Bollettino di Vigilanza n. 10 dell’ottobre 2007) in tema di rifiuto di una richiesta di finanziamento, in particolare, è precisato che qualora la banca, nell’ambito della propria autonomia gestionale, “decida di non accettare una richiesta di finanziamento, è necessario che l’intermediario fornisca riscontro con sollecitudine al cliente; nell’occasione, anche al fine di salvaguardare la relazione con il cliente, andrà verificata la possibilità di fornire indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito”; - nella Circolare ABI del 22 gennaio 1996, n. 6, che ha reso pubblico il Codice di comportamento del settore bancario e finanziario, in forza del quale, nello svolgimento dell’istruttoria delle domande di finanziamento, è sancito che “l’aderente (banca) si atterrà alle specifiche regole di comportamento di seguito indicate, poste nell’interesse generale dei clienti e a tutela degli stessi. In prospettiva generaleparticolare, occorre inoltre ricordare cheesso si impegna a: - ridurre il più possibile i tempi per le decisioni sulle richieste di affidamento, in relazione alla Circolare tenendo conto della propria struttura organizzativa, delle procedure interne e della tipologia del fido richiesto; - seguire criteri di trasparenza nelle procedure per la valutazione delle richieste di affidamento al fine di consentire la conoscenza dello stato di avanzamento della pratica di fido”; - ed ancora nella Comunicazione della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 993215 del 26-11-2012 (Cap. II - Classificazione in tema di segnalazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto Prefetti previste dall’art. 1957 c.c.27-bis, si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabilecomma 1-quinquies, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.d. l.
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Sources: Credit Agreement
DIRITTO. La questione ha In via preliminare, il Collegio deve esaminare l’eccezione sollevata dall’intermediario, secondo il quale il ricorso sarebbe improcedibile per oggetto l’assunta illegittimità carenza del preventivo reclamo. A tal proposito, il Collegio ricorda che, ai sensi della perdurante segnalazione Sez. I, par. 3 delle Disposizioni di risoluzione stragiudiziale delle controversie in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentemateria di operazioni e servizi bancari e finanziari, stante l’asserito venir meno è definito reclamo “ogni atto con cui un cliente chiaramente identificabile contesta in forma scritta all’intermediario un suo comportamento omissivo”. Tuttavia, si ricorda che il consolidato orientamento ABF ritiene che anche la richiesta di documentazione inviata dal cliente all’intermediario possa essere assimilata ad un reclamo, ogni qual volta contenga una sostanziale contestazione del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artoperato; di conseguenza, dato che, nel caso di specie, la società ha richiesto il contratto in oggetto in data 20/11/2015 e 30/03/2016, contestualmente contestando il comportamento omissivo dell’intermediario, il Collegio respinge l’eccezione formulata dalla resistente. 1957 c.cVenendo al merito della questione, innanzitutto, il Collegio sottolinea che l’art. Per accertare se 119, co. 4, TUB stabilisce che “il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni”. Tale norma stabilisce, quindi, il diritto del cliente ad ottenere tutti i documenti relativi alle operazioni svolte e, quindi, anche i contratti di finanziamento, come nel caso in esame l’obbligo questione, e il corrispondente dovere dell’intermediario di segnalazione conservare tutta la documentazione del cliente e di adempiere in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione tempi congrui alla richiesta inoltratagli. Inoltre, il Collegio ricorda che quanto esposto discende dal più generale principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artcontratto di cui agli artt. 1957 1175 e 1375 c.c., richiamato dall’una principi a cui l’intermediario deve ispirare la propria condotta nei rapporti con i clienti, eseguendo le richieste rivoltegli senza opporre un ingiustificato ostruzionismo. Appare, invece, a questo Collegio che la condotta dell’intermediario, che si è rifiutato di consegnare il documento richiesto, adducendo quale giustificazione l’intervenuta transazione della parte e dall’altra parte l’estinzione del rapporto a sostegno delle proprie opposte ragionicui il contratto in oggetto si riferisce, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediariodel tutto contraria a tali principi, ma sia anche in violazione di quanto prescritto dal citato articolo 119 TUB, visto che l’obbligo di conservazione imposto all’intermediario riguarda tutti i presupposti che ne legittimano la cancellazionedocumenti inerenti ad operazioni svolte negli ultimi dieci anni, precisando come “l’obbligo dell’intermediario periodo di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno tempo in cui rientra il contratto in controversia, seppure ormai il rapporto garantito’” (Collegio è estinto. Per tali motivi, non vi è dubbio che la parte ricorrente abbia il diritto di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante ottenere la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione copia del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da a cui è conseguita ha aderito e di tutta la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) documentazione che ha sottoscritto e, di seguitoconseguenza, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo l’istanza della ricorrente è fondata e merita di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.cessere accolta., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Financing Agreement
DIRITTO. La questione ha Commissione osserva, preliminarmente, che la disciplina in tema di accesso ai documenti amministrativi, di cui agli artt. 22 (lettera e) e 23 della L. 7 agosto 1990 n. 241, si applica a tutti i soggetti di diritto pubblico e anche agli “enti pubblici non economici”. L’Ordine dei Farmacisti è un ente pubblico non economico ausiliario dello Stato, sul quale vigilano alcuni ministeri. L’Ordine rappresenta tutti i farmacisti iscritti all’Albo che esercitano la loro attività in diversi campi o settori produttivi, alcuni dei quali richiedono l’iscrizione obbligatoria all’Albo; sorveglia la correttezza dell’attività professionale degli iscritti e adotta, se necessario, provvedimenti disciplinari per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi l’inosservanza del nominativo del ricorrenteCodice Deontologico. Pertanto, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno alla luce delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali disposizioni normative di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare cheL. 7 agosto 1990 n. 241, in materia di accesso alla documentazione amministrativa, i soggetti pubblici sono assimilati alle Pubbliche amministrazioni − in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi al potere-dovere di esaminare le domande di accesso −. La Commissione dichiara, Sez. 2pertanto, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed sotto il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguitoprofilo appena esaminato, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no propria competenza. Quanto al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazionemerito, il ricorso a mezzi processuali deve ritenersi fondato, avendo parte ricorrente indicato la sussistenza di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti un interesse differenziato, concreto ed attuale ad ottenere l’accertamento ed la documentazione richiesta tenuto conto che la società intende aggiornare e integrare i dati pubblicati sul sito ….., essendo proprietaria e gestore del relativo sito, che si occupa di pubblicare i recapiti, gli orari e i turni delle farmacie d’Italia. La Scrivente sottolinea, peraltro, che gli elenchi inerenti alle farmacie di turno costituiscono dati consultabili e visionabili sui siti istituzionali. La Commissione rileva ancora che la turnazione delle farmacie è un servizio che le ASL adottano su parere dell’Amministrazione resistente, come dedotto dalla stessa ….. La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, esaminato il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella speciericorso, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta lo accoglie e, pertantoper l’effetto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo invita l’Ordine dei Farmacisti a riesaminare l’istanza di accesso nei sensi di cui in Centrale Rischimotivazione.
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DIRITTO. La Prima di esaminare la questione ha specifica rimessa al Collegio di Coordinamento, si rendono necessarie le seguenti osservazioni su altri profili giuridici rilevanti ai fini della decisione. Il ricorrente deduce la sussistenza, nel caso di specie, della violazione dell’art. 39 del D.P.R. n. 180/1950. Ma al riguardo va opposto il noto l’orientamento di questo Arbitro che, considerando l’art. 39 D.P.R. 180/1950 norma speciale di stretta interpretazione, ne ritiene preclusa l’estensione analogica a differenti forme di finanziamento e, in particolare, alla delegazione di pagamento (cfr., in tal senso: ABF Napoli, nn. 1560/2016; 8638/2015; 5340/2015; 2176/2014; 3801/2012; ABF Roma, n. 7819/2014), sulla cui fruizione non sono peraltro mancate ragioni di perplessità (▇▇▇.▇▇ es. ABF Milano, n. 4214/2015, che pone l’attenzione sulla “particolare cautela” che devono adottare gli intermediari “ove ad un’intervenuta cessione del quinto dello stipendio, venga ad aggiungersi, a maggior ragione se nel medesimo periodo e con il medesimo intermediario, una delegazione di pagamento”; e, nella giurisprudenza di merito, v. la motivazione di Trib. Parma, ord. 27 novembre 2015, che ritiene l’art. 39 applicabile alla delegazione di pagamento). Per quanto concerne poi la domanda di restituzione della quota parte degli oneri assicurativi non maturati a seguito della anticipata estinzione dei finanziamenti, va senz’altro disattesa, come già ritenuto dal Collegio rimettente, la eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dalla resistente ai sensi dell’art.22 l. n. 221/2012 (di conversione del d. l. n. 179/2012). Ciò in quanto gli obblighi ivi stabiliti in capo all’impresa di assicurazione non sembrano incidere sul profilo della legittimazione (non sottraendo il finanziatore alla concorrente responsabilità per la restituzione del dovuto a fronte di negozi collegati), quanto piuttosto sull’esercizio dell’eventuale azione di regresso. Deve quindi essere confermato e ribadito il consolidato orientamento Dell’Arbitro Bancario (fra le molte, ABF Napoli, nn. 5566/2015 e 6047/2014; Collegio di coordinamento, n. 6167/2014), in ordine alla sussistenza del collegamento negoziale tra contratto di finanziamento e polizza assicurativa, la quale – contrariamente alle deduzioni dell’intermediario resistente – trova nella legge n. 221/2012 il suo riconoscimento normativo. Venendo ora all’esame della questione oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi rimessione al Collegio di Coordinamento, giova riportare testualmente, per ragioni di completezza, le argomentazioni esposte dal Collegio di Napoli. «Rileva poi il Collegio rimettente che “quanto al merito della domanda di rimborso degli oneri assicurativi e commissioni non goduti per effetto delle intervenute estinzioni anticipate di tre contratti di finanziamento, il Collegio deve anzitutto rilevare che due di essi risultano estinti prima del nominativo 1° gennaio 2009: data che segna, come è noto, il limite temporale di competenza di questo Arbitro. Ad avviso del ricorrente, stante l’asserito venir meno la competenza dell’Arbitro a pronunciarsi sui diritti riguardanti i due finanziamenti anticipatamente estinti prima del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art2009 sussisterebbe in virtù dello “stretto collegamento negoziale” tra questi due contratti ed il terzo finanziamento stipulato in occasione dell’estinzione dei primi (più esattamente: circa un mese dopo) e successivamente estinto nel 2014. 1957 c.c. Per accertare se L’istante invoca, a conforto della propria tesi difensiva, l’orientamento del Collegio di Milano dell’Arbitro, decisione n. 7216 del 31 ottobre 2014, in cui, con riguardo alla medesima fattispecie, il Collegio meneghino si è specificamente pronunciato sul profilo della competenza temporale, ritenendo “infondata l’eccezione di incompetenza temporale [sollevata dall’intermediario resistente] con riferimento al primo contratto stipulato dalla ricorrente; nel caso all’origine del presente procedimento, infatti, pur dovendosi prendere atto che il primo finanziamento – quanto a stipulazione ed estinzione – cade in esame l’obbligo un periodo antecedente il 1/1/2009, non può sottacersi il chiaro collegamento negoziale tra questo ed il secondo finanziamento, sicché deve concludersi per la piena competenza temporale di segnalazione questo collegio con riferimento ad entrambi. Infatti, come già si è avuto modo di sottolineare in Centrale casi analoghi (cfr., ad esempio, la decisione n. 5061/14) la collocazione delle vicende relative a distinti contratti di finanziamento non preclude la cognizione dell’ABF quando sia palese il collegamento tra i contratti stessi, ovvero quando l’estinzione del primo contratto sia stata finanziata con il secondo contratto (ed eventualmente l’estinzione del secondo sia stata finanziata con la sottoscrizione di un terzo contratto); in casi siffatti è di cristallina evidenza che le condizioni del finanziamento successivo (o dei finanziamenti successivi, se ve n’è più d’uno) risente dei conteggi estintivi del contratto che lo precede, con la conseguenza che l’ABF può conoscere della complessiva questione con riferimento a tutti i contratti di finanziamento che abbiano formato oggetto del ricorso”. In tal senso si era già pronunciato il medesimo Collegio in altra occasione (decisione n. 5061/2014), ritenendo che “la collocazione delle vicende relative ai primi due contratti di finanziamento (conclusi nel novembre 2001 e nel febbraio 2005 ed estinti anticipatamente nel febbraio 2005 e, rispettivamente, nell’ottobre 2007) non preclude la cognizione dell’ABF. L’evidente collegamento tra tutti e tre i contratti conclusi dalla ricorrente, l’estinzione del primo contratto è stata, infatti, finanziata con il secondo contratto, così come l’estinzione del secondo è stata finanziata con la sottoscrizione del terzo contratto, con la conseguenza che le condizioni del terzo e ultimo contratto concluso nell’ottobre 2007 risentono dei conteggi estintivi del secondo contratto, che, a sua volta, risente dei conteggi estintivi del primo contratto, consente di conoscere la complessiva questione dedotta nel ricorso introduttiva della presente controversia”. Peraltro, tale impostazione risultava condivisa già in un precedente del Collegio territoriale ▇▇▇▇▇▇, sia pure con motivazione assai stringata (cfr. decisione n. 491/2012: “Giova subito premettere che la collocazione delle vicende relative ai primi due contratti di finanziamento verso cessione del quinto dello stipendio in un periodo anteriore al 1° gennaio 2007 non preclude la cognizione dell’ABF. L’evidente collegamento tra di essi, di talché le condizioni dell’ultimo contratto (concluso nel maggio 2007) risentono dei conteggi di estinzione dei primi, consente di conoscere la complessiva questione dedotta nel ricorso introduttivo della presente controversia”). Questo ▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ritiene unanimemente che la questione dell’attrazione alla competenza dell’ABF di pretese restitutorie riguardanti contratti anticipatamente estinti prima del garante1° gennaio 2009 in virtù di un loro presunto collegamento negoziale con contratti estinti successivamente a tale data richieda ulteriore approfondimento ed un supplemento di riflessione da parte del Collegio di coordinamento di questo Arbitro. Ed invero, come affermato dal ricorrentel’impostazione accolta dai Collegi territoriali di Milano e Roma sembra collidere con il tradizionale insegnamento della migliore dottrina civilistica, orisalente già alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso, viceversasecondo cui il c.d. collegamento negoziale presuppone necessariamente il concorso ovvero la coesistenza di due o più negozi autonomi e distinti (pluralità di negozi), permangasicché la ricorrenza di tale fenomeno va radicalmente esclusa in tutte le situazioni giuridiche in cui si riscontra “una esistenza successiva, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoriasenso storico e logico di più negozi”. È questo il caso dei negozi meramente abolitivi di precedenti, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c.dei negozi ripetuti o rinnovativi che si sostituiscono al negozio precedente, richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussionesicché il negozio efficace resta unico. In prospettiva generalequest’ultime fattispecie, occorre inoltre ricordare chefra cui è possibile senz’altro annoverare la consecuzione cronologica dei finanziamenti oggetto di esame, la volontà delle parti è diretta alla ripetizione, alla rinnovazione del negozio precedente, sicché la sussistenza di un concorso tra negozi collegati (ossia la pluralità di negozi contestualmente vigente tra le parti) è esclusa, per definizione, dalla circostanza che il nuovo negozio produce effetti uguali al precedente accordo rinnovato, onde si riscontra una palese incompatibilità in ordine alla situazione effettuale concernente i due negozi consecutivi. In termini più espliciti: se un accordo successivo interviene – come nel caso di specie – in un momento in cui tutti gli effetti del negozio precedente si sono già prodotti, il primo evidentemente pone in essere una modificazione del regolamento d’interessi tra i contraenti, generando effetti palesemente incompatibili con quelli (peraltro esauriti) sottesi all’originaria (ed estinta) stipulazione. Certo, il contenuto ed i termini dell’accordo successivo ben possono essere – ed anzi normalmente saranno – influenzati dagli effetti economici della precedente stipulazione; il nesso intercorrente tra il primo e la seconda si arresta, però, al solo piano meramente economico o più esattamente – come è stato efficacemente scritto – al “profilo dell’impulso alla stipulazione”, avendo perciò “come conseguenza esclusivamente un’incidenza di carattere economico del primo negozio sul secondo”. È dubbio che tale ▇▇▇▇▇ possa invece investire il piano giuridico e rendere pertanto possibile l’inquadramento della complessiva vicenda in termini di collegamento negoziale. Se, infatti, a tale locuzione si vuole attribuire una effettiva capacità individuante, la configurazione del fenomeno giuridico ad essa sotteso deve allora presupporre l’interdipendenza degli effetti giuridici della pluralità di negozi collegati: nel senso che l’interesse da regolare non può essere soddisfatto mediante una sola stipulazione (unico negozio), ma esige “il concorso e la cooperazione di più negozi …, ciascuno dei quali produttivo degli effetti ad esso peculiari ma tutti avvinti dalla comune destinazione alla realizzazione della funzione complessiva”. Altrimenti detto: posto che la caratteristica dei negozi collegati risiede nella loro autonomia causale in vista del comune scopo da perseguire nell’interesse delle parti, basta per definizione ad escludere la sussistenza di un collegamento negoziale funzionale la mera circostanza che uno dei negozi coinvolti sia stato consensualmente risolto e quindi non sia più esistente. In questa prospettiva, si è ritenuta ad esempio estranea al collegamento negoziale l’opzione, in quanto la dichiarazione di opzione esplica efficacia novativa del precedente contratto, determinando la trasformazione di quest’ultimo in compravendita; parimenti in termini novativi è stata ricostruita la funzione del contratto definitivo in relazione al preliminare. Tornando alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso fattispecie in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 nella stessa occorre riscontrare l’assenza del duplice presupposto oggettivo (Responsabilità del fideiussorenesso teleologico tra i negozi collegati) e soggettivo (intenzione delle parti rivolta ad uno scopo unitario) del collegamento negoziale funzionale, indispensabili per la comunicazione delle vicende patologiche da un contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoall’altro, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento poiché al momento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione stipulazione del contratto di finanziamento più recente, gli accordi più antichi risultavano già tutti estinti da circa un mese. È del resto ben noto che il fulcro della rilevanza giuridica del collegamento negoziale è concordemente individuato nella clausola simul stabunt simul cadent, in virtù della quale il nesso comporta che le vicende di un contratto vengono a ripercuotersi sull’altro condizionandone la validità e l’efficacia; onde, se un contratto non è più vigente, manca evidentemente il presupposto, logico prima ancora che giuridico, per la sussistenza di tale ▇▇▇▇▇ e per l’operatività della clausola testé ricordata. Questo ▇▇▇▇▇▇▇▇ non ignora certo il richiamo proposto da dottrina assai autorevole, proprio con riguardo alla sequenza preliminare-definitivo ora cennata, della figura del c.d. collegamento negoziale genetico, caratterizzato dall’attinenza del nesso alla fase formativa negoziale, in quanto una stipulazione determina il sorgere di un altro accordo; deve rammentarsi, tuttavia, che quella stessa dottrina finisce poi per svuotare di ogni utilità questa categoria, là dove riconosce che il nesso tra i negozi cessa nel momento stesso in cui il negozio successivo viene ad esistenza, poiché il rapporto che nasce da quest’ultimo è insensibile alle vicende del primo. Questa impostazione risulta poi confermata dagli studi successivi che hanno efficacemente e definitivamente chiarito che la categoria del collegamento negoziale c.d. genetico “è del tutto priva di contenuto …, giacché il fatto che si sia considerato un negozio nel processo formativo di un altro negozio è di per sé irrilevante se non si traduce in un particolare modo di essere del regolamento di interessi compiuto dalle parti. E, se ciò avviene, appare evidente che il collegamento non è genetico, ma funzionale”. Non è allora un caso che l’interesse della giurisprudenza sia stato tradizionalmente rivolto al c.d. collegamento negoziale funzionale, caratterizzato da una connessione tra negozi, autonomi dal punto di vista causale, relativa al piano dei loro effetti giuridici, insita nel vincolo d’interdipendenza tra le vicende dell’uno e quelle dell’altro. Sennonché, è orientamento consolidato e pacifico nel diritto vivente che, ai fini della configurazione di un vincolo siffatto, è indispensabile che i negozi coinvolti siano efficaci, esistano: ciò in quanto tale vincolo in tanto rileva sul piano giuridico in quanto serve a giustificare, come si è detto sopra, la trasmissione delle cause di invalidità o di inefficacia di un negozio all’accordo connesso, impedendogli la realizzazione dei propri effetti tipici, per i quali è sopravvenuta l’inutilità stante la sopraggiunta impossibilità di conseguire il complessivo risultato voluto dalle parti (avvenuta fenomeno custodito nel noto brocardo utile per inutile non vitiatur). Tuttavia, a ben vedere, talune eccezioni a questo orientamento tradizionale si rinvengono in data 23.06.2011una recente giurisprudenza di merito, occupatasi della qualificazione giuridica di diversi contratti di swap conclusi con successive rinegoziazioni. In particolare, pur ammettendosi che quest’ultime costituiscono distinte entità, ciascuna delle quali dotata di una propria causa, si sostiene talora, sia pur con affermazioni pervero sempre apodittiche, che il nesso tra i diversi accordi di rinegoziazione “integrerebbe una ipotesi di collegamento negoziale” (in tal senso, nella giurisprudenza di merito: App. Trento, 5 marzo 2009, in Giur. Merito, 2009, 1512; Trib. Milano, 19 aprile 2011, in Banca, borsa e tit. cred., 2011, II, 748; Trib. Milano, 23 marzo 2012, in Contratti, 2012, 900; Trib. Ravenna, 8 luglio 2013, in ▇▇▇.▇▇▇▇▇▇.▇▇). Questo fugace richiamo al collegamento negoziale è stato però oggetto di serrate e condivisibili critiche da parte di taluni annotatori delle sentenze citate, le cui obiezioni sono state poi sostanzialmente recepite dalla stessa giurisprudenza di merito più recente che, con riguardo alla medesima fattispecie, ha correttamente preferito “una diversa opzione interpretativa che riconduce la rinegoziazione dei derivati … all’istituto della novazione oggettiva” (in questi termini, Trib. Verona, 25 marzo 2013, in Riv. trim. dir. econ., 4/2013, II, 185 s.), da cui è conseguita replicando che l’impostazione del collegamento negoziale “risulta assai poco convincente poiché non si cura di spiegare per quale ragione tra i singoli contratti di swap non siano ravvisabili gli indici che la costituzione giurisprudenza ha individuato come tipici [della figura in mora del debitore principale questione], quali la contestualità e del garante (il 28.07.2011) e, di seguitola correlazione delle pattuizioni, la segnalazione “corrispettività delle prestazioni oggetto dei diversi contratti, la circostanza che uno dei Ebbene, queste argomentazioni sono senz’altro replicabili nella fattispecie oggetto della presente controversia: qui, al pari del caso delle rinegoziazioni degli swap analizzate dalla giurisprudenza testé citata, l’evidenziata correlazione tra i finanziamenti anticipatamente estinti e quello costituito nel 2008, ammesso (e non concesso) che sia effettivamente sussistente, vale ad integrare, a sofferenza” del nominativo di quest’ultimotutto concedere, stante il perdurare gli estremi della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”)novazione oggettiva. A tale fine, occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.evidentemente ap
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DIRITTO. La questione (…) Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha per costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto l’assunta illegittimità di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della perdurante segnalazione in Centrale Rischi norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del nominativo 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del ricorrentemercato, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale 1418, 1° comma, ▇.▇., ▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇▇▇▇ ▇▇▇▇▇ (▇▇▇▇., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del garantecontratto “a valle”, come affermato dal ricorrentela quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., osez. I, viceversa26 settembre 2019, permangan. 24044); in particolare, come sostenuto essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla parte resistente nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non risolta posizione debitoriagiustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, occorre rifarsi dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia all’artintegralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1957 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno ; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle proprie opposte ragioni, parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione“essenziale”. In prospettiva generalebase a tale criterio, occorre inoltre ricordare è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Capvirtù di quanto statuito nell’art. II - Classificazione dei rischi -4 del suddetto contratto, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri quanto fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in tale data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principi di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.diritto:
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità 1.- Per economia di giudizio, giova prendere le mosse dal terzo motivo di appello, con cui si critica, nel merito, la statuizione di primo grado di accoglimento dei motivi di censura di ▇▇▇▇, volti a contestare l’omessa esclusione della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato ▇▇▇▇▇▇▇▇ in ragione dell’asserita non conformità al modello di cui all’art. 93, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, della garanzia provvisoria presentata in gara, nonché dell’impegno a presentare la garanzia definitiva, nonché la violazione dell’art. 93 del d.lgs. n. 385 del 1993 (T.U.B.), sotto il profilo della invalidità della cauzione presentata dall’odierna appellante per estinzione dell’obbligazione la mancata iscrizione della UBS Switerland AG nel registro dei soggetti autorizzati ad emettere fideiussioni bancarie dalla Banca d’Italia e dall’IVASS. Deduce l’appellante l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 93, comma 3, del garanted.lgs. n. 50 del 2016, disciplinante la garanzia fideiussoria (bancaria od assicurativa), vertendosi al cospetto di una garanzia presentata nella forma del bid bond emesso dal primario gruppo bancario UBS, che si è impegnato irrevocabilmente a versare al beneficiario il prescritto importo di garanzia su presentazione della domanda del beneficiario; si tratta dunque di garanzia autonoma contenente la clausola di pagamento a prima richiesta. Ai sensi delle URDG (Uniform Rules for Demand Guarantees) del 2010 il garante che si impegna al rilascio della garanzia nella forma del bid bond può essere anche un soggetto diverso da un istituto bancario o compagnia assicurativa; nella prassi internazionale vale quale garanzia alternativa al deposito cauzionale ed equivalente ad un deposito in denaro, rientrando dunque nell’ambito della previsione di cui all’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, con conseguente irrilevanza della mancata iscrizione della banca UBS Switzerland AG nel registro dei soggetti autorizzati ad emettere fideiussioni bancarie dalla Banca d’Italia. Aggiunge l’appellante che l’impegno al rilascio della garanzia definitiva nella specie non era comunque necessaria in quanto la garanzia provvisoria presentata dalla Boschung nella forma di bid bond di per sé contiene anche l’impegno ad emettere la garanzia definitiva prevista dall’art. 103 del d.lgs. n. 50 del 2016. Il motivo è fondato. La statuizione di primo grado ha, come già esposto, affermato dal ricorrenteche ASPI non avrebbe dovuto accettare, oa titolo di garanzia provvisoria, viceversaun bid bond proveniente da un soggetto non legittimato a rilasciare garanzie sulla base delle disposizioni regolanti l’ordinamento giuridico interno, permangaed in particolare in ragione del fatto che UBS Switzerland AG non è abilitata/autorizzata all’esercizio di attività bancaria o assicurativa in Italia; per analoghe ragioni UBS Switzerland AG non poteva validamente impegnarsi al rilascio della garanzia definitiva. L’assunto, fondato sul combinato disposto degli artt. 93, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016 e 106 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, non appare condivisibile, in quanto riguarda propriamente la garanzia fideiussoria, che può essere rilasciata da imprese bancarie od assicurative, mentre nella fattispecie in esame la cauzione rilasciata da UBS Switerland AG è costituita da un bid bond, istituto invalso nelle operazioni internazionali, la cui ammissibilità era stata riconosciuta da Autostrade in sede di “succinto” chiarimento di risposta a quesito della stessa appellante. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il bid bond è una garanzia bancaria a “prima domanda”, costituente un contratto da cui deriva un impegno autonomo a garanzia della serietà dell’offerta, con il quale la stessa banca emittente si impegna nei confronti della stazione appaltante in caso di inadempimento della ditta concorrente (in termini Cons. Stato, V, 28 giugno 2019, n. 4463; V, 12 giugno 2017, n. 2851). Si tratta di una figura che presenta tutte le caratteristiche del contratto autonomo di garanzia (quali individuate dalla giurisprudenza civile : cfr. ▇▇▇▇., SS.UU., 18 febbraio 2010, n. 394) e che corrisponde alle caratteristiche ed ai criteri individuati nella pubblicazione n. 758 del 2010 della Camera di Commercio Internazionale di Parigi “Uniform Rules for Demand Guarantees” (URDG), tale da renderlo forma di garanzia alternativa al deposito cauzionale ammessa quanto meno alla stregua di uso negoziale. Inoltre il bid bond comprende in sé anche l’impegno a prestare la garanzia a copertura della cauzione definitiva in caso di aggiudicazione del contratto, implicando la garanzia complessiva del “buon fine dell’operazione sottostante”, cioè l’aggiudicazione e l’esecuzione del contratto (Cons. Stato, V, 17 giugno 2017, n. 2851). Appare dunque evidente l’inapplicabilità dell’art. 93, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto il bid bond è differente, per le caratteristiche sue proprie, dalla fideiussione. Il bid bond, come sostenuto già osservato, è conforme ai criteri delle URDG del 2010, secondo quanto emerge dalla parte resistente in considerazione stessa lettura del testo, ed eventualmente può essere assimilato al deposito cauzionale presso l’istituto bancario, inquadrabile nell’ambito della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia previsione di cui all’art. 1957 c.c.93, richiamato dall’una comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016. Consegue da quanto esposto come erroneamente la sentenza di primo grado abbia ritenuto che l’offerta presentata da ▇▇▇▇▇▇▇▇ dovesse essere esclusa in quanto non corredata da una valida garanzia provvisoria e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali da una valida dichiarazione di cui impegno alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.cgaranzia definitiva., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Bid Bond Agreement
DIRITTO. La Il contratto di finanziamento in questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione è stato stipulato nel novembre 2018 e quindi in Centrale Rischi del nominativo del ricorrenteepoca successiva all’entrata in vigore degli articoli 121 (recante al comma 1, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi lett. d), la definizione di “contratto di credito collegato”) e dell’art. 1957 c.c125-quinques (“Inadempimento del fornitore”) del T.U.B., introdotti dal d.lgs. Per accertare 13 agosto 2010, n. 141, in recepimento della Direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, pubblicato sulla G.U. n. 207 del 4 settembre 2010, in vigore dal 19 settembre 2010. In forza di quanto previsto dall’art. 2 del d.lgs. 14 dicembre 2010 n. 218 le modifiche al Titolo VI del T.U.B., che include nel Capo II le disposizioni sul credito ai consumatori, hanno trovato applicazione, nei rapporti con i finanziatori e gli intermediari del credito, a partire dal 1° giugno 2011. L’art. 121, comma 1, lettera d), del T.U.B.) definisce contratto di credito collegato quello “finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici se ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito”. Gli effetti dell’inadempimento del contratto di fornitura sul contratto di credito collegato sono disciplinati nell’art. 125-quinquies del T.U.B. ove è disposto che “Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in esame mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile. 2. La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di segnalazione in Centrale rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso. […]”. La matrice comunitaria delle succitate diposizioni è costituita dagli articoli 3, lettera n), (“Definizioni”) e 15 della Direttiva 2008/48/CE (“Contratti di credito collegati”). Tale ▇▇▇▇▇▇▇▇▇ persegue un obiettivo di armonizzazione fra le legislazioni degli Stati membri in materia di credito al consumo, seppur non integrale. Fa salve, ove esistenti, le norme nazionali secondo cui, se il consumatore ha ottenuto un finanziamento per l’acquisto di beni o servizi, il creditore risponde in solido con il fornitore per le pretese del consumatore nei confronti di quest’ultimo. Inoltre, in base alle previsioni comunitarie, spetta agli Stati membri stabilire in che misura e a quali condizioni possono esser esperiti i “rimedi” spettanti al consumatore nei confronti del finanziatore del contratto di credito collegato, in caso di inadempimento del fornitore. La normativa di attuazione disegna una fattispecie legale di collegamento negoziale afferente un contratto di credito, puntualizzando i presupposti e gli effetti che derivano dalla interazione delle operazioni economiche interessate. Nello specifico individua nella risoluzione del contratto di finanziamento collegato al contratto di fornitura, caratterizzato da un inadempimento di non scarsa importanza, il “rimedio” esercitabile dal consumatore nei confronti del finanziatore. Prevede che il finanziatore ha il diritto di ripetere dal fornitore le somme a questi versate. Nel solco della disciplina comunitaria la normativa in materia di contratti collegati recata dal T.U.B. appare tendenzialmente esaustiva, mal prestandosi a letture estensive del relativo dettato, che si prefigge l’obiettivo di tutelare il consumatore senza penalizzare ingiustificatamente le ragioni economiche del finanziatore. Venendo al caso di specie va premesso che è orientamento consolidato dei Collegi territoriali affermare la propria competenza ratione materiae su controversie della specie. E’ orientamento che va condiviso. Ai sensi delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. I, paragrafo 4) “All’Arbitro Bancario Finanziario possono essere sottoposte dai clienti controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari”. L’oggetto della domanda, in questo come in casi analoghi, è “l’accertamento” di un diritto inerente a un rapporto di prestazione di servizi finanziari, sia cessato pure collegato con un diverso contratto, avente ad oggetto la prestazione di servizi o la vendita di beni. Le vicende del rapporto di fornitura interessano il contratto di finanziamento nella misura in cui, ai sensi di legge, costituiscono il presupposto per estinzione dell’obbligazione la relativa risoluzione; la valutazione di tali vicende ha pertanto natura incidentale rispetto al riconoscimento della fondatezza della domanda formulata dal cliente nei confronti dell’intermediario. E’ stato inoltre osservato che dalla negazione della competenza dell’Arbitro conseguirebbe l’ineffettività del garantesistema di tutela cui l’Arbitro Bancario Finanziario appartiene, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia disattendendo il principio che è il criterio cui si deve conformare il sistema alternativo di risoluzione delle controversie di cui all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione 128–bis del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” T.U.B. (Collegio di Milano, decisione n. 8288/201424692/2018; Collegio di Napoli, decisione n. 16/2017). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso L’esistenza di un collegamento negoziale, nei termini normativamente previsti, fra il contratto di finanziamento in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore questione e il termine entro contratto di acquisto delle cure odontoiatriche presso il quale agire per l’adempimentofornitore risulta pacifico fra le parti. Esso, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c.pur non risultando agli atti l’integrale documentazione contrattuale, si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantitapuò comunque desumersi dal Modulo di “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione è parte integrante del contratto di finanziamento (avvenuta finanziamento, nel quale è precisato che il prestito è finalizzato alla prestazione del servizio “Cure odontoiatriche” e indica, quale intermediario del credito, la società che ha emesso la fattura, in data 23.06.2011)8.11.2018, da per le prestazioni dentistiche di cui è conseguita la alla presente controversia. Il ricorrente allega copia della comunicazione di formale costituzione in mora del debitore principale fornitore, tramite raccomandata a/r recapitata in data 31 luglio 2020. Quanto all’inadempimento di non scarsa importanza del fornitore il Collegio remittente registra una diversità di orientamenti fra i Collegi territoriali in merito alla distribuzione dell’onere della prova al riguardo. Rileva che, secondo l’orientamento prevalente, l’onere della prova dell’inadempimento di non scarsa importanza ricade sul consumatore ricorrente, data l’estraneità del fornitore sia al contratto di finanziamento sia al procedimento ABF. Cita le decisioni del Collegio di Roma nn. 768 del 27 gennaio 2017, 6476 del 21 marzo 2018, 10146 del 10 maggio 2018; del Collegio di Palermo nn. 4640 del 3 maggio 2017, 6491 del 12 giugno 2017 e 25824 del garante (6 dicembre 2018. Osserva il 28.07.2011) eCollegio remittente che una differente impostazione, la quale trae spunto dalla sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, del 30 ottobre 2001, n. 13533, e alla giurisprudenza che vi ha fatto seguito, la segnalazione “a sofferenza” ritiene che è onere del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza finanziatore provare che il creditore debba prendere sollecite fornitore ha adempiuto la propria prestazione e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare quindi che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, avanzata dal consumatore ai sensi dell’art. 1957 125-quinquies T.U.B. è infondata, nell’assunto che il creditore deve provare soltanto la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento, mentre grava sul debitore l’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. ▇▇▇▇ ▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ▇▇▇▇▇▇ ▇▇. ▇▇▇▇▇ del 21 dicembre 2020, 23964 del 31 ottobre 2019 e 24692 del 22 novembre 2018, nelle quali in realtà si afferma che l’onere della prova dell’inadempimento di non scarsa importanza è a carico del fornitore e che vanno quindi presumibilmente lette nel senso che all’intermediario fa capo lo stesso onere esigibile nei confronti del fornitore. Il Collegio remittente osserva che, peraltro, la decisione assunta dalla Suprema Corte, in tema di onere della prova, con la sentenza n.13533/2001 “è stata variamente ridimensionata dalla giurisprudenza di legittimità successiva”. Cita a evidenza di ciò le pronunce della Corte di Cassazione del 9 agosto 2013, n. 19146, in tema di appalto, del 10 febbraio 2017, n. 3548, in tema di locazione, e infine la sentenza a Sezioni Unite del 3 maggio 2019 n. 11748 in tema di vizi della cosa venduta. Osserva inoltre, che ai fini di tale questione, va preso in considerazione l’art. 5 della Direttiva 1999/44/CE ad oggetto “Taluni aspetti della vendita e delle garanzia dei beni di consumo”, così come successivamente modificata, nonché l’art. 132, comma 3, del Codice del consumo, ove si prevede una presunzione di esistenza del difetto di conformità del bene per il periodo di sei mesi dalla consegna (elevato ad un anno dall’art. 11 Direttiva (UE) 2019/771, di prossima attuazione) onerando il consumatore di fornire la prova del difetto di conformità nel caso in cui questo si manifesti successivamente. Evidenzia che la Corte di giustizia dell’Unione europea con la decisione del 4 giugno 2015, pronunciata nelle causa (C-497/13), ha affermato che dalle disposizioni suddette “si evince che, in linea di principio, è compito del consumatore produrre la prova che esiste un difetto di conformità e che quest’ultimo esisteva alla data di consegna del bene”. Si rileva, per quanto interessa in questa sede, che la Suprema Corte pone a fondamento della decisione n.13533/2001 il principio di riferibilità o di vicinanza della prova, il cui onere, muovendo “ … dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione … viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione”. E invero questo principio appare ribadito nelle succitate pronunce della Corte di Cassazione, ove viene declinato a seconda delle fattispecie negoziali prese a riferimento e quindi del diverso atteggiarsi del rapporto fra debitore e creditore ai fini dell’accessibilità ai mezzi di prova. Quanto alla succitata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 4 giugno 2015, pronunciata nelle causa (C-497/13), può notarsi che su di essa si sofferma la sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, del 3 maggio 2019 n. 11748 evidenziando che non è privo di rilievo che la CGUE abbia spiegato, “proprio con riferimento al principio di vicinanza dell’onere della prova”, l’alleggerimento di tale onere a favore del consumatore nel caso in cui il difetto di conformità si sia manifestato entro sei mesi dalla consegna del bene, rilevando che “qualora il difetto di conformità emerga solo successivamente alla data di consegna del bene, fornire la prova che tale difetto esisteva già a tale data può rivelarsi “un ostacolo insormontabile per il consumatore”, mentre di solito è molto più facile per il professionista dimostrare che il difetto di conformità non era presente al momento della consegna e che esso risulta, per esempio, da un cattivo uso del bene fatto dal consumatore”. Ciò premesso, appare indubbio che il principio della vicinanza della prova esprima un’esigenza pragmatica, basata sulla rilevanza, nei rapporti fra creditore e debitore, nelle parole della Suprema Corte, “… in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione”. Lo stesso Collegio remittente osserva che il principio di vicinanza della prova, se può essere condiviso nei rapporti tra creditore e debitore, è quantomeno dubbio possa avere analoga portata nei contratti di finanziamento finalizzati e nelle operazioni trilaterali di finanziamento nei confronti di un consumatore, a maggior ragione nelle procedure dinnanzi all’Arbitro caratterizzate dall’impossibilità di avere come controparte non solo il finanziatore ma anche il fornitore, potendo l’oggetto del procedimento consistere esclusivamente in una controversia in materia bancaria e finanziaria, cosicché il fornitore non può partecipare al giudizio. Sembra quindi ragionevole che, nelle vicende dei contratti di credito collegati a contratti di fornitura, e nello specifico dei contratti collegati che interessano la presente controversia, il principio di vicinanza della prova vada declinato tenuto conto che la stessa attiene ad elementi insiti nella relazione fra consumatore e fornitore esulando quindi dalla sfera di azione del finanziatore e quindi dai rapporti che intercorrono fra quest’ultimo e il consumatore. Ne deriva che l’onere della prova non può che collocarsi nell’ambito del rapporto di fornitura e che pertanto, vista anche l’estraneità del fornitore al procedimento presso l’ABF, non può che gravare sul consumatore l’onere di dimostrare la sussistenza dell’inadempimento del fornitore nonché la non scarsa importanza dello stesso, in aderenza al generale principio sancito nell’art. 2697, comma 1, c.c. Ciò non esclude, alla luce dell’esigenza di concretezza nell’allocazione dell’onere della prova, che in casi specifici tale onere possa gravare sul finanziatore, ad esempio ove il consumatore, nel dare mandato al finanziatore di erogare al fornitore il ricavo del finanziamento, condizioni il versamento allo stato di avanzamento della prestazione del servizio. Nel caso di specie, come sopra evidenziato, il ricorrente lamenta la mancata esecuzione di una parte della prestazione professionale originariamente concordata con il fornitore, allegando pertanto un’ipotesi di inadempimento parziale del contratto di fornitura di tale servizio, collegato al finanziamento. Produce, oltre alla sopra richiamata comunicazione di messa in mora del fornitore recapitata in data 31 luglio 2020, la fattura emessa dal fornitore in data 8.11.2018, per un importo pari a € 10.568,15, contenente il dettaglio delle cure odontoiatriche e degli impianti acquistati; la comunicazione in data 13 agosto 2020, con cui ha reso formalmente edotto l’Intermediario dell’avvenuta risoluzione per inadempimento del contratto di fornitura e ha domandato lo scioglimento del contratto di finanziamento; un nuovo preventivo in data 23 ottobre 2020, rilasciato da diverso studio dentistico e contenente un piano di interventi dal valore complessivo di € 3.750,00; una relazione medica in data 15.1.2021, nella quale si attesta la mancata esecuzione dell’intervento di installazione di “Overdenture su 4 impianti”, oltre ad alcuni altri interventi. Riferisce inoltre di aver versato ratealmente all’intermediario, alla data del 15.8.2020, l’importo di € 3.780,46. L’intermediario contesta in sede di controdeduzioni la prospettazione avversaria eccependo il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sul ricorrente nonché l’inidoneità della fattispecie ad integrare un’ipotesi di inadempimento di “non scarsa importanza”, ai sensi dall’art. 1455 c.c. Secondo l’orientamento costante dell’Arbitro, le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile sono da reputarsi sussistenti qualora l’inadempimento abbia avuto un peso oggettivo e notevole nell’economia complessiva del rapporto, sì da dar luogo, in astratto, per la sua entità, e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente, ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale. I Collegi territoriali richiamano l’insegnamento della Suprema Corte secondo il quale la verifica dell’inadempimento di non scarsa importanza deve essere operata applicando contestualmente un parametro oggettivo, riferito alla entità oggettiva dell'inadempimento, “ma anche con riguardo all'interesse che l'altra parte intende realizzare e sulla base di un criterio, quindi, che consenta di coordinare il giudizio sull'elemento oggettivo della mancata n. 3669; Cass., estinta e21 febbraio 2006, pertanton. 3742). Va inoltre evidenziato, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.per quanto attiene le
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Sources: Contratto Di Finanziamento
DIRITTO. La questione ha In via pregiudiziale il Collegio deve dichiarare d’ufficio la propria incompetenza, poiché la controversia verte sull’addebito asseritamente illegittimo del corrispettivo per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione il servizio di consulenza in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio materia di investimenti operato dall’intermediario che - ai sensi dell’artdel T.U.F. - rientra nel novero dei “servizi di investimento”. 1957 c.cA norma delle Disposizioni ABF, possono essere sottoposte all’Arbitro solo le controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari; sono, invece, escluse dalla competenza le controversie attinenti ai servizi e alle attività di investimento e alle altre fattispecie che, ai sensi dell’articolo 23, comma 4, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, non sono assoggettate al Titolo VI del TUB (intitolato: “Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”) ed alle “Disposizioni sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” del 29 luglio 2009. Per accertare se nel Nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garantespecie, come affermato dal ricorrentegià scritto, oparte ricorrente non rappresenta alcuna doglianza correlata a servizi/operazioni/comportamenti riconducibili al Titolo VI del TUB. La domanda, viceversaper come proposta ed illustrata, permangadeve essere invece ricondotta al rapporto di servizio di consulenza in materia di investimenti intercorrente tra parte ricorrente e l’intermediario convenuto, come sostenuto su causae pentendi quindi che esorbitano dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” competenza ABF (Collegio di Milano, decisione n. 8288/201420332/2018). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esameOltre a questo, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità il Collegio segnala che le Condizioni generali di contratto del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti servizio di consulenza inviate dall’intermediario alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica parte ricorrente (cfr. Casspar. n. 16836/2015: “nell’ipotesi 1.1) richiamano l’Arbitro per le controversie finanziarie (ACF) scaturenti dalla violazione delle norme poste dal TUF in cui la durata materia di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato artesercizio delle attività da esso disciplinate. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, Pertanto il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cè inammissibile., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Mifid Ii Directive Communication
