DIRITTO. La questione sottoposta all’Arbitro concerne il diritto della ricorrente alla riduzione delle garanzie concesse in presenza di una loro sproporzione ed il valore del credito garantito. Infatti, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa del contratto di pegno e delle fideiussioni, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assolta, nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscritta. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. ▇▇ è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infatti, il primo caso richiede, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma per la quale e stata iscritta l'ipoteca. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, risulta che il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantire, dove pure tale importo è stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire le esigenze di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimento.
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Sources: Mutuo Con Garanzia Ipotecaria, Mutuo Con Garanzia Ipotecaria
DIRITTO. La questione sottoposta all’Arbitro concerne il diritto ricorrente chiede la rinegoziazione delle condizioni di rimborso di un mutuo ipotecario, con una «dilazione temporale» a 20 anni, e l’accettazione da parte della banca di un piano di rientro mediante rate mensili di € 700,00 cadauna, fino a esaurimento della somma dovuta. È pacifico tra le parti che circa tale richiesta della ricorrente si è svolta una trattativa, anche se le stesse hanno variamente descritto le modalità con cui tale trattativa si è effettivamente svolta. Tuttavia la ricorrente non sostiene che da tale fase prenegoziale è scaturito un affidamento nella positiva conclusione della trattativa stessa, ed, invero, dal nucleo comune alle due narrazioni nessun fatto affidante emerge. In realtà la ricorrente chiede direttamente l’accoglimento della sua proposta di sistemazione del rapporto in essere; in altri termini essa chiede che si addivenga alla riduzione stipula di un nuovo contratto di finanziamento. In punto di fatto si deve però evidenziare che è certo che dalla visura CERVED prodotta dalla resistente l’impresa individuale intestata alla ricorrente risulta cancellata dal registro delle garanzie concesse imprese dal 05/02/2013, data successiva al reclamo e precedente il ricorso. In tali circostanze il Collegio deve richiamare il proprio costante indirizzo, già espresso in presenza numerose occasioni, relativo all’inesistenza di una loro sproporzione ed il valore un diritto soggettivo del cliente all’erogazione del credito garantitoed al mantenimento delle condizioni contrattuali di un credito già accordato. InfattiIn particolare, i Collegi hanno evidenziato, da una parte, che un obbligo generale di far credito è certamente estraneo allo statuto delle imprese bancarie, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza cui attività deve ispirarsi ai principi di una “sproporzione geneticasana e prudente gestione” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato deve essere esercitata avendo riguardo “alla stabilità complessiva, all’efficienza e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa alla competitività del contratto di pegno e delle fideiussionisistema finanziario” (arg. ex art. 5 d.lgs. 1° settembre 1993, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assoltan. 385) e, nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscritta. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del clientedall’altra parte, che al momento della concessione del mutuo risultava di fuori delle ipotesi normativamente previste (in relazione ai mutui a tasso variabile per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell’abitazione principale), che confermano la deroga rispetto alla regola generale sopra ricordata, la modifica delle condizioni contrattuali non può essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, imposta a nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite risultando possibile soltanto quando intermediario e debitore si accordano sulle variazioni da apportare. Al contrario i Collegi hanno riconosciuto che, ove non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Orasussistano specifici patti attinenti la durata, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione di erogazione del credito in corso è un potere dovere degli intermediari i quali sono chiamati ad una nuova definizione consensuale costante vigilanza circa il merito del contenuto del regolamento negoziale, la quale non credito dei soggetti da essi finanziati. Ne deriva che l’unico profilo di valutazione che può essere oggetto del sindacato o espresso in termini di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta diritto relativamente alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza condotta di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. ▇▇ è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente intermediario in tema di garanzie concessione, o revoca, o rinegoziazione del credito non esclude l'ammissibilità attiene al rispetto dei canoni generali di buona fede e correttezza che deve improntare la condotta della banca nelle relazioni con la propria (anche potenziale) clientela. Ciò posto giova anche ricordare che secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione “Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la relazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del concorso creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore» - deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertantosolidarietà, l'eventuale costituzione fondato sull’art. 2 cost., che, operando come un criterio di pegnoreciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in linea astrattamodo da preservare gli interessi dell’altra, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge” (Cass. civ., sez. III, 10-11-2010, n. 2540/201622819). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo Naturalmente ai fini della valutazione di una condotta alla luce del criterio che impone di evitare il pregiudizio dell’interesse della controparte senza dover sopportare sforzi o più delle garanzie coesistenti. Al fine costi sproporzionati al risultato si deve tener conto di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. tutte le circostanze rilevanti (cfr. Cass. civ., sez. III, 29-09-2011, n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infatti, il primo caso richiede, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile19879). Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza è da osservare che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma per la quale e stata iscritta l'ipoteca. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, risulta che decisioni assunte dall’intermediario in questione non possono essere valutate in contrasto con il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantire, dove pure tale importo è stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire le esigenze dovere di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivobuona fede, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno l’indubbio (e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UEnon svelato) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimentomutamento sostanziale della posizione economica della ricorrente.
