Common use of Regolarità contributiva Clause in Contracts

Regolarità contributiva. Carattere innovativo riveste altresì la disposizione del d. lgs. n. 276 che, riprendendo la normativa settoriale prevista nell’edilizia, stabilisce l’obbligo per il committente o il responsabile dei lavori, di chiedere alle imprese esecutrici un certificato di regolarità contributiva, che può essere rilasciato, oltre che dall’Inps e dall’Inail, anche dalle Casse edili e dagli enti bilaterali. Invero, fin dalla metà degli anni Novanta, gli stessi enti bilaterali sono stati coinvolti dalla legislazione nelle politiche di contrato al lavoro irregolare. Già l’articolo 3, comma 8, d. lgs. n. 494/1996 aveva introdotto, infatti, l’obbligo a carico dei committenti di appalti pubblici e del responsabile dei lavori in edilizia di richiedere alle imprese appaltatrici un certificato di regolarità contributiva rilasciato – oltre che dall’Inps e dall’Inail – dalle Casse edili, previa stipula di una convenzione fra Casse e i medesimi istituti pubblici. L’articolo 2, del D.L. n. 210/02 (convertito con modifiche nella legge n. 266/02) ha esteso l’obbligo del documento unico di regolarità contributiva anche agli appalti privati, sempre nel settore edile, pena la revoca della concessione. La disposizione è stata poi confermata nel Codice dei contratti pubblici, all’articolo 118, comma 6-bis, d. lgs. n. 163/2006, in base al quale, «ai fini di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare del settore dell’edilizia, le Casse edili, sulla base di accordi stipulati a livello regionale con Inps e Inail, rilasciano il documento unico di regolarità contributiva…». Inoltre, l’articolo 1, comma 1176, legge n. 296/06 ha disposto con con decreto del Ministro del Lavoro (d. m. 24 ottobre 2007) si definiscano le modalità di rilascio del Durc. L’aspetto di maggior interesse è che il predetto d. m. ha previsto, in via sperimentale, che gli enti bilaterali di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), costituiti da una o più associazioni dei datori o dei prestatori di lavoro stipulanti il contratto collettivo nazionale che siano, per ciascuna parte, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, possono rilasciare il Durc previa stipula di una apposita convenzione con Inps e Inail, approvata dal Ministero del Lavoro. Il coinvolgimento degli enti bilaterali di tutti i settori produttivi (e non solo delle Casse edili) si spiega anche attraverso l’articolo 1, comma 553, legge n. 266/05 che ha disposto che il Durc è necessario per consentire alle imprese di accedere a benefici e sovvenzioni di origine comunitaria, si pensi, a titolo esemplificativo, ai Fondi strutturali comunitari. In definitiva, questo coinvolgimento di tutti gli enti bilaterali, e non solo delle Casse edili, rappresenta un importante sostegno legislativo al sistema della bilateralità in quanto affida agli enti la funzione di accertamento degli adempimenti di rilievo pubblicistico (come, per esempio, il corretto versamento dei contributi previdenziali). Ciò che rende diversa questa funzione da quelle viste in materia di previdenza, formazione continua o sicurezza sul lavoro, è che si tratta di attività di controllo e certificazione delle imprese associate all’ente bilaterale; controllo effettuato in alternativa a quello svolto da organi pubblici (Inps, Inail). Nell’ambito del fenomeno della bilateralità, una questione di grande complessità e delicatezza – emersa con l’articolo 10 della legge n. 30/2003 – concerne il rispetto del principio di libertà sindacale negativa (cioè la libertà da parte del singolo lavoratore o datore di non aderire ad alcuna organizzazione sindacale) e dell’efficacia erga omnes dei contratti collettivi di cui rispettivamente ai commi 1 e 4 dell’art. 39 della Costituzione. In testuale modifica dell’art. 3 del d.l. n. 71 del 1993, l’art. 10 dispone che “ per le imprese artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accorsi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, il riconoscimento di benefici normativi e contributivi è subordinato all’integrale rispetto degli accordi e contratti citati”. La formula appena indicata “integrale rispetto degli accordi e contratti citati” in sostituzione di quella prevista dalla l. n. 151 del 1993 relativa a “integrale rispetto degli istituti economici e normativi stabiliti dai contratti collettivi di lavoro” costituisce chiaramente un elemento di discontinuità rispetto alla normativa precedente e alla giurisprudenza di merito; infatti l’art. 10 della legge n. 30, la cui introduzione secondo alcuni si giustificherebbe con il tentativo di garantire da parte del legislatore il sostegno finanziario degli enti bilaterali, prevede che la “fiscalizzazione degli oneri contributivi e fiscali” sia subordinata non solo al rispetto delle clausole economiche e normative dei contratti collettivi ma anche al rispetto delle clausole obbligatorie e con esse di quelle che attengono all’adesione agli enti bilaterali. Per una migliore comprensione, occorre precisare che che la parte economica del contratto collettivo è quella che contiene la regolamentazione in via diretta dei trattamenti economici, la parte normativa è quella che contiene il complesso delle situazioni di diritto che regolano il rapporto e la parte obbligatoria è quella che concerne l’insieme di clausole che vincolano i soggetti stipulanti Dunque, la norma, stabilendo l’estensione generalizzata del contratto collettivo alle aziende e ai lavoratori, ivi inclusa la parte c.d. obbligatoria, ha incontrato alcune obiezioni costituzionali di fondo. La prima, più evidente, riguarda la questione della efficacia erga omnes ovvero l’applicazione generalizzata dei contratti collettivi; la seconda, meno scontata, riguarda il principio di libertà sindacale sancito dal primo comma dell’art. 39 Cost. Tale profilo innovativo contenuto nell’art. 10 ha suscitato in dottrina pareri discordanti fra quanti come X. Xxxxxxxxxx hanno commentato che «l’esercizio di autorità ed obbligatorietà erga omnes è un dono avvelenato per la libertà e l’autonomia sindacale», e fra quanti sostengono che quello dell’iscrizione all’ente e il versamento delle relative quote associative è un onere e non un obbligo senza che per questo ne scaturisca una meccanica affiliazione associativa, coi conseguenti vincoli di carattere organizzativo ed economico. Contrapposta a tale filone interpretativo vi è quella parte della dottrina che, invece, guarda con favore e apprezza la ratio della disposizione legislativa. In tal senso si riporta un importante contributo di X. Xxx, il quale afferma che «è da dubitare che le clausole contrattuali relative agli enti bilaterali rientrino nella cosiddetta parte obbligatoria e non siano invece riconducibili alla parte normativa. La mancata adesione ed in particolare il mancato versamento dei contributi agli enti bilaterali si traducono infatti in minori prestazioni, e dunque, se non altrimenti garantite, in uno svantaggio economico per il lavoratore. A prescindere dalla natura retributiva o previdenziale e assistenziale delle prestazioni erogate dalle forme della bilateralità si tratta pur sempre di trattamenti che vengono ad incidere sul contenuto delle situazioni di diritto che regolano il rapporto di lavoro. Le prestazioni in esame, seppur condizionate al verificarsi di determinate situazioni pregiudizievoli, non diventano eventuali tantomeno facoltative. Eventuale è il fatto che le origina ma non il diritto a ricevere il trattamento conseguente». Dunque, quello dell’adesione agli enti bilaterali è un obbligo, un dovere-libero o soltanto un tenue onere? A sbrogliare la complicata situazione è intervenuto il Ministero del Lavoro che, con una vera e propria retromarcia, quasi contra legem, nella circolare n. 4/2004 ha dato una interpretazione restrittiva della normativa in questione, sì da escludere che il rispetto delle clausole contrattuali concernenti gli enti bilaterali, considerate meramente obbligatorie, sia condizione necessaria per godere dei benefici normativi e contributivi. Secondo tale orientamento il riconoscimento di benefici è infatti subordinato “alla integrale applicazione della sola parte economica e normativa degli accordi e contratti collettivi, e non anche della parte obbligatoria di questi ultimi, pena il contrasto con il principio costituzionale di libertà sindacale negativa”. Viene in questo modo meno, per le cose trattate, uno dei principali elementi di discontinuità emersi fra il quadro normativo configurato dalla legge n. 30/2003 e la legislazione di sostegno precedente. Alla luce della interpretazione “chiarificatrice” data dal Ministero del Lavoro non è configurabile un obbligo di adesione agli organismi bilaterali, bensì un onere – per quanto vigoroso – ad adempiere alle prestazioni da essi gestite, preservando un cruciale spazio, seppur residuale, di libertà associativa per coloro che optino per la non adesione al proprio ente di riferimento. Tornano dunque a prospettarsi soluzioni diverse a seconda delle caratteristiche delle prestazioni erogate: nel caso della mutualizzazione di istituti economici e normativi contrattuali ne dovrebbe discendere una copertura settoriale di carattere universalistico e quindi erga omnes. Nei casi in cui si tratta invece di prestazioni integrative, il loro godimento (sia per le imprese che per i lavoratori) deriverà dall’iscrizione all’ente e dal versamento delle relative quote associative. In verità tale quadro normativo ricalca fedelmente quello tracciato soltanto due anni prima dalla Corte di Cassazione che con la sentenza del 10 maggio 2001, n. 6530 sosteneva che doveva riconoscersi natura retributiva solo alle prestazioni che gli enti bilaterali dovessero corrispondere in sostituzione di precisi obblighi del datore di lavoro, mentre le altre, di carattere meramente eventuale e connesse al verificarsi di determinate situazioni pregiudizievoli, hanno natura previdenziale e assistenziale, con l’effetto che nei confronti degli enti bilaterali diversi dalle Casse Edili, che erogano prestazioni non connesse a clausole normative contrattuali, non vi è l’obbligo di versamento della contribuzione, rientrando le clausole collettive che xxxxxxxxx detto obbligo nella parte obbligatoria del contratto collettivo. In sostanza, la lettura della sentenza n. 6530/01 induce a propendere per la non obbligatorietà della contribuzione all’ente bilaterale sulla base del dato letterale della norma: il D.L. n. 71/93 esigeva l’applicazione dei trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi e non – a suo dire – di tutto il contratto collettivo. Di fronte alla pronuncia della Cassazione, non si spiega, a parere di chi scrive, la ragione per la quale il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 4/2004, abbia riproposto la stessa interpretazione fornita dalla Cassazione, pur in presenza di un dato normativo ormai modificato. Secondo il Ministero del Lavoro, infatti, per fruire dei benefici di legge non vi sarebbe l’obbligo di versare il contributo agli enti bilaterali, perché tali enti sono istituiti da clausole obbligatorie dei contratti collettivi, che vincolano solo le parti collettive firmatarie e non le singole imprese. Nella stessa direzione si colloca la successiva circolare ministeriale n. 43 del 15 dicembre 2010 in cui si riafferma la salvaguardia della libertà sindacale negativa di adesione alla bilateralità, sancito dall’articolo 39 della Costituzione. Inoltre, lo stesso Xxxxxxxxx ha approfittato per affermare che se i contratti collettivi dispongono il riconoscimento a vantaggio dei lavoratori dei trattamenti garantiti dagli enti bilaterali o come servizio erogato dall’ente o come equivalente economico erogato dall’impresa, allora la disposizione diventa di natura normativa e perciò vincolante per ogni impresa che applica quel contratto collettivo. In buona sostanza, la circolare ministeriale presenta contenuti profondamente innovativi, poiché – nel caso in cui la contrattazione collettiva preveda attraverso il meccanismo bilaterale la concessione di tutele aggiuntive per i lavoratori – viene sancito il riconoscimento al prestatore di lavoro di un vero e proprio diritto contrattuale a ricevere analoghe prestazioni di tutela.