DIRITTO. La Il contratto di finanziamento in questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione è stato stipulato nel novembre 2018 e quindi in Centrale Rischi del nominativo del ricorrenteepoca successiva all’entrata in vigore degli articoli 121 (recante al comma 1, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi lett. d), la definizione di “contratto di credito collegato”) e dell’art. 1957 c.c125-quinques (“Inadempimento del fornitore”) del T.U.B., introdotti dal d.lgs. Per accertare 13 agosto 2010, n. 141, in recepimento della Direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, pubblicato sulla G.U. n. 207 del 4 settembre 2010, in vigore dal 19 settembre 2010. In forza di quanto previsto dall’art. 2 del d.lgs. 14 dicembre 2010 n. 218 le modifiche al Titolo VI del T.U.B., che include nel Capo II le disposizioni sul credito ai consumatori, hanno trovato applicazione, nei rapporti con i finanziatori e gli intermediari del credito, a partire dal 1° giugno 2011. L’art. 121, comma 1, lettera d), del T.U.B.) definisce contratto di credito collegato quello “finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici se nel ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto Gli effetti dell’inadempimento del contratto di fornitura sul contratto di credito collegato sono disciplinati nell’art. 125-quinquies del T.U.B. ove è disposto che “Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in esame mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile. 2. La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di segnalazione in Centrale rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso. […]”. La matrice comunitaria delle succitate diposizioni è costituita dagli articoli 3, lettera n), (“Definizioni”) e 15 della Direttiva 2008/48/CE (“Contratti di credito collegati”). Tale ▇▇▇▇▇▇▇▇▇ persegue un obiettivo di armonizzazione fra le legislazioni degli Stati membri in materia di credito al consumo, seppur non integrale. Fa salve, ove esistenti, le norme nazionali secondo cui, se il consumatore ha ottenuto un finanziamento per l’acquisto di beni o servizi, il creditore risponde in solido con il fornitore per le pretese del consumatore nei confronti di quest’ultimo. Inoltre, in base alle previsioni comunitarie, spetta agli Stati membri stabilire in che misura e a quali condizioni possono esser esperiti i “rimedi” spettanti al consumatore nei confronti del finanziatore del contratto di credito collegato, in caso di inadempimento del fornitore. La normativa di attuazione disegna una fattispecie legale di collegamento negoziale afferente un contratto di credito, puntualizzando i presupposti e gli effetti che derivano dalla interazione delle operazioni economiche interessate. Nello specifico individua nella risoluzione del contratto di finanziamento collegato al contratto di fornitura, caratterizzato da un inadempimento di non scarsa importanza, il “rimedio” esercitabile dal consumatore nei confronti del finanziatore. Prevede che il finanziatore ha il diritto di ripetere dal fornitore le somme a questi versate. Nel solco della disciplina comunitaria la normativa in materia di contratti collegati recata dal T.U.B. appare tendenzialmente esaustiva, mal prestandosi a letture estensive del relativo dettato, che si prefigge l’obiettivo di tutelare il consumatore senza penalizzare ingiustificatamente le ragioni economiche del finanziatore. Venendo al caso di specie va premesso che è orientamento consolidato dei Collegi territoriali affermare la propria competenza ratione materiae su controversie della specie. E’ orientamento che va condiviso. Ai sensi delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. I, paragrafo 4) “All’Arbitro Bancario Finanziario possono essere sottoposte dai clienti controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari”. L’oggetto della domanda, in questo come in casi analoghi, è “l’accertamento” di un diritto inerente a un rapporto di prestazione di servizi finanziari, sia cessato pure collegato con un diverso contratto, avente ad oggetto la prestazione di servizi o la vendita di beni. Le vicende del rapporto di fornitura interessano il contratto di finanziamento nella misura in cui, ai sensi di legge, costituiscono il presupposto per estinzione dell’obbligazione la relativa risoluzione; la valutazione di tali vicende ha pertanto natura incidentale rispetto al riconoscimento della fondatezza della domanda formulata dal cliente nei confronti dell’intermediario. E’ stato inoltre osservato che dalla negazione della competenza dell’Arbitro conseguirebbe l’ineffettività del garantesistema di tutela cui l’Arbitro Bancario Finanziario appartiene, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia disattendendo il principio che è il criterio cui si deve conformare il sistema alternativo di risoluzione delle controversie di cui all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione 128–bis del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” T.U.B. (Collegio di Milano, decisione n. 8288/201424692/2018; Collegio di Napoli, decisione n. 16/2017). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso L’esistenza di un collegamento negoziale, nei termini normativamente previsti, fra il contratto di finanziamento in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore questione e il termine entro contratto di acquisto delle cure odontoiatriche presso il quale agire per l’adempimentofornitore risulta pacifico fra le parti. Esso, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c.pur non risultando agli atti l’integrale documentazione contrattuale, si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantitapuò comunque desumersi dal Modulo di “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione è parte integrante del contratto di finanziamento (avvenuta finanziamento, nel quale è precisato che il prestito è finalizzato alla prestazione del servizio “Cure odontoiatriche” e indica, quale intermediario del credito, la società che ha emesso la fattura, in data 23.06.2011)8.11.2018, da per le prestazioni dentistiche di cui è conseguita la alla presente controversia. Il ricorrente allega copia della comunicazione di formale costituzione in mora del debitore principale fornitore, tramite raccomandata a/r recapitata in data 31 luglio 2020. Quanto all’inadempimento di non scarsa importanza del fornitore il Collegio remittente registra una diversità di orientamenti fra i Collegi territoriali in merito alla distribuzione dell’onere della prova al riguardo. Rileva che, secondo l’orientamento prevalente, l’onere della prova dell’inadempimento di non scarsa importanza ricade sul consumatore ricorrente, data l’estraneità del fornitore sia al contratto di finanziamento sia al procedimento ABF. Cita le decisioni del Collegio di Roma nn. 768 del 27 gennaio 2017, 6476 del 21 marzo 2018, 10146 del 10 maggio 2018; del Collegio di Palermo nn. 4640 del 3 maggio 2017, 6491 del 12 giugno 2017 e 25824 del garante (6 dicembre 2018. Osserva il 28.07.2011) eCollegio remittente che una differente impostazione, la quale trae spunto dalla sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, del 30 ottobre 2001, n. 13533, e alla giurisprudenza che vi ha fatto seguito, la segnalazione “a sofferenza” ritiene che è onere del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza finanziatore provare che il creditore debba prendere sollecite fornitore ha adempiuto la propria prestazione e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare quindi che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, avanzata dal consumatore ai sensi dell’art. 1957 125-quinquies T.U.B. è infondata, nell’assunto che il creditore deve provare soltanto la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento, mentre grava sul debitore l’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. ▇▇▇▇ ▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ▇▇▇▇▇▇ ▇▇. ▇▇▇▇▇ del 21 dicembre 2020, 23964 del 31 ottobre 2019 e 24692 del 22 novembre 2018, nelle quali in realtà si afferma che l’onere della prova dell’inadempimento di non scarsa importanza è a carico del fornitore e che vanno quindi presumibilmente lette nel senso che all’intermediario fa capo lo stesso onere esigibile nei confronti del fornitore. Il Collegio remittente osserva che, peraltro, la decisione assunta dalla Suprema Corte, in tema di onere della prova, con la sentenza n.13533/2001 “è stata variamente ridimensionata dalla giurisprudenza di legittimità successiva”. Cita a evidenza di ciò le pronunce della Corte di Cassazione del 9 agosto 2013, n. 19146, in tema di appalto, del 10 febbraio 2017, n. 3548, in tema di locazione, e infine la sentenza a Sezioni Unite del 3 maggio 2019 n. 11748 in tema di vizi della cosa venduta. Osserva inoltre, che ai fini di tale questione, va preso in considerazione l’art. 5 della Direttiva 1999/44/CE ad oggetto “Taluni aspetti della vendita e delle garanzia dei beni di consumo”, così come successivamente modificata, nonché l’art. 132, comma 3, del Codice del consumo, ove si prevede una presunzione di esistenza del difetto di conformità del bene per il periodo di sei mesi dalla consegna (elevato ad un anno dall’art. 11 Direttiva (UE) 2019/771, di prossima attuazione) onerando il consumatore di fornire la prova del difetto di conformità nel caso in cui questo si manifesti successivamente. Evidenzia che la Corte di giustizia dell’Unione europea con la decisione del 4 giugno 2015, pronunciata nelle causa (C-497/13), ha affermato che dalle disposizioni suddette “si evince che, in linea di principio, è compito del consumatore produrre la prova che esiste un difetto di Si rileva, per quanto interessa in questa sede, che la Suprema Corte pone a fondamento della decisione n.13533/2001 il principio di riferibilità o di vicinanza della prova, il cui onere, muovendo “ … dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione … viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione”. E invero questo principio appare ribadito nelle succitate pronunce della Corte di Cassazione, ove viene declinato a seconda delle fattispecie negoziali prese a riferimento e quindi del diverso atteggiarsi del rapporto fra debitore e creditore ai fini dell’accessibilità ai mezzi di prova. Quanto alla succitata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 4 giugno 2015, pronunciata nelle causa (C-497/13), può notarsi che su di essa si sofferma la sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, del 3 maggio 2019 n. 11748 evidenziando che non è privo di rilievo che la CGUE abbia spiegato, “proprio con riferimento al principio di vicinanza dell’onere della prova”, l’alleggerimento di tale onere a favore del consumatore nel caso in cui il difetto di conformità si sia manifestato entro sei mesi dalla consegna del bene, rilevando che “qualora il difetto di conformità emerga solo successivamente alla data di consegna del bene, fornire la prova che tale difetto esisteva già a tale data può rivelarsi “un ostacolo insormontabile per il consumatore”, mentre di solito è molto più facile per il professionista dimostrare che il difetto di conformità non era presente al momento della consegna e che esso risulta, per esempio, da un cattivo uso del bene fatto dal consumatore”. Ciò premesso, appare indubbio che il principio della vicinanza della prova esprima un’esigenza pragmatica, basata sulla rilevanza, nei rapporti fra creditore e debitore, nelle parole della Suprema Corte, “… in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione”. Lo stesso Collegio remittente osserva che il principio di vicinanza della prova, se può essere condiviso nei rapporti tra creditore e debitore, è quantomeno dubbio possa avere analoga portata nei contratti di finanziamento finalizzati e nelle operazioni trilaterali di finanziamento nei confronti di un consumatore, a maggior ragione nelle procedure dinnanzi all’Arbitro caratterizzate dall’impossibilità di avere come controparte non solo il finanziatore ma anche il fornitore, potendo l’oggetto del procedimento consistere esclusivamente in una controversia in materia bancaria e finanziaria, cosicché il fornitore non può partecipare al giudizio. Sembra quindi ragionevole che, nelle vicende dei contratti di credito collegati a contratti di fornitura, e nello specifico dei contratti collegati che interessano la presente controversia, il principio di vicinanza della prova vada declinato tenuto conto che la stessa attiene ad elementi insiti nella relazione fra consumatore e fornitore esulando quindi dalla sfera di azione del finanziatore e quindi dai rapporti che intercorrono fra quest’ultimo e il consumatore. Ne deriva che l’onere della prova non può che collocarsi nell’ambito del rapporto di fornitura e che pertanto, vista anche l’estraneità del fornitore al procedimento presso l’ABF, non può che gravare sul consumatore l’onere di dimostrare la sussistenza dell’inadempimento del fornitore nonché la non scarsa importanza dello stesso, in aderenza al generale principio sancito nell’art. 2697, comma 1, c.c.. Ciò non esclude, estinta alla luce dell’esigenza di concretezza nell’allocazione dell’onere della prova, che in casi specifici tale onere possa gravare sul finanziatore, ad esempio ove il consumatore, nel dare mandato al finanziatore di erogare al fornitore il ricavo del finanziamento, condizioni il versamento allo stato di avanzamento della prestazione del servizio. Nel caso di specie, come sopra evidenziato, il ricorrente lamenta la mancata esecuzione di una parte della prestazione professionale originariamente concordata con il fornitore, allegando pertanto un’ipotesi di inadempimento parziale del contratto di fornitura di tale servizio, collegato al finanziamento. Produce, oltre alla sopra richiamata comunicazione di messa in mora del fornitore recapitata in data 31 luglio 2020, la fattura emessa dal fornitore in data 8.11.2018, per un importo pari a € 10.568,15, contenente il dettaglio delle cure odontoiatriche e degli impianti acquistati; la comunicazione in data 13 agosto 2020, con cui ha reso formalmente edotto l’Intermediario dell’avvenuta risoluzione per inadempimento del contratto di fornitura e ha domandato lo scioglimento del contratto di finanziamento; un nuovo preventivo in data 23 ottobre 2020, rilasciato da diverso studio dentistico e contenente un piano di interventi dal valore complessivo di € 3.750,00; una relazione medica in data 15.1.2021, nella quale si attesta la mancata esecuzione dell’intervento di installazione di “Overdenture su 4 impianti”, oltre ad alcuni altri interventi. Riferisce inoltre di aver versato ratealmente all’intermediario, alla data del 15.8.2020, l’importo di € 3.780,46. L’intermediario contesta in sede di controdeduzioni la prospettazione avversaria eccependo il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sul ricorrente nonché l’inidoneità della fattispecie ad integrare un’ipotesi di inadempimento di “non scarsa importanza”, ai sensi dall’art. 1455 c.c. Secondo l’orientamento costante dell’Arbitro, le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile sono da reputarsi sussistenti qualora l’inadempimento abbia avuto un peso oggettivo e notevole nell’economia complessiva del rapporto, sì da dar luogo, in astratto, per la sua entità, e, pertantoin concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente, ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale. I Collegi territoriali richiamano l’insegnamento della Suprema Corte secondo il quale la verifica dell’inadempimento di non più giustificata la segnalazione scarsa importanza deve essere operata applicando contestualmente un parametro oggettivo, riferito alla entità oggettiva dell'inadempimento, “ma anche con riguardo all'interesse che l'altra parte intende realizzare e sulla base di un criterio, quindi, che consenta di coordinare il giudizio sull'elemento oggettivo della mancata prestazione, nel quadro dell'economia generale del suo nominativo in Centrale Rischi.contratto, con gli elementi soggettivi e che, conseguentemente, investa, specie nei casi di inadempimento parziale, anche le modalità e le circostanze del concreto svolgimento del rapporto, per valutare se l'inadempi
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Sources: Financing Agreement
DIRITTO. La questione ha sottoposta all’esame del Collegio concerne la presunta violazione della disciplina in materia di usura ed anatocismo in relazione ad un contratto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, il cui accordato è variato nel corso del rapporto ed è stato oggetto di ripetuti sconfinamenti. Movendo dall’esame delle doglianze relative alla presunta usurarietà del rapporto, va anzitutto rilevato che la forma tecnica di concessione del credito, oggetto del presente ricorso, rientra tra i cc.dd. finanziamenti “a utilizzo flessibile” (c.d. revolving), per oggetto l’assunta illegittimità i quali il tasso effettivo – in ragione delle specifiche regole di rilevazione (tutti i conti in essere nel trimestre di riferimento) e dei valori presi a riferimento (ammontare utilizzato nel trimestre appena concluso) – è calcolato periodo per periodo, per tutto il corso della perdurante segnalazione durata del rapporto: ciò al fine di appurare se il tasso effettivo globale medio, all’atto della stipula del finanziamento convenuto nei limiti legali, superi in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentealcuni trimestri il tasso soglia. Il Collegio deve al riguardo richiamare il nuovo indirizzo della Cassazione (3 aprile 2013, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio n. 1796), secondo cui la norma d’interpretazione autentica recata dalla l. 28 febbraio 2001, n. 24, esclude la rilevanza dell’usura sopravvenuta ai sensi dell’artsoli fini della declaratoria di nullità della clausola ex art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante1815, come affermato dal ricorrente2° comma, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c.; non consente anche, richiamato dall’una e dall’altra parte per converso, di consolidare l’efficacia, nel corso del rapporto, degli interessi divenuti nel frattempo usurari. Sviluppando tale impostazione, questo Collegio ha distinto opportunamente gli effetti dell’usura a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare cheseconda se riferiti al momento genetico dell’accordo o invece al momento funzionale (v., in relazione alla Circolare della Banca d’Italia particolare, ABF Napoli, n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -1796/2013, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.cpoi da ult., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti ABF Napoli, n. 4664/2016); distinguo assai rilevante, poiché schiude il varco da un lato all’esclusione della ricorrenza di una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine – qui palesemente inammissibile – di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione invalidità sopravvenuta del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011)o di una sua specifica clausola, da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) edall’altro lato alla configurazione, nella specie, di seguitouna mera inopponibilità al cliente dei tassi eccedenti rispetto al tasso soglia legale, trimestralmente rilevato. Ad avviso di questo Collegio non vale a smentire siffatta impostazione l’assenza, nel presente contesto, di una norma che richiami l’istituto della integrazione automatica della clausola difforme da quella legislativa, contemplato dall’art. 1339 c.c., stante la segnalazione “a sofferenza” del nominativo portata generale e non già eccezionale di quest’ultimo, stante il perdurare ben chiarita dalla Cassazione (26 gennaio 2006, n. 1689) e da un’acuta dottrina. Su questa scia, la Banca d’Italia ha quindi fornito agli intermediari l’indicazione di condurre sistematicamente una verifica trimestrale sul rispetto delle soglie pro tempore vigenti per tutti i finanziamenti “a utilizzo flessibile” (c.d. revolving) (cfr. i “Chiarimenti in materia di applicazione della sua insolvenza (come da comunicazione legge antiusura” del 09.09.20113 luglio 2013), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Contract of Current Account
DIRITTO. La questione controversia ha per ad oggetto l’assunta illegittimità il riconoscimento del diritto della perdurante segnalazione in Centrale Rischi parte ricorrente alla restituzione di parte dei costi del nominativo del ricorrentefinanziamento, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo a seguito della avvenuta estinzione anticipata di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garantequest’ultimo rispetto al termine convenzionalmente pattuito, dalla quale deriva, come previsto dall’articolo 125-sexies del TUB, il diritto del soggetto finanziato ad ottenere una riduzione del costo totale del credito pari all’importo degli interessi e dei costi “dovuti per la vita residua del contratto”. La consolidata giurisprudenza dei Collegi di questo Arbitro, coerentemente con quanto stabilito peraltro dalla stessa Banca d’Italia negli indirizzi rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, ha affermato fino ad oggi che la concreta applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determinasse la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di contro, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (cc.dd. up front). Si è ugualmente consolidato l’orientamento per il quale il criterio di calcolo della somma corrispondente alla “riduzione” dei costi retrocedibili in caso di estinzione anticipata deve essere individuato nel metodo proporzionale puro, comunemente denominato pro rata temporis. In questo quadro interpretativo si inserisce la recente decisione 11 settembre 2019 nella causa C-383/18 della Corte di Giustizia Europea, e la successiva decisione 11 dicembre 2019 del Collegio di Coordinamento di questo ABF. Con domanda di pronuncia pregiudiziale in base all’articolo 267 TFUE il Giudice del Tribunale di Lublino ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di fornire l’esatta interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sui contratti dei consumatori, che ha abrogato la precedente Direttiva 87/102 CEE del Consiglio, ed in particolare di chiarire se tale disposizione, nel prevedere che “il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano dal ricorrentecontratto di credito. In tal caso egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, oche comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, viceversaincluda o meno tutti i costi del credito, permangacompresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto. La Corte Europea, come sostenuto dalla parte resistente con la già ricordata sentenza 11 settembre 2019, (c.d. sentenza LEXITOR), ha fornito risposta a tale quesito affermando che l’articolo 16 della Direttiva deve essere interpretato nel senso che “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. Il Collegio di Coordinamento di questo ABF, investito della questione dal Collegio di Palermo con ordinanza del 16 settembre 2019 in considerazione relazione alle conseguenze della citata sentenza della CGUE sulla rimborsabilità dei costi non risolta posizione debitoriacontinuativi (c.d. up front), occorre rifarsi accogliendo parzialmente il ricorso, con decisione dell’11 dicembre 2019, ha enunciato il seguente principio di diritto: “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front”. “Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una diversa previsione pattizia che sia all’artcomunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. 1957 “La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Quanto al criterio di riduzione dei costi, il Collegio di coordinamento afferma in primo luogo la nullità di ogni clausola che, “…sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari…”, in quanto contraria a norma imperativa, nullità rilevabile d’ufficio in base al disposto degli articoli 127 TUB e 1418 c.c., richiamato dall’una clausola da ritenersi sostituita automaticamente per il disposto dell’articolo 1419, comma 2, c.c. con la norma imperativa che, già al momento della conclusione del contratto, come si deve necessariamente concludere, per la natura dichiarativa della decisione LEXITOR, imponeva la restituzione anche dei costi up front. In secondo luogo, il Collegio di coordinamento, rilevato che, quanto alla riduzione dei costi diversi da quelli recurring, si è in presenza di una lacuna del regolamento contrattuale, osserva che la CGUE non impone al riguardo un criterio di riduzione comune ed unico per tutte le componenti, ma ha affermato che il metodo di calcolo utilizzabile “consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e dall’altra parte a sostegno nel ridurne poi l’importo in proporzione della durata residua del contratto”, intendendo la “totalità” non “…come sommatoria, ma come complessità delle proprie opposte ragionivoci di costo…”. Le parti, quindi, potranno “…declinare in modo differenziato il criterio di rimborso dei costi up front rispetto ai costi recurring, sempre che il criterio prescelto, con ciò senza escludere la facoltà di estendere il metodo pro rata, sia alle previsioni negoziali agevolmente comprensibile e quantificabile dal consumatore e risponda sempre ad un principio di cui alla costituzione della fideiussione(relativa) proporzionalità…”. In prospettiva generaleTuttavia, occorre inoltre ricordare chese ciò non accada, spetterà al giudicante, sempre secondo il Collegio di coordinamento, il compito di integrare il regolamento contrattuale incompleto, e, non potendosi procedere a tale fine in via interpretativa, in relazione al contenuto del contratto, né in base ad una disposizione normativa suppletiva, il Collegio afferma che “…non resta che il ricorso alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 integrazione “giudiziale” secondo equità (Capart.1374 c.c.). II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni A questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed punto il Collegio di coordinamento, premesso che spetterà ai singoli Collegi territoriali la valutazione dei casi concreti, passa alla decisione del merito del ricorso, in relazione al quale “…ritiene peraltro che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che la riduzione dei costi up front può nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è stato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.c. curva degli interessi) come desumibile dal piano di ammortamento…”, concludendo che si tratta della soluzione da ritenere “…allo stato la più idonea a contemperare equamente gli interessi delle parti contraenti perché, mentre garantisce il diritto del consumatore a una riduzione proporzionale dei costi istantanei del finanziamento, tiene conto della loro ontologica differenza rispetto ai costi recurring e della diversa natura della controprestazione…”, e che “…essa, inoltre, trova un collegamento puntuale nel richiamo alla portata del diritto all’equa riduzione del costo del credito sancito nell’abrogato art. 8 della Direttiva 87/102, di cui l’art. 16 della Direttiva 2008/48 costituisce una più precisa consacrazione evolutiva…”. Aggiunge, infine, che “…non ricorre invece alcuna ragione per discostarsi dai consolidati orientamenti giurisprudenziali dell’Arbitro bancario per quanto attiene ai costi ricorrenti e agli oneri assicurativi…”. Questo Collegio, nel dare piena attuazione alla decisione del Collegio di Coordinamento, ed ai principi di diritto esposti nel suo dispositivo, ritiene appropriato, nel merito, in base alla sua autonoma valutazione, il criterio di calcolo adottato nel caso concreto dal Collegio di Coordinamento (cfrper la quantificazione dei costi up front da restituire, condividendo pienamente, e qui richiamando integralmente, le argomentazioni poste a fondamento di tale scelta, che individua nella previsione pattizia del conteggio degli interessi il referente normativo da utilizzare al fine di calcolare l’importo di tale restituzione in applicazione del principio di integrazione giudiziale secondo equità. Il Collegio ritiene inoltre, sempre quale principio generale di diritto, che analogo criterio debba essere utilizzato anche in relazione ai contratti stipulati antecedentemente alla Direttiva 2008/48/CE relativa al credito ai consumatori, e nel vigore della precedente direttiva 87/102 CEE. A tale riguardo, appare innanzitutto significativo l’espresso riferimento a tale Direttiva contenuto nel paragrafo 28 della sentenza LEXITOR, nel quale la Corte afferma che l’articolo 16 della nuova Direttiva ha concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di “equa riduzione” quella “più precisa di “riduzione del costo totale del credito” e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare “gli interessi e i costi”, così come rilevato e confermato anche dal Collegio di coordinamento, come già riportato. A ciò si aggiunga che tale conclusione appare pienamente in accordo con l’orientamento espresso dal Collegio di coordinamento e dai Collegi ABF in merito ai principi che regolavano la materia anche prima dell’introduzione dell’articolo 125-sexies del TUB. Venendo al merito del ricorso, occorre preliminarmente esaminare la domanda con cui il ricorrente ha chiesto l’integrale rimborso della commissione dell’intermediario del credito per violazione degli articoli 2 DPR 287/2000 e 128 sexies TUB. La materia è stata recentemente affrontata dal Collegio di Coordinamento con la decisione n. 3089/2012) - 26526/2019 che ha evidenziato non solo i requisiti affermato il seguente principio di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi diritto: «Nel caso di inosservanza delle garanzie ricevute dall’intermediariodisposizioni degli articoli 2 DPR 287/2000 e 128 sexies TUB, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazionedeterminata dalla sottoscrizione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milanoper conto dell'intermediario finanziario, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento da parte del mediatore già intervenuto in tale veste nella fase dell'individuazione del futuro beneficiario del finanziamento stesso, ferma restando la inestensibilità della nullità per violazione di norme imperative del contratto tra intermediario e cliente al successivo contratto di finanziamento, alla parte finanziata spetta la restituzione degli oneri derivanti dal compenso del mediatore finanziario illegittimamente computati nel costo totale del credito nonché, ricorrendone la relativa domanda e la dimostrazione a cura del danneggiato, del risarcimento riferibile alla impossibilità di concludere il contratto di finanziamento a condizioni più vantaggiose. In quest'ultimo caso, la responsabilità del finanziatore consegue alla scelta del mediatore ed all'omesso esercizio del dovere di non adibirlo ad intervenire in sua rappresentanza nella stipulazione del contratto di finanziamento». Dall’esame della documentazione in atti, risulta che nel contratto per cui è sorta controversia l’intermediario del credito corrisponde al medesimo soggetto che ha sottoscritto il contratto per procura dell’intermediario resistente, in violazione del divieto di cui all’art. 2, comma 2, D.P.R. n. 287/2000 (“I mediatori creditizi svolgono la loro attività senza essere legati ad alcuna delle parti da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza. Ad essi è vietato concludere contratti nonché effettuare, per conto di banche o di intermediari finanziari, l'erogazione di finanziamenti e ogni forma di pagamento o di incasso di denaro contante, di altri mezzi di pagamento o di titoli di credito”) e dell’art. 128-sexies, comma 4, TUB (“Il mediatore creditizio svolge la propria attività senza essere legato ad alcuna delle parti da rapporti che ne possano compromettere l'indipendenza”). Nel caso di specie, detto divieto è stato palesemente violato, giacché la sussistenza del duplice (e confliggente) ruolo rivestito dal mediatore creditizio (quale procuratore speciale, da una parte, e mediatore dall’altra) rende, dunque, superabile anche l’osservazione relativa al fatto che sia stato il ricorrente a conferire uno specifico incarico di assistenza e consulenza nel reperimento di istituti bancari con i quali sottoscrivere il contratto di finanziamento: la sottoscrizione dello stesso in nome e per conto dell’intermediario resistente, infatti, è avvenuta in data 23.06.2011), esecuzione di uno specifico mandato da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo parte di quest’ultimo, stante con previsione della spendita del nome, privando così il perdurare mediatore stesso del requisito della imparzialità, tradizionalmente assunto, come sopra rilevato, quale caratteristica distintiva della sua insolvenza figura e del suo operato professionale. Dalla violazione del divieto consegue il venir meno della giustificazione causale il pagamento della commissione contrattualmente stabilita, con la conseguenza che la somma versata dal ricorrente dovrebbe essere valutata alla stregua del pagamento dell’indebito, con il connesso diritto alla integrale restituzione della stessa (come cfr., in termini, la decisione ABF, Collegio di Torino, n. 5646/2018): nel caso, a parte ricorrente deve essere restituita una somma pari a 6.912,00 euro. Per quanto riguarda la domanda di restituzione della quota non maturata delle ulteriori commissioni, la domanda della ricorrente merita accoglimento nei termini seguenti: - le “spese di istruttoria” di cui alla lettera A) del contratto, destinate a remunerare attività propedeutiche alla conclusione del contratto di finanziamento, devono essere rimborsate secondo il metodo di riduzione progressiva in base alla curva degli interessi, analogamente a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi (Collegio di Coordinamento, decisione n. 26525/2019); - le “commissioni di attivazione” di cui alla lettera B) e le “commissioni di gestione” di cui alla lettera C) del contratto, hanno invece, secondo l’orientamento condiviso da comunicazione tutti i Collegi, natura recurring, posto che le prime rinviano ad attività durevoli per l’intero ammortamento quali “i casi di passaggio dello stesso cedente ad altri enti pensionistici” e i “rischi relativi alle ipotesi di rifiuto dell’ente pensionistico medesimo ad effettuare le trattenute e di ritardo nell’inizio delle trattenute stesse”, mentre le seconde ricomprendendo attività che involgono l’intera gestione amministrativa e contabile del 09.09.2011)prestito e destinate ad essere espletate durante l’intero arco temporale di durata del contratto di finanziamento. In linea con il richiamato orientamento e tenuto conto dei rimborsi già effettuati in sede di estinzione in conformità alle previsioni contrattuali, deve concludersi per l’accoglimento delle richieste del ricorrente nella misura riportata nella seguente tabella: rate complessive 108 rate scadute 44 Importi Natura Rimborsi dovuti Rimborsi già effettuati Residuo Denominazione % rapportata al TAN 37,31% spese di istruttoria 360,00 € Up front 134,30 € 134,30 € commissioni di attivazione 2.419,20 € Recurring 1.433,60 € 1.433,60 € commissioni di gestione pratica 5.749,43 € Recurring 3.407,07 € 2.090,06 € 1.317,01 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € A tale importo deve essere sommato quello della commissione dell’intermediario del credito pari a 6.912,00 euro, per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il cui l’importo complessivo dovuto al ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’artrisulta pari a 9.796,91 euro. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue Il Collegio precisa infine che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.trattando
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrenteSecondo consolidato orientamento, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione anticipata, va restituita la quota delle commissioni e del garantepremio assicurativo non maturata nel tempo. Debbono, come affermato dal ricorrenteinfatti, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della reputarsi contrarie a norma imperativa le condizioni contrattuali che stabiliscono la non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.cripetibilità tout court dei costi applicati al contratto nel caso di estinzione anticipata (cfr., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioniex multis, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/20142055/12; Collegio di Roma, n. 1121/12; Collegio di Napoli, n. 1858/12). Circa l’applicabilità dell’artL’art. 1957 c.c125, 2° comma, D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, (Disposizioni varie a tutela dei consumatori), prevedeva che “le facoltà di adempiere in via anticipata o di recedere dal contratto senza penalità spettano unicamente al caso in esameconsumatore senza possibilità di patto contrario. Se il consumatore esercita la facoltà di adempimento anticipato, pare non doversi dubitare: ha diritto a un'equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR”. Su questa linea, l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale 125-sexies TUB, introdotto dal D.lgs. n. 141/2010, dispone che “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoconsumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c.tutto o in parte, si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone l'importo dovuto al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016)finanziatore. In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazionecaso, il ricorso consumatore ha diritto a mezzi processuali di tutela una riduzione del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione costo totale del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la presenza vita residua del contratto”. Nello stesso senso, con Comunicazione del Governatore della Banca d’Italia del 10 novembre 2009, si dispone che in caso di ostacoli giuridici (comeestinzione anticipata del mutuo “l’intermediario dovrà restituire, ad esnel caso in cui tutti gli oneri relativi al contratto siano stati pagati anticipatamente dal consumatore, l’apertura la relativa quota non maturata”. Tale disciplina attua l’art. 8 della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersidirettiva 87/102/CEE, ai sensi dell’artdel quale "il consumatore deve avere la facoltà di adempiere in via anticipata agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito" e "in conformità delle disposizioni degli stati membri, egli deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito". 1957 c.cLa ratio di tale norma a tutela del consumatore è stata ribadita dalla Direttiva 2008/48/CE del 23.4.2008, recentemente recepita dal D.Lgs. n. 141/2010, per i contratti di credito al consumo, che sostituisce la norma comunitaria dell’87. Quanto alla restituzione dei premi assicurativi, viene in rilievo l’accordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008 (‘Linee guida per le polizze assicurative connesse a mutui e altri contratti di finanziamento’), in base al quale: “nel caso in cui il contratto di mutuo o di finanziamento venga estinto anticipatamente rispetto all’iniziale durata contrattuale, ed esso sia assistito da una copertura assicurativa collocata dal soggetto mutuante ed il cui premio sia stato pagato anticipatamente in soluzione unica ..., il soggetto mutuante restituisce al cliente – sia nel caso in cui il pagamento del premio sia stato anticipato dal mutuante sia nel caso in cui sia stato effettuato direttamente dal cliente nei confronti dell’assicuratore – la parte di premio pagato relativo al periodo residuo per il quale il rischio è cessato”. Su questa linea, l’art. 49 del Regolamento ISVAP n. 35/2010 prevede che; “nei contratti di assicurazione connessi a mutui e ad altri finanziamenti per i quali sia stato corrisposto un premio unico il cui onere è sostenuto dal debitore/assicurato le imprese, nel caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo o del finanziamento, restituiscono al debitore/assicurato la parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria. Essa è calcolata per il premio puro in funzione degli anni e frazione di anno mancanti alla scadenza della copertura nonché del capitale assicurato residuo; per i caricamenti in proporzione agli anni e frazione di anno mancanti alla scadenza della copertura. Le condizioni di assicurazione indicano i criteri e le modalità per la definizione del rimborso. Le imprese possono trattenere dall’importo dovuto le spese amministrative effettivamente sostenute per l’emissione del contratto e per il rimborso del premio, a condizione che le stesse siano indicate nella proposta, nella polizza ovvero nel modulo di adesione alla copertura assicurativa”., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇.▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione Collegio, esaminando l’eccezione dell’intermediario, richiama i principi di diritto affermati dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui la quietanza ha una volontà dismissiva del garante, come affermato diritto allorché risulti dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione documento o dal concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde la consapevolezza dell’interessato della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una titolarità di determinati diritti e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali l’intento cosciente di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare abdicarvi o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica transigere (cfr. Cass. 8 settembre 2017, n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo20976, Cass. 15 settembre 2015, n. 1724/201618094). In tale otticaNella fattispecie in esame, l’osservanza del suddetto onere esigela dichiarazione sottoscritta dal cliente contiene un richiamo generico e indeterminato alla rinuncia a qualsiasi diritto nascente dal contratto e dalla sua anticipata estinzione, secondo e non il costante orientamento riferimento specifico alla rinuncia alla restituzione delle commissioni di competenza della Cassazionebanca in ragione dell’anticipata estinzione. Si legge, infatti, “Resta inteso che con il pagamento della somma sopra indicata, si intende rinunciato ogni eventuale diritto e/o pretesa nascente dal contratto in epigrafe e dalla sua anticipata estinzione – anche in questa sede non espressamente menzionato – nei confronti della nostra Società”. Né nella dichiarazione sottoscritta dal cliente vi è il riferimento alla rinuncia al ricorso a mezzi processuali all’ABF. Anzi sul punto si osserva che, nel caso di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, in calce alla lettera di accompagnamento della quietanza, predisposta dall’intermediario, è scritto in basso e a fronte della contestazione del ricorrente in ordine caratteri più piccoli rispetto al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il creditocarattere usato nella lettera, parte resistente che l’intermediario “aderisce all’Istituto dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) al quale la clientela, qualora non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle soddisfatta potrà rivolgersi per la presenza risoluzione stragiudiziale delle controversie (...)”. Pertanto, tale indicazione può indurre in errore il cliente che riceve tale lettera. Per quest’ultimo può non essere chiaro se possa rivolgersi all’ABF anche nel caso in cui non si senta soddisfatto dopo la compilazione e la sottoscrizione del modulo predisposto e inviato dall’intermediario ovvero soltanto nel caso in cui scelga di ostacoli giuridici (comenon compilare e sottoscrivere il modulo allegato. Ne consegue che il Collegio non accoglie, ad esnel caso di specie, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cl’eccezione dell’intermediario., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione riguarda il diritto a ottenere copia dei documenti da parte del cliente di una banca. Si tratta di cliente che riveste la qualifica di società di capitali (nella forma di società a responsabilità limitata) e di richiesta di informazioni riguardanti anche operazioni in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentederivati. Più precisamente l’intermediario è disponibile a fornire i documenti richiesti (ciò risulta dalla lettera dalla banca datata 3 luglio 2015, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio nella quale si legge testualmente che “la richiesta documentale verrà evasa ai sensi dell’art. 1957 c.c119 del D.L. 385 del 1° settembre 1993”), ma chiede in cambio il pagamento della somma di € 960,00 per 96 fotocopie. Per accertare Non vi parrebbe dunque essere controversia fra le parti in merito alla debenza dei documenti. Può dunque considerarsi superata la questione se la richiesta di documenti aventi a oggetto la prestazione di servizi di investimento possa essere effettuata ai sensi dell’art. 119 comma 4 TUB (disposizione dettata per i contratti bancari). Una risposta positiva pare tuttavia possibile in considerazione già del tenore letterale dell’art. 119 comma 4 TUB, secondo cui si può ottenere copia della documentazione “inerente a singole operazioni poste in essere”. Le operazioni su derivati vengono poste in essere sulla base di un contratto di conto corrente (e sulla base di un precedente rapporto debitorio) sul quale vengono regolati i flussi determinati dal contratto derivato. Ritiene dunque questo Collegio che l’intermediario debba fornire anche i documenti relativi alle operazioni su derivati. In altri precedenti dell’Arbitro Bancario Finanziario è stato affermato il diritto del cliente a ottenere dalla banca copia di contratti diversi da quelli strettamente bancari (si veda ad esempio Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Milano, decisione n. 428 del 2013, per un caso concernente il contratto di assicurazione). Ritenuto dunque sussistere un obbligo di consegna anche dei contratti e dei documenti non aventi carattere strettamente bancario, purché collegati ai contratti bancari, la questione centrale per la decisione è quella relativa al costo dei documenti. Il costo di € 10,00 per foglio richiesto dalla banca potrebbe apparire eccessivo rispetto al mero costo di riproduzione dei documenti cartacei e troverebbe la propria giustificazione – secondo la tesi dell’intermediario – nel fatto che i fogli informativi stabiliscono un costo copia singolo documento archiviato in formato cartaceo di € 10,00. In realtà il foglio informativo si riferisce a costi per “documento” e non a costi per “pagina”. Siccome i documenti possono avere lunghezze variabili, il costo richiesto dovrebbe essere calibrato in relazione alle caratteristiche (essenzialmente alla lunghezza) del documento. Più in generale l’art. 119 comma 4 TUB fa riferimento a “costi di produzione” e nella applicazione giurisprudenziale dell’Arbitro Bancario Finanziario con tale espressione ci si riferisce ai costi vivi affrontati dall’intermediario per lo svolgimento essenzialmente delle seguenti tre operazioni: 1) recupero del materiale, 2) riproduzione del materiale e 3) invio dei documenti. Questo Arbitro ha già avuto modo di sanzionare il comportamento di banche le quali impongano un costo fisso per la dazione di documenti, dal momento che un sistema siffatto prescinde dal reale “costo di produzione” (si veda ad esempio Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Roma, decisione n. 7464 del 2015). La banca può applicare solo i costi per il reperimento, la riproduzione e la spedizione dei documenti, costi che devono essere valutati nel caso concreto. D’altro canto, per ragioni organizzative, le banche possono preferire un meccanismo forfettario di calcolo dei costi di produzione. Nel caso di specie, in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale effetti, la banca chiede € 10,00 per ogni foglio. Questo ▇▇▇▇▇▇▇▇ ritiene che detto meccanismo di calcolo dei costi possa essere ragionevole, ma vada riferito a “documenti” e non a “pagine” (come del resto correttamente indica il foglio informativo). Dunque, nel caso di specie, non potranno essere chiesti € 10,00 per pagina, ma € 10,00 per ogni documento richiesto. Spetta alla banca accertare quanti siano i documenti richiesti nel caso di specie dal proprio cliente e formulare una richiesta di pagamento conforme. A titolo esemplificativo per documento si intende: 1) il contratto di conto corrente; 2) il contratto-quadro per la prestazione di servizi di investimento; 3) l’estratto conto completo. Se ad esempio il contratto-quadro si compone di 15 pagine, non potranno essere addebitati costi per € 150,00 (ossia € 10,00 per pagina), bensì di soli € 10,00, rappresentando detto contratto un unico documento. Per quanto concerne infine i costi di spedizione, costi del genere non potranno essere applicati laddove i documenti vengano ritirati direttamente in filiale; altrimenti, se si ha vera e propria spedizione e non mera consegna, può essere applicato solamente il costo della spedizione (l’Arbitro non può pronunciarsi in dettaglio al riguardo, non sapendo quale sia cessato per estinzione dell’obbligazione il mezzo di spedizione e il peso del garanteplico). Infine ritiene questo ▇▇▇▇▇▇▇ che la banca non possa subordinare la dazione dei documenti al previo pagamento della somma richiesta. Il cliente ha un diritto pieno all’informazione bancaria, come affermato dal ricorrentecon la conseguenza che i documenti devono essere rilasciati previa la sola richiesta da parte dell’interessato. Salvi casi manifesti di abuso nell’esercizio del diritto, ola banca non può condizionare il rilascio dei documenti al previo pagamento dei costi di produzione. Dunque i documenti dovranno prima essere forniti al cliente, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione e la banca potrà successivamente addebitare il conto nella misura indicata sopra (laddove sia ancora aperto un conto presso l’intermediario) oppure chiedere al cliente il versamento della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussionesomma. In prospettiva generalevia riassuntiva, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 la banca può chiedere solo € 10,00 per singolo documento (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -non per foglio), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con cui vanno aggiunte le spese vive di spedizione. L’intermediario deve inoltre provvedere immediatamente alla consegna dei documenti senza poter subordinare la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no dazione degli stessi al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo di alcuna somma, somma che dovrà poi essere pagata dal cliente in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.ctempi ragionevoli., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Contractual Dispute Resolution
