DIRITTO. In via preliminare, il Collegio non può che censurare e stigmatizzare il contegno tenuto dall’intermediario resistente, che esprime senza dubbio un comportamento altamente contrario ai principi e ai fini dell’Arbitro Bancario Finanziario (il cui primario scopo è di contribuire a dirimere le controversie attraverso la costruzione, o la “ricostruzione”, di un compiuto e trasparente dialogo fra clientela e intermediari), oltre che irrispettoso della stessa funzione del Collegio. Sempre in via preliminare e come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, il Collegio rileva l’inammissibilità della domanda formulata in via subordinata dal ricorrente e diretta al rimborso delle commissioni e degli oneri accessori e del premio assicurativo secondo il criterio pro rata temporis, in quanto domanda avanzata per la prima volta con il ricorso. Come noto, secondo le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, “Il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo” (Sez. VI, par. 1). La controversia sottoposta all’esame del Collegio si limita, pertanto, al solo accertamento della nullità del contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente per la violazione, lamentata dal ricorrente, delle previsioni di cui agli artt. 1, 2, 5, 39 e 40 del d.P.R. n. 180/1950. Al riguardo, come opportunamente rammentato dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950, in caso di estinzione anticipata di un precedente contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) per tramite della conclusione di un nuovo finanziamento stipulato prima del decorso, per l’appunto, del termine biennale o quadriennale stabilito dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 39/1950. In tale circostanza, il Collegio ha chiarito che la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 integra “la violazione di norme comportamentali da parte dell’intermediario, e non [può] comportare, pertanto, un’ipotesi di nullità del contratto in base al disposto dell’articolo 1418 c.c., con particolare riferimento all’ipotesi di nullità per contrarietà a norme imperative prevista dal primo comma di tale disposizione, in relazione alla quale il Collegio conosce e condivide pienamente l’insegnamento della Giurisprudenza di legittimità in materia di nullità virtuale del contratto (cfr. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724)” (Collegio di Coordinamento, decisione n. 5762/2016). Sotto tale profilo, la lamentata violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 non può, pertanto, costituire, di per sé sola, ragione sufficiente di nullità del secondo contratto di finanziamento concluso dal ricorrente. Sul punto, né il ricorrente, né l’ordinanza di rimessione hanno, del resto, prospettato argomenti a sostegno della nullità virtuale del contratto ex art. 1418, primo comma, c.c. nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati da questo Collegio nella decisione sopra richiamata e tali da indurre il Collegio a rivalutare la questione. Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione, la questione oggetto del caso di specie è parzialmente distinta da quella già decisa dal Collegio nella decisione sopra richiamata e attiene al “possibile cumulo” di due o più contratti di finanziamento contro cessione del quinto e, più specificamente, al conseguente “superamento del limite della quota cedibile” consentita, in termini generali, dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950. Più chiaramente, ci “si domanda insomma se”, come nel caso di specie, “possano o meno coesistere per la loro intera durata di ammortamento o per periodo di tempo limitati due o più contratti del medesimo tipo per come configurati dalla disciplina inderogabile di riferimento contenuta nel D.P.R. 180/1950 per le cessioni delle quote del quinto dello stipendio o della pensione”. Al riguardo, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180/1950, invocati dal ricorrente, non appaiono rilevanti ai fini della decisione del caso in esame: l’art. 1 si limita a stabilire in generale il divieto di cessione dello stipendio, con le eccezioni previste nelle disposizioni successive (spec. art. 5); mentre l’art. 2 si riferisce ai limiti di sequestro e pignoramento degli stipendi, sicché non riguarda la conclusione del contratto di cessione dello stipendio, ma i limiti all’esercizio dell’azione esecutiva o cautelare sulla quota dello stipendio oggetto di cessione. L’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, invece, fissa l’eccezione al divieto dell’art. 1, consentendo la conclusione di contratti di finanziamento contro cessione dello stipendio purché la cessione negoziata abbia ad oggetto una quota non superiore al quinto della retribuzione. Ne consegue che se la cessione oggetto del contratto è limitata entro il quinto dello stipendio, il contratto è validamente concluso. Sotto questo profilo, il (secondo) contratto in questione è – in sé considerato – perfettamente valido, avendo ad oggetto la quota cedibile dello stipendio. Si tratta, pertanto, di verificare se la successione e il cumulo di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio, che, come nel caso di specie, congiuntamente considerati determinano una cessione di una quota complessiva dello stipendio (della pensione) superiore a quella consentita, possano determinare una (indiretta) violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 180/1950 e, in caso positivo, quali siano le conseguenze che da tale violazione discendono. Così ridefinita la questione da affrontare per la soluzione del caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, come sul punto non paiono assumere rilievo le disposizioni dell’art. 70 del d.P.R. n. 180/1950 (relative alla diversa ipotesi del concorso tra cessione e delegazione di pagamento), che l’articolata ordinanza di rimessione sottopone, invece, al Collegio in ragione della “possibilità di giungere ad una diversa conclusione” – rispetto a quella prospettata dal Collegio di Napoli nelle decisioni richiamate dalla stessa ordinanza (decisioni n. 7104/2014, n. 450/2015) – “in relazione all’individuazione dei responsabili, in caso di ritenuta violazione, nel caso qui in esame, che riguarda peraltro un’ipotesi di cumulo omogeneo e non tra cessione e delegazione” e della conseguente possibilità che si determini “un contrasto giurisprudenziale (…) in assenza di una valutazione complessiva della disciplina di legge in materia, che appare di esclusiva competenza del Collegio di Coordinamento”. Secondo il Collegio di Napoli, i limiti previsti dall’art. 70 d.P.R. n. 180/1950 (secondo cui in “caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l’amministrazione dalla quale l’impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso”) sono “comunque stabiliti ad esclusivo carico dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro del dipendente, nella sua qualità di ceduta ovvero di delegata al pagamento. Non a caso è proprio ad essa che viene altresì imposto espressamente il rilascio della dichiarazione autorizzativa, tanto in via ordinaria, quanto in ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ricorrere delle eccezionali circostanze del caso, al fine di consentire il Ciò chiarito, gli artt. 39 e 40 d.P.R n. 180/1950 escludono una sovrapposizione di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, indipendentemente, peraltro, dal superamento della soglia del quinto prevista dall’art. 5 del medesimo decreto. ▇▇▇▇▇ restando i termini indicati dall’art. 39, commi 1 e 2, se il primo finanziamento non è stato estinto altrimenti (nel qual caso il termine per la conclusione di un nuovo contratto di finanziamento si riduce a un anno), il secondo finanziamento è (recte, deve essere) comunque destinato all’estinzione del primo, come chiaramente confermato anche dalle disposizioni dell’art. 40 e, in particolare, dall’obbligo del secondo mutuante di “pagare al primo cessionario” il credito residuo (art. 40, comma 3). Più chiaramente: i) l’art. 39, comma 1, ultima parte, d.P.R. n. 180/1950 disciplina l’ipotesi in cui il cliente richiede un nuovo (secondo) finanziamento, avendo già estinto il precedente. In tal caso, il cliente può stipulare il nuovo finanziamento decorso un anno dall’estinzione anticipata del primo, senza che si ponga, neppure in astratto, la questione, rilevante per la soluzione del caso di specie, di una violazione indiretta del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950; ii) l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 si riferisce, invece, all’ipotesi in cui l’estinzione del primo finanziamento avviene mediante il successivo finanziamento. In tal caso, il cliente può attivare il nuovo finanziamento soltanto dopo il termine di due o quattro anni previsto dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 180/1950 (o anche prima del decorso del termine biennale, qualora il secondo contratto sia una “cessione decennale” stipulata “per la prima volta”, art. 39, comma 3). Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni e, quindi, per quanto qui più rileva, la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto. In tal caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta o, come pare più corretto, regola di validità del (successivo) contratto, la violazione indiretta dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non è, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto. Conformemente a quanto previsto, in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative - c.d. nullità virtuale - qualora “la legge disponga diversamente”), deve, infatti, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere che la violazione del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, in caso di permanenza di due (o
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DIRITTO. Nella presente vicenda parte ricorrente lamenta l’illegittimità delle segnalazioni in CR disposte nel periodo successivo alla stipula di un piano di rientro (si tratta in realtà di un accordo transattivo a saldo e a stralcio, come si vedrà nel prosieguo) e contesta che, nonostante il debito in questione sia stato saldato nel mese di febbraio 2020, la segnalazione non risulta aggiornata fino al successivo dicembre. Pertanto, chiede la “rettifica delle segnalazioni nel periodo di competenza”; domanda altresì in via subordinata la consegna di documenti ai sensi dell’art. 119 TUB. In via preliminare, il Collegio non può che censurare e stigmatizzare il contegno tenuto dall’intermediario resistente, che esprime senza dubbio un comportamento altamente contrario ai principi e ai fini dell’Arbitro Bancario Finanziario (il cui primario scopo è l’intermediario solleva l’eccezione di contribuire a dirimere le controversie attraverso la costruzione, o la “ricostruzione”, di un compiuto e trasparente dialogo fra clientela e intermediari), oltre che irrispettoso della stessa funzione inammissibilità del Collegio. Sempre in via preliminare e come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, il Collegio rileva l’inammissibilità della domanda formulata in via subordinata dal ricorrente e diretta al rimborso delle commissioni e degli oneri accessori e del premio assicurativo secondo il criterio pro rata temporis, ricorso in quanto domanda avanzata per la prima volta con il ricorso. Come noto, secondo le Disposizioni sui sistemi contratto di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia mutuo oggetto della segnalazione a sofferenza contestata sarebbe stato sottoposto a procedura esecutiva immobiliare R.G.E.I. *10/2016 innanzi al Tribunale di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, “Il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo” (Sez. VI, par. 1)Treviso. La controversia sottoposta all’esame del Collegio si limitaricorrente non contesta di essere stata debitrice esecutata in riferimento alla suddetta procedura, pertanto, al solo accertamento della nullità del contratto quale sono in atti il progetto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente per la violazione, lamentata dal ricorrente, delle previsioni di cui agli artt. 1, 2, 5, 39 e 40 del d.P.R. n. 180/1950. Al riguardo, come opportunamente rammentato dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950, in caso di estinzione anticipata di un precedente contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) per tramite della conclusione di un nuovo finanziamento stipulato prima del decorso, per l’appunto, del termine biennale o quadriennale stabilito dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 39/1950. In tale circostanza, il Collegio ha chiarito che la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 integra “la violazione di norme comportamentali da parte dell’intermediario, e non [può] comportare, pertanto, un’ipotesi di nullità del contratto in base al disposto dell’articolo 1418 c.c., con particolare riferimento all’ipotesi di nullità per contrarietà a norme imperative prevista dal primo comma di tale disposizione, in relazione alla quale il Collegio conosce e condivide pienamente l’insegnamento della Giurisprudenza di legittimità in materia di nullità virtuale del contratto (cfr. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724)” (Collegio di Coordinamento, decisione n. 5762/2016). Sotto tale profilo, la lamentata violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 non può, pertanto, costituire, di per sé sola, ragione sufficiente di nullità del secondo contratto di finanziamento concluso dal ricorrente. Sul punto, né il ricorrente, né l’ordinanza di rimessione hanno, del resto, prospettato argomenti a sostegno della nullità virtuale del contratto distribuzione ex art. 1418, primo comma, c.c. nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati da questo Collegio nella decisione sopra richiamata e tali da indurre il Collegio a rivalutare la questione. Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione510 c.p.c., la questione oggetto del caso proposta transattiva di specie è parzialmente distinta da quella già decisa dal Collegio nella decisione sopra richiamata saldo e attiene al “possibile cumulo” di due o più contratti di finanziamento contro cessione del quinto e, più specificamente, al conseguente “superamento del limite della quota cedibile” consentitastralcio formulata dalla ricorrente in data 15.01.2020 per evitare la vendita all’asta dell’immobile e l’accettazione dell’intermediario, in termini generalicui viene menzionata la procedura esecutiva. Non risulta agli atti l’atto di pignoramento immobiliare, dall’artné l’esito della procedura di esecuzione. 5 d.P.R. n. 180/1950L’intermediario afferma nelle controdeduzioni che la procedura esecutiva si è chiusa a dicembre 2020 con l’attribuzione dei relativi importi ai creditori. Più chiaramente, ci “si domanda insomma se”, come L’eccezione non coglie nel caso di specie, “possano o meno coesistere per la loro intera durata di ammortamento o per periodo di tempo limitati due o più contratti del medesimo tipo per come configurati dalla disciplina inderogabile di riferimento contenuta nel D.P.R. 180/1950 per le cessioni delle quote del quinto dello stipendio o della pensione”. Al riguardo, gli artt. 1 segno e 2 del d.P.R. n. 180/1950, invocati dal ricorrente, non appaiono rilevanti ai fini della decisione del caso in esame: l’art. 1 si limita a stabilire in generale il divieto di cessione dello stipendio, con le eccezioni previste nelle disposizioni successive (spec. art. 5); mentre l’art. 2 si riferisce ai limiti di sequestro e pignoramento degli stipendi, sicché non riguarda la conclusione del contratto di cessione dello stipendio, ma i limiti all’esercizio dell’azione esecutiva o cautelare sulla quota dello stipendio oggetto di cessione. L’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, invece, fissa l’eccezione al divieto dell’art. 1, consentendo la conclusione di contratti di finanziamento contro cessione dello stipendio purché la cessione negoziata abbia ad oggetto una quota non superiore al quinto della retribuzione. Ne consegue che se la cessione oggetto del contratto è limitata entro il quinto dello stipendio, il contratto è validamente concluso. Sotto questo profilo, il (secondo) contratto in questione è – in sé considerato – perfettamente valido, avendo ad oggetto la quota cedibile dello stipendio. Si tratta, pertanto, di verificare se la successione e il cumulo di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio, che, come nel caso di specie, congiuntamente considerati determinano una cessione di una quota complessiva dello stipendio (della pensione) superiore a quella consentita, possano determinare una (indiretta) violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 180/1950 e, in caso positivo, quali siano le conseguenze che da tale violazione discendono. Così ridefinita la questione da affrontare per la soluzione del caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, come sul punto non paiono assumere rilievo le disposizioni dell’art. 70 del d.P.R. n. 180/1950 (relative alla diversa ipotesi del concorso tra cessione e delegazione di pagamento), che l’articolata ordinanza di rimessione sottopone, invece, al Collegio in ragione della “possibilità di giungere ad una diversa conclusione” – rispetto a quella prospettata dal Collegio di Napoli nelle decisioni richiamate dalla stessa ordinanza (decisioni n. 7104/2014, n. 450/2015) – “in relazione all’individuazione dei responsabili, in caso di ritenuta violazione, nel caso qui in esame, che riguarda peraltro un’ipotesi di cumulo omogeneo e non tra cessione e delegazione” e della conseguente possibilità che si determini “un contrasto giurisprudenziale (…) in assenza di una valutazione complessiva della disciplina di legge in materia, che appare di esclusiva competenza del Collegio di Coordinamento”va pertanto respinta. Secondo il Collegio di Napolila Sez. I, i limiti previsti dall’art. 70 d.P.R. n. 180/1950 (secondo cui in “caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l’amministrazione dalla quale l’impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso”) sono “comunque stabiliti ad esclusivo carico dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro del dipendente, nella sua qualità di ceduta ovvero di delegata al pagamento. Non a caso è proprio ad essa che viene altresì imposto espressamente il rilascio della dichiarazione autorizzativa, tanto in via ordinaria, quanto in ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ricorrere delle eccezionali circostanze del caso, al fine di consentire il Ciò chiarito, gli artt. 39 e 40 d.P.R n. 180/1950 escludono una sovrapposizione di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, indipendentemente, peraltro, dal superamento della soglia del quinto prevista dall’art. 5 del medesimo decreto. ▇▇▇▇▇ restando i termini indicati dall’art. 39, commi 1 e 2, se il primo finanziamento non è stato estinto altrimenti (nel qual caso il termine per la conclusione di un nuovo contratto di finanziamento si riduce a un anno), il secondo finanziamento è (recte, deve essere) comunque destinato all’estinzione del primo, come chiaramente confermato anche dalle disposizioni dell’art. 40 e, in particolare, dall’obbligo del secondo mutuante di “pagare al primo cessionario” il credito residuo (art. 40, comma 3). Più chiaramente: i) l’art. 39, comma 1, ultima parte, d.P.R. n. 180/1950 disciplina l’ipotesi in cui il cliente richiede un nuovo (secondo) finanziamento, avendo già estinto il precedente. In tal caso, il cliente può stipulare il nuovo finanziamento decorso un anno dall’estinzione anticipata del primo, senza che si ponga, neppure in astratto, la questione, rilevante per la soluzione del caso di specie, di una violazione indiretta del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950; ii) l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 si riferisce, invece, all’ipotesi in cui l’estinzione del primo finanziamento avviene mediante il successivo finanziamento. In tal caso, il cliente può attivare il nuovo finanziamento soltanto dopo il termine di due o quattro anni previsto dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 180/1950 (o anche prima del decorso del termine biennale, qualora il secondo contratto sia una “cessione decennale” stipulata “per la prima volta”, art. 39, comma 3). Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni e, quindi, per quanto qui più rileva, la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto. In tal caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta o, come pare più corretto, regola di validità del (successivo) contratto, la violazione indiretta dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non è, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto. Conformemente a quanto previsto, in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative - c.d. nullità virtuale - qualora “la legge disponga diversamente”), deve, infatti, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere che la violazione del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, in caso di permanenza di due (opar.
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DIRITTO. In via preliminare, si deve rilevare che, com’è pacifico tra le parti del presente giudizio, esse hanno concluso tra il Collegio non può che censurare febbraio e stigmatizzare il contegno tenuto dall’intermediario resistente, che esprime senza dubbio marzo del 2012 un comportamento altamente contrario ai principi accordo transattivo “a saldo e ai fini dell’Arbitro Bancario Finanziario (il cui primario scopo è di contribuire a dirimere le controversie attraverso la costruzione, o la “ricostruzione”, di un compiuto e trasparente dialogo fra clientela e intermediari), oltre che irrispettoso stralcio” della stessa funzione del Collegio. Sempre in via preliminare e come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, il Collegio rileva l’inammissibilità posizione debitoria della domanda formulata in via subordinata dal ricorrente e diretta al rimborso delle commissioni e degli oneri accessori e del premio assicurativo secondo il criterio pro rata temporis, in quanto domanda avanzata per la prima volta con il ricorso. Come noto, secondo le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, “Il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo” (Sez. VI, par. 1). La controversia sottoposta all’esame del Collegio si limita, pertanto, al solo accertamento della nullità del contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente per la violazione, lamentata dal ricorrente, delle previsioni di cui agli artt. 1, 2, 5, 39 e 40 del d.P.R. n. 180/1950. Al riguardo, come opportunamente rammentato dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950, in caso di estinzione anticipata di un precedente contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) per tramite della conclusione di un nuovo finanziamento stipulato prima del decorso, per l’appunto, del termine biennale o quadriennale stabilito dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 39/1950. In tale circostanza, il Collegio ha chiarito che la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 integra “la violazione di norme comportamentali da parte dell’intermediario, e non [può] comportare, pertanto, un’ipotesi di nullità del contratto in base al disposto dell’articolo 1418 c.c., con particolare riferimento all’ipotesi di nullità per contrarietà a norme imperative prevista dal primo comma di tale disposizione, in relazione alla quale il Collegio conosce e condivide pienamente l’insegnamento della Giurisprudenza di legittimità in materia di nullità virtuale del contratto (cfr. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724)” (Collegio di Coordinamento, decisione n. 5762/2016). Sotto tale profilo, la lamentata violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 non può, pertanto, costituire, di per sé sola, ragione sufficiente di nullità del secondo contratto di finanziamento concluso dal ricorrente. Sul punto, né il ricorrente, né l’ordinanza di rimessione hanno, Nella comunicazione del resto, prospettato argomenti a sostegno della nullità virtuale del contratto ex art. 1418, primo comma, c.c. nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati da questo Collegio nella decisione sopra richiamata e tali da indurre il Collegio a rivalutare la questione. Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione, la questione oggetto del caso di specie è parzialmente distinta da quella già decisa dal Collegio nella decisione sopra richiamata e attiene 9 marzo 2012 (allegata al “possibile cumulo” di due o più contratti di finanziamento contro cessione del quinto e, più specificamente, al conseguente “superamento del limite della quota cedibile” consentita, in termini generali, dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950. Più chiaramente, ci “si domanda insomma se”, ricorso come nel caso di specie, “possano o meno coesistere per la loro intera durata di ammortamento o per periodo di tempo limitati due o più contratti del medesimo tipo per come configurati dalla disciplina inderogabile di riferimento contenuta nel D.P.R. 180/1950 per le cessioni delle quote del quinto dello stipendio o della pensione”. Al riguardo, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180/1950, invocati dal ricorrente, non appaiono rilevanti ai fini della decisione del caso in esame: l’art. 1 si limita a stabilire in generale il divieto di cessione dello stipendio, con le eccezioni previste nelle disposizioni successive (spec. artdoc. 