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Regolarità contributiva. Carattere innovativo riveste altresì la disposizione Il pagamento dei corrispettivi è subordinato all’acquisizione del d. lgsDocumento Unico di Regolarità Contributiva (D.U.R.C.) relativo ad Appaltatore ed eventuali subappaltatori ed alle verifiche di cui al Decreto del ministero dell'economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40 “Modalità di attuazione dell'art. n. 276 che48-bis del X.X.X. 00 xxxxxxxxx 0000, riprendendo la normativa settoriale prevista nell’ediliziax. 000, stabilisce l’obbligo xxxxxxx disposizioni in materia di pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni”. A tal fine l’Appaltatore fornisce aa ER.GO, con cadenza trimestrale, tutti i dati necessari alla richiesta telematica dei DURC, mediante compilazione dei “quadri B” reperibili sul sito “Sportello unico previdenziale”. Alla richiesta dei DURC provvederà ER.GO, ai sensi di legge. In caso di DURC che segnali una inadempienza contributiva relativa a uno o più soggetti impiegati nell’esecuzione del contratto, l’Azienda tratterrà dal pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza. Il pagamento di quanto dovuto per le inadempienze accertate tramite il committente o DURC è disposto direttamente agli enti previdenziali/assicurativi. Ai sensi dell’art. 6 D.P.R. 207/2010, in caso di ottenimento di un DURC negativo per due volte consecutive, il responsabile dei lavoriRUP, di chiedere alle imprese esecutrici un certificato di regolarità contributivaacquisita una relazione particolareggiata predisposta dal Direttore dell’esecuzione, che può essere rilasciatopropone, oltre che dall’Inps e dall’Inail, anche dalle Casse edili e dagli enti bilaterali. Invero, fin dalla metà degli anni Novanta, gli stessi enti bilaterali sono stati coinvolti dalla legislazione nelle politiche di contrato al lavoro irregolare. Già l’articolo 3ai sensi dell’articolo 135, comma 81 X.Xxx. 163/2006, d. lgs. n. 494/1996 aveva introdotto, infatti, l’obbligo a carico dei committenti di appalti pubblici e la risoluzione del responsabile dei lavori in edilizia di richiedere alle imprese appaltatrici un certificato di regolarità contributiva rilasciato – oltre che dall’Inps e dall’Inail – dalle Casse edilicontratto, previa stipula contestazione degli addebiti e assegnazione di una convenzione fra Casse un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle controdeduzioni. Ove l’ottenimento del DURC negativo per due volte consecutive riguardi il subappaltatore, ER.GO pronuncia, previa contestazione degli addebiti al subappaltatore e i medesimi istituti pubblici. L’articolo 2assegnazione di un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle controdeduzioni, del D.L. n. 210/02 (convertito con modifiche nella legge n. 266/02) ha esteso l’obbligo del documento unico la decadenza dell’autorizzazione di regolarità contributiva anche agli appalti privati, sempre nel settore edile, pena la revoca della concessione. La disposizione è stata poi confermata nel Codice dei contratti pubblici, cui all’articolo 118, comma 6-bis, d. lgs8 D.Lgs. n. 163/2006, in base al quale, «ai fini di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare del settore dell’edilizia, le Casse edili, sulla base di accordi stipulati a livello regionale con Inps e Inail, rilasciano il documento unico di regolarità contributiva…». Inoltre, l’articolo 1, comma 1176, legge n. 296/06 ha disposto con con decreto del Ministro del Lavoro (d. m. 24 ottobre 2007) si definiscano le modalità di rilascio del Durc. L’aspetto di maggior interesse è che il predetto d. m. ha previsto, in via sperimentale, che gli enti bilaterali di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), costituiti da una o più associazioni dei datori o dei prestatori di lavoro stipulanti il contratto collettivo nazionale che siano, dandone contestuale segnalazione all’Osservatorio per ciascuna parte, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, possono rilasciare il Durc previa stipula di una apposita convenzione con Inps e Inail, approvata dal Ministero del Lavoro. Il coinvolgimento degli enti bilaterali di tutti i settori produttivi (e non solo delle Casse edili) si spiega anche attraverso l’articolo 1, comma 553, legge n. 266/05 che ha disposto che il Durc è necessario per consentire alle imprese di accedere a benefici e sovvenzioni di origine comunitaria, si pensi, a titolo esemplificativo, ai Fondi strutturali comunitari. In definitiva, questo coinvolgimento di tutti gli enti bilaterali, e non solo delle Casse edili, rappresenta un importante sostegno legislativo al sistema della bilateralità in quanto affida agli enti la funzione di accertamento degli adempimenti di rilievo pubblicistico (come, per esempio, il corretto versamento dei contributi previdenziali). Ciò che rende diversa questa funzione da quelle viste in materia di previdenza, formazione continua o sicurezza sul lavoro, è che si tratta di attività di controllo e certificazione delle imprese associate all’ente bilaterale; controllo effettuato in alternativa a quello svolto da organi pubblici (Inps, Inail). Nell’ambito del fenomeno della bilateralità, una questione di grande complessità e delicatezza – emersa con l’articolo 10 della legge n. 30/2003 – concerne il rispetto del principio di libertà sindacale negativa (cioè la libertà da parte del singolo lavoratore o datore di non aderire ad alcuna organizzazione sindacale) e dell’efficacia erga omnes dei contratti collettivi di cui rispettivamente ai commi 1 e 4 dell’art. 39 della Costituzione. In testuale modifica dell’art. 3 del d.l. n. 71 del 1993, l’art. 10 dispone che “ per le imprese artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accorsi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, il riconoscimento di benefici normativi e contributivi è subordinato all’integrale rispetto degli accordi e contratti citati”. La formula appena indicata “integrale rispetto degli accordi e contratti citati” in sostituzione di quella prevista dalla l. n. 151 del 1993 relativa a “integrale rispetto degli istituti economici e normativi stabiliti dai contratti collettivi di lavoro” costituisce chiaramente un elemento di discontinuità rispetto alla normativa precedente e alla giurisprudenza di merito; infatti l’art. 10 della legge n. 30, la cui introduzione secondo alcuni si giustificherebbe con il tentativo di garantire da parte del legislatore il sostegno finanziario degli enti bilaterali, prevede che la “fiscalizzazione degli oneri contributivi e fiscali” sia subordinata non solo al rispetto delle clausole economiche e normative dei contratti collettivi ma anche al rispetto delle clausole obbligatorie e con esse di quelle che attengono all’adesione agli enti bilaterali. Per una migliore comprensione, occorre precisare che che la parte economica del contratto collettivo è quella che contiene la regolamentazione in via diretta dei trattamenti economici, la parte normativa è quella che contiene il complesso delle situazioni di diritto che regolano il rapporto e la parte obbligatoria è quella che concerne l’insieme di clausole che vincolano i soggetti stipulanti Dunque, la norma, stabilendo l’estensione generalizzata del contratto collettivo alle aziende e ai lavoratori, ivi inclusa la parte c.d. obbligatoria, ha incontrato alcune obiezioni costituzionali di fondo. La prima, più evidente, riguarda la questione della efficacia erga omnes ovvero l’applicazione generalizzata dei contratti collettivi; la seconda, meno scontata, riguarda il principio di libertà sindacale sancito dal primo comma dell’art. 39 Cost. Tale profilo innovativo contenuto nell’art. 10 ha suscitato in dottrina pareri discordanti fra quanti come X. Xxxxxxxxxx hanno commentato che «l’esercizio di autorità ed obbligatorietà erga omnes è un dono avvelenato per la libertà e l’autonomia sindacale», e fra quanti sostengono che quello dell’iscrizione all’ente e il versamento delle relative quote associative è un onere e non un obbligo senza che per questo ne scaturisca una meccanica affiliazione associativa, coi conseguenti vincoli di carattere organizzativo ed economico. Contrapposta a tale filone interpretativo vi è quella parte della dottrina che, invece, guarda con favore e apprezza la ratio della disposizione legislativa. In tal senso si riporta un importante contributo di X. Xxx, il quale afferma che «è da dubitare che le clausole contrattuali relative agli enti bilaterali rientrino nella cosiddetta parte obbligatoria e non siano invece riconducibili alla parte normativa. La mancata adesione ed in particolare il mancato versamento dei contributi agli enti bilaterali si traducono infatti in minori prestazioni, e dunque, se non altrimenti garantite, in uno svantaggio economico per il lavoratore. A prescindere dalla natura retributiva o previdenziale e assistenziale delle prestazioni erogate dalle forme della bilateralità si tratta pur sempre di trattamenti che vengono ad incidere sul contenuto delle situazioni di diritto che regolano il rapporto di lavoro. Le prestazioni in esame, seppur condizionate al verificarsi di determinate situazioni pregiudizievoli, non diventano eventuali tantomeno facoltative. Eventuale è il fatto che le origina ma non il diritto a ricevere il trattamento conseguente». Dunque, quello dell’adesione agli enti bilaterali è un obbligo, un dovere-libero o soltanto un tenue onere? A sbrogliare la complicata situazione è intervenuto il Ministero del Lavoro che, con una vera