DIRITTO. La questione Il presente ricorso riguarda la vicenda del fallimento di una nota società specializzata in cure odontoiatriche, che venivano finanziate attraverso il ricorso a prestiti erogati nel caso di specie dall’intermediario resistente. In via pregiudiziale parte resistente ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi eccepito l’incompetenza dell’ABF a decidere su controversie relative all’inadempimento del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio fornitore ai sensi dell’art. 1957 125-quinquies TUB; infatti, secondo la prospettazione offerta, in linea con quanto disposto dall’art. 4 delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, dovrebbero ritenersi escluse dalla competenza dei Collegi territoriali le questioni relative a beni o servizi oggetto del contratto tra il cliente e l’intermediario, ovvero di contratti ad esso collegati (ad esempio, quelle riguardanti eventuali vizi del bene concesso in leasing o fornito mediante operazioni di credito al consumo). Sempre il resistente ha rilevato che il provvedimento attraverso il quale viene dichiarata la risoluzione di un contratto ha valore costitutivo in quanto, a differenza dei provvedimenti dichiarativi e di condanna, oltre a contenere un accertamento della realtà giuridica, ha la caratteristica di “costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa” come stabilito dall’art. 2908 c.c. Per accertare se nel Il Collegio, con riferimento ad entrambe le eccezioni sollevate, ritiene la propria competenza alla luce della decisione del Collegio di Coordinamento che, con decisione n. 12645 del 17/05/2021 ha rilevato come “Venendo al caso di specie va premesso che è orientamento consolidato dei Collegi territoriali affermare la propria competenza ratione materiae su controversie della specie. Ai sensi delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in esame l’obbligo materia di segnalazione in Centrale operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. I, paragrafo 4) “All’Arbitro Bancario Finanziario possono essere sottoposte dai clienti controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari”. Anche le decisioni dei Collegi territoriali risultano confermi al dedotto orientamento (cfr. ex multis Collegio di Torino, decisioni nn. 2744/2021, 5052/2021 e Collegio di Milano, decisione n. 23622 del 24/12/2020). In ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ rappresenta che in sede di ricorso il ricorrente ha formulato domanda volta alla cancellazione delle eventuali segnalazioni in centrale rischi. Il Collegio rileva che tale richiesta non è supportata da alcun elemento probatorio e viepiù che, in sede di controrepliche, l’intermediario ha dichiarato esplicitamente di aver provveduto alla sospensione delle rate dei finanziamenti collegati ai contratti di fornitura conclusi con la Società fallita, nonché all’oscuramenti dei dati dei clienti presso i Sistemi di Informazioni Creditizie (SIC). Deve, quindi, essere rilevata la consulenzialità della domanda in parte qua e la inammissibilità della stessa, alla luce dell’orientamento assunto dall’ABF in merito (in particolare si richiamana Coll. Coord. dec. n. 10929/2016 e Coll. Torino, dec. n. 7867/2020) Venendo al merito della controversia è un fatto che la società medio tempore fallita non ha potuto portare a termine il contratto sottoscritto per le cure odontoiatriche oggetto di preventivo e collegate al contratto di finanziamento per cui è causa. Il ricorrente in questa sede chiede accertarsi la risoluzione del collegato contratto di finanziamento tramite l'esercente convenzionato ormai fallito, asserendo che non è stato adempiuto integralmente il contratto, e conseguentemente il rimborso delle somme di € 1.104,75, pari alle rate versate. La quantificazione delle rate versate non è circostanza contestata. Parte ricorrente individua nella fattura del 4/03/2019, di importo pari a € 3.500 per effetto di sconto, il contratto di fornitura collegato al finanziamento per cui è controversia . Il Collegio, nonostante la contestazione in merito della parte resistente, ritiene provato il collegamento tra i contratti dedotti: ciò sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto la relazione temporale tra la “lettera di ▇▇▇▇▇▇▇▇▇” (datata 5/03/2019) allegata dalla parte ricorrente e sia per l’importo indicato in fattura. D’altronde la resistente, che pure lamenta l’incompleta allegazione documentale, non contesta il collegamento tra il preventivo del 4/03/2019 e il contratto di finanziamento, che conferma esser stato sottoscritto in data 5/03/2019. Dalla lettera di “benvenuto” è possibile evincere le caratteristiche del finanziamento: di importo pari a € 3.535,00; da rimborsare in n. 48 rate da € 73,65 ciascuna. L’intermediario resiste, sostenendo il mancato assolvimento dell’onere della prova a carico del ricorrente in ordine alle conclusioni formulate. Il Collegio ritiene che la domanda del ricorrente sia fondata e vada accolta nei limiti della domanda, con esclusione dell’accoglimento delle pretese accessorie in punto spese legali. Il contratto stipulato per le cure odontoiatriche e quello di finanziamento sono da considerarsi collegati fra loro perché ricorrono tutte le ipotesi previste dall'art. 121 comma 1 lett. D TULB (convenzionamento fra finanziatore ed esercente; indicazione del prodotto nel contratto di finanziamento). Preso atto che parte resistente non contesta il collegamento tra il preventivo del 4/3/2019 e il contratto di finanziamento sottoscritto il 5/3/2019, Il Collegio ritiene provato il collegamento in considerazione ragione di plurimi documenti concordanti. L'art. 125 quinquies comma 1 TULB attribuisce all'attore il diritto ad ottenere la risoluzione del contratto di credito in caso di inadempimento ex art. 1455 c.c. da parte del fornitore di beni o servizi; nella fattispecie si è accertato che tale inadempimento non solo sussiste per i motivi di seguito esposti, ma ha addirittura legittimato una risoluzione del contratto presupposto. Di conseguenza il ricorrente ha diritto di ripetere tutte le somme a qualsiasi titolo fin qui versate e la liberazione da ogni altro vincolo derivante da tale contratto. Si consideri con riferimento alla valutazione circa il grave inadempimento di cui all’art. 1455 c.c. che le cure odontoiatriche rientrano innegabilmente tra le attività da ascrivere allo schema delle professioni intellettuali in cui il rapporto è caratterizzato da ampi margini di discrezionalità tra operatore sanitario/ paziente, in applicazione del c.d. principio di autolegittimazione della attività medica, che postula un doveroso consenso del paziente a subire le cure previste da quel particolare medico ovvero dalla struttura sanitaria scelta. La professione odontoiatrica, infatti, è professione medica, che si concreta, nei limiti del suo specifico oggetto, nell’esercizio delle stesse attività di prevenzione, diagnosi e cura che connotano l’esercizio di ogni professione medica. Di conseguenza, stante la natura terapeutica del rapporto, questo non può essere oggetto di sostituzione con altro sanitario o altro centro odontoiatrico, senza il consenso del paziente, qualora il primo non possa più operare a causa dell’intervenuto fallimento. Il ricorrente ha formalmente eccepito l’inadempimento della prestazione contrattuale, nonostante la messa in mora ed ha invocato il diritto alla risoluzione ai sensi dell’art. 125- quinquies Tub e alla luce della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artscarsa importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1957 1455 c.c., richiamato dall’una con conseguente obbligo di rimborsare al ricorrente le rate già pagate. L’art. 125quinquies Tub, che ha sostituito l’art. 42 del Codice del Consumo e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali recepisce nel nostro ordinamento la previsione di cui all’art. 15 della Direttiva 2008/84, relativa al credito ai consumatori, stabilisce in primo luogo che nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento del fornitore il consumatore, effettuata senza esito la costituzione in mora dello stesso, “ha diritto alla costituzione risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile”, (primo comma) ciò che “comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato” (2° comma). Si tratta di una norma che predispone in capo al consumatore una tutela specifica e particolare, ulteriore rispetto a quelle cui avrebbe in ogni caso diritto, in forza della fideiussionerelazione d’interdipendenza tra l’acquisto di un bene o servizio e il contratto di credito concluso a tal specifico fine (Considerando n. 37 Direttiva 87/102/CEE). Deve in primo luogo precisarsi che l’applicazione dell’art. 125quinquies Tub implica la riconducibilità del contratto di credito oggetto di controversia alla fattispecie del “contratto di credito collegato”, così come individuata dal comma 1, lett. d) dell’art. 121 Tub, norma che definisce tale il contratto “finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici se ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito”. Non è controverso tra le parti e risulta dal contratto che esso fosse finalizzato “alla prestazione di un servizio specifico”. Non è parimenti in contestazione che il fornitore del servizio abbia svolto nella vicenda contrattuale in analisi il ruolo di intermediario del credito quale soggetto convenzionato all’intermediario resistente. Deve pertanto ritenersi sussistente il criterio legale di collegamento tra i due contratti necessario e sufficiente. A fronte dell’accertato collegamento fra il contratto di fornitura e quello di credito – per altro circostanza non oggetto di specifica contestazione - l’art. 125quinquies Tub sancisce come sopra visto il diritto alla risoluzione di quest’ultimo al ricorrere di due condizioni. In prospettiva generaleprimo luogo, occorre inoltre ricordare che sia stata inutilmente effettuata la messa in mora del fornitore. Sul punto la parte ricorrente ha prodotto copia della diffida ad adempiere inviata il 23/6/2020. Ad abundantiam si rileva che, secondo l’orientamento consolidato dei Collegi ABF, il fallimento o l’irreperibilità del fornitore surrogano la prova della messa in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 mora (CapColl. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/201417926/2018; Coll. Napoli n. 7194/2018 e Coll. Roma n. 1912/2017). Circa l’applicabilità dell’artIn secondo luogo, che ricorrano “le condizioni di chi all’art. 1957 c.c. al caso 1455 del codice civile”, norma in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del base alla quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”. Sul punto parte ricorrente riferisce che “nelle corone su impianti, risulta assente il tappo di chiusura del foro passante per le viti, rendendo evidente come il lavoro non sia stato per nulla completato da parte del fornitore”. Risulterebbe pertanto evidente che il lavoro sulle corone dentali sarebbe da considerare non eseguito per un totale di euro 777,00. E lamenta un totale di lavori non eseguiti per un totale di euro 2.191,00 Di contro, parte resistente contestata la rilevanza del preventivo di parte e ha evidenziato la mancata allegazione da parte del ricorrente di qualunque documento idoneo a totale estinzione rilevare quali tra le attività oggetto del ciclo di ogni suo credito verso cure odontoiatriche siano rimaste inadempiute, atteso che i preventivi di cure successive (dell’aprile 2019 e gennaio 2020) comproverebbero il debitore permanere della fiducia nei riguardi della società di cure. Parte ricorrente eccepisce che – nel riscontro al reclamo – la resistente avrebbe ammesso che le cure non sarebbero state completate, pur contestando l’importo che la resistente ha indicato come valore delle cure eseguite (€ 3.167,00). Alla luce delle diverse prospettazioni sopra richiamate, il Collegio rileva che tra parte ricorrente e la società esercente fallita è pacificamente intercorso un contratto d'opera professionale, essendosi il termine entro paziente rivolto direttamente al professionista per intraprendere il quale agire per l’adempimentopiano di cure meglio indicato nel preventivo allegato ed oggetto di parziale finanziamento. Il rapporto che intercorre tra il medico dentista ed il paziente è un contratto a prestazioni corrispettive disciplinato dal combinato disposto degli artt.2222, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 2229 c.c., in forza dei quali il professionista si stabilisce in 36 mesi obbliga all'erogazione della prestazione sanitaria concordata con il cliente ed il cliente si obbliga al pagamento della parcella, direttamente o , come nel caso di ricorso, tramite contratto di finanziamento. L'esercizio della professione odontoiatrica risulta disciplinato dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare L. n. 409 del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata 1985; si tratta di una fideiussione sia correlata professione connotata da particolare autonomia, pur rientrando nell'alveo delle professioni sanitarie, sicché il mancato adempimento anche solo in parte delle cure proposte non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, può che essere qualificata “grave inadempimento” atteso il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia chiaro e non contestato nesso con l'omissione del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale medico-dentista nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato artcompletamento delle cure. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte D’altronde l’intermediario resistente non ha offerto se fornito la "prova positiva" dell'avvenuto adempimento o dell'esatto dell'adempimento, ma ha solo affermato essere le prestazioni odontoiatriche interamente adempiute: non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla risulta provato, però, né che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente, né che l’inadempimento è stato non rilevante. L’inadempimento lamentato nel caso di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti)specie è, senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba da ritenersi, parziale, ciò che tuttavia non esclude di per sé la gravità dello stesso ai sensi dell’art. 1957 1455 c.c., estinta eriguardando non solo la maggior parte della prestazione dovuta ma anche l’indubbio interesse della parte non inadempiente al completamento delle cure previste dal contratto di fornitura. Deve infatti, secondo i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione “accertarsi l’apprezzabilità in concreto del peso dell’inadempimento nell’economia del rapporto e commisurarsi il risultato di tale primo accertamento all’interesse del creditore deluso, considerato non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo per la natura del contratto, per la qualità dei contraenti e per ogni altra circostanza rilevante”, tenendo conto che “l’interesse” richiamato dall’art. 1455 c.c. “non può che consistere nell'interesse della parte non inadempiente alla prestazione rimasta ineseguita: interesse che deve presumersi (con presunzione semplice, ex art. 2727 c.c.) vulnerato tutte le volte che l'inadempimento sia stato di rilevante entità, ovvero abbia riguardato obbligazioni principali e non secondarie (Sez. 3, Sentenza n. 8063 del 14/06/2001)”. Si aggiunga che l’inadempimento è da ritersi definitivo, poiché il fornitore è stato dichiaro fallito. Rispetto al tema della legittimità o meno di una pronuncia di risoluzione di un contratto d'opera nel quale una parte non possa restituire le prestazioni in natura ricevute - nel caso di specie, il paziente non potrebbe restituire la prestazione del medico, consistita nell'esecuzione, per quanto inesatta, dell'intervento secondo la prospettazione della parte resistente -, si osserva come l'eventuale rigetto della domanda restitutoria si porrebbe in aperto contrasto con l'esigenza di salvaguardare il sinallagma tra le reciproche prestazioni. Se si ritenesse irripetibile l'onorario versato dal paziente odierno ricorrente limitatamente al finanziamento dedotto, infatti, quest'ultimo verrebbe costretto a pagare una prestazione inutile, se non addirittura dannosa. Si consideri, del resto, che il controvalore pecuniario di una prestazione professionale che abbia arrecato un danno alla salute del paziente – determinato dalla necessità di ricorrere alle cure di altro sanitario - non può non essere pari a zero, e dunque per esso non sarebbe dovuto alcun corrispettivo. A tali considerazioni è opportuno poi aggiungere che, se prima della risoluzione del contratto il cliente ancora non avesse pagato l'onorario professionale, egli potrebbe legittimamente rifiutare tale pagamento, ai sensi dell'articolo 1460 c.c. Appare pertanto illogico, a fronte dell'inadempimento dell’esercente, consentire al cliente di non pagare l'onorario se il contratto è ancora in vita, e farglielo perdere se il contratto è risolto. Deve, pertanto, concludersi che il paziente non più giustificata è tenuto a versare al medico libero professionista il corrispettivo pattuito e, se versato, ha diritto a pretenderne la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.restituzione, quando l'intervento si
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DIRITTO. La questione ha Commissione, preso atto della memoria di parte resistente di cui alle premesse in fatto, rileva in parte l’improcedibilità del ricorso per oggetto l’assunta illegittimità cessazione della perdurante segnalazione materia del contendere quanto ai documenti inviati dall’amministrazione. Quanto ai dati contenuti nell’archivio dei rapporti finanziari, il ricorso deve essere accolto, in Centrale Rischi considerazione del nominativo del ricorrentefatto che viene in rilievo il cosiddetto accesso difensivo, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio vale a dire l’accesso preordinato all’acquisizione di documenti la cui conoscenza è necessaria ai sensi fini della cura e della difesa degli interessi giuridici dell’accedente, garantito dal comma 7 dell’art. 1957 c.c. Per accertare se 24 della legge n. 241/1990, avendo parte ricorrente dedotto ed allegato all’istanza di accesso documentazione inerente alla pendenza dinanzi al Tribunale di ….. del giudizio di separazione personale, iscritto al n. …../….., riunito al n. …../….. Ad avviso della Commissione l’accesso ai documenti amministrativi, previsto e tutelato dalla legge 241/90, deve essere consentito in presenza di un interesse diretto, concreto ed attuale in capo all’accedente e con riferimento ad una strumentalità tra l’interesse dedotto e la documentazione richiesta in ostensione - requisiti questi che devono dirsi entrambi sussistenti nel caso in esame l’obbligo - e può essere escluso solo nei casi previsti dalla legge. Deve pertanto conservarsi la possibilità per il privato di segnalazione ricorrere agli ordinari strumenti offerti dalla L. n. 241 del 1990 per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare all'Amministrazione di consegnare. La Commissione sottolinea che con sentenza n. 6825 il Consiglio di Stato (Sez. IV, 03-12-2018) ha recentemente sostenuto che “tutte le informazioni risultanti dai documenti inseriti nell'archivio dei rapporti finanziari devono, pertanto, ritenersi pienamente accessibili per la tutela in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno giudizio delle proprie opposte ragioniposizioni giuridiche, sia alle previsioni negoziali tanto più che si tratta di cui alla costituzione atti e documenti di fatto utilizzati dalla stessa Amministrazione finanziaria per l'esercizio delle proprie funzioni istituzionali (Cons. St., IV, 14 maggio 2014, n. 2472)”. Tale orientamento è stato confermato dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5347/2019, nonché da ultimo dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze nn. 19,20 e 21 del 2020, senza necessità di ulteriori specificazioni, bastando l’indicazione della fideiussionecausa già pendente. In prospettiva generaleLa giurisprudenza è d’altronde ferma nel ritenere che il controllo che l'amministrazione deve effettuare al fine della verifica dell'ostensibilità degli atti per la tutela giurisdizionale o per la cura di posizioni soggettive debba essere meramente estrinseco; infatti, occorre inoltre ricordare chetra le tante, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -il Consiglio di Stato, Sez. 2V, Par. 3 - Garanzie ricevute 30-)08-2013, n. 4321 ha affermato che "Il limite di valutazione della P.A. sulla sussistenza di un interesse concreto, attuale e differenziato all'accesso agli atti della P.A. (che è pure il requisito di ammissibilità della relativa azione) si sostanzia nel solo giudizio estrinseco sull'esistenza di un legittimo e differenziato bisogno di conoscenza in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento capo a chi richiede i documenti", senza che l'amministrazione possa scendere nella valutazione intrinseca della effettiva utilità ai fini difensivi della documentazione richiesta (sul punto cfr. decisione altresì Consiglio di Stato n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione 461 del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/201629 gennaio 2014). In tale otticaconclusione, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il la Commissione ritiene di dare seguito al proprio costante orientamento e conseguentemente deve essere affermato il diritto della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ricorrente ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella speciel'accesso ai documenti in questione relativi al coniuge, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario detenuti dall'Agenzia delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti)entrate, senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità necessità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cintegrazione documentale., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. Occorre esaminare preliminarmente l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’intermediario convenuto, il quale ha prodotto agli atti copia della Gazzetta Ufficiale del 18.04.2019, contenente la pubblicità dichiarativa della cessione del ramo di azienda cui inerisce il contratto di leasing finanziario per il quale pende controversia. Come è noto, l’art. 58, comma 5 TUB prevede, per il caso di “cessione a banche di aziende e rami d’azienda” che “i creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2, di esigere dal cedente o dal cessionario, l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione. Trascorso il termine di tre mesi, il cessionario risponde in via esclusiva”. Ebbene, nel caso di specie, il ricorrente ha correttamente indirizzato, in data 26 febbraio 2019, la propria eccezione di nullità di pattuizioni contrattuali per violazione del divieto di intese anticoncorrenziali nonché le proprie domande di restituzione delle somme pagate in esecuzione di quanto previsto dalle predette clausole e di risarcimento del danno da sovrapprezzo nei confronti dell’intermediario cedente, odierno convenuto. Egli ha, infatti, dato avvio al procedimento dinnanzi a questo Arbitro presentando reclamo all’intermediario cedente in data 26.02.2019, dunque prima della pubblicazione in GU della cessione del relativo ramo di azienda, avvenuta il 18.04.2019 (da cui decorre il termine di 3 mesi per l’opponibilità della cessione del ramo d’azienda ai creditori ceduti). La questione cessione non può pertanto essergli opposta ai sensi di quanto previsto dall’art. 58 comma 5 TUB. In un caso analogo, questo Collegio si è poi pronunciato sulla necessità di dare rilievo alla natura extracontrattuale delle pretese risarcitorie e restitutorie fatte valere dal ricorrente nei confronti dell’intermediario convenuto, la cui eventuale responsabilità da fatto illecito non sarebbe comunque soggetta a cessione (cfr. Collegio di Bologna, decisione n. 19 del 2020). Ne deriva che l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’intermediario convenuto è del tutto infondata e deve essere rigettata. Passando al merito della controversia, questo Collegio ha per oggetto l’assunta illegittimità avuto modo di ritenere, in conformità con la giurisprudenza ABF in materia, che “una violazione del diritto della perdurante segnalazione concorrenza consistente in Centrale Rischi un cartello, ove provata, possa dare luogo, rispetto ad un rapporto contrattuale “a valle”, tanto ad un danno risarcibile nella forma del nominativo del ricorrentedanno da sovrapprezzo, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio così come identificato all’art. 10 d.lgs. 19.01.2017, n. 3 (la cui esistenza, una volta provata l’intesa anticoncorrenziale a monte, “si presume, salva prova contraria dell’autore della violazione”, ai sensi dell’art. 1957 14 co.2 d.lgs. n. 3/2017) che ad un’ipotesi di nullità totale o parziale, a seconda dell’esito cui conduce nel singolo caso concreto l’applicazione dell’art. 1419 c.c.” (cfr. Per accertare se nel caso Collegio di Bologna, decisione n. 24607 del 2019 e, analogamente, Collegio di Milano, decisione n. 16558 del 2019). In punto di valore probatorio dell’accertamento AGCM, la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire, anche recentemente, la funzione di “prova privilegiata” del provvedimento AGCM, il quale è dotato di “elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale, quanto l'astratta idoneità della stessa a procurare un danno ai consumatori” (cfr. Cassazione Civile, 22.5.2019, n. 13846). Il dettato normativo è tuttavia chiaro nell’attribuire valenza di definitivo accertamento della violazione del diritto della concorrenza alla decisione dell’AGCM non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso ovvero alla sentenza del giudice del ricorso passata in esame l’obbligo giudicato (art. 7 del d.lgs. n. 3/2017). L’odierno ricorrente si limita a produrre il provvedimento n. 27492/2018 dell’AGCM, sub all. a), quale pretesa prova dell’illecito anticoncorrenziale posto a fondamento di segnalazione tutte le sue domande – sia di quelle che mirano alla declaratoria di nullità di singole clausole del contratto di leasing finanziario che di quelle restitutorie e risarcitoria, senza che vengano prodotte ulteriori evidenze. Come già chiarito, tuttavia, la questione della violazione della normativa concorrenziale da parte dell’intermediario convenuto è pacificamente pendente dinnanzi al TAR del Lazio, dove il provvedimento in Centrale discorso è stato impugnato e risulta attualmente sospeso in via cautelare in attesa della decisione di merito. Tanto premesso, questo ▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato ritiene di condividere l’indirizzo fatto proprio dal Collegio di Torino, secondo cui “[poiché] l’accertamento compiuto dall’Autorità si fa vincolante per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una il giudice dell’azione civile – e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni dunque anche per questo Arbitro - in linea – quando il provvedimento sanzionatorio non sia più soggetto ad impugnazione dinanzi al giudice amministrativo o sia stato da quest’ultimo confermato con la giurisprudenza civile ed sentenza passata ingiudicato; [ciò] significa, evidentemente, che prima di quello stadio il Collegio provvedimento non fa prova, di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioper sé solo, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’dell’asserita violazione” (Collegio di MilanoTorino, decisione n. 8288/201421285 del 2019). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al Il Collegio di Torino, con motivazione che risulta pertinente anche nel caso in esame, pare ha pertanto concluso che “al pari del giudice civile, pure questo ▇▇▇▇▇▇▇ non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentopuò reputare provata, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguitoallo stato, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo violazione sulla quale è fondato il presente ricorso, giacché detta violazione forma oggetto di quest’ultimo, stante un provvedimento ancora sub judice […]; e poiché in punto di onere della prova il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no ricorso rinvia in toto al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, previo accertamento espletato dall’Autorità col Alla luce di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazionequanto sopra osservato, il ricorso a mezzi processuali non può essere accolto in quanto sfornito di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cprova., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Contract of Financial Leasing
DIRITTO. La questione controversia ha per ad oggetto l’assunta illegittimità il riconoscimento del diritto della perdurante segnalazione in Centrale Rischi parte ricorrente alla restituzione di parte dei costi del nominativo del ricorrentefinanziamento, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo a seguito della avvenuta estinzione anticipata di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garantequest’ultimo rispetto al termine convenzionalmente pattuito, dalla quale deriva, come previsto dall’articolo 125-sexies del TUB, il diritto del soggetto finanziato ad ottenere una riduzione del costo totale del credito pari all’importo degli interessi e dei costi “dovuti per la vita residua del contratto”. La consolidata giurisprudenza dei Collegi di questo Arbitro, coerentemente con quanto stabilito peraltro dalla stessa Banca d’Italia negli indirizzi rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, ha affermato fino ad oggi che la concreta applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determinasse la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di contro, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (cc.dd. up front). Si è ugualmente consolidato l’orientamento per il quale il criterio di calcolo della somma corrispondente alla “riduzione” dei costi retrocedibili in caso di estinzione anticipata deve essere individuato nel metodo proporzionale puro, comunemente denominato pro rata temporis. In questo quadro interpretativo si inserisce la recente decisione 11 settembre 2019 nella causa C-383/18 della Corte di Giustizia Europea, e la successiva decisione 11 dicembre 2019 del Collegio di Coordinamento di questo ABF. Con domanda di pronuncia pregiudiziale in base all’articolo 267 TFUE il Giudice del Tribunale di Lublino ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di fornire l’esatta interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sui contratti dei consumatori, che ha abrogato la precedente Direttiva 87/102 CEE del Consiglio, ed in particolare di chiarire se tale disposizione, nel prevedere che “il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano dal ricorrentecontratto di credito. In tal caso egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, oche comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, viceversaincluda o meno tutti i costi del credito, permangacompresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto. La Corte Europea, come sostenuto dalla parte resistente con la già ricordata sentenza 11 settembre 2019, (c.d. sentenza LEXITOR), ha fornito risposta a tale quesito affermando che l’articolo 16 della Direttiva deve essere interpretato nel senso che “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. Il Collegio di Coordinamento di questo ABF, investito della questione dal Collegio di Palermo con ordinanza del 16 settembre 2019 in considerazione relazione alle conseguenze della citata sentenza della CGUE sulla rimborsabilità dei costi non risolta posizione debitoriacontinuativi (c.d. up front), occorre rifarsi accogliendo parzialmente il ricorso, con decisione dell’11 dicembre 2019, ha enunciato il seguente principio di diritto: “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front”. “Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una diversa previsione pattizia che sia all’artcomunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. 1957 “La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Quanto al criterio di riduzione dei costi, il Collegio di coordinamento afferma in primo luogo la nullità di ogni clausola che, “…sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari…”, in quanto contraria a norma imperativa, nullità rilevabile d’ufficio in base al disposto degli articoli 127 TUB e 1418 c.c., richiamato dall’una clausola da ritenersi sostituita automaticamente per il disposto dell’articolo 1419, comma 2, c.c. con la norma imperativa che, già al momento della conclusione del contratto, come si deve necessariamente concludere, per la natura dichiarativa della decisione LEXITOR, imponeva la restituzione anche dei costi up front. In secondo luogo, il Collegio di coordinamento, rilevato che, quanto alla riduzione dei costi diversi da quelli recurring, si è in presenza di una lacuna del regolamento contrattuale, osserva che la CGUE non impone al riguardo un criterio di riduzione comune ed unico per tutte le componenti, ma ha affermato che il metodo di calcolo utilizzabile “consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e dall’altra parte a sostegno nel ridurne poi l’importo in proporzione della durata residua del contratto”, intendendo la “totalità” non “…come sommatoria, ma come complessità delle proprie opposte ragionivoci di costo…”. Le parti, quindi, potranno “…declinare in modo differenziato il criterio di rimborso dei costi up front rispetto ai costi recurring, sempre che il criterio prescelto, con ciò senza escludere la facoltà di estendere il metodo pro rata, sia alle previsioni negoziali agevolmente comprensibile e quantificabile dal consumatore e risponda sempre ad un principio di cui alla costituzione della fideiussione(relativa) proporzionalità…”. In prospettiva generaleTuttavia, occorre inoltre ricordare chese ciò non accada, spetterà al giudicante, sempre secondo il Collegio di coordinamento, il compito di integrare il regolamento contrattuale incompleto, e, non potendosi procedere a tale fine in via interpretativa, in relazione al contenuto del contratto, né in base ad una disposizione normativa suppletiva, il Collegio afferma che “…non resta che il ricorso alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 integrazione “giudiziale” secondo equità (Capart.1374 c.c.). II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni A questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed punto il Collegio di Coordinamento (cfr. coordinamento, premesso che spetterà ai singoli Collegi territoriali la valutazione dei casi concreti, passa alla decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione del merito del ricorso, in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. relazione al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine …ritiene peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno previsto per il debitore principaleconteggio degli interessi corrispettivi, per recuperare il credito, trova costituendo essi la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che la posizione del garante resti sospesa sine die riduzione dei costi up front può nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle relativamente proporzionale appunto) che è stato utilizzato per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.gli interessi corrispettivi
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Sources: Financing Agreement
DIRITTO. La questione Per quanto concerne la domanda di cancellazione della segnalazione a sofferenza in CR, l’intermediario ha dichiarato di avere già provveduto e ha fatto pervenire quattro evidenze relative a “Rettifica posizione globale”, con data contabile 30/06/2015, 31/07/2015, 31/08/2015 e 30/09/2015. Sul punto, pertanto, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere. Esula, invece, dall’oggetto di questa controversia la presenza di eventuali ulteriori segnalazioni presso sistemi di informazione creditizia diversi dalla Centrale dei rischi. Il riferimento a questi ultimi, presente nelle conclusioni del ricorso, non è infatti assistito da alcuna contestazione specificamente rivolta a eventuali segnalazioni ivi presenti. Lo scrutinio della legittimità della segnalazione effettuata in CR si impone, ciò nondimeno, sulla scorta della domanda risarcitoria parimenti avanzata dal ricorrente. Sulla base della documentazione in atti e dalle affermazioni delle parti il Collegio rileva che: - nel dicembre 2013 il ricorrente ha concordato con la banca un piano di rientro, che è stato regolarmente rispettato con il versamento delle somme alle scadenze pattuite; - al momento delle controdeduzioni, il ricorrente aveva versato n. 19 rate da € 250,00 (per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante complessivi € 4.750,00) a fronte di un debito complessivo di € 20.000,00; - la segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi del CR è stata effettuata dopo l’accordo transattivo: ciononostante il nominativo del ricorrentericorrente è stato iscritto per un debito residuo di € 26.750,00; - per ammissione della banca, stante l’asserito venir meno l’appostazione a sofferenza è stata effettuata in ritardo soltanto perché il precedente intermediario, non aderente alla CR, non l’aveva effettuata; la segnalazione, però, si riferiva alla situazione di insolvenza precedente all’accordo transattivo. Alla luce di quanto rilevato, ad avviso del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artCollegio, la condotta dell’intermediario non è esente da censure. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garanteInfatti, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto secondo quanto è previsto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap14° aggiornamento del 29 aprile 2011), «nella categoria di censimento sofferenze va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall’azienda. II - Classificazione dei rischi -, Sez[…] L’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito. La contestazione del credito non è di per sé condizione sufficiente per l’appostazione a sofferenza» (sez. 2, Par§ 1.5. 3 - Garanzie ricevute -Sofferenze). Laddove, in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio nel caso di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato specie, non solo i requisiti v’è evidenza di legittimità alcuna valutazione di tal fatta posta alla base della segnalazione in Centrale Rischi a sofferenza. Al contrario, l’intesa su un piano di rientro, cui consegue l’adempimento delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti obbligazioni che ne legittimano derivano, sembra muovere in senso diametralmente opposto rispetto allo stato di insolvenza ovvero a situazioni a esso equiparabili. A ciò si aggiunga che il parziale rimborso, frattanto intervenuto all’esito del piano di rientro del 2013, avrebbe dovuto comunque comportare la cancellazionecorrispondente riduzione dell’importo segnalato. Ciò posto, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno rileva tuttavia il rapporto garantito’” (Collegio di MilanoCollegio, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussionecon specifico riguardo alle domande risarcitorie, che lo fissa le stesse non sono meritevoli di accoglimento: sia, con riferimento a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011)un supposto danno patrimoniale, per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no mancanza di prove al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garanteriguardo, sia, sotto il profilo del danno non patrimoniale, in considerazione delle accertate irregolarità nei pagamenti periodici le quali inducono a escludere che dalla contestata segnalazione sia derivato un pregiudizio all’immagine di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento buon pagatore del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.cricorrente., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi In via preliminare il Collegio deve affrontare le eccezioni sollevate dall’intermediario contro la ricevibilità del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussionericorso. In prospettiva generalerelazione al mancato rispetto del termine dilatorio di 30 gg. fra il reclamo e la presentazione del ricorso, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio intende dare continuità al principio stabilito dal Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/20126666/14) - ha evidenziato non solo i requisiti in base al quale occorre “distinguere l’ipotesi di legittimità della segnalazione mancata comunicazione del reclamo alla banca resistente, la quale comporta l’inammissibilità del ricorso senz’altro, dall’ipotesi in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediariocui il reclamo sia stato preventivamente comunicato alla banca resistente, ma anche i presupposti il ricorso sia stato presentato prima che ne legittimano essa abbia potuto dare una risposta al reclamante entro il termine di trenta giorni … in quest’ultimo caso, l’improcedibilità in oggetto deve ritenersi di natura solo temporanea, in quanto la cancellazionestessa non pregiudica la decisione del ricorso, precisando come “l’obbligo dell’intermediario ma implica soltanto che il procedimento di segnalare o definizione della vertenza mediante decisione può essere avviato solo dopo che sia trascorso il tempo (trenta giorni) necessario all’intermediario per replicare al reclamo”. Nel caso di mantenere specie risulta che reclamo è stato presentato il 15.1.2016, il ricorso è pervenuto all’Arbitro il 5.2.2016, il riscontro al reclamo è stato poi fornito dal resistente il 16.2.2016, successivamente alla presentazione del ricorso: pertanto la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno causa di improcedibilità è cessata. In relazione poi all’eccezione di incompetenza dell’Arbitro ratione temporis, risulta incontroverso tra le parti che il rapporto garantito’” di conto corrente è stato acceso in data anteriore al 1.1.2009, posta come limite dalla normativa vigente al potere decisionale dell’Arbitro (Collegio par. 4, sez. I, delle Disposizioni sui sistemi di Milano, decisione n. 8288/2014risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazione e servizi bancari e finanziari). Circa l’applicabilità dell’artNe consegue che il Collegio non può valutare la validità originaria degli accordi contrattuali intercorsi tra le parti, ma solo ed eventualmente ragioni di invalidità sopravvenute dopo il 1.1.2009. 1957 c.c. al caso in esamePeraltro, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (va rilevato come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione nessuna parte abbia prodotto copia del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, apertura di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cassle quindi relative pattuizioni possono essere ricostruite unicamente in base alle affermazioni delle parti stesse. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente Ciò determina le seguenti conseguenze in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.alle domande presentate dal ricorrente:
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DIRITTO. In via preliminare, si deve rilevare che, nel corso del giudizio innanzi a questo Arbitro, la banca resistente ha soddisfatto la pretesa del ricorrente di avere copia del contratto di conto corrente stipulato tra le parti nel 1996, nonché delle successive modificazioni (unilaterali ovvero consensuali) delle condizioni regolamentari ed economiche ivi previste. Si deve altresì rilevare che la banca resistente ha solo parzialmente soddisfatto la pretesa del ricorrente di avere copia degli «estratti di conto corrente di tutto il periodo contrattuale dalla sottoscrizione a oggi o alla data di chiusura dello stesso», dato che tale documentazione è stata consegnata a partire dall’agosto del 2011, laddove il contratto è stato stipulato nel 1996. Secondo quanto è stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari della Banca d’Italia (sez. VI, § 2), «[s]e, prima della decisione sul ricorso, le parti raggiungono un accordo ovvero la pretesa del ricorrente risulta pienamente soddisfatta, il Presidente o il Collegio dichiarano, anche d’ufficio, la cessazione della materia del contendere» (sottolineatura aggiunta). Nel caso di cui si tratta, la pretesa del ricorrente non è stata soddisfatta pienamente, cosicché non può essere senz’altro dichiarata la materia del contendere. Il giudizio deve pertanto proseguire a proposito della pretesa del ricorrente di avere copia degli estratti conto per tutta la durata del rapporto contrattuale, e segnatamente (anche) per il periodo anteriore ai dieci anni che precedono la sua richiesta. A proposito di tale questione di diritto, in passato si era venuto a creare un contrasto tra i collegi territoriali di questo Arbitro. In particolare, il Collegio di Roma, facendo anche riferimento ad alcune sentenze recenti del giudice di legittimità, aveva ripetutamente affermato che: «La questione produzione di estratti conto non è soggetta al limite decennale di cui all’art. 119, ult. comma, t.u.b. e l’intermediario è tenuto a consegnare alla ricorrente la documentazione anteriore» (Collegio di Roma, decisioni n. 5781 del 3 marzo 2021; n. 6137 del 7 marzo 2021; n. 3274 del 28 febbraio 2020; n. 24320 del 6 novembre 2019). Gli altri collegi territoriali di questo Arbitro avevano invece insistito nel ritenere applicabile tale termine decennale anche alla richiesta di copia degli estratti del conto corrente (ad es., v. Collegio di Milano, n. 3844 del 16 febbraio 2021; Collegio di Torino, decisioni n. 18396 del 21 ottobre 2020 e n. 19840 del 26 settembre 2018; Collegio di Palermo, decisione n. 10511 del 12 giugno 2020; Collegio di Bologna, decisione n. 16516 del 12 dicembre 2017). A dirimere il suddetto contrasto interpretativo è successivamente intervenuta la decisione del Collegio di coordinamento n. 15404 del 22 giugno 2021, la quale ha ritenuto preferibile che, per oggetto l’assunta illegittimità quanto qui rileva, l’art. 119, ult. comma, t.u.b. sia applicato anche agli estratti conto, «attesa anche la circostanza, non trascurabile, della perdurante segnalazione medesima collocazione sistematica delle norme in Centrale Rischi parola, indizio della scelta del nominativo legislatore di prevederne il medesimo regime, posto appunto che gli estratti conto altro non sono che la rappresentazione sintetica di una pluralità di singole operazioni e considerato anche che l’interesse all’acquisizione degli estratti conto e delle singole operazioni che vi sono indicate è strettamente correlato». L’ordinanza del ricorrenteCollegio remittente ha rilevato la discutibilità di tale equiparazione tra i documenti inerenti all’operazione sottostante (ad es., stante l’asserito venir meno l’ordine di bonifico che è addebito sul conto corrente) e quelli inerenti alla sua contabilizzazione (ossia, appunto, gli estratti conto). In tal senso, si sono del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame resto espresse anche alcune sentenze del giudice di legittimità, le quali hanno ritenuto che: «la banca abbia l’onere di produrre i detti estratti a partire dall’apertura del conto; si aggiunge al riguardo che la banca stessa non possa sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, dal momento che l’obbligo di segnalazione in Centrale conservazione della documentazione contabile va distinto da quello di dar prova del proprio credito» (Cass. civ., sez. I, 2 maggio 2019, n. 11543 e precedenti ivi citati; Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2017, n. 1584). Ciononostante, questo ▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ritiene di ribadire la soluzione affermata nella già menzionata decisione n. 15404 del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che2021, in relazione quanto essa risulta conforme alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -più recente giurisprudenza di legittimità, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -)nella quale, in varie occasioni questo Arbitro - particolare, è stato sancito quanto segue: «L’art. 119, comma 4, stabilisce che il cliente, o il diverso soggetto a ciò legittimato, ha “diritto di ottenere [...] copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuateessere negli ultimi dieci anni”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principaleprima osservazione da compiere, per recuperare il creditoin proposito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare è che la posizione norma non contiene un riferimento espresso all’estratto conto, che la banca ha invece l’obbligo di recapitare periodicamente al cliente secondo quanto poc’anzi detto: anzi, laddove discorre di “documentazione inerente a singole operazioni”, la norma potrebbe anche essere intesa, sul piano strettamente letterale, seppure con qualche forzatura, come riferita esclusivamente a documentazione concernente, appunto, singole operazioni, e non alla comunicazione sintetica dello svolgimento del garante resti sospesa sine die rapporto in cui si sostanzia l’estratto conto. Cionondimeno, questa Corte non dubita che la norma si riferisca anche agli estratti conto (cosìv., da ultimop. es., Cass. 19 ottobre 1999, n. 1724/201611733; Cass. 27 settembre 2001, n. 12093; Cass. 13 luglio 2007, n. 15669). In tale otticaL’affermazione, l’osservanza del suddetto onere esigeche qui si ribadisce, secondo è maturata nell’ambito di controversie che vedevano opposto alla banca il costante orientamento della Cassazionecuratore fallimentare, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente ossia un soggetto che non ha offerto se automaticamente come tale la disponibilità della relativa documentazione, ed anzi deve procurarsela: e tuttavia, la latitudine della formulazione normativa, unitamente alla sua ratio, non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla consentono di revocare in dubbio che il cliente possa esigere l’adempimento dell’obbligazione, sancita dell’art. 119, u.c., anche con riguardo agli estratti conto, ed indipendentemente dal fatto che la banca abbia esattamente *** Al fine di dare sinteticamente una risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione il seguente principio di diritto: - il diritto del titolare di un affidamento della posizione debitoria conto corrente bancario ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cavere copia dei relativi estratti è limitato al periodo degli ultimi dieci anni., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Mutuo Ipotecario
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità interpretativa rimessa al vaglio di questo Collegio riguarda il tema dell’applicabilità del disposto di cui all’art.125-novies del T.U. bancario (D.lgs. n. 385/1993) in relazione a due clausole di un contratto di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, che prevedono, rispettivamente, “commissioni” a favore della perdurante segnalazione “mandataria” e “provvigioni all’Intermediario del credito” (cfr. documento ▇▇▇.▇▇ al contratto, denominato “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”, lettere b) e c)). Nel ricorso si contesta la vessatorietà delle suddette clausole nel presupposto che sussista una sproporzione nell’ammontare dei costi ivi indicati rispetto alla media dei compensi della specie risultante da un’indagine statistica effettuata dalla Banca d’Italia, nonché l’opacità delle clausole stesse e altresì la violazione del disposto dell’art. 125-novies, comma 2, del TUB, con riguardo alle previsioni riguardanti il compenso versato all’intermediario del credito. In proposito, il Collegio di Roma nella sua Ordinanza sottolinea il fatto che uno dei due intermediari remunerati in Centrale Rischi virtù delle contestate previsione negoziali non è “intermediario del nominativo credito”, avendo assunto, nel contratto, la veste di “mandatario” della banca erogatrice del finanziamento; pertanto non potrebbe essere annoverato fra i soggetti cui si rende applicabile il disposto dell’art. 125-novies del TUB. L’osservazione appare corretta, in quanto nel richiamato documento informativo (quadro 1) è riportata una chiara distinzione fra l’intermediario che “rappresenta” la banca e l’”intermediario del credito”, quest’ultimo indicato specificamente con la sua denominazione e con la qualifica di “intermediario finanziario ex art. 106 TUB”. Ne consegue l’infondatezza dell’assunto difensivo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi che contesta la violazione dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante125-novies, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare checomma 2 con riguardo ad ambedue le clausole sopra menzionate, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 quanto devono ritenersi esclusi da tale ambito applicativo i costi (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012Euro 1.066,80) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come riferibili all’attività prestata dalla “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantitamandataria”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata avendo la segnalazione stessa assunto nel contratto la qualifica di “intermediario del suo nominativo in Centrale Rischicredito”.
