COLLEGIO DI TORINO
COLLEGIO DI TORINO
composto dai signori:
(TO) ▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇ Presidente
(TO) ▇▇▇▇▇▇▇▇▇ Membro designato dalla Banca d'Italia
(TO) BATTELLI Membro designato dalla Banca d'Italia
(TO) DALMOTTO Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(TO) CATTALANO Membro di designazione rappresentativa dei clienti
Relatore ▇▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇
Seduta del 09/06/2021
FATTO
Il ricorrente, dopo aver inutilmente esperito reclamo in data 07/07/2020, presentava ricorso all’ABF competente assumendo di essersi rivolto al centro di cure dentistiche di una società esperta nel settore nel marzo 2019, quando – a fronte del preventivo - veniva emessa fattura a cui dovevano seguirne altre.
Assumeva di aver pertanto sottoscritto un finanziamento con la resistente e che in data 23/06/2020 decideva di inviare una diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., in ragione della definitiva interruzione delle cure da parte della società, che con la propria condotta – che risultava permanere nonostante la riapertura generalizzata delle attività commerciali e che parte ricorrente aveva inizialmente tollerata perché ritenuta imputabile al lockdown da Covid 19– si rendeva gravemente inadempiente.
Rilevava di aver per le medesime ragioni sospeso il pagamento delle rate dal 7/07/2020 e di contestare il grave inadempimento con la predetta diffida, rimasta insoddisfatta, nonché di considerare risolto il contratto di cura e di aver comunicato la risoluzione del contratto di finanziamento connesso.
Riferiva di aver corrisposto rate per complessivi € 1.104,75 e di essersi sottoposto alla visita di altro professionista, in data 8/10/2020, che così accertava le incongruenze tra i lavori oggetto di preventivo e quelli effettivamente eseguiti.
Comunicava che la società in parola era stata dichiarata fallita nell’ottobre 2020 e di ritenere che l’inadempimento subito fosse di grave entità e di carattere totale, ciò alla luce
del carattere complesso delle cure preventivate e l’importanza delle stesse ai fini di assicurare la tutela effettiva della salute del cliente: sicché il parziale adempimento della società in parola equivaleva a inadempimento.
Assumeva di ritenere che ai sensi dell’art. 125 quinquies TUB l’inadempimento della società fornitrice dava diritto alla risoluzione del contratto di finanziamento collegato, di cui si richiedeva il rimborso integrale delle rate già corrisposte e la cancellazione delle eventuali segnalazioni nei SIC.
Concludeva chiedendo al Collegio:
- di accertare la risoluzione del contratto di finanziamento, in ragione del grave inadempimento e risoluzione del contratto di cure a questo collegate;
- di ordinare la restituzione delle somme già corrisposte e dichiarare non dovute le rate in scadenza;
- di ordinare la cancellazione delle eventuali segnalazioni in centrale rischi;
- di condannare la resistente al rimborso delle spese di procedura e di quelle di assistenza difensiva quantificate in € 500,00.
Si costituiva con controdeduzioni l’intermediario che, dopo aver richiamato gli atti di instaurazione del presente procedimento, rilevava di ritenere che non sussisteva competenza dell’ABF sul contenzioso proposto, sollecitando eventualmente una rimessione della questione al Collegio di coordinamento ABF: insisteva altresì per rimettere al Collegio di coordinamento la questione relativa al riparto dell’onere della prova considerato il contrasto esistente tra decisioni dei collegi territoriali e l’impossibilità per la resistente, ove le venisse richiesto di provare l’esatto adempimento del terzo, di potersi difendere in modo effettivo, considerata l’inammissibilità della chiamata del terzo nel procedimento ABF.
Eccepiva poi che parte ricorrente non aveva assolto l’onere della prova in merito all’inadempimento, considerato che da proprie evidenze risulta che la dental clinic avesse correttamente adempiuto: a riprova del fatto che la società in parola avesse adempiuto alle cure inserite nel preventivo del 04.03.2019 (collegato al contratto di finanziamento con la Banca), assumeva la circostanza in base alla quale l’odierno ricorrente, soddisfatto dell’operato, avesse continuato ad affidarsi a quest’ultima, ricevendo il preventivo del 17.04.2019 per Euro 1.236,90 nonché la fattura del 22.01.2020 per Euro 414,00.
Evidenziava che mancava la fattura rilasciata dalla società poi fallita in relazione al preventivo datato 04.03.2019, così come mancava il contratto di finanziamento di cui si richiedeva la risoluzione.
