CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA - XXI CICLO IN
XXXXX XX XXXXXXXXX XX XXXXXXX - XXX XXXXX XX
“DIRITTO DEI CONTRATTI PUBBLICI E PRIVATI”
TESI DI DOTTORATO
“LA DISCIPLINA COMUNITARIA DEGLI APPALTI PUBBLICI E LE SECONDARY POLICIES”
Coordinatore
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxx
Tutor
Xxxxx.xx Prof. Xxxxxx Xxxxxxxxx
Dottoranda
Xxxxxx Xxxxxxxxx
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA - XXI CICLO IN
“DIRITTO DEI CONTRATTI PUBBLICI E PRIVATI”
TESI DI DOTTORATO
“LA DISCIPLINA COMUNITARIA DEGLI APPALTI PUBBLICI E LE SECONDARY POLICIES”
(IUS/10)
Coordinatore
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxx
Tutor
Xxxxx.xx Prof. Xxxxxx Xxxxxxxxx
Dottoranda
Xxxxxx Xxxxxxxxx
ABSTRACT
“La disciplina comunitaria degli appalti pubblici e le secondary policies”
La Comunità europea ha cominciato ad interessarsi degli appalti nel 1971, con la prima direttiva sui lavori pubblici, proprio a causa del notevole impatto che questi avevano sul mercato unico.
Inizialmente, l’attenzione del legislatore comunitario era volta, in particolare, ad introdurre in questo settore alcuni principi generali, quali quelli di libera concorrenza, non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza. La ragion d’essere della politica degli appalti era, infatti, quella di creare a livello europeo le condizioni di concorrenza necessarie affinché i contratti pubblici fossero attribuiti in modo non discriminatorio e il denaro pubblico fosse utilizzato razionalmente attraverso la scelta della migliore offerta presentata.
A tale scopo, tutte le direttive comunitarie, che si sono succedute dal 1971 in poi, si sono preoccupate esclusivamente di dettare precise regole per quanto riguarda: la definizione dell’oggetto dell’appalto, la selezione dei candidati e, in particolare, l’aggiudicazione del contratto sulla base di criteri esclusivamente economici, obiettivi e facilmente misurabili.
Per molti anni, dunque, la normativa comunitaria non ha previsto alcun riferimento alla possibilità di integrare considerazioni di natura non economica nel settore degli appalti pubblici, limitandosi alla trattazione degli aspetti tradizionalmente più attinenti agli obiettivi del mercato interno.
Negli ultimi anni, tuttavia, con l’affermarsi a livello internazionale del concetto di “sviluppo sostenibile”, le istituzioni comunitarie hanno gradualmente iniziato a prendere in considerazione le istanze etiche ed ambientali, integrandole con le altre politiche comuni.
È da questo fenomeno di integrazione che si è sviluppata, anche a livello europeo, la pratica del Sustainable Public Procurement (SPP), ovvero la possibilità di introdurre criteri sostenibili, quali appunto le valutazioni etico-sociali ed ambientali, in una delle
politiche comunitarie più importanti tra quelle relative al mercato interno, ovvero quella in materia di appalti pubblici.
In questa sede interessa, appunto, esaminare le origini e gli sviluppi degli “Acquisti pubblici sostenibili” nel contesto dell’Unione europea.
In particolare, lo studio si propone di rispondere ai seguenti interrogativi: quali conseguenze ha comportato l’introduzione di considerazioni di secondary policies nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinate dal diritto comunitario?; Fino a che punto e in che modo le istituzioni dell’Unione sono riuscite a conciliare la tutela dell’ambiente e la politica sociale con i principi generali di libera concorrenza, trasparenza, imparzialità e non discriminazione, da sempre posti alla base della politica comune degli appalti pubblici?
A tale fine, in primo luogo, si analizzerà, attraverso lo studio delle comunicazioni della Commissione, della giurisprudenza della Corte di giustizia e degli interventi normativi del legislatore comunitario, il dibattito istituzionale che si è sviluppato nell’Unione europea in merito alla possibilità di integrare considerazioni di natura ecologica e sociale nella disciplina degli appalti pubblici.
In terzo luogo, dopo aver effettuato una panoramica generale delle esperienze di Sustainable Public Procurement attuate a livello internazionale, nazionale e locale, si esamineranno le origini, i contenuti ed i benefici degli “Acquisti pubblici sostenibili”, così come recentemente sottolineati anche dalla Commissione europea.
Infine, un’ultima riflessione sarà dedicata al modo con il quale la Comunità europea ed i suoi Stati membri, in quanto parti del Government Procurement Agreement (GPA), potranno continuare ad integrare considerazioni ambientali e sociali nella disciplina degli appalti pubblici senza porsi in contrasto con le finalità strettamente commerciali ed economiche perseguite dalla World Trade Organization (WTO).
4
ABSTRACT
“The European provisions on public procurements and the secondary policies”
The interest of the European community towards pubic procurements started in 1971 with the directive on public works, due to their serious impact on the unique market.
At first, the attention of the community legislator was focused, in particular, on the implementation in such sector of a number of general principles such as free competition, non- discrimination, transparency and fair and equitable treatment. The reason of the procurement policy was the creation at the European level of a number of competitive conditions in order to award public contracts without discrimination and to use public assets rationally through the choice of the best bid.
For such a purpose, all the European directives issued since 1971 have only provided particular rules on the definition of the subject matter of procurements, the selection procedures of bidders and , in particular, the award of the contract on the basis of economic, objective and easy-to-measure criteria.
For many years, then, European legislation has not provided any reference to the possibility of introducing elements of non-economic nature in the sector of public procurements, limiting the analysis to the aspects traditionally connected to the objectives of the internal market.
Anyhow, during the last years, as the concept of “ sustainable development” was becoming popular, the community institutions have gradually started to consider the ethical and environmental issues, combining them with the other common policies.
From such combination has derived, also at the European level, the policy named Sustainable Public Procurement (SPP), that is the possibility to implement sustainable criteria such as ethical, social and environmental evaluations in one of the main community policies among those of the internal market: this is the public procurements policy.
We hereby analyze the origins and development of the “Sustainable Public Procurement” within the European Union.
The study aims to responding to the following questions: what are the consequences of the implementation of some issues belonging to secondary policies in the public procurements regulated by European law? To which extent and how the EU institutions have succeeded in the combination of environment protection and social policy to the general principles of free competition, transparency, non discrimination that have always been at the grounds of the common policy of public procurements?
Through the communications of the Commission, the cases of the Court of Justice and the European provisions, we will firstly examine the institutional debate held at the community level regarding the possibility to implement environmental and social issues in the public procurements legislation. Secondly, after having summarized the Sustainable Public Procurement experience carried out at the international, domestic and local level, we will analyze the origins, the contents and the benefits of the “Sustainable Public procurements” as recently outlined by the European Commission.
At the end, we will describe how the European Community and its Member States, as parties in the Government Procurement Agreement (GPA), will be constantly implementing social and environmental issues in the legislation of public procurements avoiding any conflict with the economic and trading goals pursued by the World Trade Organization (WTO).
6
INDICE
INTRODUZIONE
1. Premessa................................................................................... p.1
2. L’ambito dell’indagine................................................................. p.7
3. L’articolazione del lavoro............................................................ p.8
Capitolo I
GLI APPALTI PUBBLICI E LA POLITICA INDUSTRIALE
1. Premessa......................................................................................... p.13
2. Gli appalti pubblici comunitari come strumenti di politica industriale: la tutela delle piccole e medie imprese (PMI) ............ p.17 2.1. Il ruolo della Commissione europea................................. p.18 2.2. Il ruolo della Corte di giustizia......................................... p.24 2.3. Il ruolo del legislatore comunitario.................................. p.31
3. Le scelte comunitarie: fattori interni ed esterni.............................. p.34
4. Gli appalti pubblici come strumenti di politica industriale in altri
regimi giuridici............................................................................... p.37
4.1. L’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services................................................ p.38
4.2. Il Government Procurement Agreement (GPA)............... p.42
4.3. Le Linee-guida sugli appalti pubblici della Banca mondiale........................................................................... p.49
5. Gli appalti pubblici nel settore della difesa come strumenti di
politica industriale.......................................................................... p.53
I
5.1. I limiti del quadro giuridico comunitario......................... p.55
5.2. Dalla cooperazione all’integrazione: verso la costituzione di un European Defence Equipment Market (EDEM) ........................................................................... p.57
6. Osservazioni conclusive................................................................. p.62
Capitolo II
GLI APPALTI PUBBLICI E LA POLITICA SOCIALE
1. Premessa......................................................................................... | p.67 | |
2. Gli appalti pubblici comunitari come strumenti di politica etico- | ||
sociale............................................................................................. | p.72 | |
2.1. Il ruolo della Commissione europea................................. | p.72 | |
2.2. Il ruolo della Corte di giustizia......................................... | p.77 | |
2.3. Il ruolo del legislatore comunitario.................................. | p.85 | |
3. Le scelte comunitarie: fattori interni ed esterni.............................. | p.91 | |
3.1. L’evoluzione dell’impegno comunitario in tema di | ||
protezione sociale e la Corporate Social Responsibility | ||
(CSR) delle imprese......................................................... | p.92 | |
3.2 Il Sustainable Public Procurement (SPP)........................ | p.98 | |
3.2 Segue: l’influenza Top Down........................................... | p.98 | |
3.2 Segue: l’influenza Bottom Up......................................... | p.100 | |
4. Gli appalti pubblici come strumenti di politica sociale in altri | ||
contesti giuridici............................................................................. | p.103 | |
4.1. L’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, | ||
Construction and Services................................................ | p.103 | |
4.2. Il Government Procurement Agreement (GPA)............... | p.105 | |
4.3. Le Linee-guida sugli appalti pubblici della Banca | ||
mondiale........................................................................... | p.109 | |
5. | Osservazioni conclusive................................................................. | p.111 |
II
Capitolo III
GLI APPALTI PUBBLICI E LA POLITICA AMBIENTALE
1. Premessa......................................................................................... | p.117 | |
2. Gli appalti pubblici comunitari come strumenti di politica | ||
ambientale....................................................................................... | p.120 | |
2.1. Il ruolo della Commissione europea................................. | p.122 | |
2.2. Il ruolo della Corte di giustizia......................................... | p.123 | |
2.3. Il ruolo del legislatore comunitario.................................. | p.132 | |
3. Le scelte comunitarie: fattori interni ed esterni.............................. | p.137 | |
3.1. L’evoluzione della politica ambientale nell’Unione | ||
europea............................................................................. | p.137 | |
3.2 Il Green Public Procurement (GPP)................................ | p.142 | |
3.2 Segue: l’influenza Top Down........................................... | p.143 | |
3.2 Segue: l’influenza Bottom Up.......................................... | p.144 | |
4. Gli appalti pubblici come strumenti di politica ambientale in altri | ||
contesti giuridici............................................................................. | p.151 | |
4.1. L’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, | ||
Construction and Services................................................ | p.151 | |
4.2. Il Government Procurement Agreement (GPA)............... | p.153 | |
4.3. Le Linee-guida sugli appalti pubblici della Banca | ||
mondiale........................................................................... | p.155 | |
5. | Osservazioni conclusive................................................................. | p.157 |
Capitolo IV
GLI APPALTI PUBBLICI E LE SECONDARY POLICIES:
IL DIFFICILE EQUILIBRIO TRA FLESSIBILITÀ E REGOLE
1. Premessa......................................................................................... p.160
2. Le principali tecniche di inserimento delle secondary policies...... p.162 2.1. I regimi speciali................................................................ p.163
III
2.2. | La definizione dell’oggetto dell’appalto.......................... | p.165 |
2.3. | Le specifiche tecniche...................................................... | p.166 |
2.4. | I requisiti di qualificazione/selezione dei candidati......... | p.168 |
2.5 | I criteri di valutazione delle offerte.................................. | p.169 |
2.6 | Le condizioni di esecuzione del contratto........................ | p.170 |
2.7 | Osservazioni comuni........................................................ | p.172 |
I principi generali e le secondary policies...................................... p.173 | ||
3.1. | La trasparenza................................................................... | p.174 |
3.2 | La proporzionalità............................................................ | p.176 |
3.
4. L’attuale soluzione comunitaria: primo bilancio e prospettive future............................................................................................... p.179
BIBLIOGRAFIA........................................................................................ p.182
IV
INTRODUZIONE
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. L’ambito dell’indagine – 3. L’articolazione del lavoro
1. Premessa
Il principale obiettivo di qualsiasi appalto pubblico1 è quello di permettere all’amministrazione di aggiudicarsi il contratto che meglio soddisfa le proprie esigenze alle condizioni economicamente più vantaggiose. Tuttavia, non sono solo le considerazioni di bilancio ad entrare in gioco quando si predispone un appalto.
La regolazione dei contratti pubblici consente, infatti, ai governi nazionali di realizzare molteplici obiettivi2, una parte dei quali non ha una giustificazione economica.
Considerata la loro enorme rilevanza nel mercato interno, gli appalti pubblici, a differenza di quelli privati, sono stati spesso utilizzati dagli Stati come strumenti per perseguire obiettivi di “public policies” a beneficio della collettività, complessivamente intesa, e non della singola amministrazione aggiudicatrice.
Tali considerazioni non economiche, che si sono aggiunte al “primary objective” dell’appalto, sono state definite nella prassi ed in dottrina “secondary” o, secondo la terminologia statunitense, “collateral policies”3.
1 Ai fini del presente lavoro, l’appalto pubblico può essere definito come il complesso dei rapporti economici, finanziari e giuridici intercorrenti fra un’amministrazione pubblica ed un soggetto fornitore, finalizzati alla vendita da parte di quest’ultimo di beni, servizi od opere all’ente pubblico. Per una definizione di appalto pubblico nell’ordinamento giuridico italiano, si v. X. XXXXXXX, Appalto pubblico, in Novissimo Digesto Italiano, I, Utet, Torino, 1957, pp. 703 ss.; X. XXXXXXXX, X. XXXXX, Appalto, II) Appalto di opere pubbliche, in Enciclopedia giuridica, II, Treccani, Roma, 1988; X. XXXXXX, Appalti pubblici (voce), in X. XXXXXXX (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Xxxxxxx, Milano, I, 2006, pp. 353 ss.
2 Per un’analisi approfondita degli obiettivi, si v. X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX e X. XXXXXXX, Regulating Public Procurement. National and International Perspectives, Kluwer Law International, 2000.
1
Per comprendere la natura e la varietà di queste politiche, è utile descriverne alcune applicazioni pratiche.
Storicamente, molti Paesi, sia sviluppati che in via di sviluppo, si sono avvalsi della disciplina delle commesse pubbliche per introdurre misure protezionistiche, al fine di tutelare particolari categorie di imprese o lo sviluppo industriale di zone del territorio nazionale particolarmente svantaggiate.
Ad esempio, negli Stati Uniti, nel 1933 è stato emanato il Buy American Act, una normativa, ancora in vigore, che permette alle amministrazioni aggiudicatrici di preferire le imprese locali a quelle straniere, al fine di incrementare i posti di lavoro ed i profitti dell’industria nazionale.
In Italia, nel 1986, il governo ha esteso a tutte le amministrazioni pubbliche nazionali, comprese le USL, l'obbligo di rifornirsi, per una quota pari ad almeno il 30% del materiale occorrente, da piccole e medie imprese industriali, agricole ed artigiane situate in una zona particolarmente svantaggiata, il Mezzogiorno4.
In Brasile, dal 1993, la normativa sugli appalti pubblici stabilisce che, a parità di condizioni, la preferenza deve essere data a merci o servizi prodotti o forniti da imprese brasiliane5.
Oltre che per finalità di politica industriale, gli appalti pubblici sono stati spesso utilizzati dai governi nazionali anche come leva di soluzione di problemi etico-sociali interni, il c.d. linkage6.
I primi tentativi di collegare considerazioni di “social justice” con le regole in materia di acquisti pubblici hanno avuto origine nel XIX secolo in Inghilterra, negli Stati Uniti ed in Francia. Nel 1840, infatti, il Presidente degli Stati Uniti, Xxxxxx Xxx
3 La distinzione tra politiche primarie e secondarie non ha alcun significato giuridico, in quanto la scala di valori può essere misurata solo in termini relativi e non assoluti. Tuttavia, tale classificazione rappresenta un metodo utile e condiviso dalla dottrina, pertanto, questa verrà mantenuta nel corso dell’indagine.
4 Cfr. l'art. 17, commi sedicesimo e diciassettesimo, della legge 1 marzo 1986, n. 64 (Disciplina organica dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno). L’intervento del legislatore italiano è stato giudicato dalla Corte di giustizia incompatibile con il diritto comunitario nella pronuncia Du Pont de Nemours Italiana c. Unità Sanitaria Locale, n. 2, Carrara. Per un commento alla sentenza, si rinvia al capitolo II, p. 2.2.
5 Cfr. Federal Law 8666/93, articolo 3° & 2°, legge nazionale sugli appalti pubblici in Brasile. Per alcune osservazioni critiche, si v. A.P. XXXXXXX XXXXXXX, A Critical Study of the Brazilian Procurement Law, 1998, disponibile in xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxx/xxxxxxx/Xxxx0000/Xxxxx.Xxxxxxx.xxxx
6 La definizione di linkage, ovvero “the use of government contracting as a tool of social regulation”, si trova in X. XXXXXXXXX Using public procurement to achieve social outcomes, in Natural Resources Forum, 2004, n. 28, pp. 257 ss.
2
Buren, ha introdotto il limite delle dieci ore lavorative giornaliere per coloro che partecipavano alla realizzazione di opere pubbliche. Successivamente, misure analoghe, a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, sono state previste anche dal governo inglese7 e francese. Quest’ultimo, in particolare, ha sostenuto che l’occupazione della popolazione locale in difficoltà poteva legittimamente rientrare tra i criteri di aggiudicazione dei contratti pubblici.
La tutela delle minoranze etniche costituisce, invece, tuttora uno dei principali obiettivi della politica degli appalti pubblici in Sudafrica8, dove, nel 2000, è stato introdotto il Preferential Procurement Policy Framework Act, al fine di consentire alle amministrazioni aggiudicatrici di utilizzare gli appalti per promuovere lo sviluppo delle attività gestite dalle donne o da altre categorie di persone emarginate a seguito dell’apartheid9.
Infine, dall’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso, molti governi hanno iniziato ad effettuare una serie di interventi volti ad assicurare che le forniture, i lavori ed i servizi acquistati dalle pubbliche amministrazioni siano, il più possibile, compatibili con l’ambiente. Ad esempio, negli Stati Uniti, dal 1993, le amministrazioni aggiudicatrici hanno scelto di dare preferenza nelle politiche di acquisto a merci e servizi “ambientalmente preferibili” e di ricorrere ove possibile a prodotti “bio-based” (cioè articoli commerciali o industriali che utilizzano sostanze biologiche o risorse agricole e forestali rinnovabili)10. Ed ancora, in Inghilterra, dal 2003, tutti i Dipartimenti del Governo centrale sono tenuti a rispettare un minimum di standards ambientali, quali il risparmio energetico e la possibilità di riciclare i prodotti nelle loro procedure di acquisto di beni11.
In tutti gli esempi riportati, le autorità statali, piuttosto che ragionare in termini di “value for money”, hanno preferito introdurre, nel procedimento di aggiudicazione di un
7 Si v., al riguardo, la House of Commons Fair Wages Resolution del 1891.
8 Per l’utilizzo degli appalti pubblici come strumento politico in Sudafrica, si v. X. XXXXXX, The use of government procurement as an instrument of policy, in 121 S. African L.J., 2004, pp. 619 ss.
9 Per maggiori informazioni sul Target Procurement System praticato in Sudafrica, si visiti il sito xxxx://xxx.xxxx.xxx.xx/
10 Negli Stati Uniti, gli appalti pubblici verdi sono stati istituiti dai provvedimenti del Presidente Xxxxxxx, i cosiddetti executive orders. Uno dei programmi più strutturati è quello avviato con la direttiva Xxxxxxx EO 12873 del 1993, in seguito ampliata con la direttiva EO 13101 del 1998 “Greening the Government through Waste Prevention, Recycling and Federal Acquisition”. Per maggiori informazioni, si visiti il sito della U.S. Environmental Protection Agency, EPA, xxxx://xxx.xxx.xxx/
11 Si v. xxxx://xxx.xxxxx.xxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxx/xxxxxxxxxxx/xxxxxx/xxxxx/xxxxxxx.xxx
3
appalto pubblico, considerazioni non economiche allo scopo di perseguire obiettivi nazionali di politica industriale, sociale o ambientale.
Da un punto di vista esclusivamente nazionale, una simile scelta appare certamente legittima, in quanto, nelle ipotesi descritte, il legislatore statale ha deciso di sacrificare le ragioni strettamente economiche e commerciali, poste alla base della disciplina degli appalti pubblici, al fine di perseguire altrettanti importanti obiettivi di politica nazionale, quali, ad esempio, la riduzione della disoccupazione, dell’inquinamento, etc.
Da un punto di vista sovranazionale, invece, la medesima scelta del legislatore statale appare fortemente discutibile e, in alcuni contesti, anche illegittima.
Nel panorama internazionale, infatti, sono sempre più numerosi i soggetti che, a vario titolo, sono intervenuti e continuano ad intervenire in materia di appalti pubblici, tanto che in dottrina si parla di una “Global revolution”12, ovvero di una globalizzazione delle regole sui contratti pubblici13.
Tra questi, alcuni organismi (United Nations Commission for International Trade Law - UNCITRAL) si sono limitati ad elaborare linee-guida al fine di fornire modelli ai Paesi intenzionati a rivedere le proprie discipline interne sugli appalti pubblici; altre istituzioni finanziarie (Banca mondiale) hanno stabilito proprie regole per disciplinare gli appalti collegati alla realizzazione dei progetti finanziati; altri Paesi si sono riuniti per concordare regole comuni finalizzate all’apertura del mercato degli appalti a livello regionale (Comunità europea) o globale (Government Procurement Agreement - GPA).
Nonostante le varie differenze, tutti questi interventi internazionali presentano una finalità comune, ovvero promuovere la diffusione, nel settore degli appalti pubblici, dei principi generali di imparzialità, trasparenza, libera concorrenza, apertura dei mercati
12 L’espressione “Global revolution” o “Global reformation” è stata utilizzata per la prima volta da
X. XXXXXXX, The Changing World of National Procurement Systems: Global Reformation, in Public Procurement Law Review, 1995, pp. 57 ss. ed è stata, poi, ripresa in X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXX, Public Procurement: Global Revolution, Kluwer Law International, 1998.
13 Sulle implicazioni circa la internazionalizzazione dei contratti pubblici, si v. X. XXXXXXXXXX,
X. XXXXXX, Public Procurement. The Continuing Revolution, Kluwer Law International, 2003; J.B. AUBY, L’internationalisation du droit des contracts publics, in Droit administratif, agosto-settembre 2003, pp. 5 ss.; Id., La globalisation, le droit et l’Etats, Paris, Montchrestien, 2003, pp. 37 ss.; X. XXXXXX XXXXXXXX, Internationalizing Public Procurement Law: Conflicting Global Standards for Public Procurement, in Global Jurist Advances, 2006, vol. 6, iss. 3, article 7 e Id., L'internazionalizzazione della disciplina dei contratti delle pubbliche amministrazioni, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXX (a cura di), Diritto e amministrazioni nello spazio giuridico globale, Xxxxxxx, Milano, 2006, pp. 187 ss.
4
nazionali e, di conseguenza, finiscono per limitare la discrezionalità dei singoli governi nel perseguire gli obiettivi interni, in precedenza descritti14.
Le regole in materia di appalti elaborate da questi soggetti, infatti, proibiscono (o, in alcuni casi, limitano), a livello nazionale, qualsiasi forma di discriminazione nei confronti delle imprese estere. In questo contesto, quindi, l’inclusione da parte delle autorità nazionali delle c.d. secondary policies nel procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico potrebbe incontrare una serie di ostacoli.
È interessante, pertanto, esaminare come questi regimi giuridici internazionali si siano nel tempo rapportati alla presenza di considerazioni non economiche nelle discipline nazionali di regolazione degli appalti pubblici.
In particolare, tale studio analizza principalmente l’atteggiamento assunto dalla Comunità europea in ordine all’utilizzo degli appalti pubblici come strumenti di politica nazionale da parte dei suoi Stati membri.
L’ordinamento comunitario ha cominciato ad interessarsi degli appalti nel 1971, con la prima direttiva sui lavori pubblici15, proprio a causa del notevole impatto che questi avevano sul mercato unico16. A livello europeo, gli appalti pubblici costituiscono un settore economico di grandissima rilevanza, caratterizzato da un elevato investimento di risorse pubbliche17. Non stupisce, quindi, che tale settore sia stato oggetto di un’intensa attività regolatoria e riformatrice da parte delle istituzioni comunitarie.
Quest’ultime, in particolare, sono intervenute più volte in tale disciplina al fine di sopprimere ogni restrizione nazionale ed ogni favore per le imprese locali, nonché di garantire un’effettiva concorrenza nell’aggiudicazione degli appalti pubblici.
14 Si v. X. XXXXXXXXXX, Public Procurement as an instrument of policy and the impact of market liberalisation, in The Law Quarterly Review, 1995, vol. 111, pp. 235 ss.
15 Direttiva 71/305/Cee del Consiglio, del 26 luglio 1971, che coordinava le procedure di aggiudicazione degli appalti dei lavori pubblici.
16 Si v. C.H. XXXXX, The new public procurement regime in the European Union: a critical analysis of policy, law and jurisprudence, in European Law Review, 2005, p. 608. Secondo l’Autore “Public procurement in the European Union has been significantly influenced by the internal market project” e ancora “(…) the regulation of public procurement (can be considered) as a necessary ingredient of the fundamental principles of the European Treaties”.
17 La pubblica amministrazione è, infatti, il principale consumatore-utente in molti segmenti del mercato, visto che contribuisce con l’acquisto di beni e l’affidamento di servizi alla formazione del 16% del prodotto interno lordo (PIL) dell’Unione europea. Si v., al riguardo, C. DAY, Il nuovo manuale sugli appalti pubblici verdi della Commissione europea, in L’ufficio tecnico, n. 6, 2005, pp. 60 ss.
5
Inizialmente, l’attenzione del legislatore comunitario era volta, in particolare, ad introdurre in questo settore alcuni principi generali, quali quelli di libera concorrenza, non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza18. La ragion d’essere della politica degli appalti era, infatti, quella di creare a livello europeo le condizioni di concorrenza necessarie affinché i contratti fossero attribuiti in modo non discriminatorio e il denaro pubblico fosse utilizzato razionalmente attraverso la scelta della migliore offerta presentata19.