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Sources: Banking Dispute Resolution
DIRITTO. La questione sottoposta all’Arbitro concerne Osserva innanzitutto il diritto della ricorrente alla riduzione delle garanzie concesse in presenza Collegio come sia pacifica la sussistenza di una loro sproporzione ed il valore del credito garantito. Infatti, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un contratto di mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipotecatra la parte ricorrente e la banca convenuta, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa del contratto di pegno e delle fideiussioni, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assolta, nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscrittarichiesta la sospensione dei pagamenti con supporto del Fondo di solidarietà. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli attiPeraltro, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che deve immediatamente rilevare come le parti non hanno dichiarato prodotto integralmente le condizioni contrattuali, ma soltanto il documento di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli sintesi allegato all’atto notarile (cfr. Collall. Roma6 del ricorso) e la documentazione successiva, decca cui si farà dunque riferimento. nn. 7532/2015Dal documento di sintesi si ha conferma che il mutuo è stato concesso per € 113.000,00, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttaviada rimborsare al tasso variabile secondo il parametro Euribor a 6 mesi, ritiene aumentato di non potervi aderire e uno spread di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui1,50 punti, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto in rate semestrali posticipate di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa importo costante pari ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”€ 3.483,57, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio conseguente possibilità di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. ▇▇ è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie variazione della durata del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito mutuo (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione variabilità del tasso). È pacifico che in data 20.09.2011 la ricorrente abbia domandato la sospensione per 18 mesi del pagamento delle rate del mutuo mediante adesione al Fondo di un principio generalesolidarietà, così come pacifico è che la ricorrente sia stata ammessa alla sospensione. Nella comunicazione data dall’intermediario relativa alla ammissione al Fondo di solidarietà risulta che la sospensione ha riguardato “anche le quali si occupano rate scadute e non pagate” e precisamente tre rate del prestito, ossia quella del 30.06.2011, già scaduta, che sarebbe stata “sospesa” e le due successive, con scadenza il 31.12.2011 ed il 30.06.2012, che sarebbero state “slittate”. Lo stesso intermediario ha riferito e confermato di aver però addebitato alla parte cliente l’importo di € 1.482,39, quale differenza tra gli interessi riconosciuti dalla Consap, per l’adesione al Fondo e quanto effettivamente dovuto dalla mutuataria. Si tratta dunque di comprendere se tale addebito sia legittimo. In merito, va osservato che l’art. 2, co. 478, della sproporzione del contenuto del contrattol. n. 244/2007 stabilisce che, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infattial termine della sospensione, il primo caso richiedepagamento delle rate riprende secondo le stesse modalità e secondo i tempi precedenti alla sospensione, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza salvo che le parti abbiano attribuito stabilito diversamente, ovvero che abbiano rinegoziato le condizioni contrattuali con un valore nuovo patto. Inoltre, la circolare ABI prot. CR/LG/002959 del 27 ottobre 2010, prevede che l’intermediario mutuante potrà addebitare al cespite ipotecato inferiore mutuatario solo la quota di interessi maturata durante il periodo di sospensione corrispondente alla somma differenza tra quanto di competenza dell’intermediario stesso, stabilito contrattualmente, e quanto effettivamente rimborsato dal Fondo di Solidarietà e che le modalità di rimborso devono essere concordate dalle parti. Infine, si ricorda che su tale questione si è recentemente espresso il Collegio di Coordinamento di questo Arbitro (decisione n. 4123/2015) che ha ribadito che il fine solidaristico della normativa relativa al Fondo di Solidarietà è quello di sostenere soggetti che si trovano in grave difficoltà, essendo la sospensione del pagamento delle rate condizionata al verificarsi di accadimenti gravi, quali la perdita del posto di lavoro o la morte di uno dei componenti del nucleo familiare. Collegio di Milano, decisione