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Sources: Financing Agreement
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo Infondata e perciò immeritevole di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto accoglimento è l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla parte resistente in quanto viene nel caso di specie in considerazione una contestazione attinente a diritti maturati dalla parte ricorrente in ragione di effetti prodottisi sotto l’imperio della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia vigente disciplina di cui all’art. 1957 c.c.125 – sexies del Tub, richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioniessendo stati i contratti estinti nel corso del 2012 (v., sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generaletra le tante, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione Roma, n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (1302/2010; Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014719/2011; Collegio di Napoli, n. 810/2011). Circa l’applicabilità dell’artNel merito, i contenuti delle diverse voci di costo qualificate a titolo di commissioni testimoniano il diritto del ricorrente alla restituzione per la vita residua del rapporto secondo il criterio proporzionale. 1957 c.c. al caso in esameIn particolare, pare non doversi dubitare: l’art. 5 quanto alla commissione alla mandataria, la stessa comprende (Responsabilità del fideiussoreper entrambi i contratti) del contratto attività tanto up front quanto recurring (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.ces., si stabilisce la gestione delle rate di rimborso in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante e la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento prestazione della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”non riscosso per riscosso). Accertata la scadenza dell’obbligazione principaleDa tale opacità deriva, conformemente agli orientamenti più volte espressi da individuarsi nella risoluzione questo Collegio (v., tra le tante, le decisioni nn. 4086/2012; 2178/2013; 2513/2014 e n. 482/2014) il riconoscimento del diritto del ricorrente alla restituzione della quota parte residua alla durata del finanziamento. Ed invero se, muovendo dall’assenza tanto in sede di disciplina primaria quanto in sede di disciplina secondaria di precise e vincolanti regole in punto di metodologie di calcolo delle quote di premio assicurativo accessorio al contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011o anche di commissioni relative al periodo residuo), i consolidati indirizzi di questo Collegio sono nel senso di ritenere che quello proporzionale è un mero criterio di default (scilicet, suppletivo) al quale fare riferimento in assenza di diversa metodologia di calcolo adottata dall’intermediario, questa dovrà tuttavia risultare esente da cui vizi logici e/o da manifesta irragionevolezza. Non è conseguita così nel caso di specie, dove la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “determinazione dell’ammontare retrocesso riferito a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’artquote recurring non precisa alcuna specifica metodologia adottata. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare Aggiungasi inoltre che la posizione recente pronuncia n. 6167/2014 del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali Collegio di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella speciecoordinamento stabilisce che, a fronte dell’opacità della contestazione relativa clausola contrattuale, un criterio di rimborso diverso da quello proporazionale “non appare conforme a ragionevolezza” e “non si giustifica in riferimento ai costi recurring”. Tanto determina a favore del ricorrente, in applicazione del riferito criterio proporzionale alla durata del contratto, il diritto alla retrocessione di ulteriori 918,57 euro, al netto di quanto già retrocesso, con riferimento al primo contratto e di 2.252,78 euro (al netto di quanto retrocesso) quanto al secondo. Venendo alla commissione bancaria, essa (in ambedue i contratti) comprende la copertura “delle attività necessariamente preliminari e conclusive del prestito quali, ad esempio, l’esame della documentazione, gli oneri per la conversione o la convertibilità da variabile in fisso del saggio degli interessi e per la copertura del relativo rischio per tutta la durata dell’operazione; gli oneri per le operazioni di acquisizione della provvista, l’elaborazione dei dati ex l. 197/91, le perdite per l’eventuale ritardo d’adeguamento dei tassi o della commissione nel periodo di preavviso delle mutate condizioni di mercato etc.”. Tale formulazione appare, alla luce della riferita pronuncia del Collegio di coordinamento, priva dei requisiti di trasparenza utili a valutarne il carattere up front con riferimento alle diverse attività. E dunque, di nuovo, dalla conseguente opacità deriva il diritto del ricorrente al rimborso della quota parte secondo criteri proporzionali che, quanto al primo contratto, determina la retrocessione di 383,37 euro; quanto al secondo di 364,04 euro al netto di quanto già retrocesso. Infine, in ordine al mancato assolvimento rimborso delle quote parte di premio assicurativo è appena il caso di ribadire la particolare tipologia dei rapporti oggetto della controversia. Essi si compongono, sul piano atomistico, di due (apparentemente) distinti contratti conclusi con una medesima controparte: mutuo da parte dell’intermediario un lato; polizza assicurativa dall’altro. Tali due negozi risultano peraltro tra loro avvinti da un evidente e incontestabile legame: quello di sincronicamente e contemporaneamente concorrere e cooperare al medesimo risultato economico – sociale consistente nell’assicurare al sovvenuto il finanziamento richiesto. Prevalente dottrina e giurisprudenza largamente maggioritaria precisano, perché si dia la fattispecie del collegamento, che debbono ricorrere due elementi: uno obiettivo, consistente nel nesso economico o teleologico tra i vari negozi e uno subiettivo, consistente nella intenzione di coordinare i vari negozi verso uno scopo comune, ossia nell’intento di collegare i due negozi. Il collegamento negoziale incide direttamente sulla causa dell’operazione contrattuale che viene posta in essere “risolvendosi in una interdipendenza funzionale dei diversi atti negoziali rivolta a realizzare una finalità pratica unitaria” (Cass., 16 febbraio 2007, n. 3645; id., 10 luglio 2008, n. 18884). Il nesso fra più negozi fa sì che l’esistenza, la validità, l’efficacia, l’esecuzione di un negozio influiscano sulla validità o efficacia o esecuzione di un altro negozio, oppure che il requisito di un negozio si comunichi all’altro, o ancora che il contenuto di un negozio sia determinato dal contenuto dell’altro, e così via. Ora, sembra ragionevole ritenere che i contratti in rassegna siano caratterizzati da collegamento negoziale per la ricorrenza dei richiamati elementi obiettivo e subiettivo. Come si è avuto modo di osservare, dottrina e giurisprudenza impongono riguardo a siffatte fattispecie una considerazione unitaria dell’assetto degli interessi globalmente perseguito dalle parti in termini di validità, efficacia, complessiva utilità delle attività dirette a recuperare il creditoprestazioni dedotte nei contratti. In particolare, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato evoluzioni del rapporto principale (il finanziamento) non possono non riflettersi su quello accessorio (l’assicurazione) poiché, venuto meno il primo, la persistenza del rapporto assicurativo si parla rivelerebbe di un affidamento della posizione debitoria ad una società fatto priva di recupero crediti)causa. Non è, senza riferimento alcuno in siffatta guisa, casuale che le riportate conclusioni rinvengano puntuale riscontro nell’accordo ABI – Ania del 22 ottobre 2008, rubricato alle “linee guida per le polizze assicurative connesse a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità mutui e altri contratti di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cassfinanziamento”. 3085/ 1996)Non consta che tali principi siano stati dal resistente osservati. Da ciò tanto consegue cheil diritto del cliente al rimborso delle relative quote di premio per il periodo di copertura non goduto in esito all’estinzione anticipata dei finanziamenti, risultando inutilmente trascorsi più calcolate, rispettivamente, in 258,00 e in 503,00 euro. Così per il complessivo importo di 36 mesi4.679,76 euro, l’obbligazione fideiussoria a carico oltre agli interessi legali dalla data del ricorrente debba ritenersireclamo e al ristoro delle spese di assistenza difensiva, ai sensi dell’art. 1957 c.cequitativamente determinate in 200,00 euro., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità Come esposto in narrativa, la controversia sottoposta a vaglio della perdurante segnalazione seduta odierna del Collegio concerne un contratto di leasing immobiliare, in Centrale Rischi del nominativo del relazione al quale la società ricorrente, stante l’asserito venir meno dopo aver provveduto al riscatto, contesta l’errato calcolo di indicizzazione dei canoni variabili, così come rilevati a seguito di specifica analisi contabile. Va precisato, innanzitutto, che il contratto in questione è stato perfezionato il 09.10.2002, con durata di 120 mesi e diritto di opzione per l’acquisto dell’immobile per la parte utilizzatrice odierna ricorrente, alla scadenza della locazione medesima. Le parti hanno, però, convenuto il riscatto in via anticipata della proprietà dell’immobile a favore della società istante, stipulando il relativo atto di compravendita in data 22.02.2011. In primo luogo, pertanto, in base ai fatti descritti ed ai documenti prodotti, il Collegio ritiene che la controversia rientri parzialmente nella competenza temporale dell’ABF. Infatti, secondo l’orientamento costante dei tre Collegi, in caso di controversia avente ad oggetto un rapporto di durata sorto anteriormente al 1° gennaio 2007, ma ancora efficace (i.e. produttivo di effetti) successivamente a tale data, occorre avere riguardo al petitum onde verificare se esso si fonda su vizi genetici del rapporto (nel quale caso vi sarà incompetenza temporale), oppure su una divergenza tra le parti che riguarda effetti del negozio giuridico prodottisi successivamente al 1° gennaio 2007 (nel qual caso vi sarà competenza temporale). Nel caso di specie, le richieste della ricorrente, riferite ad un rapporto contrattuale sorto nel 2002, trovano origine solo in parte in fatti (pagamento del canone di locazione) accaduti anteriormente al 1° gennaio 2007, essendo in questione previamente la natura ed il valore della clausola sottoscritta al riscatto, così come avvenuto nel 2011. Si precisa, in ogni caso, che l’intermediario non ha formulato alcuna eccezione in merito all’incompetenza, ratione temporis, dell’ABF. Ciò chiarito, e rivolgendosi ora al merito della controversia, si deve previamente sottolineare che in effetti il leasing prevedeva analitiche indicazioni in merito al piano di ammortamento, che pur non si andranno qui a riprodurre se non per quanto di attinenza alla controversia in esame. La ricorrente riferisce di aver riscontrato, solo successivamente alla risoluzione consensuale del leasing avvenuta per effetto del riscatto, un maggiore addebito a suo obbligo fideiussorio danno per indicizzazione trimestrale pari ad Euro 10.693,70 oltre Iva, con riferimento all’intera durata del contratto (09.10.2002 – 22.02.2011). Al riguardo, la ricorrente si è premurata di allegare: i) una tabella illustrativa dei conteggi effettuati, comprensiva degli importi chiesti a titolo di rivalutazione ed interessi legali; ii) le note di credito e le fatture emesse dalla convenuta in relazione alle variazioni del canone dal dicembre 2002 al dicembre 2010; iii) le quotazioni del parametro di indicizzazione relative al periodo dal 30.12.2008 al 29.01.2010, avendo rilevato l’utilizzo da parte della resistente di quotazioni superiori a quelle reali per l’anno 2009; iv) il piano di ammortamento ricostruito, per la determinazione della quota di capitale residua, mediante “un programma finanziario ritenuto veritiero”, posto che l’intermediario aveva dichiarato – ed ha ribadito in sede di controdeduzioni – l’inesistenza di un piano di ammortamento in relazione all’operazione qui oggetto di controversia. Tuttavia, come esposto dall’intermediario resistente, la questione in punto di eventuali calcoli e valutazioni in relazione a quanto precedentemente pagato risulta censurata per effetto della clausola sottoscritta dalla società acquirente in sede di riscatto del leasing a fronte di notaio. Tale clausola, infatti, testualmente riprodotta in narrativa, appare come un pactum de non petendo che, come tale, impedisce al Collegio di effettuare un’ulteriore valutazione tecnica degli importi corrisposti modificando quanto convenuto. Si tratta, in effetti, di un problema non nuovo nell’ambito delle operazioni di riscatto su leasing immobiliare e, a questo proposito, occorre dunque richiamare quanto deciso in precedenti pronunce del Collegio nonché, da ultimo, anche nella pronuncia n. 2392 del 13 luglio 2012 del Collegio di Milano. In tale decisione, il Collegio, analogamente a quanto avviene oggi, è stato chiamato a valutare proprio una clausola sottoscritta in sede di riscatto. In merito, si è ritenuto che le clausole in questione non possano integrare propriamente un negozio di accertamento per difetto della componente di incertezza che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (cfr. fra le molte Cass. 30 marzo 2009, n. 7640 e Cass. 12 marzo 2008, n. 6739), costituisce indefettibile presupposto per il configurarsi di siffatto negozio. Questo, infatti, è caratterizzato dall’intento di imprimere certezza giuridica ad un precedente rapporto, cui si collega, al fine di precisarne contenuto ed effetti, rendendo definitive ed immutabili situazioni di obiettiva incertezza. Quale strumento alternativo alla transazione (dalla quale si differenzia per la carenza di un sinallagma fra l’aliquid datum e l’aliquid retentum consistendo invece in una semplice cristallizzazione convenzionale della correttezza di uno stato di fatto o di diritto pregresso), siffatto negozio non può prescindere da una situazione di obiettiva incertezza di cui le parti hanno vicendevolmente contezza; incertezza che, invece, non appare né espressamente menzionata ma neppure obiettivamente aliunde desumibile dalla documentazione offerta in comunicazione nell’odierno procedimento. Le pattuizioni contenute nelle scritture dianzi menzionate, così come nella clausola sottoscritta dall’odierna ricorrente, appaiono viceversa più prossime o ad un pactum de non petendo (clausola che determina l’attuale e perenne inesigibilità del credito – nella specie il credito da restituzione derivante da un ipotetico ricalcolo del dovuto – accordando al debitore il diritto di paralizzarne gli effetti con il sollevamento della relativa eccezione) ovvero, e ciò vale in ispecie soprattutto per il patto contenuto nel rogito di riscatto anticipato del leasing immobiliare dato l’espresso tenore del pattuito, ad una convenzionale rinegoziazione del corrispettivo, rivelandosi in entrambi i casi come clausole limitative della facoltà di contestare o opporre eccezioni (quale ad esempio l’eccezione di compensazione del credito derivante da restituzione di un ipotetico indebito con il credito principale azionato dal creditore), come tali soggette, ai fini della loro efficacia, all’onere di specifica approvazione per iscritto prevista dall’art. 1341 cod. civ. Il superiore assunto deve tuttavia applicarsi distinguendo fra le due tipologie di pattuizioni. In tal senso, la clausola contenuta nel rogito notarile di riscatto anticipato non può prestarsi alla censura dianzi ipotizzata, essendo principio ricevuto quello per cui le clausole inserite in un atto-contratto notarile, ancorché si conformino alle condizioni poste da uno dei contraenti, non sono qualificabili come predisposte dal medesimo, ai sensi dell’art. 1957 c.c1341 cod. Per accertare se nel caso civ., e, quindi, ancorché oggettivamente vessatorie, non abbisognano di specifica approvazione (così Cass. SS.UU., 10 gennaio 1992, n. 193). La presunzione iuris et de iure della natura “negoziata” del contratto stipulato in esame l’obbligo forma di segnalazione in Centrale atto pubblico con ministero di notaio preclude l’applicazione della norma succitata. Del resto, la ricorrente avrebbe potuto verificare prima della sottoscrizione dell’atto di riscatto la congruità complessiva delle condizioni indicate. In conclusione, il ▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garanteritiene che la richiesta attuale della ricorrente di ottenere la restituzione delle somme indicate non possa trovare accoglimento. Ciò chiarito nel merito ed al fine della individuazione di una soluzione all’attuale controversia, il Collegio non può esimersi dal soffermarsi su alcuni elementi emersi dalla ricostruzione dei fatti così come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente riprodotti in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una narrativa e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussionenella produzione documentale. In prospettiva generaleparticolare, occorre inoltre ricordare è stato posto in luce dalla ricorrente come l’intermediario, nonostante le specifiche richieste, non abbia consegnato alla società cliente il piano di ammortamento che, ad evidenza, è documento essenziale per una completa individuazione delle condizioni economiche dell’accordo. In proposito, risulta che l’odierna resistente è già stata convenuta innanzi all’ABF per situazioni relative all’erroneo conteggio dei canoni di locazioni finanziarie; ed anche in tali occasioni, veniva in questione, tra le altre problematiche, il rifiuto dell’intermediario di fornire il piano di ammortamento, cui fa cenno nel presente giudizio la società ricorrente pur senza farne oggetto di una domanda specifica. Si ricorda, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -a tale problematica, Sez. 2quanto indicato nella pronuncia dell’ABF, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014)644 del 30 giugno 2010, laddove si rammentava che “l’intermediario ha provveduto [solo a controversia insorta e dopo insistenze] a consegnare i conteggi richiesti, rinunziando implicitamente alla strana tesi per cui il piano di ammortamento non costituirebbe documento contrattuale e come tale da occultare al cliente. Circa l’applicabilità dell’artTesi che contrasta in modo tanto frontale con il precetto di cui all’art. 1957 1374 c.c. da costituire materia di sorpresa”. Già in tale occasione, l’intermediario era stato avvisato circa l’opportunità di astenersi in futuro dal sollevare eccezioni che non solo urtano contro precetti generali espressi dal codice civile, ma che contraddicono agli obblighi di collaborazione e trasparenza verso la clientela che incombono specificatamente a tutti gli intermediari bancari e finanziari. Il Collegio, soprattutto, aveva in tale occasione sottolineato un principio generalissimo, e cioè che nessun miglioramento di detti rapporti con la clientela può prodursi in assenza della più ampia trasparenza. Ebbene, il Collegio oggi non può che richiamare e ulteriormente sottolineare l’importanza ed essenzialità di quanto sopra osservato. Risulta, al caso contrario, che l’intermediario perseveri nella propria tesi e nei propri comportamenti, il che inevitabilmente si traduce, a giudizio del Collegio, in esameun atteggiamento nel complesso non conforme ai canoni di correttezza e trasparenza nei confronti della clientela. In virtù di ciò, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (il Collegio invita l’intermediario a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino provvedere, in futuro, a totale estinzione rendersi maggiormente disponibile sia ad ostendere la documentazione utile ad una corretta e completa ricostruzione di tutto quanto previsto nei contratti con le società e le persone fisiche clienti, consentendo così di porre le basi per un reale miglioramento dei rapporti con la clientela coerente con i criteri ai quali deve ispirarsi l’attività di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.coperatore professionale., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha che questo Collegio deve affrontare per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi la soluzione del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo riguarda gli effetti dell’inadempimento dell’obbligo di segnalazione consegna del bene/esecuzione del servizio da parte del fornitore, quando sia stato contestualmente stipulato un contratto di finanziamento tra l’intermediario resistente e il ricorrente, in Centrale qualità di consumatore, finalizzato all’acquisto del bene o del servizio medesimo. In merito alla vicenda all’origine della presente vertenza, pare utile, ai fini della decisione, rammentare i seguenti aspetti. Il ricorso verte su un contratto di credito finalizzato a finanziare la prestazione di cure mediche (nello specifico, dentistiche). Dalla documentazione acclusa al ricorso risulta che: - in data 25/06/2013, l’istante ha presentato alla finanziaria convenuta, per il tramite del fornitore convenzionato, una richiesta di prestito finalizzato dell’importo di € 14.000,00. Nel modulo, a mani dell’istante, è indicato l’importo totale dovuto dal cliente, pari ad € 15.413,06, da rimborsare in numero 48 rate mensili dell’importo di € 319,25 ciascuna (oltre ad € 1,30 per spese di incasso). Nello stesso modulo, contenente le “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori” non constano i dati del fornitore, né l’apposizione del timbro e della firma di tale soggetto. La finanziaria ha accettato la richiesta di finanziamento con missiva del 27/06/2013, ove sono riportati il nominativo del fornitore convenzionato e la decorrenza della prima rata (15/07/2013); - l’art. 10 delle condizioni generali del contratto regola come segue il caso di inadempimento del fornitore: Il ricorrente lamenta il parziale inadempimento del centro medico. In sede di replica, precisa di non aver ricevuto una protesi dentaria del costo di € 6.000,00 al netto dell’IVA, essendo stato costretto a rivolgersi ad altro specialista per completare le cure. La sua domanda di “annullamento del contratto come previsto dal TUB”, con restituzione di quanto versato, è formulata espressamente ai sensi della clausola 10 sopra richiamata e, quindi, va più esattamente qualificata come domanda di risoluzione del contratto di credito ex art. 125 quinquies T.U.B. ▇▇▇▇ atti consta la missiva di messa in mora del fornitore, tale potendo essere intesa la lettera del 04/03/2014, tornata al mittente per compiuta giacenza. L’intermediario eccepisce, nel merito, che l’inadempimento contestato, essendo parziale, non rivestirebbe la gravità richiesta dall’art. 1455 C.C., per dare luogo alla risoluzione del contratto di finanziamento di cui in controversia. Richiama, al riguardo, l’esposto alla Procura della Repubblica avanzato dal ricorrente, non versato agli atti. La parte resistente si dichiara, comunque, disponibile alla riduzione dell’ammontare del finanziamento in misura pari al valore delle cure mediche fornite all’istante, “previa quantificazione da parte del cliente” medesimo. Tanto premesso, e prima di esaminare nel merito la decisione, va preliminarmente sottolineato che l’eccezione in rito sollevata dalla parte resistente si rivela totalmente infondata. Infatti, come già si è avuto occasione di rilevare (cfr. pronuncia n. 6317/2014), “non è chiaro [...] quale sia la causa che renderebbe inammissibile il ricorso. Né essa potrebbe – come sembra adombrarsi – essere connessa alla mancata chiamata in giudizio del [prestatore del servizio], il quale, non soltanto non si configura quale litisconsorte necessario, ma è anche estraneo al rapporto bancario il quale segna il perimetro della competenza ratione materiae di questo Collegio”. Ciò chiarito, deve ora essere richiamata la normativa applicabile ratione temporis al caso all’origine della presente vertenza, ovvero l’art. 125-quinquies (Inadempimento del fornitore) del TUB, introdotto dal Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 141, attuazione della direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993), in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, pubblicato sulla G.U. n. 207 del 04/09/2010 ed in vigore dal 19/09/2010. Secondo quanto dispone il menzionato art. 125-quinquies del TUB, infatti, “Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile. La risoluzione del contratto di credito comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l'obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l'importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso […]”. Premesso che, nel caso di specie, l’inadempimento del fornitore può sicuramente dirsi conclamato e irreversibile, deve, in questa sede, unicamente valutarsi se tale inadempimento rivesta o meno gli estremi della “non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse” della parte non inadempiente cui fa espresso riferimento l’art. 1455 cod. civ. E’ noto che l’orientamento prevalente della giurisprudenza insegna che tale valutazione debba essere operata applicando contestualmente sia un parametro soggettivo, sia un parametro oggettivo; infatti, come ancora piuttosto recentemente è stato sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, “in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, lo scioglimento dell’accordo contrattuale, quando non opera di diritto, consegue ad una pronuncia costitutiva che presuppone da parte del giudicante la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento stesso, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte; tale valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio: in primo luogo, il giudice, applicando un parametro oggettivo, deve verificare che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da creare uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; nell’applicare il criterio soggettivo, invece, il giudicante deve considerare il comportamento di entrambe le parti (un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra) che può, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata” (così, testualmente, ▇▇▇▇▇▇ ., 18/02/2008, n. 3954). Ebbene, considerando nel suo complesso l’oggetto del contratto stipulato tra il fornitore e l’odierno ricorrente, sia cessato sotto il profilo della composizione dei servizi oggetto del contratto, sia sotto il profilo del loro valore, deve concludersi che l’adempimento parziale del fornitore non è, comunque, idoneo a far assumere all’inadempimento quella “scarsa importanza”, idonea ad impedire la realizzazione dell’effetto risolutorio. Nel caso che ne occupa, tuttavia, la parte ricorrente risulta aver usufruito regolarmente di parte delle cure odontoiatriche programmate, lamentandosi unicamente di non aver ricevuto una protesi dentaria del valore di € 6.000,00. Da ciò discende che, con riferimento alla prestazione rimasta ancora ineseguita, le rate (eventualmente) pagate e quella ancora da corrispondere all’intermediario, essendo collegate ad una prestazione (seppure parzialmente) non eseguita da parte del fornitore del bene o del servizio, risultano (per estinzione dell’obbligazione la corrispondente parte) non dovute per difetto funzionale del garantesinallagma contrattuale. Ora, come affermato dal ricorrenteanche in altre occasioni, osi è avuto modo di sottolineare, viceversanel caso di adempimento parziale dei beni o del servizio da parte del fornitore, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artpuò ammettersi una pronuncia di risoluzione parziale del contratto di fornitura e del relativo contratto di finanziamento. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare cheCiò premesso, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Capapplicazione dell’art. II - Classificazione dei rischi 125-quinquies T.U.B., Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti riconosce che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) parziale risoluzione del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante fornitura comporta la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella parziale risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011per la parte eccedente la somma capitale di € 8.000,00). La parziale risoluzione del contratto di finanziamento comporta che la società resistente debba procedere a riformulare il piano di rimborso, detraendo dall’ammontare del credito complessivo l’importo corrispondente al valore del servizio per il quale è accertato l’inadempimento (Euro 6.000,00), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) etenendo conto, altresì, della conseguente diversa imputazione delle rate eventualmente già pagate. La relativa istanza merita, dunque, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se essere accolta nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.climiti appena illustrati., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale In ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ▇▇▇▇▇▇, il Collegio evidenzia come la domanda si inserisca nell'ambito del garanteben noto filone della retrocessione proporzionale degli oneri applicati a prestiti verso cessioni del quinto della retribuzione, come affermato dal nel momento in cui questi finanziamenti vengono estinti anticipatamente rispetto al normale decorso del piano di ammortamento. Tuttavia, il ricorrente, oed è ciò che caratterizza detto ricorso, viceversaspezza le domande in due segmenti: l'uno, permangaprincipale, tende a richiedere, accanto alla retrocessione proporzionale delle altre commissioni e oneri, anche la declaratoria di invalidità (con conseguente obbligo di retrocessione dell'intero importo versato al momento della contrazione del prestito) della commissione per l'intermediario del credito, frappostosi nel perfezionamento del finanziamento (e si vedrà tra un istante come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoriaoccorra distinguere, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c.all'interno di tali operatori, richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragionitra agenti finanziari, sia alle previsioni negoziali mediatori creditizi, enti iscritti negli appositi albi di cui all'art. 106 TUB o semplici mandatari del finanziatore). Più in particolare, parte ricorrente assume che detta clausola sarebbe contrastante con norme inderogabili di legge, costituite dall'art. 125 novies T.U.B. (di cui viene postulata l'applicabilità ratione temporis) e con la normativa in tema di tutela del consumatore e segnatamente con le norme di cui agli artt. 33 e 34, commi 2 e 4. Il ricorrente allega la vessatorietà della previsione contrattuale relativa alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare checommissione qui ricordata, in relazione al significativo squilibrio tra le prestazioni, con particolare riferimento all’importo dovuto, alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Capcarenza di informazione ed alla mancanza di trattativa tra le parti. II - Classificazione dei rischi -La domanda subordinata ulteriore, Sez. 2sottoposta all'attenzione del Collegio, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al nel caso in esamecui venisse rigettata detta interpretazione del dettato normativo in merito alla commissione dell'intermediario, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità è una ben nota domanda di retrocessione degli oneri e delle commissioni applicate al finanziamento, inclusa quella in favore dell'intermediario del fideiussore) credito, sulla base del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguitoprincipio proporzionale, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.critenuto elaborato dalla giurisprudenza ABF., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi Con riferimento ai contratti di finanziamento nn. ****449 e ****050, la cliente contesta l'indeterminatezza del nominativo del ricorrenteTAEG. In particolare, la discrepanza tra TAN e ▇▇▇▇ non sarebbe giustificata, stante l’asserito venir meno l’assenza di ulteriori oneri oltre agli interessi debitori. In ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇, ▇▇▇▇▇ evidenziare come il contratto n. ****449 sia stato stipulato in data 20/10/2008 ed estinto nel giugno 2009. La contestazione relativa a tale contratto pare, quindi, esulare dal limite di competenza dell’ABF, trattandosi di un vizio genetico. Quanto al contratto n. *****050, l’intermediario riferisce che la difformità tra TAN e TAEG sia da ricondurre all’inclusione nel calcolo del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artTAEG dell’imposta di bollo su contratto per € 14,62, delle spese per comunicazioni periodiche per € 0,56 e della relativa imposta di bollo per € 1,81. 1957 c.cDall’analisi del contratto emerge che non erano previste spese per comunicazioni periodiche. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇, al contrario, a carico della cliente gli oneri fiscali. Questo ▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ha provveduto al ricalcolo del garanteTAEG, escludendo gli oneri fiscali dal momento che non ne era prevista l’inclusione ai sensi della normativa pro tempore vigente. Ne risulta un TAEG del 11,56%, come affermato dal ricorrentecontrattualmente indicato. Sul punto si fa altresì presente che la cliente non allega la mancata inclusione di un costo nel TAEG. ▇▇▇▇, oriferisce che il TAEG sarebbe dovuto essere uguale al TAN, viceversapiù basso, permangastante l’assenza di ulteriori oneri nel finanziamento. Dunque, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione sembra possa affermarsi che la cliente non allega una lesione del proprio diritto d’informativa precontrattuale a mezzo del TAEG, tale da giustificare l’applicazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia sanzione di cui all’art. 1957 c.c.124, richiamato dall’una co. 5 TUB. In relazione ai contratti di finanziamento nn *****420, *****583 e dall’altra *****338 parte ricorrente lamenta la mancata inclusione dei costi assicurativi nel TAEG. La questione in oggetto concerne quindi la qualificazione delle assicurazioni accessorie ai finanziamenti ai consumatori: se esse siano facoltative, e quindi i relativi costi debbano essere esclusi dal calcolo del TAEG del finanziamento; ovvero se siano obbligatorie, con la conseguenza che i relativi costi debbano essere ricompresi nel calcolo del TAEG e, se non lo fossero, la clausola di determinazione del TAEG e la misura dello stesso siano nulle. L’accertamento di tale qualificazione sembra imporsi sulla base delle indicazioni normative e regolamentari che riguardano la materia. Il vigente art. 121 TUB, prevede: al comma 1, lettera e): “costo totale del credito” indica gli interessi e tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, a sostegno delle proprie opposte ragionieccezione di quelle notarili, sia alle previsioni negoziali che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. il finanziatore è a conoscenza”; al comma 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma : “Nel costo totale del credito sono inclusi anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno costi relativi a servizi accessori connessi con il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011)credito, da cui compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), un requisito per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare ottenere il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.ottenerlo
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DIRITTO. La Venendo ora all’esame della questione ha oggetto della rimessione al Collegio di Coordinamento, giova anzitutto circoscriverla alla qualificazione dei costi assicurativi e, più precisamente, nella valutazione se essi possano essere qualificati come facoltativi (e quindi debbano essere esclusi dal calcolo del TAEG del finanziamento) ovvero se debbano essere intesi come obbligatori (nel qual caso la clausola di determinazione del TAEG, e la misura dello stesso, sarebbe nulla). Come è noto, il vigente art. 121 TUB prevede che “Nel costo totale del credito sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per oggetto l’assunta illegittimità ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte”. In senso conforme anche le Disposizioni in materia di Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari per la rilevazione del TAEG: “Nel TAEG sono inclusi i costi, di cui il finanziatore è a conoscenza, relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito e obbligatori per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni offerte” (Sez. VII, par. 4.2.4). Secondo l’orientamento prevalente dell’ABF il formale carattere opzionale della perdurante segnalazione polizza, con clausola contrattuale che qualifica la stessa quale “non obbligatoria”, non è decisivo al fine di escludere la necessità che il relativo costo debba essere incluso nella indicazione del TAEG in Centrale Rischi presenza di elementi che portino a ritenere la sostanziale natura obbligatoria della copertura assicurativa (si veda, per esempio, Collegio di Roma, dec. n. 8128/15; contra parrebbe Collegio Milano, dec. 441/2010, in cui tuttavia non sono analizzate analiticamente le singole e specifiche condizioni contrattuali). Le conclusioni raggiunte dai Collegi territoriali poggiano sulla ritenuta inadeguatezza del nominativo solo dato formale per una valutazione (e una conseguente qualificazione) in termini di facoltatività della polizza assicurativa ai fini di cui all’art. 121 TUB. In tal senso depongono chiaramente anche i risultati delle indagini condotte da IVASS e Banca d’Italia e illustrati nella lettera congiunta al mercato del ricorrente26 agosto 2015, stante l’asserito venir meno che confermano l’inadeguatezza e l’insufficienza del suo obbligo fideiussorio mero dato formale: “Dalle risultanze degli accertamenti ispettivi autonomamente condotti nei rispettivi ambiti di competenza dall’IVASS e dalla Banca d’Italia sono emersi casi in cui l’erogazione del prestito è risultata sistematicamente abbinata alla sottoscrizione di una polizza di assicurazione nonostante la natura facoltativa di quest’ultima. Alcuni indici di ‘penetrazione assicurativa’ rilevati, risultati anche superiori all’80%, possono essere sintomatici del carattere sostanzialmente vincolato delle polizze”. Nella stessa lettera congiunta si dà, inoltre, atto delle indagini di mistery shopping svolte da alcune Associazioni dei consumatori “presso sportelli bancari, dalle quali è emerso che in una percentuale significativa di casi la polizza continua a essere proposta ai sensi dell’artclienti come condizioni necessaria per accedere al prestito, presentandola come obbligatoria o ‘facendo capire’ al consumatore che è fortemente consigliata per superare favorevolmente l’istruttoria per l’erogazione del prestito” (lettera congiunta al mercato IVASS-Banca d’Italia, 26 agosto 2015). 1957 c.cRagionare in senso contrario, dando esclusivo rilievo al mero dato formale e riconoscendo, pertanto, la natura facoltativa della polizza assicurativa in ragione della sua sola qualificazione negoziale, comporterebbe, all’evidenza, la possibilità di ridurre sensibilmente, fino ad escluderla, la portata precettiva della normativa di riferimento (art. Per accertare se nel caso 121 TUB; nonché, seppur in esame l’obbligo una diversa prospettiva, art. 28, d.l. n. 1/2012), pregiudicando, di segnalazione in Centrale fatto, quel “livello elevato (…) di tutela” degli interessi dei “consumatori della Comunità” cui il legislatore nazionale è chiamato dalla normativa comunitaria (cfr. il considerando n. 9, Direttiva2008/48/CE) e nella cui direzione si muovono anche gli auspici di IVASS e Banca d’Italia per la definizione da parte degli intermediari di “modalità e tempi di offerta atti a evitare condizionamenti nella negoziazione del finanziamento” (v. la già citata lettera congiunta del 26 agosto 2015). Come confermato anche dai risultati degli accertamenti compiuti dalle Autorità di ▇▇▇▇▇▇ sia cessato ▇▇▇▇, il ricorso al solo criterio formale determinerebbe, infatti, un elevato rischio di falsi negativi, connesso alla qualificazione come facoltative di polizze assicurative, in realtà, obbligatorie, con conseguente esclusione del relativo costo dal computo del TAEG. Ciò premesso, appare, pertanto, decisivo chiarire in quali circostanze e a quali condizioni la polizza assicurativa collegata ad un contratto di finanziamento possa essere considerata obbligatoria ai sensi dell’art. 121 TUB, anche contrariamente a quanto indicato dalle parti (recte, dal finanziatore) nella documentazione contrattuale. Se la chiara e formale indicazione della natura facoltativa della polizza per estinzione dell’obbligazione la concessione del garantefinanziamento appare, infatti, in assenza di altrettanto chiari e formali indici contrari, difficilmente superabile e tale da non consentire di qualificare la polizza assicurativa come affermato dal ricorrenteobbligatoria “per ottenere il credito”, oa differenti conclusioni può e deve giungersi, viceversainvece, permangacon riferimento alla possibilità di considerare la polizza obbligatoria (non per la mera volontà del finanziatore, come sostenuto dalla parte resistente ma) per ottenere il finanziamento “alle condizioni offerte”. Mentre nel primo caso, l’obbligatorietà della polizza assicurativa è riconducibile alla mera volontà (alla richiesta) del finanziatore che trova naturale espressione nella documentazione contrattuale, quale indice rivelatore, appunto, della natura attribuita al “servizio accessorio” difficilmente superabile; nel secondo caso, invece, essa appare connessa (anche) alla idoneità e capacità della stessa polizza di incidere sulle “condizioni [del credito] offerte”, in considerazione ragione delle quali il finanziatore può richiederne la relativa stipulazione, potendosi, pertanto, prospettare una differente soluzione qualora tali caratteristiche e condizioni della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una polizza emergano in maniera precisa e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussioneoggettiva. In prospettiva generaletermini generali, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata stipulazione di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione polizza assicurativa può incidere sulle condizioni del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, a seconda dei casi, anche sulla sua stessa conclusione) ogni qual volta sia idonea ad incidere ex ante – eliminandolo o riducendolo – sul rischio di seguito, la segnalazione “a sofferenza” solvibilità del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguitocliente sopportato dal finanziatore; rischio che, come debitore “noto, costituisce uno dei principali fattori in sofferenza”), occorre valutare il comportamento base ai quali lo stesso finanziatore compie normalmente la valutazione sul merito creditizio del creditore cliente (art. 124-bis TUB) e cioè se nei 36 mesi successivi definisce al giugno 2011 abbia, come dispone l’artcontempo le condizioni del credito. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza Tale capacità/idoneità è espressamente riconosciuta dal legislatore nell’ambito dell’erogazione di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die prestiti o mutui rimborsabili mediante cessione di quote dello stipendio o della pensione (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 art. 54 d.P.R. n. 180/1950, sono obbligatoriamente assistiti da una copertura assicurativa: “Le cessioni di quote di stipendio o di salario consentite a norma del presente titolo devono avere la garanzia dell'assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego od altre malleverie che ne assicurino il ricupero nei casi in cui per cessazione o riduzione di stipendio o salario o per liquidazione di un trattamento di quiescenza insufficiente non sia possibile la continuazione dell'ammortamento o il ricupero del residuo credito”), sia alla assicurazione “sulla vita dell’assicuratore/debitore prestata in funzione dell’erogazione dei prestiti o mutui” (v. art. 10, Reg. ISVAP n. 29/2009), sia alla assicurazione stipulata “dal debitore/assicurato per garantirsi dell’impossibilità di adempiere all’obbligazione di pagamento a favore dell’ente finanziatore a causa della perdita dell’impiego, con conseguente cessazione dell’erogazione dello stipendio” (v. art. 14, Reg. ISVAP, n. 29/2009). Nelle ipotesi ora richiamate, il legislatore prende atto della funzione delle polizze assicurative che, oltre a garantire in via immediata il bisogno o l’interesse dell’assicurato quale beneficiario della polizza (artt. 1882, 1904 c.c.), estinta tutelano – in via mediata riducendo o eliminando gli effetti (patrimoniali) negativi degli eventi e dei sinistri dedotti in polizza (i.e., la morte e la perdita di impiego) – anche l’interesse del finanziatore alla conservazione della originaria situazione patrimoniale e finanziaria del cliente presente al momento della concessione del finanziamento, alla luce della quale l’intermediario ha: i) effettuato le proprie valutazioni sul merito creditizio del cliente e, pertanto, non per quanto qui più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.rileva,
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DIRITTO. La questione Il Collegio deve preliminarmente dar conto dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’intermediario convenuto, il quale sostiene che, ai sensi degli accordi intervenuto con l’intermediario che ha provveduto al collocamento del finanziamento (cd. accordo di internalizzazione), tenuto al “soddisfacimento di eventuali pretese e/o reclami – anche innanzi all’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF) o altre Autorità – avanzati dal Mutuatario e/o da terzi” sia esclusivamente il mandatario medesimo. Tale eccezione non può essere accolta. Costituisce infatti consolidato orientamento di questo Collegio (e v., ad es., ABF Napoli, n. 6047/2014) ““Infondata e perciò immeritevole di accoglimento è l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla parte resistente, in quanto la conclusione del rapporto di finanziamento per oggetto l’assunta illegittimità il tramite di società mandataria del finanziatore impone una considerazione unitaria dell’assetto degli interessi globalmente perseguito dalle parti, di guisa che la mandante, proprio in forza del contratto che la lega alla mandataria, non può certamente essere considerata estranea al rapporto o mera custode di quest’ultima”. Tanto premesso, può esaminarsi la domanda del ricorrente di accertamento del proprio diritto alla restituzione di quota parte degli oneri commissionali ed assicurativi connessi al finanziamento anticipatamente estinto rispetto al termine convenzionalmente pattuito, in applicazione del principio di equa riduzione del costo dello stesso, sancita all’art. 125- sexies t.u.b. In conformità alla ormai consolidata giurisprudenza dei tre Collegi di questo Arbitro, ed alla stregua degli indirizzi della perdurante segnalazione Banca d’Italia rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, si è stabilito che la concreta applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determina la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring), che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in Centrale Rischi favore del nominativo finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale. Per converso, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (cc.dd. up front). Per quanto concerne il criterio di calcolo del rimborso spettante al ricorrente, stante l’asserito venir meno il Collegio ritiene di applicare l’orientamento del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artCollegio di coordinamento di questo Arbitro (cfr. 1957 c.cdec. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garanten. 6167/2014), come affermato dal ricorrentesecondo cui il criterio pro rata temporis è il più logico e, oal contempo, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artil più conforme al diritto ed all’equità sostanziale. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare chePosto quanto precede, in relazione alla Circolare commissione in favore dell’intermediario mandante, dalla lettura della Banca d’Italia relativa clausola contrattuale, emerge che la stessa sia stata corrisposta al fine di remunerare attività eterogenee non tutte ascrivibili alla fase prodromica alla concessione del prestito (quali, esemplificativamente, “l’esame della documentazione, la copertura del relativo rischio per tutta la durata dell’operazione, gli oneri per l’acquisizione della provvista, la elaborazione dei dati in funzione della legge 197/91, etc.: cfr. lett. a1). Pertanto, in considerazione dell’estinzione anticipata del finanziamento in corrispondenza della quarantanovesima rata di ammortamento (su centoventi complessive), deve essere riconosciuto il diritto del ricorrente alla restituzione della quota non maturata di detta commissione, pari ad euro 416,98. In ordine alla commissione prevista per l’intermediazione del prestito, va rilevato che l’esplicito riferimento nella relativa clausola contrattuale alla “garanzia non riscosso per riscosso” lascia presumere che le attività remunerate dalla commissione in questione non sono tutte ascrivibili alla fase prodromica alla concessione del prestito; in tal caso, l’opacità della clausola dipende dall’indistinto riferimento sia ad attività recurring, sia ad attività up front. Pertanto, in considerazione dell’estinzione del finanziamento in corrispondenza della quarantanovesima rata di ammortamento, deve essere riconosciuto il diritto del ricorrente alla restituzione della quota non maturata di quest’ultima commissione, pari ad euro 1.187,12. Non sfugge peraltro al Collegio che il ricorrente ha già ottenuto, in sede di conteggio estintivo, la somma di euro 120,70 a titolo di “abbuono spese per rata”. Del pari, va riconosciuto alla ricorrente il diritto al rimborso della quota parte del premio assicurativo versato in relazione al contratto di finanziamento anticipatamente estinto, stante il consolidato orientamento di questo Arbitro (da ult., ABF Napoli, 5566/2015 e 6047/2014), vieppiù avvalorato dalla decisione del Collegio di coordinamento di questo Arbitro (cfr. dec. n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -6167/2014), in varie occasioni ordine alla sussistenza del collegamento negoziale tra contratto di finanziamento e polizza assicurativa, la quale trova nella legge n. 221/2012 il suo riconoscimento normativo. Pertanto, spetta a tale titolo al ricorrente il rimborso della somma di euro 370,97. Infine, in merito alla richiesta del ricorrente del rimborso delle spese legali, è orientamento di questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012ABF Napoli, 3498/2012) - ha evidenziato che, là dove sia dimostrato che la parte ricorrente si sia avvalsa, nell’intero snodo procedimentale che va dal reclamo al ricorso, dell’ausilio di un difensore sopportandone il relativo costo, quest’ultimo possa e debba prendersi in considerazione, in caso di accoglimento del ricorso che si concluda con l’accertamento di un diritto risarcitorio, non solo i requisiti già quale autonoma voce di legittimità della segnalazione rimborso non prevista dal Reg. ABF, bensì quale componente del più ampio pregiudizio patito dalla parte ricorrente, da questo Collegio liquidato equitativamente in Centrale Rischi delle garanzie ricevute euro 200,00. In considerazione di quanto precede, il Collegio non reputa congrua la somma che la convenuta si è dichiarata disponibile a riconoscere al ricorrente e riconosce il diritto di quest’ultimo ad ottenere dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazioneal netto di quanto già restituito in sede di conteggio estintivo, precisando come “l’obbligo dell’intermediario l’importo complessivo di segnalare o euro 1.854,37 a titolo di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno commissioni e premio assicurativo per il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto periodo di finanziamento non goduto, oltre interessi legali dal reclamo (avvenuta che ha valore giuridico di formale messa in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011mora) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.csoddisfo., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha per Si deve preliminarmente rilevare, ai fini della composizione del Collegio oltre che della normativa sostanziale applicabile ai rapporti di cui si verte, che la ricorrente deve qualificarsi come “consumatore”, e non come c.d. “professionista di riflesso”, pur avendo prestato fideiussione in favore di soggetto verosimilmente imprenditore (come è legittimo desumere dalla natura di parte del credito nei suoi confronti vantato dall’intermediario, segnatamente quello avente ad oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione i titoli tornati insoluti) dovendosi ritenere, in Centrale Rischi difetto di prova contraria, che la detta garanzia sia stata rilasciata esclusivamente in ragione del nominativo del ricorrentevincolo coniugale con il debitore principale, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio come deciso con pronuncia resa da questo Collegio in analoga vertenza, alla cui motivazione sul punto si rinvia anche ai sensi dell’art. 1957 c.c118, Disp. Per accertare att. c.p.c.. (v. ABF dec. 4109/13 del 26/07/2013). Ciò posto, deve preliminarmente dichiarasi irricevibile la domanda risarcitoria riferita alla risoluzione del contratto di mutuo del quale la ricorrente non è parte, stante il conseguente difetto di legittimazione ad agire. Venendo al merito della controversia, come sopra rilevato, la ricorrente censura la compensazione operata dall’intermediario tra l’importo di € 14.392,03, costituente il saldo del suo conto corrente, e parte dell’esposizione maturata dal coniuge nei confronti dello stesso intermediario, da lei garantita sino a concorrenza di € 195.000,00 con fideiussione rilasciata il 25/01/01, da ultimo rinnovata in data 30/09/10 (v. all. 1 di parte resistente). Al riguardo è bene precisare che le condizioni generali che disciplinano il rapporto di conto corrente di cui si tratta - nel riprodurre in modo pressoché pedissequo l’art. 11 della Circolare ABI LG/000906 del 25/02/05 a sua volta estensivamente modellato sulla scorta dell’art. 1853 cod. civ. – alla clausola 5, III° e IV° co., dispongono: “Quando esistono tra l’Azienda di credito ed il correntista più rapporti o più conti di qualsiasi genere o natura, anche di deposito, ancorchè intrattenuti presso altre Dipendenze italiane o estere, ha luogo in ogni caso la compensazione di legge ad ogni suo effetto. L’Azienda di credito ha altresì il diritto di valersi della compensazione ancorchè i crediti, seppure in monete differenti, non siano liquidi ed esigibili e ciò in qualunque momento senza obbligo di preavviso e/o formalità, fermo restando che dell’intervenuta compensazione – contro cui non potrà in ogni caso eccepirsi la convenzione di assegno – l’Azienda di credito darà prontamente comunicazione al correntista.” (v. all.4 di parte resistente). Come è reso evidente dalla sua formulazione letterale, la disciplina negoziale adottata dalle parti rimanda inizialmente a quella della compensazione legale, ammettendo però, in deroga a quanto disposto dall’art. 1243, I° co., cod. civ. e così introducendo la disciplina propria della compensazione volontaria, la possibilità di operare in tal senso anche in presenza di crediti “non liquidi ed esigibili”. E’ dunque con riferimento alla disciplina di cui all’art. 1252 cod. civ. e a quella del c.d. Codice del consumo, stante la qualificazione soggettiva della ricorrente sopra rilevata, che occorre indagare in ordine alla validità della clausola sopra citata e alla contestata legittimità della condotta tenuta nella specie dall’intermediario. Prima di ciò, e al fine di delimitare l’ambito dell’indagine, è opportuno evidenziare l’infondatezza della censura svolta dalla ricorrente con riferimento al dedotto difetto di identità soggettiva tra i titolari dei rapporti resi oggetto di compensazione. A suo avviso, infatti, l’esposizione parzialmente estinta con utilizzo del saldo del conto corrente, in quanto debito di spettanza del coniuge e non della stessa ricorrente, avrebbe importato la violazione dell’art. 1853 cod. civ. secondo la cui previsione i rapporti contrapposti devono riguardare il medesimo soggetto; ma è agevole obiettare che il credito azionato dalla banca non era costituito direttamente dall’esposizione maturata dal debitore principale, quanto piuttosto dall’obbligazione fideiussoria assunta dalla correntista, con perfetta coincidenza soggettiva della titolare dei rapporti resi oggetto di compensazione, ancorchè, sotto il profilo funzionale, l’obbligazione fideiussoria rivesta natura accessoria di quella garantita e all’entità di questa debba necessariamente riferirsi. Ugualmente infondata deve ritenersi la doglianza concernente il difetto di preavviso (e, a fortiori, di autorizzazione) dell’operazione di compensazione atteso che, come ritenuto dal Supremo Collegio, la banca, una volta annotata l’operazione di compensazione, ha soltanto l’onere di “darne immediata comunicazione al cliente, in applicazione del principio di buona fede contrattuale” (Cass. 28/09/05 n. 18947), come fatto nella specie con comunicazione 12/03/13, inviata dall’intermediario il giorno dell’operazione stessa e debitamente pervenuta nella sfera di conoscibilità della odierna ricorrente (v. all. 3 di parte resistente), con correlata applicabilità della presunzione di cui all’art. 1335 cod. civ., stante il difetto di prova contraria. Rilevato quanto sopra, occorre ora esaminare se la deroga ai requisiti di liquidità ed esigibilità dei reciproci crediti posta dalla disciplina pattizia inter partes (art. 5 sopra citato) sia conforme al dettato dell’art. 1252 cod. civ. e, nella specie, se sia valida ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 33 e ss. D. Lgs. 206 del 2005 (c.d. Codice del consumo), in ciò sostanziandosi la censura della ricorrente riferita alla circostanza che i rapporti oggetto di compensazione erano ancora “in essere ed attivi”, non avendo esaurito i rispettivi “cicli vitali”(cfr. ricorso, pag. 1), con conseguente violazione dei requisiti posti dall’art. 1243 cod. civ.. A tal proposito può essere utile rilevare, quanto al requisito di “liquidità”, che, come noto, la giurisprudenza del Supremo Collegio formatasi con riferimento alla compensazione legale di cui all’art. 1853 cod. civ. è orientata nel caso senso che il requisito in esame l’obbligo considerazione è escluso dalla contestazione del credito opposta dal debitore (▇. ▇▇▇▇. 18/10/02 n. 14818), pur dovendosi ritenere, in linea con autorevole opinione dottrinale ripresa da precedente pronuncia di segnalazione questo Arbitro (v. ABF dec. n. 323 del 2012), che non qualsiasi contestazione sia a ciò idonea, non potendosi far coincidere, per ovvie esigenze di rispetto dei generali principi di buona fede e di meritevolezza di tutela sottese anche alla disciplina di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c., il termine di “credito liquido” con quello di “credito incontestato”, potendosene perciò escludere la rilevanza ogni qual volta la contestazione stessa appaia ictu oculi infondata e strumentale. Quanto al requisito di “esigibilità”, è ugualmente noto come la più recente giurisprudenza del Supremo Collegio sia dell’avviso che tale requisito - inizialmente considerato compatibile con il permanere in Centrale essere dei rapporti resi oggetto di compensazione ex art. 1853 cod. civ. (▇. ▇▇▇▇. 17/07/97 n. 6558) e successivamente orientata in senso opposto (▇. ▇▇▇▇. 3/05/07 n. 10208) – sia soddisfatto con la chiusura di un conto e la mera annotazione su altro conto dell’avvenuta compensazione, purchè l’esigibilità del credito vantato verso il debitore non sia esclusa dalla natura del rapporto, come accade in presenza di un saldo negativo rientrante in affidamento non ancora revocato (▇. ▇▇▇▇. 5/02/09 n. 2801), o di una moratoria assunta nell’ambito di un accordo di ristrutturazione del debito, ovvero consegua all’applicabilità di disposizioni legali, ad esempio in tema di crisi aziendali e/o procedure concorsuali, aventi analogo effetto. Peraltro, ai fini della soluzione della presente controversia non sembra doversi fare riferimento tanto all’elaborazione giurisprudenziale delle nozioni di tali requisiti riferita alla compensazione legale, quanto alla natura giuridica dei requisiti stessi, la cui derogabilità nell’ambito della compensazione volontaria non sembra potersi revocare in dubbio alla luce della previsione dell’art. 1252 cod. civ. e della lettura datane dalla Suprema ▇▇▇▇▇ (▇. ▇▇▇▇. 18947/05 cit.). Resta pertanto da valutare, ai fini che qui interessano, la validità della clausola di cui all’art. 5 delle condizioni generali di contratto alla luce della speciale disciplina di tutela dei consumatori di cui al D. Lgs. 206 del 2005. A tale riguardo questo ▇▇▇▇▇▇▇▇ ritiene che la clausola in parola sia cessato nulla per estinzione dell’obbligazione del garantecontrasto con l’art. 33, I° co., e 36 I° co., D. Lgs. 206/05 nella parte in cui non esclude, come affermato dal è invece significativamente previsto nel relativo schema contrattuale predisposto dall’ABI, la possibilità di compensazione in presenza di crediti non liquidi e non esigibili anche nei confronti di soggetti consumatori quali la ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente così dando luogo ad un “significativo squilibrio” contrattuale in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artsuo danno. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “Ne segue l’obbligo dell’intermediario di segnalare o provvedere al riaccredito sul conto della ricorrente, con valuta alla data dell’operazione di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando compensazione di cui si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio verte, dell’importo di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c€ 14.3292,03., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione controversia ha per ad oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione la declaratoria di nullità di un contratto di prestito al consumo, con conseguente pretesa alla corresponsione dell’indebito. Secondo la domanda principale, si tratterebbe di nullità derivata, in Centrale Rischi forza del nominativo collegamento negoziale del ricorrentefinanziamento con un contratto di associazione/acquisto di un pacchetto vacanze (cd. “contratto a monte”), stante l’asserito venir meno quest’ultimo dichiarato nullo dal Tribunale di Bologna con provvedimento dell’1 dicembre 2019; secondo la domanda spiegata in via subordinata, invece, la nullità verrebbe in considerazione come un vizio proprio del contratto di prestito, che discenderebbe dalla indeterminatezza del suo obbligo fideiussorio oggetto. Il Collegio esamina la domanda principale, fondata sul supposto collegamento negoziale tra i due contratti de quibus, ed esclude che nella fattispecie sussistano gli estremi di un collegamento negoziale ai sensi dell’art. 1957 121 TUB. Invero, secondo l’art. 121 lett. d) TUB, va qualificato quale “contratto di credito collegato”, rilevante secondo la regolazione consumeristica, “il contratto di credito finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di Nella fattispecie il Collegio osserva che nessuna delle condizioni tipiche sussiste. In particolare, il terzo intermediario che ha collocato il finanziamento non coincide con il fornitore. Inoltre, all’esame dei due contratti emerge che non solo non coincidono gli importi del servizio acquistato e del finanziamento (anche a voler detrarre dal prezzo la somma di € 1.400 di cui alle cambiali consegnate al fornitore, vi sarebbe comunque una non perfetta coincidenza tra gli importi di 13.400 € contro 13.700 €), né sono logicamente coordinate le date di stipula (25.3.2013 contro 7.5.2013), ma soprattutto, la finalità del prestito è, testualmente, secondo la documentazione versata in atti dallo stesso ricorrente, “acquisto, costruzione o ristrutturazione di abitazioni o relative pertinenze …”. Quanto alla questione, presentata in via subordinata, sulla asserita indeterminatezza dell’oggetto del contratto di finanziamento, secondo gli artt 1346 e 1284 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo (oltre che 117 TUB), per carenza di segnalazione in Centrale piano di ammortamento, il Collegio rileva che, invero, dal documento di sintesi prodotto dal ricorrente stesso si evincono i costi del finanziamento ed il relativo piano di ammortamento, così che il lamentato vizio di invalidità non sussiste. Questo approdo interpretativo è coerente con l’insegnamento della Corte di legittimità (e cfr. ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali 16907/2019) in punto di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire determinabilità per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.crelationem dell’oggetto contrattuale., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Contract for Vacation Rights