A tale scopo, tutte le direttive comunitarie, che si sono succedute dal 1971 al 2004, si sono preoccupate esclusivamente di dettare precise regole per quanto riguarda: la definizione dell’oggetto dell’appalto, la selezione dei candidati e, in particolare, l’aggiudicazione del contratto sulla base di criteri esclusivamente economici, obiettivi e facilmente misurabili.
Per molti anni, dunque, la normativa comunitaria non ha previsto alcun riferimento alla possibilità di integrare considerazioni di natura non economica nel settore degli appalti pubblici, limitandosi alla trattazione degli aspetti tradizionalmente più attinenti agli obiettivi del mercato interno20.
Gli Stati membri della Ce, pertanto, a seguito dell’entrata in vigore delle prime direttive sugli appalti sono stati costretti ad abbandonare o, quantomeno, a limitare il ruolo di regolatore del mercato nazionale per fini industriali, sociali, etici ed ambientali, nel rispetto del diritto comunitario.
Tuttavia, con gli anni, le politiche dell’Unione si sono evolute. Il progresso economico, la coesione sociale ed il rispetto dell’ambiente sono stati, infatti, riconosciuti come i tre pilastri complementari della crescita sostenibile e posti al centro del processo di integrazione europea. In altre parole, all’idea primigenia di un’“Europa di mercato” si è aggiunta quella di un’“Europa dell’ambiente” e di un’“Europa sociale”.
18 Si v., ad esempio, il Libro verde della Commissione, “Gli appalti pubblici nell’Unione europea.
Spunti di riflessione per il futuro”, COM (1996), 583 def., p. 3.
19 Da uno studio svolto di recente per la Commissione risulta che le direttive comunitarie sugli appalti hanno effettivamente incrementato la concorrenza transfrontaliera riducendo del 30% i prezzi per le amministrazioni pubbliche. Sull’argomento, si v. C. DAY, Il nuovo manuale sugli appalti pubblici verdi della Commissione europea, cit., p. 61
20 Per una ricostruzione del percorso storico-normativo della politica comunitaria in materia di appalti pubblici, si rinvia a C.H. BOVIS, The liberalisation of public procurement and its effect on the common market, Ashgate – Xxxxxxxxxx, 1998 e J.M. XXXXXXXXX XXXXXX, The EC public procurement regime: a critical analysis, Clarendon Press, Xxxxxx, 0000.
6
Di conseguenza, nonostante l’assenza nella normativa in materia di appalti di espliciti riferimenti a problematiche non economiche, la rilevanza, assunta dalla tutela dell’ambiente e dalle politiche sociali e industriali tra le priorità dell’Unione, ha reso inevitabile un’attenta riflessione da parte delle principali istituzioni comunitarie in merito alla possibilità di integrare considerazioni di secondary policies nella disciplina dei contratti pubblici21.
2. L’ambito dell’indagine
Scopo principale della tesi è quello di verificare se, nel contesto giuridico del diritto comunitario, sia attualmente possibile utilizzare la regolazione degli appalti pubblici come “nastro trasportatore” di alcune secondary policies.
Tale indagine, che non ha uno scopo meramente ricognitivo, verrà effettuata da una duplice angolazione.
Da un lato, si cercherà di chiarire se ed, eventualmente, in quale modo, gli Stati membri dell’Unione europea possano, sulla base della normativa comunitaria attualmente in vigore, avvalersi degli appalti pubblici per perseguire obiettivi non economici di interesse meramente nazionale. In altre parole, interessa esaminare se e come è stato raggiunto a livello comunitario un equilibrio tra lo storico desiderio delle autorità statali di intervenire a tutela del benessere nazionale ed il principale obiettivo economico dell’Unione europea circa la realizzazione di un mercato unico, libero e concorrenziale.
Dall’altro, si tenterà di comprendere se ed, eventualmente in quale modo, l’Unione europea stessa utilizzi attualmente la disciplina degli appalti pubblici come strumento per perseguire indirettamente obiettivi non economici, ma pur sempre di interesse comunitario. In questo caso, a differenza dell’altro, non si tratta di esaminare il rapporto tra sovranità statale ed ordinamento sovranazionale, bensì di verificare come la Comunità europea sia riuscita a conciliare interessi comunitari meramente economici, quali la libera concorrenza, da sempre posti alla base degli appalti pubblici, con altre politiche comuni a carattere più generale, come la tutela delle piccole e medie imprese, dell’ambiente e dei diritti umani.
21 Si v. X. XXXXXXXXXX, The Legality of Secondary Procurement Policies under the Treaty of Rome and the Works Directive, in Public Procurement Law Review, 1992, vol. I, pp. 410 ss.
7
In particolare, l’indagine si propone l’obiettivo di rispondere ai seguenti quesiti: quali sono stati i fattori (interni ed esterni) che hanno influenzato le scelte comunitarie circa il ruolo delle secondary policies negli appalti pubblici? Quali conseguenze potrebbe comportare l’introduzione di criteri industriali, sociali ed ambientali nelle procedure di aggiudicazione degli appalti comunitari? Quali ripercussioni si avrebbero nei rapporti tra la Comunità europea ed altre organizzazioni internazionali, che si occupano di tutelare finalità strettamente commerciali?
Per rispondere a tali problematiche, sarà utile esaminare, sullo sfondo, anche la rilevanza delle secondary policies nella regolamentazione globale degli appalti pubblici. Le soluzioni adottate in altri contesti giuridici, infatti, potrebbero servire non solo come termine di paragone per commentare e valutare la situazione comunitaria, ma anche come chiave di lettura per comprendere le scelte effettuate al riguardo
dall’Unione europea e per delinearne le possibili prospettive future.
3. L’articolazione del lavoro
Il lavoro si articola in quattro capitoli.
I primi tre sono dedicati all’analisi delle principali secondary policies presenti nella disciplina degli appalti pubblici, ovvero la politica industriale, sociale ed ambientale.
Al riguardo, sono necessarie due precisazioni.
In primo luogo, come si è già anticipato, queste tre politiche sono le principali, ma non certo le uniche secondary policies che i governi nazionali possono decidere di perseguire attraverso lo strumento dei contratti pubblici.
In secondo luogo, è bene sottolineare che la realizzazione di queste tre politiche richiede un intervento trasversale ed orizzontale da parte della Comunità europea. Nel Trattato è espressamente previsto, infatti, che l'Unione deve tener conto della tutela ambientale, della protezione sociale, della promozione della competitività industriale e delle esigenze relative ad uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche22 nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche comuni, tra cui ovviamente rientra anche la disciplina degli appalti pubblici.
Ciascun dei tre capitoli, a sua volta, si presenta suddiviso in tre parti.
22 Artt. 2 e 0, Xx. Xx.
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In particolare, nella prima, si ricostruisce, relativamente alla singola politica esaminata, il dibattito, che si è sviluppato tra le istituzioni comunitarie, dalla fine degli anni ‘80 ad oggi, in merito alla possibilità di integrare considerazioni non economiche nella disciplina degli appalti pubblici. Tale questione ha suscitato, infatti, un vivace scambio di opinioni all’interno dell’apparato istituzionale comunitario. È interessante, pertanto, analizzare i differenti orientamenti istituzionali che sono emersi, a favore o contro, l’inserimento di obiettivi, criteri e parametri non economici all’interno dei procedimenti di aggiudicazione dei contratti pubblici. A tal fine, si esaminano una serie di atti di soft law della Commissione europea, le principali pronunce del giudice comunitario sull’argomento, nonché le disposizioni contenute nelle ultime direttive nn. 17 e 18 del 2004.
Nella seconda parte, si delineano i fattori (interni ed esterni) che, sempre riguardo alla specifica politica in esame, possono aver influenzato positivamente o negativamente il percorso dell’Unione europea sul ruolo delle considerazioni industriali, sociali o ambientali negli appalti e che hanno alimentato il contrasto tra le stesse istituzioni comunitarie.
Tra i fattori positivi, si pensi, solo per anticiparne alcuni, all’affermazione a livello globale del concetto di “sviluppo sostenibile” ed ancora all’operato di molteplici organizzazioni internazionali, quali l’UNEP23, l’ICLEI24, l’OECD25, l’ILO26 e l’UNICEF27. Quest’ultime, in particolare, hanno promosso iniziative di Sustainable Public Procurement (SPP) e di Green Public Procurement (GPP) nei processi di acquisto delle pubbliche amministrazioni.
23 L’UNEP (United Nations Environment Program) e l’UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs) promuovono l’applicazione a livello globale delle pratiche di sviluppo sostenibile negli appalti pubblici.
24 L’ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives), associazione non governativa, aiuta le amministrazioni locali ad avvalersi del potere pubblico di acquisto per perseguire obiettivi di sviluppo sostenibile.
25 L’OECD (Organization for Economic Cooperation and Development) ha riconosciuto le potenzialità degli acquisti pubblici ecologici ed ha pubblicato una Convenzione contro la lotta alla corruzione nel commercio internazionale, con importanti riflessi nel settore degli appalti. Si v., sul tema,
R.J. ZEDALIS, Internationalizing Prohibitions on Foreign Corrupt Practices, in Journal of World Trade,
n. 3, 1997, pp. 45 ss. e Id., How does the New OECD Convention on Bribery Stack up Against the Foreign Corrupt Practices Act?, in Journal of World Trade, n. 32, 1998, pp. 167 ss.
26 L’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) rappresenta il principale divulgatore della politica di Sustainable Public Procurement ed offre anche la propria assistenza tecnica ai Paesi ed alle amministrazioni nazionali e locali che intendono compiere acquisti pubblici sostenibili.
27 L’UNICEF (United Nations Children’s Fund) prevede come causa di risoluzione immediata del contratto l’impiego di lavoro minorile da parte dell’impresa aggiudicataria.
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Tra i fattori negativi, si pensi, invece, alla forte condivisione nel contesto internazionale della teoria economica liberale e del c.d. “purity principle” in materia di appalti pubblici.
Nella terza ed ultima parte di ciascun capitolo, infine, si effettua un esame comparato del rapporto tra la politica in esame e gli appalti pubblici in altri regimi giuridici. Le soluzioni adottate in differenti contesti saranno, infatti, utili per sviluppare, in sede conclusiva, spunti di riflessione e considerazioni critiche in merito alle scelte effettuate in ambito comunitario.
In particolare, il bilanciamento tra i valori industriali, sociali o ambientali, da una parte, e la liberalizzazione del mercato degli appalti pubblici, dall’altra, viene analizzato in tre differenti contesti giuridici: l’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services28, il GPA all’interno della World Trade Organization29 e le Linee guida sugli appalti pubblici elaborate dalla Banca mondiale (WB)30.
L’UNCITRAL Model Law è rilevante per molteplici motivi, primo fra tutti il fatto che tale modello normativo è stato creato nel 1994 in seno alle Nazioni Unite e, pertanto, si rivolge ad un vastissimo numero di Stati31, sia sviluppati che in via di sviluppo. Altra particolarità, che lo differenzia dal sistema comunitario e ne giustifica uno studio comparato, è rappresentata dal carattere meramente facoltativo ed esortativo dei principi in materia di appalti pubblici elaborati da tale organo32.
Il GPA, invece, rappresenta senza alcun dubbio il principale accordo internazionale in materia di appalti pubblici, non solo per la rilevanza del contesto
28È possibile consultare on line il testo del modello di legge alla seguente pagina xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxx/xxxxxxx/xxxxx/xxxxxxxx/xx-xxxxxxxxxxx/xx-xxxxxxx.xxx
29 Il testo è disponibile all’indirizzo xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxxxxx/xxxx_x/xxxxx_x/xxx-00_00_x.xxx
30 È possibile consultare le Linee guida in materia di appalti elaborati dalla Banca mondiale al sito xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxx/XXXXXX/XXXXXXXX/XXXXXXXX/XXXXXXXXXXX/0,,xxxxxxxXXX:000000 92~menuPK:93977~pagePK:84269~piPK:60001558~theSitePK:84266,00.html
31 L’UNCITRAL è una Commissione interna all’Assemblea generale delle Nazione Unite, creata con lo scopo di armonizzare la legislazione degli Stati membri sul commercio internazionale.
32 Tuttavia, una recente indagine ha rilevato che nonostante la natura non vincolante sempre più Paesi decidono spontaneamente di adeguare la propria normativa interna sui contratti pubblici alle regole generali contenute in tale modello. Normative basate o largamente ispirate all’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services sono state adottate in vari Paesi, tra cui: Afghanistan (2006), Albania, Azerbaijan, Croazia, Estonia, Gambia (2001), Kazakhstan, Kenya, Kyrgyzstan, Malawi (2003), Mauritius, Moldova, Mongolia, Nigeria (2007), Polonia, Romania, Slovacchia, Tanzania, Uganda e Uzbekistan. Per ulteriori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxxxxxx/xx/xxxxxxxx_xxxxx/xxxxxxxxxxx_xxxxxxxxxxxxxx/0000Xxxxx_xxxxxx.xxxx
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giuridico in cui è stato redatto, ovvero la WTO33, ma soprattutto perché costituisce, a livello globale e non meramente regionale, un raro esempio di regime giuridico vincolante per i suoi 39 Stati membri34.
Le regole in materia di appalti elaborate dalla Banca mondiale, infine, meritano una trattazione separata per un duplice motivo. In primo luogo, il ruolo della WB è particolarmente rilevante in questo settore, in quanto quest’ultima promuove, sia individualmente che in collaborazione con altre organizzazioni internazionali, una serie di iniziative volte a migliorare ed armonizzare la legislazione interna sugli appalti pubblici dei suoi 185 Paesi membri35. In secondo luogo, occorre considerare che la disciplina della Banca mondiale è l’unica a trovare applicazione anche negli Stati in via di sviluppo, ovvero la maggior parte dei beneficiari dei suoi mutui. I governi di questi Paesi, infatti, non sono obbligati a rispettare le regole internazionali del GPA, non avendolo sottoscritto. Pertanto, solo la WB, attraverso le condizioni richieste per la concessione del prestito, può spingere questi Stati a rispettare, nella propria disciplina nazionale degli appalti pubblici, i principi generali e gli standards elaborati dai regolatori internazionali36.
Ovviamente, nel panorama globale, sono presenti numerosi altri accordi ed organizzazioni che si occupano di disciplinare la materia degli appalti pubblici. Si pensi, ad esempio, solo per citarne alcuni, alla disciplina contenuta nel North America Free Trade Agreement (NAFTA)37, ai principi non vincolanti sui contratti pubblici stabiliti
33 Per un approfondimento sugli aspetti istituzionali e sui meccanismi di funzionamento della WTO, si v., ex multis, B.M. XXXXXXX, X.X. XXXXXXXXX, The World Trade Organization: Law, Economics, and Politics, Routledge, 2007; B.M. XXXXXXX, M.M. XXXXXXXX, The Political Economy of the World Trading System: The Wto and Beyond, Oxford University Press, 2001; X. XXXXXXX, The WTO a san International Organization, Xxxxxxx, 0000; X. XXXXXXXXX, L’Organizzazione Mondiale del Commercio, Milano, 2000; X. XXXXXXXX, L’Organizzazione Mondiale del Commercio. Profili istituzionali e normativi, Padova, 2001 e X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, Diritto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, Padova, 2002.
34 Si visiti il sito xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxxxxx/xxxxxx_x/xxxxx_x/xxxxxx_x.xxx#xxxxxxx
35 Per ulteriori informazioni sui Paesi membri della WB, si visiti la pagina xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxx/XXXXXX/XXXXXXXX/XXXXXXXXX/0,,xxxxXX:000000xxxxXxxxXX:000000,00
.html
36 Si v. B.M. XXXXXXX, Using International Institutions to Improve Public Procurement, in World Bank Research Observer, n. 13, 1998, pp. 249 ss.
37 Trattato di libero scambio commerciale stipulato nel 1992 tra Stati Uniti, Canada e Messico. Per la regolamentazione degli appalti all’interno del NAFTA, si v. la Parte quarta, Capitolo 10, dell’accordo, artt. 1001-1025, consultabile on line al seguente indirizzo xxxx://xxx.xxxxx-xxx- xxxxx.xxx/XxxxxxxXxxx/xxxxx_x.xxxx?XxxxxxXXx000
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dalla Asia Pacific Economic Cooperation (APEC)38, alle linee-guida sugli appalti pubblici prodotti dal Common Market for Eastern and Sourthen Africa (COMESA)39 e, infine, al Protocollo del 2003 sui contratti pubblici elaborato dal Common Market of the Southern Cone (MERCOSUR)40. A tali accordi, tuttavia, saranno dedicati solamente brevi cenni nel corso dell’esposizione. La maggior parte di essi, infatti, presenta caratteristiche, membership e finalità molto simili ai tre modelli giuridici selezionati e, pertanto, non è necessario procedere ad un loro esame separato.
Il quarto ed ultimo capitolo, infine, si propone di tirare le fila dell’indagine svolta. In tale sede, si intrecciano le conclusioni parziali relative alla politica ambientale, sociale ed industriale, al fine di rispondere alla principale domanda, posta al centro della tesi, ovvero il ruolo svolto dalle secondary policies nella disciplina comunitaria degli
appalti pubblici.
38 Organismo per la cooperazione economica nell'area asiatico-pacifica nato nel 1989 allo scopo di favorire la crescita economica, il libero scambio e gli investimenti nell’area medesima. Attualmente sono membri dell’APEC le 21 seguenti economie: Australia, Brunei, Canada, Cile, Cina, Xxxxx del Sud, Filippine, Giappone, Hong Kong, Indonesia, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Perù, Russia, Singapore, Taiwan, Thailandia, USA e Vietnam. Per maggiori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxx/xxxx_xxxxxx/xxxxxxxxx_xx_xxxxx/xxxxxxxxxx_xxxxxxxxxxx.xxxx
39 Accordo non vincolante che si propone di armonizzare le discipline degli acquisti pubblici degli Stati membri. Per informazioni sulle iniziative intraprese dal COMESA in materia di appalti pubblici, si visiti la seguente pagina xxxx://xxx.xxxxxx.xxx/xxxxx/xxxxxx/xxxxxxxxxxx/XX-Xxxxxx-Xxxxxxxx.0000-00- 04.5502/view
40 Si visiti il sito xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxxx/xxxxxx%00xxxxxxxxxxxxx/xx/xxxxx.xxx
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Capitolo Primo
GLI APPALTI PUBBLICI E LA POLITICA INDUSTRIALE
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Gli appalti pubblici comunitari come strumenti di politica industriale: la tutela delle piccole e medie imprese (PMI) – 2.1. Il ruolo della Commissione europea – 2.2. Il ruolo della Corte di giustizia – 2.3. Il ruolo del legislatore comunitario – 3. Le scelte comunitarie: fattori interni ed esterni – 4. Gli appalti pubblici come strumenti di politica industriale in altri regimi giuridici – 4.1. L’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services – 4.2. Il Government Procurement Agreement (GPA) – 4.3. Le Linee-guida sugli appalti pubblici della Banca mondiale – 5. Gli appalti pubblici nel settore della difesa come strumenti di politica industriale – 5.1. I limiti del quadro giuridico comunitario – 5.2. Dalla cooperazione all’integrazione: verso la costituzione di un European Defence Equipment Market (EDEM) – 6. Osservazioni conclusive.
1. Premessa
L’appalto pubblico è stato tradizionalmente utilizzato dagli Stati come un importante strumento di politica industriale.
Considerata, infatti, l’importanza tecnologica e strategica di determinati settori produttivi, non sorprende che molti Paesi si siano avvalsi del proprio potere di acquisto per supportare le imprese nazionali41.
Il primo governo ad applicare esplicitamente una politica “buy national” è stato quello statunitense42, il quale, già nel 1933, aveva emanato il Buy American Act43.
41 Si x. X. XXXXXXX, Industrial Enterprise and European Integration: From National to International Champions in Western Europe, Xxxxxx, 0000.
42 Circa la politica “buy national” degli Stati Uniti, si v. X. XXXXXXXXX, X. XXX, The Legal and Structural Obstacles to Free Trade in the U.S. Procurement Market, in Public Procurement Law Review, 1993, vol. 2, pp. 237 ss.
43 Sempre negli Stati Uniti, simili disposizioni sono state inserite nel National Security Act del 1947, nel Competition in Contracting Act del 1984 e nella National Space Policy Directive del 1990. Si v., sull’argomento, X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX e X. XXXXXXX, Regulating Public Procurement, cit., pp. 239 ss.
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Anche in Inghilterra44, gli appalti sono stati spesso utilizzati per risollevare zone industriali sottosviluppate o per rendere la c.d. “infant industry” nazionale più competitiva. Ad esempio, le autorità pubbliche inglesi sono state incoraggiate a concludere contratti con imprese situate in particolari regioni svantaggiate45. Ed ancora, si pensi alle iniziative intraprese dal governo britannico, tra gli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, per rafforzare la presenza delle industrie nazionali nel settore informatico e delle telecomunicazioni46.
La politica “buy national” ha, così, permesso ai governi di perseguire, attraverso gli appalti pubblici, molteplici obiettivi industriali, alcuni dei quali con mere finalità economiche altri con scopi sociali più generali.
Tra i primi, vi rientrano, ad esempio, la crescita dell’industria nazionale o la tutela delle piccole e medie imprese (PMI).
Tra i secondi, invece, possono essere compresi lo sviluppo delle industrie situate in una determinata zona al fine di migliorare le condizioni di vita della popolazione locale o la protezione di particolari settori industriali, ritenuti strategici per motivi di sicurezza nazionale (ad es, le industrie della difesa).
Nel contesto internazionale, sono ancora numerosi gli Stati che continuano, così come in passato, ad utilizzare gli appalti pubblici come strumenti di politica industriale.
Nel 2007, ad esempio, la Nigeria si è dotata di un nuovo Public Procurement Act, finalizzato, oltre che a garantire l’economicità, l’efficienza e la trasparenza degli appalti pubblici, anche “to encourage development of local contractors and manufacturers”. In particolare, tale normativa prevede la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici nigeriane di inserire, tra i criteri di valutazione delle offerte, considerazioni di carattere industriale, quali “The effect that the acceptance of the proposal will have on the balance of payments position and foreign reserves of the government, the extent of participation by local personnel, the economic development potential offered by the proposal, including domestic investment or other business activity, the encouragement
44 Sull’utilizzo da parte del Regno Unito degli appalti pubblici per scopi di politica industriale, si
v. X. XXXXXXXXXX, Public Procurement as an instrument of policy and the impact of market liberalisation, cit., pp. 236 ss.
45 Si v. il “General Preference Scheme” emanato dal governo inglese. Per gli Stati Uniti, si pensi, invece, agli appalti nelle c.d. “labour surplus areas”.
46 Nel 1972, X. Xxxxxxx concludeva che “Although the extent of the bias is difficult to determine, there is no doubt that discrimination against foreign sellers is an important element of British procurement policy”, in X. XXXXXXX, Britain’s Position on Non-Tariff Protection, Londra, 1972, p. 21.
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of employment, the transfer of technology, the development of managerial, scientific and operational skills and the counter trade arrangements offered by consultant or service providers; and national defence and security considerations”47.
Ed ancora, negli Stati Uniti, sono tuttora attivi due programmi governativi, che prevedono numerose agevolazioni per le piccole e medie imprese interessate a competere per l’ottenimento di commesse pubbliche. Tali interventi trovano fondamento normativo nel “Small Business Act”48 del 1953 e nel “Federal Acquisition Streamlining Act”49 del 1994. In particolare, il programma Government Contracting & Business Development50 ha il compito di favorire la partecipazione (ed il successo) negli appalti pubblici delle piccole e medie imprese, con particolare attenzione a quelle di proprietà di soggetti svantaggiati51 ed a quelle femminili. Ogni anno viene fissata una percentuale degli acquisti delle strutture federali riservata alle piccole imprese, che attualmente è intorno al 23%. Il programma HUBZone Empowerment Contracting52, invece, al fine di sviluppare le aree depresse, favorisce la partecipazione agli appalti pubblici delle piccole imprese localizzate nelle c.d. HUBZone (Historically Underutilized Business Zones), ovvero quelle che hanno almeno il 35% degli occupati residenti in queste aree e sono di proprietà di cittadini americani.
Negli esempi riportati, sia il governo nigeriano che quello statunitense hanno deciso di introdurre nella disciplina degli appalti pubblici misure discriminatorie per agevolare le imprese locali, a svantaggio di quelle straniere. Entrambi gli Stati hanno,
47 Si v. il Manuale sugli appalti pubblici in Nigeria, disponibile all’indirizzo xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx/xxxx/xxx/Xxxxxxxxxxx_Xxxxxxxxxx_Xxxxxx.xxx
48 In base a questa norma gli enti governativi sono tenuti a riservare una quota degli appalti pubblici alle PMI. Il provvedimento stabilisce un target di partecipazione per le piccole imprese agli appalti pubblici, sottolineando come esso non debba essere inferiore al 20% del valore totale di tutti i principali contratti pubblici offerti nell’arco di un anno fiscale. In particolare, secondo tale provvedimentto, il Governo deve ‘counsel, assist, and protect, insofar as is possible, the interests of small business concerns in order: to preserve free competitive enterprise; and, to insure that a fair proportion of the total purchases and contracts or subcontracts for property and services for the Government…be placed with small business enterprises…” (The Small Business Act of 1953). La consacrazione definitiva dei principi espressi dallo Small Business Act è arrivata, tuttavia, solamente nel 1994, quando è stato varato il Federal Acquisition Streamlining Act.
49 Per maggiori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxxx/xxxx/xxxxxxxx/xxxx0.xxx
50 Si visiti il sito xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxxxxxx/xxxxxxxxxxx/xxxx/xxxxx.xxxx
51 Queste imprese devono essere di proprietà e controllate da persone socialmente ed economicamente svantaggiate. La legge (Small Business Act) individua gli afroamericani, gli ispanoamericani, gli americani asianpacific, i nativi americani e gli americani Subcontinent Asian. Possono partecipare anche coloro che dimostrano il loro svantaggio causato da razza, etnia, genere, handicap fisico, residenza in aree isolate.
52 Per ulteriori informazioni, si v. xxxxx://xxxx0.xxx.xxx/xxxxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxx/xxxxxxxx.xxx
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infatti, ritenuto in questi casi prioritario il sostegno alle PMI nazionali rispetto all’obiettivo della liberalizzazione dei mercati.