n. 9068 del 09.12.2015 Di conseguenza, si deve ritenere che le disposizioni in materia vadano interpretate nel senso che “il rimborso da parte del Fondo della quota d’interesse corrispondente al parametro di riferimento dell’interesse contrattuale esaurisca il pagamento di quanto dovuto alla banca a titolo di interessi delle rate sospese, senza che a tale titolo residui alcun debito del mutuatario beneficiario” e sempre che non constino specifici patti aggiunti, la cui validità andrà comunque di volta in volta verificata. Se ne deduce che la legge non abbia voluto addossare all’intermediario il costo totale della sospensione, bensì disposto la corresponsione in suo favore del solo costo sostenuto, durante la sospensione, per procurarsi sul mercato interbancario la quale e stata iscritta l'ipotecaprovvista di denaro goduta dal beneficiario. Ne consegue Il Collegio di ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ha, quindi, rilevato che, nonostante non vi sia alcuna disposizione che escluda un ulteriore contributo, in materia di interessi, da parte del beneficiario, tuttavia, la finalità solidaristica della sospensione e del Fondo di Solidarietà rendono possibile un’interpretazione tesa ad escludere l’addebito, a carico del beneficiario della sospensione, del costo totale degli interessi maturati durante la sospensione stessa, salvo il caso di un esplicito accordo in tal senso tra cliente ed intermediario. D’altra parte, la circolare ABI poco prima ricordata si limita ad esprimere un orientamento interpretativo in merito alle richiamate disposizioni legislative e regolamentari e fa appunto riferimento al possibile accordo tra le parti relativo alle modalità di rimborso della quota di interessi, attribuendo alle banche la facoltà di ottenere il rimborso dello spread dal cliente, purché le modalità di rimborso siano state con questi concordate. Orbene, stanti tali presupposti, occorre considerare le peculiarità del caso in esame: in base alla stregua delle determinazioni delle stesse documentazione prodotta non constano accordi in questo senso tra le parti, ovvero relativi al versamento di un importo, a titolo di interesse, da aggiungersi e tale da giustificare la somma addebitata. Dalla documentazione acclusa al ricorso risulta, inoltre, che con lettera del 29.09.2012, nelle more della sospensione del pagamento delle rate del mutuo, la banca rappresentava alla cliente l’esistenza di un debito scaduto di € 7.157,68 in relazione allo stesso finanziamento; con lettera dell’11.10.2013, la banca ha accettato la proposta di piano di rientro dell’esposizione debitoria derivante dal mutuo di cui in controversia e quantificata in € 11.884,05, “fermo restando il regolare pagamento delle rate a scadere a far data da giugno 2014”; da tale missiva non è, però, dato in alcun modo evincere a quali rate del mutuo i versamenti ivi previsti sarebbero stati imputati. Sulla questione relativa all’aumento dell’importo della rata del mutuo, si rileva che dal documento di sintesi del contratto risulta che il cespite ipotecato mutuo, pur essendo regolato a tasso variabile, prevedeva il rimborso mediante rate di importo costante con la possibilità di variazione della durata del mutuo. Alla luce di tutti tali elementi normativi e fattuali, relativi al caso in esame, risulta pertanto al Collegio che, innanzitutto, la computazione di una somma a debito aggiuntiva per il cliente, pari ad Euro 1.482,39, non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantiretrovi giustificazione nella disciplina di legge, dove pure né in patti aggiuntivi ad hoc in tal senso. Inoltre, essendo intervenuta sospensione per tre rate per un totale di diciotto mesi, il conteggio dovrà assumere tale importo è stato definito dalle parti senza costrizionidato come riferimento utile. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire e riassuntivamente, l’intermediario dovrà procedere al ricalcolo dell’importo di quanto dovuto dal cliente tenendo conto della intervenuta sospensione delle tre rate di mutuo, nonché al conseguente ricalcolo dell’importo di tutte le esigenze di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno rate applicando i criteri individuati dal Fondo e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitrotenendo conto, per il calcolo degli interessi di sospensione, solo di quanto versato dal Fondo medesimo, senza procedere ad una declaratoria con l’addebito alla parte cliente della non dovuta somma di nullità del pegno e delle fideiussioniEuro 1.482,39, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra ferme restando le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole altre condizioni previste dal contratto di accoglimentomutuo così come inizialmente stipulato.