5); mentre l’art. 2 si riferisce ai limiti di sequestro e pignoramento degli stipendi, sicché non riguarda la conclusione del contratto di cessione dello stipendio, ma i limiti all’esercizio dell’azione esecutiva o cautelare sulla quota dello stipendio oggetto di cessione. L’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, invece, fissa l’eccezione al divieto dell’art. 1, consentendo la conclusione di contratti di finanziamento contro cessione dello stipendio purché la cessione negoziata abbia ad oggetto una quota non superiore al quinto della retribuzione. Ne consegue che se la cessione oggetto del contratto è limitata entro il quinto dello stipendio, il contratto è validamente concluso. Sotto questo profilo, il (secondo) contratto in questione è – in sé considerato – perfettamente valido, avendo ad oggetto la quota cedibile dello stipendio. Si tratta, pertanto, di verificare se la successione e il cumulo di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio, che, come nel caso di specie, congiuntamente considerati determinano una cessione di una quota complessiva dello stipendio (della pensione) superiore a quella consentita, possano determinare una (indiretta) violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 180/1950 e, in caso positivo, quali siano le conseguenze che da tale violazione discendono. Così ridefinita la questione da affrontare per la soluzione del caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, come sul punto non paiono assumere rilievo le disposizioni dell’art. 70 del d.P.R. n. 180/1950 (relative alla diversa ipotesi del concorso tra cessione e delegazione di pagamento), che l’articolata ordinanza di rimessione sottopone, invece, al Collegio in ragione della “possibilità di giungere ad una diversa conclusione” – rispetto a quella prospettata dal Collegio di Napoli nelle decisioni richiamate dalla stessa ordinanza (decisioni n. 7104/2014, n. 450/2015) – “in relazione all’individuazione dei responsabili, in caso di ritenuta violazione, nel caso qui in esame, che riguarda peraltro un’ipotesi di cumulo omogeneo e non tra cessione e delegazione” e della conseguente possibilità che si determini “un contrasto giurisprudenziale (…) in assenza di una valutazione complessiva della disciplina di legge in materia, che appare di esclusiva competenza del Collegio di Coordinamento”. Secondo il Collegio di Napoli, i limiti previsti dall’art. 70 d.P.R. n. 180/1950 (secondo cui in “caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l’amministrazione dalla quale l’impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso”) sono “comunque stabiliti ad esclusivo carico dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro del dipendente, nella sua qualità di ceduta ovvero di delegata al pagamento. Non a caso è proprio ad essa che viene altresì imposto espressamente il rilascio della dichiarazione autorizzativa, tanto in via ordinaria, quanto in ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ricorrere delle eccezionali circostanze del caso, al fine di consentire il Ciò chiarito, gli artt. 39 e 40 d.P.R n. 180/1950 escludono una sovrapposizione di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, indipendentemente, peraltro, dal superamento della soglia del quinto prevista dall’art. 5 del medesimo decreto. ▇▇▇▇▇ restando i termini indicati dall’art. 39, commi 1 e 2, se il primo finanziamento non è stato estinto altrimenti (nel qual caso il termine per la conclusione di un nuovo contratto di finanziamento si riduce a un anno), il secondo finanziamento è (recte, deve essere) comunque destinato all’estinzione del primo, come chiaramente confermato anche dalle disposizioni dell’art. 40 e, in particolare, dall’obbligo la banca resistente espressamente conferma che, così come già dichiarato nella comunicazione del secondo mutuante di “pagare 16 febbraio 2012 (allegata al primo cessionario” il credito residuo (artricorso come doc. 40, comma 3), a seguito del pagamento di € 40.000,00 da parte della ricorrente «si intende perfezionato il presente accordo e da parte nostra non avremo più nulla a pretendere nei confronti della sola Signora […]». Più chiaramente: i) l’artPoiché tale pagamento è stato effettuato il 14 marzo 2012 (doc. 396 allegato al ricorso), comma 1è da tale data che deve considerarsi concluso o comunque efficace un contratto di transazione tra le parti, ultima parte, d.P.R. n. 180/1950 disciplina l’ipotesi in cui il cliente richiede un nuovo avente effetto liberatorio esclusivamente per quanto riguarda la quota del debito imputata alla ricorrente (secondo) finanziamento, avendo già estinto il precedentee non invece quella imputata all’altro debitore solidale). In tal casotale fattispecie, secondo la giurisprudenza di legittimità, «si riduce l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota oggetto di transazione, con il cliente può stipulare il nuovo finanziamento decorso un anno dall’estinzione anticipata conseguente scioglimento del primovincolo solidale tra lo stipulante e gli altri condebitori, senza che si pongai quali rimangono pertanto obbligati nei limiti della loro quota» (Cass. civ., neppure in astrattosez. III, 24 gennaio 2012, n. 947, sottolineatura aggiunta). La qualificazione di tale contratto come pactum de non petendo, la questione, rilevante per la soluzione del caso di specie, di una violazione indiretta del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950; ii) l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 quale si riferisce, invece, all’ipotesi in cui l’estinzione del primo finanziamento avviene mediante il successivo finanziamento. In tal caso, il cliente può attivare il nuovo finanziamento soltanto dopo il termine di due o quattro anni previsto dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 180/1950 rinviene nella comunicazione della banca resistente datata 9 marzo 2012 (o anche prima del decorso del termine biennale, qualora il secondo contratto sia una “cessione decennale” stipulata “per la prima volta”, art. 39, comma 3). Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni e, quindi, per quanto qui più rileva, la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto. In tal caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta o, allegata al ricorso come pare più corretto, regola di validità del (successivo) contratto, la violazione indiretta dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non è, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto. Conformemente a quanto previsto, in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative - c.d. nullità virtuale - qualora “la legge disponga diversamente”), deve, infatti, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere che la violazione del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, in caso di permanenza di due (odoc.
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Sources: Financing Agreement
DIRITTO. In via preliminare, il Collegio non può che censurare e stigmatizzare il contegno tenuto dall’intermediario resistente, che esprime senza dubbio un comportamento altamente contrario ai principi e ai fini dell’Arbitro Bancario Finanziario (il cui primario scopo è La Commissione pur tenendo conto di contribuire a dirimere le controversie attraverso la costruzione, o la “ricostruzione”, quanto rappresentato dall’Amministrazione in ordine all’archiviazione del procedimento di un compiuto e trasparente dialogo fra clientela e intermediari), oltre che irrispettoso della stessa funzione del Collegio. Sempre in via preliminare e come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, il Collegio rileva l’inammissibilità della domanda formulata in via subordinata dal ricorrente e diretta al rimborso delle commissioni e degli oneri accessori e del premio assicurativo secondo il criterio pro rata temporistrasferimento d’autorità, in quanto domanda avanzata ragione della sopravvenuta inidoneità al servizio del dipendente, ritiene il ricorso meritevole di accoglimento. Con riferimento alla sussistenza del diritto di accesso in capo al dipendente pubblico agli atti del proprio fascicolo personale o ai procedimenti che lo riguardano è costante l’avviso di questa Commissione (tra le altre, cfr. decisioni della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi nella seduta del 14 giugno 2012 e seduta del 10 giugno 2015) e pacifica la prima volta con il ricorso. Come notogiurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, secondo le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, “Il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo” (Sez. VI, par13 aprile 2006, n. 2068; Cons. 1Stato Sez. IV, Sent., 13/01/2010, n. 63). La controversia sottoposta all’esame del Collegio si limitaIl pubblico dipendente è titolare, pertantoinvero, al solo accertamento della nullità del contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente per la violazione, lamentata dal ricorrente, delle previsioni di cui agli artt. 1, 2, 5, 39 e 40 del d.P.R. n. 180/1950. Al riguardo, come opportunamente rammentato dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950, in caso di estinzione anticipata di un precedente contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) per tramite della conclusione di un nuovo finanziamento stipulato prima del decorso, per l’appunto, del termine biennale o quadriennale stabilito dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 39/1950. In tale circostanza, il Collegio ha chiarito che la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 integra “la violazione di norme comportamentali da parte dell’intermediario, e non [può] comportare, pertanto, un’ipotesi di nullità del contratto in base al disposto dell’articolo 1418 c.c., con particolare riferimento all’ipotesi di nullità per contrarietà a norme imperative prevista dal primo comma di tale disposizione, una posizione giuridicamente tutelata in relazione alla quale conoscenza degli atti contenuti nei fascicoli che riguardano la sua persona senza, tra l’altro, che ricorra la necessità per il Collegio conosce e condivide pienamente l’insegnamento della Giurisprudenza medesimo di legittimità in materia esternare espressamente la presenza di nullità virtuale del contratto (cfr. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007un concreto ed immediato interesse, n. 26724)” (Collegio atteso che la richiesta di Coordinamento, decisione n. 5762/2016). Sotto tale profilo, la lamentata violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 non può, pertanto, costituire, accesso è di per sé sola, ragione sufficiente sufficientemente circoscritta ed è da qualificare di nullità del secondo contratto di finanziamento concluso dal ricorrente. Sul punto, né il ricorrente, né l’ordinanza di rimessione hanno, del resto, prospettato argomenti a sostegno della nullità virtuale del contratto ex art. 1418, primo comma, c.c. nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati da questo Collegio nella decisione sopra richiamata e tali da indurre il Collegio a rivalutare la questione. Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione, la questione oggetto del caso di specie è parzialmente distinta da quella già decisa dal Collegio nella decisione sopra richiamata e attiene al “possibile cumulo” di due o più contratti di finanziamento contro cessione del quinto e, più specificamente, al conseguente “superamento del limite della quota cedibile” consentita, in termini generali, dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950. Più chiaramente, ci “si domanda insomma se”, come nel caso di specie, “possano o meno coesistere per la loro intera durata di ammortamento o per periodo di tempo limitati due o più contratti del medesimo tipo per come configurati dalla disciplina inderogabile di riferimento contenuta nel D.P.R. 180/1950 per le cessioni delle quote del quinto dello stipendio o della pensione”. Al riguardo, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180/1950, invocati dal ricorrente, non appaiono rilevanti ai fini della decisione del caso in esame: l’art. 1 si limita a stabilire in generale il divieto di cessione dello stipendio, con le eccezioni previste nelle disposizioni successive (spec. art. 5); mentre l’art. 2 si riferisce ai limiti di sequestro e pignoramento degli stipendi, sicché non riguarda la conclusione del contratto di cessione dello stipendio, ma i limiti all’esercizio dell’azione esecutiva o cautelare sulla quota dello stipendio oggetto di cessione. L’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, invece, fissa l’eccezione al divieto dell’art. 1, consentendo la conclusione di contratti di finanziamento contro cessione dello stipendio purché la cessione negoziata abbia ad oggetto una quota non superiore al quinto della retribuzione. Ne consegue che se la cessione oggetto del contratto è limitata entro il quinto dello stipendio, il contratto è validamente concluso. Sotto questo profilo, il (secondo) contratto in questione è – in sé considerato – perfettamente valido, avendo ad oggetto la quota cedibile dello stipendio. Si tratta, pertanto, di verificare se la successione e il cumulo di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio, che, come nel caso di specie, congiuntamente considerati determinano una cessione di una quota complessiva dello stipendio (della pensione) superiore a quella consentita, possano determinare una (indiretta) violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 180/1950 e, in caso positivo, quali siano le conseguenze che da tale violazione discendono. Così ridefinita la questione da affrontare per la soluzione del caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, come sul punto non paiono assumere rilievo le disposizioni dell’art. 70 del d.P.R. n. 180/1950 (relative alla diversa ipotesi del concorso tra cessione e delegazione di pagamento), che l’articolata ordinanza di rimessione sottopone, invece, al Collegio in ragione