È interessante, pertanto, analizzare se, ed in quale modo, anche nel contesto comunitario, gli Stati membri possano, attualmente, bilanciare gli interventi a sostegno del settore industriale nazionale con il rispetto delle regole sulla libera concorrenza nel mercato unico. In sostanza, in questa sede, si vuole esaminare l’attuale posizione della Comunità europea circa l’utilizzo degli appalti pubblici come strumento di politica industriale.
Tale indagine è svolta da una duplice angolazione. Da un lato, si analizzano le regole, introdotte dal regime comunitario, circa l’utilizzo degli appalti pubblici per scopi industriali da parte dei governi nazionali. Dall’altro, si esamina se e, eventualmente, attraverso quali modalità il diritto comunitario sia riuscito ad utilizzare gli appalti pubblici come strumento per perseguire indirettamente una politica industriale europea.
A tal fine, il capitolo si divide in cinque parti.
La prima analizza il dibattito che si è sviluppato tra le istituzioni comunitarie a favore o contro l’inserimento di considerazioni industriali nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Tale analisi sarà condotta attraverso lo studio delle iniziative della Commissione a tutela delle piccole e medie imprese (PMI), le pronunce della Corte di giustizia e le disposizioni contenute nelle direttive nn. 17 e 18 del 2004.
La seconda descrive a grandi linee i fattori interni ed esterni che possono aver influenzato, positivamente o negativamente, le scelte comunitarie.
La terza illustra, al fine di compararlo a quello comunitario, l’orientamento, circa l’utilizzo degli appalti pubblici come strumento di politica industriale, assunto da altre organizzazioni internazionali, aventi come scopo principale quello di aprire e liberalizzare i mercati nazionali. In particolare, l’esame comparato sarà svolto con riferimento a tre regimi giuridici: l’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services, il Government Procurement Agreement (GPA) e le Linee- guida in materia di appalti pubblici elaborate dalla Banca mondiale.
La quarta affronta la problematica degli appalti pubblici comunitari nel settore della difesa. Tale settore rappresenta, infatti, da sempre un importante mezzo di protezione dell’industria nazionale e per tale motivo merita una trattazione separata.
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L’ultima, infine, si propone di rispondere ai seguenti interrogativi.
In primo luogo, attualmente, la Comunità europea lascia un margine di discrezionalità ai legislatori degli Stati membri circa la scelta se inserire o meno considerazioni industriali nelle procedure pubbliche di acquisto? In caso affermativo, come si concilia questo obiettivo con i principi comunitari generali di trasparenza e non discriminazione?
In secondo luogo, in quale modo la Comunità europea ha deciso di bilanciare interessi meramente economici, quali la libera concorrenza, con altre politiche comuni a carattere più generale, come la tutela delle piccole e medie imprese europee? Come è avvenuto, invece, il suddetto bilanciamento in altri regimi giuridici, che si occupano di disciplinare gli appalti pubblici a livello globale?
2. Gli appalti pubblici comunitari come strumenti di politica industriale: la tutela delle piccole e medie imprese (PMI)
Il tessuto industriale comunitario è rappresentato prevalentemente da imprese di dimensioni medie e piccole53, che incontrano grandi difficoltà ad inserirsi e integrarsi nel mercato unico, laddove si scontrano con complessi industriali in competizione sui mercati mondiali.
A fronte di un tale svantaggio economico e competitivo, la Comunità europea ha avviato diverse azioni volte alla tutela di tali realtà imprenditoriali.
Del resto, ai sensi dell’art. 000 Xx. Xx, l’Unione si propone l'obiettivo di rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell'industria europea e di favorire lo sviluppo della sua competitività internazionale. A tal fine, essa incoraggia le piccole e medie imprese, mirando soprattutto a permettere a queste ultime di sfruttare appieno le potenzialità del mercato interno grazie, in particolare, all'eliminazione degli ostacoli giuridici e fiscali che impediscono la loro partecipazione agli appalti pubblici nazionali.
53 Per la definizione di piccola e media impresa, si veda la raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003, 2003/361/CE, secondo la quale: “La categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro”.
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Le commesse pubbliche sono state, infatti, sempre considerate un settore fondamentale ai fini della crescita delle PMI54. Purtroppo, però, le pratiche utilizzate in molte procedure di aggiudicazione hanno avuto spesso l’effetto di svantaggiare gli offerenti medio piccoli rispetto agli altri concorrenti presenti sul mercato55.
Esistono, infatti, numerose barriere che possono dissuadere una piccola e media impresa a partecipare ad una gara di appalto. Si pensi, ad esempio, alle difficoltà a reperire informazioni sui bandi o circa la procedura da seguire per la presentazione dell’offerta; ai costi per partecipare alla gara; ai numerosi certificati richiesti dall’amministrazione aggiudicatrice etc.
Le istituzioni comunitarie, ben consapevoli di tali difficoltà, sono intervenute, più volte ed a diverso titolo, sulla disciplina degli appalti pubblici, al fine di renderla strumentale allo sviluppo delle PMI all’interno del mercato comune56.
In particolare, in questa sede, interessa analizzare le iniziative a tutela delle PMI europee intraprese dalla Commissione, dal giudice e dal legislatore comunitario ai sensi dell’art. 163 Tr. ed, in particolare, evidenziare quali ripercussioni hanno avuto sugli appalti pubblici57.
2.1. Il ruolo della Commissione europea
La Commissione europea pone una particolare attenzione e cura per le PMI. Tale istituzione, infatti, ha più volte affermato che le piccole e medie imprese costituiscono la spina dorsale dell’economia europea e la più importante fonte di posti di lavoro e di crescita economica58.
54 Nel contesto della Strategia di Lisbona, anche il Consiglio europeo ha sottolineato l’importanza degli appalti pubblici per lo sviluppo delle PMI.
55 Sul tema, si v. P. X’XXXXX, Public Procurement and the Small or Medium Enterprise, in Public Procurement Law Review, 1993, v. 2, pp. 82 ss., X. XXXXXXX, X. XXX, X. XXXXXXX, Involvement of SMEs in Public Procurement, in Public Procurement Law Review, 1998, v. 2, pp. 37 ss e XXXXXX P.H., XXXx and public procurement policy, in Review of Economic Design, n. 8, 2003, pp. 301 ss.
56 Sull’argomento, si v. X. XXXXXX, Subcontracting, Small and Medium Enterprises (SMEs) and Public Procurement in the European Community, in Public Procurement Law Review, 1994, v. 3, pp. 19 ss.
57 In generale, sulle implicazioni della politica industriale negli appalti pubblici comunitari, si v. X. XXXXXXXXXX, Public Procurement as a Tool of Policy and the Impact of Market Liberalisation, cit., pp. 235 ss.
58 Le PMI svolgono un ruolo importantissimo nella crescita economica dei Paesi dell’OCSE, in quanto creatrici di gran parte dei nuovi posti di lavoro. Più del 95% delle imprese dell’OCSE sono, infatti, PMI, che garantiscono il 60-70% dell’occupazione della maggior parte dei Paesi.
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Sono sufficienti alcuni dati per comprendere la fondatezza di tale affermazione. Nel mercato interno sono presenti circa 23 milioni di PMI (il 99,8% delle imprese europee), le quali offrono più di 100 milioni di posti di lavoro (il 67,1% in Europa)59.
Non sorprende, dunque, che, a partire dagli anni ‘90 dello scorso secolo, le loro esigenze siano state poste al centro di tutte le politiche dibattute in Commissione60.
Sono numerose, infatti, le iniziative intraprese da tale istituzione comunitaria al fine di rendere effettivo il sostegno alle PMI.
Nel 1992, ad esempio, è stato istituito l’Osservatorio europeo per le piccole e medie xxxxxxx00, organismo appositamente creato per studiare le necessità di tali realtà imprenditoriali.
Nel 2000, su comune accordo della Commissione e degli Stati membri, in occasione del Consiglio europeo di Feira, è stata varata la Carta europea per le piccole imprese62, documento inquadrato all’interno della Strategia di Lisbona. La Carta, che si basa sul principio generale “pensare anzitutto in piccolo” (Think small first)63, presenta i seguenti obiettivi: ridurre i costi amministrativi, semplificare ed accelerare le procedure, migliorare l’accesso al mercato ed aumentare la competitività delle imprese.
Per assicurare, poi, che le esigenze delle PMI siano tenute in maggior conto nell’elaborazione di tutte le politiche comunitarie, la Commissione europea ha designato nel 2001 un rappresentante64, che funge da intermediario nel dialogo informale con le piccole e medie imprese ed interviene in difesa dei loro interessi nei processi decisionali65.
59 Dati tratti dalla Direzione Generale Imprese Industria della Commissione europea, aggiornati all’Europa a 25 Stati membri.
60 Secondo la Commissione, il miglioramento dell’ambiente finanziario e normativo in cui si devono muovere le PMI in Europa è la priorità numero uno della Ce.
61 Composto dalle organizzazioni specializzate di tutti gli Stati membri dello Spazio economico europeo e della Svizzera, questo istituto provvede alla diffusione delle informazioni necessarie allo sviluppo delle PMI nell’ambito del mercato interno. Per avere maggiori informazioni e per consultare i rapporti annuali sull’attività dell’Osservatorio, si visiti il seguente indirizzo internet xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xxxxxxxxxx_xxxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxxxxxx_xx.xxx
62 Il testo della Carta europea per le piccole imprese è consultabile on line all’indirizzo xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xxxxxxxxxx_xxxxxx/xxxxxxx/xxxx/xxxxxxx_xx.xxx.
63 Questo impegno è contenuto nella Carta europea delle piccole imprese.
64 Si v. SEC (2003) 60, 21.1.2003. Per maggiori informazioni, si visiti il sito dello SME Envoy
xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xxx/xxxxx_xx.xxx#
65 Il rappresentante ha principalmente il compito di ascoltare le piccole imprese e le organizzazioni imprenditoriali, nell’intento di far sì che le politiche e le iniziative comunitarie tengano conto delle loro esigenze. In tal modo, tale figura funge da elemento di raccordo e consente alla Commissione di comprendere il potenziale impatto delle sue proposte legislative sulle piccole aziende. La Commissione
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La Commissione, inoltre, ha creato una vasta gamma di programmi e servizi comunitari, la cui finalità è aiutare direttamente ed indirettamente le PMI a trarre beneficio dalle numerose opportunità offerte dal mercato unico. I fondi strutturali rappresentano il principale strumento di sostegno a favore delle piccole imprese, che possono accedervi a livello regionale e locale. Altro recente esempio di servizio di supporto tecnico è dato, invece, dall’Enterprise Europe Network66, un progetto avviato nel 2008 dalla Commissione e posto al centro del Programma quadro per la competitività e l’innovazione (CIP The Competitiveness and Innovation Framework Programme)67, valido per il periodo 2007-201368.
In tutti i suoi interventi, la Commissione ha sottolineato l’importanza di tenere sempre in considerazione, nella definizione e nell’attuazione delle politiche comunitarie, gli effetti diretti ed indiretti sulle imprese di piccole e medie dimensioni.
In sostanza, secondo la Commissione è necessario che l’Unione europea metta i bisogni delle piccole imprese al centro della propria attività economica, a tutti i livelli dei processi decisionali69.
Ora, poiché le PMI costituiscono la forza trainante dell’economia europea, quasi tutte le politiche comunitarie presentano aspetti rilevanti per le loro attività. Tuttavia, in questa sede, interessa analizzare le iniziative a tutela delle PMI intraprese dalla Commissione all’interno della disciplina comunitaria degli appalti pubblici.
Fin dagli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, la Commissione ha preso atto del limitato accesso delle PMI agli appalti pubblici comunitari70 ed ha intrapreso una serie di iniziative per contrastare questo fenomeno.
incoraggia anche gli Stati membri e le singole regioni ad adottare simili misure, al fine di garantire la partecipazione delle PMI alle decisioni di politica nazionale e regionale.
66 Per maggiori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxxxxxxxxx-xxxxxx- xxxxxxx.xx.xxxxxx.xx/xxxxx_xx.xxx
67 Per ulteriori informazioni sugli obiettivi del Programma quadro, si visiti il seguente indirizzo xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxx/xxxxx_xx.xxx
68 La maggior parte delle misure tese a migliorare l’ambiente per le piccole imprese ricade sotto la responsabilità delle singole amministrazioni nazionali. Pertanto, gran parte del lavoro della Commissione in quest’area è volto ad aiutare gli Stati membri a migliorare i loro risultati, attraverso il cosiddetto “Metodo aperto di coordinamento”, che risponde ad una specifica richiesta avanzata dal Consiglio europeo di Lisbona. Si v. Comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo, Pensare in piccolo in un’Europa che si allarga, Bruxelles, 21.01.2003, COM (2003), 26 def. e D. ASHIAGBOR, Soft harmonisation: The Open Method of Coordination in the European employment strategy, in European Public Law, 2004, v. 2, pp. 305 ss.
69 Per dare seguito a tali raccomandazioni, ogni anno gli Stati aderenti presentano alla Commissione una relazione sul livello di attuazione delle buone prassi ivi promosse e la Commissione ne effettua una sintesi completandola con il resoconto di quelle misure adottate a livello comunitario per promuovere e sostenere questa risorsa e pubblicando poi il tutto nei rapporti annuali di attuazione.
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Gli appalti pubblici ammontano al 16% circa del PIL dell’Ue, vale a dire attorno a
1.500 miliardi di euro71. Tuttavia, per molte PMI partecipare ai bandi di gara di altri Paesi membri è ancora un problema: esse faticano, infatti, a reperire informazioni sul loro svolgimento, incontrano difficoltà a soddisfare tutti i requisiti amministrativi richiesti, difettano dell’esperienza necessaria per redigere un capitolato e delle risorse sufficienti per rispondere al bando nei tempi indicati. Le PMI, pur rappresentando il 67,1% dei posti di lavoro nel settore delle imprese, si aggiudicano, infatti, solo il 43% degli appalti pubblici72.
L’obiettivo di agevolare l’accesso delle PMI alle procedure di aggiudicazione pubbliche è stato, quindi, inserito tra le priorità della Commissione73, anche al fine di incrementare la crescita della competitività, dell’innovazione e dell’occupazione a livello comunitario74.
La Commissione ha iniziato, pertanto, ad identificare e diffondere esempi di buone pratiche nazionali che consentono di realizzare tale scopo nel rispetto della disciplina comunitaria degli appalti pubblici.
Già nel 199875, tale istituzione esortava le imprese a partecipare attivamente alla realizzazione di un sistema europeo di aggiudicazione elettronica delle gare.
Successivamente, nella comunicazione del 2003 sul ruolo dell’e-governement per il futuro dell’Europa76, la Commissione precisava che “l’uso delle tecnologie dell’informazione avrebbe potuto aumentare l’efficienza e la convenienza economica degli appalti pubblici, soprattutto a beneficio delle PMI”.
70 Si v. Comunicazione della Commissione al Consiglio, Promuovere la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici nella Comunità, COM (1990), 166 def. e Comunicazione della Commissione, La partecipazione delle PMI agli appalti pubblici nella Comunità, COM (1992), 722 def.
71 Dati tratti dalla Relazione sul funzionamento dei mercati comunitari dei prodotti e dei capitali, COM (2002), 743 def. e dalla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Attuare il programma comunitario di Lisbona. Una politica moderna a favore delle PMI per la crescita e l’occupazione, Bruxelles, 10.11.2005. COM (2005), 551 def.
72 Dati tratti dal rapporto della Commissione sull’accesso delle PMI agli appalti pubblici comunitari del 2004.
73 Nel contesto della Strategia di Lisbona, è stata nuovamente sottolineata l’importanza di facilitare l’accesso delle PMI alle procedure di acquisto pubbliche.
74 Si v. Comunicazione della Commissione, SMEs and Public Procurement, Bruxelles, 1998.
75 Si v. Comunicazione della Commissione, Gli appalti pubblici nell’Unione europea, COM (1998),143 def.
76 Si v. Comunicazione della Commissione, COM (2003), 567 def.
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Nella comunicazione del 2006, Il piano d’azione e-government per l’iniziativa i201077, la Commissione ha ribadito l’importanza dell’informatizzazione degli appalti pubblici. Quest’ultimi, infatti, se eseguiti in forma elettronica potrebbero comportare una forte riduzione dei costi di partecipazione alle procedure di aggiudicazione. In particolare, le PMI potrebbero, in tal modo, beneficiare di un accesso agevolato ai mercati degli appalti pubblici, rafforzando la loro competitività.
Nel 2007, in occasione della pubblicazione del secondo rapporto sullo stato di accesso delle PMI agli appalti comunitari, la Commissione ha individuato nei subappalti78 e nell’e-procurement le principali strade da percorrere per facilitare l’ingresso delle piccole e medie imprese alle commesse pubbliche.
Nel rapporto, la Commissione, oltre ad evidenziare le principali barriere nazionali che ancora ostacolano la partecipazione delle PMI alle procedure di acquisto, ha indicato anche alle amministrazioni nazionali le best practices da seguire per superare tali ostacoli nel rispetto dei principi comunitari a tutela della concorrenza.
Due esempi di good practices sono rappresentati dalla creazione da parte dell’Inghilterra e del Galles di due portali web79, finalizzati ad agevolare l’accesso delle piccole imprese alle gare d’appalto. Per la realizzazione dei due portali, i rispettivi governi si sono ispirati al sito internet creato dall’ufficio preposto alla politica degli appalti del governo irlandese80. Ciò a dimostrazione dell’importanza della circolazione delle informazioni e delle best practices nazionali tra i vari Paesi membri dell’Unione europea.
Nel maggio del 2008, la Commissione ha deciso di cofinanziare un progetto pilota, denominato Pan European Public Procurement81 (PEPPOL), che consentirà di
77 Si v. Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Il piano d’azione eGovernment per l’iniziativa i2010: accelerare l’eGovernment in Europa a vantaggio di tutti, COM (2006), 173 def.
78 In materia di subappalto, si v. Comunicazione della Commissione europea, Pan-European Forum on Sub-Contracting in the Community, Brussels, 1993; X. XXXXXX, Subcontracting, Small and Medium Enterprises (SMEs) and Public Procurement in the European Community, cit., pp. 19 ss. e C. BOVIS, Business Law in the European Union, Sweet & Xxxxxxx, 1997, cap. 5.
79 Rispettivamente denominati “xxxxxx0.xxx.xx” e “xxx0xxxxx.xx.xx”.
80 Ulteriori informazioni sono disponibili al sito xxx.x-xxxxxxx.xxx.xx
81 Il progetto PEPPOL, lanciato ufficialmente il 23 maggio 2008 a Bruxelles, vede la partecipazione dell'Italia e di altri sette Paesi europei: Francia, Germania, Austria, Finlandia, Danimarca, Norvegia, Ungheria. L'obiettivo del progetto è realizzare una soluzione pilota integrata a livello transazionale, che renda possibile una connessione tra i diversi sistemi nazionali di e-Procurement esistenti. Per maggiori informazioni, si visiti il sito
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collegare i differenti sistemi nazionali di appalti pubblici elettronici già esistenti, uniformandoli ai comuni standards europei. Tale iniziativa si propone di creare una rete comunitaria di approvvigionamenti pubblici elettronici attraverso la quale ogni pubblica amministrazione dell'Unione potrà fare acquisti presso qualunque fornitore accreditato in qualunque Paese membro. Secondo la Commissione, la semplificazione degli appalti transfrontalieri determinerà dei risparmi di costi amministrativi a vantaggio sia delle piccole e medie imprese che dei contribuenti.
Infine, nel processo di riduzione degli adempimenti burocratici, la Commissione sta svolgendo un ruolo di apripista nella revisione di tutta la legislazione comunitaria al fine di eliminare i requisiti ritenuti superflui82. Essa, inoltre, incentiva a loro volta gli Stati a comportarsi in maniera analoga, al fine di ridurre i costi amministrativi sostenuti dalle PMI per partecipare ad una gara di appalto.
L’excursus storico delle iniziative intraprese dalla Commissione a tutela delle piccole e medie imprese nel settore degli appalti pubblici permette di svolgere le seguenti considerazioni.
A differenza, come si vedrà in seguito, delle altre secondary policies, la Commissione europea non si è mai posta, nemmeno teoricamente, la questione se consentire o meno agli Stati membri di integrare considerazioni di politica industriale all’interno delle fasi di selezione ed aggiudicazione degli appalti comunitari. Una tale ipotesi, infatti, è sempre stata ritenuta incompatibile con i principi generali del Trattato Ce, con le disposizioni normative contenute nelle direttive sui lavori, servizi e forniture, nonché con gli impegni internazionali presi dalla Comunità europea nel contesto del Government Procurement Agreement (GPA).
Tuttavia, ciò non significa che la Commissione sia rimasta indifferente di fronte all’esigenza avvertita dai Paesi comunitari di tutelare le piccole e medie imprese nazionali.
Come si è visto, infatti, fin dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, tale istituzione si è fortemente attivata a tutela delle PMI, sia introducendo la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di utilizzare nuove modalità di gestione della gara, sia
xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxx/xxxx_xxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx peppol
82 Nel processo di riduzione della burocrazia, la Commissione ritiene possibile ridurre entro il 2010 del 25% in tutta l’Ue i costi amministrativi attualmente sostenuti dalle PMI.
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intervenendo nella fase finale di esecuzione del contratto. Attraverso gli istituti degli appalti elettronici e del subappalto, la Commissione ha indicato ai legislatori/amministratori nazionali una soluzione al problema di come poter avvalersi degli acquisti pubblici per promuovere lo sviluppo delle PMI senza dover sacrificare la libera concorrenza nel mercato interno. Tuttavia, come si vedrà, tale soluzione non si è rivelata sufficiente a tutelare le piccole e medie imprese europee nel mercato globale degli appalti.
2.2. Il ruolo della Corte di giustizia
A differenza della Commissione, invece, non è ancora chiaro, quando e in quale modo la Corte di giustizia permetta ai Paesi membri di utilizzare gli appalti pubblici come uno strumento idoneo a promuovere e tutelare le piccole e medie imprese nazionali.
Il giudice comunitario si è pronunciato sugli appalti come strumenti di politica industriale in occasione di controversie in materia di aiuti di stato e di libera circolazione delle merci e dei servizi.
In alcuni casi, infatti, gli Stati si sono avvalsi della disciplina degli acquisti pubblici per erogare aiuti di stato ad imprese situate in determinate regioni svantaggiate; in altri, invece, hanno introdotto all’interno delle procedure di aggiudicazione alcune misure restrittive della libera circolazione dei servizi al fine di garantire lo sviluppo delle PMI locali.
Tali comportamenti statali sono stati entrambi sindacati dalla Corte di giustizia, la quale ha assunto al riguardo un atteggiamento poco permissivo.
Nella sentenza Du Pont de Nemour83, il giudice comunitario si è pronunciato per la prima volta sulla possibilità per i governi nazionali di qualificare un appalto pubblico come aiuto di stato al fine di perseguire finalità industriali e politiche di sviluppo regionale84.
83 Corte di giust., sentenza 20 marzo 0000, Xx Xxxx xx Xxxxxx, in causa C-21/88, confermata anche dalla successiva sentenza C-351/88.
84 Per un commento alla sentenza, si v. J.M. XXXXXXXXX XXXXXX, X. XXXXXXXX, Product Market Integration versus Regional Cohesion in the Community, in European Law Review, vol. 16, 1991, pp. 216 ss.
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La pronuncia aveva ad oggetto una controversia tra la Du Pont de Nemours italiana SpA e l’Unità sanitaria locale di Carrara, in ordine alle condizioni di aggiudicazione di un appalto di forniture di pellicole e liquidi radiologici.
Ai sensi dell’art. 17, commi 16 e 17, della legge 1 marzo 1986, n. 64 (Disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno), tutte le amministrazioni aggiudicatrici situate sull’intero territorio italiano avevano l’obbligo di rifornirsi, per una quota pari ad almeno il 30% del materiale occorrente, da piccole e medie imprese industriali, agricole ed artigiane, ubicate nel Mezzogiorno.
Pertanto, conformemente a tale normativa, la USL di Carrara escludeva dalla procedura di aggiudicazione del lotto, pari al 30% dell’intera fornitura in palio, la Du Pont de Nemours, in quanto la stessa non aveva stabilimenti nel Sud d’Italia.
Avverso tale provvedimento, l’impresa esclusa proponeva ricorso innanzi al TAR Toscana, il quale, a sua volta, ha rimesso alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali.
In primo luogo, si chiede di chiarire se una normativa interna che riservi una percentuale degli appalti pubblici di forniture alle imprese situate in una determinata zona del territorio nazionale sia contraria all’art. 28 del Tr., che vieta le restrizioni quantitative all’esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente.
In secondo luogo, se il suddetto obbligo abbia le caratteristiche dell’aiuto di Stato (art. 87 Tr.), poiché diretto a “favorire lo sviluppo economico-sociale” di determinate regioni svantaggiate e possa essere, in quanto tale, esentato dal divieto di cui all’art. 28 Tr.
In risposta al primo quesito, il giudice afferma che la disposizione italiana costituisce senz’altro una restrizione alla libera circolazione delle merci, dato che un tale regime impedisce alle amministrazioni aggiudicatrici di rifornirsi per una parte del materiale occorrente presso imprese ubicate in altri Stati membri, ostacolando in tal modo il corso normale degli scambi intracomunitari.
La Corte, poi, dopo aver risposto positivamente alla prima questione, passa ad esaminare la seconda, ovvero se un’eventuale qualificazione della normativa controversa come un aiuto possa sottrarre detta normativa al divieto di cui all’art. 28 Tr. Al riguardo, il giudice ricorda che, secondo una costante giurisprudenza85, l’art. 87 Tr. non può in alcun caso servire ad eludere le norme del Trattato relative alla libera
85 Si v., in particolare, la sentenza 5 giugno 1986, Commissione c/ Italia, causa 103/84.
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circolazione delle merci. Pertanto, il fatto che un provvedimento nazionale possa essere eventualmente qualificato come un aiuto di stato non costituisce motivo sufficiente per sottrarlo al suddetto divieto86.
In sostanza, con la sentenza in esame, la Corte ha proibito allo Stato italiano di utilizzare gli appalti pubblici per promuovere lo sviluppo di piccole imprese situate in particolari regioni svantaggiate, in quanto da ciò derivava una discriminazione tra imprenditori locali ed imprenditori esteri a pregiudizio della concorrenza nel mercato interno87.
Tuttavia, pur adottando una conclusione negativa per l’Italia, con tale pronuncia il giudice ha ritenuto compatibile con il diritto comunitario l’impiego da parte dei governi nazionali degli appalti pubblici come aiuti di stato a tutela delle PMI, a condizione che questo non comporti una violazione della libera circolazione delle merci o dei servizi88.