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DIRITTO. La questione sottoposta all’Arbitro concerne l’asserita illegittimità di addebiti operati dalla banca a titolo di commissioni e interessi su un conto corrente affidato, in violazione della disciplina di trasparenza, nonché in tema di usura e di anatocismo. Preliminarmente, pare opportuno rilevare che la resistente produce agli atti il diritto della ricorrente alla riduzione delle garanzie concesse in presenza contratto di una loro sproporzione ed conto corrente, debitamente sottoscritto dalla cliente, e il valore del credito garantito. Infattirelativo documento di sintesi, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia non l’accordo sulla base del quale è stata costituita un’ipotecaconcessa l’apertura di credito. Ne deriva che, rilasciate come pure contestato dalla parte ricorrente, non risulta la pattuizione per il tasso applicato al fido, né risultano contrattualizzati l’importo massimo del fido e le altre condizioni economiche applicate, in specie la commissione per la disponibilità fondi; il documento di sintesi relativo al conto corrente, invece, specifica solo il tasso di interesse e le commissioni applicate in caso di sconfinamento, in misura, peraltro, ovviamente superiore a quella effettivamente praticata per il rapporto di credito, oggetto di contestazione. Occorre pertanto valutare l’eventuale nullità delle fideiussioni pattuizioni relative ai tassi debitori ed alle commissioni praticate per violazione della forma scritta richiesta dall’art. 117 d.lgs. 385/1993 (TUB). Al riguardo, è da osservare che il vincolo della forma scritta costituisce il cardine della disciplina della trasparenza dei contratti bancari a cui è collegata la speciale nullità “relativa” delle rispettive clausole prevista dall’art. 127, 2° comma, TUB («Le nullità previste dal presente titolo operano solo a vantaggio del cliente e concesso possono essere rilevate d’ufficio dal giudice) a tutela del diritto del cliente di conoscere le condizioni praticate e per impedire che la determinazione degli oneri sia rimessa a completa discrezione della banca. È bensì vero che la disciplina la normativa di attuazione della Banca d’Italia, a tanto autorizzata dal C.I.C.R., ha sempre previsto, pur nel variare dei testi normativi, che non fosse richiesta la forma scritta per i contratti relativi ad operazioni e servizi già previsti in contratti redatti per iscritto, tra cui il contratto di conto corrente (così, per la versione vigente all’epoca dei fatti: Banca d’Italia, Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari provv. 29-7-2009, sez. III, § 2 : «La forma scritta non è obbligatoria per: a) le operazioni e i servizi effettuati in esecuzione di contratti redatti per iscritto». Le norma è rimasta immutata nelle nuove disposizioni emanate con provv. del 30/9/2016). Sulla base di ciò è stato ritenuto che il vincolo della forma scritta non è richiesto a pena di nullità per un pegno su titolicontratto di apertura di credito previsto e regolato da un contratto di conto corrente: contratto che può quindi essere concluso anche per fatti concludenti (Collegio Napoli, assume l’esistenza decisione n. 3668/13) in quanto «costituisce sufficiente garanzia per il cliente che il contenuto normativo del contratto sia redatto per iscritto, mentre poi la sua concreta stipulazione, alle condizioni riportate nel contratto scritto, potrà avvenire in altra forma nel rispetto delle esigenze di una “sproporzione genetica” tra celerità ed operatività che taluni tipi di contratti esigono» (Cass., 15 settembre 2006, n. 19941). Tali considerazioni non valgono tuttavia nel presente caso, per la semplice ragione che il valore contratto di conto corrente esibito dalla resistente non prevede né regola la concessione di apertura di credito. Infatti non contiene alcuna previsione in merito alle condizioni economiche da praticare nell’ipotesi di concessione di affidamenti sul conto. Il Collegio ritiene pertanto che nel presente caso debba trovare applicazione l’art. 117, 7° comma, d.lgs. 395/1993, secondo cui, in mancanza di indicazione dei tassi e degli altri oneri contrattuali, si applicano: «a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle garanzie concesse finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione. b) gli altri prezzi e l’importo finanziato condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e quindi chiede servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l'operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto». Nel contempo, il Collegio rileva che l’intermediario, nel rideterminare gli interessi passivi entro il limite fissato dal sopra esposto art. 117, 7° comma, non dovrà applicare a partire dal 1/1/2014 la clausola di capitalizzazione trimestrale degli stessi, essendo fondata l’eccezione di invalidità sopravvenuta della convenzione di anatocismo contenuta nel contratto di conto corrente a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 120, 2° comma, T.u.b. dall’art. 1, comma 629, legge 147/2013. A tal proposito è necessario preliminarmente precisare che il Collegio dichiari non può valutare l’originaria validità delle clausole contrattuali relative alla capitalizzazioni degli interessi, trattandosi nel caso di specie di un conto corrente acceso anteriormente al 1/1/2009, limite temporale fissato alla giurisdizione dell’ABF dalla disciplina vigente (par. 4, sez. I, delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazione e servizi bancari e finanziari). Il Collegio può invece accertare se le pattuizioni intervenute tra le parti siano affette da illiceità sopravvenuta per effetto della mutazione delle norme di riferimento, come peraltro chiede il ricorrente. In particolare, il citato art. 1 comma 629 L. 27.12.2013 n.147 ha modificato l’art. 120, 2° comma, T.u.b., con efficacia dal 1.1.2014, introducendo un radicale divieto per le banche di praticare interessi anatocistici («Il CICR stabilisce modalità e criteri per la nullità per difetto produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: […] b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»). L’intermediario contesta che tale modifica fosse operativa prima dell’emanazione della causa relativa disciplina secondaria di attuazione e sostiene che nelle more restassero transitoriamente valide le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi redatte in conformità della delibera C.i.c.r. del contratto 9.2.2000. La questione è stata oggetto di pegno e esame da parte del Collegio di coordinamento nella decisione n. 7854/2015, il quale invece è pervenuto ad affermare la natura immediatamente precettiva del nuovo art. ▇▇▇ ▇.