e propria retromarcia, quasi contra legem, nella circolare n. 4/2004 ha dato una interpretazione restrittiva della normativa in questione, sì da escludere che il rispetto delle clausole contrattuali concernenti gli enti bilaterali, considerate meramente obbligatorie, sia condizione necessaria per godere dei benefici normativi e contributivi. Secondo tale orientamento il riconoscimento di benefici è infatti subordinato “alla integrale applicazione della sola parte economica e normativa degli accordi e contratti collettivi, e non anche della parte obbligatoria di questi ultimi, pena il contrasto con il principio costituzionale di libertà sindacale negativa”. Viene in questo modo meno, per le cose trattate, uno dei principali elementi di discontinuità emersi fra il quadro normativo configurato dalla legge n. 30/2003 e la legislazione di sostegno precedente. Alla luce della interpretazione “chiarificatrice” data dal Ministero del Lavoro non è configurabile un obbligo di adesione agli organismi bilaterali, bensì un onere – per quanto vigoroso – ad adempiere alle prestazioni da essi gestite, preservando un cruciale spazio, seppur residuale, di libertà associativa per coloro che optino per la non adesione al proprio ente di riferimento. Tornano dunque a prospettarsi soluzioni diverse a seconda delle caratteristiche delle prestazioni erogate: l’inserimento nel caso della mutualizzazione di istituti economici e normativi contrattuali ne dovrebbe discendere una copertura settoriale di carattere universalistico e quindi erga omnes. Nei casi in cui si tratta invece di prestazioni integrative, il loro godimento (sia per le imprese che per i lavoratori) deriverà dall’iscrizione all’ente e dal versamento delle relative quote associative. In verità tale quadro normativo ricalca fedelmente quello tracciato soltanto due anni prima dalla Corte di Cassazione che con la sentenza del 10 maggio 2001, n. 6530 sosteneva che doveva riconoscersi natura retributiva solo alle prestazioni che gli enti bilaterali dovessero corrispondere in sostituzione di precisi obblighi del datore di lavoro, mentre le altre, di carattere meramente eventuale e connesse al verificarsi di determinate situazioni pregiudizievoli, hanno natura previdenziale e assistenziale, con l’effetto che nei confronti degli enti bilaterali diversi dalle Casse Edili, che erogano prestazioni non connesse a clausole normative contrattuali, non vi è l’obbligo di versamento della contribuzione, rientrando le clausole collettive che xxxxxxxxx detto obbligo nella parte obbligatoria del contratto collettivo. In sostanza, la lettura della sentenza n. 6530/01 induce a propendere per la non obbligatorietà della contribuzione all’ente bilaterale sulla base del dato letterale della norma: il D.L. n. 71/93 esigeva l’applicazione dei trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi e non – a suo dire – di tutto il contratto collettivo. Di fronte alla pronuncia della Cassazione, non si spiega, a parere di chi scrive, la ragione per la quale il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 4/2004, abbia riproposto la stessa interpretazione fornita dalla Cassazione, pur in presenza di un dato normativo ormai modificato. Secondo il Ministero del Lavoro, infatti, per fruire dei benefici di legge non vi sarebbe l’obbligo di versare il contributo agli enti bilaterali, perché tali enti sono istituiti da clausole obbligatorie dei contratti collettivi, che vincolano solo le parti collettive firmatarie e non le singole imprese. Nella stessa direzione si colloca la successiva circolare ministeriale n. 43 del 15 dicembre 2010 in cui si riafferma la salvaguardia della libertà sindacale negativa di adesione alla bilateralità, sancito dall’articolo 39 della Costituzione. Inoltre, lo stesso Xxxxxxxxx ha approfittato per affermare che se i contratti collettivi dispongono il riconoscimento a vantaggio dei lavoratori dei trattamenti garantiti dagli enti bilaterali o come servizio erogato dall’ente o come equivalente economico erogato dall’impresa, allora la disposizione diventa di natura normativa e perciò vincolante per ogni impresa che applica quel contratto collettivo. In buona sostanza, la circolare ministeriale presenta contenuti profondamente innovativi, poiché – nel caso in cui la contrattazione collettiva preveda attraverso il meccanismo bilaterale la concessione di tutele aggiuntive per i lavoratori – viene sancito il riconoscimento al prestatore di lavoro di un vero e proprio diritto contrattuale a ricevere analoghe prestazioni di tutelacasellario informatico.

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Regolarità contributiva. Carattere innovativo riveste altresì la disposizione Requisiti di cui all’art.8 del d. lgspredetto Decreto n. 263 del 2 dicembre 2016 che si intendono integralmente richiamati dal presente disciplinare. n. 276 cheLe società ed in consorzi dovranno inoltre essere iscritti nel registro delle imprese tenuto dalla Camera di Commercio Industria, riprendendo la normativa settoriale prevista nell’ediliziaArtigianato e Agricoltura per attività coerenti con quelle oggetto della presente procedura di gara. Il concorrente non stabilito in Italia ma in altro Stato Membro o in uno dei Paesi di cui all’art. 83, stabilisce l’obbligo per comma 3 del Codice, presenta registro commerciale corrispondente o dichiarazione giurata o secondo le modalità vigenti nello Stato nel quale è stabilito. Requisiti di idoneità professionale dei soggetti costituenti il committente o il responsabile dei lavorigruppo di lavoro. Ai sensi dell’art. 24 del D.Lgs. 50/2016, indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto concorrente, dovranno essere nominativamente indicati, nella domanda di chiedere alle imprese esecutrici un certificato di regolarità contributivapartecipazione i professionisti, personalmente responsabili, che provvederanno all'espletamento dell'incarico in oggetto, con la specificazione della rispettiva qualifica e della tipologia prestazionale che sarà fornita da ciascuno in caso di aggiudicazione. In particolare, dovranno essere individuati almeno i seguenti profili professionali: • Professionista Architetto/Ingegnere che espleta l’incarico oggetto dell’appalto Iscrizione agli appositi albi professionali previsti per l’esercizio dell’attività oggetto di appalto del soggetto personalmente responsabile dell’incarico. Il concorrente non stabilito in Italia ma in altro Stato Membro o in uno dei Paesi di cui all’art. 83, comma 3, del Codice, presenta iscrizione ad apposito albo corrispondente previsto dalla legislazione C.U.C. – costituita tra i Comuni di Camerata Picena, Chiaravalle, Falconara Marittima e Monte San Xxxx Provincia di Ancona COMUNE DI FALCONARA MARITTIMA Prot.0029642-30/06/2022-D472-PG-0057-00010009-P GARA N. 15/2022 nazionale di appartenenza o dichiarazione giurata o secondo le modalità vigenti nello Stato nel quale è stabilito. Il concorrente indica il nominativo, la qualifica professionale e gli estremi dell’iscrizione all’Albo del professionista incaricato. • Professionista che espleta la parte di incarico oggetto dell’appalto inerente gli immobili di rilevante carattere artistico, nonché il restauro e il ripristino degli edifici sottoposti a vincolo storico riservata, ai sensi dell’art. 52 del R.D. ottobre 1925 n. 2537, alla categoria professionale degli Architetti Iscrizione agli appositi albi professionali previsti per l’esercizio dell’attività oggetto di appalto del soggetto personalmente responsabile dell’incarico. Il concorrente non stabilito in Italia ma in altro Stato Membro o in uno dei Paesi di cui all’art. 83, comma 3, del Codice, presenta iscrizione ad apposito albo corrispondente previsto dalla legislazione nazionale di appartenenza o dichiarazione giurata o secondo le modalità vigenti nello Stato nel quale è stabilito. Il concorrente indica il nominativo, la qualifica professionale e gli estremi dell’iscrizione all’Albo del professionista incaricato. • Professionista che espleta l’incarico di coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione I requisiti di cui all’art. 98 del d.lgs. 81/2008. Il concorrente indica i dati relativi al possesso, in capo al professionista, dei requisiti suddetti. • Geologo che redige la relazione geologica I requisiti di iscrizione al relativo albo professionale. Il concorrente indica, il nominativo e gli estremi dell’iscrizione all’Albo del professionista e ne specifica la forma di partecipazione tra quelle di seguito indicate: •componente di un raggruppamento temporaneo; •associato di una associazione tra professionisti; •socio/amministratore/direttore tecnico di una società di professionisti o di ingegneria •dipendente oppure collaboratore con contratto di collaborazione coordinata e continuativa su base annua, oppure consulente, iscritto all’albo professionale e munito di partiva IVA, che abbia fatturato nei confronti del concorrente una quota superiore al cinquanta per cento del proprio fatturato annuo, risultante dall’ultima dichiarazione IVA, nei casi indicati dal d.m. 2 dicembre 2016, n. 263. • Archeologo che redige la relazione archeologica Possesso dei requisiti indicati all’art. 25 c. 2 del Dlgs.50/2016; vista l’incidenza marginale delle prestazioni sul complesso del servizio da affidarsi tale figura può essere rilasciato, oltre che dall’Inps e dall’Inail, inquadrata anche dalle Casse edili e dagli enti bilaterali. Invero, fin dalla metà degli anni Novanta, gli stessi enti bilaterali come subaffidamento o collaborazione le cui