Del resto, tale orientamento giurisprudenziale ha trovato, in seguito, conferma anche nel Regolamento (CE) 70/200189, relativo all’esenzione dalla notificazione preventiva degli aiuti di Stato alle PMI, purché compatibili con le regole della concorrenza90.
Non è ancora chiaro, invece, se la Corte consideri o meno lo sviluppo delle PMI un obiettivo economico che possa rientrare eccezionalmente tra le cause restrittive delle libertà di circolazione permesse dal Trattato.
In alcuni casi, infatti, il giudice comunitario ha escluso categoricamente tale ipotesi, poiché le eccezioni e le deroghe alle disposizioni del Trattato non sono mai consentite se finalizzate a perseguire interessi meramente economici.
86 Secondo una costante giurisprudenza della Corte, “dall'economia generale del Trattato si ricava che la procedura prevista dall'art. 93 del Trattato non deve mai pervenire ad un risultato contrario a norme specifiche del Trattato stesso. Pertanto, un aiuto di Stato che, in considerazione di determinate sue modalità, contrasti con altre disposizione del Trattato, non può essere dichiarato dalla Commissione compatibile con il mercato comune”. Si v., in tal senso, le seguenti sentenze: 21 maggio 1980, causa 73/79, Commissione/Italia, punto 11; 15 giugno 1993, causa C-225/91, Matra/Commissione, punto 41; 19
settembre 2000, causa C-156/98, Germania/Commissione, punto 78 e 3 maggio 2001, causa X-000/00,
Xxxxxxxxxx/Xxxxxxxxxxx, punto 41.
87 Conclusione confermata dalla Corte di giustizia anche nella successiva pronuncia dell’11 luglio1991, Laboratori Xxxxxxx Srl c/ Unità Sanitaria Locale Roma, in causa C-351/88.
88 C. XXXXX, Financing Services of General Interest, Public Procurement and State Aid: The Delineation between Market Forces and Protection, in Colum. J. Eur. L., vol. 10, 2003-2004, pp. 419 ss.
89 L’iniziale scadenza del regolamento, prevista per il 31 dicembre 2006, è stata spostata al 31 dicembre 2007 con il regolamento (Ce) n. 1040/2006.
90 Tale regolamento nasce dal riconoscimento del ruolo delle piccole e medie imprese in termini di creazione di occupazione, stabilità sociale e dinamismo economico.
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Nella sentenza Commissione europea c/ Repubblica Italiana91 del 1992, ad esempio, la Corte è stata chiamata dalla Commissione a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto comunitario della legge italiana n. 80 del 1987 (Norme straordinarie per l’accelerazione dell’esecuzione di opere pubbliche). Nella fattispecie, venivano in rilievo due articoli di tale normativa: l’art. 2, n. 1, secondo il quale “la lettera d’invito da parte dell’amministrazione aggiudicatrice deve prevedere che il concessionario affidi una quota dei lavori compresa tra il 15 e il 30% ad imprese che abbiano la sede legale nella regione in cui i lavori devono essere eseguiti” e l’art. 3, n. 3, della stessa legge il quale dispone che “qualora il numero delle imprese interessate risulti superiore a quindici, l’amministrazione o l’ente concedente ha la facoltà di invitare a presentare le proprie offerte non meno di quindici imprese e che, nella scelta devono essere preferite le associazioni temporanee ed i consorzi in cui siano presenti imprese che svolgono la loro prevalente attività nell’ambito della regione in cui si eseguono i lavori”.
A parere della Commissione, i suddetti articoli contravvenivano all’art. 49 del Tr.
Secondo tale istituzione, con tale normativa, infatti, lo Stato italiano avrebbe inteso favorire in sostanza le imprese nazionali, le quali hanno, rispetto a quelle stabilite in altri Stati membri, maggiori possibilità di svolgere la propria attività prevalente nella regione d’Italia in cui i lavori devono essere eseguiti.
A sua difesa, il governo italiano osservava che le citate disposizioni miravano a compensare gli svantaggi derivanti per le piccole e medie imprese dal sistema di concessione unitaria istituito dalla stessa legge. L’accorpamento in un unico contratto di prestazioni che, se frazionate, avrebbero interessato esclusivamente imprese regionali, sottrarrebbe, infatti, a quest’ultime una certa quantità di appalti di entità minore.
Nella sentenza, il giudice comunitario osserva che, sia la riserva di una parte di lavori ai subappaltatori stabiliti nella regione in cui i lavori devono essere eseguiti che la preferenza per le associazioni temporanee ed i consorzi, in cui siano presenti imprese locali, integra una discriminazione nei confronti delle imprese stabilite negli altri Stati membri e, quindi, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi.
La giustificazione dedotta dal governo italiano, dunque, non è stata condivisa dalla Corte. Secondo quest’ultima, infatti, la tutela delle PMI non è riconducibile né ai
91 Corte di giust., sentenza 3 giugno 1992, Commissione europea c/ Repubblica Italiana, in causa C-360/89.
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motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, né alle esigenze imperative d’interesse generale che possano giustificare una tale limitazione.
Di conseguenza, nel caso in questione, la Corte ha concluso affermando l’incompatibilità della normativa italiana sia con l’art. 49 del Tr. che con la direttiva sulle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici all’epoca in vigore.
In altre pronunce, invece, il giudice comunitario si è dimostrato più aperto in merito alla possibilità per uno Stato membro di prevedere deroghe alla libera circolazione delle merci in virtù del perseguimento di obiettivi economici a tutela dell’industria e delle imprese nazionali.
Nella sentenza Campus Oil Limited92, ad esempio, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi su una questione pregiudiziale proposta dalla High Court d’Irlanda, al fine di valutare la compatibilità con il Trattato di una normativa irlandese che imponeva agli importatori di prodotti petroliferi di rifornirsi, per una determinata percentuale ed a prezzi stabiliti dal ministro competente, presso una raffineria di proprietà dello Stato.
Le imprese ricorrenti deducevano a sostegno della loro domanda che la normativa in questione si poneva in contrasto con il divieto, fra gli Stati membri, delle restrizioni quantitative all’importazione e di qualsiasi misura d’effetto equivalente93. Il governo irlandese, al contrario, sosteneva che tale disposizione legislativa fosse giustificata, ai sensi dell’art. 30 Tr., da motivi di pubblica sicurezza, in quanto aveva lo scopo di garantire il funzionamento dell’unica raffineria irlandese, necessaria per l’approvvigionamento del Paese.
Nella pronuncia in esame, la Corte, dopo aver qualificato la normativa irlandese come una misura ad effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione, ha esaminato se una tale misura restrittiva potesse rientrare nella causa giustificatrice di pubblica sicurezza ex art. 30 Tr.
A questo proposito, il giudice ha osservato che i prodotti petroliferi, in ragione della loro eccezionale importanza come fonte d’energia nell’economia moderna, sono essenziali per l’esistenza di uno Stato, poiché da loro dipende il funzionamento non solo
92 Corte di giust., sentenza 10 luglio 1984, Campus Oil Limited, in causa C-72/83.
93 A questo proposito si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’art. 28 del Trattato, vietando fra gli Stati membri le misure ad effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione, si riferisce a qualsiasi provvedimento nazionale atto ad ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio intracomunitario (sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville).
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dell’economia, ma soprattutto delle istituzioni e dei servizi pubblici essenziali, e, perfino, la sopravvivenza della popolazione. L’interruzione delle forniture di prodotti petroliferi e i rischi che ne derivano per l’esistenza del Paese possono, pertanto, compromettere gravemente la pubblica sicurezza che l’art. 30 Tr. consente di tutelare.
Infatti, è vero che, come la Corte ha ripetutamente affermato94, tale articolo mira a salvaguardare interessi generali di carattere non economico95 e che, di conseguenza, gli Stati membri non possono essere autorizzati a sottrarsi agli effetti dei provvedimenti contemplati dal Trattato invocando le difficoltà economiche originate dall’eliminazione degli ostacoli al commercio intracomunitario. Tuttavia, tenuto conto della gravità delle conseguenze che l’interruzione delle forniture di prodotti petroliferi può avere per l’esistenza di uno Stato, il giudice comunitario ha ritenuto che, nel caso di specie, lo scopo di garantire una fornitura minima costante di prodotti petroliferi trascendesse le considerazioni di carattere puramente economico e potesse, pertanto, rientrare nella nozione di pubblica sicurezza.
Ai fini dell’applicazione dell’art. 30 Tr è, dunque, necessario che la normativa nazionale sia giustificata da circostanze obiettive, rispondenti alle esigenze della pubblica sicurezza. Una volta che tale giustificazione sia stata provata, il fatto che la normativa di cui trattasi possa consentire di raggiungere, oltre agli scopi di pubblica sicurezza, altri fini d’indole economica, eventualmente perseguiti dallo Stato membro, non esclude l’applicazione del regime di deroga.
La Corte ha precisato, poi, che l’art. 30, in quanto eccezione a un principio fondamentale stabilito dal Trattato, deve essere interpretato in modo da non spiegare i suoi effetti al di là di quanto è necessario per la protezione degli interessi che esso mira a tutelare. I provvedimenti adottati in forza di questo articolo non devono ostacolare le importazioni in misura sproporzionata rispetto ai suddetti scopi. Pertanto, le misure nazionali ex art. 30 Tr. possono essere giustificate solo se siano idonee a soddisfare
94 Corte di giust., sentenza 9 giugno 1982, Commissione c. Italia, in causa 95/81.
95 L'articolo 30 del Trattato Ce consente agli Stati membri di adottare misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative quando esse siano giustificate da un interesse generale non economico: moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute e della vita delle persone e degli animali, preservazione dei vegetali, protezione del patrimonio artistico, tutela della proprietà industriale e commerciale.
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l’interesse tutelato da questa norma e non compromettano gli scambi comunitari più di quanto non sia indispensabile (cd. test di proporzionalità)96.
Nel caso di specie, il giudice ha indicato i presupposti ed i limiti entro i quali la normativa irlandese poteva essere considerata proporzionata, ammissibile e compatibile con il Trattato.
In seguito, nella sentenza Preussen Elektra del 200197, la Corte ha confermato tale orientamento, ammettendo la possibilità per uno Stato membro di introdurre deroghe al divieto di misure restrittive alla libera circolazione delle merci per perseguire obiettivi di tutela sia ambientale che industriale.
In una successiva pronuncia, sempre del 200198, avente ad oggetto il ricorso della Commissione diretto a far dichiarare la violazione dell’art. 28 Tr da parte della Repubblica ellenica, il medesimo test di proporzionalità ha, invece, avuto esito negativo.
Nella fattispecie in questione, la Grecia aveva introdotto un regime in base al quale la facoltà per le imprese di commercializzazione di prodotti petroliferi di trasferire l’obbligo di magazzinaggio delle scorte, ad esse incombente, alle raffinerie impiantate sul territorio nazionale era vincolata all’obbligo di rifornirsi di tali prodotti presso dette raffinerie.
Anche in questo caso, la Corte ha riscontrato nella normativa greca una misura d’effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione ai sensi dell’art. 28 del Trattato.
A sua difesa, il governo ellenico aveva invocato l’obiettivo di garantire una riserva di prodotti petroliferi nel proprio territorio come un’esigenza di pubblica sicurezza, come tale idonea a giustificare una restrizione al mercato intracomunitario.
Il giudice comunitario, al contrario, ha ritenuto che le motivazioni del governo greco fossero soltanto di ordine economico e, pertanto, in nessun caso idonee a giustificare una restrizione quantitativa delle merci. Inoltre, secondo la Corte, in questo caso la scelta della Grecia non rispettava il principio di proporzionalità, in quanto il
96 Si v. X. XXXXXXXXXX, Public Procurement as an instrument of policy and the impact of market liberalisation, cit., pp. 255 ss.
97 Corte di giust., sentenza 13 marzo 2001, Preussen Elektra AG, in causa C-379/98.
98 Xxxxx xx xxxxx., xxxxxxxx 00 ottobre 2001, Commissione c. Repubblica ellenica, in causa C- 398/98.
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legislatore nazionale avrebbe potuto raggiungere il medesimo obiettivo con provvedimenti meno dannosi per la libera circolazione delle merci.
Dalle pronunce esaminate emerge il seguente ragionamento del giudice comunitario.
Uno Stato membro non può introdurre misure restrittive e discriminatorie all’interno del procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico, al solo fine di favorire lo sviluppo economico delle imprese nazionali/locali. Tali interventi sono stati sempre ritenuti dalla Corte incompatibili con il diritto comunitario.
Al contrario, è stata riconosciuta, seppur a determinate condizioni, la possibilità per i governi nazionali di perseguire finalità industriali attraverso gli appalti pubblici sia per mezzo degli aiuti di stato a tutela delle PMI sia avvalendosi di cause giustificatrici, quali la pubblica sicurezza.
Nel primo caso, tuttavia, il giudice ha tenuto a ribadire che l’aiuto per essere compatibile con il diritto comunitario deve rispettare le regole sulla concorrenza.
Nel secondo caso, invece, la Corte ha precisato che per essere legittima, la misura nazionale restrittiva non deve essere basata su ragioni meramente economiche ed, in particolare, deve superare il cd. test di proporzionalità.
2.3. Il ruolo del legislatore comunitario
Nelle direttive del 200499 (approvate dal Parlamento e dal Consiglio europeo, dopo un lungo e complesso iter legislativo iniziato nel 2000)100 sugli appalti pubblici, il
99 Si tratta, precisamente, della direttiva n. 2004/17/Ce del 31 marzo 2004, in materia di “Coordinamento delle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali” e della direttiva n. 2004/18/Ce del 31 marzo 2004, relativa al “Coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi”. I testi di entrambe le direttive sono disponibili on line alla pagina xxxx://xxxxxx.xx/xxxxxxxx/xxx/xx/xxx/x00000.xxx. Tra i contribuiti sulle nuove direttive, si v. X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXX (a cura di), Le nuove direttive europee degli appalti pubblici, Quaderno Giorn. dir. amm., n. 9, Ipsoa, Milano, 2004; X. XXXXXXX, I contratti pubblici, in F.G. SCOCA, F.A. XXXXXXX XXXXXX, X. XXXXXXXXXX (a cura di), Sistema del diritto amministrativo italiano, Torino, Giappichelli, 2004; X. XXXXXXX, Le nuove direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, in Dir. comm. Internaz.,
n. 1, 2005, pp. 100 ss.; X. XXXXXX, Il nuovo diritto europeo degli appalti, in Xxx. x xxx., x. 0, 0000, xx. 000 xx.; X. XXXXXXXXX, Prime osservazioni in merito alle direttive di coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Direttive n. 17 e n. 18/2004, 31 marzo 2004, in Riv. trim. app., 2004, pp. 854 ss.; X. XXXXXX, La nuova disciplina comunitaria degli appalti pubblici, in Rivista trimestrale degli appalti, 2004, pp. 1128 ss.; X. XXXXXXX, X. XXXXXXX e H. XXXXXXXXXX, Public procurement 2004/2005: The legal farmework and practice keeps developing, in Global Competition Review, The European Antitrust Review 2006, Special Report, pp. 57 ss.; X. XXXXXXXX, The New Public Procurement Directives of the European Union, in Business Law Review, 2004, pp. 282 ss.; X. XXXXX, EU Public Procurement Takes on a Greener Hue, in Business Law Review, 2003, pp. 1 ss.; S.
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legislatore comunitario ha cercato di recepire nel testo normativo le iniziative intraprese dalla Commissione a tutela delle piccole e medie imprese.
In particolare, gli interventi più rilevanti hanno riguardato due istituti: l’e- procurement ed il subappalto.
Relativamente al primo ambito di intervento, le direttive si sono poste l’obiettivo di semplificare ed agevolare la partecipazione delle PMI alle gare, ad esempio, riducendo i costi e gli oneri amministrativi delle procedure e rendendone meno complicato e più trasparente l’accesso, specialmente attraverso l’utilizzo di sistemi informatici101.
La normativa comunitaria del 2004 ha, in particolare, previsto sistemi di aggiudicazione interamente automatizzati (aste elettroniche), procedure telematiche di gara (sistemi dinamici d’acquisto) e l’utilizzo di mezzi elettronici nelle comunicazioni e nella presentazione delle offerte.
Prima dell’approvazione delle due direttive, il sistema delle procedure elettroniche di appalto pubblico era, in effetti, incompleto, per la mancanza di disposizioni normative che tipizzassero i meccanismi informatici per eseguire le operazioni di selezione del contraente.
Le nuove modalità di gestione degli appalti pubblici introdotte dalle direttive comunitarie nn. 17 e 18 prevedono, invece, la possibilità di svolgere telematicamente l’intera procedura ad evidenza pubblica. A tal fine, il legislatore incentiva le amministrazioni aggiudicatrici ad avvalersi delle nuove tecniche a disposizione in materia di acquisti elettronici.102
XXXXXXXXXX, An Assessment of the New Legislative Package on Public Procurement, in Common Market Law Review, 2004, pp. 1277 ss.; J.M. XXXXX, X. XXX XXXXX (a cura di), European Public Procurement: Legislative History of the Classic Directive 2004/18/Ce, Kluwer Law International 2006 e
X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, Appalti pubblici, in M.P. XXXXX, X. XXXXX (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Parte speciale, I, Xxxxxxx, Milano, II ed., 2007.
100 A partire dal Libro Verde sugli appalti pubblici nell’Unione europea, adottato dalla Commissione il 27 novembre 1996, si è dato avvio ad un ciclo di riflessioni e di riforme sulla normativa comunitaria in materia di appalti pubblici. I risultati del dibattito sono confluiti in due proposte di direttive della Commissione europea: COM (2000), 275, di coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, servizi e lavori e COM (2000), 276, di coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti degli enti erogatori di acqua, energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto, da cui, con emendamenti, sono scaturiti i testi delle due direttive n. 18 e n. 17 del 2004.
101 Sulle disposizioni in materia di e-procurement nelle direttive comunitarie n. 17 e 18 del 2004, si v. X. XXXXXX, Appalti e nuove tecnologie, in X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXX (a cura di), Le nuove direttive europee degli appalti pubblici, cit., pp. 37 ss.
102 Si v. cons. 12, direttiva 2004/18/Ce.
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Riguardo al secondo istituto, le direttive comunitarie del 2004, influenzate principalmente dalle comunicazioni della Commissione, hanno incentivato la diffusione dei subappalti nelle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici.
Il subappalto, infatti, costituisce uno strumento strategico per ampliare la partecipazione delle PMI alle procedure pubbliche di acquisto, senza alterare le regole della concorrenza.
Così, ad esempio, il cons. 32 della direttiva 2004/18/Ce dispone espressamente che: “per favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, è necessario prevedere disposizioni in materia di subappalto”.
E’ previsto, inoltre, che nel capitolato d’oneri l'amministrazione aggiudicatrice possa chiedere o possa essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all'offerente di indicare, nella sua offerta, le parti dell’appalto che intende subappaltare a terzi, nonché i subappaltatori proposti103.
Infine, ai sensi dell’art. 60 della direttiva 2004/18/Ce, l’amministrazione aggiudicatrice può “imporre al concessionario di lavori pubblici di affidare a terzi appalti corrispondenti a una percentuale non inferiore al 30 % del valore globale dei lavori oggetto della concessione, pur prevedendo la facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale; detta aliquota minima deve figurare nel contratto di concessione di lavori; oppure invitare i candidati concessionari a dichiarare essi stessi nelle loro offerte la percentuale, ove sussista, del valore globale dei lavori oggetto della concessione che intendono affidare a terzi”.
Ovviamente, considerato l’orientamento giurisprudenziale al riguardo, in questi casi, le amministrazioni dovranno fare attenzione a non introdurre misure discriminatorie basate sulla nazionalità delle imprese subappaltatrici.
In sostanza, con le direttive del 2004, il legislatore si è prefissato l’obiettivo di rendere gli appalti pubblici oltre che più competitivi, anche più trasparenti, semplici ed accessibili da parte di tutte le piccole e medie imprese europee, a prescindere dalla loro nazionalità.
Con tale intervento normativo, pertanto, si è cercato di intervenire su quello che è stato definito dalla Commissione l’ostacolo principale alla crescita delle PMI, ovvero
103 Si v. art. 25, direttiva 2004/18/Ce.
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l’accesso agli appalti pubblici, senza sacrificare le regole comunitarie sulla libera concorrenza.
Infatti, entrambe le direttive non lasciano alcun margine di discrezionalità agli Stati membri circa la possibilità di inserire considerazioni industriali nelle fasi più delicate dell’appalto, ovvero la selezione dei candidati e la valutazione delle offerte.
3. Le scelte comunitarie: fattori interni ed esterni
Le scelte delle istituzioni comunitarie circa l’utilizzo degli appalti pubblici come strumenti di politica industriale si sono rivelate abbastanza uniformi.
Infatti, sia la Commissione, la Corte di giustizia che il legislatore hanno assunto un atteggiamento restrittivo di fronte alla prassi dei Paesi membri di intervenire nelle regole sugli acquisti pubblici per conseguire benefici economici a vantaggio dell’industria nazionale o locale.
Tra i fattori all’origine di una tale scelta è possibile senz’altro comprendere la diffusione, all’interno della disciplina comunitaria degli appalti, della teoria economica del cd. “purity principle”104, secondo la quale il contratto deve essere aggiudicato alla sola “best financial proposal”, senza tener conto di altri fini secondari.
Inoltre, sempre tra i fattori contrari, rientrano i risultati delle analisi di politica economica sui benefici conseguiti a livello nazionale dall’impiego degli appalti pubblici come strumenti di politica industriale. Tali indagini, infatti, hanno dimostrato che nella maggior parte dei casi, a lungo termine, questi interventi statali si sono rivelati fortemente negativi per l’economia nazionale105. Ad esempio, le piccole e medie imprese locali protette dalla concorrenza internazionale non sono state incentivate a crescere.
Tuttavia, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, anche le istituzioni comunitarie ed, in particolare, la Commissione, hanno iniziato ad interrogarsi sulla possibilità di intervenire sulla regolamentazione degli appalti pubblici per apportare
104 Si v., sul c.d. “purity principle”, X. XXXXXXXXX, Using public procurement to achieve social outcomes, cit., pp. 257 ss.
105 Sul tema, si v. X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, A political economy analysis of preferential public procurement policies, in European Journal of Politica Economy, vol. 21, 2005, pp. 483 ss.; X. XXXXXXXXXX, The Economics of Opening up Public Procurement, paper presentato alla conferenza Public Procurement Global Revolution II, Nottingham, UK, 2001 e Id., The Government Procurement Agreement and International trade: Theory and Empirical Evidence, paper scritto per la World Bank, 1997.
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benefici alle industrie europee. Si pensi, ad esempio, alle iniziative comunitarie a sostegno delle piccole e medie imprese ed a quelle relative alla promozione dell’industria europea della difesa.
Tra i fattori all’origine di una tale attenzione è possibile senz’altro comprendere la nascita di una politica industriale comune.
E’ necessario, pertanto, riepilogare, brevemente, l’evoluzione della politica industriale106 dell’Unione europea, al fine di evidenziare il carattere trasversale che ha assunto tale politica comunitaria rispetto alle altre e l’interdipendenza funzionale tra queste.
Il Trattato istitutivo non attribuiva esplicitamente alla Comunità il compito di perseguire una politica industriale comune. All’inizio, infatti, si era preferito affidare lo sviluppo delle imprese europee agli strumenti legati alla realizzazione del mercato interno.
La politica industriale del dopoguerra era, dunque, essenzialmente rimessa alla competenza dei singoli Stati membri, i quali si preoccupavano di proteggere le rispettive imprese nazionali e di garantire loro capacità strutturali e dimensioni tali da poter affrontare la concorrenza internazionale. In questa situazione, la Comunità si limitava a coordinare le varie iniziative nazionali ed a conciliarle con i superiori principi del libero mercato e della libera concorrenza.
La disciplina europea del settore industriale avveniva, quindi, in via indiretta, attraverso la vigilanza sul rispetto delle regole in materia di concorrenza e di abuso di posizione dominante, oltre che di quelle relative agli aiuti di Stato.
Le prime enunciazioni di una politica industriale comunitaria si hanno solamente all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso. La mutata situazione economica ed il sottodimensionamento delle imprese europee rispetto ai nuovi spazi aperti del mercato internazionale richiedevano, infatti, alla Commissione di farsi promotrice di azioni a sostegno delle imprese comunitarie per aiutarle ad adeguarsi alla competizione globale.
106 Il principale obiettivo della politica industriale dell’Unione europea consiste nel creare le condizioni più favorevoli allo sviluppo delle imprese e all’innovazione, in modo da attrarre nel mercato comune maggiori investimenti e posti di lavoro. Si v. Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Esame intermedio della politica industriale, COM (2007), def. 374, p. 3.
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Si avvertiva, in sostanza, l’assenza di un complesso normativo che affrontasse il problema della competitività del sistema produttivo europeo in una prospettiva di confronto con i Paesi terzi.
È in questi anni che cominciano a susseguirsi una serie di iniziative da parte della Commissione per porre in essere una strategia comune a sostegno dell’industria europea107.
Tuttavia, la vera e propria svolta nella politica industriale europea si ha solamente con la presentazione, in occasione del Consiglio europeo di Milano del giugno 1985, del Libro bianco sul completamento del mercato interno108, contenente le linee di sviluppo dell’azione comunitaria per il rafforzamento dell’integrazione economica. In questa sede, infatti, la Commissione attribuisce alla politica industriale un carattere strumentale al raggiungimento di finalità ulteriori.
Spetta, poi, al rapporto, presentato dalla Commissione al Parlamento europeo nel novembre 1990, sulla politica industriale in un contesto aperto e concorrenziale (c.d. Rapporto Xxxxxxxxx), aprire la strada all’introduzione della politica industriale tra le finalità che la Comunità europea si impegna a perseguire.
Di conseguenza, mentre prima lo sviluppo delle imprese era visto dalle istituzioni comunitarie come un fine esclusivamente nazionale e come un potenziale pericolo per la realizzazione del mercato unico, dopo il 1990, la tutela del settore industriale diventa una politica comune, da perseguire al pari di quella sulla concorrenza109.