▇.▇. ▇▇ consegue l’immediata invalidità sopravvenuta delle fideiussioniclausole contrattuali che, in quanto linea con la funzione precedente formulazione della norma e con la delibera C.i.c.r. del 9.2.2000, prevedevano la produzione di garanzia sarebbe assoltainteressi anatocistici a condizione che fosse rispettata la stessa periodicità di capitalizzazione per gli interessi attivi e passivi. Nello stabilire questo principio di diritto, il Collegio di coordinamento ha negato l’ultrattività della normativa secondaria emanata in attuazione della previgente disciplina; nel contempo, però, ha riconosciuto che non spetta all’Arbitro Bancario (ma all’Autorità amministrativa competente) il potere-dovere di rivolgere agli operatori bancari indicazioni generali di tecnica contabile e contrattuale. Il Collegio ha pertanto concluso che, fino all’emanazione della nuova delibera Cicr gli intermediari avrebbero dovuto adottare le opportune prassi contabili per renderle coerenti con il divieto di addebito di interessi anatocistici. Questo Collegio intende dare continuità all’orientamento manifestato dalla richiamata decisione del Collegio di coordinamento e ritiene che i principi ivi affermati restino validi nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscrittanonostante l’ulteriore modifica subita nel frattempo dall’art. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. ▇▇ è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96120, 2° comma, c.p.cT.u.b. ad opera della legge 8.4.2016, n. 49 in sede di conversione del d.l. 14/2/2016, n. 18. Il nuovo art. 120 T.u.b. dispone che: «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell’attività bancaria»; nel definire i principi della normativa di attuazione (cfr. Cass. in seguito emanata con D.M., 3/8/2016, n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello 343), l’attuale formulazione dell’articolo conferma il principio di ipoteca volontaria e uguale periodicità nel conteggio degli interessi, ma precisa che il periodo deve essere « comunque non ha determinato statuizioni inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del giudice rapporto per cui sono dovuti». Per quanto riguarda specificamente gli interessi debitori, la nuova norma conferma che in ordine alla validità della garanzia. D'altro cantovia di principio gli stessi « non possono produrre interessi ulteriori, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla leggesalvo quelli di mora, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanziesono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale». NéTuttavia, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora precisa che «per le aperture di credito regolate in funzione della individuazione conto corrente e in conto di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infatti, il primo caso richiede, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insommapagamento, per definire forme gli sconfinamenti anche in assenza di controllo sul contenuto affidamento ovvero oltre il limite del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1º marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di specie chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l'autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo». Il Collegio è consapevole che l’attuale disciplina concede nuovo spazio alla produzione di interessi anatocistici limitatamente alle aperture di credito e agli sconfinamenti non risulta identificabileautorizzati in c/c. Osserva tuttavia che tale reintroduzione di pratiche anatocistiche può essere convenuta fra banca e cliente solo per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge 49/2016, e cioè dal 15/04/2016, ed a condizione che sussistano le ulteriori condizioni previste dall’art. Sotto questo profilo viene 120, 2° comma, T.u.b.: 1) che la capitalizzazione avvenga con cadenza annuale; 2) che sia espressamente autorizzato dal cliente l’addebito degli interessi passivi sul conto corrente. In mancanza di tali condizioni, e comunque per il periodo in rilievo cui è stata in vigore la circostanza che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma per la quale e stata iscritta l'ipotecaversione dell’art. 120, 2° comma, T.u.b. introdotta dalla legge 147/2013 l’addebito di interessi anatocistici è illecito. Ne consegue checonsegue, alla stregua delle determinazioni delle stesse partipertanto, risulta che a partire dal 1/1/2014 e fino all’eventuale adeguamento degli accordi con il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantirecliente in conformità alle previsioni del nuovo art. 120, dove pure tale importo è stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertanto2° comma, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire le esigenze di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [regT.u.b. (UEcome da ultimo modificato dalla legge 49/2016) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i creditie relativa normativa di attuazione, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, l’intermediario non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per potrà procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimentocapitalizzazione periodica degli interessi passivi.