DIRITTO. La Giova preliminarmente osservare come, riguardo alla questione ha relativa alla ritenuta usurarietà degli interessi previsti in contratto, la genericità della prospettazione e, soprattutto, la circostanza che essa non forma oggetto di specifica domanda escludono che il Collegio debba farsene carico, non essendo accessibile al merito in quanto carente sia nella causa petendi che nel petitum ed essendo il giudicante vincolato al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc civ. Sempre in via preliminare può, in accoglimento dell’eccezione formulata dalla parte resistente, dichiarasi la cessazione della materia del contendere sul capo di domanda relativa alla sospensione delle rate di mutuo nella parte in cui tale sospensione è stata accordata fino al giugno 2014. Per il periodo futuro la domanda va invece respinta, sia per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno assenza del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garantepresupposto, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragionimeglio precisato nel seguito, sia alle previsioni negoziali perché risulta precluso a questo Collegio potersi pronunciare a fronte della litispendenza derivante dalla prospettata sottoposizione della questione alla competente autorità giudiziaria. Premesso che non è dato al Collegio rendere decisioni costitutive (quali quelle di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare annullamento o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011finanziamento), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso sembra manifestamente infondato quanto alla domanda di accertamento della nullità del finanziamento. E ciò sia perché, diversamente da quanto apoditticamente affermato, non necessariamente viene nel caso di specie in considerazione un collegamento negoziale tra compravendita e mutuo fondiario determinativo della trasmissione degli effetti del primo contratto sul secondo, sia perché la nullità del contratto di compravendita non sembra affatto scontata alla luce del denunciato vizio. Sotto il primo versante è appena il caso di ricordare che il mutuo fondiario non è mutuo di scopo, poiché, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, “di esso non è elemento essenziale la destinazione della somma mutuata a mezzi processuali determinate finalità“ (Cass., 20 aprile 2007, n. 9511; Id., 26 marzo 2012, n. 4792). Aggiungasi che l’intervento del finanziatore nella verifica delle caratteristiche dell’immobile si presenta circoscritto alla costituzione della garanzia ipotecaria che connota l’operazione de qua (arg. ex art. 38 Tub). La nullità del contratto di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella compravendita è peraltro, nel caso di specie, almeno dubbia. Premesso che l’accertamento di patologie significative del contratto principale di compravendita (eventualmente destinate a fronte riflettersi su quello di finanziamento) risulta estraneo al perimetro della contestazione cognizione di questo Collegio, di là anche della circostanza giuridicamente significativa che la stessa ricorrente afferma di voler convenire presso l’autorità giudiziaria ordinaria tanto i venditori quanto il notaio rogante per l’accertamento delle rispettive responsabilità (che traggono origine dagli stessi fatti oggetto di accertamento ai fini della declaratoria di nullità del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero creditinegozio), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie si osserva che dalla documentazione versata in atti non emerge prova che il lamentato abuso edilizio sia tale da determinare la nullità del riferito contratto, avuto anche presente (sulla scorta della Circolare del Ministero dei lavori Pubblici del 18 luglio 1995) che “l’eventuale nullità degli atti di trasferimento è circoscritta soltanto agli immobili eseguiti in assenza di concessione o all’impossibilità in totale difformità da essa … mentre non sono oggetto ad alcun limite alla commerciabilità gli abusi di esperirle per la presenza minore gravità che restano assoggettati alle sanzioni di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.ctipo amministrativo o penale”., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Mutuo Fondiario
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità controversia riguarda la mancata ammissione del ricorrente a godere della perdurante segnalazione sospensione del pagamento dei canoni di in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersileasing, ai sensi dell’art. 1957 c.c.56 d.l. n. 18/2020, estinta e la indebita segnalazione del ricorrente stesso presso la Centrale dei Rischi, per il mancato pagamento di canoni, con conseguente richiesta di risarcimento del danno. In via principale, il ricorrente chiede, premessa ogni statuizione inerente alla cessazione del contratto di leasing in oggetto, che venga accertato e dichiarato il proprio diritto ad ottenere la sospensione del pagamento dei relativi canoni, dal mese di ottobre 2020 sino al 30 giugno 2021 ex art. 56, d.l. n. 18/2020. La domanda non merita di essere accolta. Il caso di specie può così essere ricostruito. In data 13 novembre 2018, il ricorrente stipulava con l’intermediario un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto un macchinario, della durata di sessanta mesi (e, pertantoquindi, sino al 1° novembre 2023) e con canone periodico mensile. Con comunicazione in data 24 aprile 2019, il ricorrente informava l’intermediario concedente della propria intenzione di recedere dal contratto di leasing, in conseguenza del malfunzionamento del macchinario. Il Collegio rileva altresì che, dalla documentazione in atti risulta, precedentemente alla dichiarazione di recesso da parte del ricorrente, il mancato pagamento di due canoni scaduti, e che in data 29 aprile 2019 l’intermediario aveva inviato al ricorrente una lettera di pre-risoluzione, invitandolo alla regolarizzazione della propria posizione. Nel mese di settembre 2019 l’intermediario aveva accordato al ricorrente un piano di rientro, configurabile come una rinegoziazione dei termini di pagamento dell’insoluto su richiesta del ricorrente, con una ulteriore rateizzazione in dieci rate assistite da effetti cambiari, precisandosi che “l’accettazione degli effetti cambiari non più giustificata costituisce novazione rispetto agli obblighi contrattuali assunti”. Il tutto accompagnato dalla ripresa dl pagamento regolare dei canoni a partire da quello in scadenza l’1 ottobre 2019. Intervenuta la segnalazione crisi economica da pandemia, la società ricorrente ha formulato richiesta di sospensione dei canoni del suo nominativo contratto di leasing in Centrale Rischi.contestazione, una prima volta con nota del 16.3.2020, e successivamente, richiamando l’art. 56 del D.L. n. 18/2020, in data 20.3.2020. L’intermediario ha riscontrato la richiesta con e-mail del 28.9.2020, comunicando alla cliente di aver “accolto la … richiesta di sospensione del pagamento del contratto di leasing, allegando a tale comunicazione la bozza di un “Atto integrativo”, che conteneva la ridefinizione del piano di ammortamento. L’intermediario ha ripetutamente sollecitato la sottoscrizione da parte della cliente di tale atto integrativo, in particolare con e-mail del 16.12.2020. Così ricostruita la vicenda, emerge che la domanda del ricorrente sia rivolta ad ottenere pronunce che esulano dall’ambito di competenze di questo Arbitro. In primo luogo, con riferimento alla statuizione incidentalmente richiesta in ordine alla cessazione col contratto di leasing, questa presupporrebbe l’accertamento della difettosità del bene oggetto di leasing, la cui cognizione è preclusa all’organo qui adito. Infatti, ai sensi dell’art. 2, comma 5 della Deliberazione Cicr n. 275 del 29 luglio 2008, che ha stabilito i criteri per lo svolgimento delle procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie e ha affidato alla Banca d'Italia il compito di curarne l'organizzazione e il funzionamento, “sono esclusi dalla cognizione dell'organo decidente i danni che non siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento o della violazione dell'intermediario, nonché le questioni relative a beni materiali o a servizi diversi da quelli bancari e finanziari oggetto del contratto tra il cliente e l'intermediario ovvero di contratti ad esso collegati”. Del pari destinata a fuoriuscire dalla competenza di questo Arbitro è la domanda concernente il riconoscimento del diritto di ottenere la sospensione dei canoni, ai sensi dell’art. 56 d. l. 18/2020. Il menzionato art. 56 prevede che: “1. Ai fini del presente articolo l’epidemia da COVID-19 è formalmente riconosciuta come evento eccezionale e di grave turbamento dell’economia, ai sensi dell’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. 2. Al fine di sostenere le attività imprenditoriali danneggiate dall’epidemia di COVID-19 le Imprese, come definite al comma 5, possono avvalersi dietro comunicazione
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Sources: Leasing Agreement
DIRITTO. La questione ha Le domande svolte dalla ricorrente ineriscono le vicende riferite alla pretesa perdita di efficacia dell’impegno fideiussorio assunto dall’intermediario nell’interesse della ricorrente stessa ed a beneficio del soggetto concedente in affitto il ramo di azienda di cui al contratto sottoscritto in data 20 gennaio 2010. Da un lato, la ricorrente contesta la debenza della commissione annuale relativa al rilascio della garanzia fideiussoria da parte dell’intermediario; commissione addebitata, in via anticipata, in data 19 gennaio 2011 e 19 gennaio 2012 per oggetto l’assunta illegittimità le annualità 2011 e 2012. Dall’altro, la ricorrente contesta la mancata esecuzione dell’ordine di chiusura del conto corrente n. 421061 impartito il 30 luglio 2011 e i conseguenti addebiti, nel periodo successivo, delle commissioni e spese di tenuta conto e delle imposte di bollo. Con riferimento alla domanda volta a contestare la debenza delle commissioni per il rilascio della perdurante segnalazione garanzia fideiussoria (per gli anni 2011 e 2012), deve osservarsi quanto segue. Risulta documentato in Centrale Rischi atti e non controverso l’intervenuto rilascio, in data 19 gennaio 2010, della garanzia nell’interesse della ricorrente. Appare altresì pacifico che il contratto di affitto di ramo d’azienda, della durata di un anno con rinnovo tacito annuale (art. 2), sia cessato il 31 dicembre 2010 per tempestivo esercizio della disdetta da parte del nominativo concedente (comunicazione del 18 agosto 2010, acclusa al ricorso). E’ altresì documentale che la fideiussione fosse volta a garantire il corretto “pagamento dei canoni”, pagamento eseguito dalla ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garanteil primo anno contrattuale, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare checon i 3 versamenti allegati al ricorso, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga conformità a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione 3 del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011)affitto d’azienda. Ciò premesso, è altresì documentale il tenore delle previsioni integranti la garanzia suddetta ove, da cui è conseguita un lato, si precisa che “la presente garanzia sarà valida e operante sino al 31.12.2014, e si intenderà tacitamente rinnovata, di anno in anno, salvo disdetta di una delle parti …” e, dall’altro, si dispone che la costituzione in mora di garante da parte dell’intermediario avviene “con espressa rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale di cui all’art. 1944 cod. civ.” e che l’intermediario, in caso di richiesta del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare beneficiario della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischigaranzia, sia come garantetenuto a pagare “ogni eccezione rimossa e nonostante eventuali opposizioni della Parte Affittuaria, sia, alla sola condizione che la Parte Concedente ci produca motivata richiesta scritta a mezzo lettera raccomandata a.r.”. In conformità alla giurisprudenza espressa dalla Corte di seguitoCassazione, come debitore risulta nel caso di specie, “L’introduzione in sofferenza”)una polizza delle clausole "a prima richiesta" o "senza riserva" ovvero "senza eccezioni", occorre valutare il comportamento derogatorie del creditore regime normativo tipico della fideiussione - art. 1945 e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art1941 c.c. 1957 c.c- riconducono la polizza che le contiene alla categoria del contratto autonomo di garanzia che ammette la sola "excepio doli" (Cass. 28 ottobre 2010 n. 22107; così già Cass., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”SS. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, CassUU. 18 febbraio 2010 n. 1724/20163947). In tale otticacaso di contratto autonomo di garanzia, l’osservanza “l’obbligazione del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto garante autonomo si pone in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita” (▇▇▇▇. SS.UU. n. 3947/2010 cit.). Ciò premesso, è già possibile pervenire alla prima conclusione per cui, proprio in ragione della pretesa creditriceautonomia della garanzia assunta dall’intermediario, rispetto all’adempimento previsto nel contratto garantito, non è possibile, come invece pretenderebbe la ricorrente, ricollegare sic et simpliciter l’estinzione della garanzia alla perdita di efficacia del contratto di affitto di ramo d’azienda. Nella Peraltro, nel caso di specie, a fronte l’efficacia della contestazione garanzia è pattuita sino al 31 dicembre 2014, risultando solo in seguito ricollegata alle vicende (rectius, ai rinnovi) del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il creditocontratto principale. Come sopra osservato, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti)infatti, senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue garanzia dispone che, risultando inutilmente trascorsi più successivamente al 31 dicembre 2014 “si intenderà tacitamente rinnovata di 36 mesianno in anno, l’obbligazione fideiussoria a carico salvo disdetta del ricorrente debba ritenersicontratto da una delle parti da comunicarsi all’altra parte almeno 3 mesi prima della scadenza”. Allo stesso modo, e sotto altro profilo, non risulta, nel caso di specie, che l’originale della garanzia sia stata oggetto di riconsegna all’intermediario, circostanza che, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto1 lett. c dell’accordo tra la ricorrente e l’intermediario (allegato alle controdeduzioni) avrebbe determinato il venir meno dell’obbligo della ricorrente al pagamento della commissione oggetto di contestazione. Tutto ciò premesso, non più giustificata può essere accolta la segnalazione richiesta della parte ricorrente volta ad ottenere il rimborso della “commissione da trattenersi in via anticipata con periodicità annuale” pari all’1,80% dell’ammontare garantito (euro 20.000), addebitata dall’intermediario per gli anni 2011 e 2012, in ragione del suo nominativo permanere del contratto autonomo di garanzia sino all’anno 2014. Allo stesso modo non pare accoglibile la domanda proposta dalla ricorrente volta ad ottenere il rimborso delle spese e delle commissioni ulteriori addebitate sul conto corrente n. 421061 successivamente al 30 luglio 2011. L’ordine di chiusura di tale conto appare, infatti, in Centrale Rischiconflitto con l’obbligo in precedenza assunto dalla ricorrente e portato dall’art. 1, lett. c, dell’accordo sottoscritto con l’intermediario per il rilascio della garanzia (allegato alle controdeduzioni). E’ documentale l’assunzione dell’impegno della ricorrente a corrispondere all’intermediario “le commissioni e le spese relative alla fideiussione oggetto della presente” (cfr. art. 1, lett. c citato) mediante addebito sul conto corrente n. 420881 intrattenuto presso lo stesso intermediario. Risulta altrettanto documentale l’intervenuta chiusura di quest’ultimo conto corrente, in conformità a quanto disposto dalla ricorrente medesima con ordine del 20 ottobre 2010, che, tuttavia, prevedeva anche di girare “tutti i pagamenti automatici agganciati ai c/c a me intestati … sul mio nuovo rapporto n. 421061” (cfr. documentazione versata agli atti dall’intermediario). Ciò premesso, nella sussistenza dell’impegno della ricorrente a corrispondere “le commissioni e le spese relative alla fideiussione oggetto della presente” sul conto corrente 421061 è evidente che, nella permanenza della fideiussione e dell’obbligo alla corresponsione delle relative commissioni annuali, la pretesa di chiusura del conto corrente n. 421061 (quello sul quale, in conformità alle disposizioni della medesima ricorrente, tali commissioni avrebbero dovuto essere addebitate) non può considerarsi legittima, implicando ciò inadempimento al proprio obbligo di pagamento così convenuto. Per quanto sopra, fermo restando il non accoglimento della domanda della ricorrente, avvalendosi della Sez. VI, par. 3 delle “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari”, il Collegio, valutati complessivamente i fatti di cui alla presente controversia, segnala all’intermediario l’opportunità di disapplicare nel caso di specie le commissioni di tenuta del conto corrente n. 421061, allorquando, anche solo di fatto, il medesimo conto risulti esclusivamente utilizzato dalla ricorrente per l’addebito, nell’interesse dell’intermediario, della commissione annuale relativa alla garanzia fideiussoria in essere.
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Sources: Banking Dispute Resolution
DIRITTO. La questione ha Il Collegio deve anzitutto rigettare l’eccezione di irricevibilità per oggetto l’assunta illegittimità non corrispondenza fra i motivi di reclamo e i motivi di ricorso, stante la sostanziale coincidenza della perdurante segnalazione richiesta espressa dalla ricorrente in Centrale Rischi sede di reclamo e di ricorso, in quanto è orientamento ormai consolidato dell’ABF (e v., per tutte, dall’ABF Napoli, n. 5814/2015) che il ricorrente “può chiedere nel ricorso il risarcimento del nominativo danno anche quando tale richiesta non sia stata formulata nel reclamo, qualora il danno lamentato sia conseguenza immediata e diretta della medesima condotta dell’intermediario segnalata nel reclamo”. Venendo all’esame del merito del ricorso, il Collegio deve anzitutto rilevare che, come correttamente eccepito dalla resistente, il contratto di finanziamento in esame prevede la restituzione del finanziamento mediante il versamento di n° 47 rate, e non già n. 72, come asserito dalla ricorrente. Tanto premesso, il Collegio ritiene infondata la principale contestazione mossa da parte attrice vertente sulla presunta usurarietà del finanziamento in esame, in quanto la ricorrente, stante l’asserito venir meno al fine di dimostrare il superamento del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’arttasso soglia, ha erroneamente incluso il tasso di mora nel calcolo del TEG. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale Questo ▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ritiene infatti di aderire all’orientamento ormai consolidato dell’ABF, consacrato anche da alcune pronunce del garanteCollegio di coordinamento (e v., come affermato dal ricorrentead es., on. 2666/2014), viceversache nega l’effetto usurario derivante dall’operazione di “sommatoria” del tasso degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione vista del relativo confronto col “tasso soglia” individuato con riguardo al momento della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia stipulazione del mutuo e delle conseguenze che se ne intendono trarre sotto il profilo dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 1957 1815, comma 2°, c.c.. Questa impostazione risulta del resto coerente con quanto statuito dall’art. 19, richiamato dall’una 2° paragrafo, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e dall’altra parte del Consiglio del 23 aprile 2008 relativa ai contratti di credito ai consumatori, che abroga la direttiva 87/102/CEE, che prescrive che “al fine di calcolare il tasso annuo effettivo globale, si determina il costo totale del credito al consumatore, ad eccezione di eventuali penali che il consumatore sia tenuto a sostegno pagare per la mancata esecuzione di uno qualsiasi degli obblighi stabiliti nel contratto di credito e delle proprie opposte ragionispese, sia alle previsioni negoziali diverse dal prezzo d’acquisto, che competono al consumatore all'atto dell'acquisto, in contanti o a credito, di cui alla costituzione della fideiussionemerci o di servizi”. In prospettiva generaletermini analoghi, occorre inoltre ricordare chel’art. 4, n. 13, della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in relazione alla Circolare merito ai contratti di credito relativi a immobili residenziali, la quale è stata approvata dal Parlamento europeo il 10 settembre 2013 con emendamenti, espressamente prevede che dal costo totale del credito “sono escluse eventuali penali pagabili dal consumatore per la mancata esecuzione degli obblighi stabiliti nel contratto di credito”. Infatti, “il calcolo del tasso annuo effettivo globale è fondato sull'ipotesi che il contratto di credito rimarrà valido per il periodo di tempo convenuto e che il creditore e il consumatore adempiranno ai loro obblighi nei termini ed entro le date convenuti nel contratto di credito” (art. 19, 3° paragrafo, direttiva 2008/48/CE). Invero, gli interessi moratori realizzano una liquidazione preventiva e forfettaria del danno risarcibile e, pertanto, la clausola che ne determina convenzionalmente l’ammontare è certamente assimilabile alle “penali” cui fanno specifico riferimento i testi comunitari. D’altra parte, militano nel senso indicato anche dalle Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura, le quali dispongono che “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo” sono esclusi dal calcolo del TEGM (paragrafo C4, Trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del TEG). Parimenti infondata è la doglianza della ricorrente relativa al presunto effetto anatocistico del contratto di finanziamento in esame, dovuto al sistema di “ammortamento alla francese”. Il Collegio deve al riguardo preliminarmente rilevare che il ricorrente formula un’eccezione del tutto generica, non suffragata da alcuna contestazione in merito. In ogni caso, il Collegio ricorda che l’essenza del sistema di rimborso alla francese è nella formula matematica iniziale, in cui si definisce l’importo che consente di rimborsare il prestito con un numero predefinito di rate costanti contenenti una quota capitale (crescente) e una quota interessi (decrescente); di conseguenza, lo schema di riferimento per la costruzione del piano di ammortamento è rappresentato dalla relazione tra l’ammontare del prestito erogato e le rate, in quanto la somma mutuata è uguale alla sommatoria delle rate attualizzate pagate dal debitore in ciascun periodo. Tanto premesso, va ricordato che le argomentazioni alla base della presunta illegittimità della modalità di ammortamento diffusamente utilizzata nella prassi bancaria sono state più volte rigettate dai tre Collegi di questo Arbitro (e v., per tutti, ABF Napoli, n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -4115/14), che hanno concordemente escluso la sussistenza di “controindicazioni di principio alla scelta del metodo in varie occasioni questo Arbitro questione - come di qualsiasi altro, in linea con assenza di divieti o imposizioni di legge - e che la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento questione piuttosto si sposta sulla sufficiente contezza che del metodo (cfre delle conseguenze) ne abbia la parte mutuataria”. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioEbbene, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al nel caso in esame, pare il Collegio rileva che, dalla documentazione in atti, non doversi dubitare: l’artsia ravvisabile il difetto di informativa e trasparenza lamentato dalla ricorrente. 5 Parimenti infondate sono le doglianze relative alla presunta sproporzionalità delle spese assicurative (Responsabilità pari ad euro 1.324,01) e delle spese istruttorie (pari ad euro 250,00), nonché alla violazione delle norme sulla trasparenza dei contratti bancari e finanziari. Il Collegio rileva infatti che il contratto di finanziamento, con l’indicazione delle relative spese (assicurative e istruttorie), risulta essere sottoscritto dalla ricorrente, con la conseguenza che la cliente ne era ab origine a conoscenza; conseguentemente le lamentele sollevate ex post dalla stessa appaiono inerenti a circostanze che non possono essere considerate sopravvenute, né tanto meno sconosciute. Neppure è dato riscontrare, infine, un superamento del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentotasso soglia, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c.dall’elaborazione dei dati risultanti dalla documentazione in atti, è emerso che il TEG, nel caso si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabilespecie, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone è pari al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) 15,98% e, di seguitoconseguenza, la segnalazione “a sofferenza” inferiore alla soglia vigente nel trimestre di riferimento (pari al 16,975%) individuata nelle serie storiche dei tassi effettivi globali medi della Banca d’Italia. Nel calcolo del nominativo di quest’ultimotasso questo Collegio ha peraltro incluso, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione contratto, anche la polizza “furto incendio (pacchetto blu)” perché a protezione del 09.09.2011)bene oggetto di finanziamento, ma non invece anche l’ulteriore copertura “Gap 10.000 E”, da reputarsi non obbligatoria giacché permette al proprietario che viene risarcito per stabilire il furto o il danno irreparabile di un’automobile di recuperare la differenza (il “gap”, appunto) tra il prezzo di acquisto dell’auto e la valutazione che l’auto ha al momento dell’evento dannoso [di quest’ultima è stata inclusa la sola parte commissionale incamerata dall’intermediario di 51,09 euro, sulla scorta delle disposizioni della Banca d’Italia sui “Quesiti pervenuti in materia di rilevazione dei tassi effettivi globali ai sensi della legge sull’usura”, che al punto C4 (“trattamento degli oneri e delle spese”) prevedono che “laddove sia consentito escludere dal TEG una polizza assicurativa stipulata contestualmente al finanziamento, l’esclusione deve essere limitata all’importo effettivamente versato alla compagnia di assicurazione. Di conseguenza, se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento l’intermediario erogante trattiene parte delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischiricevute dal cliente a titolo di polizza assicurativa, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenzagli importi trattenuti vanno inclusi nel TEG”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016)]. In tale otticaconsiderazione delle ragioni che precedono, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione le domande del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cappaiono fondate., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Contract of Financing
DIRITTO. La questione ha Il ricorso non è meritevole di accoglimento. Come esattamente argomentato dalla società concedente, non sussiste alcun diritto, di origine legale, in capo all’utilizzatore di un bene oggetto di un contratto di leasing, di riscattarlo anticipatamente (rectius: di esercitare prima del termine l’opzione per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi il relativo acquisto). Tale diritto ben può essere eventualmente introdotto per via pattizia, nell’ambito del nominativo del ricorrentecontratto di leasing, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se ma nel caso di specie siffatta previsione non risulta inserita nella convenzione in esame l’obbligo essere tra le parti. D’altra parte, il costante orientamento di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garantequesto Arbitro è nel senso di negare l’esistenza di un simile diritto a favore dell’utilizzatore (salva l’ipotesi, come affermato dal ricorrentedetto, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -previsione convenzionale dello stesso), dovendosi ritenere che il termine per l’esercizio del riscatto sia stabilito a favore di ambo le parti, sicché, così come la società concedente non può unilateralmente abbreviare la durata del contratto, altrettanto non può fare l’utilizzatore, pretendendo di esercitare in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il anticipo l’opzione per l’acquisto (così, Collegio di Coordinamento (cfr. decisione Roma, 13 gennaio 2012, n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti 69; Collegio di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioNapoli 29 marzo 2011, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (n. 626; Collegio di Milano, decisione 28 marzo 2012, n. 8288/2014917). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esameNe consegue, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità dunque, che il riscatto anticipato del fideiussore) bene oggetto del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentocontratto, in deroga assenza di previsione pattizia di un diritto potestativo a quanto previsto dall’art. 1957 c.c.favore dell’utilizzatore, si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre è rimesso all’accordo tra le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) parti e, dunque, è subordinato (anche) al consenso della società concedente. Non potendosi quindi ravvisare alcun profilo di seguitoillegittimità nella condotta della parte resistente, anche la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.cdomanda risarcitoria non può essere accolta., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La prima questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi sottoposta al vaglio del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi Collegio riguarda la violazione dell’art. 1957 c.c120 A fronte di tale contestazione, preliminarmente si evidenza che parte ricorrente chiede impropriamente la “rinegoziazione del tasso di interesse effettivo all’1,70%”; interpretando siffatta domanda in ragione degli arresti ABF in materia (cfr, ex multis, Collegio di Milano pronuncia n. 8917/2018; Collegio di Roma pronuncia n. 3072/2015; Collegio Torino decisione n. 4687/2018), la stessa potrebbe essere intesa quale richiesta di “applicazione” del tasso inizialmente indicato nell’offerta personalizzata e, dunque, conseguentemente, in termini risarcitori e non certo costitutivi. Per accertare se nel caso Ciò precisato, venendo ora alla valutazione della condotta dell’intermediario, preme rilevare come la domanda di parte ricorrente pare in esame l’obbligo definitiva essere sorretta sulla prescrizione di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia cui all’art. 1957 c.c.120-novies T.U.B., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione mente della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti 2. Il finanziatore o l'intermediario del credito fornisce al consumatore le informazioni personalizzate necessarie per consentire il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata in merito alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione conclusione di ogni suo credito verso un contratto di credito. Le informazioni personalizzate sono fornite su supporto cartaceo o su altro supporto durevole attraverso la consegna del modulo denominato «Prospetto informativo europeo standardizzato». Il modulo è consegnato tempestivamente dopo che il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoconsumatore ha fornito le informazioni necessarie circa le sue esigenze, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre situazione finanziaria e le sue istanze contro preferenze in conformità all'articolo 120-undecies, comma 1, e comunque in tempo utile, prima che il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, consumatore sia vincolato da individuarsi nella risoluzione del un contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha Si controverte del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi estinzione anticipata del nominativo del ricorrenterapporto, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artsancito dall’art. 1957 c.c125-sexies t.u.b. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 giurisprudenza costante dell’Arbitro (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il decisione n. 6167/2014 del Collegio di Coordinamento coordinamento), occorre che siano restituiti al cliente, secondo la regola equitativa della proporzionalità al tempo mancante alla scadenza ‘naturale’ del rapporto, tutti i costi relativi ad attività o servizi destinati a trovare realizzazione fino al pagamento dell’ultima rata di rimborso (c.dd. recurring), divenuti indebiti in conseguenza della prematura estinzione (di contro, resta ferma la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del finanziamento, integralmente esaurite prima dell’eventuale estinzione anticipata – c.dd. up front). Identica modalità di rimborso dovrà interessare tutte le voci di costo opacamente espresse (o del tutto non espresse) in contratto. La riduzione equitativa pro rata temporis della componente recurring dei costi accessori del prestito opererà sempre in via residuale, in assenza cioè di un alternativo criterio di calcolo espresso chiaramente in contratto da parte dell’intermediario o dall’assicuratore e specificamente accettato dal cliente (ex multis, v. Collegio ABF di Napoli, decisioni nn. 4920 e 4931 del 2015). Non v’è dubbio, nel caso di specie, che la commissione per l’intermediario finanziario e quella prevista in favore dell’agente contengono un coacervo di previsioni di spesa non agevolmente contenibile entro la fase preliminare-conclusiva del finanziamento: in entrambi i casi è fatto riferimento alla “gestione” e, per giurisprudenza ormai stabile di questo Collegio, ciò basta a provarne il carattere “anche recurring”. L’intermediario non disconosce la natura variegata di tali commissioni, tant’è che nella documentazione contrattuale inerente alle condizioni economiche imposte evidenzia che soltanto una porzione è soggetta a maturazione nel tempo. Tale evidenziazione, però, non appare al Collegio sufficiente per colmare il deficit di trasparenza riscontrato nella clausola descrittiva del contenuto della commissione (deficit, s’intende, rispetto agli obblighi posti in capo agli intermediari dalle Comunicazioni Banca d’Italia del 7 aprile 2011 e, prima ancora, del 10 novembre 2009). Manca, a giudizio del Collegio, l’esposizione di un criterio di calcolo della quota relativa alla componente recurring, oggettivamente comprensibile dal cliente e riscontrabile dal Giudice o dall’Arbitro: è indicata, apoditticamente, l’entità della quota non soggetta a maturazione; e ciò, come già rilevato in altre occasioni, non può ritenersi satisfattivo dell’obbligo, previsto dall’art. 125-sexies t.u.b., di provvedere a un’adeguata riduzione del costo totale del credito in favore del cliente in ipotesi di estinzione anticipata del rapporto. Non possono perciò reputarsi sufficienti i rimborsi di € 38,35 (“intermediario”) e di € 230,13 (“agente”), effettuati in sede di conteggi estintivi. Di essi tuttavia dovrà tenersi conto, per sottrazione, nel quantificare il dovuto che, applicando il criterio pro rata temporis, per l’intermediario è di € 516,77 [(925,20*72/120) – 38,35] e per l’agente è di € 880,10 [(1.850,40*72/120) – 230,13]. Neppure il rimborso a titolo di commissione a favore della banca “per incasso rate” (il cui carattere recurring non è contestato) appare sufficiente. Infatti, applicando il criterio riduttivo proporzionale alla durata residua (345,21*72/120), la quota non maturata è di 207,13 e non di € 204,56 (come riportato in conteggio estintivo). Dunque, a tale diverso titolo, residuano € 2,57. Fra le voci sicuramente recurring si annoverano, poi, anche quelle relative alla polizza assicurativa, il cui rimborso, contrariamente a quanto affermato dal resistente, ben può essere richiesto dal ricorrente in prima battuta all’intermediario-finanziatore (e non necessariamente alla compagnia assicuratrice). Sul punto, la giurisprudenza arbitrale non conosce oscillazioni e non si scorgono ragioni in questo caso per disattendere i precedenti (ex multis, v. Collegio ABF di Napoli, decisioni nn. 6165 e 7356 del 2014). A tal riguardo, si evidenzia che il legale del ricorrente, in sede di replica alle controdeduzioni, ha fornito conferma dell’avvenuta ricezione dell’assegno circolare per l’importo indicato da parte della compagnia assicurativa (€ 202,29), ma è rimata in piedi la domanda riguardante il rimborso equitativo pro rata temporis. Nel caso di specie, riferisce l’intermediario che la compagnia di assicurazione avrebbe calcolato il suddetto rimborso sulla base di una formula prevista nel contratto di assicurazione allegato (dall’intermediario stesso) agli atti e riportante la firma del cliente. In realtà, nel contratto allegato non è dato riscontrare alcuna formula inerente al rimborso del premio in caso di estinzione anticipata. È ivi previsto soltanto che, in caso di rimborso, si sarebbero seguite le indicazioni regolamentari contenute in un distinto fascicolo informativo circa le condizioni di assicurazione concretamente applicate. Ma di tale fascicolo informativo non v’è traccia agli atti e i suoi contenuti non sono è introducibili in questa sede attraverso una mera asserzione da parte della difesa dell’intermediario che, nel proprio scritto di costituzione e risposta, ne ha riportato uno stralcio. Dunque, sulla scorta delle prove documentali sottoposte all’attenzione del Collegio, non essendo stata prevista consensualmente alcuna formula di rimborso, si applica il criterio suppletivo della proporzionalità “secca” al tempo residuo: mancanti 72 rate di 120 alla scadenza ‘naturale’ del rapporto, al ricorrente spettano a titolo di oneri assicurativi non maturati € 131,91 [(557*72/120) – 202,29]. Documentato l’intervento di un legale per vincere le ingiustificate resistenze dell’intermediario, anche in ragione della oggettiva complessità della vicenda (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di MilanoColl. coord. ABF, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame6167 del 2014: «la complessità delle tematiche affrontate rendono non disputabile la opportunità, pare se non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante addirittura la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata necessità di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011assistenza tecnica legale»), da cui è conseguita la costituzione riconosciuto alla parte un ristoro equitativo delle spese per assistenza difensiva presuntivamente sostenute, nell’ammontare indicato in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.cdispositivo., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione controversia verte sulla responsabilità per l’esecuzione fraudolenta di una operazione di pagamento disconosciuta dalla parte ricorrente. Si tratta nello specifico di un bonifico istantaneo dell’importo di € 4.000,00, disposto tramite home banking in data 7.6.2019, e quindi antecedentemente al 14.9.2019, data di decorrenza dell’applicazione del Regolamento delegato (UE) n. 2018/389, in tema di autenticazione “forte”. Il ricorrente eccepisce che l’intermediario resistente ha attivato sul proprio home banking, diversamente da quanto inizialmente concordato, il servizio di “bonifico istantaneo”, modificando “la natura contrattuale che non prevedeva assolutamente uno strumento di pagamento istantaneo e irrevocabile” e rendendo possibile la truffa, nonostante il suo tempestivo intervento per oggetto l’assunta illegittimità bloccare la transazione, che non ha avuto esito a causa dell’irrevocabilità del pagamento. L’intermediario resistente evidenzia che il "bonifico istantaneo", che implica l’immediato accredito sul conto del beneficiario dell’importo della perdurante segnalazione in Centrale Rischi transazione ed è quindi irrevocabile, è una modalità di pagamento introdotta a far data dal 21.11.2017 mediante proposta di modifica unilaterale del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio contratto di conto corrente (di seguito anche PMUC) inviata alla clientela ai sensi dell’art. 1957 c.c126-sexies del D.Lgs. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 385/93 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -T.U.B.), in varie occasioni questo Arbitro - allegato all'estratto conto al 30.9.2017. Occorre quindi valutare preliminarmente quanto lamentato da parte ricorrente, poiché, ove la doglianza sia fondata, l’operazione disconosciuta va ritenuta non autorizzata, in linea con quanto effettuata senza il consenso del pagatore, che deve essere prestato nella forma e secondo la giurisprudenza civile ed il Collegio procedura concordata nel contratto quadro o nel contratto relativo a singole operazioni di Coordinamento pagamento (cfrart. decisione 5, commi 1 e 2, del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/201411 e successive modificazioni). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoNe deriva, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguitotal caso, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo responsabilità dell’intermediario per l’esecuzione di quest’ultimo, stante ordini di pagamento secondo modalità non previste dal contratto con il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, conseguente obbligo di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente rimborso dell’operazione non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersiautorizzata, ai sensi dell’art. 1957 c.c11 del D.Lgs. 11/2010 e successive modificazioni. Ai fini dell’esame della questione occorre far riferimento all’articolo 126-sexies del T.U.B., (Titolo VI, Capo II-bis “Servizi di pagamento”), rubricato “Modifica unilaterale delle condizioni”, nella versione in vigore all’epoca della proposta delle contestate modifiche contrattuali, che si colloca anteriormente al 13.1.2018, data di entrata in vigore del D.Lgs. 15 dicembre 2017, n. 218, e quindi delle modifiche recate dall’art. 1, comma 17, lettere c), d) ed e) di tale provvedimento all’art. 126-sexies del T.U.B., così come introdotto dall’art. 34, comma 1, del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. Giova toccare in linea preliminare l’eccezione di incompetenza temporale sollevata dall’intermediario. Secondo espressa previsione regolamentare, la competenza arbitrale è circoscritta ai ricorsi aventi ad oggetto operazioni o comportamenti successivi al 1° gennaio 2009. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità controversia sottoposta alla cognizione del Collegio riguarda la correttezza del conteggio estintivo svolto dalla Banca, in applicazione del metodo di calcolo previsto dall’art. 9 del contratto. Non già il mero accertamento di una nullità originaria del contratto dello stesso; bensì il corretto criterio di determinazione della perdurante segnalazione somma, dovuta a seguito dell’estinzione anticipata del rapporto. Nel merito, la controversia ruota introno all’art. 9 del contratto. Recita l’art. 9: “Ai fini del rimborso anticipato, il capitale restituito, nonché gli eventuali arretrati che fossero dovuti, verranno calcolati in Centrale Rischi Franchi Svizzeri in base al “tasso di cambio convenzionale”, e successivamente verranno convertiti in Euro in base alla quotazione del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo tasso di segnalazione in Centrale cambio ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione ▇▇▇▇▇▇▇▇-Euro rilevato sulla pagina FXBK del garantecircuito ▇▇▇▇▇▇ e pubblicato su “il sole 24 Ore” nel giorno dell’operazione di rimborso”. Sono così previste due operazioni: dapprima il calcolo del capitale residuo in Franchi Svizzeri sulla base del tasso convenzionale di cambio adottato al momento della stipula; successivamente tale cifra verrà convertita in Euro sulla base del tasso di cambio esistente al momento dell’estinzione, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione subendo il cliente la doppia alea della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artduplice conversione del capitale residuo. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed Su tale clausola si è analiticamente pronunciato il Collegio di Coordinamento (cfr. con decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (5866/2015; con un iter argomentativo affatto condivisibile. Il Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014coordinamento reputa che “l’art. 9 non esponga in maniera trasparente e inequivoca il meccanismo di calcolo applicabile in occasione dell’estinzione anticipata; tutto ciò in contrasto con la disciplina prevista dalla direttiva 93/13/CEE (recepita dall’ordinamento nazionale attraverso l’adozione del Codice del Consumo). Circa l’applicabilità Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la violazione del principio di trasparenza, di cui all’art. 4, paragrafo 2 della direttiva sopra citata, fa sì che la clausola di cui si tratta sia valutata come abusiva ai sensi dell’art. 1957 c.c. al caso in esame3, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale paragrafo 1 della stessa, laddove “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso malgrado il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c.requisito della buona fede, si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale determini un significativo squilibrio dei diritti e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento degli obblighi delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuateparti derivanti dal contratto”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova Il Collegio di Coordinamento rileva la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione nullità – rilevabile officiosamente – dell’art. 9 del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersicontratto, ai sensi dell’art. 1957 36 cod. cons. Sulla stessa linea anche la Corte Suprema, secondo cui la violazione della fondamentale regola della trasparenza determina nullità della clausola (Cass. Sez. III, 8 agosto 2011, n.17351). Dalla nullità discendono corollari di disciplina, segnalati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea «L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 – afferma la Corte - deve essere interpretato nel senso che, […] ove un contratto concluso tra un professionista e un consumatore non può sussistere dopo l’eliminazione di una clausola abusiva, tale disposizione non osta a una regola di diritto nazionale che permette al giudice nazionale di ovviare alla nullità della suddetta clausola sostituendo a quest’ultima una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva». Il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha chiarito che, tenuto anche conto della Giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, alla nullità di una clausola abusiva ai sensi dell’art. 36 cod. cons. consegue l’applicazione della norma di diritto dispositivo alla quale il predisponente aveva inteso derogare a proprio vantaggio (sentenza n. 3995 del 24 giugno 2014). Nel caso di specie, il già menzionato art. 125-sexies, 1° comma, T.U.B.. (corrispondente all’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE) così statuisce: «Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore». In armonia con la Corte di Giustizia si pone l’insegnamento della Suprema Corte, secondo cui (confronta ▇▇▇▇. Sez. I 10 settembre 2013, n. 20686) l’accertata nullità della clausola concernente le modalità del calcolo degli interessi non travolge il contratto, ma impone al giudice un nuovo calcolo degli stessi. Il caso va, dunque, deciso alla stregua dei principi sopra esposti. Posta la nullità della clausola e tenuto conto del principio nominalistico di cui all’art. 1277, 1° comma, c.c., estinta el’intermediario dovrà svolgere il conteggio dell’anticipata estinzione del finanziamento applicando i principi sopra enunciati. In particolare posto che il calcolo proposto dal ricorrente non risulta tecnicamente corretto, pertantoil capitale residuo che egli dovrà restituire sarà sarà pari alla differenza tra la somma mutuata e l’ammontare complessivo delle quote capitale già restituite, non più giustificata queste ultime calcolate secondo la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischiindicizzazione contrattuale al Franco Svizzero, senza praticare la duplice conversione prevista dalla clausola contrattuale nulla. Ogni altra domanda o eccezione rimane assorbita.