107 In quest’ottica si inquadra, innanzitutto, il c.d. Memorandum Colonna (così chiamato dal nome del Commissario europeo che lo firmò) del 1970, predisposto dalla Commissione per il Consiglio, ed intitolato “Principi ed orientamenti della politica industriale delle Comunità”. Il Memorandum può essere considerato, infatti, il primo documento nel quale si individuano le linee direttrici di una organica politica industriale comunitaria. In seguito, nel 1973, sulla base del Memorandum, il Consiglio ha emanato una risoluzione che stabiliva un programma d’azione, dove si individuavano gli obiettivi che la Comunità intendeva perseguire, i mezzi per conseguirli ed i termini entro i quali svolgere questa azione. In particolare, tra gli obiettivi indicati nell’atto figurava l’eliminazione degli ostacoli tecnici alla circolazione del prodotti industriali e l’apertura dei mercati, mediante una regolamentazione uniforme dei rapporti tra pubblica amministrazione ed imprese, ed, in particolare, degli appalti pubblici. Successivamente, nel 1978, il Rapporto Xxxxxxxx ha evidenziato l’esigenza di procedere ad una politica comune industriale “attiva”, fondata cioè su una serie di sovvenzioni settoriali all’industria e strettamente collegata alla politica commerciale europea. Il rapporto si distingue, inoltre, per un primo cenno alla piccola e media impresa ed all’importanza di sostenerla.
108 Libro bianco della Commissione per il Consiglio europeo, Il completamento del mercato interno, Milano, 28-29 giugno 1985, COM (1985), 310 def., disponibile on line alla seguente pagina internet xxxx://xxxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxx/xxxxx_xxxxxx/xxxxx_xx.xxx#xxxxxx.
109 Il Trattato di Maastricht ha, infatti, introdotto uno specifico titolo dedicato all’industria europea, il XVI, precisando, tuttavia, all’articolo 157 Tr. che “il presente titolo non costituisce una base per l’introduzione da parte della Comunità di qualsivoglia misura che possa comportare distorsioni di
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In questo periodo, le istituzioni comunitarie cominciano a realizzare che lo sviluppo industriale in Europa può essere raggiunto solamente attraverso una serie di interventi trasversali ed integrati. In particolare, a seguito dell’influenza delle teorie ordo-liberali110, la Comunità, prendendo spunto proprio dalle scelte dei governi nazionali, che fino ad allora aveva fortemente contrastato, inizia ad apprezzare i benefici degli appalti pubblici come mezzi per rafforzare la competitività dell’industria europea111.
4. Gli appalti pubblici come strumenti di politica industriale in altri regimi giuridici
Oltre che a livello comunitario, è utile anche esaminare il tipo di bilanciamento, tra i valori industriali, da una parte, e la liberalizzazione del mercato degli appalti pubblici, dall’altra, presente in tre differenti regimi giuridici: l’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services, il GPA all’interno della World Trade Organization e le Linee-guida sugli appalti pubblici elaborate dalla Banca mondiale (WB).
Nei paragrafi che seguono, in particolare, interessa descrivere le disposizioni, eventualmente presenti nel modello, nell’accordo e nelle linee-guida, circa l’utilizzo da parte dei governi nazionali degli appalti pubblici per scopi industriali, al fine di metterne in rilievo le differenze e le analogie con le regole vigenti nella disciplina comunitaria.
In altre parole, a differenza dell’Unione europea, l’UNCITRAL Model Law, il GPA e la World Bank lasciano un margine di discrezionalità ai legislatori degli Stati, membri o beneficiari di un prestito, circa la scelta se inserire o meno considerazioni industriali nelle procedure pubbliche di acquisto? In caso affermativo, queste organizzazioni internazionali come sono riuscite a conciliare gli obiettivi nazionali di
concorrenza o che comporti disposizioni fiscali o disposizioni relative ai diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti”.
110 Teoria economica chiamata “ordoliberalismo”, dal titolo della rivista “Ordo”, fondata da Xxxxxx nel 1940. Questa scuola di pensiero prendeva le mosse dall’idea di un’“economia sociale di mercato”, secondo la quale la libertà di iniziativa dei singoli non può garantire il mantenimento della concorrenza nel mercato; anzi, in tale contesto si manifesta, inevitabilmente, una tendenza all’autodistruzione dell’economia, evitabile solamente attraverso un intervento statale di regolamentazione. Si v. X. XXXXXXXXX (a cura di), La concorrenza in Europa, Padova, CEDAM, 1998, pp. 16 ss.
111 Si v. art. 3 Tr. Ce.
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politica industriale con i principi generali di trasparenza, non discriminazione e libera concorrenza, presenti nel mercato globale dei contratti pubblici?
4.1. L’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services
La United Nations Commission on International Trade Law (UNCITRAL) è stata creata dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1966,112 al fine di eliminare o ridurre gli ostacoli allo sviluppo del commercio internazionale.
Nel 1994113, l’UNCITRAL ha elaborato il Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services unitamente alla Guide to Enactment114.
Il Model Law è una delle varie tecniche normative115 utilizzate dall’UNCITRAL. In particolare, con tale intervento, tale istituzione vuole mettere a disposizione un modello normativo di riferimento116, al quale eventualmente gli Stati membri potranno, su base volontaria, ispirarsi nell’effettuare le modifiche alla propria legislazione nazionale.
L’elemento principale che contraddistingue il Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services e lo differenzia dal diritto comunitario è rappresentato, appunto, dal carattere non-vincolante ed estremamente flessibile delle regole in esso contenute.
112 Risoluzione 2205(XXI) del 17 Dicembre 1966. L’UNCITRAL è composta da 60 Stati scelti dall’Assemblea Generale tra i 192 Paesi membri. La membership è selezionata in modo da rappresentare tutte le aree geografiche ed i principali sistemi economici. Per ulteriori informazioni, si visiti la pagina xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxxxxxx/xx/xxxxx/xxxxxx.xxxx
113 Il modello è stato adottato per i lavori e le forniture nel 1993 e per i servizi nel 1994.
114 “Recent model laws completed by UNCITRAL have been accompanied by a “guide to enactment” setting forth background and other explanatory information to assist Governments and legislators in using the text. The guides include, for example, information that would assist States in considering what, if any, provisions of the model law might have to be varied to take into account particular national circumstances, information relating to discussions in the working group on policy options and considerations, and matters not addressed in the text of the model law that may nevertheless be relevant to the subject matter of the model law”, si v. la UNCITRAL Guide, pp. 13-14, disponibile al sito xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxx/xxxxxxx/xxxxx/xxxxxxx/X0000000.xxx
115 L’UNCITRAL elabora differenti tipi di testi legislativi: conventions, model laws, legislative guides e model provisions.
116 “A model law is a legislative text that is recommended to States for enactment as part of their national law. A model law is an appropriate vehicle for modernization and harmonization of national laws when it is expected that States will wish or need to make adjustments to the text of the model to accommodate local requirements that vary from system to system, or where strict uniformity is not necessary or desirable. It is precisely this flexibility that makes a model law potentially easier to negotiate than a text containing obligations that cannot be altered, and promotes greater acceptance of a model law than of a convention dealing with the same subject matter”, si v. la UNCITRAL Guide, pp. 13-14, cit.
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Scopo principale dell’UNCITRAL è quello di aiutare i Paesi in via di sviluppo e le economie emergenti ad elaborare una disciplina interna sugli appalti pubblici o a riformare quella esistente secondo un approccio di libero mercato117.
Uno dei principali obiettivi del Model Law è, infatti, quello di aprire i mercati nazionali alla concorrenza internazionale118; a tal fine, esso incoraggia gli Stati a rimuovere ogni forma di discriminazione all’interno degli appalti. Nello stesso tempo, tuttavia, nel modello sono state inserite anche alcune disposizioni particolari per quei Paesi che ancora desiderano utilizzare i contratti pubblici come uno strumento di politica industriale.
L’inserimento di queste deroghe ha causato non pochi contrasti all’interno dell’UNCITRAL. Considerate, infatti, le difficoltà di rendere queste politiche effettive, un numero di delegati si è opposto all’inclusione di considerazioni industriali119 nelle procedure nazionali di aggiudicazione dei contratti. Tuttavia, nonostante l’opposizione, tali considerazioni sono state ugualmente inserite nel Model Law, anche se hanno trovato uno spazio limitato. Ad esempio, è significativo il fatto che lo sviluppo industriale nazionale non sia presente tra gli obiettivi elencati nel Preambolo.
All’art. 8120, il Modello stabilisce una presunzione generale di apertura degli appalti alle imprese di ogni nazionalità. Tuttavia, se la legge nazionale lo consente, è prevista anche la possibilità per i governi di introdurre eccezioni al principio di non discriminazione. In particolare, la Guida chiarisce che, in alcuni casi, gli Stati possono restringere la partecipazione delle imprese straniere alle gare per proteggere settori
117 Si v. X. XXXXXXXXXX, Public Procurement: an Appraisal of the UNCITRAL Model Law as a Global Standard, in I.C.L.Q., 2004, pp. 17 ss. e D. JR. XXXXXXX, UNCITRAL: reform of the model procurement law, in Public Contract Law Journal, Spring 2006.
118 Si v. il Preambolo del Model Law, lett. (b). Nel Preambolo, il Model law stabilisce espressamente che uno dei suoi obiettivi è quello di “to deter discrimination based on nationality”.
119 Si v. i lavori preparatori, Summary record of the 497 meeting, disponibili all’indirizzo xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxx/xxxxxxx/xxxxx/xxxxxxxx/xx-xxxxxxxxxxx/000xx.xxx
120 Si v. Art. 8 del Model Law, Participation by suppliers or contractors.
(1) Suppliers or contractors are permitted to participate in procurement proceedings without regard to nationality, except in cases in which the procuring entity decides, on grounds specified in the procurement regulations or according to other provisions of law, to limit participation in procurement proceedings on the basis of nationality.
(2) A procuring entity that limits participation on the basis of nationality pursuant to paragraph (1) of this article shall include in the record of the procurement proceedings a statement of the grounds and circumstances on which it relied.
(3) The procuring entity, when first soliciting the participation of suppliers or contractors in the procurement proceedings, shall declare to them that they may participate in the procurement proceedings regardless of nationality, a declaration which may not later be altered. However, if it decides to limit participation pursuant to paragraph (1) of this article, it shall so declare to them.
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economici, ritenuti vitali per l’industria nazionale. Ciò nonostante, si precisa che tale restrizione “should be based only on grounds specified in the procurement regulations or should be pursuant to other provisions of law. That requirement is meant to promote transparency and to prevent arbitrary and excessive resort to restriction of foreign participation” 121.
Questo approccio, ad esempio, è stato seguito in Polonia, dove la legge nazionale sugli appalti pubblici è stata largamente ispirata al Modello dell’UNCITRAL. L’art. 18 della legge polacca, infatti, prevede espressamente che, a particolari condizioni, le amministrazioni aggiudicatrici possano limitare la partecipazione all’appalto alle sole imprese nazionali, per proteggere l’industria dalla competizione straniera, per sviluppare le imprese situate in aree svantaggiate o per conseguire altri obiettivi industriali strategici.
L’art. 34 (4) (c) (iii) del Model Law indica, inoltre, che la “lowest evaluated tender” può essere individuata, oltre che sulla base di criteri obiettivi, quali il prezzo, i tempi di consegna, ecc, anche sulla base di specifiche considerazioni industriali, quali: “the effect that acceptance of a tender would have on the balance of payments position and foreign exchange reserves of [this State], the countertrade arrangements offered by suppliers or contractors, the extent of local content, including manufacture, labour and materials, in goods, construction or services being offered by suppliers or contractors, the economic-development potential offered by tenders, including domestic investment or other business activity, the encouragement of employment, the reservation of certain production for domestic suppliers, the transfer of technology and the development of managerial, scientific and operational skills [... (the enacting State may expand subparagraph (iii) by including additional criteria)]; and national defence and security considerations”.
121 Si v. il par. 25 della Guida: “At the same time, the Model Law recognizes that enacting States may wish in some cases to restrict foreign participation with a view in particular to protecting certain vital economic sectors of their national industrial capacity against deleterious effects of unbridled foreign competition. Such restrictions are subject to the requirement in article 8(1) that the imposition of the restriction by the procuring entity should be based only on grounds specified in the procurement regulations or should be pursuant to other provisions of law. That requirement is meant to promote transparency and to prevent arbitrary and excessive resort to restriction of foreign participation”.
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Sempre nell’art. 34, par. (d), é prevista la possibilità per lo Stato di inserire un sistema di preferenze122, “for the benefit of tenders for construction by domestic contractors or for the benefit of tenders for domesticallyproduced goods or for the benefit of domestic suppliers of services”. Per essere autorizzato, tuttavia, tale sistema deve essere sottoposto ad un controllo di legittimità da parte di un’autorità statale e deve essere disciplinato da regole e condizioni trasparenti.
Da ultimo, il Model Law permette, in determinati casi, ai Paesi membri di aggiudicare un appalto ad un’impresa esclusivamente per ragioni di politica industriale. L’art. 22 stabilisce che tale procedura è possibile quando il contratto da aggiudicare sia necessario per raggiungere uno degli obiettivi indicati nell’art. 34, par. (4) (c) (iii). Tuttavia, la Guide to Enactment chiarisce che tale possibilità può essere utilizzata solo in casi eccezionali ed in presenza di una seria emergenza economica, ad esempio, quando un’impresa, che impiega la maggior parte della forza lavoro di una particolare regione o città, rischia di chiudere se non riesce ad aggiudicarsi almeno un appalto pubblico.
Contrariamente al diritto comunitario, quindi, il Model Law lascia ai legislatori statali un notevole margine di discrezionalità circa la scelta se inserire o meno considerazioni di politica industriale tra i requisiti di partecipazione alle gare pubbliche o tra i criteri di valutazione delle offerte. Tuttavia, il Model Law raccomanda sempre agli Stati che, laddove introdotte, tali considerazioni a tutela dell’industria nazionale dovrebbero essere disciplinate dal legislatore e sottoponibili a particolari controlli da parte di organi giurisdizionali, al fine di garantire il rispetto del principio di trasparenza negli appalti pubblici. Inoltre, tali restrizioni dovrebbero sottostare ad un principio generale di proporzionalità ed essere limitate a casi eccezionali. Quando gli appalti pubblici sono utilizzati dagli Stati per promuovere lo sviluppo delle imprese nazionali/locali è ovvio, infatti, che si desideri che ciò avvenga, quanto meno, nel modo più trasparente ed efficiente possibile, al fine di non pregiudicare gli altri obiettivi dell’appalto123.
122 Si v. anche il par. 26 della Guida. “By way of this technique, the Model Law provides the enacting State with a mechanism for balancing the objectives of international participation in procurement proceedings and fostering national industrial capacity, without resorting to purely domestic procurement”.
123 Si v. X. XXXXXXXXX, The WTO Agreement on Government Procurement and the UNCITRAL Model Procurement Law: A View from outside the Region, in Asian J. WTO & Int'l Health L & Pol'y, vol. 1, 2006, pp. 317 ss.
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È necessario, infine, precisare che, così come le direttive comunitarie nn. 17-18 del 2004, anche l’UNCITRAL Model Law non si applica agli appalti pubblici nel settore della difesa.
4.2. Il Government Procurement Agreement (GPA)
Il Government Procurement Agreement (GPA)124, che ha sostituito il GATT Code on Governement Procurement, è uno degli accordi multilaterali allegati all’atto istitutivo della World Trade Organization (WTO)125. L’accordo è stato stipulato al termine dei negoziati dell’Uruguay Round ed è entrato in vigore il 1 gennaio 1996126.
La finalità principale del GPA è “to establish a multilateral framework of balanced rights and obligations relating to public contracts with a view to achieving the liberalization and expansion of world trade”127.
Il GPA impegna esclusivamente gli Stati membri della WTO che hanno liberamente scelto di aderirvi128, vincolandoli in via di stretta reciprocità e solo sulla base degli impegni specificatamente assunti129.
124 Si v. X. XXXXX, The New GATT Agreement on Goverment Procurement. The Pitfall of Plurilateralism and Strict Reciprocity, in JWT, 1997, pp. 175 ss. e X. XXXXXX, The WTO and the Government Procurement, in European Journal of International Law, vol. 19, 2008; pp. 617 ss.
125 All’Accordo istitutivo della WTO sono allegati numerosi Accordi commerciali multilaterali (ACM) che disciplinano gli scambi di merci (GATT) e di servizi (GATS), gli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs), le norme e le procedure per la risoluzione delle controversie (DSU) ed un meccanismo di esame delle politiche commerciali degli Stati membri (TRIMs). Agli ACM devono aggiungersi gli Accordi commerciali plurilaterali (ACP), sottoscritti da un numero più ristretto di Stati membri e comprendenti, ad oggi, l’Accordo sul commercio degli aeromobili civili e l’Accordo sugli appalti pubblici (GPA). Sulla disciplina degli appalti pubblici nella WTO, si v. X. XXXXXXXXXX, Government Procurement in the WTO, The Hague, 2003 e X. XXXXXXXXXX, The Law of Public and Utilities Procurement, Londra, 2005, pp. 1324 ss.
126 Il testo intero dell’Accordo è disponibile on line alla pagina xxxx://xxx.xxx.xxx/Xxxxxxx/xxxx_x/xxxxx_x/xxx-00_00_x.xxx
127 Si v. C. XXXXX, The New Public Procurement Regime: A Different Perspective on the Integration of Public Markets of the European Union, in European Public Law, vol. 12, issue 1, 2006, p. 103.
128 Attualmente i Paesi firmatari dell’Accordo sugli appalti pubblici sono 39, ovvero una minima parte rispetto ai 153 Stati membri della WTO, e comprendono, oltre ai 27 Stati membri della Ce, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, Israele, Hong Kong - Cina, Singapore, la Repubblica di Xxxxx, la Svizzera, la Norvegia, l’Islanda, i Paesi Bassi e il Liechtenstein.
129 L’Accordo consente, infatti, ai governi di indicare espressamente sia i settori esclusi sia quelli che rientrano, invece, nel suo campo di applicazione. Anche l’individuazione delle entità appaltanti è affidata ai singoli Stati membri sulla base di appositi elenchi, contenuti nell’Annex I dell’Accordo. Le parti contraenti possono, peraltro, modificare tali liste, determinando “un campo di applicazione soggettivo variabile, che conduce talvolta a degli squilibri tra gli obblighi assunti dai diversi Stati e spesso pone altresì problemi di certezza giuridica”, cfr. X. XXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, cit., p. 272.
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L’Accordo presenta una membership limitata se comparata con i membri della WTO; molti Paesi in via di sviluppo, infatti, non lo hanno ancora firmato.
Per gli Stati che lo hanno sottoscritto le regole dell’Accordo sono vincolanti. Questo approccio rule-based è un’importante caratteristica del GPA, che lo accomuna al sistema comunitario e lo differenzia, invece, da altre organizzazioni che si occupano di disciplinare gli appalti pubblici nel contesto internazionale. Ad esempio, il Model Law dell’UNCITRAL rappresenta solamente una guida per gli Stati che volontariamente scelgono di modificare il proprio sistema dei contratti pubblici; anche l’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) elabora solo regole non-binding130.
Un’importante conseguenza dell’approccio obbligatorio, seguito dal GPA, è che in esso è previsto un meccanismo sanzionatorio per il mancato rispetto delle regole, nonché un organismo incaricato di dirimere le controversie tra Stati membri, il Dispute Settlement Body (DSB).
I due principi cardine di tale Accordo possono considerarsi il trattamento nazionale131 e la clausola della nazione più favorita. Il primo proibisce di effettuare discriminazioni tra un operatore economico straniero ed uno nazionale, mentre il secondo vieta di porre in essere comportamenti discriminatori de jure o de facto tra più offerenti stranieri132. Altri principi fondamentali dell’Accordo sono, inoltre, quelli di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza e pubblicità133.
Nel contesto del WTO, l’utilizzo degli appalti pubblici come strumento di politica industriale contrasta sia con l’art. III del GPA, il quale stabilisce il principio del trattamento nazionale e del divieto di discriminazione, sia con l’art. XVI134, che proibisce espressamente l’uso degli “offsets”, ovvero di qualsiasi misura “used to encourage local development or improve the balance of payments accounts by means of
130 Si v. i Non-binding Principles on Governement Procurement: Transparency, disponibili al sito xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxx/xxxx_xxxxxx/xxxxxxxxx_xx_xxxxx/xxxxxxxxxx_xxxxxxxxxxx.xxxx
131 “Under this principle, the parties to the GPA must give the same treatment afforded to national providers and products to providers and products of other signatory states. Reinforcing the principle of national treatment, the most favoured nation principle guarantees treatment no less favourable than that afforded to other parties.”, si v. C. BOVIS, The liberalisation of public procurement and its effects on the common market, cit., p. 86.
132 Art. III GPA.
133 Artt. VII, XI e XVIII GPA.
134 Secondo l’art. XVI del GPA: “Entities shall not, in the qualification and selection of suppliers, products or services, or in the evaluation of tenders and award of contracts, impose, seek or consider offsets”.
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local content, licensing of technology, investment requirements, counter-trade or similar requirements”135.
Il principio del trattamento nazionale non vieta solamente la politica del “buy national” ma anche tutte le politiche economiche finalizzate a perseguire obiettivi strategici all’interno di un determinato Stato, quali, ad esempio, lo sviluppo di alcune regioni svantaggiate o la tutela delle piccole e medie imprese. Anche queste iniziative statali, infatti, hanno l’effetto di discriminare le imprese straniere a vantaggio di quelle nazionali e sono, pertanto, vietate ai sensi degli artt. III e XVI dell’Accordo.
Tuttavia, lo stesso GPA prevede la possibilità per gli Stati aderenti di indicare specifiche deroghe all’applicazione del principio generale di non discriminazione.
La flessibilità, che caratterizza tale accordo internazionale, permette così ad ogni Paese membro di decidere cosa inserire o meno tra gli impegni da lui sottoscritti. In tal modo, gli Stati aderenti, se desiderano perseguire determinate finalità industriali attraverso gli appalti pubblici, sono liberi di collocare alcuni enti appaltanti od alcuni lavori o servizi al di fuori del campo di applicazione del GPA.
In virtù di tale possibilità, molti Paesi, al momento della loro adesione, hanno incluso specifiche deroghe nei rispettivi allegati, al fine di garantirsi la possibilità di continuare ad attuare particolari politiche a tutela delle industrie nazionali e delle piccole e medie imprese.
Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno previsto deroghe sia per la protezione delle PMI che per la promozione di zone del Paese particolarmente svantaggiate (le c.d. HUBZone). Anche il Canada, il Giappone e la Corea hanno introdotto eccezioni all’Accordo per lo sviluppo delle imprese nazionali di piccole e medie dimensioni.
Oltre che attraverso le deroghe espressamente indicate negli allegati, la possibilità per i Paesi aderenti di derogare ai principi generali del trattamento nazionale e di non discriminazione è prevista anche nell’art. XXIII (1) del GPA. Secondo tale disposizione, infatti, “Nothing in this Agreement shall be construed to prevent any Party from taking any action or not disclosing any information which it considers necessary for the protection of its essential security interests relating to the procurement of arms, munitions or war materials, or to procurement indispensible for national security or national defence purposes”.
135 Definizione contenuta nella nota all’art. XVI del GPA.
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L’art. XXIII può essere invocato dalle Parti non solo per le forniture militari ma anche per altri appalti strategici al supporto di particolari industrie, ritenute indispensabili per la sicurezza nazionale.
In realtà, nel tempo, gli Stati membri si sono avvalsi di tale deroga in maniera del tutto arbitraria e discrezionale.
Emblematico al riguardo è il caso Iraq – Xxxxx Xxxxx000, reclamo che ancora oggi non ha peraltro comportato la costituzione di un Panel.
Il 5 dicembre 2003, il Dipartimento della Difesa statunitense decideva ufficialmente che la gara per 26 contratti di ricostruzione e aiuti in Iraq (per un valore di 18,4 miliardi di dollari) sarebbe stata limitata alle sole ditte statunitensi, irachene e dei Paesi riuniti nell’Autorità Provvisoria della Coalizione (CPA)137.
In un memorandum, intitolato Determinations and Findings138, il vice segretario della difesa statunitense chiariva che tale scelta era necessaria per la protezione degli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Questa decisione, tuttavia, escludeva i Paesi non alleati al governo americano, ma membri del GPA, dal partecipare alle gare per ciascuno di questi contratti.
Alcuni Stati esclusi (Francia, Germania e Canada), pertanto, hanno presentato reclamo al DSB della WTO, sostenendo la violazione da parte del governo statunitense del principio di non discriminazione previsto dall’art. III del GPA e contestando, pertanto, la compatibilità della decisione degli Stati Uniti con le norme internazionali sugli appalti pubblici.
Nel caso di specie, infatti, la maggior parte dei contratti in Iraq rientrava nella soglia dei 5 milioni di DSP per le costruzioni ed era soggetta alle regole del GPA.
Era necessario, quindi, determinare se gli enti coinvolti in questo caso (e cioè il Pentagono e la CPA) rientrassero o meno nell’elenco statunitense delle amministrazioni aggiudicatrici tenute a sottostare agli obblighi del GPA e se i tipi di servizi forniti da tali enti fossero coperti o meno da questi obblighi.
136 X. XXXXXXXXX, Coalition Procurement for the Reconstruction of Iraq in the Crosshairs of WTO Law: The Obligations of the United States under the WTO Government Procurement Agreement, in German Law Journal, n. 5, 2004, pp. 257 ss., disponibile on line alla pagina xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxx.xxx?xxx000
137 L’Autorità provvisoria della coalizione è formata da 63 Paesi di differenti etnie e religioni, che si sono impegnati ad assistere l’Iraq nelle sue necessità finanziarie, materiali e militari.
138 Deputy Secretary of Defence, Determinations and Findings, 5 dicembre 2003.
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Il Dipartimento della Difesa è di fatto un ente contenuto nell’Annex I degli Stati Uniti, per cui tutti i contratti stipulati da esso sono coperti dal GPA. Più problematico era, invece, determinare se la CPA rientrasse o meno nell’Accordo.
Il Dipartimento della Difesa statunitense sosteneva che i 26 contratti aggiudicati dalla CPA e dal Dipartimento per conto della CPA non fossero coperti dagli obblighi internazionali sugli appalti, poiché la CPA non rientra nell’allegato I degli Xxxxx Xxxxx000.
Tuttavia, secondo i governi francese, tedesco e canadese, sebbene la CPA non sia un ente specificatamente contenuto nell’Annex I, essa potrebbe comunque rientrare nell’Accordo a causa delle sue strette relazioni con il Pentagono, ente espressamente contenuto nella lista.
Non essendosi ancora costituito un Panel per questo caso, si può provare a risolvere tale controversia attraverso l’analisi della giurisprudenza del DSB sul GPA.