spese sono stati coinvolti dalla legislazione nelle politiche ricomprese negli importi di contrato al lavoro irregolare. Già l’articolo 3, comma 8, d. lgs. n. 494/1996 aveva introdotto, infatti, l’obbligo affidamento ed a carico dei committenti di appalti pubblici e del responsabile dei lavori in edilizia di richiedere alle imprese appaltatrici un certificato di regolarità contributiva rilasciato – oltre che dall’Inps e dall’Inail – dalle Casse edili, previa stipula di una convenzione fra Casse e i medesimi istituti pubblici. L’articolo 2, del D.L. n. 210/02 (convertito con modifiche nella legge n. 266/02) ha esteso l’obbligo del documento unico di regolarità contributiva anche agli appalti privati, sempre nel settore edile, pena la revoca della concessione. La disposizione è stata poi confermata nel Codice dei contratti pubblici, all’articolo 118, comma 6-bis, d. lgs. n. 163/2006, in base al quale, «ai fini di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare del settore dell’edilizia, le Casse edili, sulla base di accordi stipulati a livello regionale con Inps e Inail, rilasciano il documento unico di regolarità contributiva…». Inoltre, l’articolo 1, comma 1176, legge n. 296/06 ha disposto con con decreto del Ministro del Lavoro (d. m. 24 ottobre 2007) si definiscano le modalità di rilascio del Durc. L’aspetto di maggior interesse è che il predetto d. m. ha previsto, in via sperimentale, che gli enti bilaterali di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), costituiti da una o più associazioni dei datori o dei prestatori di lavoro stipulanti il contratto collettivo nazionale che siano, per ciascuna parte, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, possono rilasciare il Durc previa stipula di una apposita convenzione con Inps e Inail, approvata dal Ministero del Lavoro. Il coinvolgimento degli enti bilaterali di tutti i settori produttivi (e non solo delle Casse edili) si spiega anche attraverso l’articolo 1, comma 553, legge n. 266/05 che ha disposto che il Durc è necessario per consentire alle imprese di accedere a benefici e sovvenzioni di origine comunitaria, si pensi, a titolo esemplificativo, ai Fondi strutturali comunitari. In definitiva, questo coinvolgimento di tutti gli enti bilaterali, e non solo delle Casse edili, rappresenta un importante sostegno legislativo al sistema della bilateralità in quanto affida agli enti la funzione di accertamento degli adempimenti di rilievo pubblicistico (come, per esempio, il corretto versamento dei contributi previdenziali). Ciò che rende diversa questa funzione da quelle viste dell’operatore economico aggiudicatario; • Professionista in materia di previdenzaantincendio Iscrizione nell’elenco del Ministero dell’interno ai sensi dell’art. 16 del D. lgs. 139 del 8 marzo 2006 come professionista antincendio. Il concorrente indica, formazione continua il nominativo del professionista e gli estremi dell’iscrizione all’elenco. Per la comprova del requisito la stazione appaltante acquisisce d’ufficio i documenti in possesso di pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell’operatore economico, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o sicurezza sul lavorodei dati richiesti. • Professionista in materia di acustica Iscrizione negli appositi elenchi abilitanti del Ministero dell’Ambiente di cui al D. Lgs. n. 42/2017 quale tecnico competente in acustica. L’incarico deve essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali al momento della presentazione dell’offerta. Tra i professionisti di cui al punto precedente deve essere individuato il soggetto (professionista e persona fisica) incaricato dell’integrazione tra le varie prestazioni, ai sensi dell’art.24 comma 5 secondo periodo del Codice che dovrà interfacciarsi con il RUP. C.U.C. – costituita tra i Comuni di Camerata Picena, Chiaravalle, Falconara Marittima e Monte San Xxxx Provincia di Ancona COMUNE DI FALCONARA MARITTIMA Prot.0029642-30/06/2022-D472-PG-0057-00010009-P GARA N. 15/2022 È fatto divieto ai concorrenti di partecipare in più di un RTP – Raggruppamento Temporaneo di Professionisti - oppure singolarmente e quali componenti di un RTP. Il medesimo divieto sussiste per i liberi professionisti qualora partecipi, sotto qualsiasi forma, una società di professionisti o di ingegneria delle quali il professionista è che si tratta amministratore, socio, dipendente o collaboratore coordinato e continuativo (art. 48 del Codice). La violazione di tale divieto comporta l'esclusione di entrambi i concorrenti. Il medesimo divieto sussiste per i liberi professionisti qualora partecipino alla stessa gara, sotto qualsiasi forma, una società di professionisti o una società di ingegneria delle quali il professionista è amministratore, socio, dipendente, consulente o collaboratore, ai sensi di quanto previsto dal DM 263/2016. Ai sensi dell'art. 24 comma 7 del Codice gli affidatari di incarichi di progettazione non possono essere affidatari degli appalti, nonché degli eventuali subappalti o cottimi, per i quali abbiano svolto la suddetta attività di progettazione. Ai medesimi appalti, subappalti e cottimi non può partecipare un soggetto controllato, controllante o collegato all'affidatario di incarichi di progettazione. Tali divieti sono estesi ai dipendenti dell'affidatario dell'incarico di progettazione, ai suoi collaboratori nello svolgimento dell'incarico e ai loro dipendenti, nonché agli affidatari di attività di controllo e certificazione delle imprese associate all’ente bilaterale; controllo effettuato in alternativa a quello svolto da organi pubblici (Inps, Inail). Nell’ambito del fenomeno della bilateralità, una questione di grande complessità e delicatezza – emersa con l’articolo 10 della legge n. 30/2003 – concerne il rispetto del principio di libertà sindacale negativa (cioè la libertà da parte del singolo lavoratore o datore di non aderire ad alcuna organizzazione sindacale) e dell’efficacia erga omnes dei contratti collettivi di cui rispettivamente ai commi 1 e 4 dell’art. 39 della Costituzione. In testuale modifica dell’art. 3 del d.l. n. 71 del 1993, l’art. 10 dispone che “ per le imprese artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accorsi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, il riconoscimento di benefici normativi e contributivi è subordinato all’integrale rispetto degli accordi e contratti citati”. La formula appena indicata “integrale rispetto degli accordi e contratti citati” in sostituzione di quella prevista dalla l. n. 151 del 1993 relativa a “integrale rispetto degli istituti economici e normativi stabiliti dai contratti collettivi di lavoro” costituisce chiaramente un elemento di discontinuità rispetto supporto alla normativa precedente e alla giurisprudenza di merito; infatti l’art. 10 della legge n. 30, la cui introduzione secondo alcuni si giustificherebbe con il tentativo di garantire da parte del legislatore il sostegno finanziario degli enti bilaterali, prevede che la “fiscalizzazione degli oneri contributivi e fiscali” sia subordinata non solo al rispetto delle clausole economiche e normative dei contratti collettivi ma anche al rispetto delle clausole obbligatorie e con esse di quelle che attengono all’adesione agli enti bilaterali. Per una migliore comprensione, occorre precisare che che la parte economica del contratto collettivo è quella che contiene la regolamentazione in via diretta dei trattamenti economici, la parte normativa è quella che contiene il complesso delle situazioni di diritto che regolano il rapporto e la parte obbligatoria è quella che concerne l’insieme di clausole che vincolano i soggetti stipulanti Dunque, la norma, stabilendo l’estensione generalizzata del contratto collettivo alle aziende progettazione e ai lavoratori, ivi inclusa la parte c.d. obbligatoria, ha incontrato alcune obiezioni costituzionali di fondo. La prima, più evidente, riguarda la questione della efficacia erga omnes ovvero l’applicazione generalizzata dei contratti collettivi; la seconda, meno scontata, riguarda il principio di libertà sindacale sancito dal primo comma dell’art. 39 Cost. Tale profilo innovativo contenuto nell’art. 10 ha suscitato in dottrina pareri discordanti fra quanti come X. Xxxxxxxxxx hanno commentato che «l’esercizio di autorità ed obbligatorietà erga omnes è un dono avvelenato per la libertà e l’autonomia sindacale», e fra quanti sostengono che quello dell’iscrizione all’ente e il versamento delle relative quote associative è un onere e non un obbligo senza che per questo ne scaturisca una meccanica affiliazione associativa, coi conseguenti vincoli di carattere organizzativo ed economico. Contrapposta a tale filone interpretativo vi è quella parte della dottrina che, invece, guarda con favore e apprezza la ratio della disposizione legislativa. In tal senso si riporta un importante contributo di X. Xxx, il quale afferma che «è da dubitare che le clausole contrattuali relative agli enti bilaterali rientrino nella cosiddetta parte obbligatoria e non siano invece riconducibili alla parte normativa. La mancata adesione ed in particolare il mancato versamento dei contributi agli enti bilaterali si traducono infatti in minori prestazioni, e dunque, se non altrimenti garantite, in uno svantaggio economico per il lavoratore. A prescindere dalla natura retributiva o previdenziale e assistenziale delle prestazioni erogate dalle forme della bilateralità si tratta pur sempre di trattamenti che vengono ad incidere sul contenuto delle situazioni di diritto che