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Sources: Mutuo Ipotecario
DIRITTO. La questione ha A parere del Collegio appare necessario muovere dalle diverse eccezioni preliminari sollevate dagli intermediari convenuti. In primo luogo, giova metter conto all’eccezione di irricevibilità del ricorso per incompetenza ratione temporis, poiché entrambi i contratti sono stati stipulati prima del termine fissato come dies a quo per la determinazione della cognizione di questo Arbitro. L’eccezione è infondata e deve essere, quindi, rigettata. Sul punto, appare appena sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza dei tre Collegi, in virtù della quale si è stabilito che – laddove la controversia abbia ad oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi un rapporto negoziale sorto anteriormente al 1° gennaio 2009, ma ancora produttivo di effetti successivamente a tale data – occorre avere riguardo al petitum onde verificare se esso si fonda su vizi genetici di detto rapporto (dando luogo all’incompetenza temporale), oppure su una divergenza tra le parti che riguarda effetti del nominativo del ricorrentenegozio giuridico prodottisi dopo il 1° gennaio 2009 (sussistendo allora la competenza dell’ABF)” (cfr. ex multis, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artCollegio di Napoli, dec. 1957 c.cn. 3155/2012). Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ ▇, non pare dubbio che la domanda avanzata dal ricorrente sia cessato per estinzione dell’obbligazione relativa al rimborso della quota non maturata degli oneri economici connessi a due contratti i quali, pur essendo stati stipulati prima del garantemese di gennaio 2009, come affermato dal si sono estinti entrambi in epoca successiva; è, quindi, proprio l’estinzione anticipata del finanziamento a costituire il fondamento della domanda del ricorrente, onon potendo assumere alcun rilievo – ai fini della cognizione di questo Arbitro – il momento in cui i due negozi siano stati stipulati. Parimenti, viceversadeve essere ritenuta infondata, permangae quindi deve essere rigettata, come sostenuto dalla parte resistente l’eccezione di carenza di legittimazione passiva in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artordine alla richiesta di restituzione del premio assicurativo. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali Anche sul punto il consolidato ed uniforme orientamento di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare questo Arbitro ha più volte ribadito che, in relazione contrariamente alla Circolare ricostruzione dell’intermediario, la disposizione contenuta nell’art. 22 della Banca d’Italia legge n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap221/2012 – effettivamente conforme al dato testuale riveniente nell’art. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con 49 del regolamento Isvap n. 35/2010 – abbia inteso sancire a livello normativo la giurisprudenza civile ed il Collegio sussistenza di Coordinamento un evidente collegamento negoziale ogni qualvolta l’adesione ad una polizza assicurativa sia associata alla sottoscrizione di un contratto di finanziamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti Collegio di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioNapoli, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazionedec. nn. 873, precisando come “l’obbligo dell’intermediario 796, 298, 140, 46/2013; 2613, 2612, 2610, 2439, 2280, 1720, 746/2012; 1073, 359, 2466/2011; Collegio di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Roma, dec. nn. 1138/2013; 1979, 491/2012; Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014dec. nn. 980, 480, 432/2013; 2730, 2055, 776, 195/2012). Circa l’applicabilità dell’artTale associazione, invero, pur operata mediante la stipulazione di due contratti distinti sotto il profilo formale, realizza un’operazione economico-giuridica che può essere apprezzata esclusivamente in modo unitario: la comune intenzione delle parti, infatti, fa in modo che il contratto di assicurazione, infatti, devii dalla propria causa tipica per essere destinato a coprire il rischio da eventi che impediscano l’integrale restituzione dell’importo finanziato. 1957 c.c. al caso Pertanto, sia dal punto di vista soggettivo sia dal punto di vista oggettivo, viene in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) essere un collegamento negoziale che rende le vicende del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione principale, qual è quello di ogni suo credito verso al consumo, rilevanti anche per quello accessorio, qual è il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica contratto assicurativo (cfr. Cass., 16 febbraio 2007, n. 3645; Cass., 10 luglio 2008, n. 18884). Nel caso di specie, l’anticipata estinzione di entrambi i finanziamenti determina il venir meno del rischio (oggetto della polizza) della mancata restituzione integrale dell’importo finanziato; ne consegue che la quota del premio corrisposto per intero al momento della stipula del prestito, corrispondente alla parte relativa alla vita residua degli stessi, determini un trasferimento patrimoniale privo della necessaria giustificazione causale, con conseguente obbligo di restituzione in favore del sovvenuto. In virtù del richiamato collegamento negoziale, l’obbligo restitutorio può ben essere posto in capo al soggetto finanziatore, posto che questi ha collocato anche il prodotto assicurativo vedendosi corrisposto il versamento del relativo premio; nei rapporti con il soggetto finanziato, dunque, non assume rilievo la circostanza che tale somma sia in effetti meramente custodita dal finanziatore, che è tenuto a versarla alla compagnia di assicurazione. Né tale ricostruzione può evincersi dalla lettura delle norme citate dal resistente; la legge n. 221/2010, infatti, così come il regolamento Isvap n. 35/2010, non sono norme volte ad identificare il soggetto legittimato alla restituzione, ma al contrario sono disposizioni che mirano essenzialmente a stabilire l’obbligo restitutorio in favore del sovvenuto proprio in ragione del descritto collegamento negoziale: obbligo che, per le ridette ragioni, può essere posto anche in carico all’intermediario collocatore della polizza. Da ultimo, il Collegio rileva l’inconferenza del richiamo effettuati dal resistente ad un proprio precedente, assunto in relazione a diversa fattispecie, non assimilabile a quella in esame, poiché relativa alla copertura assicurativa garantita da un ente previdenziale pubblico, così determinandosi l’applicabilità dell’art. 38 d.p.r. n. 16836/2015180/1950. Nel merito, con riguardo ai ricorsi aventi ad oggetto il contratto di cessione del quinto, uno dei due convenuti ha sollevato un’ulteriore eccezione di carenza di legittimazione passiva, poiché questi non ha svolto alcun ruolo ella vicenda negoziale che occupa. Dall’esame della documentazione versata in atti, il Collegio rileva che l’eccezione merita accoglimento, posto che tale intermediario non risulta essere stato parte (né in senso formale, né in senso sostanziale) del contratto de quo, con la conseguenza che sia privo della legittimazione a resistere in ordine alle domande spiegate dal ricorrente. Esse, invero, sono relative al riconoscimento del proprio diritto all’equa riduzione del costo di due finanziamenti e del conseguente rimborso degli oneri commissionali per la quota non maturata a seguito dell’estinzione anticipata degli stessi. In molteplici occasioni questo Collegio è stato chiamato a decidere in ordine all’effettiva restituzione delle quote non maturate delle voci di costo imposte al sovvenuto in occasione della stipula di un contratto di finanziamento mediante cessione di quote della propria retribuzione mensile; nel determinare la sussistenza del relativo diritto, fondato sul principio di equa riduzione del costo del finanziamento (ex art. 125-sexies t.u.b.), la giurisprudenza uniforme dell’ABF – anche anticipando in parte le determinazioni assunte nel 2009 e nel 2011 dalla Banca d’Italia – ha inteso stabilire il rimborso delle quote soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di contro, ha confermato la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (cc.dd. up front). Alla luce del richiamato principio, la stessa Autorità di vigilanza – con le richiamate istruzioni – ha inteso porre grande rilievo sulle modalità di redazione dei testi contrattuali, nella parte destinata alla descrizione della natura delle attività remunerate dai soggetti finanziati, mediante la corresponsione delle relative commissioni: “nell’ipotesi ciò non solo al fine di rendere edotti i consumatori dei costi effettivi connessi alle operazioni di prestito, ma anche al fine di rendere più agevole l’identificazione e la successiva quantificazione delle quote retrocedibili in cui la durata caso di estinzione anticipata. Si tratta, in altri termini, di un’esplicazione dei generali principi di tutela del consumatore, volti alla trasparenza delle condizioni del contratto, desumibili dalle norme generali: le indicazioni della Banca d’Italia, rivolte agli operatori del settore della cessione del quinto, sono dunque meramente esplicative di una fideiussione sia correlata disciplina già riveniente dall’ordinamento. Ciò rilevato in premessa, dall’esame della documentazione versata in atti relativamente alla delegazione di pagamento emerge che – effettivamente come rilevato dall’intermediario mandante – il contratto non prevede la corresponsione da parte del mutuatario di alcuna somma a titolo di commissioni bancarie, bensì solo di quelle di intermediazione, le quali sono state destinate a remunerare attività che non possono essere tutte collocate esclusivamente nella fase prodromica alla scadenza La citata disposizione impone al creditoreconcessione del finanziamento, il qualené a quella esecutiva del rapporto negoziale (1. l’attività istruttoria del prestito, dopo la scadenza dell’obbligazione principalecomprensiva dell’acquisizione della documentazione necessaria, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione notificazione del contratto di finanziamento mutuo agli enti interessati e di rimessa del netto ricavo al cliente; 2. la definizione dei relativi rapporti contabili; 3. l’eventuale estinzione dei precedenti prestiti contratti dal mutuatario; 4. la prestazione della garanzia “non riscosso per riscosso” (avvenuta se ed in data 23.06.2011quanto dovuta); 5. la gestione delle rate di rimborso in scadenza; 6. le perdite relative alla differenza di valuta tra erogazione iniziale e decorrenza dell’ammortamento; 7. ogni altra attività svolta dall’Agente, dal Mediatore incaricato e/o da cui è conseguita la costituzione in mora ogni altro soggetto abilitato all’offerta fuori sede”, cfr. lett. a2 del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguitocontratto). L’opaca formulazione della norma, la segnalazione quale non consente né di identificare la quota riservata alla copertura di attività recurring, né quella destinata a corrispondere le provvigioni all’agente/mediatore effettivamente intervenuto nel collocamento di entrambi i prestiti, determina il riconoscimento del diritto del ricorrente ad ottenere la restituzione della quota non maturata di tali commissioni, in misura proporzionale alla vita residua del finanziamento anticipatamente estinto; al riguardo non sfugge al Collegio che l’intermediario mandatario abbia già abbuonato in favore del ricorrente la somma di euro 126,40 come risulta dal relativo conteggio estintivo, ove compare la voce “deduzione commissioni soggette a sofferenza” maturazione nel tempo”. Al riguardo, sempre l’intermediario mandatario ha dedotto che tale importo sia stato determinato in applicazione delle norme vigenti al momento della stipulazione del nominativo contratto, nonché in ragione della policy aziendale di quest’ultimorimborso: in merito all’adeguatezza dei criteri di calcolo adottati dall’intermediario, stante il perdurare Collegio deve richiamare i propri precedenti arresti con i quali ha precisato che in assenza di un parametro stabilito dalle norme primarie e secondarie, il criterio di calcolo per la quantificazione della sua insolvenza equa riduzione del costo del finanziamento deve essere rimessa alla volontà delle parti, che può essere espressa nel contratto ovvero può essere desunta ex post in base a metodi di calcolo (pur espressi dal solo finanziatore) che siano oggettivamente valutabili e coerenti con l’operazione economica posta in essere tra le parti. Da ciò può desumersi che, come da comunicazione del 09.09.2011più volte affermato dal costante orientamento di questo Arbitro, la quantificazione effettuata in applicazione di un criterio proporzionale puro, che tenga conto soltanto delle rate di ammortamento non ancora scadute, possa essere applicato in via suppletiva e sussidiaria, allorché difetti una diversa e specifica quantificazione (cfr. ex multis dec. nn. 2475/2011, 4435, 3053/2012; 1805/2013). I calcoli effettuati dall’intermediario convenuto, per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e setuttavia, appaiono apodittici ed incoerenti con l’operazione economica posta in essere tra le parti ed in quanto tali censurabili, con la conseguenza che l’importo abbuonato nel conteggio di anticipata estinzione possa essere considerato quale acconto sulla quota non maturata delle commissioni di intermediazione, proporzionalmente quantificate in euro 2.292,23. Va, quindi, riconosciuto, il diritto del ricorrente ad ottenere la restituzione della somma di euro 2.165,83. Per le ragioni dinanzi esposte, va altresì riconosciuto il diritto del ricorrente ad ottenere la restituzione dell’ulteriore importo di euro 1.275,16 a titolo di quota parte del premio assicurativo non maturato in seguito all’estinzione anticipata del finanziamento. Con riferimento al contratto di cessione del quinto, dall’esame della documentazione versata in atti dalle parti, emerge che le commissioni finanziarie siano state corrisposte a copertura di attività sostanzialmente up front, in quanto riferibili alla fase preliminare alla concessione del prestito (quali: l’esame della documentazione, gli oneri per la conversione o per la convertibilità, da variabile in fisso, del saggio degli interessi o per la copertura del relativo rischio per tutta la durata dell’operazione, gli oneri per le operazioni di acquisizione della provvista, la elaborazione dei dati in funzione della legge 197/91, le perdite per l’eventuale ritardo d’adeguamento dei tassi o della commissione nel periodo di preavviso delle mutate condizioni di mercato etc., cfr. lett. a1 del contratto). Quanto alle commissioni di intermediazione, invece, valgono le medesime considerazioni spiegate in relazione al primo contratto, dovendosi così riconoscere il diritto del ricorrente alla restituzione della quota non maturata delle stesse, proporzionalmente quantificata in ragione della vita residua del finanziamento. Pertanto, va riconosciuto il diritto del ricorrente ad ottenere la restituzione dell’importo di euro 2.035,74. Inoltre, essendo stata rigettata l’eccezione formulata dall’intermediario resistente, deve altresì essere riconosciuto il diritto alla restituzione di quota parte del premio assicurativo, per un ulteriore importo di euro 700,14. In relazione al contratto di delegazione di pagamento al datore di lavoro, l’obbligo restitutorio può essere solidalmente posto in capo ad entrambi gli intermediari convenuti: il ricorrente, infatti, ha inteso estendere il contraddittorio tanto nei confronti dell’intermediario mandatario, quanto nei confronti dell’intermediario mandate della medesima operazione economica e contrattuale. Quanto al primo, sembra evidente che il ricorrente sia ancora obbligato oppure no abbia comunque individuato nell’intermediario collocatore la propria controparte in ragione di un principio di apparenza; quanto al pagamento delle somme dovute (secondo, invece, l’individuazione del mandante appare del tutto coerente con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione principi codicistici del suo nominativo in Centrale Rischicontratto di mandato. ▇▇▇▇▇▇, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La è incontestabile la circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro contratto di finanziamento in questione sia stato concluso per il debitore principaletramite di un’articolata rete distributiva, costituita da un intermediario, incaricato del collocamento del prodotto per recuperare conto dell’intermediario mandante; pertanto, seppure deve riconoscersi che il creditocontratto di mandato comporti l’assunzione del rischio economico in capo al mandatario, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare il quale ha posto in essere determinati atti per conto del mandante incassandone i relativi compensi commissionali, resta comunque fermo che la posizione titolarità del garante resti sospesa sine die credito permane esclusivamente in capo all’erogante (cosìcfr. ex multis, Collegio di Napoli dec. n. 2280/2012). Parallelamente, tuttavia, alla luce dell’apparentia juris ed in ragione di una considerazione unitaria dell’assetto degli interessi coinvolti, può essere imposto l’obbligo restitutorio anche in capo alla società mandataria, collocatrice del finanziamento ed interlocutrice naturale nella gestione del rapporto (cfr. Collegio di Napoli, dec. n. 2441/2012). Il Collegio dispone che sulle somme così riconosciute vadano computati gli interessi al tasso legale a far data dal reclamo; inoltre dispone la rifusione delle spese di assistenza difensiva, da ultimointendersi quale componente del più complessivo ristoro riconosciuto in favore del ricorrente, Cassequitativamente determinate in euro 200,00. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.P.Q.M.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità Commissione in via preliminare prende atto della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artdichiarazione della amministrazione resistente relativa alla inesistenza di documentazione ulteriore rispetto alla Delibera con la quale si è concluso il procedimento di secondo grado - conseguente all’appello presentato dalla dottoressa ….. – precisando pertanto che la presente pronuncia afferisce solamente al menzionato provvedimento conclusivo dell’appello. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale Con riferimento a tale ▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garantela Commissione ritiene il ricorso fondato e quindi meritevole di essere accolto vantando il ricorrente un interesse qualificato all’accesso richiesto, come affermato con ciò confermando l’orientamento già espresso nella pronuncia relativa al primo ricorso presentato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’artsig. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali Secondo l’indirizzo costante di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - questa Commissione in linea con la nota giurisprudenza civile ed il Collegio amministrativa – menzionata anche dalla amministrazione in sede di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) memoria - ha evidenziato non solo i requisiti “la qualità di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediarioautore di un esposto, ma anche i presupposti che ne legittimano abbia dato luogo a procedimento disciplinare, è circostanza idonea unitamente ad altri elementi, a radicare nell’autore la cancellazionetitolarità di una situazione giuridicamente rilevante, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione così da costituire titolo idoneo ad accedere agli atti del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’procedimento” (Collegio di Milanoper tutte CdS Sez, decisione n. 8288/2014VI 316/2013). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. Nel caso di specie sarebbero sussistenti anche gli ulteriori elementi legittimanti quali la notifica al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità richiedente dell’avvenuta chiusura del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante procedimento d’appello nonchè la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che i fatti sottesi ai procedimenti disciplinari tenutisi attenevano a vicende relative alla famiglia del sig. ….. Deve, poi, considerarsi priva di pregio la deduzione della amministrazione della impossibilità per il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro sig. ….. di impugnare la Delibera richiesta posto che il debitore principale, fondamento del diritto di accesso ex lege 241/’90 non risiede nella sola finalità di impugnativa dei provvedimenti oggetto di istanza. L’amministrazione dovrà pertanto consentire accesso alla Delibera conclusiva del procedimento di secondo grado tenutosi innanzi al ….. La Commissione per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, l’accesso ai documenti amministrativi esaminato il ricorso lo accoglie con riferimento alla Delibera conclusiva del procedimento di secondo grado tenutosi innanzi al ….. e per l’effetto invita l’amministrazione resistente a mezzi processuali riesaminare l’istanza di tutela del diritto accesso nei sensi di cui in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cmotivazione., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. I ricorrenti portano all’attenzione di questo Collegio diverse censure relative al contratto di finanziamento personale che, dunque, devono essere oggetto di trattazione distinta. Anzitutto, i ricorrenti si dolgono della nullità del contratto per difetto di forma scritta, giacché alla proposta non avrebbe fatto seguito una formale accettazione debitamente sottoscritta dalla banca. Diversamente, la banca si sarebbe limitata al mero invio di un’accettazione priva di qualsivoglia sottoscrizione autografa, determinando in siffatto modo la nullità del contratto per mancanza di forma scritta. La questione ha doglianza è infondata per oggetto l’assunta illegittimità almeno due ordini di ragioni. Sotto un primo profilo, il difetto della perdurante segnalazione sottoscrizione della banca è del tutto irrilevante, atteso che, in Centrale Rischi ogni caso, il contratto contestato è stato definitivamente eseguito dalle parti. Ed infatti, anche a voler in ipotesi considerare non ritualmente firmato il contratto da parte della banca, l’intento di quest’ultima di avvalersi del nominativo contratto medesimo è pacificamente integrato tanto dalla incontroversa esecuzione del ricorrenterapporto, stante l’asserito venir meno giacché il finanziamento è stato erogato alle medesime condizioni rappresentate nella proposta sottoscritta dai ricorrenti, quanto dalla comunicazione degli estratti conto allegati da parte resistente. E ciò, vale a sopperire al difetto di sottoscrizione da parte della banca in quanto costituente forma scritta equipollente da cui può agevolmente evincersi la manifestazione di volontà della banca di avvalersi del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.ccontratto con conseguente perfezionamento dello stesso. Per accertare se altro verso, poi, i recenti approfondimenti svolti dalla giurisprudenza del giudice ordinario hanno consentito di ritenere che la predisposizione della proposta da parte della banca nonché la consegna di copia del contratto ai clienti rendono non necessaria un’ulteriore sottoscrizione da parte della banca, atteso che “… la volontà negoziale è già espressa nel documento dalla medesima predisposto e che la mera carenza formale di firma non potrebbe in ogni caso legittimare la banca né ad impugnare il contratto né sottrarsi alle regole in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale esso sancite” (Cass. civ., n. 22223/2006; Trib. Reggio ▇▇▇▇▇▇ ▇, 28/04/2015). Da ultimo, giova rilevare che la doglianza è infondata finanche in considerazione del tempo intercorso tra la stipula del contratto e l’azione proposta (si tratta, infatti, di un lasso di tempo tutt’altro che breve, pari a 5 anni), durante il quale i ricorrenti hanno goduto del credito erogato. Peraltro, vale la pena sottolineare che laddove questo Arbitro ha ritenuto di dover rilevare la nullità del contratto di finanziamento per difetto di forma scritta, ha rinvenuto una difformità tra le condizioni economiche dell’operazione rappresentate nella proposta e quelle indicate nell’accettazione, ipotesi che, diversamente da quanto finora prospettato, non è riscontrabile nel caso di specie. Con riferimento, poi, alla nullità del contratto per illeggibilità ed incomprensibilità del documento contrattuale, deve osservarsi che, sebbene vi sia cessato evidenza di un vizio di chiarezza e trasparenza, tuttavia, le condizioni economiche del rapporto sono riportate con i medesimi contenuti nel documento di accettazione ove appaiono ben comprensibili ed evidenti. Riprova ne sia il fatto che parte ricorrente ha comunque potuto sollevare censure quali l’anatocismo del rapporto, piuttosto che l’usurarietà dei tassi di mora - di cui appresso si dirà - dando atto dell’avvenuta comprensione dei termini economici del contratto. Ne deriva, dunque, che le doglianze relative alla nullità del contratto non possono trovare accoglimento. Del tutto pretestuosa è, poi, la censura avente ad oggetto la violazione dell’art. 125-bis TUB, argomentata sulla base dell’avvenuta sottoscrizione di più contratti con il medesimo modulo. Ed infatti, in siffatta ipotesi, la tesi sostenuta dai ricorrenti si pone in evidente contrasto con la littera legis, atteso che lo stesso disposto di cui all’art. 125-bis statuisce che “… in caso di offerta contestuale di più contratti da concludere per estinzione dell’obbligazione iscritto, diversi da quelli collegati ai sensi dell’art. 121, comma 1, lett. d), il consenso del garanteconsumatore va acquisito distintamente per ciascun contratto attraverso documenti separati”. Ebbene, nell’ipotesi in esame, deve osservarsi che il contestato prestito personale ed il contratto di assicurazione stipulato contestualmente al primo rappresentino un’ipotesi di “contratti collegati” ex art, 121, comma 1, lett. d), TUB e corrispondono ad una prassi bancaria del tutto lecita a patto che oltre la polizza assicurativa commercializzata si sottoponga al cliente l’alternativa di optare per diverse polizze a copertura del rischio del credito. Ed è anche in tale ultimo senso che la pretesa sussistenza di un conflitto di interessi tra l’intermediario e la compagnia assicurativa sollevata dai ricorrenti appare destituita di qualsivoglia fondamento, viepiù considerato che la stessa documentazione contrattuale prevede espressamente l’obbligo per l’intermediario di pubblicizzare in esclusiva la stipula delle polizze con quella determinata compagnia assicurativa. Residua, pertanto, l’esame della doglianza relativa all’asserito anatocismo praticato dalla banca, laddove la medesima ha computato gli interessi di mora sull’ammontare delle intere rate scadute e non pagate, comprensive dunque di quota capitale ed interessi corrispettivi. A tale ultimo riguardo, corre l’obbligo di analizzare il rapporto tra anatocismo ed interessi calcolati sulle somme capitalizzate, con riferimento alla disciplina dell’usura bancaria. In realtà, la questione concernente la capitalizzazione degli interessi di mora sulle intere rate scadute ha trovato, nel tempo, diverse risposte. Ed infatti, il discrimen temporale che viene in rilievo nella fattispecie in esame è rappresentato dalla delibera CIRC del 9 febbraio del 2000 (emessa in attuazione dell’art. 120 TUB) che ha legittimato la capitalizzazione degli interessi a determinate condizioni ai sensi dell’art. 3, a mente del quale “… nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ogni rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza fino al momento del pagamento”. Sicché, a fronte di un contratto stipulato post 2000 – come nel caso di specie - che prevede che il tasso moratorio si applichi sull’intera rata scaduta, non è possibile sostenere in senso contrario che il capitale a cui rapportare gli interessi di mora sia quello originario, decurtando, quindi, la rata degli interessi corrispettivi. E ciò in quanto, la capitalizzazione degli interessi di mora, ove contrattualmente prevista, è del tutto legittima e vale, dunque, ad escludere l’integrazione dell’anatocismo. Peraltro, come affermato dal ricorrentea più riprese rilevato dai diversi Collegi ABF e, oda ultimo, viceversafinanche dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Arezzo, permanga23/01/2014), come sostenuto dalla parte resistente la prassi testé descritta integra, in considerazione della non risolta posizione debitoriaogni caso, occorre rifarsi sia un tecnica bancaria del tutto lecita e consolidata che vale, di per sé, ad escludere il divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c. Ad abundantiam, si osserva che diversamente sarebbe a dirsi con riferimento ai contratti di mutuo stipulati successivamente al 1 gennaio 2014, ove la L. n. 147/2013, nel modificare il disposto di cui all’art. 1957 c.c.120 TUB, richiamato dall’una e dall’altra parte ha inciso sull’anatocismo bancario, statuendo che il CICR è tenuto a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare prevedere che “… gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sola sorte capitale”. Sebbene la predetta previsione non si distingua per brillante chiarezza, tuttavia, sembra chiara la volontà del legislatore di ritenere la previsione contrattuale di anatocismo illegittima, con l’ovvia conseguenza che la clausola del contratto di mutuo che computi gli interessi di mora sull’intera rata è da ritenersi senz’altro nulla. Sempre con riferimento agli interessi di mora, ma sotto altro profilo, parte ricorrente deduce l’usurarietà del tasso applicato al rapporto poiché stabilito in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Capmisura superiore al tasso soglia del periodo di riferimento. II - Classificazione dei rischi -La censura è priva di qualsivoglia pregio, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed atteso che il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato definitivamente chiarito che gli interessi di mora non solo i requisiti di legittimità rilevano ai fini della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente valutazione in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette superamento del tasso soglia ma solo allorquando stabiliti in misura manifestamente sproporzionata rispetto a recuperare il credito, parte resistente quella degli interessi corrispettivi; manifesta sproporzione che non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla è rinvenibile nel caso di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cspecie., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. Con riguardo alla questione pregiudiziale di irricevibilità del ricorso sollevata dall’Intermediario B, per avvenuta sottoposizione dei fatti all’autorità giudiziaria, deve anzitutto richiamarsi quanto previsto dalla Sez. I, par. 4, delle disposizioni della Banca d’Italia sul funzionamento di questo Arbitro e cioè che “non possono essere inoltre proposti ricorsi inerenti a controversie già sottoposte all’autorità giudiziaria”. Secondo l’interpretazione di tale disposizione resa dal Collegio di Coordinamento di questo Arbitro, “La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità soluzione che appare più conforme alla lettera e allo spirito delle disposizioni della perdurante segnalazione Banca d’Italia è […] quella di escludere l’ammissibilità del ricorso all’ABF in Centrale Rischi del nominativo del ricorrentetutti i casi in cui la controversia sia stata già sottoposta alla cognizione dell’autorità giudiziaria penale, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artsenza che abbia rilievo se sia avvenuta o possa avvenire la costituzione di parte civile, e anche se tra le due controversie sussiste una connessione impropria, cioè una comunanza parziale e non una identità delle domande, come insegna la costante giurisprudenza di legittimità” (dec. 1957 c.cn. 3961/2012). Per accertare se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale Lo stesso ▇▇▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione di ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ha ritenuto altresì che va “escluso il ricorrere del garantelimite nel caso in cui l’anteriore proposizione dell’azione innanzi all’autorità giudiziaria, come affermato pur risultando correlata alla vicenda sottoposta all’Arbitro, non coinvolgeva l’intermediario convenuto (bensì un terzo soggetto) e aveva ad Nel caso di specie la denuncia – querela presentata dal ricorrentericorrente riguarda il comportamento illecito di ignoti, overosimilmente terzi estranei al ricorso, viceversache hanno proceduto alla contraffazione del titolo, permangaessendo pacifico che l’assegno circolare è stato clonato, come sostenuto dalla dal momento che il ricorrente ha prodotto il titolo originale all’atto della denuncia – querela. Nella controversia deferita a questo Arbitro, invece, il ricorrente fa valere i diritti derivanti dal comportamento delle banche (emittente e negoziatrice) in quanto non conforme alla diligenza professionale dovuta e chiede il risarcimento del danno conseguentemente subìto. Diversi sono quindi i soggetti verso i quali le due distinte iniziative si rivolgono, e differenti sono anche petitum e causa petendi (circostanza ritenuta rilevante ai fini di escludere la litispendenza anche da Coll. Milano, decisioni nn. 1666/2015 e 1048/2017). Del resto, quand’anche si ritenesse la denuncia – querela di tenore così ampio da non consentire di escludere che gli accertamenti conseguenti possano avere ad oggetto anche comportamenti di soggetti facenti parte resistente dell’organizzazione delle banche convenute, va comunque considerato che qualora il terzo, che ha posto in considerazione della non risolta posizione debitoriaessere la contraffazione, occorre rifarsi sia all’artrisultasse essere dipendente di una delle banche, questi risponderebbe delle restituzioni e del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1957 c.c185 c.p., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione mentre la banca preponente risponderebbe comunque del fatto dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità propri dipendenti ai sensi dell’art. 1957 2049 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitarenei confronti della ricorrente (secondo l’insegnamento del giudice di legittimità: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, 12023/1995; Cass. n. 1724/201612951/1992). In tale otticaNel caso, l’osservanza il procedimento avanti l’autorità giudiziaria, quand’anche potesse ritenersi allo stato propriamente ad essa “sottoposta” la controversia in conseguenza della mera denuncia – querela (e di ciò può peraltro dubitarsi alla luce nella decisione del suddetto onere esigeCollegio di Coordinamento n. 5265/2014), non sembra comunque interferire con quello avanti questo Collegio, visto che i due procedimenti si rivolgono a soggetti, condotte e titoli diversi. Ne consegue il rigetto dell’eccezione preliminare formulata dall’Intermediario B (in termini, Coll. Milano, decisione n. 1975/2011; Coll. Milano, decisione n. 1666/2015; Coll. Roma, decisione n. 6540/16; Coll. Napoli, decisione n. 4827/2017). Passando al merito della controversia, è necessario rilevare che nel caso di specie non trova applicazione l’art. 43 l. ass., che prevede la responsabilità aggravata della banca che paga un assegno “non trasferibile” a persona diversa dal prenditore, posto che in effetti la ricorrente non è beneficiaria del titolo né agisce in base al rapporto cartolare. Infatti la ricorrente rappresenta che l’assegno pagato sia in realtà un clone di quello originale, essendo quest’ultimo rimasto in suo possesso e poi presentato per l’annullamento alla stessa banca emittente in data successiva alla negoziazione del clone. La vicenda in esame deve ritenersi quindi regolata dai principi generali applicabili all’ipotesi di pagamento di assegno falsificato, secondo cui la banca è responsabile qualora l’alterazione o la clonazione poteva dalla stessa essere rilevata, attraverso l’esame del titolo con la diligenza dell’accorto banchiere (Cass. n. 6513/2014; Cass. n. 15145/2014; Cass., n. 20292/2011; Cass. n. 13777/2007; Cass. n. 3729/2004. ▇▇▇▇▇ stesso senso le decisioni dell’ABF: fra le altre Coll. Napoli, decisione n. 4842/16; Coll. Roma, decisioni nn. 4108/2013 e 261/2010). Nella specie l’Intermediario A dichiara di non aver effettuato alcun controllo sull’assegno clonato, poiché quest’ultimo è stato presentato all’incasso presso l’Intermediario B attraverso la procedura interbancaria di “Check truncation”, che, come già accennato e per quanto qui interessa, consente, sulla base di una adesione volontaria ad un accordo interbancario, alla banca negoziatrice di assegni circolari di chiederne il costante orientamento pagamento alla banca emittente, mediante invio di un messaggio elettronico concernente le informazioni necessarie per la sua estinzione, con la conseguenza che il titolo non viene trasmesso nella sua materialità dalla stessa banca negoziatrice alla banca emittente. L’Intermediario A non ha neppure eccepito vizi concernenti le informazioni telematiche ricevute dall’Intermediario B. In proposito l’orientamento dell’ABF è nel senso che la procedura di “Check truncation” è funzionale alla riduzione dei costi di negoziazione nell’esclusivo interesse delle banche partecipanti all’accordo, al quale resta completamente estraneo il cliente che chiede l’emissione dell’assegno, sicché non può ritenersi che i rischi derivanti dall’utilizzo di tale procedura debbano ricadere sul cliente medesimo (vedi tra molti Coll. Milano, decisioni nn. 394/2013, 2989/2015 e 8092/2016; Coll. Napoli, decisione n. 10110/2016). Ma in una ipotesi come quella in esame, in cui il beneficiario indicato nell’assegno circolare clonato è diverso da quello risultante nel titolo originale, indipendentemente dall’esame materiale del titolo, l’Intermediario A avrebbe potuto rilevare, anche nell’ambito della Cassazioneprocedura “Check truncation”, tale difformità. Infatti il regolamento della Banca d’Italia 22 marzo 2016 sulla presentazione in forma elettronica degli assegni bancari e circolari (emanato ex art. 8, comma 7, d.l. n. 70/2011, convertito nella l. n. 106/2011, ed entrato in vigore 15 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 30/4/2016) all’art. 8, lett. f), prevede che, tra i dati che il negoziatore deve trasmettere all’emittente in via telematica, per gli assegni circolari vi sia anche il “nome del beneficiario”. Ne consegue che l’Intermediario A, pur in presenza dell’identità degli altri dati identificativi riportati sull’assegno clonato rispetto all’originale, avrebbe ben potuto rilevare che il beneficiario indicato nel titolo presentato all’incasso era diverso da quello indicato nel titolo a suo tempo emesso, avendo ricevuto in via telematica la relativa informazione. Ciò vale tanto più in quanto lo stesso regolamento all’art. 7, comma 6, prescrive che “Gli intermediari adottano ogni necessario presidio organizzativo procedurale atto a garantire che l’assegno sia presentato al pagamento una sola volta”. Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono risulta a fortiori confermato l’orientamento dell’ABF secondo cui la circostanza che la banca accetti di pagare il titolo “al buio” equivale a ometterne volontariamente la sua verifica materiale, con ogni connessa conseguenza in caso di titoli che presentino irregolarità cartolari che solo l’esame materiale del documento consentirebbe di verificare (Coll. Napoli, decisione n. 8092/2016; Coll. Milano, decisione n. 2989/2015). Tanto sembra sufficiente per riconoscere la responsabilità dell’Intermediario A. Per quanto riguarda la posizione dell’Intermediario B, che ha negoziato l’assegno, il ricorso a mezzi processuali riconoscimento della sua responsabilità passa per la verifica della sussistenza di tutela del diritto in via cognitoria una riscontrabilità della falsificazione attraverso “l’attento esame diretto, visivo o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento tattile dell’assegno da parte dell’intermediario delle attività dirette dell’impiegato addetto” (secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità: Cass. n. 6513/2014). Da questo punto di vista il Collegio non rileva nel titolo clonato la sussistenza di vizi del genere, con la precisazione che esso può svolgere un confronto solo sommario avendo a recuperare il creditodisposizione, parte resistente per essere depositate in atti, solo copie dei due titoli, originale e clone. I limiti dei poteri istruttori dell’ABF non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale consentono infatti di compiere un esame più approfondito del clone dell’assegno per verificare la sussistenza di tutti gli standard prescritti dall’accordo interbancario a presidio dell’autenticità degli assegni circolari (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (comequali, ad es., l’apertura la carta filigranata o gli inchiostri ed i colori), il quale solo potrebbe consentire di individuare un concorso dell’Intermediario B nella causazione del danno alla ricorrente. Allo stato della procedura cognizione del Collegio tale concorso non risulta sussistente. Dunque, acquisita la responsabilità dell’Intermediario A – restando peraltro impregiudicato ogni diritto che l’Intermediario A possa astrattamente vantare nei confronti dell’Intermediario B – consegue l’obbligo dello stesso Intermediario A di concordato preventivo risarcire il danno causato alla ricorrente, per il quale quest’ultima ha formulato domanda in misura pari al valore del debitore: cosìtitolo maggiorato degli interessi. Con riguardo alla ulteriore domanda di risarcimento del danno per i disagi patiti, da liquidarsi in via equitativa, si rileva che la ricorrente non fornisce alcuna prova al riguardo. Ebbene, in mancanza della prova del danno, non è possibile neppure procedere alla liquidazione in via equitativa, in quanto alla luce degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che “L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ. […] presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno della sua esistenza” (Cass. 3085/ 1996n. 10607/2010). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cTale domanda non può essere quindi accolta., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha sottoposta all’esame del Collegio concerne una fattispecie contrattuale, che correttamente nella sentenza appellata si definisce mista o atipica, in quanto implicante sia una concessione d’uso di spazio pubblico (sedi dell’Azienda regionale per oggetto l’assunta illegittimità il Diritto allo Studio Universitario - D.S.U. Toscana), sia una concessione di servizi, che l’ente pubblico intende affidare a terzi, tramite installazione di distributori automatici di bevande e snack: servizi, quelli indicati, con evidenza diversi da quelli istituzionali dell’ente, ma riconducibili a utilità accessorie, per esigenze connesse alla continuità della perdurante segnalazione presenza in Centrale Rischi sede del nominativo personale, nonché degli utenti del ricorrentevero e proprio servizio pubblico universitario. La possibilità di ristoro alimentare all’interno delle strutture in questione costituisce, stante l’asserito venir meno infatti, non solo un palese miglioramento delle condizioni materiali di lavoro dei dipendenti, ma anche una facilitazione materiale dell’offerta culturale a diretto vantaggio dei frequentatori (docenti e discenti) dell’ateneo. Un contratto atipico, espressione di autonomia negoziale, non è d’altra parte estraneo all’ambito dell’attività contrattuale di diritto privato, che l’Amministrazione è abilitata a svolgere, pur nell’osservanza delle regole procedurali pubblicistiche circa la formazione della volontà negoziale e l’individuazione del suo obbligo fideiussorio contraente, per rispettare i parametri di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 della Costituzione. Il raggiungimento degli obiettivi di interesse pubblico perseguiti – anche attraverso esternalizzazione di alcuni servizi – non richiede quindi, necessariamente, il ricorso a forme contrattuali tipiche disciplinate dalla legge, ma può all’occorrenza essere modulato in termini particolari, eventualmente misti, benchè col minore possibile discostamento, rispetto ad anologhe fattispecie tipizzate e, comunque, nel rispetto dei concorrenti parametri legislativi (di natura mista, a titolo esemplificativo, sono stati ritenuti i contratti, rispondenti a criteri di housing sociale, nonché i contratti di sponsorizzazione: cfr., per il principio, Cons. Stato, Ad. plen., 30 gennaio 2014, n. 1; V, 1 luglio 2014, n. 4358; VI, 31 luglio 2013, n. 4034 e 12 novembre 2013, n. 5378). Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene anche opportuno sottolineare, in via preliminare, che il principio della specificità dei motivi (art. 101 Cod. proc. amm.) postula l’inammissibilità di censure riferite a interi testi normativi o a profili di eccesso di potere dedotti in modo del tutto generico, senza indicazione né dell’articolo contenente la disposizione violata, né delle ragioni della dedotta violazione, anche in rapporto ai sensi dell’artparametri funzionali di cui il provvedimento deve essere espressione. 