della “possibilità di giungere ad una diversa conclusione” – rispetto a quella prospettata dal Collegio di Napoli nelle decisioni richiamate dalla stessa ordinanza (decisioni n. 7104/2014, n. 450/2015) – “in relazione all’individuazione dei responsabili, in caso di ritenuta violazione, nel caso qui in esame, che riguarda peraltro un’ipotesi di cumulo omogeneo e non tra cessione e delegazione” e della conseguente possibilità che si determini “un contrasto giurisprudenziale (…) in assenza di una valutazione complessiva della disciplina di legge in materia, che appare di esclusiva competenza del Collegio di Coordinamento”. Secondo il Collegio di Napoli, i limiti previsti dall’art. 70 d.P.R. n. 180/1950 (secondo cui in “caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l’amministrazione dalla quale l’impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso”) sono “comunque stabiliti ad esclusivo carico dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro del dipendente, nella sua qualità di ceduta ovvero di delegata al pagamento. Non a caso è proprio ad essa che viene altresì imposto espressamente il rilascio della dichiarazione autorizzativa, tanto in via ordinaria, quanto in ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ricorrere delle eccezionali circostanze del caso, al fine di consentire il Ciò chiarito, gli artt. 39 e 40 d.P.R n. 180/1950 escludono una sovrapposizione di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, indipendentemente, peraltro, dal superamento della soglia del quinto prevista dall’art. 5 del medesimo decreto. ▇▇▇▇▇ restando i termini indicati dall’art. 39, commi 1 e 2, se il primo finanziamento non è stato estinto altrimenti (nel qual caso il termine per la conclusione di un nuovo contratto di finanziamento si riduce a un anno), il secondo finanziamento è (recte, deve essere) comunque destinato all’estinzione del primo, come chiaramente confermato anche dalle disposizioni dell’art. 40 e, in particolare, dall’obbligo del secondo mutuante di “pagare al primo cessionario” il credito residuo (art. 40, comma 3). Più chiaramente: i) l’art. 39, comma 1, ultima parte, d.P.R. n. 180/1950 disciplina l’ipotesi in cui il cliente richiede un nuovo (secondo) finanziamento, avendo già estinto il precedente. In tal caso, il cliente può stipulare il nuovo finanziamento decorso un anno dall’estinzione anticipata del primo, senza che si ponga, neppure in astratto, la questione, rilevante per la soluzione del caso di specie, di una violazione indiretta del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950; ii) l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 si riferisce, invece, all’ipotesi in cui l’estinzione del primo finanziamento avviene mediante il successivo finanziamento. In tal caso, il cliente può attivare il nuovo finanziamento soltanto dopo il termine di due o quattro anni previsto dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 180/1950 (o anche prima del decorso del termine biennale, qualora il secondo contratto sia una “cessione decennale” stipulata “per la prima volta”, art. 39, comma 3). Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni e, quindi, per quanto qui più rileva, la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto. In tal caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta o, come pare più corretto, regola di validità del (successivo) contratto, la violazione indiretta dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non è, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto. Conformemente a quanto previsto, in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative - c.d. nullità virtuale - qualora “la legge disponga diversamente”), deve, infatti, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere che la violazione del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, in caso di permanenza di due (onatura endoprocedimentale.
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Sources: Accesso Agli Atti
DIRITTO. In via preliminareSul ricorso presentato dallo SNALS, la Commissione osserva quanto segue. Va innanzitutto sottolineato che secondo l’unanime giurisprudenza "È inammissibile il Collegio non può che censurare e stigmatizzare ricorso proposto contro il contegno tenuto dall’intermediario resistenterifiuto, che esprime senza dubbio un comportamento altamente contrario ai principi e ai fini dell’Arbitro Bancario Finanziario (il cui primario scopo è di contribuire a dirimere le controversie attraverso la costruzione, espresso o la “ricostruzione”tacito, di un compiuto e trasparente dialogo fra clientela e intermediari), oltre che irrispettoso della stessa funzione del Collegio. Sempre in via preliminare e come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, il Collegio rileva l’inammissibilità della domanda formulata in via subordinata dal ricorrente e diretta al rimborso delle commissioni e degli oneri accessori e del premio assicurativo secondo il criterio pro rata temporis, in quanto domanda avanzata per la prima volta con il ricorso. Come noto, secondo le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, “Il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo” (Sez. VI, par. 1). La controversia sottoposta all’esame del Collegio si limita, pertanto, al solo accertamento della nullità del contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente per la violazione, lamentata dal ricorrente, delle previsioni di cui agli artt. 1, 2, 5, 39 e 40 del d.P.R. n. 180/1950. Al riguardo, come opportunamente rammentato dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950, in caso di estinzione anticipata accesso a documenti amministrativi meramente confermativo di un precedente contratto diniego non tempestivamente impugnato dall'interessato, potendo quest'ultimo reiterare l'istanza solo in presenza di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio fatti nuovi, sopravvenuti o non, non rappresentati nell'originaria istanza, o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all'accesso" (o Consiglio di Stato, Sez. V, 10/02/2009, n. 742; conforme: T. A. R. Lombardia - Milano, 19.05.2009, n. 3783). Nella fattispecie concreta, parte ricorrente non ha prodotto l’originaria domanda d'accesso, ma tuttavia il contenuto della pensioneseconda richiama quello della prima. In ogni caso, la Commissione rileva che parte ricorrente non può definirsi soggetto “interessato” ai sensi dell’art. 22 comma 1 lett. b) per tramite della conclusione legge 241/90, difettando la sussistenza di un nuovo finanziamento stipulato prima del decorsointeresse diretto, per l’appuntoconcreto ed attuale all’accesso richiesto. La finalità dell’istanza di accesso presentata appare, del termine biennale o quadriennale stabilito dall’art. 39infatti, comma 1, d.P.R. n. 39/1950. In tale circostanza, il Collegio ha chiarito che la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 integra “la violazione non strumentale alla tutela di norme comportamentali da parte dell’intermediario, una situazione giuridica collegata alla documentazione richiesta e non [può] comportare, pertanto, un’ipotesi di nullità del contratto in base al disposto dell’articolo 1418 c.c., con particolare riferimento all’ipotesi di nullità per contrarietà a norme imperative prevista dal primo comma di tale disposizione, in relazione alla quale il Collegio conosce e condivide pienamente l’insegnamento all’esercizio delle prerogative proprie della Giurisprudenza di legittimità in materia di nullità virtuale del contratto (cfr. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724)” (Collegio di Coordinamento, decisione n. 5762/2016). Sotto tale profilo, la lamentata violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 non può, pertanto, costituire, di per sé sola, ragione sufficiente di nullità del secondo contratto di finanziamento concluso dal sigla sindacale ricorrente. Sul puntoEssa appare, né il ricorrente, né l’ordinanza di rimessione hanno, del resto, prospettato argomenti a sostegno invece - ed inammissibilmente – volta ad un dichiarato controllo generalizzato dell’attività della nullità virtuale del contratto ex art. 1418, primo comma, c.c. nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati da questo Collegio nella decisione sopra richiamata e tali da indurre il Collegio a rivalutare la questione. Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione, la questione oggetto del caso di specie è parzialmente distinta da quella già decisa dal Collegio nella decisione sopra richiamata e attiene al “possibile cumulo” di due o più contratti di finanziamento contro cessione del quinto e, più specificamente, al conseguente “superamento del limite della quota cedibile” consentita, in termini generali, dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950. Più chiaramente, ci “si domanda insomma se”, come nel caso di specie, “possano o meno coesistere per la loro intera durata di ammortamento o per periodo di tempo limitati due o più contratti del medesimo tipo per come configurati dalla disciplina inderogabile di riferimento contenuta nel D.P.R. 180/1950 per le cessioni delle quote del quinto dello stipendio o della pensione”. Al riguardo, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180/1950, invocati dal ricorrente, non appaiono rilevanti ai fini della decisione del caso in esame: l’art. 1 si limita a stabilire in generale il divieto di cessione dello stipendio, con le eccezioni previste nelle disposizioni successive (spec. art. 5); mentre l’art. 2 si riferisce ai limiti di sequestro e pignoramento degli stipendi, sicché non riguarda la conclusione del contratto di cessione dello stipendio, ma i limiti all’esercizio dell’azione esecutiva o cautelare sulla quota dello stipendio oggetto di cessione. L’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, invece, fissa l’eccezione al divieto dell’art. 1, consentendo la conclusione di contratti di finanziamento contro cessione dello stipendio purché la cessione negoziata abbia ad oggetto una quota non superiore al quinto della retribuzione. Ne consegue che se la cessione oggetto del contratto è limitata entro il quinto dello stipendio, il contratto è validamente concluso. Sotto questo profilo, il (secondo) contratto in questione è – in sé considerato – perfettamente valido, avendo ad oggetto la quota cedibile dello stipendio. Si tratta, pertanto, di verificare se la successione e il cumulo di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio, che, come nel caso di specie, congiuntamente considerati determinano una cessione di una quota complessiva dello stipendio (della pensione) superiore a quella consentita, possano determinare una (indiretta) violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 180/1950 e, in caso positivo, quali siano le conseguenze che da tale violazione discendono. Così ridefinita la questione da affrontare per la soluzione del caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, come sul punto non paiono assumere rilievo le disposizioni dell’art. 70 del d.P.R. n. 180/1950 (relative alla diversa ipotesi del concorso tra cessione e delegazione di pagamento), che l’articolata ordinanza di rimessione sottopone, invece, al Collegio in ragione della “possibilità di giungere ad una diversa conclusione” – rispetto a quella prospettata dal Collegio di Napoli nelle decisioni richiamate dalla stessa ordinanza (decisioni n. 7104/2014, n. 450/2015) – “in relazione all’individuazione dei responsabili, in caso di ritenuta violazione, nel caso qui in esame, che riguarda peraltro un’ipotesi di cumulo omogeneo e non tra cessione e delegazione” e della conseguente possibilità che si determini “un contrasto giurisprudenziale (…) in assenza di una valutazione complessiva della disciplina di legge in materia, che appare di esclusiva competenza del Collegio di Coordinamento”. Secondo il Collegio di Napoli, i limiti previsti dall’art. 70 d.P.R. n. 180/1950 (secondo cui in “caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l’amministrazione dalla quale l’impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso”) sono “comunque stabiliti ad esclusivo carico dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro del dipendente, nella sua qualità di ceduta ovvero di delegata al pagamento. Non a caso è proprio ad essa che viene altresì imposto espressamente il rilascio della dichiarazione autorizzativa, tanto in via ordinaria, quanto in ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ricorrere delle eccezionali circostanze del caso, al fine di consentire il Ciò chiarito, gli artt. 39 e 40 d.P.R n. 180/1950 escludono una sovrapposizione di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, indipendentemente, peraltro, dal superamento della soglia del quinto prevista dall’art. 5 del medesimo decreto. ▇▇▇▇▇ restando i termini indicati dall’art. 39, commi 1 e 2, se il primo finanziamento non è stato estinto altrimenti (nel qual caso il termine per la conclusione di un nuovo contratto di finanziamento si riduce a un anno), il secondo finanziamento è (recte, deve essere) comunque destinato all’estinzione del primo, come chiaramente confermato anche dalle disposizioni dell’art. 40 e, in particolare, dall’obbligo del secondo mutuante di “pagare al primo cessionario” il credito residuo P.A. (art. 40, 24 comma 3, L. 241/90). Più chiaramente: i) l’art. 39, comma 1, ultima parte, d.P.R. n. 180/1950 disciplina l’ipotesi in cui il cliente richiede un nuovo (secondo) finanziamento, avendo già estinto il precedente. In tal caso, il cliente può stipulare il nuovo finanziamento decorso un anno dall’estinzione anticipata del primo, senza che si ponga, neppure in astratto, la questione, rilevante per la soluzione del caso di specie, di una violazione indiretta del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950; ii) l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 si riferisce, invece, all’ipotesi in cui l’estinzione del primo finanziamento avviene mediante il successivo finanziamento. In tal caso, il cliente può attivare il nuovo finanziamento soltanto dopo il termine di due o quattro anni previsto dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 180/1950 (o anche prima del decorso del termine biennale, qualora il secondo contratto sia una “cessione decennale” stipulata “per la prima volta”, art. 39, comma 3). Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni e, quindi, per quanto qui più rileva, la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto. In tal caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta o, come pare più corretto, regola di validità del (successivo) contratto, la violazione indiretta dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non è, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto. Conformemente a quanto previsto, in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative - c.d. nullità virtuale - qualora “la legge disponga diversamente”), deve, infatti, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere che la violazione del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, in caso di permanenza di due (o.