Contestava l’ammissibilità della documentazione di altro professionista, che assumerebbe il rilievo di perizia di parte.
Rilevava come la lettera di ▇▇▇▇▇▇▇▇▇ inviata dalla resistente all’odierno ricorrente, ed allegata da quest’ultimo al procedimento, non poteva sostituire la mancanza di prova del contratto di finanziamento, il cui onere di allegazione gravava su parte ricorrente.
Richiamava quindi la giurisprudenza ABF sulla pronuncia di risoluzione parziale del contratto di fornitura e del relativo contratto di finanziamento.
Eccepiva anche il mancato assolvimento dell’onere della prova in merito alla segnalazione presso la Centrale dei Rischi e di conseguenza riteneva infondata la domanda di risarcimento danni relativa e si opponeva alla restituzione delle spese assistenza legale.
Il resistente presentava le seguenti conclusioni in ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇:
- ▇▇ ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇:
o rigettare il ricorso per incompetenza per materia ovvero rimettere la questione al Collegio di Coordinamento;
o rimettere l’ulteriore questione proposta al Collegio di coordinamento;
- nel merito:
o rigettare il ricorso per inapplicabilità dell’articolo 125-quinquies T.U.B. e/o per il mancato assolvimento dell’onere della prova o comunque poiché assolutamente infondato per le ragioni esposte;
- in via estremamente subordinata di dichiarare la risoluzione parziale del contratto di finanziamento per la parte che eccedeva il valore delle cure eseguite
In sede di repliche alle controdeduzioni, parte ricorrente ha svolto considerazioni in merito alla prospettata incompetenza dell’ABF sostenendo che la stessa debba invece riconoscersi nel caso per cui è controversia e, con riferimento all’onere probatorio, dichiarava di aver dimostrato già con l’atto introduttivo al ricorso che sussisteva la prova dei presupposti per la tutela invocata.
Ha ritenuto priva di pregio, perché non rispondente al vero, la circostanza addotta dalla resistente per cui la medesima sarebbe impossibilitata a ricevere la documentazione relativa allo stadio di avanzamento delle cure ed ha richiamato la pregressa comunicazione della resistente datata 8/01/2021 in cui questa riconosceva che le cure non erano state ultimate.
Contestava comunque gli importi quantificati da controparte come misura delle cure eseguite e rilevava incongruenze tra la comunicazione dell’8/01/2021 e quanto poi sostenuto nelle controdeduzioni.
Evidenziava di fare riferimento – per la quantificazione delle prestazioni “dovute” - al preventivo di spesa in cui veniva indicato l’importo di € 3.500,00, pari all’importo finanziato e di poter documentare, tramite perizia rilasciata da altro professionista, che non erano stati eseguiti lavori per complessivi € 2.191,00.
Assumeva che, considerata la natura della prestazione e i conseguenti fastidi che potevano derivare da una semplice interruzione del piano di cure, il fatto di aver avuto la necessità di rivolgersi ad altro professionista era sintomo della totale inadempienza e di ritenere che se la resistente intendeva contestare il contenuto della perizia era suo onere allegare documentazione idonea.
Riferiva di ritenere che alla mancata allegazione di copia del finanziamento fosse possibile supplire con l’allegazione della “lettera di benvenuto” in cui si indicavano l’importo del finanziamento, il tipo di finanziamento, il numero e l’oggetto e che le condizioni generali di contratto richiamavano la tutela invocabile in caso di inadempimento del contratto collegato: tutela che intendeva esercitare a mezzo del presente procedimento.
Dava atto di aver puntualmente provato i fatti costitutivi della propria pretesa (considerando peraltro, in merito alla prova dell’inadempimento, l’avvenuta diffida e messa in mora rivolta alla resistente) e di rilevare che per i fatti per cui era controversia era in corso un procedimento dell’AGCM volto a valutare la condotta della società di servizi e gli intermediari coinvolti.
L’intermediario nelle controrepliche ha insistito nelle deduzioni già svolte, specificando ulteriormente che parte ricorrente non aveva dimostrato il grave inadempimento, che non poteva di per sé desumersi dall’avvenuto fallimento della società in parola - che ben poteva collocarsi in epoca successiva al momento in cui l’adempimento era avvenuto - ed eccepiva l’inadempimento della parte ricorrente a fornire ogni altra documentazione ed informazione in merito all'inadempimento da parte dell'Operatore Commerciale.
DIRITTO
Il presente ricorso riguarda la vicenda del fallimento di una nota società specializzata in cure odontoiatriche, che venivano finanziate attraverso il ricorso a prestiti erogati nel caso di specie dall’intermediario resistente.