1957 c.cNel caso di specie appare, peraltro, contrastante con gli ulteriori principi di chiarezza e sinteticità, (art. Per accertare 3, comma 2, Cod. proc. amm.) la stessa tecnica redazionale dell’appello, nel quale si ripetono come formule di stile, reiteratamente, le censure generiche di cui sopra, in buona parte prospettate come vizi della sentenza appellata (la cui motivazione, in quanto assorbita dall’effetto devolutivo dell’appello, non richiede invece apposita impugnazione, se non per quanto riguarda eventuali capi autonomi della sentenza stessa, suscettibili ove non contestati di dare luogo a giudicato parziale: cfr., per il principio, Cons. Stato, IV, 19 settembre 2012, n. 4974; V, 17 settembre 2012, n. 4915; VI, 8 ottobre 2013, n. 4934 e 9 luglio 2012, n. 4006; III, 10 aprile 2012, n. 2057; Cass., lav., 27 agosto 2003, n. 12549). Nel merito, l’appello non appare meritevole di accoglimento. Infondato appare, innanzitutto, il primo ordine di censure (che è preferibile esaminare seguendo un ordine di trattazione basato su criteri non di priorità logica, ma di graduazione indicata dalla parte, interessata in via principale all’aggiudicazione e solo in via residuale all’annullamento dell’intera procedura : cfr. in Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5; VI, 8 maggio 2014, n. 2362). Il motivo di gravame in questione attiene alla scheda di rilevazione prevista dal bando, con cui si richiedeva alle ditte partecipanti di “avere prestato, a favore di enti pubblici o privati, almeno un servizio di installazione e gestione di distributori, per un minimo di 50 distributori o, in alternativa, la prestazione di almeno due servizi di installazione e gestione di distributori, per un minimo di 30 distributori ciascuno, negli ultimi tre anni 2010/2011/2012, oppure negli anni 2011/2012/2013”. L’aggiudicatario, indicando la prestazione di due servizi nel caso periodo previsto, avrebbe mostrato di non possedere il requisito richiesto, in esame l’obbligo quanto per uno di segnalazione in Centrale tali servizi risultava depositato un contratto riferito a soli 21 distributori, da installare presso la Questura di Firenze ed alcuni uffici della Polizia di Stato. La successiva dichiarazione della citata ▇▇▇▇▇▇ ▇▇▇, secondo cui sarebbero infine stati forniti non 21, ma 33 distributori, veniva contestata – come precisato nell’atto di appello – non per quanto oggettivamente riportato nella stessa, ma sotto il profilo del correlativo servizio di gestione dei macchinari. A tale riguardo, tuttavia, appare esaustivo – né è adeguatamente contestato da controparte – quanto affermato da Italian Vending Group (I.V.G.), secondo cui “l’installazione del bene senza la gestione, non solo costituirebbe un non senso dal punto di vista economico, ma neppure sarebbe ipotizzabile contrattualmente, visto che la gestione del servizio su macchine di proprietà I.V.G. non può essere affidata a soggetti terzi, né, evidentemente, è in grado di gestirla in proprio la stazione appaltante”. In base a dette considerazioni (ragionevoli e, si ripete, non smentite in fatto), legittimamente l’Amministrazione concedente ha potuto ritenere che I.V.G. possedesse il requisito di esperienza nei termini richiesti dal bando. Esulano dall’oggetto del presente giudizio le modalità, con cui è stata disposta la modifica del contratto, riferito ai servizi pregressi in questione. Non è qui il caso di vagliare se in via generale fosse possibile – senza rinnovazione della gara e alle stesse condizioni già pattuite – l’incremento di un quinto delle prestazioni contrattuali di cui trattasi, ex art. 11 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato), il cui contenuto è variamente ripreso da normative speciali. Nessun ulteriore approfondimento sul punto sarebbe infatti pertinente, poiché ciò che interessa in questa sede è solo l’effettiva maturazione del requisito di esperienza, richiesto dal bando sulla base di precedenti servizi, il cui legittimo affidamento non risulta ritualmente contestato nel caso di specie. Deve essere inoltre rilevato che la prestazione, concernente l’installazione e la gestione dei distributori automatici di cui trattasi, è propriamente qualificabile come concessione di servizi, che si differenzia dall’appalto di servizi in quanto il corrispettivo della fornitura “consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi, o in tale diritto accompagnato da un prezzo”, ex art. 3, comma 12, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18CE). L’art. 30 (Concessione di servizi) del medesimo Codice sottrae dette concessioni alle disposizioni riferite ai contratti pubblici, ma le assoggetta comunque – in armonia con quanto disposto nell’art. 27 (Principi relativi ai contratti esclusi) – al rispetto dei principi di “economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità”, con residuale obbligo, pertanto, di procedure selettive che, anche attraverso una gara informale, assicurino il rispetto dei principi stessi. Nel caso di specie per quanto riguarda il possesso, da parte dell’aggiudicataria I.V.G., dei requisiti di capacità tecnica e professionale sotto il profilo in precedenza esaminato, il Collegio non ravvisa alcuno dei vizi prospettati dall’appellante. La motivazione della sentenza, in primo luogo, non appare censurabile – anche sotto il profilo dell’omessa pronuncia su tutte le domande proposte dalla parte, ex art. 112 Cod. proc. civ. – sia cessato per estinzione dell’obbligazione inammissibile genericità dei motivi prospettati, sia per l’irrilevanza degli stessi, ove riferiti ad argomentazioni comunque sottoposte a rinnovato apprezzamento nel presente grado di giudizio. Non è contestato, peraltro, che il disciplinare di gara ammettesse di provare il possesso del garanterequisito in questione “attraverso ogni documento idoneo […], quale ad esempio il certificato di regolare esecuzione rilasciato dal committente, ovvero il contratto, le fatture ecc.”; né la verifica di detto requisito poteva sottrarsi al cosiddetto soccorso istruttorio di cui all’art. 46 d.lgs. n. 163 del 2006, di modo che appaiono legittime le modalità attraverso cui l’Amministrazione – già in possesso dei documenti di consegna dei 33 distributori – ha chiesto e ottenuto dalla Questura un’attestazione di conferma circa il numero dei distributori installati da I.V.G. negli anni di riferimento: in tale attestazione, peraltro, si faceva richiamo allo svolgimento del “servizio di distribuzione automatica”, connesso alle apparecchiature in questione, con conseguente assenza – nelle conclusioni tratte dalla medesima Amministrazione – dei vizi di contraddittorietà, travisamento e difetto (o falsità) del presupposto. Conclusioni non diverse sono riferibili alle ancora più generiche contestazioni concernenti violazione del giusto procedimento, del principio di affidamento, nonché persino dei principi costituzionali (articoli 3 e 97): principi, questi ultimi, che non costituiscono diretto parametro di riscontro degli atti amministrativi, pur vincolando la disciplina di rango primario, cui si conforma il principio di legalità e quindi (ma solo in via indiretta) anche l’azione degli apparati pubblici. Il Collegio ritiene, pertanto, che il requisito di capacità tecnica e professionale di I.V.G. sia stato ritenuto sussistente con valutazione corretta, tenuto conto delle normali modalità di svolgimento del servizio stesso (che comporta, come affermato dal ricorrenterilevato, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno gestione delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento apparecchiature da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il creditostesse ditte installatrici, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero creditiattraverso rifornimenti periodici e manutenzioni), senza riferimento alcuno che l’appellante abbia fornito, al riguardo, quanto meno un principio di prova contraria rispetto a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità quanto desumibile dagli atti di esperirle per la presenza causa, peraltro in conformità a dati di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersicomune esperienza, ai sensi dell’art. 1957 c.c115, secondo comma, Cod. proc. civ.. Ugualmente infondato appare il secondo motivo di gravame (per il quale, come anche per i successivi, non si torneranno a ripetere le argomentazioni già esposte in rapporto alla reiterazione di censure riferite alla motivazione della sentenza appellata, anche con riferimento all’art. 112 Cod. proc. civ., estinta enonché al generico richiamo ad interi testi normativi o a principi costituzionali). Con detto motivo di gravame si censura, sostanzialmente, il superamento delle contestazioni riferite ad anomalia dell’offerta della ditta aggiudicataria, contenente un rialzo sulla base d’asta del 69,58%. A tale riguardo l’Amministrazione concedente ha richiesto adeguati chiarimenti, che sono stati forniti e che appaiono del tutto ragionevoli, tenuto conto dei caratteri e della dimensione della valutazione, che la medesima Amministrazione era chiamata ad effettuare al riguardo. La società aggiudicataria ha specificato infatti – attraverso uno schema analitico delle previsioni di costi e ricavi – come l’offerta di rialzo sul canone quadriennale fosse stata effettuata in base ad ipotesi attendibili, nonché desunte dai dati forniti dallo stesso precedente gestore del servizio (SABA s.r.l.); quanto sopra, a fronte di valutazioni piuttosto prudenziali dell’Amministrazione (che aveva lasciato pertanto ampi margini di migliorabilità dell’offerta) circa i ricavi che i distributori di cui trattasi avrebbero potuto fornire, di modo che, sottratto il canone dovuto ed altre spese, il margine di utile assicurato dall’offerta in questione sarebbe stato del 13,31%. Sempre in rapporto alla presunta anomalia dell’offerta, l’appellata I.V.G. ha ulteriormente specificato come l’incasso mensile percepito dall’attuale gestore, per ciascuna apparecchiatura, fosse pari ad €. 190,84, mentre quello indicato negli atti di gara era pari ad €. 138,89 e quello recepito da I.V.G. nell’offerta presupponeva un incasso pari ad €. 184,19. A tali precisi e verificabili parametri l’appellante contrappone tesi difensive generiche o non attendibili, come quelle riferite all’ammontare globale di incassi, indicati senza tenere conto della diversa durata degli accordi di riferimento. Anche il secondo ordine di censure, pertanto, non più giustificata appare meritevole di accoglimento. A non diverse conclusioni il Collegio perviene per il terzo motivo di ▇▇▇▇▇, in cui si censura – sotto i molteplici profili di violazione di legge ed eccesso di potere, già in precedenza specificati e ritenuti in parte inammissibili – l’omessa precisazione (richiesta dal bando a pena di esclusione) del dettaglio economico dell’offerta sia in cifre che in lettere. Detta censura – da intendere sostanzialmente riferita alla violazione dell’art. 2, punto C.1) del disciplinare di gara, non impugnato sul punto, risulta infondata, tenuto della disciplina vigente circa la segnalazione tassatività delle cause di esclusione, definite nell’art. 46, comma 1-bis, del suo nominativo Codice dei contratti pubblici, con riferimento ad inosservanza di regole imposte dal Codice stesso, dal relativo regolamento e “da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali”, con disposta nullità delle eventuali prescrizioni ulteriori, previste nei bandi e nelle lettere di invito (cfr. sul punto anche Cons. Stato, Ad. plen., 20 febbraio 2014, n. 9). Detta nullità è ravvisabile nel caso di specie, non essendo emersa alcuna incertezza nell’offerta di cui trattasi, solo per effetto dell’omessa doppia indicazione di cui sopra. La rilevata nullità, d’altra parte, consentiva all’Amministrazione di disapplicare la prescrizione del disciplinare, anche in Centrale Rischi.assenza di rituale impugnazione della stessa; ove fossero emersi margini di dubbio, sarebbe stato peraltro giustificato il cosiddetto soccorso istruttorio, di cui al medesimo articolo 46, comma 1, del Codice, ispirato al principio del favor per la massima partecipazione alle gare: principio, che già aveva indotto la giurisprudenza ad elaborare la nozione di strumentalità delle forme, in base alla quale dovevano ritenersi precluse soltanto le integrazioni a carattere sostanziale, che alterassero la par condicio dei concorrenti, mentre si ritenevano ammissibili integrazioni sananti per i meri inadempimenti formali, non preclusivi di soluzioni equipollenti per raggiungere lo scopo perseguito (cfr. in tal senso, per il principio; Cons. Stato, V, 28 gennaio 2005, n. 187, 5 luglio 2005, n. 3716 e 23 marzo 2004, n. 1542). Respinti i tre ordini di censure, prospettati dall’appellante in via principale per ottenere l’esclusione dalla società aggiudicataria ed il subentro alla stessa nell’aggiudicazione, restano da valutare le censure prospettate in via subordinata, per il soddisfacimento dell’interesse strumentale all’annullamento dell’intera procedura di gara e finalizzato alla sua reiterazione. Anche dette censure subordinate non appaiono meritevoli di accoglimento. Con il quarto motivo di gravame, in particolare, si contesta la tipologia contrattuale prescelta dall’Amministrazione, poiché implicante “oggettiva confusione fra concessione in uso di spazi pubblici e appalto di servizi”, con incertezza della normativa applicabile e alterazione della par condicio dei concorrenti a favore di quelli con maggiori disponibilità economiche: quanto sopra, a seguito della prevista corresponsione di un canone per l’installazione e la permanenza in loco dei distributori, senza miglioramento del servizio offerto e con indebito arricchimento dell’Amministrazione. Improprio, in primo luogo, appare il riferimento all’appalto, anziché alla concessione di servizi. Con quest’ultimauna pubblica amministrazione trasferisce ad altro
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DIRITTO. La Occorre evidenziare, in linea preliminare, che nei confronti del confidi resistente è stato emesso un provvedimento di ritiro dell'iscrizione nella sezione dell'elenco generale di cui al previgente art. 155, co. 4, del T.U.B. (oggi modificato con l’attuazione del d.lgs. 140/2010, il quale ha disciplinato i Confidi agli artt. 112 e ss.). Il consorzio in questione ha per oggetto l’assunta illegittimità è dunque escluso dalla suddetta sezione con efficacia dal 18 luglio 2015, ossia in data successiva alla presentazione del ricorso di cui qui si tratta. Tale ultima circostanza consente, ad avviso del Collegio, di affermare la procedibilità del ricorso, atteso che il momento rilevante a tale fine è quello della perdurante segnalazione data di presentazione del ricorso e della sussistenza, a quel tempo, dell’iscrizione del convenuto in Centrale Rischi del nominativo del ricorrenteuno degli albi di cui agli artt. 13, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art114-bis, 114- septies TUB o negli elenchi di cui agli articoli 106, 107 TUB (nel testo previgente alla riforma introdotta con il citato D. Lgs. 1957 c.cn. 141/2010). Per accertare se nel caso Il Collegio territoriale rimettente dubita, invero, in esame l’obbligo ordine alla condivisibilità di segnalazione detta conclusione rilevando che gli intermediari cancellati non sono più assoggettati all’attività di vigilanza da parte della Banca d’Italia. E dunque, ferme restando le loro eventuali responsabilità in Centrale sede giudiziaria, sarebbe pertanto discutibile che essi siano tuttora tenuti a dare attuazione al funzionamento della procedura innanzi all’ABF. Sennonché, ad avviso dello scrivente ▇▇▇▇▇▇ sia cessato ▇▇▇, la rilevata perdurante responsabilità già darebbe ragione dell’attuale sottoposizione dei rapporti intrattenuti da tali soggetti a questo procedimento, che si innesta nell’ambito dei sistemi di conciliazione e mediazione di cui al d.lgs. 28/2010. Nel merito, la questione si incentra sulla circostanza che, non essendo stata adempiuta l’obbligazione garantita mediante la fideiussione rilasciata dal confidi resistente, il ricorrente esige il pagamento della relativa indennità. Si pone tuttavia il problema preliminare della validità del contratto di fideiussione di cui si tratta, essendo tale validità il presupposto di ogni domanda tesa a ottenere l’adempimento delle obbligazioni che ne derivano. A tale proposito, si deve anzitutto rilevare che l’intermediario resistente era iscritto nell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal previgente art. 155, 4° comma, t.u.b.). L’art. 112, 1° comma, t.u.b., statuisce che i confidi esercitano «in via esclusiva l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali». Ai sensi dell’art. 13 (Disciplina dell’attività di garanzia collettiva dei fidi), 2° comma, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per estinzione dell’obbligazione favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, «I confidi, salvo quanto stabilito dal comma 32, svolgono esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi e dei servizi a essa connessi o strumentali, nel rispetto delle riserve di attività previste dalla legge» (sottolineature aggiunte). Il comma 32 del garantepredetto articolo di legge si riferisce ai confidi iscritti nell’elenco speciale di cui al previgente art. 107 t.u.b., oggi corrispondente all’albo degli intermediari finanziari di cui all’art. 106 t.u.b.: esso non rileva pertanto ai fini del presente giudizio, dato che, come affermato si è già rilevato, l’intermediario resistente era iscritto invece nell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal ricorrenteprevigente art. 155, o4° comma, viceversat.u.b.). Secondo i Chiarimenti in materia di rilascio di garanzie resi il 7 ottobre 2011 dalla Banca d’Italia, permanga«[…] i confidi iscritti ai sensi dell’art. 155, comma 4, del TUB nell’apposita sezione dell’elenco generale, possono svolgere esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi che consiste nella “prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie” volta a favorire l’accesso delle piccole e medie imprese associate al credito di banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario […], nonché attività connesse e strumentali. A tali operatori è pertanto vietato l’esercizio di prestazioni di garanzie diverse da quelle indicate e, in particolare, nei confronti del pubblico, nonché l’esercizio delle altre attività riservate agli intermediari finanziari». Ne consegue che ai confidi è vietato dalla legge di rilasciare una fideiussione a garanzia dei canoni di locazione dovuti da un consorziato. Tale garanzia, infatti, è oggettivamente finalizzata non già a favorire l’accesso al credito, bensì a garantire i diritti contrattuali del locatore. Nella fattispecie, l’intermediario resistente ha agito in un ambito che gli era precluso dalla legge, con potenziale rilevanza della sua condotta ai fini della configurabilità del reato di abusiva attività finanziaria ex art. 132 TUB. Oggetto della controversia è, infatti, un rapporto di garanzia individuale (e non collettiva) connesso ad un contratto di locazione (e non di credito) prestato a favore di un soggetto non bancario. Ciò posto, occorre interrogarsi in ordine alle conseguenze che la violazione di tali norme comporti sul piano civilistico, con particolare riguardo alla validità della garanzia rilasciata dal confidi resistente. Del resto, si tratta di un rilievo officioso cui il Collegio è sicuramente abilitato nel caso di specie, dal momento che, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione s’è anticipato, la questione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussionevalidità del titolo contrattuale costituisce un presupposto logico necessario per potere eventualmente dichiarare l’intermediario tenuto ad adempiere l’obbligazione da esso derivante. In prospettiva generaleeffetti, occorre inoltre ricordare chenella giurisprudenza dei Collegi ABF è emersa difformità di indirizzi. Secondo un primo orientamento, conseguenza della inosservanza dei limiti che la legge impone all’operatività dei confidi non può che essere la nullità del contratto concluso in relazione alla Circolare della Banca d’Italia violazione, quale è la fideiussione che il ricorrente vuole giustappunto qui azionare. Si evidenzia al riguardo che la “conclusione di un contratto rientrante nell’ambito di un’attività riservata da parte di un soggetto che non è autorizzato al suo svolgimento, infatti, determina necessariamente la nullità di quel contratto ex art. 1418 c.c. (cons. Cass. 7 marzo 2001, n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -3272; e, Sez. 2per un caso analogo a quello in esame, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/20141896 del 28 marzo 2014). Circa l’applicabilità dell’artNon potendo il contratto nullo dispiegare alcun effetto, non è evidentemente possibile dichiarare l’intermediario tenuto al suo adempimento” (così, Collegio di Roma, dec. 1957 c.c8139/2014). al caso Il diverso e opposto orientamento richiama invece la giurisprudenza della Cassazione civile, sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725 secondo cui “in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (a tenore c.d. nullità virtuale), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione può essere fonte di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoresponsabilità. Ne consegue che, in deroga tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a quanto previsto dall’artcarico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all'art. 1957 6, l. n. 1/1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (…); in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, comma 1, c.c., si stabilisce la nullità”, oltre al più generale principio del divieto di venire contra factum proprium, sicché in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantitaogni caso non parrebbe ammissibile per il garante far valere la nullità di un contratto che egli stesso ha stipulato, con la conseguenza che detto contratto deve reputarsi valido e opponibile al garante (v. Collegio di Milano, dec. 1893/2015). L’esame deve muovere dall’art. 1418, primo comma, cod. civ., a norma del quale la nullità (virtuale) riguarda il contratto “contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente”) configura infatti . L’invalidità del negozio postula dunque un duplice passaggio logico, poiché l’indagine deve toccare: in primo luogo, il carattere imperativo del precetto violato mediante la conclusione del contratto; e, in secondo luogo, eventuali previsioni che valgano a escludere la sanzione della nullità. Sotto il primo punto di vista, pur non essendo necessario indugiare sul controverso rapporto tra imperatività e inderogabilità, occorre, ciò nondimeno, appuntare l’attenzione su alcuni ‘indici’ rivelatori del carattere imperativo di una norma, quali, per esempio, la strumentalità al perseguimento dell’interesse pubblico ovvero la medesima inderogabilità di essa. Non acquista rilevanza decisiva, sotto questo punto di vista, la circostanza che la conclusione del contratto possa integrare una fattispecie di illecito penale, atteso che detta eventualità non assimilabileimporta, stante di per sé sola, la sua ambigua formulazioneinvalidità del negozio, specialmente là dove l’accordo non incida direttamente sulla ratio del precetto penale. L’esigenza cui il carattere imperativo della norma è funzionale merita qualche attenzione in più poiché il tema si lega strettamente con l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente” di cui all’art. 1418, primo comma, cod. civ. La deroga alla nullità virtuale, infatti, non si esprime in una espressa clausola di ‘salvezza’ del contratto concluso in violazione della norma imperativa. Del resto, se così fosse, la nullità (nei casi non coperti dalla deroga espressamente prevista) sarebbe testuale e nemmeno varrebbe interrogarsi sulla imperatività del precetto. Alla ‘salvezza’ del negozio, invece, può giungersi sulla scorta di ulteriori indici normativi, di talché la nullità andrebbe esclusa ogni qualvolta la legge assicuri la effettività della norma imperativa violata (ossia il soddisfacimento della specifica ratio di essa) mediante rimedi diversi rispetto alla invalidità del negozio. Come è stato già osservato, i limitati ambiti di operatività riconosciuti ai confidi danno ragione dei controlli meno incisivi, cui essi sono soggetti, rispetto non solo alla vigilanza prudenziale che caratterizza l’attività bancaria in senso stretto, ma anche a quella cherelativa agli intermediari finanziari. A fronte di ciò e, secondo il prevalente orientamento della Cassazionein particolar modo, esclude l’operare del termine divieto di decadenza stabilito dalla norma codicistica rilasciare garanzie a beneficio del pubblico, la invalidità del contratto, la cui contrarietà alle norme imperative anzidette tende ad approssimare finanche la impossibilità giuridica dell’oggetto (cfre dunque la nullità ‘strutturale’), non sembra trovare idonea alternativa nelle sanzioni penali ovvero – come è accaduto nel caso di specie – nel successivo provvedimento di ritiro dell’iscrizione comminato al confidi. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui Del resto, le ragioni poste a supporto dell’orientamento che postula la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione perdurante validità del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora non sono del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) tutto convincenti e, pertanto, paiono superabili. Esse, invero, ruotano intorno alla distinzione tra regole di seguitocomportamento e regole di validità e alle ben note sentenze nn. 26724 e 26725 del 2007, rese dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Esse concernono la segnalazione “violazione di regole (inderogabili) di comportamento, con particolare riguardo ai doveri di protezione e di informazione nella fase prenegoziale ed esecutiva. Ipotesi affatto diversa dalla speciale capacità richiesta dalla legge per la stessa conclusione del negozio. Né si potrebbe ridurre i limiti operativi imposti ai confidi dalla disciplina di settore a sofferenza” mero dovere di informare il cliente sul superamento del nominativo di quest’ultimolimite. Se, stante il perdurare della sua insolvenza (come infatti, una tale condotta valesse a escludere la invalidità del contratto, si finirebbe per trasformare una norma da comunicazione del 09.09.2011)imperativa a dispositiva, per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova frustrando la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali stessa esigenza di tutela del diritto beneficiario della garanzia che invece è alla base degli anzidetti limiti operativi. Del resto, se è vero – come insegna la giurisprudenza della Cassazione – che l’inosservanza di doveri comportamentali è fonte di responsabilità anche nel caso di validità del contratto successivamente concluso, è altrettanto vero che la responsabilità precontrattuale ex art. 1338 cod. civ. presuppone, e non supera, la invalidità del negozio. Inoltre, si deve rilevare che le sentenze delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, alle quali esplicitamente si ispira il descritto orientamento di taluni Collegi ABF, chiariscono che «l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed conformità del disposto dell’art. 1418, 1° comma, c.c. è in effetti più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il soddisfacimento della pretesa creditriceriferimento al solo contenuto del contratto medesimo. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa Vi sono sicuramente ricomprese anche le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue norme che, risultando inutilmente trascorsi in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di 36 mesiquelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo». Alla luce di quanto sin qui osservato, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersisi deve pertanto ritenere che, ai sensi dell’art. 1957 112, 1° ▇▇▇▇▇, t.u.b., fosse vietato all’intermediario resistente, in quanto iscritto nell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal previgente art. 155, 4° comma, t.u.b.), di stipulare il contratto di fideiussione oggetto del presente giudizio. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, c.c., estinta e, pertantotale contratto è stato stipulato in violazione di una norma imperativa ed è pertanto affetto da nullità. Nella delineata prospettiva, non può tuttavia trascurarsi che l’accertata nullità si rifletterebbe in un ingiusto pregiudizio per il ricorrente, il quale perderebbe il diritto all’indennizzo per una violazione di norme, perpetrata attraverso la stipulazione del contratto, cui egli non ha dato causa. Pertanto, ad avviso del Collegio, l’affidamento riposto dal ricorrente nella validità del contratto appare meritevole di un’incisiva tutela. E tale non sarebbe quella, ricavabile dal diritto comune, conseguente a un’eventuale domanda risarcitoria (peraltro non proposta dal ricorrente), la quale, ai sensi dell’art. 1338 c.c., rileverebbe alla stregua di ipotesi di responsabilità da culpa in contrahendo e potrebbe pertanto tenere indenne il creditore garantito soltanto dalla lesione del c.d. interesse negativo, con un risarcimento che, in un caso come quello di specie, sarebbe prossimo allo zero. A una tutela dotata di maggior grado di effettività può invece giungersi facendo ricorso al canone applicativo della analogia iuris. Non è infatti estranea al nostro ordinamento giuridico l’esistenza di un principio, ormai reputabile come generale, disciplinante la nullità contrattuale, che ne limita l’accertamento ai casi in cui da quest’ultimo non riverberino conseguenze pregiudizievoli nella sfera giuridica del contraente che a quella nullità non ha dato causa. Tale esigenza di particolare tutela ha ispirato l’introduzione nel nostro sistema, a partire dagli novanta dello scorso secolo, delle così dette nullità di protezione, orientate principalmente alla salvaguardia degli interessi del consumatore, ma, più giustificata la segnalazione in generale, del suo nominativo contraente che, rispetto al rapporto instaurato, viene a trovarsi, incolpevolmente, in Centrale Rischi.una condizione deteriore. Il rimedio della nullità, infatti, comporta l’accertamento della inefficacia
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DIRITTO. La questione Le richieste della parte ricorrente non possono essere accolte per difetto di legittimazione passiva dell’intermediario convenuto. Quest’ultimo, infatti, in data 29 luglio 2010 stipulava con altra società, ai sensi e per gli effetti della legge n. 130/1999 e dell’art. 58 del T.U.B., un accordo in forza del quale cedeva periodicamente, secondo un programma predefinito, crediti in bonis erogati in forza di contratti di finanziamento stipulati con propri clienti, nell’ambito dell’ordinaria attività di impresa; in particolare, in data 31 ottobre 2012 vendeva un blocco di finanziamenti erogati dalla banca convenuta, incluso quello in esame (cfr. allegato 6 alle controdeduzioni); conseguentemente, nell’atto di concessione di ipoteca del 15 settembre 2015, le parti davano atto che “con scambio di corrispondenza in data 31 ottobre 2012, [la banca convenuta] ha ceduto [alla società] un blocco di crediti in bonis derivanti da crediti ipotecari concessi … [dalla banca convenuta] … Apposito avviso di tale cessione è stato pubblicato sulla G.U. n. 130 del 6 novembre 2012; il credito derivante dal mutuo n. … (ex Va detto che, con apposita procura del 18 settembre 2014, l’intermediario convenuto riceveva da detta società ampio mandato ad eseguire, tra l’altro, cancellazioni di ipoteca: mandato che, a sua volta, conferiva ad altra banca dello stesso gruppo, sulla base dell’ampio mandato ricevuto. Gli stessi accordi di sospensione del pagamento delle rate del mutuo venivano in effetti stipulati tra i ricorrenti e la società cessionaria, per oggetto l’assunta illegittimità il tramite dell’intermediario convenuto ma in qualità di mero mandatario (cfr. allegati 2 e 3 al ricorso). In definitiva, titolare del contratto e del credito verso i ricorrenti era, ed è, non l’intermediario convenuto ma altra società, come risulta dalla stessa segnalazione della perdurante Centrale Rischi (cfr. allegato 4 al ricorso). L’intermediario convenuto ha eccepito in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva, facendo presente quanto sopra, e cioè di avere ceduto ad altra società il credito vantato nei confronti dei ricorrenti, derivante dal contratto di mutuo a suo tempo stipulato con gli stessi (cfr. allegato 6 alle controdeduzioni). Va osservato che nell’atto di assenso alla cancellazione ipotecaria del 15 settembre 2015 – con il quale, come sostiene la parte ricorrente, l’intermediario avrebbe effettuato una “ricognizione di credito” – si dà espressamente atto dell’intervenuta cessione del credito ad altra società. Inoltre, gli stessi accordi di sospensione del pagamento delle rate del mutuo erano stati presi con tale altra società (cfr. allegati 1, 2 e 3 alle controdeduzioni), da essa rappresentata in qualità di mandataria. Come detto, anche nella segnalazione in Centrale Rischi viene indicata la società cessionaria quale creditrice dei ricorrenti. Com’è noto, la cessione del nominativo credito è un contratto che realizza una modificazione dal lato attivo del ricorrenterapporto obbligatorio. In particolare, stante l’asserito venir meno per effetto del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.cconsenso legittimamente espresso fra il cedente e il cessionario, tale accordo produce l’immediato trasferimento del diritto di credito al cessionario, il quale diviene l’unico soggetto legittimato a pretendere la prestazione dal debitore ceduto. Per accertare effetto della realizzata cessione, l’unico soggetto legittimato a pretendere il pagamento del debito residuo derivante dal contratto di mutuo (ed eventualmente a disporne) sarebbe dunque la società cessionaria e non l’intermediario convenuto (se nel caso in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garantenon su mandato della prima). La società cessionaria appartiene al medesimo gruppo bancario cui appartiene l’intermediario contro cui è stato proposto il ricorso. Tuttavia, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare va rilevato che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Capnonostante il gruppo eserciti un’unica impresa, le varie società che lo costituiscono devono essere considerate come entità giuridicamente distinte e indipendenti l’una dall’altra: cfr. II - Classificazione dei rischi -le sentenze del Consiglio di Stato, Sez. 2V, Par. 3 - Garanzie ricevute -)n. 278/2007, in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio e della Corte di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfrSez. Cass. I, n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c521/1999., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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Sources: Mutuo Ipotecario
DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso in esame l’obbligo Il ricorso è meritevole di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garante, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussioneaccoglimento parziale. In prospettiva generalerito, occorre inoltre ricordare partendo dall’eccezione di legittimazione passiva relativa al rimborso del premio assicurativo sollevata dalla resistente, possiamo affermare che essa sia infondata e che, pertanto, vada rigettata. Sul profilo dei rapporti tra il debito dell’assicuratore, che deve restituire la parte di premio indebitamente percepita, e la responsabilità dell’intermediario, l’accordo ABI-ANIA del 22 ottobre 2008 prevede che, in relazione caso di estinzione anticipata del contratto di mutuo si proceda all’estinzione del contratto assicurativo accessorio e, che venga restituita al cliente la parte di premio relativa al periodo residuo del contratto. Sulla base del suindicato accordo, il Collegio di Coordinamento, con decisione n.6167 del 22.09.2014, ha affermato che la prassi di versare anticipatamente il premio assicurativo in un'unica soluzione svolge una funzione di garanzia per il finanziatore da una eventuale morosità del cliente e, conseguentemente, l’onere assunto dagli associati ABI, di farsi carico di anticipare all’assicurato il rimborso della quota di premio non goduto in caso di estinzione anticipata, “appare del tutto simmetrico al vantaggio ottenuto”. Aggiunge il Collegio, che sotto un profilo giuridico formale, configurandosi tale accordo come un’assunzione di debito altrui, esso comporta l’insorgere di una responsabilità solidale da parte del debitore e che, pertanto, anche in caso di restituzione parziale del premio assicurativo direttamente da parte dell’assicuratore, resterebbe comunque la responsabilità dell’intermediario per la quota residua. Circa la legittimazione passiva dell’intermediario, si può, altresì, citare una precedente decisione di questo Collegio (Collegio di Napoli n. 5566 del 2015) che “rigetta l’eccezione di parte resistente sulla asserita carenza di legittimazione passiva ex art. 22 della l. n. 221/2012, atteso che gli obblighi ivi stabiliti in capo all’impresa di assicurazione non sembrano incidere sul profilo di legittimazione quanto piuttosto sull’esercizio dell’eventuale azione di regresso”. Nel merito, il diritto del ricorrente all’estinzione anticipata del contratto di finanziamento e, conseguentemente, alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Caprestituzione delle commissioni e dei costi assicurativi non maturati, è sancito in primo luogo dall’art. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -)125 sexiesdel TUB: “Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in varie occasioni tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore. In tal caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”, conformemente a quanto stabilito dall’art. 8 della Direttiva 87/102/CEE. A questo Arbitro - proposito, l’indicazione degli oneri che maturano in linea corso di rapporto e che, pertanto vanno restituiti, rappresenta un obbligo per gli intermediari all’atto stesso di stipulazione del contratto di finanziamento. Le Disposizioni di Vigilanza del 29 luglio 2009 s.m.i. sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari chiariscono ulteriormente che: “Nei contratti di credito con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e nelle fattispecie assimilate, le modalità di calcolo della riduzione del costo totale del credito a cui il consumatore ha diritto in caso di estinzione anticipata includono l’indicazione degli oneri che maturano nel corso del rapporto e che devono quindi essere restituiti per la giurisprudenza civile ed parte non maturata, dal finanziatore o da terzi, al consumatore, se questi li ha corrisposti anticipatamente al finanziatore”. Sempre in un ottica di trasparenza, il Collegio di Coordinamento (cfrnella decisone sopra citata, ha affermato l’importanza dell’indicazione ex ante dei costi rimborsabili e non rimborsabili, così come specificato anche dalla Comunicazione n. 304921/11, che impone agli intermediari di: “definire correttamente la ripartizione tra commissioni up-front e recurring, includendo nelle seconde le componenti economiche soggette a maturazione nel tempo; […]distinguendo quelle da rilevare pro rata temporis, dalle altre, da rilevare quando percepite.”Per contrastare la prassi seguita dagli intermediari, di indicare nel corpo contrattuale cumulativamente l’importo di generiche spese, non consentendo una chiara individuazione degli oneri maturati e di quelli non maturati, con conseguente “opacità” delle condizioni contrattuali, la regola applicata dal Collegio è quella di “considerare recurring, e quindi rimborsabili, tutti i costi le cui ragioni siano opacamente manifestate”. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti In relazione alla documentazione prodotta,la mancanza di legittimità descrizione delle voci commissionali, comporta la totale opacità della segnalazione previsione contrattuale e ,quindi, la qualificazione di tali spese come costi di natura recurring, rimborsabili in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediariomaniera proporzionale alla vita residua del rapporto. Il criterio di calcolo, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (ritenuto dal Collegio di MilanoCoordinamento, decisione n. 8288/2014)meno penalizzante per il cliente, è quello pro rata temporis. Circa l’applicabilità dell’artSecondo un prospetto restitutorio così elaborato, l’importo da restituire è pari ad euro 1.736,31 a titolo di commissione finanziarie e di euro 186,66 a titolo di commissioni accessorie entrambi non maturate a causa dell’estinzione anticipata del finanziamento. 1957 c.c. In relazione al caso in esamepremio assicurativo non maturato, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentorisultano rimborsabili euro 265,54, in deroga a quanto previsto dall’artapplicazione del criterio pro rata. 1957 c.cPeraltro, tenuto conto della necessità di contenere l’obbligazione restitutoria del resistente nei limiti della domanda formulata del ricorrente, l’importo da retrocedere è pari ad euro 1362,61, oltre al rimborso delle spese procedurali per importo di euro 20,00., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione controversia verte in merito al riaddebito di spese legali, sostenute dall’intermediario resistente (società concedente) e da questi rifatturate, nella misura di euro 14.598,09 euro, al cliente (utilizzatore in regime di leasing) in relazione ad un contenzioso tributario che avrebbe coinvolto l’immobile oggetto del contratto di locazione finanziaria. In via preliminare, il Collegio è chiamato ad esprimersi sull’ammissibilità della domanda svolta dalla ricorrente e tesa all’accertamento negativo della debenza fondata sulla nullità della clausola contrattuale che avrebbe consentito la suddetta rifatturazione. Sostiene la ricorrente che la clausola sarebbe nulla per contrasto con l’art. 1346 c.c. in ragione della carenza del requisito di determinabilità dell’oggetto della prestazione. Il Collegio è privo di potestà decisionale sulla predetta domanda fondata sul rilievo di nullità in ragione dei limiti di competenza temporale stabiliti dalla Sez. I, § 4, 2° alinea Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (in breve “Reg. ABF”). Tale norma, che esclude la competenza dell’Arbitro Bancario Finanziario per fatti o comportamenti anteriori al 1.1.2009, va intesa nel senso che, in caso di controversia avente ad oggetto un rapporto di durata sorto anteriormente al limite temporale cognitivo posto dal Reg. ABF ma ancora efficace (i.e. produttivo di effetti) successivamente a tale data, occorra aver riguardo al petitum onde verificare se esso si fondi su vizi genetici del rapporto (nel qual caso vi sarà incompetenza temporale) oppure su una divergenza tra le parti che riguardi effetti del negozio giuridico prodottisi successivamente al predetto limite (nel qual caso vi sarà competenza temporale). Nel caso di specie la domanda imperniata sulla nullità è basata su un asserito vizio della clausola, venuta ad esistenza sin dalla sottoscrizione del contratto che ha avuto luogo nel 2006. La successiva cessione grazie alla quale l’odierna ricorrente è subentrata nella posizione dell’originaria utilizzatrice a sua volta è avvenuta nel maggio 2008. Si verte dunque in tema di un vizio genetico che si colloca in data anteriore al limite temporale sopra richiamato. Ne consegue che la domanda di nullità non può essere valutata in quanto esula dalla competenza decisionale ratione temporis di questo Arbitro. Di converso, la fatturazione effettuata dal resistente in forza della predetta clausola ha avuto luogo nel gennaio 2013. Ne consegue che, fermo il limite di non conoscibilità della lamentata causa di nullità, questo Arbitro conserva invece il potere di conoscere della sua applicazione onde giudicare se la stessa sia lecita nel caso di specie e di conseguenza statuire sulla domanda tesa ad accertare la non debenza dell’importo richiesto. Nel merito, la clausola in questione, secondo uno stilema ricorrente nella contrattualistica di leasing e del resto giustificato in ragione del ruolo meramente finanziario svolto dall’intermediario, dispone che gravino sull’utilizzatore determinate voci di spesa e, per oggetto l’assunta illegittimità quanto qui rileva, specificamente essa recita: “...l’utilizzatore si obbliga inoltre a tenere indenne il concedente e, quindi, a risarcirlo dietro sua semplice richiesta di tutte le spese di carattere legale o giudiziale, ivi compresi gli onorari ed i compensi di qualsiasi natura spettanti ad avvocati, consulenti anche tecnici e professionisti in genere, agenzie specializzate nel recupero dei crediti, che il concedente medesimo dovesse sostenere in relazione sia alla conclusione, esecuzione o risoluzione del presente contratto sia all’acquisto, alla proprietà, all’utilizzo o alla restituzione dell’immobile, ed in dipendenza da iniziative, anche giudiziali, assunte sia nei confronti o da parte di terzi sia nei confronti o da parte dello stesso utilizzatore (...)”. La difesa della perdurante segnalazione in Centrale Rischi del nominativo del ricorrente, stante l’asserito venir meno oltre al menzionato (e quivi, per le anzidette ragioni, non sindacabile) motivo di nullità, ha altresì argomentato la sua domanda sostenendo, per un verso, l’inapplicabilità al caso di specie della suddetta pattuizione che verrebbe piegata e distorta verso il perseguimento di un fine diverso da quello suo proprio (ossia, a detta della ricorrente, di riversare sull’utilizzatore le conseguenze economiche derivanti dal compimento di atti unilateralmente ed arbitrariamente posti in essere dall’altra parte) e, per altro verso, che il subentro dell’odierna ricorrente nella posizione del suo obbligo fideiussorio contraente originario per effetto di cessione deve intendersi limitato al solo rapporto derivante dal contratto di locazione finanziaria e “non anche esteso ai sensi dell’artpiù complessi rapporti ‘a monte’ di tale contratto”, rapporti quest’ultimi che sarebbero stati all’origine dell’avviso di accertamento. 1957 c.cLa seconda argomentazione non persuade il Collegio. Per accertare L’estraneità dell’odierna ricorrente alla fase genetica del negozio non sarebbe di per sé sufficiente ad esimerla dal rispetto della condizione contrattuale in parola: il subentro derivante dalla cessione implica infatti una totale sostituzione del cessionario al cedente e dunque l’applicazione dell’intero pattuito. Al contrario la prima argomentazione, afferendo alla determinazione del perimetro di applicabilità della clausola, merita ogni più debita riflessione. L’avviso di accertamento, da cui ha preso le mosse il procedimento giudiziario che ha visto coinvolto l’intermediario resistente, era diretto negli esclusivi confronti di quest’ultimo a cui si contestava l’indebita detrazione dell’Iva sull’acquisto tanto dell’immobile oggetto del contratto qui controverso quanto di altri immobili di altri soggetti. In tesi, l’avviso di accertamento (che il resistente ha trasmesso alla ricorrente solo parzialmente e con l’oscurazione dei nominativi degli altri soggetti coinvolti e che la ricorrente ha di conseguenza depositato in tale menomata forma) si appunta sulla pretesa sopravvalutazione degli immobili rispetto al loro effettivo valore di mercato e ciò al fine di costituire, in favore dell’utilizzatore (in caso di lease-back) ovvero ad un venditore ad esso collegato o correlato (in caso di leasing ordinario), una provvista supplementare, la quale, sempre a detta dell’ufficio accertatore, integrerebbe un dissimilato rapporto di finanziamento ulteriore e diverso rispetto a quello su cui si impernia la locazione finanziaria. Di tal guisa, il resistente concedente avrebbe procurato siffatto improprio finanziamento sotto le mentite spoglie di un (eccessivo) prezzo di acquisto, come tale gravato di ▇▇▇, che quindi il resistente avrebbe portato in detrazione, secondo l’ufficio, indebitamente a motivo del descritto dissimulato rapporto. Donde il contenzioso con l’Erario, donde la necessità di sostenere un costo difensivo, donde infine la rifatturazione pro quota (posto che l’accertamento riguardava svariate diverse posizioni) del relativo costo in capo alla ricorrente. Ritiene questo Arbitro che la spesa defensionale in questione non possa ricadere nell’alveo dei costi di cui la clausola summenzionata dispone l’addossamento a carico del cliente. Due le ragioni che fondano detto convincimento in capo al Collegio. In primo luogo, il tenore della clausola è inequivoco nel riversare sull’utilizzatore i costi in parola solo se afferenti “alla conclusione, esecuzione o risoluzione” del contratto ovvero “all’acquisto, alla proprietà o all’uso dell’immobile”. Deve dunque trattarsi di spese defensionali che il resistente abbia sostenuto in contenziosi che abbiano riguardato il contratto ovvero l’acquisto, la titolarità o l’uso del bene. Non è chi non veda come nel caso in esame l’obbligo parola, la pretesa erariale sia incentrata non già sulla conclusione, risoluzione, esecuzione del contratto di segnalazione leasing né sull’acquisto, sul possesso o sull’uso del bene, bensì su quell’ulteriore, diverso e in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione tesi dissimulato rapporto di finanziamento che si sarebbe sovrapposto al contratto di leasing grazie alla sopravvalutazione del garantebene. Ulteriore, come affermato diverso, dissimulato rapporto di finanziamento che dunque non può in alcun modo ricondursi al contratto di leasing. E, si noti, la conclusione non muterebbe anche quand’anche l’originario stipulante, cui la ricorrente è subentrata, pur fosse partecipe dell’ordito denunciato dall’ufficio. Quivi prescindendo dalle responsabilità delle parti (e financo dal ricorrentefondamento della pretesa erariale e dall’esito – rimasto ignoto nel presente procedimento – del contenzioso), oil distinguo fra i due sovrapposti segmenti contrattuali, viceversaossia il leasing “a prezzo giusto” e il dissimulato finanziamento mediante la lievitazione del prezzo, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare fa sì che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Capogni caso, non possa al secondo e distinto rapporto applicarsi la disciplina del primo. II - Classificazione dei rischi -In secondo luogo, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato contestazione dell’ufficio si appunta non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione sull’invalidità del contratto di finanziamento leasing né, parrebbe, sulla liceità in sé della pattuizione di un prezzo eccessivo in fase di acquisto (avvenuta altro sarebbe stata, in data 23.06.2011tutta evidenza, la contestazione di un prezzo vile ai fini di una ripresa della minore imposta pagata) bensì sulla conseguente e autonoma scelta del resistente di portare in detrazione l’Iva afferente al sovrappiù pagato rispetto al valore effettivo. Il processo causativo del fatto oggetto di contestazione vede quale esclusivo protagonista l’intermediario resistente e si fonda sulla condotta da questi tenuta successivamente all’operazione di acquisto. In effetti, là dove il resistente non avesse portato in detrazione l’imposta pagata (rectius, la proporzionale quota di imposta afferente all’eccedenza di prezzo), da cui è conseguita la costituzione l’ufficio nulla avrebbe rilevato nell’operazione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, parola. Quanto precede vale dunque a riconoscere pieno fondamento all’argomentazione della ricorrente circa l’inapplicabilità della clausola sopracitata alla refusione di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle spese giudiziali sostenute per la presenza difesa in un procedimento provocato da una contestazione che prescinde dal contratto di ostacoli giuridici (comeleasing per isolarvi, ad esal suo interno, l’apertura della procedura di concordato preventivo un diverso e dissimulato rapporto. Ne consegue il pieno accoglimento del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.cricorso., estinta e, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.