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Sources: Accesso Agli Atti
DIRITTO. In via preliminareSul ricorso presentato dallo SNALS, la Commissione osserva quanto segue. Va innanzitutto sottolineato che secondo l’unanime giurisprudenza "È inammissibile il Collegio non può che censurare e stigmatizzare ricorso proposto contro il contegno tenuto dall’intermediario resistenterifiuto, che esprime senza dubbio un comportamento altamente contrario ai principi e ai fini dell’Arbitro Bancario Finanziario (il cui primario scopo è di contribuire a dirimere le controversie attraverso la costruzione, espresso o la “ricostruzione”tacito, di un compiuto e trasparente dialogo fra clientela e intermediari), oltre che irrispettoso della stessa funzione del Collegio. Sempre in via preliminare e come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, il Collegio rileva l’inammissibilità della domanda formulata in via subordinata dal ricorrente e diretta al rimborso delle commissioni e degli oneri accessori e del premio assicurativo secondo il criterio pro rata temporis, in quanto domanda avanzata per la prima volta con il ricorso. Come noto, secondo le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, “Il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo” (Sez. VI, par. 1). La controversia sottoposta all’esame del Collegio si limita, pertanto, al solo accertamento della nullità del contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente per la violazione, lamentata dal ricorrente, delle previsioni di cui agli artt. 1, 2, 5, 39 e 40 del d.P.R. n. 180/1950. Al riguardo, come opportunamente rammentato dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950, in caso di estinzione anticipata accesso a documenti amministrativi meramente confermativo di un precedente contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) per tramite della conclusione di un nuovo finanziamento stipulato prima del decorso, per l’appunto, del termine biennale o quadriennale stabilito dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 39/1950. In tale circostanza, il Collegio ha chiarito che la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 integra “la violazione di norme comportamentali da parte dell’intermediario, e non [può] comportare, pertanto, un’ipotesi di nullità del contratto in base al disposto dell’articolo 1418 c.c., con particolare riferimento all’ipotesi di nullità per contrarietà a norme imperative prevista dal primo comma di tale disposizione, in relazione alla quale il Collegio conosce e condivide pienamente l’insegnamento della Giurisprudenza di legittimità in materia di nullità virtuale del contratto (cfr. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724)” (Collegio di Coordinamento, decisione n. 5762/2016). Sotto tale profilo, la lamentata violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 non può, pertanto, costituire, di per sé sola, ragione sufficiente di nullità del secondo contratto di finanziamento concluso dal ricorrente. Sul punto, né il ricorrente, né l’ordinanza di rimessione hanno, del resto, prospettato argomenti a sostegno della nullità virtuale del contratto ex art. 1418, primo comma, c.c. nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati da questo Collegio nella decisione sopra richiamata e tali da indurre il Collegio a rivalutare la questione. Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione, la questione oggetto del caso di specie è parzialmente distinta da quella già decisa dal Collegio nella decisione sopra richiamata e attiene al “possibile cumulo” di due o più contratti di finanziamento contro cessione del quinto e, più specificamente, al conseguente “superamento del limite della quota cedibile” consentita, in termini generali, dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950. Più chiaramente, ci “si domanda insomma se”, come nel caso di specie, “possano o meno coesistere per la loro intera durata di ammortamento o per periodo di tempo limitati due o più contratti del medesimo tipo per come configurati dalla disciplina inderogabile di riferimento contenuta nel D.P.R. 180/1950 per le cessioni delle quote del quinto dello stipendio o della pensione”. Al riguardo, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180/1950, invocati dal ricorrente, non appaiono rilevanti ai fini della decisione del caso in esame: l’art. 1 si limita a stabilire in generale il divieto di cessione dello stipendio, con le eccezioni previste nelle disposizioni successive (spec. art. 5); mentre l’art. 2 si riferisce ai limiti di sequestro e pignoramento degli stipendi, sicché non riguarda la conclusione del contratto di cessione dello stipendio, ma i limiti all’esercizio dell’azione esecutiva o cautelare sulla quota dello stipendio oggetto di cessione. L’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, invece, fissa l’eccezione al divieto dell’art. 1, consentendo la conclusione di contratti di finanziamento contro cessione dello stipendio purché la cessione negoziata abbia ad oggetto una quota non superiore al quinto della retribuzione. Ne consegue che se la cessione oggetto del contratto è limitata entro il quinto dello stipendio, il contratto è validamente concluso. Sotto questo profilo, il (secondo) contratto in questione è – in sé considerato – perfettamente valido, avendo ad oggetto la quota cedibile dello stipendio. Si tratta, pertanto, di verificare se la successione e il cumulo di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio, che, come nel caso di specie, congiuntamente considerati determinano una cessione di una quota complessiva dello stipendio (della pensione) superiore a quella consentita, possano determinare una (indiretta) violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 180/1950 e, in caso positivo, quali siano le conseguenze che da tale violazione discendono. Così ridefinita la questione da affrontare per la soluzione del caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, come sul punto non paiono assumere rilievo le disposizioni dell’art. 70 del d.P.R. n. 180/1950 (relative alla diversa ipotesi del concorso tra cessione e delegazione di pagamento), che l’articolata ordinanza di rimessione sottopone, invece, al Collegio in ragione della “possibilità di giungere ad una diversa conclusione” – rispetto a quella prospettata dal Collegio di Napoli nelle decisioni richiamate dalla stessa ordinanza (decisioni n. 7104/2014, n. 450/2015) – “in relazione all’individuazione dei responsabili, in caso di ritenuta violazione, nel caso qui in esame, che riguarda peraltro un’ipotesi di cumulo omogeneo e non tra cessione e delegazione” e della conseguente possibilità che si determini “un contrasto giurisprudenziale (…) in assenza di una valutazione complessiva della disciplina di legge in materia, che appare di esclusiva competenza del Collegio di Coordinamento”. Secondo il Collegio di Napoli, i limiti previsti dall’art. 70 d.P.R. n. 180/1950 (secondo cui in “caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l’amministrazione dalla quale l’impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso”) sono “comunque stabiliti ad esclusivo carico dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro del dipendente, nella sua qualità di ceduta ovvero di delegata al pagamento. Non a caso è proprio ad essa che viene altresì imposto espressamente il rilascio della dichiarazione autorizzativa, tanto in via ordinaria, quanto in ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ricorrere delle eccezionali circostanze del non tempestivamente impugnato dall'interessato, potendo quest'ultimo reiterare l'istanza solo in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o non, non rappresentati nell'originaria istanza, o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all'accesso" (Consiglio di Stato, Sez. V, 10/02/2009, n. 742; conforme: T. A. R. Lombardia - Milano, 19.05.2009, n. 3783). Nella fattispecie concreta, parte ricorrente non ha prodotto l’originaria domanda d'accesso, ma tuttavia il contenuto della seconda richiama quello della prima. In ogni caso, al fine di consentire il Ciò chiaritola Commissione rileva che parte ricorrente non può definirsi soggetto “interessato” ai sensi dell’art. 22 comma 1 lett. b) della legge 241/90, gli artt. 39 e 40 d.P.R n. 180/1950 escludono una sovrapposizione di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, indipendentemente, peraltro, dal superamento della soglia del quinto prevista dall’art. 5 del medesimo decreto. ▇▇▇▇▇ restando i termini indicati dall’art. 39, commi 1 e 2, se il primo finanziamento non è stato estinto altrimenti (nel qual caso il termine per difettando la conclusione sussistenza di un nuovo contratto interesse diretto, concreto ed attuale all’accesso richiesto. La finalità dell’istanza di finanziamento si riduce a accesso presentata appare, infatti, non strumentale alla tutela di una situazione giuridica collegata alla documentazione richiesta e all’esercizio delle prerogative proprie della sigla sindacale ricorrente. Essa appare, invece - ed inammissibilmente – volta ad un anno), il secondo finanziamento è (recte, deve essere) comunque destinato all’estinzione del primo, come chiaramente confermato anche dalle disposizioni dell’art. 40 e, in particolare, dall’obbligo del secondo mutuante di “pagare al primo cessionario” il credito residuo dichiarato controllo generalizzato dell’attività della P.A. (art. 40, 24 comma 3, L. 241/90). Più chiaramente: i) l’art. 39, comma 1, ultima parte, d.P.R. n. 180/1950 disciplina l’ipotesi in cui il cliente richiede un nuovo (secondo) finanziamento, avendo già estinto il precedente. In tal caso, il cliente può stipulare il nuovo finanziamento decorso un anno dall’estinzione anticipata del primo, senza che si ponga, neppure in astratto, la questione, rilevante per la soluzione del caso di specie, di una violazione indiretta del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950; ii) l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 si riferisce, invece, all’ipotesi in cui l’estinzione del primo finanziamento avviene mediante il successivo finanziamento. In tal caso, il cliente può attivare il nuovo finanziamento soltanto dopo il termine di due o quattro anni previsto dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 180/1950 (o anche prima del decorso del termine biennale, qualora il secondo contratto sia una “cessione decennale” stipulata “per la prima volta”, art. 39, comma 3). Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni e, quindi, per quanto qui più rileva, la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto. In tal caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta o, come pare più corretto, regola di validità del (successivo) contratto, la violazione indiretta dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non è, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto. Conformemente a quanto previsto, in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative - c.d. nullità virtuale - qualora “la legge disponga diversamente”), deve, infatti, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere che la violazione del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, in caso di permanenza di due (o.