In via pregiudiziale parte resistente ha eccepito l’incompetenza dell’ABF a decidere su controversie relative all’inadempimento del fornitore ai sensi dell’art. 125-quinquies TUB; infatti, secondo la prospettazione offerta, in linea con quanto disposto dall’art. 4 delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, dovrebbero ritenersi escluse dalla competenza dei Collegi territoriali le questioni relative a beni o servizi oggetto del contratto tra il cliente e l’intermediario, ovvero di contratti ad esso collegati (ad esempio, quelle riguardanti eventuali vizi del bene concesso in leasing o fornito mediante operazioni di credito al consumo).
Sempre il resistente ha rilevato che il provvedimento attraverso il quale viene dichiarata la risoluzione di un contratto ha valore costitutivo in quanto, a differenza dei provvedimenti dichiarativi e di condanna, oltre a contenere un accertamento della realtà giuridica, ha la caratteristica di “costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa” come stabilito dall’art. 2908 c.c.
Il Collegio, con riferimento ad entrambe le eccezioni sollevate, ritiene la propria competenza alla luce della decisione del Collegio di Coordinamento che, con decisione n. 12645 del 17/05/2021 ha rilevato come “Venendo al caso di specie va premesso che è orientamento consolidato dei Collegi territoriali affermare la propria competenza ratione materiae su controversie della specie.
E’ orientamento che va condiviso.
Ai sensi delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. I, paragrafo 4) “All’Arbitro Bancario Finanziario possono essere sottoposte dai clienti controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari”.
L’oggetto della domanda, in questo come in casi analoghi, è “l’accertamento” di un diritto inerente a un rapporto di prestazione di servizi finanziari, sia pure collegato con un diverso contratto, avente ad oggetto la prestazione di servizi o la vendita di beni. Le vicende del rapporto di fornitura interessano il contratto di finanziamento nella misura in cui, ai sensi di legge, costituiscono il presupposto per la relativa risoluzione; la valutazione di tali vicende ha pertanto natura incidentale rispetto al riconoscimento della fondatezza della domanda formulata dal cliente nei confronti dell’intermediario.
E’ stato inoltre osservato che dalla negazione della competenza dell’Arbitro conseguirebbe l’ineffettività del sistema di tutela cui l’Arbitro Bancario Finanziario appartiene, disattendendo il principio che è il criterio cui si deve conformare il sistema alternativo di risoluzione delle controversie di cui all’art. 128–bis del T.U.B. (Collegio di Milano, decisione n. 24692/2018; Collegio di Napoli, decisione n. 16/2017)”.
Anche le decisioni dei Collegi territoriali risultano confermi al dedotto orientamento (cfr. ex multis Collegio di Torino, decisioni nn. 2744/2021, 5052/2021 e Collegio di Milano, decisione n. 23622 del 24/12/2020).
In ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ rappresenta che in sede di ricorso il ricorrente ha formulato domanda volta alla cancellazione delle eventuali segnalazioni in centrale rischi.
Il Collegio rileva che tale richiesta non è supportata da alcun elemento probatorio e viepiù che, in sede di controrepliche, l’intermediario ha dichiarato esplicitamente di aver provveduto alla sospensione delle rate dei finanziamenti collegati ai contratti di fornitura conclusi con la Società fallita, nonché all’oscuramenti dei dati dei clienti presso i Sistemi di Informazioni Creditizie (SIC).
Deve, quindi, essere rilevata la consulenzialità della domanda in parte qua e la inammissibilità della stessa, alla luce dell’orientamento assunto dall’ABF in merito (in particolare si richiamana Coll. Coord. dec. n. 10929/2016 e Coll. Torino, dec. n. 7867/2020)
Venendo al merito della controversia è un fatto che la società medio tempore fallita non ha potuto portare a termine il contratto sottoscritto per le cure odontoiatriche oggetto di preventivo e collegate al contratto di finanziamento per cui è causa.
Il ricorrente in questa sede chiede accertarsi la risoluzione del collegato contratto di finanziamento tramite l'esercente convenzionato ormai fallito, asserendo che non è stato adempiuto integralmente il contratto, e conseguentemente il rimborso delle somme di € 1.104,75, pari alle rate versate.
La quantificazione delle rate versate non è circostanza contestata.
Parte ricorrente individua nella fattura del 4/03/2019, di importo pari a € 3.500 per effetto di sconto, il contratto di fornitura collegato al finanziamento per cui è controversia .