regolano il rapporto di lavoro. Le prestazioni in esame, seppur condizionate al verificarsi di determinate situazioni pregiudizievoli, non diventano eventuali tantomeno facoltative. Eventuale è il fatto che le origina ma non il diritto a ricevere il trattamento conseguente». Dunque, quello dell’adesione agli enti bilaterali è un obbligo, un dovere-libero o soltanto un tenue onere? A sbrogliare la complicata situazione è intervenuto il Ministero del Lavoro che, con una vera e propria retromarcia, quasi contra legem, nella circolare n. 4/2004 ha dato una interpretazione restrittiva della normativa in questione, sì da escludere che il rispetto delle clausole contrattuali concernenti gli enti bilaterali, considerate meramente obbligatorie, sia condizione necessaria per godere dei benefici normativi e contributivi. Secondo tale orientamento il riconoscimento di benefici è infatti subordinato “alla integrale applicazione della sola parte economica e normativa degli accordi e contratti collettivi, e non anche della parte obbligatoria di questi ultimi, pena il contrasto con il principio costituzionale di libertà sindacale negativa”. Viene in questo modo meno, per le cose trattate, uno dei principali elementi di discontinuità emersi fra il quadro normativo configurato dalla legge n. 30/2003 e la legislazione di sostegno precedente. Alla luce della interpretazione “chiarificatrice” data dal Ministero del Lavoro non è configurabile un obbligo di adesione agli organismi bilaterali, bensì un onere – per quanto vigoroso – ad adempiere alle prestazioni da essi gestite, preservando un cruciale spazio, seppur residuale, di libertà associativa per coloro che optino per la non adesione al proprio ente di riferimento. Tornano dunque a prospettarsi soluzioni diverse a seconda delle caratteristiche delle prestazioni erogate: nel caso della mutualizzazione di istituti economici e normativi contrattuali ne dovrebbe discendere una copertura settoriale di carattere universalistico e quindi erga omnes. Nei casi in cui si tratta invece di prestazioni integrative, il loro godimento (sia per le imprese che per i lavoratori) deriverà dall’iscrizione all’ente e dal versamento delle relative quote associative. In verità tale quadro normativo ricalca fedelmente quello tracciato soltanto due anni prima dalla Corte di Cassazione che con la sentenza del 10 maggio 2001, n. 6530 sosteneva che doveva riconoscersi natura retributiva solo alle prestazioni che gli enti bilaterali dovessero corrispondere in sostituzione di precisi obblighi del datore di lavoro, mentre le altre, di carattere meramente eventuale e connesse al verificarsi di determinate situazioni pregiudizievoli, hanno natura previdenziale e assistenziale, con l’effetto che nei confronti degli enti bilaterali diversi dalle Casse Edili, che erogano prestazioni non connesse a clausole normative contrattuali, non vi è l’obbligo di versamento della contribuzione, rientrando le clausole collettive che xxxxxxxxx detto obbligo nella parte obbligatoria del contratto collettivo. In sostanza, la lettura della sentenza n. 6530/01 induce a propendere per la non obbligatorietà della contribuzione all’ente bilaterale sulla base del dato letterale della norma: il D.L. n. 71/93 esigeva l’applicazione dei trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi e non – a suo dire – di tutto il contratto collettivo. Di fronte alla pronuncia della Cassazione, non si spiega, a parere di chi scrive, la ragione per la quale il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 4/2004, abbia riproposto la stessa interpretazione fornita dalla Cassazione, pur in presenza di un dato normativo ormai modificato. Secondo il Ministero del Lavoro, infatti, per fruire dei benefici di legge non vi sarebbe l’obbligo di versare il contributo agli enti bilaterali, perché tali enti sono istituiti da clausole obbligatorie dei contratti collettivi, che vincolano solo le parti collettive firmatarie e non le singole imprese. Nella stessa direzione si colloca la successiva circolare ministeriale n. 43 del 15 dicembre 2010 in cui si riafferma la salvaguardia della libertà sindacale negativa di adesione alla bilateralità, sancito dall’articolo 39 della Costituzione. Inoltre, lo stesso Xxxxxxxxx ha approfittato per affermare che se i contratti collettivi dispongono il riconoscimento a vantaggio dei lavoratori dei trattamenti garantiti dagli enti bilaterali o come servizio erogato dall’ente o come equivalente economico erogato dall’impresa, allora la disposizione diventa di natura normativa e perciò vincolante per ogni impresa che applica quel contratto collettivo. In buona sostanza, la circolare ministeriale presenta contenuti profondamente innovativi, poiché – nel caso in cui la contrattazione collettiva preveda attraverso il meccanismo bilaterale la concessione di tutele aggiuntive per i lavoratori – viene sancito il riconoscimento al prestatore di lavoro di un vero e proprio diritto contrattuale a ricevere analoghe prestazioni di tuteladipendenti.

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Regolarità contributiva. Carattere innovativo riveste altresì la disposizione Requisiti di cui all’art.8 del d. lgspredetto Decreto n. 263 del 2 dicembre 2016 che si intendono integralmente richiamati dal presente disciplinare. n. 276 cheLe società ed in consorzi dovranno inoltre essere iscritti nel registro delle imprese tenuto dalla Camera di Commercio Industria, riprendendo la normativa settoriale prevista nell’ediliziaArtigianato e Agricoltura per attività coerenti con quelle oggetto della presente procedura di gara. Il concorrente non stabilito in Italia ma in altro Stato Membro o in uno dei Paesi di cui all’art. 83, stabilisce l’obbligo per il committente comma 3 del Codice, presenta registro commerciale corrispondente o il responsabile dei lavoridichiarazione giurata o secondo le modalità vigenti nello Stato nel quale è stabilito. Ai sensi dell’art. 24 del D.Lgs. 50/2016, indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto concorrente, dovranno essere nominativamente indicati, nella domanda di chiedere alle imprese esecutrici un certificato di regolarità contributivapartecipazione i professionisti, personalmente responsabili, che provvederanno all'espletamento dell'incarico in oggetto, con la specificazione della rispettiva qualifica e della tipologia prestazionale che sarà fornita da ciascuno in caso di aggiudicazione. In particolare, dovranno essere individuati almeno i seguenti profili professionali: • Professionista Architetto/Ingegnere che espleta l’incarico oggetto dell’appalto Iscrizione agli appositi albi professionali previsti per l’esercizio dell’attività oggetto di appalto del soggetto personalmente responsabile dell’incarico. Il concorrente non stabilito in Italia ma in altro Stato Membro o in uno dei Paesi di cui all’art. 83, comma 3, del Codice, presenta iscrizione ad apposito albo corrispondente previsto dalla legislazione nazionale di appartenenza o dichiarazione giurata o secondo le modalità vigenti nello Stato nel quale è stabilito. Il concorrente indica il nominativo, la qualifica professionale e gli estremi dell’iscrizione all’Albo del professionista incaricato. • Professionista che espleta la parte di incarico oggetto dell’appalto inerente gli immobili di rilevante carattere artistico, nonché il restauro e il ripristino degli edifici sottoposti a vincolo storico riservata, ai sensi dell’art. 52 del R.D. ottobre 1925 n. 2537, alla categoria professionale degli Architetti Iscrizione agli appositi albi professionali previsti per l’esercizio dell’attività oggetto di appalto del soggetto personalmente responsabile dell’incarico. Il concorrente non stabilito in Italia ma in altro Stato Membro o in uno dei Paesi di cui all’art. 83, comma 3, del Codice, presenta iscrizione ad apposito albo corrispondente previsto dalla legislazione nazionale di appartenenza o dichiarazione giurata o secondo le modalità vigenti nello Stato nel quale è stabilito. Il concorrente indica il nominativo, la qualifica professionale e gli estremi dell’iscrizione all’Albo del professionista incaricato. • Professionista che espleta l’incarico di coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione I requisiti di cui all’art. 98 del d.lgs. 81/2008. Il concorrente indica i dati relativi al possesso, in capo al professionista, dei requisiti suddetti. • Geologo che redige la relazione geologica C.U.C. – costituita tra i Comuni di Camerata Picena, Chiaravalle, Falconara Marittima e Monte San Xxxx Provincia di Ancona COMUNE DI FALCONARA MARITTIMA Prot.0028214-22/06/2022-D472-PG-0057-00010009-P I requisiti di iscrizione al relativo albo professionale. Il concorrente indica, il nominativo e gli estremi dell’iscrizione all’Albo del professionista e ne specifica la forma di partecipazione tra quelle di seguito indicate: • componente di un raggruppamento temporaneo; • associato di una associazione tra professionisti; • socio/amministratore/direttore tecnico di una società di professionisti o di ingegneria • dipendente oppure collaboratore con contratto di collaborazione coordinata e continuativa su base annua, oppure consulente, iscritto all’albo professionale e munito di partiva IVA, che abbia fatturato nei confronti del concorrente una quota superiore al cinquanta per cento del proprio fatturato annuo, risultante dall’ultima dichiarazione IVA, nei casi indicati dal d.m. 2 dicembre 2016, n. 263. • Archeologo che redige la relazione archeologica Possesso dei requisiti indicati all’art. 