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Sources: Accesso Agli Atti
DIRITTO. In Il Collegio ritiene, in via preliminare, il Collegio non può che censurare e stigmatizzare il contegno tenuto dall’intermediario resistente, che esprime senza dubbio un comportamento altamente contrario ai principi e ai fini dell’Arbitro Bancario Finanziario (il cui primario scopo è di contribuire a dirimere le controversie attraverso dovere esaminare la costruzione, o la “ricostruzione”, di un compiuto e trasparente dialogo fra clientela e intermediari), oltre che irrispettoso della stessa funzione del Collegio. Sempre in via preliminare e come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, il Collegio rileva l’inammissibilità della domanda formulata in via subordinata dal ricorrente e diretta al rimborso delle commissioni e degli oneri accessori e del premio assicurativo secondo il criterio pro rata temporis, in quanto domanda avanzata per la prima volta con il ricorso. Come noto, secondo le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, “Il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo” (Sez. VI, par. 1). La controversia sottoposta all’esame del Collegio si limita, pertanto, al solo accertamento della nullità del contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente per la violazione, lamentata dal ricorrente, delle previsioni di cui agli artt. 1, 2, 5, 39 e 40 del d.P.R. n. 180/1950. Al riguardo, come opportunamente rammentato dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla violazione dei termini relativa alla sopravvenuta cancellazione dell’intermediario dall’elenco di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950, in caso di estinzione anticipata di un precedente contratto di finanziamento contro cessione 106 del quinto dello stipendio (o della pensione) per tramite della conclusione di un nuovo finanziamento stipulato prima del decorso, per l’appunto, del termine biennale o quadriennale stabilito dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 39/1950. In tale circostanza, il Collegio ha chiarito che la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 integra “la violazione di norme comportamentali da parte dell’intermediario, e non [può] comportare, pertanto, un’ipotesi di nullità del contratto in base al disposto dell’articolo 1418 c.ct.u.b., con particolare riferimento all’ipotesi di nullità per contrarietà a norme imperative prevista dal primo comma di tale disposizione, avvenuta in relazione alla quale il Collegio conosce e condivide pienamente l’insegnamento della Giurisprudenza di legittimità in materia di nullità virtuale del contratto (cfrdata 10.1.17. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724)” (Collegio di Coordinamento, decisione n. 5762/2016). Sotto tale profiloSebbene non eccepita dalle parti, la lamentata violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 non può, pertanto, costituire, di per sé sola, ragione sufficiente di nullità del secondo contratto di finanziamento concluso dal ricorrente. Sul punto, né il ricorrente, né l’ordinanza di rimessione hanno, del resto, prospettato argomenti a sostegno della nullità virtuale del contratto ex art. 1418, primo comma, c.c. nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati da questo Collegio nella decisione sopra richiamata e tali da indurre il Collegio a rivalutare la questione. Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione, la questione oggetto del caso di specie è parzialmente distinta da quella già decisa dal Collegio nella decisione sopra richiamata e attiene al “possibile cumulo” di due o più contratti di finanziamento contro cessione del quinto e, più specificamente, al conseguente “superamento del limite della quota cedibile” consentita, in termini generali, dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950. Più chiaramente, ci “si domanda insomma se”, come nel caso di specie, “possano o meno coesistere per la loro intera durata di ammortamento o per periodo di tempo limitati due o più contratti del medesimo tipo per come configurati dalla disciplina inderogabile di riferimento contenuta nel D.P.R. 180/1950 per le cessioni delle quote del quinto dello stipendio o della pensione”. Al riguardo, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180/1950, invocati dal ricorrente, non appaiono rilevanti ai fini della decisione del caso in esame: l’art. 1 si limita a stabilire in generale il divieto di cessione dello stipendio, con le eccezioni previste nelle disposizioni successive (spec. art. 5); mentre l’art. 2 si riferisce ai limiti di sequestro e pignoramento degli stipendi, sicché non riguarda la conclusione del contratto di cessione dello stipendio, ma i limiti all’esercizio dell’azione esecutiva o cautelare sulla quota dello stipendio oggetto di cessione. L’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, invece, fissa l’eccezione al divieto dell’art. 1, consentendo la conclusione di contratti di finanziamento contro cessione dello stipendio purché la cessione negoziata abbia ad oggetto una quota non superiore al quinto della retribuzione. Ne consegue che se la cessione oggetto del contratto è limitata entro il quinto dello stipendio, il contratto è validamente concluso. Sotto questo profilo, il (secondo) contratto in questione è – in sé considerato – perfettamente valido, avendo ad oggetto la quota cedibile dello stipendio. Si tratta, pertanto, sopravvenuta cancellazione impone di verificare se permanga la successione e il cumulo di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione legittimazione passiva del quinto dello stipendio, che, come nel caso di specie, congiuntamente considerati determinano una cessione di una quota complessiva dello stipendio (della pensione) superiore a quella consentita, possano determinare una (indiretta) violazione dell’artresistente. 5 del d.P.R. n. 180/1950 e, in caso positivo, quali siano le conseguenze che da tale violazione discendonoLa risposta al quesito è affermativa. Così ridefinita la questione da affrontare per la soluzione del caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, come sul punto non paiono assumere rilievo le disposizioni dell’art. 70 del d.P.R. n. 180/1950 (relative alla diversa ipotesi del concorso tra cessione e delegazione di pagamento), che l’articolata ordinanza di rimessione sottopone, invece, al Collegio in ragione della “possibilità di giungere ad una diversa conclusione” – rispetto a quella prospettata dal Collegio di Napoli nelle decisioni richiamate dalla stessa ordinanza (decisioni n. 7104/2014, n. 450/2015) – “in relazione all’individuazione dei responsabili, in caso di ritenuta violazione, nel caso qui in esame, che riguarda peraltro un’ipotesi di cumulo omogeneo e non tra cessione e delegazione” e della conseguente possibilità che si determini “un contrasto giurisprudenziale (…) in assenza di una valutazione complessiva della disciplina di legge in materia, che appare di esclusiva competenza del Collegio di Coordinamento”. Secondo il Collegio di Napoli, i limiti previsti dall’art. 70 d.P.R. n. 180/1950 (secondo cui in “caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l’amministrazione dalla quale l’impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso”) sono “comunque stabiliti ad esclusivo carico dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro del dipendente, nella sua qualità di ceduta ovvero di delegata al pagamento. Non a caso è proprio ad essa che viene altresì imposto espressamente il rilascio della dichiarazione autorizzativa, tanto in via ordinaria, quanto in ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ricorrere delle eccezionali circostanze infatti ritenersi che la legittimazione passiva si radica al momento della proposizione del caso, al fine di consentire il Ciò chiarito, gli artt. 39 e 40 d.P.R n. 180/1950 escludono una sovrapposizione di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, indipendentemente, peraltro, dal superamento della soglia del quinto prevista dall’art. 5 del medesimo decreto. ▇▇▇▇▇ restando i termini indicati dall’art. 39, commi 1 e 2, se il primo finanziamento non è stato estinto altrimenti (nel qual caso il termine per la conclusione di un nuovo contratto di finanziamento si riduce a un anno), il secondo finanziamento è (recte, deve essere) comunque destinato all’estinzione del primo, come chiaramente confermato anche dalle disposizioni dell’art. 40 e, in particolare, dall’obbligo del secondo mutuante di “pagare al primo cessionario” il credito residuo (art. 40, comma 3). Più chiaramente: i) l’art. 39, comma 1, ultima parte, d.P.R. n. 180/1950 disciplina l’ipotesi in cui il cliente richiede un nuovo (secondo) finanziamento, avendo già estinto il precedente. In tal caso, il cliente può stipulare il nuovo finanziamento decorso un anno dall’estinzione anticipata del primo, senza che si ponga, neppure in astratto, la questione, rilevante per la soluzione del caso di specie, di una violazione indiretta del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950; ii) l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 si riferisce, invece, all’ipotesi in cui l’estinzione del primo finanziamento avviene mediante il successivo finanziamento. In tal caso, il cliente può attivare il nuovo finanziamento soltanto dopo il termine di due o quattro anni previsto dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 180/1950 (o anche prima del decorso del termine biennale, qualora il secondo contratto sia una “cessione decennale” stipulata “per la prima volta”, art. 39, comma 3). Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni ricorso e, quindi, per quanto qui più rilevanon si perde a seguito della successiva cancellazione del resistente dall’albo degli intermediari ex artt. 106 e 107 t.u.b. (nello stesso senso Coll. Milano, n. 804 del 2014). Prima ancora di venire al merito della controversia occorre ancora sottolineare che al momento della sottoscrizione del contratto la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto. In tal casosocietà resistente non era autorizzata al rilascio di garanzie con la conseguenza che, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta ose il contratto in esame dovesse essere inteso come una garanzia concessa dall’intermediario, come pare più corretto, regola di verrebbe in rilievo il problema della validità del (successivo) contrattocontratto in mancanza della prescritta autorizzazione per l’esercizio dell’attività. Ritiene il Collegio che l’assunzione dell’obbligo di acquisto dei crediti della ricorrente nei confronti del conduttore di un immobile di sua proprietà persegue indiscutibilmente la finalità di garantire il cedente per il caso di ritardo od inadempimento del conduttore, il che del resto ben si concilia con la violazione indiretta dell’artcausa variabile che caratterizza la cessione di credito. 5 d.P.R. n. 180/1950Viene, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non èdunque, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto. Conformemente a quanto previsto, rilievo il tema della illiceità dell’attività d’impresa svolta in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (mancanza delle prescritte autorizzazioni; illiceità che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative - c.d. nullità virtuale - qualora “la legge disponga diversamente”), deve, infatti, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere che la violazione del limite stabilito nel caso di specie darebbe luogo all’applicazione delle sanzioni penali previste dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950132 t.u.b. per l’esercizio abusivo di attività finanziaria. Com’è noto un ormai risalente orientamento di dottrina e giurisprudenza esclude che dalla violazione delle disposizioni che dette autorizzazioni richiedono per l’esercizio dell’attività d’impresa possano prodursi conseguenze di rilievo in ordine alla stessa configurabilità della fattispecie-impresa ed alla applicabilità della disciplina ad essa eventualmente dedicata. Proprio in tema di esercizio dell’attività bancaria può considerarsi ormai acquisito il principio secondo cui l’esercizio di fatto dell’attività bancaria non esenta affatto l’imprenditore dall’applicazione delle disposizioni dettate dal testo unico bancario, né in caso di permanenza di due (oparticolare della disciplina dello stesso testo unico dedicata alla regolamentazione della crisi dell’impresa bancaria.