Il Collegio, nonostante la contestazione in merito della parte resistente, ritiene provato il collegamento tra i contratti dedotti: ciò sia per la relazione temporale tra la “lettera di ▇▇▇▇▇▇▇▇▇” (datata 5/03/2019) allegata dalla parte ricorrente e sia per l’importo indicato in fattura. D’altronde la resistente, che pure lamenta l’incompleta allegazione documentale, non contesta il collegamento tra il preventivo del 4/03/2019 e il contratto di finanziamento, che conferma esser stato sottoscritto in data 5/03/2019.
Dalla lettera di “benvenuto” è possibile evincere le caratteristiche del finanziamento: di importo pari a € 3.535,00; da rimborsare in n. 48 rate da € 73,65 ciascuna.
L’intermediario resiste, sostenendo il mancato assolvimento dell’onere della prova a carico del ricorrente in ordine alle conclusioni formulate.
Il Collegio ritiene che la domanda del ricorrente sia fondata e vada accolta nei limiti della domanda, con esclusione dell’accoglimento delle pretese accessorie in punto spese legali.
Il contratto stipulato per le cure odontoiatriche e quello di finanziamento sono da considerarsi collegati fra loro perché ricorrono tutte le ipotesi previste dall'art. 121 comma 1 lett. D TULB (convenzionamento fra finanziatore ed esercente; indicazione del prodotto nel contratto di finanziamento).
Preso atto che parte resistente non contesta il collegamento tra il preventivo del 4/3/2019 e il contratto di finanziamento sottoscritto il 5/3/2019, Il Collegio ritiene provato il collegamento in ragione di plurimi documenti concordanti.
L'art. 125 quinquies comma 1 TULB attribuisce all'attore il diritto ad ottenere la risoluzione del contratto di credito in caso di inadempimento ex art. 1455 c.c. da parte del fornitore di beni o servizi; nella fattispecie si è accertato che tale inadempimento non solo sussiste per i motivi di seguito esposti, ma ha addirittura legittimato una risoluzione del contratto presupposto.
Di conseguenza il ricorrente ha diritto di ripetere tutte le somme a qualsiasi titolo fin qui versate e la liberazione da ogni altro vincolo derivante da tale contratto.
Si consideri con riferimento alla valutazione circa il grave inadempimento di cui all’art. 1455 c.c. che le cure odontoiatriche rientrano innegabilmente tra le attività da ascrivere allo schema delle professioni intellettuali in cui il rapporto è caratterizzato da ampi margini di discrezionalità tra operatore sanitario/ paziente, in applicazione del c.d. principio di autolegittimazione della attività medica, che postula un doveroso consenso del paziente a subire le cure previste da quel particolare medico ovvero dalla struttura sanitaria scelta.
La professione odontoiatrica, infatti, è professione medica, che si concreta, nei limiti del suo specifico oggetto, nell’esercizio delle stesse attività di prevenzione, diagnosi e cura che connotano l’esercizio di ogni professione medica.
Di conseguenza, stante la natura terapeutica del rapporto, questo non può essere oggetto di sostituzione con altro sanitario o altro centro odontoiatrico, senza il consenso del paziente, qualora il primo non possa più operare a causa dell’intervenuto fallimento.
Il ricorrente ha formalmente eccepito l’inadempimento della prestazione contrattuale, nonostante la messa in mora ed ha invocato il diritto alla risoluzione ai sensi dell’art. 125- quinquies Tub e alla luce della non scarsa importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c., con conseguente obbligo di rimborsare al ricorrente le rate già pagate.
L’art. 125quinquies Tub, che ha sostituito l’art. 42 del Codice del Consumo e recepisce nel nostro ordinamento la previsione di cui all’art. 15 della Direttiva 2008/84, relativa al credito ai consumatori, stabilisce in primo luogo che nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento del fornitore il consumatore, effettuata senza esito la costituzione in mora dello stesso, “ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile”, (primo comma) ciò che “comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato” (2° comma).
Si tratta di una norma che predispone in capo al consumatore una tutela specifica e particolare, ulteriore rispetto a quelle cui avrebbe in ogni caso diritto, in forza della relazione d’interdipendenza tra l’acquisto di un bene o servizio e il contratto di credito concluso a tal specifico fine (Considerando n. 37 Direttiva 87/102/CEE).