25 c. 2 del Dlgs.50/2016; vista l’incidenza marginale delle prestazioni sul complesso del servizio da affidarsi tale figura può essere rilasciato, oltre che dall’Inps e dall’Inail, inquadrata anche dalle Casse edili e dagli enti bilaterali. Invero, fin dalla metà degli anni Novanta, gli stessi enti bilaterali come subaffidamento o collaborazione le cui spese sono stati coinvolti dalla legislazione nelle politiche ricomprese negli importi di contrato al lavoro irregolare. Già l’articolo 3, comma 8, d. lgs. n. 494/1996 aveva introdotto, infatti, l’obbligo affidamento ed a carico dei committenti di appalti pubblici e del responsabile dei lavori in edilizia di richiedere alle imprese appaltatrici un certificato di regolarità contributiva rilasciato – oltre che dall’Inps e dall’Inail – dalle Casse edili, previa stipula di una convenzione fra Casse e i medesimi istituti pubblici. L’articolo 2, del D.L. n. 210/02 (convertito con modifiche nella legge n. 266/02) ha esteso l’obbligo del documento unico di regolarità contributiva anche agli appalti privati, sempre nel settore edile, pena la revoca della concessione. La disposizione è stata poi confermata nel Codice dei contratti pubblici, all’articolo 118, comma 6-bis, d. lgs. n. 163/2006, in base al quale, «ai fini di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare del settore dell’edilizia, le Casse edili, sulla base di accordi stipulati a livello regionale con Inps e Inail, rilasciano il documento unico di regolarità contributiva…». Inoltre, l’articolo 1, comma 1176, legge n. 296/06 ha disposto con con decreto del Ministro del Lavoro (d. m. 24 ottobre 2007) si definiscano le modalità di rilascio del Durc. L’aspetto di maggior interesse è che il predetto d. m. ha previsto, in via sperimentale, che gli enti bilaterali di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), costituiti da una o più associazioni dei datori o dei prestatori di lavoro stipulanti il contratto collettivo nazionale che siano, per ciascuna parte, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, possono rilasciare il Durc previa stipula di una apposita convenzione con Inps e Inail, approvata dal Ministero del Lavoro. Il coinvolgimento degli enti bilaterali di tutti i settori produttivi (e non solo delle Casse edili) si spiega anche attraverso l’articolo 1, comma 553, legge n. 266/05 che ha disposto che il Durc è necessario per consentire alle imprese di accedere a benefici e sovvenzioni di origine comunitaria, si pensi, a titolo esemplificativo, ai Fondi strutturali comunitari. In definitiva, questo coinvolgimento di tutti gli enti bilaterali, e non solo delle Casse edili, rappresenta un importante sostegno legislativo al sistema della bilateralità in quanto affida agli enti la funzione di accertamento degli adempimenti di rilievo pubblicistico (come, per esempio, il corretto versamento dei contributi previdenziali). Ciò che rende diversa questa funzione da quelle viste dell’operatore economico aggiudicatario; • Professionista in materia di previdenzaantincendio Iscrizione nell’elenco del Ministero dell’interno ai sensi dell’art. 16 del D. lgs. 139 del 8 marzo 2006 come professionista antincendio. Il concorrente indica, formazione continua il nominativo del professionista e gli estremi dell’iscrizione all’elenco. Per la comprova del requisito la stazione appaltante acquisisce d’ufficio i documenti in possesso di pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell’operatore economico, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o sicurezza sul lavorodei dati richiesti. • Professionista in materia di acustica Iscrizione negli appositi elenchi abilitanti del Ministero dell’Ambiente di cui al D. Lgs. n. 42/2017 quale tecnico competente in acustica. L’incarico deve essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali al momento della presentazione dell’offerta. È fatto divieto ai concorrenti di partecipare in più di un RTP – Raggruppamento Temporaneo di Professionisti - oppure singolarmente e quali componenti di un RTP. Il medesimo divieto sussiste per i liberi professionisti qualora partecipi, sotto qualsiasi forma, una società di professionisti o di ingegneria delle quali il professionista è che si tratta amministratore, socio, dipendente o collaboratore coordinato e continuativo (art. 48 del Codice). La violazione di tale divieto comporta l'esclusione di entrambi i concorrenti. Il medesimo divieto sussiste per i liberi professionisti qualora partecipino alla stessa gara, sotto qualsiasi forma, una società di professionisti o una società di ingegneria delle quali il professionista è amministratore, socio, dipendente, consulente o collaboratore, ai sensi di quanto previsto dal DM 263/2016. Ai sensi dell'art. 24 comma 7 del Codice gli affidatari di incarichi di progettazione non possono essere affidatari degli appalti, nonché degli eventuali subappalti o cottimi, per i quali abbiano svolto la suddetta attività di progettazione. Ai medesimi appalti, subappalti e cottimi non può partecipare un soggetto controllato, controllante o collegato all'affidatario di incarichi di progettazione. Tali divieti sono estesi ai dipendenti dell'affidatario dell'incarico di progettazione, ai suoi collaboratori nello svolgimento dell'incarico e ai loro dipendenti, nonché agli affidatari di attività di controllo e certificazione delle imprese associate all’ente bilaterale; controllo effettuato in alternativa a quello svolto da organi pubblici (Inps, Inail). Nell’ambito del fenomeno della bilateralità, una questione di grande complessità e delicatezza – emersa con l’articolo 10 della legge n. 30/2003 – concerne il rispetto del principio di libertà sindacale negativa (cioè la libertà da parte del singolo lavoratore o datore di non aderire ad alcuna organizzazione sindacale) e dell’efficacia erga omnes dei contratti collettivi di cui rispettivamente ai commi 1 e 4 dell’art. 39 della Costituzione. In testuale modifica dell’art. 3 del d.l. n. 71 del 1993, l’art. 10 dispone che “ per le imprese artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accorsi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, il riconoscimento di benefici normativi e contributivi è subordinato all’integrale rispetto degli accordi e contratti citati”. La formula appena indicata “integrale rispetto degli accordi e contratti citati” in sostituzione di quella prevista dalla l. n. 151 del 1993 relativa a “integrale rispetto degli istituti economici e normativi stabiliti dai contratti collettivi di lavoro” costituisce chiaramente un elemento di discontinuità rispetto supporto alla normativa precedente e alla giurisprudenza di merito; infatti l’art. 10 della legge n. 30, la cui introduzione secondo alcuni si giustificherebbe con il tentativo di garantire da parte del legislatore il sostegno finanziario degli enti bilaterali, prevede che la “fiscalizzazione degli oneri contributivi e fiscali” sia subordinata non solo al rispetto delle clausole economiche e normative dei contratti collettivi ma anche al rispetto delle clausole obbligatorie e con esse di quelle che attengono all’adesione agli enti bilaterali. Per una migliore comprensione, occorre precisare che che la parte economica del contratto collettivo è quella che contiene la regolamentazione in via diretta dei trattamenti economici, la parte normativa è quella che contiene il complesso delle situazioni di diritto che regolano il rapporto e la parte obbligatoria è quella che concerne l’insieme di clausole che vincolano i soggetti stipulanti Dunque, la norma, stabilendo l’estensione generalizzata del contratto collettivo alle aziende progettazione e ai lavoratori, ivi inclusa la parte c.d. obbligatoria, ha incontrato alcune obiezioni costituzionali di fondo. La prima, più evidente, riguarda la questione della efficacia erga omnes ovvero l’applicazione generalizzata dei contratti collettivi; la seconda, meno scontata, riguarda il principio di libertà sindacale sancito dal primo comma dell’art. 39 Cost. Tale profilo innovativo contenuto nell’art. 10 ha suscitato in dottrina pareri discordanti fra quanti come X. Xxxxxxxxxx hanno commentato che «l’esercizio di autorità ed obbligatorietà erga omnes è un dono avvelenato per la libertà e l’autonomia sindacale», e fra quanti sostengono che quello dell’iscrizione all’ente e il versamento delle relative quote associative è un onere e non un obbligo senza che per questo ne scaturisca una meccanica affiliazione associativa, coi conseguenti vincoli di carattere organizzativo ed economico. Contrapposta a tale filone interpretativo vi è quella parte della dottrina che, invece, guarda con favore e apprezza la ratio della disposizione legislativa. In tal senso si riporta un importante contributo di X. Xxx, il quale afferma che «è da dubitare che le clausole contrattuali relative agli enti bilaterali rientrino nella cosiddetta parte obbligatoria e non siano invece riconducibili alla parte normativa. La mancata adesione ed in particolare il mancato versamento dei contributi agli enti bilaterali si traducono infatti in minori prestazioni, e dunque, se non altrimenti garantite, in uno svantaggio economico per il lavoratore. A prescindere dalla natura retributiva o previdenziale e assistenziale delle prestazioni erogate dalle forme della bilateralità si tratta pur sempre di trattamenti che vengono ad incidere sul contenuto delle situazioni di diritto che regolano il rapporto di lavoro. Le prestazioni in esame, seppur condizionate al verificarsi di determinate situazioni