A questo proposito è opportuno rifarsi al caso Corea140 del 2000, dove il problema in questione era se un ente (la società Koaca), non specificato nell’appendice I coreana, fosse essenzialmente “parte di” un ente contenuto nella lista (Ministero trasporti e costruzioni) e se le due identità fossero di conseguenza legalmente incorporate, così da far sottostare anche la Koaca alle regole dell’Accordo sugli appalti.
In quella fattispecie, il Panel decise che l’ente in questione non era espressamente incluso nell’allegato I, pertanto, non vi era stata nessuna violazione del GPA da parte del governo coreano. Secondo il Panel, infatti, non è raccomandabile effettuare una troppo estesa interpretazione della nozione di “enti governativi centrali”, in quanto si finirebbe per includere anche soggetti che mai le parti avrebbero voluto inserire nel campo di applicazione dell’Accordo.
Di conseguenza, si potrebbe ipotizzare che una simile conclusione possa adattarsi anche al caso Stati Uniti – Iraq. In sostanza, le regole del GPA non si applicano all’Autorità Provvisoria della Coalizione, non essendo quest’ultima, al pari della società Koaca, espressamente indicata nell’Annex I statunitense.
139 L’Annex I degli Stati Uniti “Central Government Entities which Procure in Accordance With the Provisions of this Agreement” è disponibile in xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxxxxx/xxxxxx_x/xxxxx_x/xxx0.xxx
140 Caso DS163: Procurement practices of the Korean Airport Construction Authority. Per maggiori informazioni, si visiti xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxxxxx/xxxxxx_x/xxxxx_x/xxxxx_x/xx000_x.xxx
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L’allegato IV141 degli obblighi statunitensi al GPA esclude, inoltre, tutti i servizi acquistati a supporto delle forze militari situate oltre oceano. Ora è evidente che alcuni dei contratti aggiudicati per la ricostruzione dell’Iraq possono essere considerati necessari per supportare le forze militari presenti in tale Paese, per cui questo esclude gli stessi da qualsiasi obbligo derivante dall’Accordo.
Gli Stati Uniti sostengono, infatti, che qualsiasi forma di assistenza governativa (inclusi gli accordi di cooperazione, le sovvenzioni, i prestiti e le garanzie) è esentata dai suddetti obblighi internazionali.
Quindi, anche i contratti di ricostruzione delle infrastrutture irachene devono essere considerati esclusi dal GPA. Quest’ultimo, infatti, in virtù dell’art. XXIII (1), non si applica agli appalti indispensabili per la sicurezza nazionale o per scopi di difesa nazionale.
Ricapitolando, ciò che, ad un primo esame, sembrava costituire una violazione del diritto commerciale internazionale risulta, ad un’analisi più approfondita, legalmente ammissibile.
Il sistema degli appalti statunitensi in Iraq, infatti, appare ricadere fuori dall’ambito di applicazione del GPA, a causa di due particolarità strutturali dell’Accordo, che evidenziano il grosso compromesso politico che ne è alla base.
In primo luogo, infatti, le parti del GPA non hanno acconsentito ad assoggettare gli appalti di tutti gli enti statali agli standards previsti dal diritto internazionale. Al contrario, solo poche amministrazioni pubbliche sono coperte espressamente dall’Accordo.
In secondo luogo, i vari Stati aderenti hanno riservato a se stessi numerose eccezioni e deroghe, unilaterali e multilaterali. La limitata membership del GPA rispetto al WTO e le numerose riserve all’applicazione dell’Accordo poste dai Paesi membri testimoniano, appunto, le difficoltà che incontrano, ancora oggi, molti Stati a rinunciare ad avvalersi degli appalti pubblici come mezzo per perseguire interessi industriali nazionali.
Entrambe le suddette particolarità mostrano come sarebbe difficile per un eventuale Panel riscontrare, nel caso di specie, una violazione dell’Accordo da parte degli Stati Uniti.
141 L’Annex IV degli Stati Uniti è consultabile in xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxxxxx/xxxxxx_x/xxxxx_x/xxx0.xxx
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Il GPA non è chiaro, poi, neanche sulla possibilità per gli Stati di inserire considerazioni industriali tra i criteri di aggiudicazione degli appalti. L’art. XIII 4 (a) permette, infatti, alle amministrazioni di aggiudicare il contratto all’offerta “most advantageous”. Tuttavia, l’Accordo, a differenza delle direttive comunitarie e dell’UNCITRAL Model Law, non fornisce una lista esemplificativa dei criteri di valutazione che possono essere utilizzati per determinare l’offerta vincitrice. L’unica limitazione imposta dal GPA è che ciascun criterio dovrà essere indicato esplicitamente in anticipo nel bando, nel rispetto dei principi generali di trasparenza e pubblicità delle gare pubbliche, art. XII 2 (b).
Inoltre, considerata la poca chiarezza del GPA al riguardo, alcuni ritengono possibile per gli Stati membri inserire considerazioni di politica industriale anche tra le clausole di esecuzione del contratto.
L’Accordo prevede, infine, specifiche eccezioni per i Paesi in via di sviluppo. In particolare, l’art. V autorizza tali Paesi ad effettuare deroghe alla regola del trattamento nazionale a determinate condizioni, se ciò è necessario per “(a)safeguard their balance- of-payments position and ensure a level of reserves adequate for the implementation of programmes of economic development; (b) promote the establishment or development of domestic industries including the development of small-scale and cottage industries in rural or backward areas; and economic development of other sectors of the economy;
(c) support industrial units so long as they are wholly or substantially dependent on government procurement”. Sempre ai Paesi in via di sviluppo è permesso, poi, dall’art. XVI, di prevedere in alcuni contratti gli offsets come condizione di partecipazione.
Ricapitolando, in linea di principio, il GPA, così come il diritto comunitario, sembra vietare agli Stati membri l’introduzione nelle procedure di aggiudicazione delle gare di qualsiasi misura protezionistica diretta a tutelare le imprese nazionali a svantaggio di quelle straniere. Tali iniziative statali, infatti, andrebbero a violare i due principi cardine dell’Accordo, ovvero quello del trattamento nazionale e della clausola della nazione più favorita.
In realtà, invece, tale regime giuridico si differenzia notevolmente da quello europeo142.
142 Si v. X. XXXXXXXXX, Gli appalti pubblici nell’Organizzazione Mondiale del Commercio e nella Comunità Europea, Napoli, 2001.
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In primo luogo, infatti, a causa dell’ampia flessibilità che ne caratterizza l’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione, il GPA finisce per permettere agli Stati membri l’adozione di pratiche protezionistiche e discriminatorie negli appalti pubblici a tutela delle imprese nazionali.
In secondo luogo, tale Accordo sembra non vietare espressamente agli Stati membri la possibilità di inserire considerazioni di politica industriale tra i criteri di valutazione delle offerte, purché ciò avvenga nel rispetto del principio di trasparenza.
Quanto agli aspetti comuni, invece, sia il regime giuridico comunitario che quello del GPA consentono agli Stati la possibilità di introdurre limitazioni al principio di libera concorrenza nel mercato degli appalti pubblici per ragioni di sicurezza nazionale. Tuttavia, in entrambi i contesti, i governi nazionali hanno finito per abusare di tale giustificazione, proprio a causa dell’incertezza sui confini del concetto di “sicurezza nazionale”. Spesso, infatti, dietro tale apparente giustificazione si nascondono semplicemente pratiche protezionistiche a tutela delle imprese nazionali o altre finalità politico-sociali.
4.3. Le Linee-guida sugli appalti pubblici della Banca mondiale
La Banca mondiale è un’organizzazione multilaterale il cui principale obiettivo è quello di ridurre la povertà e promuovere la crescita e lo sviluppo economico dei Paesi membri143. Le due principali istituzioni collegate alla World Bank sono: la International Bank for Reconstruction and Development (IBDR)144 e l’International Development Association (IDA)145.
143 In base all'atto istitutivo, la Banca mondiale favorisce la ricostruzione e lo sviluppo dei territori dei Paesi membri, facilitando l'investimento di capitale a scopi produttivi; promuove l'investimento privato estero, fornendo garanzie o partecipando a prestiti; integra l'investimento privato, erogando, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, risorse finanziarie da destinare a scopi produttivi. I membri della WB sono attualmente 185. Per maggiori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxx/XXXXXX/XXXXXXXX/XXXXXXXXX/0,,xxxxXX:000000xxxxXxxxXX:000000,00
.html
144 La Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo è stata creata nel 1945, nell’ambito degli accordi di Xxxxxxx Xxxxx, con lo scopo di sostenere la ricostruzione dei Paesi colpiti dalla seconda Guerra mondiale. Conta 185 Paesi membri (per essere membro della IBRD è necessario essere membri del FMI). La sua funzione è oggi quella di ridurre la povertà e sostenere lo sviluppo sostenibile nei Paesi a reddito medio. A tal fine, concede crediti ordinari, ovvero con tassi di interesse vicini a quelli di mercato. I principali settori d’intervento includono il miglioramento della capacità di gestione amministrativa, i trasporti, la salute e gli altri servizi sociali di base. I finanziamenti sono accompagnati da servizi di assistenza per utilizzare al meglio i fondi erogati.
145 Creata nel 1960, l’Associazione internazionale per lo sviluppo è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite. Conta 165 Paesi membri (per essere membro della IDA è necessario essere membri
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L’assistenza della Banca ai Paesi membri è fornita principalmente attraverso l’erogazione di prestiti, sia a governi che ad enti ed imprese pubbliche, collegati alla realizzazione di specifici progetti. Il WB Annual Report 2007 certifica che in quell’anno la IBRD e la IDA hanno finanziato 301 progetti in Paesi distribuiti in tutte le aree del mondo, per un valore di circa 25 milioni di dollari146.
A fronte di tale aiuto economico, la Banca chiede, in contropartita ai Paesi beneficiari del prestito, l'attuazione di riforme politiche tese, oltre che alla crescita economica ed all’apertura dei rapporti commerciali con l’estero, alla limitazione della corruzione ed al consolidamento della democrazia.
L’interesse della Banca per gli appalti deriva, principalmente, dalla necessità che essa ha di verificare che le risorse investite in un determinato progetto siano impiegate dallo Stato nel migliore dei modi147.
L’art. III, Sezione 5 (b), dell’Accordo istitutivo della IBRD, infatti, dispone che “The Bank shall make arrangements to ensure that the proceeds of any loan are used only for the purposes for which the loan was granted, with due attention to considerations of economy and efficiency”148.
Di conseguenza, al fine di verificare l’utilizzo efficiente del prestito concesso, la Banca mondiale impone allo Stato di disciplinare le fasi di aggiudicazione ed esecuzione dei contratti pubblici, necessari alla realizzazione del progetto finanziato, secondo determinate Linee-guida, da essa stessa redatte.
In altre parole, la realizzazione del progetto ricade nella responsabilità del beneficiario del prestito. Questi, però, nella sua attività di acquisizione di beni, servizi o
dell’IBRD). L’IDA ha il mandato di fornire assistenza ai Paesi che non sono in grado di accedere ai prestiti concessi alle condizioni dell’IBDR. Concede finanziamenti a lungo termine (con un periodo di ammortamento di 35-40 anni ed un periodo di grazia di dieci anni) ai Paesi a basso reddito pro capite (inferiore a $ 1.025), senza interessi (è prevista una commissione dello 0,75% per rimborso spese). Per beneficiare dell'assistenza IDA, i Paesi devono dimostrare di seguire politiche idonee a promuovere la crescita e ridurre la povertà. Al momento, 81 Paesi hanno i requisiti per accedere ai finanziamenti IDA. I Governi ricevono i finanziamenti per specifici progetti, principalmente nei settori della promozione della capacità di gestione amministrativa, della crescita del settore privato e dello sviluppo umano (con particolare attenzione ad aree quali educazione, salute, sicurezza sociale, forniture idriche, infrastrutture, agricoltura e sviluppo rurale).
146 Per ulteriori informazioni, si v. il WB Annual Report 2007, pp. 10 ss., disponibile on line
all’indirizzo xxxx://xxxxxxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xxx/XXXXXXXXX0X0/Xxxxxxxxx/Xxxxxxx.xxx
147 Si v. X. XXXXX, Recent Revisions to the World Bank’s Procurement and Consultants Selection Guidelines, in Public Procurement Law Review, 1997, n. 6, pp. 217 ss.
148 Gli articoli dell’Accordo IBRD sono consultabili all’indirizzo xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxx/XXXXXX/XXXXXXXX/XXXXXXXXXX/0,,xxxxxxxXXX:00000000xxxxxXX:00 912~piPK:36602,00.html#I6
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lavori deve seguire le istruzioni della Banca mondiale, che, a tal fine, sono state espressamente richiamate nel contratto di finanziamento.
Le procedure sugli acquisti pubblici richieste dalla Banca sono contenute nelle
Guidelines Procurement under the IBRD Loans and IDA Credits149.
Così, se uno Stato beneficiario intende perseguire una determinata secondary policy negli appalti pubblici, questa dovrà essere sottoposta ai limiti previsti dalle Linee-guida ed essere concordata con la Banca mondiale.
Il paragrafo si propone di esaminare tali Guidelines al fine di verificare se, contrariamente a quanto previsto nell’ordinamento giuridico comunitario, sia possibile per un Paese beneficiario perseguire considerazioni di politica industriale nazionale negli appalti pubblici stipulati all’interno di progetti finanziati dalla Banca mondiale. E’ interessante, inoltre, esaminare se la stessa World Bank si avvalga degli appalti pubblici per perseguire obiettivi industriali propri, che non necessariamente corrispondono alle priorità del governo nazionale.
Le Guidelines Procurement non contengono precise indicazioni per gli Stati, beneficiari del prestito, circa le modalità da seguire per inserire negli appalti pubblici considerazioni di politica industriale. E’ prevista, infatti, solo la possibilità per i governi di avvalersi, in alcuni casi, di un sistema di preferenze per i prodotti nazionali150.
Tuttavia, nelle Linee-guida (par. 1.2.), si precisa che attraverso la regolazione degli appalti pubblici, la WB si propone di soddisfare “the need for economy and efficiency in the implementation of the project, including the procurement of the goods and works involved; the Bank’s interest in giving all eligible bidders from developed and developing countries the same information and equal opportunity to compete in providing goods and works financed by the Bank; the importance of transparency in the procurement process” nonché, “the Bank’s interest in encouraging the development of domestic contracting and manufacturing industries in the borrowing country”.
Perseguire, come proprio interesse, lo sviluppo dell’industria nazionale dei Paesi finanziati è l’aspetto che maggiormente differenzia la Banca mondiale dalla Comunità
149 Le Guidelines Procurement under the IBRD Loans and IDA Credits risalgono al 1964, ma sono state modificate più volte. Nel testo si fa riferimento alla versione aggiornata al 1 ottobre 2006. Altri importanti documenti che si occupano degli appalti pubblici nel contesto della Banca mondiale sono: the Standard Bidding Documents e the Bank-Financed Procurement Manual. Secondo la WB, un appalto pubblico per essere definito “proficient” deve presentare sette caratteristiche: economy, efficiency, fairness, reliability, transparency, accountability e ethical standard.
150 Si v. Linee-guida, par. 2.55 e 2.56.
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europea e dalle altre organizzazioni internazionali che si occupano di regolamentare gli appalti pubblici.
Si potrebbe, pertanto, ipotizzare che nell’ambito dei progetti finanziati dalla WB, gli appalti pubblici siano utilizzati come strumenti di politica industriale non per richiesta delle autorità statali, ma piuttosto per autonoma iniziativa della stessa Banca.
Nell’Articolo I dell’Atto di adesione alla BIRS151, è previsto, infatti, che la WB, attraverso le sue attività, debba promuovere la crescita del commercio internazionale, ma nello stesso tempo aiutare i Paesi membri a raggiungere un equilibrio di bilancio, l'aumento della produttività, degli standard di vita e delle condizioni lavorative nei territori degli stessi.
Sulla base di questa disposizione, la Banca mondiale potrebbe, ad esempio,152 sollecitare uno Stato a modificare la disciplina nazionale sugli appalti pubblici per aumentare la produttività di un determinato settore industriale in difficoltà.
Tuttavia, tale interpretazione estensiva potrebbe trovare un ostacolo nel successivo art. IV, sezione 10, il quale proibisce alla Banca di interferire negli affari politici interni degli Stati membri e stabilisce che “only economic consideration shall be taken into account”. Inoltre, lo stesso art. III, sezione 5, afferma che i finanziamenti concessi dovrebbero essere utilizzati secondo precisi criteri di economia ed efficienza “without regard to political or other non-economic influences or considerations”.
151 "Gli scopi della Banca sono:
(i) contribuire alla ricostruzione ed allo sviluppo dei territori dei Paesi membri favorendo l'investimento di capitali per scopi produttivi, ivi compreso il ripristino delle economie distrutte o danneggiate dalla guerra, la riconversione degli insediamenti produttivi alle necessità della pace e stimolando lo sviluppo delle strutture produttive nei Paesi meno sviluppati.
(ii) promuovere l'investimento privato straniero per mezzo della fornitura di garanzie o mediante la partecipazione a prestiti ed altri investimenti effettuati da investitori privati; quando capitali privati non siano disponibili in termini ragionevoli, integrando, a condizioni ragionevoli, gli investimenti privati con la fornitura di finanziamenti a scopo produttivo e per mezzo di capitale proprio, di fondi raccolti e di altre risorse proprie.
(iii) promuovere lo sviluppo bilanciato ed a lungo termine del commercio internazionale ed il mantenimento dell'equilibrio nelle bilance dei pagamenti incoraggiando gli investimenti internazionali per lo sviluppo delle risorse produttive nei Paesi membri, aiutando in tal modo l'aumento della produttività, degli standard di vita e delle condizioni lavorative nei territori degli stessi.
(iv) organizzare i prestiti effettuati o le garanzie concesse in relazione a prestiti internazionali attraverso altri canali in maniera tale che i progetti più utili ed urgenti, per grandi o piccoli che siano, vengano trattati per primi.
(v) condurre le proprie operazioni con il dovuto riguardo agli effetti degli investimenti internazionali sulle condizioni degli affari nei territori dei paesi membri e, nell'immediato dopoguerra, favorire una transizione regolare da un'economia di guerra ad un'economia di pace.
La Banca sarà guidata in tutte le sue decisioni dagli obiettivi qui stabiliti."
152 La norma, in realtà, è così ampia da poter comprendere tutte le politiche dirette a tutelare lo sviluppo industriale, le condizioni di lavoro, l’ambiente, i diritti umani, etc.
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Di conseguenza, l’utilizzo degli appalti pubblici come strumento di politica industriale da parte della WB potrebbe incontrare alcuni problemi di legittimità.
Da ultimo, è necessario precisare che neanche le Linee-guida predisposte dalla Banca mondiale si applicano agli appalti pubblici militari.
5. Gli appalti pubblici nel settore della difesa come strumenti di politica industriale
Uno dei principali settori in cui le considerazioni di politica industriale si intrecciano con gli appalti pubblici è quello della difesa.
I contratti di lavoro, servizio e forniture militari sono stati sempre esentati dall’applicazione delle regole internazionali e comunitarie sulla base di motivi di sicurezza nazionale. Tuttavia, spesso, gli Stati si sono avvalsi di tale deroga per perseguire, in realtà, altri scopi politici.
Tali appalti rappresentano, pertanto, un tradizionale strumento nazionale di politica industriale e per tale motivo meritano una trattazione separata.
Il mercato degli appalti pubblici militari presenta una serie di specificità.
Una prima caratteristica deriva dalla natura stessa dei beni e dei relativi servizi. In materia di difesa, i governi europei hanno una chiara preferenza per la propria industria nazionale, non tanto per proteggere posti di lavoro e favorire gli investimenti, quanto piuttosto per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e delle informazioni. Le necessità di difesa presuppongono, infatti, che le fonti di approvvigionamento vengano garantite durante l’intera vita dei programmi di armamento, dalla progettazione fino al ritiro dal servizio, tanto in tempo di pace che di guerra. Il mantenimento di una capacità industriale di difesa puramente nazionale può apparire, dunque, come uno strumento affidabile per rispondere agli interessi strategici ed alle situazioni di urgenza. In tale settore, inoltre, gli Stati preferiscono disporre di dotazioni che garantiscano la superiorità tecnologica delle forze armate impegnate, da ciò l’esigenza di mantenere la segretezza dei programmi e delle loro specifiche tecniche.
Altra caratteristica degli appalti pubblici militari è data dal ruolo preponderante svolto dagli Stati. L’industria europea della difesa è, infatti, quasi esclusivamente tributaria del committente pubblico. Nella loro qualità di clienti unici, essi variano la
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domanda dei prodotti in funzione delle esigenze militari connesse ai loro obiettivi strategici e definiscono così la dimensione dei mercati nazionali.
Inoltre, nella loro attività di regolamentazione, essi controllano il commercio degli armamenti tramite le licenze di esportazione ed il rilascio delle autorizzazioni necessarie per partecipare agli appalti. Senza considerare, poi, che spesso i forti rischi d’insuccesso commerciale legati ai programmi di sviluppo degli armamenti rendono necessario il sostegno alle industrie nazionali da parte degli Stati, attraverso meccanismi di compensazione.
Le spese militari degli Stati membri costituiscono, inoltre, una parte rilevante delle spese pubbliche, pari a circa 160 miliardi di euro, di cui 1/5 è destinato agli acquisiti di equipaggiamenti153. Nonostante il totale delle spese sostenute per tale settore sia considerevole, queste rimangono largamente frammentate nei vari mercati nazionali154 e ciò costituisce un problema rilevante per tutti i Paesi comunitari dotati di industrie della difesa155.
Gli appalti pubblici militari nell’Unione europea sono, pertanto, caratterizzati da una forte frammentazione a livello nazionale, da una stretta dipendenza dalla politica di sicurezza di ciascuno degli Stati membri, da una serie di specificità che li rendono diversi dagli altri tipi di appalti e da un quadro giuridico, come si vedrà, particolarmente complesso156.
In particolare, in questa sede, interessa esaminare le iniziative, intraprese a livello comunitario, per aprire i mercati nazionali degli appalti pubblici militari alla concorrenza, al fine di tutelare la crescita e la competitività dell’industria europea della difesa.
153 Dati tratti dal Libro Verde presentato dalla Commissione, Gli appalti pubblici della difesa, COM (2004), 608 def.
154 B. HEUNINCKX, Defence Procurement Law in Europe, The Role of International Organisations, paper presentato alla Third Public Procurement Research Students Conference, che si è svolta il 21 e 22 giugno 2007, presso l’Università di Nottingham e pubblicato on line alla seguente pagina xxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xx.xx/xxxxxx/xxxxxx_xxxxxxxxxxx/XxXxxxxxxxxxx/XxXXxxxxxxxxx0000xxxxxx/Xx fence_Procurement_Law_and_International_Organisations_v1_-_Short.doc
155 X. XXXXXX, National Models for the Regulation of the Acquisition of Armaments: Towards a European Defence Procurement Code?, in X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXX, Public Procurement: Global Revolution, Kluwer Law International, 1998, pp. 71 ss. Secondo l’Autore: “The integration of the national defence equipment markets of Europe, however, is a certain and urgent necessity to ensure the survival of the European defence industries and to keep defence affordable”.
156 Sul tema, si v. i contributi di X. XXX, The Future of European Defence Policy: The Case for a Centralised Procurement Agency, e di X. XXXXXX, European defence Procurement: Towards a Comprehensive Approach, in X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXX, Public Procurement, vol. II, Xxxxx, 2002.
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5.1. I limiti del quadro giuridico comunitario
Gli appalti pubblici nei settori della difesa e della sicurezza attualmente rientrano nel campo di applicazione della direttiva n. 18 del 2004, fatte salve le eccezioni corrispondenti alle situazioni previste dagli articoli 30, 45, 46, 55 e 296 del Trattato Ce.
Le particolarità del settore della difesa sono state riconosciute fin dalla fondazione della Comunità tramite un regime di deroga, precisato dall’articolo 296 Tr.: “nessuno Stato membro è tenuto a fornire informazioni la cui divulgazione sia ritenuta contraria agli interessi essenziali della sua sicurezza. Ogni Paese membro può adottare le misure ritenute necessarie per la protezione degli interessi essenziali della sua sicurezza e che si riferiscono alla produzione o al commercio di armi, di munizioni e di materiale bellico; tali misure non devono alterare le condizioni di concorrenza nel mercato comune per quanto riguarda i prodotti non destinati a fini specificamente militari157”.
Tenuto conto della sua portata generale, tale disposizione può applicarsi anche al settore degli appalti pubblici.
Come chiarisce l’articolo 10 della direttiva n. 18 del 2004, infatti, la regolamentazione comunitaria in materia di contratti pubblici si applica agli appalti aggiudicati nel settore della difesa, fatto salvo l’articolo 296 del Trattato. Per quanto precede, quindi, le regole comunitarie sugli appalti pubblici sono in linea di principio applicabili anche al settore della difesa; tuttavia, gli Stati membri hanno la possibilità di derogarvi nei casi e alle condizioni specificamente previsti a tal fine.
La Corte di giustizia, con una giurisprudenza costante, ha chiaramente stabilito che le deroghe al diritto comunitario devono essere limitate ad ipotesi eccezionali e chiaramente definite158. In particolare, secondo la Corte, la possibilità prevista dall’articolo 296 Tr. non può valere né per i beni civili né per quelli non destinati a fini specificamente militari, anche se tali beni vengono acquistati dai ministeri nazionali della difesa (i c.d. dual-use goods)159.
157 Un elenco dei prodotti, cui si applicano tali disposizioni, è stato adottato dal Consiglio nel 1958. Tuttavia, per delimitare il campo d’applicazione dell’articolo 000 Xx. Xx, l’elenco del 1958 non costituisce una base di riferimento appropriata, in quanto non è mai stato pubblicato ufficialmente, né modificato in seguito.
158 Corte di giust., sentenze Commissione x. Xxxxxx, in causa C-414/97 e Xxxxxxxx, in causa 222/84.
159 Si v, al riguardo, la sentenza Corte di giust., 2 ottobre 2008, Commissione c. Repubblica italiana, in causa C-157/06. In questa pronuncia, infatti, il giudice comunitario, condannando l’Italia, ha
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La giurisprudenza comunitaria ha così delimitato le condizioni di utilizzazione di tale deroga in maniera restrittiva, stabilendo che la sua applicazione non costituisce una riserva generale e automatica ma deve essere giustificata caso per caso. Gli Stati hanno, quindi, la possibilità di ricorrere al segreto circa le informazioni che potrebbero mettere in pericolo la loro sicurezza, nonché la facoltà di chiedere un’esenzione dall’osservanza delle regole del mercato interno in materia di commercio di armamenti; tuttavia, l’utilizzazione da parte degli Stati delle misure nazionali in deroga è giustificata solo se è strettamente idonea e necessaria per realizzare l’obiettivo della salvaguardia degli interessi essenziali di sicurezza invocati (c.d. test di proporzionalità)160.