Deve in primo luogo precisarsi che l’applicazione dell’art. 125quinquies Tub implica la riconducibilità del contratto di credito oggetto di controversia alla fattispecie del “contratto di credito collegato”, così come individuata dal comma 1, lett. d) dell’art. 121 Tub, norma che definisce tale il contratto “finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici se ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito”. Non è controverso tra le parti e risulta dal contratto che esso fosse finalizzato “alla prestazione di un servizio specifico”. Non è parimenti in contestazione che il fornitore del servizio abbia svolto nella vicenda contrattuale in analisi il ruolo di intermediario del credito quale soggetto convenzionato
all’intermediario resistente. Deve pertanto ritenersi sussistente il criterio legale di collegamento tra i due contratti necessario e sufficiente.
A fronte dell’accertato collegamento fra il contratto di fornitura e quello di credito – per altro circostanza non oggetto di specifica contestazione - l’art. 125quinquies Tub sancisce come sopra visto il diritto alla risoluzione di quest’ultimo al ricorrere di due condizioni. In primo luogo, che sia stata inutilmente effettuata la messa in mora del fornitore.
Sul punto la parte ricorrente ha prodotto copia della diffida ad adempiere inviata il 23/6/2020. Ad abundantiam si rileva che, secondo l’orientamento consolidato dei Collegi ABF, il fallimento o l’irreperibilità del fornitore surrogano la prova della messa in mora (Coll. Milano, decisione n. 17926/2018; Coll. Napoli n. 7194/2018 e Coll. Roma n. 1912/2017).
In secondo luogo, che ricorrano “le condizioni di chi all’art. 1455 del codice civile”, norma in base alla quale “Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”.
Sul punto parte ricorrente riferisce che “nelle corone su impianti, risulta assente il tappo di chiusura del foro passante per le viti, rendendo evidente come il lavoro non sia stato per nulla completato da parte del fornitore”. Risulterebbe pertanto evidente che il lavoro sulle corone dentali sarebbe da considerare non eseguito per un totale di euro 777,00. E lamenta un totale di lavori non eseguiti per un totale di euro 2.191,00
Di contro, parte resistente contestata la rilevanza del preventivo di parte e ha evidenziato la mancata allegazione da parte del ricorrente di qualunque documento idoneo a rilevare quali tra le attività oggetto del ciclo di cure odontoiatriche siano rimaste inadempiute, atteso che i preventivi di cure successive (dell’aprile 2019 e gennaio 2020) comproverebbero il permanere della fiducia nei riguardi della società di cure.
Parte ricorrente eccepisce che – nel riscontro al reclamo – la resistente avrebbe ammesso che le cure non sarebbero state completate, pur contestando l’importo che la resistente ha indicato come valore delle cure eseguite (€ 3.167,00).
Alla luce delle diverse prospettazioni sopra richiamate, il Collegio rileva che tra parte ricorrente e la società esercente fallita è pacificamente intercorso un contratto d'opera professionale, essendosi il paziente rivolto direttamente al professionista per intraprendere il piano di cure meglio indicato nel preventivo allegato ed oggetto di parziale finanziamento.
Il rapporto che intercorre tra il medico dentista ed il paziente è un contratto a prestazioni corrispettive disciplinato dal combinato disposto degli artt.2222, 2229 c.c., in forza dei quali il professionista si obbliga all'erogazione della prestazione sanitaria concordata con il cliente ed il cliente si obbliga al pagamento della parcella, direttamente o , come nel caso di ricorso, tramite contratto di finanziamento.
L'esercizio della professione odontoiatrica risulta disciplinato dalla L. n. 409 del 1985; si tratta di una professione connotata da particolare autonomia, pur rientrando nell'alveo delle professioni sanitarie, sicché il mancato adempimento anche solo in parte delle cure proposte non può che essere qualificata “grave inadempimento” atteso il chiaro e non contestato nesso con l'omissione del medico-dentista nel completamento delle cure.
D’altronde l’intermediario resistente non ha fornito la "prova positiva" dell'avvenuto adempimento o dell'esatto dell'adempimento, ma ha solo affermato essere le prestazioni
odontoiatriche interamente adempiute: non risulta provato, però, né che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente, né che l’inadempimento è stato non rilevante.