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Sources: Contract of Current Account
DIRITTO. La Il Collegio ritiene il ricorso infondato. Esaminando il contratto, risulta confermato che il finanziamento in questione sottoposta all’Arbitro concerne avrebbe dovuto essere rimborsato in 48 rate mensili da € 317,50, più una maxi rata finale di € 14.948,25. E’ pacifico tra le parti che tale ultima rata è scaduta il diritto 15.6.2013 e non è stata pagata. A causa della difficoltà di saldare il debito residuo, il ricorrente ha chiesto all’intermediario di accogliere un piano di rientro per il rimborso a saldo e stralcio del prestito. Il ricorrente contesta all’intermediario la segnalazione nei SIC dell’informazione negativa a suo nome, sull’assunto che le rate insolute oggetto di segnalazione si riferiscono a un piano di rifinanziamento della maxi rata finale, stabilito unilateralmente dall’intermediario al termine del piano rateale ordinario e quindi effettuato a sua insaputa, giacché non specificatamente pattuito in sede contrattuale. A tale proposito, le parti hanno depositato copie parzialmente difformi del medesimo contratto corredate del documento di sintesi. Dal confronto dei due testi risulta, relativamente alle parti comuni, che il ricorrente ha sottoscritto una richiesta di finanziamento di € 24.913,75, finalizzata all’acquisto di un’autovettura alle condizioni riportate nell’apposito riquadro, riguardanti numero, importi e scadenza singole rate. In particolare, entrambe le copie riportano: - le condizioni economiche del finanziamento, inserite nell’omonimo riquadro; - la sottoscrizione del ricorrente e del coobbligato, con firme identiche apposte sul lato destro della richiesta di finanziamento (le sottoscrizioni apposte sulla copia del ricorrente risultano poco leggibili, ma individuabili, mentre la data non è visibile perché non riprodotta nella copia fotostatica allegata dallo stesso ricorrente); - l’autorizzazione (sottoscritta dal cliente) all’addebito permanente in conto (RID) delle rate in scadenza, con indicazione delle relative coordinate; - la firma dell’incaricato del concessionario convenzionato con relativo timbro della concessionaria, quest’ultimo non leggibile dalla copia del cliente. Tra le tre modalità di rimborso previste, risulta prescelta la FORMULA CON OPZIONE MAXI RATA: nell’apposito riquadro sono riportate il numero (48) e l’importo (€ 317,50) delle rate mensili, più l’importo della maxi rata, pari a € 14.948,25. In corrispondenza della maxi rata viene indicata come opzione di pagamento il versamento della somma in un’unica soluzione, da effettuarsi entro e non oltre 15 gg. dopo la scadenza dell’ultima rata. Viene precisato che “In caso di mancato esercizio dell’opzione è prevista la rateizzazione dell’importo alle condizioni indicate nell’apposito riquadro sul fronte del contratto”. Il ricorrente disconosce il contratto allegato dall’intermediario con esclusivo riferimento a una parte del suo contenuto, a suo dire aggiunta successivamente alla riduzione sottoscrizione e senza alcuna pattuizione in tal senso. Tale parte attiene alle “modalità di rimborso” della maxi-rata, poste nel detto riquadro a destra delle garanzie concesse condizioni di pagamento. Tale riquadro è vuoto nell’esemplare depositato dal ricorrente, mentre in presenza quello depositato dell’intermediario sono indicati: - TAN e il TAEG, con relativo costo di finanziamento di € 5.274,50, per l’ipotesi di esercizio dell’opzione per il pagamento in un’unica soluzione della maxirata; - TAN e il TAEG con relativo costo di rateizzazione di € 531,75 calcolati ipotizzando la restituzione dell’importo della maxi-rata mediante 12 rate mensili da € 1.290,00. L’intermediario, oltre a dichiarare la corrispondenza di quanto prodotto a quanto sottoscritto dal cliente, eccepisce che la richiesta di sostituzione legale delle clausole asseritamente omesse, relative al TAEG e al TAN, è inammissibile perché avanzata dal ricorrente per la prima volta nel ricorso, non essendo state proposte dette domande nel reclamo. Afferma che il ricorrente aveva rilevato in fase di reclamo che “il contratto de quo appare viziato da indeterminatezza delle condizioni contrattuali”. Il Collegio ritiene – onde sgomberare il campo rispetto a tale profilo della controversia – che l’eccezione sia infondata, atteso che, sussistendo un criterio legale di sostituzione di clausole, dettato dall’art. 117 comma 7 del T.U.B., la contestazione della determinatezza delle clausole deve ritenersi comprensiva della rivendicazione di detta sostituzione. Ritiene il Collegio che sia infondata anche la contestazione del ricorrente circa le modalità di pagamento della maxi rata, considerato che nel contratto è chiaramente evidenziata – e il punto non è contestato – quale opzione il pagamento in un’unica soluzione dell’importo dovuto. Opzione che non appare essere stata esercitata, senza che possano rilevare le ragioni per cui ciò non è stato fatto. Irrilevante è l’affermazione del ricorrente di non aver esercitato l’opzione di pagamento in un’unica soluzione perché intendeva proseguire il piano di rimborso a rata invariata. ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ è altresì quella secondo cui egli ha incaricato la propria banca di effettuare il pagamento delle rate nei limiti di € 317,50 ciascuna (affermazione, peraltro, la cui veridicità non è verificabile, dato che nel modulo di autorizzazione permanente all’addebito dei RID non sono stati indicati importi prefissati o importi massimi delle disposizioni di incasso provenienti dalla banca convenuta). Si osserva, peraltro, che nelle comunicazioni di sollecito di pagamento precedenti la fase del reclamo e nella stessa segnalazione in CRIF non viene mai indicato l’importo delle rate in contestazione (di € 1.290,00) ma solo l’importo del debito residuo. Si aggiunga che l’apparente difformità (pari ad € 531,75) – portata anch’essa dal ricorrente a prova di una loro sproporzione ed diversa pattuizione – tra l’ammontare del finanziamento indicato nel contratto (€ 30.720,00) e l’importo ricostruito sulla base delle indicazioni riportate nella copia del contratto in suo possesso, determinato sommando l’ammontare complessivo delle rate alla maxi rata (€ 30.188,25), appare coincidere con il valore costo di rifinanziamento della maxi rata, non indicato nel modulo depositato dal ricorrente, ma incluso comunque nel costo totale del credito garantitofinanziamento (€ 5.806,25), riportato in entrambe le copie del contratto. InfattiPertanto, si deve ritenere che legittimamente l’intermediario abbia proceduto alla rateizzazione. Ciò detto, la ricorrentequestione si riduce alla attribuzione dell’onere della prova in merito alla contestazione di un denunciato abusivo riempimento del modulo contrattuale per ciò che riguarda il TAEG e il TAN di tale rateizzazione. Sul punto, che ha stipulato con soccorre la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del giurisprudenza della Suprema Corte, la quale è stata costituita un’ipotecaritiene che, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto quando risulti accertata l'autenticità della causa del contratto di pegno e delle fideiussioni, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assolta, sottoscrizione (come nel caso di specie), dall’ipoteca il sottoscrittore, ove voglia negare la paternità dell'atto documentato, ha l'onere di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per provare sia che la firma era stata apposta su foglio non ancora riempito sia che il quale riempimento è stata iscrittapoi avvenuto in violazione (falsità ideologica) o addirittura in assenza (falsità materiale) di un patto di riempimento (ex multis, Cass. sez. 3ˆ, 18 febbraio 2004, n. 3155, m. 570241). In conformità con tali principi, in un caso analogo, l’ABF (Collegio di Milano, dec. 8311/2015) ha stabilito che “secondo quanto ribadito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 25445/2010), chi eccepisce di aver firmato un accordo in bianco ha l’onere di proporre querela di falso, mentre chi sostiene che il riempimento del modulo sia avvenuto in maniera diversa da quanto precedentemente pattuito deve provare l’abusivo riempimento. Il Collegio ha fatto proprio tale principio e rilevato che, nella fattispecie concreta, l’istante non ha prodotto alcuna prova di quanto affermato, accerta, pertanto, che questa non ha adempiuto all’onere probatorio a suo carico. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso contestazione della parte, risulta, quindi, essere infondata e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione ”. Questo Collegio non ritiene di doversi discostare datale orientamento. A quanto sopra ritenuto consegue – a fronte della pacifica esistenza di insoluti - la legittimità della segnalazione effettuata in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. ▇▇ è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infatti, il primo caso richiede, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma per la quale e stata iscritta l'ipoteca. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, risulta che il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantire, dove pure tale importo è stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire le esigenze di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimentoCRIF.
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Sources: Financing Agreement
DIRITTO. La questione sottoposta all’Arbitro concerne il diritto della ricorrente Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Le parti hanno stipulato, in data 9.6.2006, un contratto di apertura di credito in conto corrente garantito da ipoteca, a tempo determinato, con scadenza stabilita alla riduzione delle garanzie concesse in presenza di una loro sproporzione ed il valore data del credito garantito2.9.2011. Infatti, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa L’art. 2 del contratto disciplinava espressamente la possibilità di pegno proroga previo consenso di entrambe le parti, purchè il correntista la richiedesse con raccomandata a.r. almeno 90 giorni prima della scadenza e delle fideiussioni, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assolta, nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscrittaproroga fosse formalizzata con atto pubblico. La Banca resistente eccepisce E’ incontroverso che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta le formalità imposte dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie proroga non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. ▇▇ è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.csiano state rispettate. Infatti, il primo caso richiedericorrente si è limitato a dichiarare che nel mese di luglio 2011 aveva concordato per le vie brevi con il responsabile della filiale la proroga di 24 mesi della scadenza della linea di credito, oltre alla sproporzione ultra dimidium mantenendo le condizioni economiche originariamente pattuite; egli non ha prodotto copia di alcuna richiesta scritta, né, tanto meno, della prestazione dedotta in contrattoraccomandata. Dal canto suo, la sussistenza convenuta ha dichiarato