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Sources: Affitto Assicurato
DIRITTO. In via preliminare, Il Collegio ritiene il Collegio ricorso non meritevole di accoglimento. Deve premettersi che non può che censurare e stigmatizzare il contegno tenuto ragionarsi in merito ad una possibile applicazione dell’art. 56 cod. cons. - disposizione richiamata dall’intermediario resistente, che esprime senza dubbio un comportamento altamente contrario ai principi e ai fini dell’Arbitro Bancario Finanziario (il cui primario scopo per corroborare la sua tesi difensiva. La norma è di contribuire a dirimere le controversie attraverso la costruzione, o la “ricostruzione”, di un compiuto e trasparente dialogo fra clientela e intermediari), oltre che irrispettoso della stessa funzione del Collegio. Sempre in via preliminare e come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, il Collegio rileva l’inammissibilità della domanda formulata in via subordinata dal ricorrente e diretta al rimborso delle commissioni e degli oneri accessori e del premio assicurativo secondo il criterio pro rata temporis, in quanto domanda avanzata per la prima volta con il ricorso. Come noto, secondo le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, “Il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo” (Sez. VI, parstata infatti interamente riscritta dall’art. 1). La controversia sottoposta all’esame del Collegio si limita, pertanto, al solo accertamento della nullità del contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente per la violazione, lamentata dal ricorrente, delle previsioni di cui agli artt. 1, 2, 5, 39 e 40 del d.P.R. n. 180/1950. Al riguardo, come opportunamente rammentato dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950, in caso di estinzione anticipata di un precedente contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) per tramite della conclusione di un nuovo finanziamento stipulato prima del decorso, per l’appunto, del termine biennale o quadriennale stabilito dall’art. 39, comma 1, d.P.R. d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 39/1950. In tale circostanza, il Collegio ha chiarito che la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 integra “la violazione di norme comportamentali da parte dell’intermediario, e non [può] comportare, pertanto, un’ipotesi di nullità del contratto in base al disposto dell’articolo 1418 c.c.21, con particolare riferimento all’ipotesi di nullità per contrarietà a norme imperative prevista decorrenza dal primo comma di tale disposizione13 giugno 2014. Nella sua precedente versione, in relazione alla quale il Collegio conosce e condivide pienamente l’insegnamento della Giurisprudenza di legittimità in materia di nullità virtuale esso si occupava effettivamente del contratto (cfr. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724)” (Collegio di Coordinamento, decisione n. 5762/2016). Sotto tale profilo, la lamentata violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 non può, pertanto, costituire, di per sé sola, ragione sufficiente di nullità del secondo contratto di finanziamento concluso dal ricorrente. Sul punto, né il ricorrente, né l’ordinanza di rimessione hanno, del resto, prospettato argomenti a sostegno della nullità virtuale del contratto ex art. 1418, primo comma, c.c. nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati da questo Collegio nella decisione sopra richiamata e tali da indurre il Collegio a rivalutare la questione. Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione, la questione oggetto del caso di specie è parzialmente distinta da quella già decisa dal Collegio nella decisione sopra richiamata e attiene al “possibile cumulo” di due o più contratti di finanziamento contro cessione del quinto e, più specificamente, al conseguente “superamento del limite della quota cedibile” consentita, in termini generali, dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950. Più chiaramente, ci “si domanda insomma sePagamento mediante carta”, come nel caso disciplinando anche l’ipotesi di speciecharge back. Nella sua nuova versione, vigente al momento in cui si è verificata la vicenda, tale disciplina non esiste più. La norma è rubricata adesso “possano o meno coesistere per la loro intera durata di ammortamento o per periodo di tempo limitati due o più contratti Obblighi del medesimo tipo per come configurati dalla disciplina inderogabile di riferimento contenuta nel D.P.R. 180/1950 per le cessioni delle quote del quinto dello stipendio o della pensione”. Al riguardo, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180/1950, invocati dal ricorrente, non appaiono rilevanti ai fini della decisione del caso in esame: l’art. 1 si limita a stabilire in generale il divieto di cessione dello stipendio, con le eccezioni previste nelle disposizioni successive (spec. art. 5); mentre l’art. 2 si riferisce ai limiti di sequestro e pignoramento degli stipendi, sicché non riguarda la conclusione del contratto di cessione dello stipendio, ma i limiti all’esercizio dell’azione esecutiva o cautelare sulla quota dello stipendio oggetto di cessione. L’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, invece, fissa l’eccezione al divieto dell’art. 1, consentendo la conclusione di contratti di finanziamento contro cessione dello stipendio purché la cessione negoziata abbia ad oggetto una quota non superiore al quinto della retribuzione. Ne consegue che se la cessione oggetto del contratto è limitata entro il quinto dello stipendio, il contratto è validamente concluso. Sotto questo profilo, il (secondo) contratto in questione è – in sé considerato – perfettamente valido, avendo ad oggetto la quota cedibile dello stipendio. Si tratta, pertanto, di verificare se la successione e il cumulo di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio, che, come nel caso di specie, congiuntamente considerati determinano una cessione di una quota complessiva dello stipendio (della pensione) superiore a quella consentita, possano determinare una (indiretta) violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 180/1950 e, in caso positivo, quali siano le conseguenze che da tale violazione discendono. Così ridefinita la questione da affrontare per la soluzione del caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, come sul punto non paiono assumere rilievo le disposizioni dell’art. 70 del d.P.R. n. 180/1950 (relative alla diversa ipotesi del concorso tra cessione e delegazione di pagamento), che l’articolata ordinanza di rimessione sottopone, invece, al Collegio in ragione della “possibilità di giungere ad una diversa conclusione” – rispetto a quella prospettata dal Collegio di Napoli nelle decisioni richiamate dalla stessa ordinanza (decisioni n. 7104/2014, n. 450/2015) – “in relazione all’individuazione dei responsabili, professionista in caso di ritenuta violazione, nel caso qui recesso” del consumatore e nulla più dispone in esame, che riguarda peraltro un’ipotesi merito. La regolamentazione delle cd. clausole di cumulo omogeneo riaddebito – ad eccezione delle ipotesi specificamente previste dalla legge – è dunque demandata all’autonomia negoziale. Appare dunque imprescindibile esaminare il regolamento dei rapporti tra esercente (odierna ricorrente) e non tra cessione e delegazione” e emittente della conseguente possibilità che si determini “un contrasto giurisprudenziale carta di credito (…odierna resistente) in assenza relazione al diritto di una valutazione complessiva della disciplina di legge in materia, che appare di esclusiva competenza del Collegio di Coordinamento”riaddebito. Secondo il Collegio di Napoli, i limiti previsti dall’art. 70 d.P.R. n. 180/1950 (secondo cui in “caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l’amministrazione dalla quale l’impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso”) sono “comunque stabiliti ad esclusivo carico dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro del dipendente, nella sua qualità di ceduta ovvero di delegata al pagamento. Non a caso è proprio ad essa che viene altresì imposto espressamente il rilascio della dichiarazione autorizzativa, tanto in via ordinaria, quanto in ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ricorrere delle eccezionali circostanze del caso, al fine di consentire il Ciò chiarito, gli artt. 39 e 40 d.P.R n. 180/1950 escludono una sovrapposizione di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, indipendentemente, peraltro, dal superamento della soglia del quinto prevista dall’art. 5 del medesimo decreto. ▇▇▇▇▇ restando i termini indicati dall’art. 39, commi 1 e 2, se il primo finanziamento non è stato estinto altrimenti (nel qual caso il termine per la conclusione di un nuovo contratto di finanziamento si riduce a un anno), il secondo finanziamento è (recte, deve essere) comunque destinato all’estinzione del primo, come chiaramente confermato anche dalle disposizioni dell’art. 40 e, in particolare, dall’obbligo del secondo mutuante di “pagare al primo cessionario” il credito residuo (art. 40, comma 3). Più chiaramente: i) l’art. 39, comma 1, ultima parte, d.P.R. n. 180/1950 disciplina l’ipotesi in cui il cliente richiede un nuovo (secondo) finanziamento, avendo già estinto il precedente. In tal caso, il cliente può stipulare il nuovo finanziamento decorso un anno dall’estinzione anticipata del primo, senza che si ponga, neppure in astratto, la questione, rilevante per la soluzione del caso di specie, di una violazione indiretta del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950; ii) l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 si riferisce, invece, all’ipotesi in cui l’estinzione del primo finanziamento avviene mediante il successivo finanziamento. In tal caso, il cliente può attivare il nuovo finanziamento soltanto dopo il termine di due o quattro anni previsto dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 180/1950 (o anche prima del decorso del termine biennale, qualora il secondo contratto sia una “cessione decennale” stipulata “per la prima volta”, art. 39, comma 3). Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni e, quindi, per quanto qui più rileva, la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto. In tal caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta o, come pare più corretto, regola di validità del (successivo) contratto, la violazione indiretta dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non è, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto. Conformemente a quanto previsto, in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative - c.d. nullità virtuale - qualora “la legge disponga diversamente”), deveL’intermediario ha effettuato, infatti, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere il charge back dell’importo precedentemente accreditato all’esercente, sostenendo che la violazione del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, in caso questi non ha correttamente adempiuto alle modalità di permanenza di due (oprenotazione convenzionalmente pattuite.