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DIRITTO. La questione ha Dall’esposizione delle parti e dalla documentazione prodotta emerge come i fatti posti a base della controversia siano sostanzialmente pacifici: ciò vale sia quanto al recesso, che alle comunicazioni intercorse, nonché alle iniziative assunte dall’intermediario ed alla segnalazione stessa. Del pari, provato è che il ricorrente, al pari degli altri destinatari, sia stato messo in mora, poiché la missiva del 21 maggio 2008 è stata espressamente indirizzata ai garanti. Ciò su cui le parti hanno posizioni opposte sono i principi da applicare in punto di diritto. Punto di partenza del discorso, tenuto conto che per oggetto l’assunta il ricorrente la prima ragione di illegittimità della perdurante segnalazione discende dall’estinzione della garanzia ex art. 1957 c.c., è la qualificazione della garanzia di cui si discute, tenuto conto che, com’è noto, detta norma (a prescindere dalla deroga pattuita nella specie, come si dirà tra poco) è applicabile alle fideiussioni, ma non ai contratti autonomi di garanzia. Emerge dalla copia prodotta che si tratta di due cd. fideiussioni omnibus rilasciate rispettivamente in Centrale Rischi data 26 settembre 2001 per Lire 1.300.000.000 e in data 15 luglio 2002 per € 1.800.000,00 da più soggetti tra cui l’odierno ricorrente. Il testo, che sembra – per la parte leggibile – identico per entrambe le garanzie, prevede, per quanto rileva in questa sede (i) la facoltà di recesso del nominativo garante mediante lettera raccomandata da inoltrare alla filiale della banca presso cui è radicato il rapporto garantito, con efficacia decorso il termine di 30 giorni dalla ricezione della dichiarazione stessa (art. 4); (ii) l’efficacia della garanzia fino a totale estinzione di ogni credito della banca nei confronti del ricorrentedebitore garantito, stante l’asserito venir meno del suo obbligo fideiussorio ai sensi dell’artin espressa deroga all’art. 1957 c.c. Per accertare se nel caso (art. 6); (iii) l’obbligo del garante di pagare immediatamente alla banca a semplice richiesta scritta, anche in esame l’obbligo presenza di opposizione del debitore (art. 7); (iv) l’espressa previsione che la garanzia è “astratta e autonoma, e che pertanto la sua efficacia prescinde dalla validità ed efficacia degli atti generanti le obbligazioni principali” (art. 8); (v) la responsabilità di ciascuno dei fideiussori per l’intero ammontare del debito (art. 10). Ad avviso del Collegio, la garanzia oggetto della segnalazione contestata va qualificata, in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garantelinea con l’orientamento della Corte di Cassazione, come affermato contratto autonomo di garanzia, dal ricorrentemomento che le parti hanno non solo espressamente previsto la sua astrattezza ed autonomia (cfr. art. 8), oma anche una clausola di pagamento “a prima richiesta” e non sussistendo nel testo alcuna “evidente discrasia rispetto all'intero contenuto della convenzione negoziale” (Cass. civ. Sez. Unite, viceversa18 febbraio 2010, permangan. 3947): “Il contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), espressione dell'autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, …., contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l'adempimento della medesima obbligazione principale altrui (attesa l'identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante); inoltre, la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l'elemento dell'accessorietà, è tutelato l'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione principale. … L'inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni" vale di per sé a qualificare il negozio come sostenuto contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione”, salvo, appunto, quando vi sia un'evidente discrasia rispetto all'intero contenuto della convenzione negoziale. Da tali premesse, la Corte ha fatto discendere il corollario secondo cui “Al contratto autonomo di garanzia, in difetto di diversa previsione da parte dei contraenti, non si applica la norma dell'art. 1957 c.c., sull'onere del creditore garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del debitore principale, poiché tale disposizione, collegata al carattere accessorio dell'obbligazione fideiussoria, instaura un collegamento necessario e ineludibile tra la scadenza dell'obbligazione di garanzia e quella dell'obbligazione principale, e come tale rientra tra quelle su cui si fonda l'accessorietà del vincolo fideiussorio, per ciò solo inapplicabile ad un'obbligazione di garanzia autonoma” (sentenza citata). A identiche conclusioni è pervenuto anche questo Arbitro laddove si è occupato della validità della clausola (comunque presente anche nella specie) che subordina la liberazione dalla parte resistente garanzia all’integrale estinzione del credito nei confronti del debitore principale. Con la decisione n 253/2011, ad esempio, il Collegio di Roma, in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia una fattispecie in cui le parti avevano espressamente derogato all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una ha notato come, pur in presenza della deroga “il fideiussore … potrebbe far valere l’inoperatività della deroga qualora il comportamento del creditore sia improntato a mala fede, e dall’altra dunque la persistenza del vincolo fideiussorio derivante da detta deroga consegua in sostanza a un abuso del diritto da parte del creditore medesimo”. Tuttavia, tale condotta abusiva va provata, cosa che nella specie non è. Tutto ciò a sostegno prescindere dalla validità della deroga al citato art. 1957 c.c.. Se questi sono i principi applicabili nella specie, appare chiaro come diventi del tutto irrilevante la questione, pur sollevata dall’intermediario, se la missiva di costituzione in mora della debitrice, indirizzata anche al ricorrente, valga ai fini dell’art. 1957 c.c. tenuto conto che nei 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale (da individuarsi nella data della lettera di messa in mora) la banca non ha attivato alcun mezzo di tutela giurisdizionale del proprio credito, al pari di quella della valenza da assegnare sempre a questi fini dell’avvenuta insinuazione del credito della banca nello stato passivo del fallimento della società garantita. Sotto un profilo sostanziale, pertanto, sembrano sussistere i presupposti per la segnalazione in Centrale Rischi delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali garanzie di cui alla costituzione della fideiussionesi discute. In prospettiva generaleproposito, occorre inoltre è bene ricordare che, che le disposizioni afferenti la Centrale Rischi (si veda in relazione alla particolare per gli aspetti applicativi la Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio e successive modificazioni) prevedono che “Sono comprese nella categoria di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle censimento garanzie ricevute dall’intermediariole garanzie reali e personali rilasciate agli intermediari allo scopo di rafforzare l'aspettativa di adempimento delle obbligazioni assunte dalla clientela nei loro confronti. In particolare devono essere segnalate, ma anche i presupposti che ne legittimano previa valorizzazione dell'apposita variabile di classificazione, le garanzie reali esterne, cioè le garanzie reali rilasciate da soggetti diversi dall’affidato (ad es. terzo datore di ipoteca); le garanzie personali di “prima istanza”; le garanzie personali di “seconda istanza”, la cancellazione, precisando cui efficacia è condizionata all'accertamento dell'inadempimento del debitore principale e degli eventuali garanti di prima istanza” così come “l’obbligo dell’intermediario L'obbligo di segnalare o segnalazione della garanzia [sorga] contestualmente al perfezionamento dell'operazione garantita salvo che la garanzia venga acquisita successivamente” e che “In caso di mantenere inadempimento del soggetto garantito e di infruttuosa escussione della garanzia che assiste il finanziamento, la segnalazione delle deve permanere nella categoria di censimento garanzie ricevute cessa o ‘- indicando nello stato del rapporto “garanzia attivata con esito negativo” - fintanto che esiste il rapporto garantito. … Le garanzie ricevute non devono essere più segnalate quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘; …”. Come questo Arbitro ha già avuto modo di notare (cfr. decisione n. 6319/2015) “Le garanzie ricevute non devono essere più segnalate quando si estingue l'obbligazione del garante” e “Nell’ipotesi in cui il rapporto garantito viene ad estinguersi ma l’intermediario vanti ancora un credito verso il garante, questo dovrà essere segnalato tra i crediti per cassa” (cfr. sul punto anche la decisione n. 3089/2012 del Collegio di Coordinamento e decisione n. 6542/2015 del Collegio di Milano). Dunque, ai fini della decisione, rilevano gli specifici svolgimenti di fatto che consentono di affermare come i presupposti per la cancellazione non si siano verificati o, almeno, che sia quanto meno dubbio il loro verificarsi, tenuto altresì conto che l’onere della prova dei fatti che consentano di ritenere venuto meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014)garanzia incombe su chi contesta la legittimità della segnalazione. Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti Quanto alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso dedotta illegittimità sotto il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento profilo procedurale della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, di seguito, la segnalazione “a sofferenza” del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindide qua, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento eccepisce di non aver ricevuto il preavviso prescritto dall’art. 4, comma 7, del Codice di deontologia e di buona condotta per i Sistemi di informazioni creditizie e dall’art. 125 del T.U.B.. In proposito si deve tuttavia rilevare che la prima delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, disposizioni richiamate si riferisce alle segnalazioni di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone contenuto negativo mentre l’art. 1957 c.c.125 del T.U.B. trova applicazione soltanto per i clienti consumatori. Inoltre, “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare appare dalla stampa prodotta che la posizione del garante resti sospesa sine die (cosìsegnalazione concerne soltanto la garanzia rilasciata per € 1.800.000,00 e sempre con il codice 179, da ultimoche si riferisce a “rapporti non contestati; garanzia non attivata”, Cass. n. 1724/2016). In tale otticanon, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella speciecioè, a fronte risultanze negative. Quanto alla domanda di cancellazione di altre eventuali segnalazioni nei SIC, nulla è stato prodotto in proposito, né allegato. Il mancato accoglimento della contestazione domanda esime il Collegio dall’esame della richiesta risarcitoria, che ha ad oggetto soltanto il pregiudizio non patrimoniale, ad avviso del ricorrente in ordine re ipsa e rispetto al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 c.c., estinta equale, pertanto, non più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischinulla è stato allegato.
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi L’appendice n. 1 alla fideiussione che è stata rilasciata dall’intermediario resistente (e allegata al ricorso) espressamente prevede quanto segue: «Per patto essenziale, ad integrazione di quanto letteralmente sancito dall’art. 3, D.lgs. n. 122/2005, come da espresso accordo tra le parti (cfr. art. 3 prel.), la presente fideiussione garantisce altresì il rischio del nominativo mancato rilascio del permesso di costruire entro e non oltre il termine massimo di 10 (dieci) mesi dalla data di stipula del contratto garantito, nel qual caso potrà essere escussa dal Promissario Acquirente, indipendentemente dalla causa di detto mancato rilascio […]». Nel caso di specie, non essendo stato rilasciato il permesso di costruire l’edificio acquistato dal ricorrente, stante l’asserito venir meno questi pretende di esercitare i diritti derivanti dalla garanzia rilasciata dal confidi. Si pone tuttavia il problema preliminare della validità del suo obbligo fideiussorio contratto di fideiussione di cui si tratta, presupposto di ogni domanda tesa a ottenere l’adempimento delle obbligazioni che ne derivano. Infatti, occorre anzitutto rilevare che l’intermediario resistente era iscritto nell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal previgente art. 155, 4° comma, t.u.b.). L’art. 112, 1° comma, t.u.b., statuisce che i confidi esercitano «in via esclusiva l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali». Ai sensi dell’art. 13 (Disciplina dell’attività di garanzia collettiva dei fidi), 2° comma, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, «I confidi, salvo quanto stabilito dal comma 32, svolgono esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi e dei servizi a essa connessi o strumentali, nel rispetto delle riserve di attività previste dalla legge» (sottolineature aggiunte). Il comma 32 del predetto articolo di legge si riferisce ai confidi iscritti nell’elenco speciale di cui al previgente art. 107 t.u.b., oggi corrispondente all’albo degli intermediari finanziari di cui all’art. 106 t.u.b.: esso non rileva pertanto ai fini del presente giudizio, dato che, come si è già rilevato, l’intermediario resistente era iscritto invece nell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal previgente art. 155, 4° comma, t.u.b.). Secondo i Chiarimenti in materia di rilascio di garanzie resi il 7 ottobre 2011 dalla Banca d’Italia, «[…] i confidi iscritti ai sensi dell’art. 1957 155, comma 4, del TUB nell’apposita sezione dell’elenco generale, possono svolgere esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi che consiste nella “prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie” volta a favorire l’accesso delle piccole e medie imprese associate al credito di banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario […], nonché attività connesse e strumentali. A tali operatori è pertanto vietato l’esercizio di prestazioni di garanzie diverse da quelle indicate e, in particolare, nei confronti del pubblico, nonché l’esercizio delle altre attività riservate agli intermediari finanziari». Con particolare riguardo al caso di specie, l’art. 3, 1° comma, del decreto legislativo n. 122 del 2005 espressamente statuisce che, per quanto qui rileva, «la fideiussione è rilasciata da una banca, da un’impresa esercente le assicurazioni o da intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni». Come si è già rilevato, l’intermediario resistente è iscritto invece nell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal previgente art. 155, 4° comma, t.u.b.). Pertanto, nella specie l’intermediario resistente ha agito in un ambito che gli era precluso dalla legge, tra l’altro con potenziale rilevanza della sua condotta ai fini della configurabilità del reato di abusiva attività finanziaria ex art. 132 TUB. Oggetto della controversia è, infatti, un rapporto di garanzia individuale (e non collettiva) connesso alla compravendita di un immobile da costruire. Occorre quindi interrogarsi in ordine alle conseguenze che la violazione di tali norme comporti sul piano civilistico, con particolare riguardo alla validità della garanzia rilasciata dal confidi resistente. Del resto, si tratta di un rilievo officioso cui il Collegio è sicuramente abilitato nel caso di specie, dal momento che, come s’è anticipato, la questione della validità del titolo contrattuale costituisce un presupposto logico necessario per potere eventualmente dichiarare l’intermediario tenuto ad adempiere l’obbligazione da esso derivante. In effetti, nella giurisprudenza dei Collegi ABF è emersa difformità di indirizzi. Secondo un primo orientamento, conseguenza della inosservanza dei limiti che la legge impone all’operatività dei confidi non può che essere la nullità del contratto concluso in violazione, quale è la fideiussione che il ricorrente vuole giustappunto qui azionare. Si evidenzia al riguardo che la “conclusione di un contratto rientrante nell’ambito di un’attività riservata da parte di un soggetto che non è autorizzato al suo svolgimento, infatti, determina necessariamente la nullità di quel contratto ex art. 1418 c.c. Per accertare se nel (cons. Cass. 7 marzo 2001, n. 3272; e, per un caso analogo a quello in esame l’obbligo di segnalazione in Centrale ▇▇▇▇▇▇ sia cessato per estinzione dell’obbligazione del garanteesame, come affermato dal ricorrente, o, viceversa, permanga, come sostenuto dalla parte resistente in considerazione della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussione. In prospettiva generale, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/20141896 del 28 marzo 2014). Circa l’applicabilità dell’artNon potendo il contratto nullo dispiegare alcun effetto, non è evidentemente possibile dichiarare l’intermediario tenuto al suo adempimento” (così, Collegio di Roma, dec. 1957 c.c8139/2014). al caso Il diverso e opposto orientamento richiama invece la giurisprudenza della Cassazione civile, sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725 secondo cui “in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (a tenore c.d. nullità virtuale), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione può essere fonte di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimentoresponsabilità. Ne consegue che, in deroga tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a quanto previsto dall’artcarico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all'art. 1957 6, l. n. 1/1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (…); in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, comma 1, c.c., si stabilisce la nullità”, oltre al più generale principio del divieto di venire contra factum proprium, sicché in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantitaogni caso non parrebbe ammissibile per il garante far valere la nullità di un contratto che egli stesso ha stipulato, con la conseguenza che detto contratto deve reputarsi valido e opponibile al garante (v. Collegio di Milano, dec. 1893/2015). L’esame deve muovere dall’art. 1418, primo comma, cod. civ., a norma del quale la nullità (virtuale) riguarda il contratto “contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente”) configura infatti . L’invalidità del negozio postula dunque un duplice passaggio logico, poiché l’indagine deve toccare: in primo luogo, il carattere imperativo del precetto violato mediante la conclusione del contratto; e, in secondo luogo, eventuali previsioni che valgano a escludere la sanzione della nullità. Sotto il primo punto di vista, pur non essendo necessario indugiare sul controverso rapporto tra imperatività e inderogabilità, occorre, ciò nondimeno, appuntare l’attenzione su alcuni ‘indici’ rivelatori del carattere imperativo di una norma, quali, per esempio, la strumentalità al perseguimento dell’interesse pubblico ovvero la medesima inderogabilità di essa. Non acquista rilevanza decisiva, sotto questo punto di vista, la circostanza che la conclusione del contratto possa integrare una fattispecie di illecito penale, atteso che detta eventualità non assimilabileimporta, stante di per sé sola, la sua ambigua formulazioneinvalidità del negozio, specialmente là dove l’accordo non incida direttamente sulla ratio del precetto penale. L’esigenza cui il carattere imperativo della norma è funzionale merita qualche attenzione in più poiché il tema si lega strettamente con l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente” di cui all’art. 1418, primo comma, cod. civ. La deroga alla nullità virtuale, infatti, non si esprime in una espressa clausola di ‘salvezza’ del contratto concluso in violazione della norma imperativa. Del resto, se così fosse, la nullità (nei casi non coperti dalla deroga espressamente prevista) sarebbe testuale e nemmeno varrebbe interrogarsi sulla imperatività del precetto. Alla ‘salvezza’ del negozio, invece, può giungersi sulla scorta di ulteriori indici normativi, di talché la nullità andrebbe esclusa ogni qualvolta la legge assicuri la effettività della norma imperativa violata (ossia il soddisfacimento della specifica ratio di essa) mediante rimedi diversi rispetto alla invalidità del negozio. Come è stato già osservato, i limitati ambiti di operatività riconosciuti ai confidi danno ragione dei controlli meno incisivi, cui essi sono soggetti, rispetto non solo alla vigilanza prudenziale che caratterizza l’attività bancaria in senso stretto, ma anche a quella cherelativa agli intermediari finanziari. A fronte di ciò e, secondo il prevalente orientamento della Cassazionein particolar modo, esclude l’operare del termine divieto di decadenza stabilito dalla norma codicistica rilasciare garanzie a beneficio del pubblico, la invalidità del contratto, la cui contrarietà alle norme imperative anzidette tende ad approssimare finanche la impossibilità giuridica dell’oggetto (cfre dunque la nullità ‘strutturale’), non sembra trovare idonea alternativa nelle sanzioni penali ovvero – come è accaduto nel caso di specie – nel successivo provvedimento di ritiro dell’iscrizione comminato al confidi. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui Del resto, le ragioni poste a supporto dell’orientamento che postula la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione perdurante validità del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora non sono del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) tutto convincenti e, pertanto, paiono superabili. Esse, invero, ruotano intorno alla distinzione tra regole di seguitocomportamento e regole di validità e alle ben note sentenze nn. 26724 e 26725 del 2007, rese dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Esse concernono la segnalazione “violazione di regole (inderogabili) di comportamento, con particolare riguardo ai doveri di protezione e di informazione nella fase prenegoziale ed esecutiva. Ipotesi affatto diversa dalla speciale capacità richiesta dalla legge per la stessa conclusione del negozio. Né si potrebbe ridurre i limiti operativi imposti ai confidi dalla disciplina di settore a sofferenza” mero dovere di informare il cliente sul superamento del nominativo di quest’ultimolimite. Se, stante il perdurare della sua insolvenza (come infatti, una tale condotta valesse a escludere la invalidità del contratto, si finirebbe per trasformare una norma da comunicazione del 09.09.2011)imperativa a dispositiva, per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il comportamento del creditore e cioè se nei 36 mesi successivi al giugno 2011 abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova frustrando la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali stessa esigenza di tutela del diritto beneficiario della garanzia che invece è alla base degli anzidetti limiti operativi. Del resto, se è vero – come insegna la giurisprudenza della Cassazione – che l’inosservanza di doveri comportamentali è fonte di responsabilità anche nel caso di validità del contratto successivamente concluso, è altrettanto vero che la responsabilità precontrattuale ex art. 1338 cod. civ. presuppone, e non supera, la invalidità del negozio. Inoltre, si deve rilevare che le sentenze delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, alle quali esplicitamente si ispira il descritto orientamento di taluni Collegi ABF, chiariscono che «l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed conformità del disposto dell’art. 1418, 1° comma, c.c. è in effetti più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il soddisfacimento della pretesa creditriceriferimento al solo contenuto del contratto medesimo. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa Vi sono sicuramente ricomprese anche le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue norme che, risultando inutilmente trascorsi in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di 36 mesiquelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo». Alla luce di quanto sin qui osservato, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersisi deve pertanto ritenere che, ai sensi dell’art. 1957 112, 1° comma, t.u.b., fosse vietato all’intermediario resistente, in quanto iscritto nell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal previgente art. 155, 4° comma, t.u.b.), di stipulare il contratto di fideiussione oggetto del presente giudizio. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, c.c., estinta e, pertantotale contratto è stato stipulato in violazione di una norma imperativa ed è pertanto affetto da nullità. Nella delineata prospettiva, non può tuttavia trascurarsi che l’accertata nullità si rifletterebbe in un ingiusto pregiudizio per il ricorrente, il quale perderebbe il diritto all’indennizzo per una violazione di norme, perpetrata attraverso la stipulazione del contratto, cui egli non ha dato causa. Pertanto, ad avviso del Collegio, l’affidamento riposto dal ricorrente nella validità del contratto appare meritevole di un’incisiva tutela. E tale non sarebbe quella, ricavabile dal diritto comune, conseguente a un’eventuale domanda risarcitoria (peraltro non proposta dal ricorrente), la quale, ai sensi dell’art. 1338 c.c., rileverebbe alla stregua di ipotesi di responsabilità da culpa in contrahendo e potrebbe pertanto tenere indenne il creditore garantito soltanto dalla lesione del c.d. interesse negativo, con un risarcimento che, in un caso come quello di specie, sarebbe prossimo allo zero. A una tutela dotata di maggior grado di effettività può invece giungersi facendo ricorso al canone applicativo della analogia iuris. Non è infatti estranea al nostro ordinamento giuridico l’esistenza di un principio, ormai reputabile come generale, disciplinante la nullità contrattuale, che ne limita l’accertamento ai casi in cui da quest’ultimo non riverberino conseguenze pregiudizievoli nella sfera giuridica del contraente che a quella nullità non ha dato causa. Tale esigenza di particolare tutela ha ispirato l’introduzione nel nostro sistema, a partire dagli anni novanta dello scorso secolo, delle così dette nullità di protezione, orientate principalmente alla salvaguardia degli interessi del consumatore, ma, più giustificata in generale, del contraente che, rispetto al rapporto instaurato, viene a trovarsi, incolpevolmente, in una condizione deteriore. Il rimedio della nullità, infatti, comporta l’accertamento della inefficacia ab origine dell’atto viziato, il quale si considera come se non fosse mai stato stipulato, con conseguenze, quali la segnalazione ripetibilità dei pagamenti eseguiti o l’inesigibilità delle prestazioni pattuite dalle parti, spesso pregiudizievoli per uno dei contraenti, che avrebbe interesse di gran lunga maggiore all’esecuzione del suo nominativo contratto piuttosto che all’accertamento della sua inefficacia Nel quadro delle regole da cui sembra potersi ricavare il principio generale dianzi enunciato, sembra potersene individuare in Centrale Rischi.particolare una che, ad avviso del Collegio, rivela una ratio agevolmente adattabile al caso di specie. Infatti, l’art. 167 del Codice delle assicurazioni private (d.lgs. 209/2005), a fronte della invalidità più radicale sancita nel comma 1, ai sensi del quale «È nullo il contratto
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DIRITTO. La questione ha per oggetto l’assunta illegittimità della perdurante segnalazione in Centrale Rischi controversia sottoposta all’esame del nominativo Collegio verte sulla non corretta determinazione del TAEG lamentata dalla ricorrente, stante l’asserito venir meno in ragione della mancata inclusione nel costo complessivo del suo obbligo fideiussorio finanziamento delle polizze assicurative sottoscritte dalla ricorrente unitamente al contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente. Come noto, il vigente art. 121 TUB prevede che “Nel costo totale del credito sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte”. In senso conforme anche le Disposizioni in materia di Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari per la rilevazione del TAEG: “Nel TAEG sono inclusi i costi, di cui il finanziatore è a conoscenza, relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito e obbligatori per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni offerte” (Sez. VII, par. 4.2.4). Nel caso ora in esame, il contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente nel luglio 2012 – e cui trovano applicazione le previsioni normative sopra richiamate – qualifica espressamente le polizze assicurative sottoscritte dalla ricorrente come facoltative. Al riguardo, come segnalato anche dall’ordinanza di rimessione, è ormai acquisita e condivisa dai Collegi territoriali la considerazione per cui l’espressa qualificazione come facoltativa della polizza (o delle polizze) assicurativa(e) sottoscritta(e) dal cliente non è di per sé sola sufficiente e decisiva per considerare la polizza (o le polizze) facoltativa(e) anche ai sensi dell’arte per gli effetti di cui all’art. 1957 c.c121 TUB (cfr. Per accertare se nel caso tra le molte Collegio di Roma, decisioni n. 8128/2015; n. 735/2016; n. 8009/2016; Collegio di Napoli, decisioni n. 6797/2016; n. 7811/2016). Le conclusioni raggiunte dai Collegi territoriali poggiano sulla ritenuta – e qui condivisa – inadeguatezza del solo dato formale per una valutazione (e una conseguente qualificazione) in esame l’obbligo termini di segnalazione facoltatività della polizza assicurativa ai fini di cui all’art. 121 TUB. In tal senso depongono chiaramente anche i risultati delle indagini condotte da IVASS e Banca d’Italia e illustrati nella lettera congiunta al mercato del 26 agosto 2015, che confermano l’inadeguatezza e l’insufficienza del mero dato formale: “Dalle risultanze degli accertamenti ispettivi autonomamente condotti nei rispettivi ambiti di competenza dall’IVASS e dalla Banca d’Italia sono emersi casi in Centrale cui l’erogazione del prestito è risultata sistematicamente abbinata alla sottoscrizione di una polizza di assicurazione nonostante la natura facoltativa di quest’ultima. Alcuni indici di ‘penetrazione assicurativa’ rilevati, risultati anche superiori all’80%, possono essere sintomatici del carattere sostanzialmente vincolato delle polizze”. Nella stessa lettera congiunta si dà, inoltre, atto delle indagini di mistery shopping svolte da alcune Associazioni dei consumatori “presso sportelli bancari, dalle quali è emerso che in una percentuale significativa di casi la polizza continua a essere proposta ai clienti come condizioni necessaria per accedere al prestito, presentandola come obbligatoria o ‘facendo capire’ al consumatore che è fortemente consigliata per superare favorevolmente l’istruttoria per l’erogazione del prestito” (lettera congiunta al mercato IVASS-Banca d’Italia, 26 agosto 2015). Ragionare in senso contrario, dando esclusivo rilievo al mero dato formale e riconoscendo, pertanto, la natura facoltativa della polizza assicurativa in ragione della sua sola qualificazione negoziale, comporta, all’evidenza, la possibilità di ridurre sensibilmente, fino ad escluderla, la portata precettiva della normativa di riferimento (art. 121 TUB; nonché, seppur in una diversa prospettiva, art. 28, d.l. n. 1/2012), pregiudicando, di fatto, quel “livello elevato (…) di tutela” degli interessi dei “consumatori della Comunità” cui il legislatore nazionale è chiamato dalla normativa comunitaria (cfr. il considerando n. 9, Direttiva2008/48/CE) e nella cui direzione si muovono anche gli auspici di IVASS e Banca d’Italia per la definizione da parte degli intermediari di “modalità e tempi di offerta atti a evitare condizionamenti nella negoziazione del finanziamento” (v. la già citata lettera congiunta del 26 agosto 2015). Come confermato anche dai risultati degli accertamenti compiuti dalle Autorità di ▇▇▇▇▇▇ sia cessato ▇▇▇▇, il ricorso al solo criterio formale determinerebbe, infatti, un elevato rischio di falsi negativi, connesso alla qualificazione come facoltative di polizze assicurative, in realtà, obbligatorie, con conseguente esclusione del relativo costo dal computo del TAEG. Ciò premesso, appare, pertanto, decisivo chiarire in quali circostanze e a quali condizioni la polizza assicurativa collegata ad un contratto di finanziamento possa essere considerata obbligatoria ai sensi dell’art. 121 TUB, anche contrariamente a quanto indicato dalle parti (recte, dal finanziatore) nella documentazione contrattuale. Se la chiara e formale indicazione della natura facoltativa della polizza per estinzione dell’obbligazione la concessione del garantefinanziamento appare, infatti, in assenza di altrettanto chiari e formali indici contrari, difficilmente superabile e tale da non consentire di qualificare la polizza assicurativa come affermato dal ricorrenteobbligatoria “per ottenere il credito”, oa differenti conclusioni può e deve giungersi, viceversainvece, permangacon riferimento alla possibilità di considerare la polizza obbligatoria (non per la mera volontà del finanziatore, come sostenuto dalla parte resistente ma) per ottenere il finanziamento “alle condizioni offerte”. Mentre nel primo caso, l’obbligatorietà della polizza assicurativa è riconducibile alla mera volontà (alla richiesta) del finanziatore che trova naturale espressione nella documentazione contrattuale, quale indice rivelatore, appunto, della natura attribuita al “servizio accessorio” difficilmente superabile; nel secondo caso, invece, essa appare connessa (anche) alla idoneità e capacità della stessa polizza di incidere sulle “condizioni [del credito] offerte”, in considerazione ragione delle quali il finanziatore può richiederne la relativa stipulazione, potendosi, pertanto, prospettare una differente soluzione qualora tali caratteristiche e condizioni della non risolta posizione debitoria, occorre rifarsi sia all’art. 1957 c.c., richiamato dall’una polizza emergano in maniera precisa e dall’altra parte a sostegno delle proprie opposte ragioni, sia alle previsioni negoziali di cui alla costituzione della fideiussioneoggettiva. In prospettiva generaletermini generali, occorre inoltre ricordare che, in relazione alla Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (Cap. II - Classificazione dei rischi -, Sez. 2, Par. 3 - Garanzie ricevute -), in varie occasioni questo Arbitro - in linea con la giurisprudenza civile ed il Collegio di Coordinamento (cfr. decisione n. 3089/2012) - ha evidenziato non solo i requisiti di legittimità della segnalazione in Centrale Rischi delle garanzie ricevute dall’intermediario, ma anche i presupposti che ne legittimano la cancellazione, precisando come “l’obbligo dell’intermediario di segnalare o di mantenere la segnalazione delle garanzie ricevute cessa o ‘quando si estingue l'obbligazione del garante’ o ‘quando viene meno il rapporto garantito’” (Collegio di Milano, decisione n. 8288/2014). Circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso in esame, pare non doversi dubitare: l’art. 5 (Responsabilità del fideiussore) del contratto (a tenore del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”) configura infatti una fattispecie non assimilabile, stante la sua ambigua formulazione, a quella che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, esclude l’operare del termine di decadenza stabilito dalla norma codicistica (cfr. Cass. n. 16836/2015: “nell’ipotesi in cui la durata stipulazione di una fideiussione sia correlata non alla scadenza La citata disposizione impone al creditore, il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi, termine peraltro derogabile (come infatti risulta previsto al già ricordato art. 5 della fideiussione, che lo fissa a “36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita”). Accertata la scadenza dell’obbligazione principale, da individuarsi nella risoluzione polizza assicurativa può incidere sulle condizioni del contratto di finanziamento (avvenuta in data 23.06.2011), da cui è conseguita la costituzione in mora del debitore principale e del garante (il 28.07.2011) e, a seconda dei casi, anche sulla sua stessa conclusione) ogni qual volta sia idonea ad incidere ex ante – eliminandolo o riducendolo – sul rischio di seguito, la segnalazione “a sofferenza” solvibilità del nominativo di quest’ultimo, stante il perdurare della sua insolvenza (come da comunicazione del 09.09.2011), per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante, sia, di seguitocliente sopportato dal finanziatore; rischio che, come debitore “noto, costituisce uno dei principali fattori in sofferenza”), occorre valutare il comportamento base ai quali lo stesso finanziatore compie normalmente la valutazione sul merito creditizio del creditore cliente (art. 124-bis TUB) e cioè se nei 36 mesi successivi definisce al giugno 2011 abbia, come dispone l’artcontempo le condizioni del credito. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. La circostanza che il creditore debba prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza Tale capacità/idoneità è espressamente riconosciuta dal legislatore nell’ambito dell’erogazione di evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die prestiti o mutui rimborsabili mediante cessione di quote dello stipendio o della pensione (così, da ultimo, Cass. n. 1724/2016). In tale ottica, l’osservanza del suddetto onere esige, secondo il costante orientamento della Cassazione, il ricorso a mezzi processuali di tutela del diritto in via cognitoria o esecutiva volti ad ottenere l’accertamento ed il soddisfacimento della pretesa creditrice. Nella specie, a fronte della contestazione del ricorrente in ordine al mancato assolvimento da parte dell’intermediario delle attività dirette a recuperare il credito, parte resistente non ha offerto se non indicazioni generiche circa le attività intraprese nei confronti dell’obbligato principale (si parla di un affidamento della posizione debitoria ad una società di recupero crediti), senza riferimento alcuno a specifiche iniziative giudiziarie o all’impossibilità di esperirle per la presenza di ostacoli giuridici (come, ad es, l’apertura della procedura di concordato preventivo del debitore: così, Cass. 3085/ 1996). Da ciò consegue che, risultando inutilmente trascorsi più di 36 mesi, l’obbligazione fideiussoria a carico del ricorrente debba ritenersi, ai sensi dell’art. 1957 art. 54 d.P.R. n. 180/1950, sono obbligatoriamente assistiti da una copertura assicurativa: “Le cessioni di quote di stipendio o di salario consentite a norma del presente titolo devono avere la garanzia dell'assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego od altre malleverie che ne assicurino il ricupero nei casi in cui per cessazione o riduzione di stipendio o salario o per liquidazione di un trattamento di quiescenza insufficiente non sia possibile la continuazione dell'ammortamento o il ricupero del residuo credito”), sia alla assicurazione “sulla vita dell’assicuratore/debitore prestata in funzione dell’erogazione dei prestiti o mutui” (v. art. 10, Reg. ISVAP n. 29/2009), sia alla assicurazione stipulata “dal debitore/assicurato per garantirsi dell’impossibilità di adempiere all’obbligazione di pagamento a favore dell’ente finanziatore a causa della perdita dell’impiego, con conseguente cessazione dell’erogazione dello stipendio” (v. art. 14, Reg. ISVAP, n. 29/2009). Nelle ipotesi ora richiamate, il legislatore prende atto della funzione delle polizze assicurative che, oltre a garantire in via immediata il bisogno o l’interesse dell’assicurato quale beneficiario della polizza (artt. 1882, 1904 c.c.), estinta tutelano – in via mediata riducendo o eliminando gli effetti (patrimoniali) negativi degli eventi e dei sinistri dedotti in polizza (i.e., la morte e la perdita di impiego) – anche l’interesse del finanziatore alla conservazione della originaria situazione patrimoniale e finanziaria del cliente presente al momento della concessione del finanziamento, alla luce della quale l’intermediario ha: i) effettuato le proprie valutazioni sul merito creditizio del cliente e, pertanto, non per quanto qui più giustificata la segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.rileva,
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