che la richiesta di ▇▇▇▇▇▇▇ è stata presentata in modo informale anche dello dal garante (comunque non legittimato a presentare l’istanza) in data 15.9.2011, e dunque dopo la scadenza originaria. E’ altrettanto incontroverso, per esplicita ammissione della resistente, che il cliente sia stato reso edotto delle nuove condizioni del prestito solo in data 25.10.2011, giorno precedente alla stipula dell’atto di bisogno proroga, e dell'approfittamento da parte dell'altro contraenteche non gli sia stato consegnato alcun ulteriore documento di informazione precontrattuale. A quest’ultimo riguardo, mentre il secondo caso la resistente ha eccepito che l’atto di proroga non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte costituisse concessione di un nuovo finanziamento e che avrebbe concluso quindi l’informativa precontrattuale non fosse dovuta. L’art. 5 dell’atto di proroga espressamente dispone che detto atto non costituisca novazione alcuna dei rapporti principali con il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza originario e che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma condizioni economiche, obbligazioni tutte e le ipoteche derivanti dal contratto medesimo rimangano ferme per la quale e stata iscritta l'ipotecaogni effetto. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, Nell’atto di proroga risulta peraltro non solo che il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantirericorrente abbia effettivamente prestato il proprio consenso alle nuove condizioni, dove pure tale importo è ma addirittura che sia stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertantolui stesso a proporle, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente anche se a coprire le esigenze di garanziaproprio sfavore. Non risultarisulta in atti alcun documento relativo a tale richiesta. Sulla variazione delle condizioni relative al tasso di interesse, quindiconsistente nell’incremento dello spread applicato al parametro di riferimento da 1,00 (uno virgola zero zero) punti a 4,00 (quattro virgola zero zero) punti, disponibile l’atto di proroga, all’art. 2, enuncia che detto incremento condurrebbe ad un criterio per stabilire tasso pari a 2,50 (due virgola cinquanta) in più dell’Euribor 360: il tasso così “convenuto” appare dunque non riconciliabile con quello derivante dal sopraenunciato incremento, ed invero la formulazione della clausola relativa al nuovo tasso di interessi non appare del tutto perspicua. Date queste premesse in fatto, occorre individuare quale sia la misura dell'eccedenza disciplina applicabile al caso di specie. L’apertura di credito a tempo determinato (artt. 1842 ss., c.c.) si scioglie, alla scadenza del termine senza bisogno di alcun preavviso ed il termine cliente è tenuto alla restituzione delle somme utilizzate, anche senza una espressa richiesta della banca (art. 1183 e 1219 del c.c.). Stante tale disciplina, l’intermediario non aveva alcun obbligo di riferimentorinnovare il credito già erogato ai propri clienti, fermo restando che e, ove avesse deciso di farlo, aveva la piena facoltà di richiedere nuove condizioni ovvero ulteriori garanzie al cliente, comunque nel rispetto della buona fede contrattuale e precontrattuale ex art 1337 c.c. (v. in tal senso le decisioni ABF, Collegio di Milano, 10.11.2010, n. 1295 e 2.8.2010, n. 869). Trattandosi di un mero rinnovo di un preesistente contratto di apertura di credito a tempo determinato, non mette risulta violato alcun obbligo di informazione precontrattuale. Peraltro, l’aggravio delle condizioni preteso dalla banca a carico del cliente non appare di entità tale da travalicare i limiti della normale buona fede contrattuale e precontrattuale, tenuto conto anche del comportamento complessivo tenuto dallo stesso ricorrente, il quale, da un lato non ha espletato gli adempimenti contrattuali richiesti per ottenere la proroga, e d’altro lato, pur dichiarando di entrare nel merito essere stato da tempo informato della possibilitàdata dell’atto di proroga del finanziamento, invero niente affatto scontatanon risulta dal canto suo aver assunto alcuna iniziativa per contestarne il contenuto. La stessa successiva pretesa di ottenere le informazioni precontrattuali in relazione all’atto di rinnovo e, con la giustificazione della mancanza di queste, di adottare eventuali interventi ottenere il ripristino delle condizioni originarie, appare poco coerente con il complessivo comportamento tenuto dal cliente nella vicenda. Quanto, invece, al comportamento della banca, esso, pur non potendo essere ritenuto contrario ai principi di correttezza e buona fede, data l’assenza di specifici obblighi al rilascio di ulteriori informazioni precontrattuali in occasione della stipula di un mero atto di rinnovo anche se a condizioni parzialmente modificate, rivela tuttavia una evidente difficoltà comunicativa dell’intermediario con la propria clientela. Il Collegio invita pertanto la banca resistente a riesaminare le proprie prassi operative per migliorare il rapporto con i clienti, in particolare illustrando adeguatamente le modalità e le motivazioni attraverso le quali sono assunte le proprie scelte negoziali e fornendo ogni tempestivo dato e notizia volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili consentire ai clienti di prestare il proprio consenso nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati modo il pegno più possibile informato e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimentoconsapevole.
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Sources: Banking Dispute Resolution