L’inadempimento lamentato nel caso di specie è, da ritenersi, parziale, ciò che tuttavia non esclude di per sé la gravità dello stesso ai sensi dell’art. 1455 c.c., riguardando non solo la maggior parte della prestazione dovuta ma anche l’indubbio interesse della parte non inadempiente al completamento delle cure previste dal contratto di fornitura. Deve infatti, secondo i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione “accertarsi l’apprezzabilità in concreto del peso dell’inadempimento nell’economia del rapporto e commisurarsi il risultato di tale primo accertamento all’interesse del creditore deluso, considerato non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo per la natura del contratto, per la qualità dei contraenti e per ogni altra circostanza rilevante”, tenendo conto che “l’interesse” richiamato dall’art. 1455 c.c. “non può che consistere nell'interesse della parte non inadempiente alla prestazione rimasta ineseguita: interesse che deve presumersi (con presunzione semplice, ex art. 2727 c.c.) vulnerato tutte le volte che l'inadempimento sia stato di rilevante entità, ovvero abbia riguardato obbligazioni principali e non secondarie (Sez. 3, Sentenza n. 8063 del 14/06/2001)”. Si aggiunga che l’inadempimento è da ritersi definitivo, poiché il fornitore è stato dichiaro fallito.
Rispetto al tema della legittimità o meno di una pronuncia di risoluzione di un contratto d'opera nel quale una parte non possa restituire le prestazioni in natura ricevute - nel caso di specie, il paziente non potrebbe restituire la prestazione del medico, consistita nell'esecuzione, per quanto inesatta, dell'intervento secondo la prospettazione della parte resistente -, si osserva come l'eventuale rigetto della domanda restitutoria si porrebbe in aperto contrasto con l'esigenza di salvaguardare il sinallagma tra le reciproche prestazioni. Se si ritenesse irripetibile l'onorario versato dal paziente odierno ricorrente limitatamente al finanziamento dedotto, infatti, quest'ultimo verrebbe costretto a pagare una prestazione inutile, se non addirittura dannosa. Si consideri, del resto, che il controvalore pecuniario di una prestazione professionale che abbia arrecato un danno alla salute del paziente – determinato dalla necessità di ricorrere alle cure di altro sanitario - non può non essere pari a zero, e dunque per esso non sarebbe dovuto alcun corrispettivo.
A tali considerazioni è opportuno poi aggiungere che, se prima della risoluzione del contratto il cliente ancora non avesse pagato l'onorario professionale, egli potrebbe legittimamente rifiutare tale pagamento, ai sensi dell'articolo 1460 c.c. Appare pertanto illogico, a fronte dell'inadempimento dell’esercente, consentire al cliente di non pagare l'onorario se il contratto è ancora in vita, e farglielo perdere se il contratto è risolto.
Deve, pertanto, concludersi che il paziente non è tenuto a versare al medico libero professionista il corrispettivo pattuito e, se versato, ha diritto a pretenderne la restituzione, quando l'intervento sia stato eseguito in modo imperito o parziale.
Dunque, l'inadempimento o l'inesatto adempimento del sanitario, che non sia di scarsa importanza in considerazione dell'interesse del paziente, si traduce in un inadempimento contrattuale, in considerazione dell'inutilità dell'opera eseguita, della sua contrarietà all'interesse del paziente, o addirittura della sua dannosità, che può dar luogo alla risoluzione, qualora specificatamente domandata, del contratto stesso.
Accertata la gravità dell’inadempimento, seppure parziale, del fornitore è consolidato orientamento dei Collegi che debba riconoscersi, in applicazione dell’art. 125-quinquies Tub, il diritto del ricorrente ad una risoluzione del contratto di finanziamento, atteso la natura della prestazione terapeutica oggetto del contratto con conseguente restituzione delle rate corrisposte.
Quanto alla quantificazione di queste, la documentazione prodotta in atti parrebbe pertanto confermare quanto dichiarato dal ricorrente in merito alla somma dei ratei versati (€ 1.104,75).
Il Collegio ritiene che la somma evidenziata vada liquidata arrotondata all’unità di euro (per eccesso, se la prima cifra dopo la virgola è uguale o superiore a 5; per difetto, se la prima cifra dopo la virgola è inferiore a 5): pertanto la somma dovuta alla ricorrente è pari a € 1.105,00.
Quanto alla liquidazione delle spese accessorie e legali in favore di parte ricorrente, essa non può accogliersi considerato l’orientamento consolidato di quest’Arbitro nella materia specifica e, più in generale, la modalità agevole di presentazione del ricorso che rendono non indispensabile, e quindi volontaria, l’assistenza di un professionista.
P.Q.M.
Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso e dispone che l'intermediario corrisponda alla parte ricorrente la somma di € 1.105,00.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l'intermediario corrisponda alla Banca d'Italia la somma di € 200,00, quale contributo alle spese della procedura, e alla parte ricorrente la somma di € 20,00, quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1