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DIRITTO. In via preliminare, Il ricorso è fondato. L’organizzazione sindacale ricorrente ha chiesto di potere accedere agli indicati documenti al fine di potere svolgere l’attività sindacale e verificare eventuali “abusi” a danno dei lavoratori. Secondo il Collegio non può che censurare e stigmatizzare costante orientamento della giurisprudenza “sussiste il contegno tenuto dall’intermediario resistente, che esprime senza dubbio un comportamento altamente contrario ai principi e ai fini dell’Arbitro Bancario Finanziario (diritto dell’organizzazione sindacale ad esercitare il cui primario scopo è diritto di contribuire a dirimere le controversie attraverso la costruzione, o la “ricostruzione”, di un compiuto e trasparente dialogo fra clientela e intermediari), oltre che irrispettoso della stessa funzione del Collegio. Sempre in via preliminare e come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, il Collegio rileva l’inammissibilità della domanda formulata in via subordinata dal ricorrente e diretta al rimborso delle commissioni e degli oneri accessori e del premio assicurativo secondo il criterio pro rata temporis, in quanto domanda avanzata accesso per la prima volta con cognizione di documenti che possano coinvolgere sia le prerogative del sindacato quale istituzione esponenziale di una determinata categoria di lavoratori, sia le posizioni di lavoro di singoli iscritti nel cui interesse e rappresentanza opera l’ associazione. Rileva, infatti, un duplice profilo di legittimazione che consente di azionare il ricorso. Come notodiritto di accesso da parte delle organizzazioni sindacali sia iure proprio, secondo le Disposizioni sui sistemi sia a tutela di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, “Il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamointeressi giuridicamente rilevati della categoria rappresentata” (C.d.S., Sez. VI, par. 111 gennaio 2010, n. 00024). La controversia sottoposta all’esame del Collegio si limitaInoltre, pertanto, al solo accertamento della nullità del contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente per la violazione, lamentata dal ricorrente, delle previsioni di cui agli arttsecondo l’art. 1, 2, 5, 39 e 40 del d.P.R. n. 180/1950. Al riguardo, come opportunamente rammentato dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950, in caso di estinzione anticipata di un precedente contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) per tramite della conclusione di un nuovo finanziamento stipulato prima del decorso, per l’appunto, del termine biennale o quadriennale stabilito dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 39/1950. In tale circostanza, il Collegio ha chiarito che la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 integra “la violazione di norme comportamentali da parte dell’intermediario, e non [può] comportare, pertanto, un’ipotesi di nullità del contratto in base al disposto dell’articolo 1418 c.c., con particolare riferimento all’ipotesi di nullità per contrarietà a norme imperative prevista dal primo comma di tale disposizione, in relazione alla quale il Collegio conosce e condivide pienamente l’insegnamento della Giurisprudenza di legittimità in materia di nullità virtuale del contratto (cfr. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724)” (Collegio di Coordinamento, decisione n. 5762/2016). Sotto tale profilo, la lamentata violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 non può, pertanto, costituire, di per sé sola, ragione sufficiente di nullità del secondo contratto di finanziamento concluso dal ricorrente. Sul punto, né il ricorrente, né l’ordinanza di rimessione hanno, del resto, prospettato argomenti a sostegno della nullità virtuale del contratto ex art. 1418, primo comma, c.c. nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati da questo Collegio nella decisione sopra richiamata e tali da indurre il Collegio a rivalutare la questione. Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione, la questione oggetto del caso di specie è parzialmente distinta da quella già decisa dal Collegio nella decisione sopra richiamata e attiene al “possibile cumulo” di due o più contratti di finanziamento contro cessione del quinto e, più specificamente, al conseguente “superamento del limite della quota cedibile” consentita, in termini generali, dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950. Più chiaramente, ci “si domanda insomma se”, come nel caso di specie, “possano o meno coesistere per la loro intera durata di ammortamento o per periodo di tempo limitati due o più contratti del medesimo tipo per come configurati dalla disciplina inderogabile di riferimento contenuta nel D.P.R. 180/1950 per le cessioni delle quote del quinto dello stipendio o della pensione”. Al riguardo, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180/1950, invocati dal ricorrente, non appaiono rilevanti ai fini della decisione 184 del caso in esame: l’art. 1 si limita a stabilire in generale il divieto di cessione dello stipendio, con le eccezioni previste nelle disposizioni successive (spec. art. 5); mentre l’art. 2 si riferisce ai limiti di sequestro e pignoramento degli stipendi, sicché non riguarda la conclusione del contratto di cessione dello stipendio, ma i limiti all’esercizio dell’azione esecutiva o cautelare sulla quota dello stipendio oggetto di cessione. L’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, invece, fissa l’eccezione al divieto dell’art. 1, consentendo la conclusione di contratti di finanziamento contro cessione dello stipendio purché la cessione negoziata abbia ad oggetto una quota non superiore al quinto della retribuzione. Ne consegue che se la cessione oggetto del contratto è limitata entro il quinto dello stipendio2006, il contratto è validamente concluso. Sotto questo profilo, il (secondo) contratto in questione è – in sé considerato – perfettamente valido, avendo ad oggetto la quota cedibile dello stipendio. Si tratta, pertantodiritto di accesso “si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione, di verificare se la successione e il cumulo di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio, che, come nel caso di specie, congiuntamente considerati determinano una cessione di una quota complessiva dello stipendio (della pensione) superiore a quella consentita, possano determinare una (indiretta) violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 180/1950 e, in caso positivo, quali siano le conseguenze che da tale violazione discendono. Così ridefinita la questione da affrontare per la soluzione del caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, come sul punto non paiono assumere rilievo le disposizioni dell’art. 70 del d.P.R. n. 180/1950 (relative alla diversa ipotesi del concorso tra cessione e delegazione di pagamento), che l’articolata ordinanza di rimessione sottopone, invece, al Collegio in ragione della “possibilità di giungere ad una diversa conclusione” – rispetto a quella prospettata dal Collegio di Napoli nelle decisioni richiamate dalla stessa ordinanza (decisioni n. 7104/2014, n. 450/2015) – “in relazione all’individuazione dei responsabili, in caso di ritenuta violazione, nel caso qui in esame, che riguarda peraltro un’ipotesi di cumulo omogeneo e non tra cessione e delegazione” e della conseguente possibilità che si determini “un contrasto giurisprudenziale (…) in assenza di una valutazione complessiva della disciplina di legge in materia, che appare di esclusiva competenza del Collegio di Coordinamento”. Secondo il Collegio di Napoli, i limiti previsti dall’art. 70 d.P.R. n. 180/1950 (secondo cui in “caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l’amministrazione dalla quale l’impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso”) sono “comunque stabiliti ad esclusivo carico dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro del dipendente, nella sua qualità di ceduta ovvero di delegata al pagamento. Non a caso è proprio ad essa che viene altresì imposto espressamente il rilascio della dichiarazione autorizzativa, tanto in via ordinaria, quanto in ▇▇▇ ▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇▇ ▇▇ ricorrere delle eccezionali circostanze del caso, al fine di consentire il Ciò chiarito, gli artt. 39 e 40 d.P.R n. 180/1950 escludono una sovrapposizione di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, indipendentemente, peraltro, dal superamento della soglia del quinto prevista dall’art. 5 del medesimo decreto. ▇▇▇▇▇ restando i termini indicati dall’art. 39, commi 1 e 2, se il primo finanziamento non è stato estinto altrimenti (nel qual caso il termine per la conclusione di un nuovo contratto di finanziamento si riduce a un anno), il secondo finanziamento è (recte, deve essere) comunque destinato all’estinzione del primo, come chiaramente confermato anche dalle disposizioni dell’art. 40 e, in particolare, dall’obbligo del secondo mutuante di “pagare al primo cessionario” il credito residuo (art. 40, comma 3). Più chiaramente: i) l’art. 39all’articolo 22, comma 1, ultima parte, d.P.R. n. 180/1950 disciplina l’ipotesi in cui il cliente richiede un nuovo (secondo) finanziamento, avendo già estinto il precedente. In tal caso, il cliente può stipulare il nuovo finanziamento decorso un anno dall’estinzione anticipata del primo, senza che si ponga, neppure in astratto, la questione, rilevante per la soluzione del caso di specie, di una violazione indiretta del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950; ii) l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 si riferisce, invece, all’ipotesi in cui l’estinzione del primo finanziamento avviene mediante il successivo finanziamento. In tal caso, il cliente può attivare il nuovo finanziamento soltanto dopo il termine di due o quattro anni previsto dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 180/1950 (o anche prima del decorso del termine biennale, qualora il secondo contratto sia una “cessione decennale” stipulata “per la prima volta”, art. 39, comma 3). Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni lettera e, quindi, per quanto qui più rileva, la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto. In tal caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta o, come pare più corretto, regola di validità del (successivo) contratto, la violazione indiretta dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non è, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto. Conformemente a quanto previsto, in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative - c.d. nullità virtuale - qualora “la legge disponga diversamente”), devedella legge, infattinei confronti dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente”. Pertanto, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere che la violazione del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950parte resistente, in caso di permanenza di due (oanche se non ha formato i documenti è tenuta a consentire l’accesso.
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