pregiudizievoli, non diventano eventuali tantomeno facoltative. Eventuale è il fatto che le origina ma non il diritto a ricevere il trattamento conseguente». Dunque, quello dell’adesione agli enti bilaterali è un obbligo, un dovere-libero o soltanto un tenue onere? A sbrogliare la complicata situazione è intervenuto il Ministero del Lavoro che, con una vera e propria retromarcia, quasi contra legem, nella circolare n. 4/2004 ha dato una interpretazione restrittiva della normativa in questione, sì da escludere che il rispetto delle clausole contrattuali concernenti gli enti bilaterali, considerate meramente obbligatorie, sia condizione necessaria per godere dei benefici normativi e contributivi. Secondo tale orientamento il riconoscimento di benefici è infatti subordinato “alla integrale applicazione della sola parte economica e normativa degli accordi e contratti collettivi, e non anche della parte obbligatoria di questi ultimi, pena il contrasto con il principio costituzionale di libertà sindacale negativa”. Viene in questo modo meno, per le cose trattate, uno dei principali elementi di discontinuità emersi fra il quadro normativo configurato dalla legge n. 30/2003 e la legislazione di sostegno precedente. Alla luce della interpretazione “chiarificatrice” data dal Ministero del Lavoro non è configurabile un obbligo di adesione agli organismi bilaterali, bensì un onere – per quanto vigoroso – ad adempiere alle prestazioni da essi gestite, preservando un cruciale spazio, seppur residuale, di libertà associativa per coloro che optino per la non adesione al proprio ente di riferimento. Tornano dunque a prospettarsi soluzioni diverse a seconda delle caratteristiche delle prestazioni erogate: nel caso della mutualizzazione di istituti economici e normativi contrattuali ne dovrebbe discendere una copertura settoriale di carattere universalistico e quindi erga omnes. Nei casi in cui si tratta invece di prestazioni integrative, il loro godimento (sia per le imprese che per i lavoratori) deriverà dall’iscrizione all’ente e dal versamento delle relative quote associative. In verità tale quadro normativo ricalca fedelmente quello tracciato soltanto due anni prima dalla Corte di Cassazione che con la sentenza del 10 maggio 2001, n. 6530 sosteneva che doveva riconoscersi natura retributiva solo alle prestazioni che gli enti bilaterali dovessero corrispondere in sostituzione di precisi obblighi del datore di lavoro, mentre le altre, di carattere meramente eventuale e connesse al verificarsi di determinate situazioni pregiudizievoli, hanno natura previdenziale e assistenziale, con l’effetto che nei confronti degli enti bilaterali diversi dalle Casse Edili, che erogano prestazioni non connesse a clausole normative contrattuali, non vi è l’obbligo di versamento della contribuzione, rientrando le clausole collettive che xxxxxxxxx detto obbligo nella parte obbligatoria del contratto collettivo. In sostanza, la lettura della sentenza n. 6530/01 induce a propendere per la non obbligatorietà della contribuzione all’ente bilaterale sulla base del dato letterale della norma: il D.L. n. 71/93 esigeva l’applicazione dei trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi e non – a suo dire – di tutto il contratto collettivo. Di fronte alla pronuncia della Cassazione, non si spiega, a parere di chi scrive, la ragione per la quale il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 4/2004, abbia riproposto la stessa interpretazione fornita dalla Cassazione, pur in presenza di un dato normativo ormai modificato. Secondo il Ministero del Lavoro, infatti, per fruire dei benefici di legge non vi sarebbe l’obbligo di versare il contributo agli enti bilaterali, perché tali enti sono istituiti da clausole obbligatorie dei contratti collettivi, che vincolano solo le parti collettive firmatarie e non le singole imprese. Nella stessa direzione si colloca la successiva circolare ministeriale n. 43 del 15 dicembre 2010 in cui si riafferma la salvaguardia della libertà sindacale negativa di adesione alla bilateralità, sancito dall’articolo 39 della Costituzione. Inoltre, lo stesso Xxxxxxxxx ha approfittato per affermare che se i contratti collettivi dispongono il riconoscimento a vantaggio dei lavoratori dei trattamenti garantiti dagli enti bilaterali o come servizio erogato dall’ente o come equivalente economico erogato dall’impresa, allora la disposizione diventa di natura normativa e perciò vincolante per ogni impresa che applica quel contratto collettivo. In buona sostanza, la circolare ministeriale presenta contenuti profondamente innovativi, poiché – nel caso in cui la contrattazione collettiva preveda attraverso il meccanismo bilaterale la concessione di tutele aggiuntive per i lavoratori – viene sancito il riconoscimento al prestatore di lavoro di un vero e proprio diritto contrattuale a ricevere analoghe prestazioni di tuteladipendenti.

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Regolarità contributiva. Carattere innovativo riveste altresì la disposizione Il pagamento dei corrispettivi è subordinato all’acquisizione dei Documenti Unici di Regolarità Contributiva (D.U.R.C.) relativi a gestore-appaltatore/affidatari/esecutori ed alle verifiche di cui al Decreto del d. lgsministero dell'economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40 “Modalità di attuazione dell'art. n. 276 che48-bis del X.X.X. 00 xxxxxxxxx 0000, riprendendo la normativa settoriale prevista nell’ediliziax. 000, stabilisce l’obbligo xxxxxxx disposizioni in materia di pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni”. A tal fine il gestore fornisce all’Ente, con cadenza trimestrale, tutti i dati necessari alla richiesta telematica dei DURC, mediante compilazione dei “quadri B” reperibili sul sito “Sportello unico previdenziale”. Alla richiesta dei DURC provvederà l’Ente, ai sensi di legge. In caso di DURC che segnali una inadempienza contributiva relativa a uno o più soggetti impiegati nell’esecuzione del contratto, l’Ente tratterrà dal pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza. Il pagamento di quanto dovuto per le inadempienze accertate tramite il committente o DURC è disposto direttamente agli enti previdenziali/assicurativi/cassa edile. Ai sensi dell’art. 6 D.p.r. 207/2010, in caso di ottenimento di un DURC negativo per due volte consecutive, il responsabile dei lavoriRUP, acquisita una relazione particolareggiata predisposta dall’ufficio di chiedere alle imprese esecutrici un certificato di regolarità contributivaDirezione dell’esecuzione, che può essere rilasciatopropone, oltre che dall’Inps e dall’Inail, anche dalle Casse edili e dagli enti bilaterali. Invero, fin dalla metà degli anni Novanta, gli stessi enti bilaterali sono stati coinvolti dalla legislazione nelle politiche di contrato al lavoro irregolare. Già l’articolo 3ai sensi dell’articolo 135, comma 81 D.Lgs. 163/2006, d. lgs. n. 494/1996 aveva introdotto, infatti, l’obbligo a carico dei committenti di appalti pubblici e la risoluzione del responsabile dei lavori in edilizia di richiedere alle imprese appaltatrici un certificato di regolarità contributiva rilasciato – oltre che dall’Inps e dall’Inail – dalle Casse edilicontratto, previa stipula contestazione degli addebiti e assegnazione di una convenzione fra Casse un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle controdeduzioni. Ove l’ottenimento del DURC negativo per due volte consecutive riguardi il subappaltatore, l’Ente pronuncia, previa contestazione degli addebiti al subappaltatore e i medesimi istituti pubblici. L’articolo 2assegnazione di un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle controdeduzioni, del D.L. n. 210/02 (convertito con modifiche nella legge n. 266/02) ha esteso l’obbligo del documento unico la decadenza dell’autorizzazione di regolarità contributiva anche agli appalti privati, sempre nel settore edile, pena la revoca della concessione. La disposizione è stata poi confermata nel Codice dei contratti pubblici, cui all’articolo 118, comma 6-bis, d. lgs8 D.Lgs. n. 163/2006, in base al quale, «ai fini di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare del settore dell’edilizia, le Casse edili, sulla base di accordi stipulati a livello regionale con Inps e Inail, rilasciano il documento unico di regolarità contributiva…». Inoltre, l’articolo 1, comma 1176, legge n. 296/06 ha disposto con con decreto del Ministro del Lavoro (d. m. 24 ottobre 2007) si definiscano le modalità di rilascio del Durc. L’aspetto di maggior interesse è che il predetto d. m. ha previsto, in via sperimentale, che gli enti bilaterali di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), costituiti da una o più associazioni dei datori o dei prestatori di lavoro stipulanti il contratto collettivo nazionale che siano, dandone contestuale segnalazione all’Osservatorio per ciascuna parte, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, possono rilasciare il Durc previa stipula di una apposita convenzione con Inps e Inail, approvata dal Ministero del Lavoro. Il coinvolgimento degli enti bilaterali di tutti i settori produttivi (e non solo delle Casse edili) si spiega anche attraverso l’articolo 1, comma 553, legge n. 266/05 che ha disposto che il Durc è necessario per consentire alle imprese di accedere a benefici e sovvenzioni di origine comunitaria, si pensi, a titolo esemplificativo, ai Fondi strutturali comunitari. In definitiva, questo coinvolgimento di tutti gli enti bilaterali, e non solo delle Casse edili, rappresenta un importante