Come regola generale, gli Stati membri possono, quindi, derogare alle regole del Trattato e delle direttive comunitarie soltanto in presenza di condizioni ben determinate161.
Tuttavia, nonostante i chiarimenti formulati dalla Corte, il numero limitato di pubblicazioni sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea lascia supporre che alcuni Stati membri ritengano di poter ricorrere alla deroga ex art. 296 Tr. in maniera sistematica162.
Infatti, poiché la nozione di interesse essenziale di sicurezza nazionale non è definita né nel diritto comunitario né nella giurisprudenza della Corte di giustizia, gli Stati si riservono in pratica un ampio margine di valutazione per determinare gli appalti suscettibili di pregiudicare tale sicurezza.
Nel settore della difesa, pertanto, la direttiva n. 18 del 2004 viene applicata di rado e gli appalti rimangono ancora in larga misura oggetto di legislazioni puramente nazionali.
Le deroghe che dovrebbero, dunque, secondo il Trattato e la giurisprudenza comunitaria, costituire un’eccezione, sono, in pratica, la regola. Di conseguenza, la maggioranza delle attrezzature militari e di sicurezza viene acquistata sulla base di norme e procedure di aggiudicazione nazionali non coordinate, con disposizioni che
ribadito che “l’acquisto di attrezzature la cui destinazione a fini militari sia dubbia deve necessariamente rispettare le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici”.
160 Corte di giust., sentenze Sirdar, in causa C-273/97 e Xxxxx, in causa C-285/98.
161 Il regime derogatorio, previsto dall’art. 296 Tr., può essere applicato solo se sussistono ragioni di sicurezza nazionale. Gli Stati, pertanto, non potrebbero invocare questa eccezione per ragioni di mero sviluppo industriale.
162 Un recente studio ha concluso che più del 50% degli appalti della difesa in Europa si basano sull’eccezione dell’art. 000 Xx. Xx. Dati tratti dal sito dell’Agenzia europea della difesa.
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variano molto in termini di pubblicazione, di procedure di presentazione di offerte, di criteri di selezione e di attribuzione etc.
Le industrie della difesa in Europa sono soggette, pertanto, a norme nazionali molto diverse, una situazione questa che ha ritardato il loro sviluppo su scala europea, ponendole in una condizione di svantaggio rispetto ai concorrenti internazionali.
Questo carattere così eterogeneo sul piano giuridico costituisce, inoltre, un grave ostacolo alla creazione di un mercato europeo delle attrezzature militari e apre la strada al non rispetto dei principi del Trattato, in particolare quelli di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento163.
5.2. Dalla cooperazione all’integrazione: verso la costituzione di un European Defence Equipment Market (EDEM)
La situazione degli appalti pubblici della difesa, sopra descritta, dimostra che diversi ostacoli limitano le possibilità di accesso delle industrie europee ai vari mercati degli Stati membri e, conseguentemente, le loro possibilità di crescita. Per la Comunità europea, migliorare il funzionamento del mercato interno dei prodotti della difesa, rappresenta, pertanto, una priorità164.
Una recente pubblicazione del Parlamento espone gli alti costi della “non Europa” e delle differenze nazionali nel settore degli appalti pubblici militari per quanto riguarda: le norme di aggiudicazione, le procedure di autorizzazione, gli elenchi di controllo per le esportazioni, nonché la mancanza di una condivisione delle informazioni165. Ne conseguono lungaggini burocratiche, doppioni, ostacoli all’innovazione, prezzi maggiorati e danni per la concorrenza.
Il primo tentativo di creare un mercato europeo degli appalti pubblici nel settore della difesa è stato fatto dal Western European Armaments Group (WEAG)166, organismo creato nel 1993 all’interno dell’Unione europea dei Paesi occidentali
163 Si v. J.B. XXXXXXX, Defence Procurement and the European Community, in Public Procurement Law Review, vol. 1, 1992, pp. 432 ss.
164 X. XXXXXXXXX, A Primer to Collaborative Defence Procurement in Europe: Troubles, Achievements and Prospects, in Public Procurement Law Review, vol. 17, 2008, pp. 123 ss.
165 X. XXXXXXX, Defence Procurement, the Single Market and the European Armaments Agency, in X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXX, Public Procurement: Global Revolution, cit., pp. 57 ss.
166 Per maggiori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxx/xxxxx.xxxx
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(WEU)167. L’iniziativa si basava sull’adesione volontaria ad un regime degli appalti pubblici della difesa, ma non fu un successo ed il WEAG ha terminato la sua attività nel maggio del 2005.
Al fine di compensare il lento processo di collaborazione avviato dal WEAG, quattro dei maggiori Stati membri hanno fondato nel 1996 la Organisation Conjointe de Coopération en matière d'Armement (OCCAR)168 con l’obiettivo di velocizzare e rendere più efficiente lo sviluppo di sistemi di aggiudicazione comuni per gli armamenti e rafforzare la competitività dell’industria europea della difesa. Attualmente, l’OCCAR rappresenta una delle maggiori organizzazioni europee che gestisce programmi di cooperazione nel campo degli armamenti.
Inoltre, un notevole numero di organizzazioni specifiche che si occupano di appalti sono state create nel contesto della North Atlantic Treaty Organisation (NATO) e operano in Europa, ad esempio: la NATO Maintenance and Supply Organisation (NAMSO) a Lussemburgo; la NATO Helicopter Management Organisation (NAHEMO) a Aix-en-Provence, solo per nominarne xxxxxx000.
Più recentemente, nel 2004, il Consiglio ha creato l’Agenzia europea per la difesa (AED)170. Quest’organismo si prefigge di rafforzare la base industriale e tecnologica di difesa europea, nonché di creare un mercato comune competitivo dei materiali militari. I compiti attuali dell’Agenzia sono, quindi, i seguenti: promuovere la collaborazione tra
167 X. XXXXXX, European Defence Procurement Law – International and National Procurement Systems as Models for a Liberalised Defence Procurement Market in Europe, Kluwer Law International, 1999, pp. 31 ss.
168 L’OCCAR è stata istituita il 12 novembre 1996 dai Ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia e Regno Unito. Ha acquisito personalità giuridica propria a gennaio 2001 dopo che i parlamenti dei quattro Paesi fondatori hanno ratificato la Convenzione. Belgio e Spagna hanno aderito all'organizzazione rispettivamente nel 2003 e nel 2005. Altre nazioni europee possono aderire all’OCCAR, subordinatamente alla loro effettiva partecipazione ad un programma di cooperazione significativo che coinvolga almeno un altro Stato membro dell’OCCAR ed all’accettazione dei principi, delle norme, dei regolamenti e delle procedure dell’OCCAR. Nazioni europee possono partecipare a programmi gestiti dall'OCCAR senza esserne membri. Questo è attualmente il caso della Turchia, dell’Olanda e del Lussemburgo. Per ulteriori informazioni, si visiti il sito istituzionale xxxx://xxx.xxxxx-xx.xxx/
169 NATO Handbook, 2007, disponibile all’indirizzo xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxx/xxxx.xxx
170 Azione comune 2004/551/PESC del Consiglio del 12 luglio 2004 relativa alla creazione dell'Agenzia europea per la difesa. All'Agenzia partecipano tutti gli Stati membri dell'Unione europea, tranne la Danimarca. La sede è a Bruxelles. L'Agenzia è posta sotto l'autorità e il controllo politico del Consiglio. Quest'ultimo stabilisce ogni anno gli orientamenti in merito alle attività dell'Agenzia, con particolare riguardo al programma di lavoro. L'Agenzia riferisce periodicamente al Consiglio sulle sue attività. Per ulteriori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxx.xxxxxx.xx/. Sull’AED, si v. X. XXX, The Future of European Defence Policy: the Case for a Centralised Procurement Agency, in Public Procurement Law Review, vol. 2, 1994, pp. 65 ss. e X. XXXXXXXXXXXX, The New European Defence Agency: Major Development or Fig Leaf?, in Public Procurement Law Review, vol. 14, 2005, pp. 103 ss.
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gli Stati membri dell’Unione; contribuire allo sviluppo ed alla ristrutturazione generale dell’industria europea della difesa; operare in stretta collaborazione con la Commissione per creare un mercato europeo dei materiali di difesa, che sia competitivo a livello internazionale.
Dalla sua creazione, l’Agenzia ha intrapreso molteplici iniziative, in particolare, in questa sede, interessano l’adozione del Code of Conduct on defence procurement, seguito dal Code of Best Practice in the Supply Chain ed il bollettino elettronico degli appalti nel settore della difesa. Il problema è che tali atti non hanno natura vincolante e non sono previste sanzioni in caso di violazioni da parte degli Stati171.
Anche la Commissione è intervenuta per rafforzare la competitività delle industrie europee della difesa unendo i propri sforzi a quelli dell’Agenzia.
La Commissione ed il Parlamento hanno più volte sottolineato che un’industria europea degli armamenti forte ed un’efficace politica di approvvigionamento costituiscono strumenti indispensabili per sviluppare e rendere credibile l’identità europea di sicurezza e di difesa nel contesto dell’Alleanza atlantica, nonché per dotare la PESC della capacità militare di cui necessità172.
La Commissione e l’Agenzia si sono trovate d’accordo su un punto fondamentale: l’Unione europea necessita di un’industria della difesa competitiva, la quale a sua volta ha bisogno di un mercato europeo173. Le due istituzioni hanno quindi adottato una serie di azioni necessarie al raggiungimento di questo obiettivo condiviso174.
171 Si v. X. XXXXXXXXX, Towards a Coherent European Defence Procurement Regime? European Defence Agency and European Commission Initiatives, in Public Procurement Law Review, vol. 17, 2008, pp. 1 ss.
172 Parlamento europeo, Risoluzione sulla comunicazione della Commissione “Le sfide cui deve far fronte l’industria europea legata al settore della difesa: contributo per un’azione a livello europeo” (COM (96) 0010 – C4-0093/96).
173 Si v. Libro Verde, Commissione, Gli appalti pubblici nell’Unione europea. Spunti di riflessione per il futuro, cit.: “La Commissione accoglierà favorevolmente ogni iniziativa volta a rafforzare la concorrenza nel settore degli appalti della difesa, il che comporterà non soltanto risparmi diretti, ma anche economie di scala, grazie all’allungamento delle serie di produzione e che condurrà, a lunga scadenza, ad un rafforzamento della competitività dell’industria europea nel settore della difesa Tuttavia, poiché
un’industria europea competitiva nel settore della difesa è anche una condizione indispensabile per assicurare un’identità europea nella politica di sicurezza e di difesa, è necessario prendere in considerazione la natura particolare di questo settore”.
174 X. XXXXXXXXX, Towards a Coherent European Defence Procurement Regime? European Defence Agency and European Commission Initiatives, cit.
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Nel 1996 e 1997, la Commissione europea ha presentato due comunicazioni sulle industrie connesse alla difesa al fine di incoraggiare la creazione di un mercato europeo efficace delle attrezzature militari175.
Successivamente, a seguito dell’avvio di una vera PESD, il Parlamento europeo, in una risoluzione del 10 aprile 2002, ha invitato la Commissione ad affrontare la questione degli armamenti in una nuova comunicazione.
Così, nel 2003, la Commissione, con il suo intervento dal titolo “Verso una politica dell’Unione europea in materia di equipaggiamenti di difesa”176, ha varato una serie di iniziative volte a realizzare un mercato europeo delle attrezzature militari più efficiente.
Nel 2004, la Commissione ha pubblicato il Libro verde “Gli appalti pubblici della difesa”, avviando in tal modo una consultazione con le parti interessate che si è conclusa con l’invio di quaranta contributi provenienti da sedici Stati membri, istituzioni ed imprese177.
Tali contributi hanno confermato l’opportunità di una comunicazione interpretativa sull’applicabilità dell’articolo 296 del Trattato, adottata nel 2006178, e messo in luce l’esigenza di disporre di norme comunitarie per l’aggiudicazione degli appalti della difesa prendendo in considerazione la specificità di taluni acquisiti effettuati in questo settore.
Le consultazioni delle parti interessate ha fatto emergere, quindi, la necessità di dare una risposta legislativa a livello europeo a tale problema179.
175 Comunicazione della Commissione, "Le sfide cui deve far fronte l'industria europea legata al settore della difesa: contributo per un'azione a livello europeo", cit.
176 Comunicazione della Commissione europea “Verso una politica dell’Unione europea in materia di equipaggiamenti di difesa”, COM (2003), 113 def.
177 Si v. Comunicazione della Commissione relativa ai risultati della consultazione avviata dal Libro verde sugli appalti pubblici della difesa ed alle future iniziative della Commissione, COM (2005), def. 626 del 6 dicembre 2005.
178 Commissione, “Comunicazione interpretativa sull’applicazione dell’articolo 296 del trattato CE agli appalti pubblici della difesa”, COM (2006), def. 779 del 7 dicembre 2006.
179 X. XXXXXX, Defence Procurement: The New Public Sector Directive and Beyond, in Public Proc. Law Review, n. 4, 2004, pp. 198 ss. e X. XXXXXX, National Models for the Regulation of the Acquisition of Armaments: Towards a European Defence Procurement Code?, cit. L’Autore, già nel 1998, affermava che: “the central element of this integration is the creation of a common set of rules regulating the procurement process similar to the civil procurement directives of the European Union. It is clearly time, however, to start the discussion on a common set of rules to create a single market for defence goods within Europe. Decreasing defence budgets, technological progress and an increasingly competitive US defence industry make the integration of the European defence equipment markets an urgent priority”.
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Il 5 dicembre 2007, nel quadro del pacchetto difesa, la Commissione ha adottato una proposta di direttiva180, che rende più flessibili le regole in materia di aggiudicazione di taluni appalti pubblici di lavori, forniture e servizi nei settori della difesa e della sicurezza.
Tale proposta ha il fine di aumentare l’apertura e la concorrenzialità dei mercati della difesa dell’Unione, al fine di rafforzare la posizione delle PMI ed aiutarle a trovare e presentare offerte per i vari subappalti.
Tale iniziativa dovrebbe limitare il ricorso all’articolo 296 Tr. ai casi eccezionali, come stabilito dalla Corte di giustizia, e valorizzare le azioni già varate dalla Commissione e dall’AED per incoraggiare una maggiore apertura degli appalti pubblici della difesa181.
In particolare, la Commissione precisa che le disposizioni della proposta di direttiva non avranno ripercussioni sulle relazioni commerciali internazionali.
Gli appalti pubblici aggiudicati da amministrazioni che operano nel settore della difesa, vale a dire gli appalti di forniture di armi, di munizioni e di materiale bellico, sono esclusi, infatti, sia dal campo di applicazione del GPA182 che dall’UNCITRAL Model Law. Le autorità aggiudicatrici comunitarie interessate dalla presente proposta conserveranno, dunque, il diritto di decidere se invitare o meno operatori economici di Paesi terzi.
Oltre alla proposta di direttiva, sempre nel 2007, la Commissione ha reso noto l’avvio di una nuova strategia per realizzare un’industria europea della difesa più forte e competitiva183, con particolare attenzione al ruolo ed alle potenzialità delle piccole e medie imprese.
180 Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione di taluni appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi nei settori della difesa e della sicurezza, presentata dalla Commissione, COM (2007), 766 def. La proposta di direttiva si inserisce nel quadro della politica del mercato interno e contribuisce alla realizzazione della PESD ed allo sviluppo della politica industriale europea.
181 Si v. X. XXXXXX, European Union law and defence integration, Oxford, Xxxx publishing, 2005 e X. XXXXXX, N.D. WHITE, European security law, Oxford University Press, 2007.
182 In particolare, gli appalti pubblici nel settore della sicurezza possono essere esonerati caso per caso dall’applicazione del GPA sulla base dell’articolo XXIII (1).
183 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Una strategia per un’industria europea della difesa più forte e competitiva, COM (2007), 764 def. La presente comunicazione riconosce il carattere speciale di tale industria e il suo rapporto particolare con il settore pubblico, ma afferma anche che si può fare molto per liberarne il pieno potenziale. Secondo la Commissione, infatti, vi sono chiari segni che l’industria europea della difesa sia frenata da un quadro politico e giuridico inadeguato.
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L’obiettivo comunitario è quello di contribuire alla costituzione progressiva di un Mercato europeo dei materiali di difesa (European Defence Equipment Market, EDEM) in cui i fornitori stabiliti in uno Stato membro possano servire, senza restrizioni, tutti gli altri Paesi membri184. L’EDEM rappresenta, infatti, uno degli elementi chiave per migliorare la competitività delle industrie europee ed aumentare le opportunità commerciali per le imprese del settore.
Ricapitolando, sulla base degli interventi descritti, è possibile svolgere le seguenti considerazioni.
Attualmente, in mancanza di un esplicito divieto, gli Stati, sia nel mercato internazionale che in quello comunitario, continuano ad avvalersi degli appalti pubblici militari come strumento per perseguire obiettivi interni di politica industriale.
Tuttavia, a livello comunitario, sono state intraprese una serie di iniziative, per il momento ancora solo di soft law, finalizzate alla progressiva creazione di un mercato unico europeo degli appalti pubblici della difesa, sia per rafforzare la competitività dell’industria europea rispetto ai concorrenti internazionali, sia per contribuire alla realizzazione di un’identità comune dell’Ue in materia di politica estera di sicurezza e difesa.
6. Osservazioni conclusive
Giunti al termine dell’indagine, è interessante domandarsi se la disciplina comunitaria attualmente in vigore permetta agli Stati membri di intervenire nella regolazione degli acquisti pubblici per conseguire obiettivi nazionali di politica industriale, quali, ad esempio, la tutela delle piccole e medie imprese.
Sulla base delle considerazioni svolte, la risposta al suddetto quesito è negativa.
La Comunità europea, infatti, sembra non lasciare alcun margine di discrezionalità ai legislatori/amministratori nazionali circa la scelta se inserire o meno considerazioni industriali nelle fasi di selezione ed aggiudicazione delle gare pubbliche.
Tutte le istituzioni comunitarie hanno sempre limitato al minimo la possibilità per gli Stati di utilizzare gli appalti pubblici per scopi industriali, considerando tale ipotesi
000 X. XXXXX, XX Xxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxx, Xxxxx, 0000, p. 470.
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incompatibile con il principio generale di non discriminazione e con il cd. “economic purity principle”185.
Anche in seguito alla nascita di una politica industriale comune, l’Unione europea ha facilitato l’accesso delle PMI agli appalti pubblici, solamente attraverso la diffusione dell’e-procurement e del subappalto, nel rispetto dei principi e delle regole sulla concorrenza.
In nessun caso, pertanto, il diritto comunitario ha rimesso alla discrezionalità degli Stati membri la scelta di riservare quote di appalti pubblici alle PMI locali o di inserire considerazioni industriali tra i criteri di valutazione delle offerte, in quanto ciò sarebbe contrario ai principi generali di non discriminazione e di parità di trattamento.
L’approccio restrittivo delle istituzioni comunitarie ha privato, dunque, gli Stati membri di un importante e tradizionale strumento di valutazione politica.
Nella Comunità europea, pertanto, l’obiettivo della realizzazione del mercato unico, libero e concorrenziale ha prevalso rispetto alle esigenze statali di tutelare le industrie nazionali.
Tuttavia, nonostante l’atteggiamento assunto dalla Comunità europea, alcuni Stati membri tuttora continuano ad avvalersi, in vario modo, del proprio potere di acquisto per conseguire scopi di politica industriale nazionale.
Ad esempio, nel 2006, la Francia ha emanato un nuovo Code des Marchés Publics per recepire le direttive comunitarie nn. 17 e 18 del 2004. Attraverso tale intervento normativo, il legislatore francese ha cercato di rendere più agevole la partecipazione delle piccole e medie imprese nazionali alle commesse pubbliche. In primo luogo, è stata prevista la possibilità, da parte dell'ente aggiudicatore, di poter frazionare la gara in diversi lotti separati, il c.d. appalto lottizzato, allo scopo di favorire la più vasta partecipazione delle PMI. In secondo luogo, è stata inserita la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici francesi di fissare un numero minimo di PMI ammesse a presentare l'offerta e di chiedere ai partecipanti di precisare i lotti che intendono
185 Si v. C. XXXXX, The regulation of Public Procurement as an element in the Evolution of European Economic Law, in European Law journal, 1998 e, sempre dello stesso Autore, The Regulation Public Procurement as an Instrument of Industrial Policy in the Common Market, in X. XXXXXX (ED), European Industrial Policy and Competitiveness: concepts and instruments, 1998.
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subappaltare a società terze186. Recentemente, poi, il Parlamento francese ha approvato la Loi de modernisation de l'économie (LME)187, il cui art. 7 ha introdotto il Patto per le PMI, prevedendo, in via sperimentale per un periodo di cinque anni, la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di riservare quote non superiori al 15% dei loro appalti di servizi elettronici alle PMI nazionali più innovative188.
In realtà, sussistono molte perplessità in merito alla compatibilità con il diritto comunitario della Loi de modernisation de l'économie (LME) francese. Tale normativa, infatti, sembrerebbe porsi in contrasto non solo con le direttive nn. 17 e 18 del 2004 e con i principi generali del Tr. Ce ma anche con gli obblighi internazionali che derivano agli Stati membri dall’appartenenza della Comunità europea al GPA. La Comunità, infatti, al momento dell’adesione, non ha previsto particolari deroghe all’applicazione dell’Accordo.
Tuttavia, il caso francese è la prova evidente che l’esigenza dei Paesi membri di avvalersi del proprio potere di acquisto per intervenire a tutela dell’industria nazionale è ancora molto forte. La soluzione comunitaria non è stata, infatti, considerata idonea a soddisfare le esigenze delle autorità statali, in particolare, se comparata con le discipline adottate in altri contesti giuridici.
Al contrario dell’Unione europea, infatti, le misure elaborate dall’UNCITRAL, dalla WTO e dalla WB hanno tendenzialmente riconosciuto, seppur a determinate condizioni ed in vario modo, la possibilità per i governi nazionali di continuare ad avvalersi degli appalti pubblici per promuovere lo sviluppo dell’industria nazionale o delle piccole e medie imprese locali.
In particolare, l’UNCITRAL Model Law si è dimostrato molto sensibile di fronte all’esigenza, avvertita soprattutto dai Paesi in via di sviluppo, di tutelare con misure protezionistiche le PMI nazionali dalla concorrenza internazionale. Tale modello legislativo è l’unico, infatti, ad aver espressamente previsto la possibilità di inserire le considerazioni industriali anche tra i requisiti di selezione dei partecipanti ed i criteri di valutazione delle offerte. Il nuovo Public Procurement Act, elaborato dalla Nigeria nel
186 Si v. il Code des Marchés Publics pubblicato con decreto n. 975 del 1 agosto 2006 ed entrato in vigore il successivo 1 settembre. Il codice è consultabile on line al seguente indirizzo xxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xxxx.xx/xxxxxxXxxxx.xx?xxxXxxxxxXXXXXXXX000000000000&xxxxXxxxxx
187 Legge pubblicata il 23 luglio 2008.
188 Per maggiori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxx-xxxxxx- pme-innonvates-sba-juillet-2008.html
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2007 sulla base delle indicazioni del Model Law, rappresenta un esempio concreto di come sia possibile per uno Stato in via di sviluppo garantire l’economicità, l’efficienza e la trasparenza degli appalti pubblici e nello stesso tempo “to encourage development of local contractors and manufacturers”189.
Il GPA, invece, si differenzia dal diritto comunitario per aver assunto un approccio restrittivo ma flessibile, lasciando agli Stati un margine considerevole di discrezionalità circa la decisione se inserire deroghe ed eccezioni all’applicazione delle regole dell’Accordo, al fine di perseguire finalità di politica industriale. Così, ad esempio, entrambi i programmi statunitensi che favoriscono la partecipazione agli appalti pubblici delle piccole imprese sono possibili in quanto non rientrano nell’ambito di applicazione delle regole del GPA. Nelle General Notes, gli Stati Uniti hanno, infatti, previsto che: “Notwithstanding the above, this Agreement will not apply to set asides on behalf of small businesses”.
L’esame comparato con altri regimi giuridici ha evidenziato, inoltre, che dalla soluzione comunitaria derivano conseguenze negative per l’industria europea.
Attualmente, ad esempio, le PMI degli Stati membri della Ce usufruiscono di benefici e tutele minori rispetto alle imprese di altri Paesi presenti nel mercato globale.
Si è visto, infatti, che, allo stato attuale, l’Accordo sugli appalti pubblici dell’OMC impedirebbe all’Unione europea ed a tutti gli Stati comunitari di prendere iniziative che favoriscano l’accesso delle PMI ai contratti pubblici, mentre Paesi come gli Stati Uniti ed il Canada beneficiano di una particolare deroga.
Diversi Stati membri (ed, in particolare, la Francia) hanno, pertanto, presentato istanze alla Commissione europea affinché si negozi nell’ambito del GPA un miglior accesso delle piccole e medie imprese al mercato degli appalti pubblici, ad esempio, inserendo anche per l’Ue una deroga all’Accordo che permetta l'adozione di quote riservate alle PMI simili a quelle statunitensi e canadesi.
Gli unici appalti che i Paesi membri della Ce possono, invece, ancora utilizzare per promuovere obiettivi industriali sono quelli militari. Per il momento, infatti, il mercato degli equipaggiamenti della difesa rimane ancora fuori dalle regole comunitarie ed internazionali sugli appalti pubblici.
189 La Banca mondiale ha incentivato la Nigeria ad avvalersi del Model Law elaborato dall’UNCITRAL. Si v. il Country Procurement Assessment Report (CPAR) elaborato dallo staff della WB per la Nigeria il 30 giugno del .2000.
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Tuttavia, proprio nel settore della difesa, è possibile riscontrare un tentativo della stessa Comunità europea di avvalersi degli appalti pubblici per perseguire indirettamente obiettivi di politica industriale.
Infatti, le istituzioni comunitarie ed, in particolare, la Commissione stanno promuovendo la creazione di un Mercato europeo dei materiali di difesa (European Defence Equipment Market, EDEM), non solo al fine di introdurre la concorrenza in questo settore, ma soprattutto per sviluppare la crescita e la competitività dell’industria militare europea e per rafforzare un’identità condivisa dei Paesi membri in materia di politica estera e sicurezza comune.