sostegno legislativo al sistema della bilateralità in quanto affida agli enti la funzione di accertamento degli adempimenti di rilievo pubblicistico (come, per esempio, il corretto versamento dei contributi previdenziali). Ciò che rende diversa questa funzione da quelle viste in materia di previdenza, formazione continua o sicurezza sul lavoro, è che si tratta di attività di controllo e certificazione delle imprese associate all’ente bilaterale; controllo effettuato in alternativa a quello svolto da organi pubblici (Inps, Inail). Nell’ambito del fenomeno della bilateralità, una questione di grande complessità e delicatezza – emersa con l’articolo 10 della legge n. 30/2003 – concerne il rispetto del principio di libertà sindacale negativa (cioè la libertà da parte del singolo lavoratore o datore di non aderire ad alcuna organizzazione sindacale) e dell’efficacia erga omnes dei contratti collettivi di cui rispettivamente ai commi 1 e 4 dell’art. 39 della Costituzione. In testuale modifica dell’art. 3 del d.l. n. 71 del 1993, l’art. 10 dispone che “ per le imprese artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accorsi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, il riconoscimento di benefici normativi e contributivi è subordinato all’integrale rispetto degli accordi e contratti citati”. La formula appena indicata “integrale rispetto degli accordi e contratti citati” in sostituzione di quella prevista dalla l. n. 151 del 1993 relativa a “integrale rispetto degli istituti economici e normativi stabiliti dai contratti collettivi di lavoro” costituisce chiaramente un elemento di discontinuità rispetto alla normativa precedente e alla giurisprudenza di merito; infatti l’art. 10 della legge n. 30, la cui introduzione secondo alcuni si giustificherebbe con il tentativo di garantire da parte del legislatore il sostegno finanziario degli enti bilaterali, prevede che la “fiscalizzazione degli oneri contributivi e fiscali” sia subordinata non solo al rispetto delle clausole economiche e normative dei contratti collettivi ma anche al rispetto delle clausole obbligatorie e con esse di quelle che attengono all’adesione agli enti bilaterali. Per una migliore comprensione, occorre precisare che che la parte economica del contratto collettivo è quella che contiene la regolamentazione in via diretta dei trattamenti economici, la parte normativa è quella che contiene il complesso delle situazioni di diritto che regolano il rapporto e la parte obbligatoria è quella che concerne l’insieme di clausole che vincolano i soggetti stipulanti Dunque, la norma, stabilendo l’estensione generalizzata del contratto collettivo alle aziende e ai lavoratori, ivi inclusa la parte c.d. obbligatoria, ha incontrato alcune obiezioni costituzionali di fondo. La prima, più evidente, riguarda la questione della efficacia erga omnes ovvero l’applicazione generalizzata dei contratti collettivi; la seconda, meno scontata, riguarda il principio di libertà sindacale sancito dal primo comma dell’art. 39 Cost. Tale profilo innovativo contenuto nell’art. 10 ha suscitato in dottrina pareri discordanti fra quanti come X. Xxxxxxxxxx hanno commentato che «l’esercizio di autorità ed obbligatorietà erga omnes è un dono avvelenato per la libertà e l’autonomia sindacale», e fra quanti sostengono che quello dell’iscrizione all’ente e il versamento delle relative quote associative è un onere e non un obbligo senza che per questo ne scaturisca una meccanica affiliazione associativa, coi conseguenti vincoli di carattere organizzativo ed economico. Contrapposta a tale filone interpretativo vi è quella parte della dottrina che, invece, guarda con favore e apprezza la ratio della disposizione legislativa. In tal senso si riporta un importante contributo di X. Xxx, il quale afferma che «è da dubitare che le clausole contrattuali relative agli enti bilaterali rientrino nella cosiddetta parte obbligatoria e non siano invece riconducibili alla parte normativa. La mancata adesione ed in particolare il mancato versamento dei contributi agli enti bilaterali si traducono infatti in minori prestazioni, e dunque, se non altrimenti garantite, in uno svantaggio economico per il lavoratore. A prescindere dalla natura retributiva o previdenziale e assistenziale delle prestazioni erogate dalle forme della bilateralità si tratta pur sempre di trattamenti che vengono ad incidere sul contenuto delle situazioni di diritto che regolano il rapporto di lavoro. Le prestazioni in esame, seppur condizionate al verificarsi di determinate situazioni pregiudizievoli, non diventano eventuali tantomeno facoltative. Eventuale è il fatto che le origina ma non il diritto a ricevere il trattamento conseguente». Dunque, quello dell’adesione agli enti bilaterali è un obbligo, un dovere-libero o soltanto un tenue onere? A sbrogliare la complicata situazione è intervenuto il Ministero del Lavoro che, con una vera e propria retromarcia, quasi contra legem, nella circolare n. 4/2004 ha dato una interpretazione restrittiva della normativa in questione, sì da escludere che il rispetto delle clausole contrattuali concernenti gli enti bilaterali, considerate meramente obbligatorie, sia condizione necessaria per godere dei benefici normativi e contributivi. Secondo tale orientamento il riconoscimento di benefici è infatti subordinato “alla integrale applicazione della sola parte economica e normativa degli accordi e contratti collettivi, e non anche della parte obbligatoria di questi ultimi, pena il contrasto con il principio costituzionale di libertà sindacale negativa”. Viene in questo modo meno, per le cose trattate, uno dei principali elementi di discontinuità emersi fra il quadro normativo configurato dalla legge n. 30/2003 e la legislazione di sostegno precedente. Alla luce della interpretazione “chiarificatrice” data dal Ministero del Lavoro non è configurabile un obbligo di adesione agli organismi bilaterali, bensì un onere – per quanto vigoroso – ad adempiere alle prestazioni da essi gestite, preservando un cruciale spazio, seppur residuale, di libertà associativa per coloro che optino per la non adesione al proprio ente di riferimento. Tornano dunque a prospettarsi soluzioni diverse a seconda delle caratteristiche delle prestazioni erogate: l’inserimento nel caso della mutualizzazione di istituti economici e normativi contrattuali ne dovrebbe discendere una copertura settoriale di carattere universalistico e quindi erga omnes. Nei casi in cui si tratta invece di prestazioni integrative, il loro godimento (sia per le imprese che per i lavoratori) deriverà dall’iscrizione all’ente e dal versamento delle relative quote associative. In verità tale quadro normativo ricalca fedelmente quello tracciato soltanto due anni prima dalla Corte di Cassazione che con la sentenza del 10 maggio 2001, n. 6530 sosteneva che doveva riconoscersi natura retributiva solo alle prestazioni che gli enti bilaterali dovessero corrispondere in sostituzione di precisi obblighi del datore di lavoro, mentre le altre, di carattere meramente eventuale e connesse al verificarsi di determinate situazioni pregiudizievoli, hanno natura previdenziale e assistenziale, con l’effetto che nei confronti degli enti bilaterali diversi dalle Casse Edili, che erogano prestazioni non connesse a clausole normative contrattuali, non vi è l’obbligo di versamento della contribuzione, rientrando le clausole collettive che xxxxxxxxx detto obbligo nella parte obbligatoria del contratto collettivo. In sostanza, la lettura della sentenza n. 6530/01 induce a propendere per la non obbligatorietà della contribuzione all’ente bilaterale sulla base del dato letterale della norma: il D.L. n. 71/93 esigeva l’applicazione dei trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi e non – a suo dire – di tutto il contratto collettivo. Di fronte alla pronuncia della Cassazione, non si spiega, a parere di chi scrive, la ragione per la quale il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 4/2004, abbia riproposto la stessa interpretazione fornita dalla Cassazione, pur in presenza di un dato normativo ormai modificato. Secondo il Ministero del Lavoro, infatti, per fruire dei benefici di legge non vi sarebbe l’obbligo di versare il contributo agli enti bilaterali, perché tali enti sono istituiti da clausole obbligatorie dei contratti collettivi, che vincolano solo le parti collettive firmatarie e non le singole imprese. Nella stessa direzione si colloca la successiva circolare ministeriale n. 43 del 15 dicembre 2010 in cui si riafferma la salvaguardia della libertà sindacale negativa di adesione alla bilateralità, sancito dall’articolo 39 della Costituzione. Inoltre, lo stesso Xxxxxxxxx ha approfittato per affermare che se i contratti collettivi dispongono il riconoscimento a vantaggio dei lavoratori dei trattamenti garantiti dagli enti bilaterali o come servizio erogato dall’ente o come equivalente economico erogato dall’impresa, allora la disposizione diventa di natura normativa e perciò vincolante per ogni impresa che applica quel contratto collettivo. In buona sostanza, la circolare ministeriale presenta contenuti profondamente innovativi, poiché – nel caso in cui la contrattazione collettiva preveda attraverso il meccanismo bilaterale la concessione di tutele aggiuntive per i lavoratori – viene sancito il riconoscimento al prestatore di lavoro di un vero e proprio diritto contrattuale a ricevere analoghe prestazioni di tutelacasellario informatico.

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