Attraverso l’introduzione delle regole di evidenza pubblica negli appalti pubblici militari, pertanto, la Comunità europea intende perseguire contemporaneamente sia obiettivi strettamente concorrenziali che politiche economiche più generali a carattere industriale e commerciale, a dimostrazione che non sempre la presenza delle secondary policies costituisce un ostacolo alla realizzazione del mercato unico europeo.
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Capitolo Secondo
GLI APPALTI PUBBLICI E LA POLITICA SOCIALE
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Gli appalti pubblici comunitari come strumenti di politica etico-sociale – 2.1. Il ruolo della Commissione europea – 2.2. Il ruolo della Corte di giustizia – 2.3. Il ruolo del legislatore comunitario – 3. Le scelte comunitarie: fattori interni ed esterni – 3.1. L’evoluzione dell’impegno comunitario in tema di protezione sociale e la Corporate Social Responsibility (CSR) delle imprese – 3.2. Il Sustainable Public Procurement (SPP) – 3.2. Segue: l’influenza Top Down – 3.2. Segue: l’influenza Bottom Up – 4. Gli appalti pubblici come strumenti di politica sociale in altri contesti giuridici – 4.1. L’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services – 4.2. Il Government Procurement Agreement (GPA) – 4.3. Le Linee-guida sugli appalti pubblici della Banca mondiale – 5. Osservazioni conclusive.
1. Premessa
Oltre che per finalità industriali, storicamente, la disciplina degli appalti pubblici è stata utilizzata dai governi nazionali per perseguire obiettivi di politica sociale a beneficio della collettività, complessivamente intesa190.
I primi tentativi di collegare considerazioni di “social justice” con le regole in materia di appalti pubblici hanno avuto origine nel XIX secolo in Inghilterra, negli Stati Uniti ed in Francia.
Il Governo statunitense, infatti, ha da sempre utilizzato il proprio potere di acquisto per contrastare il fenomeno della discriminazione di razza e per giustificare azioni positive a tutela delle minoranze. Ad esempio, nel 1977, in tale Paese, è stato introdotto il Public Works Employment Act, al fine di incentivare le imprese ad assumere lavoratori di colore.
190 Si v. X. XXXXXXXXXX, Public Procurement as an instrument of policy and the impact of market liberalisation, cit., p. 247. Secondo l’Autrice: “public procurement is a valid and valuable tool for the implementation of social policies”.
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Il Regno Unito, a sua volta, si è avvalso degli appalti pubblici per combattere la discriminazione politica e religiosa nell’Irlanda del Nord. Il Fair and Equal Order Northern Ireland (FETO)191 prevedeva, infatti, l’esclusione dai contratti pubblici per le imprese che attuavano pratiche discriminatorie nell’assunzione di personale. Negli anni ‘80 del secolo scorso, sempre in Inghilterra, molte autorità si sono rifiutate di aggiudicare contratti ad imprese che intrattenevano affari con il regime del Sudafrica al tempo dell’apartheid o si sono rifiutate di acquistare materiali prodotti in tale Paese192.
Ovviamente, l’istituzione della Comunità europea ha comportato un forte arresto della regolazione sociale degli appalti pubblici da parte dei governi nazionali.
Secondo la Commissione, infatti, una concorrenza piena e trasparente a livello comunitario garantiva di per sé “un’allocazione efficiente delle risorse, migliorando così la qualità dei contratti pubblici e stimolando la crescita economica, la competitività delle imprese e la creazione dei posti di lavoro”193. Al contrario, l’introduzione di considerazioni etico-sociali, diverse da quelle economiche, non obiettive e variabili a seconda delle diverse sensibilità nazionali, avrebbe potuto snaturare la finalità e la natura degli appalti pubblici, inficiare l’obiettività della valutazione e costituire un modo per aggirare il principio generale di non discriminazione.
Gli Stati membri dell’Ue, pertanto, a seguito dell’entrata in vigore delle prime direttive sugli appalti, sono stati costretti ad abbandonare il ruolo di “regolatore del mercato nazionale per fini sociali”, nel rispetto del diritto comunitario.
Ciò nonostante, con il tempo, sia la Corte di giustizia che la Commissione si sono rese conto dell’incidenza positiva degli appalti pubblici sulle altre politiche comunitarie, ed, in particolare, su quelle dirette a tutelare la sicurezza dei lavoratori ed il rispetto dei diritti umani194.
Inizialmente, le istituzioni comunitarie hanno richiesto alle imprese appaltatrici e subappaltatrici il rispetto dei livelli minimi di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
191 Per maggiori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx.xx/xxxxx/xxxxxxxx/xxxx- employment/fair_employment_and_treatment_(ni)_order.htm
192 Si v. X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX E X. XXXXXXX, Regulating Public Procurement, cit., pp.
296 ss.
193 Si v. Comunicazione della Commissione, COM (1998), 143 def.
194 Si v. C. BOVIS, Social Policy Considerations and The European Public Procurement regime, in
International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations, Summer Issue, 1998.
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Più di recente, invece, la Comunità europea ha iniziato ad interrogarsi sulla possibilità di utilizzare l’appalto pubblico come occasione e strumento per la promozione e l’attuazione di politiche sociali più ampie che, andando oltre la garanzia della regolarità di impiego, perseguano obiettivi di tutela dell’occupazione di soggetti più svantaggiati, di promozione di azioni positive d’integrazione o di divulgazione e rispetto dei diritti umani.
Dato per acquisito il primo, in questa sede interessa esaminare le problematiche relative a quest’ultimo intervento comunitario, ovvero la possibile utilizzazione dell’appalto pubblico come leva di soluzione di problemi sociali del territorio, il c.d. linkage195.
Nel contesto internazionale, infatti, sono numerosi gli Stati che prevedono ipotesi di linkages nella propria normativa interna.
In Malesia, ad esempio, tutt’ora, gli appalti pubblici sono utilizzati come strumenti per la gestione di politiche governative a favore di popolazioni indigene (Bumiputera, letteralmente “sons of the soil”) non in grado di competere con il mercato, in vista dell’obiettivo sociale di creare una classe commerciale media tra la popolazione Bumiputera196. A tal fine, la normativa di questo Paese sugli acquisti pubblici tende a restringere, in modo piuttosto discriminatorio e poco trasparente197, la partecipazione alle gare alle sole ditte indigene, alle quali è riconosciuto un margine di preferenza dal 2,5% al 10%.
In Canada, dal 1996, è attivo un programma governativo, il Procurement Strategy for Aboriginal Business198, finalizzato a promuovere l’integrazione economico-sociale della popolazione aborigena attraverso le procedure di aggiudicazione degli appalti
195 Si v. X. XXXXXXXXX Using public procurement to achieve social outcomes, cit., pp. 257 ss. Secondo l’Autore, il linkage permette allo Stato di “Participating in the market as purchaser and at the same time regulating it through the use of purchasing power to advance social and ethical goals”.
196 X. XXXXXXXXX, Using public procurement to achieve social outcomes, cit.
197 “Malaysia’s official policy is explicitly discriminatory, calling for procurement to be used to support national public policy objectives. These objectives include encouraging greater participation of Bumiputera (ethnic Malays) in the economy, transferring technology to local industries, reducing the outflow of foreign exchange, creating opportunities for local companies in the services sector, and enhancing Malaysia’s export capabilities. Another concern with Malaysian government procurement is the lack of transparency and competitive bidding”, testo tratto dal Rapporto 2007 sugli appalti pubblici in Malesia, disponibile alla pagina xxxx://xxx.xxxxxx.xx.xx/xxxxx/xxxxxxx/Xxxxxxxx_Xxxxxxxxx_Xxxxxx.xxx
198 Per maggiori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxx- xxx.xx.xx/Xxxx_xxx/xxxxxxx/XxxxXxxXxxxxxx/00-0_x.xxx
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pubblici. A tal fine, è prevista la possibilità per tutte le pubbliche amministrazioni di riservare alcune gare di appalto esclusivamente alle imprese locali199.
In Sudafrica, dal 2000, in seguito all’emanazione del Preferential Procurement Policy Framework Act200, le amministrazioni aggiudicatrici possono, nella fase di scelta del contraente, tenere in considerazione aspetti di tutela delle minoranze e di altre categorie di persone svantaggiate201. Con tale atto è stata data attuazione normativa alla previsione contenuta nell’art. 217 della Costituzione sudafricana202, che, così, dispone in materia di appalti pubblici: “(1) When an organ of state in the national, provincial or local sphere of government, or any other institution identified in national legislation, contracts for goods or services, it must do so in accordance with a system which is fair, equitable, transparent, competitive and cost-effective. (2) Subsection (1) does not prevent the organs of state or institutions referred to in that subsection from implementing a procurement policy providing for- (a) categories of preference in the allocation of contracts; and (b) the protection or advancement of persons, or categories of persons, disadvantaged by unfair discrimination. (3) National legislation must prescribe a framework within which the policy referred to in subsection (2) must be implemented”203.
Negli esempi riportati, i vari governi hanno deciso di introdurre nella disciplina nazionale degli appalti pubblici misure discriminatorie per agevolare lo sviluppo e
199 Ad esempio, il governo del Manitoba prende in considerazione alcune questioni sociali, come garantire le pari opportunità alle minoranze etniche, nel procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico. Per maggiori informazioni, si visiti il sito xxxx://xxx.xxx.xx.xx/xxx/xxx/xxx/xx_xxxx.xxxx
200 Il testo è consultabile alla pagina xxxx://xxx.xxxx.xx.xx/xxxx_xxx/xxxxx.xxx. In particolare, si v. l’art. 2. Framework for implementation of preferential procurement policy, secondo il quale: “1) An organ of state must determine its preferential procurement policy and implement it within the following framework......d) the specific goals may include contracting with persons, or categories of persons, historically disadvantaged by unfair discrimination on the basis of race, gender or disability; e) any specific goal for which a point may be awarded, must be clearly specified in the invitation to submit a tender; f) the contract must be awarded to the tenderer who scores the highest points, unless objective criteria in addition to those contemplated in paragraphs (d) and (e) justify the award to another tenderer; and g) any contract awarded on account of false information furnished by the tenderer in order to secure preference in terms of this Act, may be cancelled at the sole discretion of the organ of state without prejudice to any other remedies the organ of state may have. 2) Any goals contemplated in subsection 1(e) must be measurable, quantifiable and monitored for compliance”.
201 X. XXXXXXXXX, Using public procurement to achieve social outcomes, cit., p. 261.
202 Il testo della Costituzione è consultabile alla pagina xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xxxx/xxxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxx.xxx
203 L’utilizzo degli appalti pubblici come strumento di politica sociale è particolarmente diffuso nei Paesi in via di sviluppo ed in quelli che hanno una lunga storia di emarginazione, come il Sudafrica.
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l’integrazione sociale di alcune minoranze etniche o per incentivare la tutela dei diritti umani e le pari opportunità.
È interessante, pertanto, analizzare se ed in quale modo, anche nel contesto giuridico comunitario, gli Stati membri possano, attualmente, bilanciare gli interventi finalizzati a migliorare le condizioni di vita e di lavoro con il rispetto delle regole sulla libera concorrenza nel mercato unico. In sostanza, quale è l’attuale posizione della Comunità europea circa l’utilizzo degli appalti pubblici come strumenti di politica sociale?
Lo studio è svolto da una duplice angolazione. Da un lato, si analizzano le regole, introdotte dal regime comunitario, circa l’utilizzo da parte dei governi nazionali degli appalti pubblici per scopi etico-sociali. Dall’altro, si esamina se ed, eventualmente, attraverso quali modalità il diritto comunitario sia riuscito ad utilizzare gli appalti pubblici come strumenti per perseguire indirettamente una politica sociale europea.
A tale fine, il lavoro è diviso in quattro parti.
Nella prima, si analizza, attraverso lo studio delle comunicazioni della Commissione, della giurisprudenza della Corte di giustizia e della normativa europea, l’incessante dialettica che si è sviluppata in ambito comunitario in merito alla possibilità di integrare considerazioni etico-sociali nella disciplina degli appalti pubblici, in contrasto con la logica della pura regolazione economica dei mercati.
Nella seconda, si descrivono, a grandi linee, i fattori interni ed esterni che possono aver influenzato, positivamente o negativamente, le scelte comunitarie circa l’utilizzo dell’appalto pubblico come strumento di politica sociale.
Nella terza, si analizza, al fine di compararlo con quello comunitario, il ruolo svolto dalle considerazioni etico-sociali negli appalti pubblici regolati dall’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Construction and Services, dal Government Procurement Agreement (GPA) e dalle Linee-guida elaborate dalla Banca mondiale.
Nella quarta, si tenta di rispondere ai seguenti interrogativi: il diritto comunitario lascia un margine di discrezionalità ai legislatori nazionali circa la scelta se inserire o meno considerazioni sociali nelle procedure di acquisto pubbliche? In caso affermativo, come si concilia questo obiettivo con i principi comunitari generali di trasparenza, non discriminazione e libera concorrenza, da sempre posti alla base della disciplina comunitaria degli appalti pubblici? In che modo, la Comunità europea è riuscita a
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bilanciare interessi comunitari meramente economici, quali la libera concorrenza, con altre politiche comuni a carattere più generale, come la tutela dei lavoratori, dei disabili, delle minoranze etniche, etc.? Come è avvenuto il suddetto bilanciamento in altri regimi giuridici, che disciplinano gli appalti pubblici a livello internazionale?
Una particolare riflessione è svolta, infine, sul modo con il quale la Comunità europea ed i suoi Stati membri, in quanto parti del Government Procurement Agreement (GPA), potranno integrare considerazioni etico-sociali nella disciplina degli appalti pubblici senza porsi in contrasto con le finalità strettamente commerciali ed economiche perseguite dalla World Trade Organization (WTO).
2. Gli appalti pubblici comunitari come strumenti di politica etico-sociale
A partire dalla fine degli anni ‘80 del secolo scorso, le istituzioni europee hanno iniziato ad interrogarsi sulla possibilità di utilizzare gli appalti pubblici come leva di soluzione di problemi etici e sociali a carattere generale.
Tale questione ha suscitato un vivace ed acceso dibattito all’interno della Comunità europea. A tal fine, è interessante analizzare i differenti orientamenti istituzionali che sono emersi, a favore o contro, l’inserimento di obiettivi, criteri e parametri sociali all’interno dei procedimenti di aggiudicazione dei contratti pubblici.
2.1. Il ruolo della Commissione europea
Al fine di comprendere il ruolo svolto dalla Commissione europea, è necessario ripercorrere brevemente una serie di interventi di soft law, nei quali la stessa ha affrontato il tema dell’integrazione economica e sociale nello specifico settore dei contratti pubblici.
A partire dal 1989, con la Comunicazione sugli aspetti regionali e sociali204, tale istituzione ha iniziato a riconoscere l’importanza per gli Stati membri di conciliare obiettivi di tutela sociale, da un lato, e quelli relativi agli appalti pubblici equi ed efficienti nel mercato interno, dall’altro.
Nel Libro Verde del 1996, la Commissione ha riconosciuto che: “gli acquisti pubblici possono effettivamente costituire un significativo mezzo di orientamento per l’azione degli operatori economici”. Tuttavia, la stessa escludeva categoricamente,
204 Comunicazione della Commissione, COM (1989), 400 def., adottata il 22 settembre 1989. Si v., in particolare, il punto 48.
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citando impropriamente la sentenza Beentjes205, che valutazioni sociali, di natura non economica, potessero rilevare nella fase di selezione dei contraenti e di valutazione delle offerte206.
Due anni dopo, nel Libro Bianco “Gli appalti pubblici nell’Unione Europea” 207, tale istituzione ha ribadito l’importanza di armonizzare la disciplina degli appalti con la politica sociale, incoraggiando “le amministrazioni e gli enti aggiudicatori ad attuare i vari aspetti della politica sociale nel quadro dell’aggiudicazione dei loro appalti”, nel rispetto dei principi comunitari di non discriminazione e trasparenza.
Successivamente, la Commissione ha assunto un atteggiamento più sensibile nei confronti di tale problematica, anche a seguito dell’Agenda della politica sociale, adottata in occasione del Consiglio di Nizza del 2000208.
Tuttavia, solamente con la comunicazione interpretativa del 2001209, la Commissione è arrivata a fornire precise indicazioni ai legislatori/amministratori nazionali, interessati agli acquisti pubblici sostenibili, su dove e come poter inserire determinate considerazioni sociali nella procedura ad evidenza pubblica, nel rispetto del diritto comunitario (all’epoca vigente).
Nella comunicazione, infatti, vengono descritte le diverse fasi della procedura di aggiudicazione di un appalto ed esaminate, per ciascuna di esse, secondo quali modalità possono essere presi in considerazioni gli aspetti sociali, garantendo allo stesso tempo un buon utilizzo del denaro ed un accesso paritario a tutti i fornitori comunitari.
La ratio dell’intervento della Commissione è la seguente: anche se non esiste una disposizione specifica concernente il perseguimento di obiettivi di politica sociale nel quadro della procedura di aggiudicazione di appalti, il diritto comunitario può offrire numerose possibilità ai committenti pubblici desiderosi di realizzare tale scopo.
205 Per un commento alla sentenza, si v. il paragrafo successivo.
206 Libro Verde “Gli appalti pubblici nell’Unione europea. Spunti di riflessione per il futuro”, COM (1996), 583 def., adottato dalla Commissione il 27.11.1996, p. 5.43.
207 Comunicazione della Commissione, “Gli appalti pubblici nell’Unione europea”, Bruxelles, COM (1998), 143 def., dell’11.03.1998.
208 “Verso una nuova agenda per la politica sociale”, COM (2000), 379 def., del 28.06.2000.
209 Si tratta della Comunicazione su “Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare aspetti sociali”, COM (2001), 566 def., del 15.10.2001. L’espressione “aspetti sociali”, utilizzata dalla Commissione, può indicare, al contempo, misure che garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali, dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e, da ultimo, le cosiddette “clausole preferenziali”, ovvero azioni o discriminazioni positive nel quadro della lotta alla disoccupazione o all’esclusione sociale.
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Nella comunicazione, si precisa, innanzitutto, che le amministrazioni aggiudicatrici possono inserire criteri sociali in sede di definizione dell’oggetto dell’appalto e delle specifiche tecniche, nella fase di selezione dei candidati ed in quella di esecuzione del contratto.
Secondo la Commissione, infatti, nel rispetto della normativa vigente, gli enti aggiudicatori possono: “definire l’oggetto dell’appalto, ovvero le definizioni alternative di tale oggetto attraverso il ricorso a varianti, nel modo che essi ritengono meglio rispondente alle proprie esigenze in materia sociale, a condizione che tale scelta non dia luogo a restrizioni di accesso all’appalto in questione, a danno degli offerenti di altri Stati membri”; nonché, “esigere in determinati casi un grado di protezione sociale più elevato di quello previsto dalla legge o dalle norme, a condizione che tale prescrizione non limiti l’accesso all’appalto e non conduca ad una discriminazione a scapito dei partecipanti”. Per fare questo, essi possono “definire le specifiche tecniche a connotazione sociale”, nell’oggetto o nel capitolato dell’appalto, anche richiedendo specifiche prestazioni, idonee a garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sul cantiere.
Per quanto riguarda la fase di selezione, la Commissione ricorda, inoltre, che le direttive comunitarie sugli appalti pubblici consentono l’esclusione di candidati “che violano le normative sociali” 210. Da una parte, infatti, è prevista l’esclusione di un offerente “il quale non abbia adempiuto agli obblighi riguardanti il pagamento dei contributi di sicurezza sociale conformemente alle disposizioni legislative del paese in cui è stabilito o di quello dell’amministrazione”211. Dall’altra, le direttive negano la partecipazione ad un appalto a qualunque candidato,“il quale sia stato condannato per un reato relativo alla condotta professionale, con sentenza passata in giudicato” o “il quale si sia reso responsabile di gravi violazioni dei doveri professionali, provate con qualsiasi elemento documentabile dall’amministrazione”212.
210 Ad esempio, in Spagna, la violazione della legislazione sull’impiego dei disabili costituisce una colpa professionale grave e può determinare l’esclusione dell’offerente in questione. In Francia, una condanna per violazione del divieto di impiegare lavoratori clandestini può comportare, in virtù dell’articolo L 362-6.2 del codice del lavoro, l’esclusione temporanea (per cinque anni o più) ovvero definitiva dalla partecipazione ad appalti pubblici.
211 Si v. gli articoli 20 e) della direttiva 93/36/Cee, 24 e) della direttiva 93/37/Cee, cui fa riferimento l’articolo 31.2 della direttiva 93/38/Cee e l’articolo 29 e) della direttiva 92/50/Cee.
212 Si v. gli articoli 20 c) e d) della direttiva 93/36/Cee, 24 c) e d) della direttiva 93/37/Cee, cui fa riferimento l’articolo 31.2 della direttiva 93/38/Cee e l’articolo 29 c) e d) della direttiva 92/50/Cee.
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Per quanto riguarda, invece, la fase di valutazione delle offerte, la Commissione afferma che le considerazioni sociali, pur non rientrando tra i criteri di aggiudicazione espressamente indicati nelle direttive (all’epoca in vigore), possono essere prese in considerazione dalle amministrazioni aggiudicatrici, seppur a determinate condizioni.
Infatti, per poter concorrere a determinare l’offerta economicamente più vantaggiosa, gli aspetti sociali devono essere ricollegabili all’oggetto del contratto ed apportare un vantaggio economico a diretto beneficio dell’amministrazione aggiudicatrice.
Inoltre, sempre secondo la Commissione, le amministrazioni aggiudicatrici possono fondarsi sui criteri sociali solo in via secondaria, ovvero soltanto nel caso in cui l’ente aggiudicatore si trovi di fronte a due o più offerte economicamente equivalenti (la teoria del c.d. “criterio addizionale”).
Tuttavia, è soprattutto nella fase di esecuzione, vale a dire successivamente all’aggiudicazione, che un appalto pubblico può costituire un utile strumento di politica sociale. In questa fase, infatti, le amministrazioni sono libere di imporre al titolare del contratto l’osservanza di specifiche clausole contrattuali aventi ad oggetto, ad esempio, misure a favore di alcune categorie di persone o azioni positive per l’occupazione213.
Sono, invece, incompatibili con le direttive comunitarie le quote di appalti riservate a determinati fornitori, le preferenze di prezzo214, i criteri in base ai quali gli offerenti devono assumere un certa categoria di persone o devono varare un programma di promozione delle pari opportunità. L’applicazione di tali criteri è, inoltre, ritenuta incompatibile anche con gli impegni assunti dagli Stati membri nell’Accordo sugli appalti pubblici (GPA) stipulato nell’ambito della WTO.
213 L’amministrazione aggiudicatrice dispone di un’ampia gamma di possibilità per la definizione di clausole contrattuali in materia sociale. Ad esempio, l’amministrazione potrebbe imporre come condizioni sociali: l’obbligo di assumere disoccupati, in particolare di lunga durata, o di introdurre azioni di formazione per disoccupati o giovani in sede di adempimento della prestazione; l’obbligo di realizzare, con riferimento all’esecuzione della prestazione, misure atte a promuovere le pari opportunità tra uomini e donne o la diversità etnica o razziale; l’obbligo di rispettare nel merito le disposizioni delle convenzioni fondamentali dell’OIL sul luogo di esecuzione della prestazione qualora queste non siano ancora integrate nel diritto nazionale; l’obbligo di assumere, nel quadro dell’esecuzione dell’appalto, un numero di persone disabili superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale dello Stato membro in cui ha luogo l’esecuzione dell’appalto, o di quello del titolare del contratto.
214 Ipotesi nella quale alcune categorie di offerenti beneficiano di una preferenza di prezzo per cui l’offerta presentata da A, sebbene superiore a quella di B, viene considerata equivalente a quella di B a condizione che A applichi una determinata politica sociale, ad esempio, una politica attiva a favore delle donne.
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Ricapitolando, a partire dagli anni ‘90 del XX secolo, attraverso gli atti esaminati, la Commissione ha cercato di conciliare obiettivi di tutela etico-sociale, da un lato, e quelli relativi agli appalti pubblici equi ed efficienti nel mercato interno, dall’altro.
In linea generale, è possibile affermare che la Commissione abbia riconosciuto la possibilità per gli Stati membri di inserire determinate considerazioni sociali in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, tranne in quella di valutazione delle offerte.
In questa fase, infatti, la massima apertura della Commissione è stata quella di permettere alle amministrazioni nazionali di inserire gli aspetti sociali tra i “criteri addizionali”, idonei a determinare “l’offerta economicamente più vantaggiosa” solo se in possesso delle seguenti due condizioni: collegamento con l’oggetto del contratto e vantaggio economico per l’amministrazione aggiudicatrice.
E’ evidente, pertanto, la propensione di tale istituzione comunitaria ad ancorare l’aggiudicazione degli appalti pubblici a criteri prettamente economici.
Una dimostrazione concreta dell’atteggiamento restrittivo e prudente assunto dalla Commissione è data, ad esempio, dalla decisione della stessa di deferire la Spagna alla Corte di Giustizia sul decreto 213/1998 della Comunità Autonoma di Madrid, che obbliga le autorità contraenti ad inserire tra i criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa anche la stabilità dell’occupazione tra i dipendenti dell’impresa offerente.
Secondo la Commissione, infatti, il decreto spagnolo non rispetta le condizioni richieste dalla comunicazione interpretativa del 2001. In particolare, tale decreto obbliga le autorità contraenti a tener conto della stabilità dei posti di lavoro, indipendentemente da ogni legame di tale criterio sociale con l’oggetto specifico dell’appalto in questione215.
Del resto, l’atteggiamento cauto tenuto dalla Commissione è giustificato anche dal carattere non vincolante, ma meramente esplicativo e di indirizzo dei suoi interventi in materia, qualificabili come atti di soft law. Questa istituzione, infatti, anche volendo, non avrebbe potuto proporre soluzioni in contrasto con il regime normativo all’epoca esistente in ambito comunitario ed internazionale216.
215 Maggiori informazioni sono disponibili al seguente indirizzo, xxxx://xxxxxx.xx.xxx/xxxx/xxxxxxxxxxx_xxxxxxx/xxx/xxxxx_xxx/xxxxx_xx.xxx
216 Si v. la Comunicazione del 2001, cit., in cui la Commissione afferma “L’introduzione di altre possibilità, e, in particolare, l’applicazione di prassi che superino le regole attualmente contenute nelle direttive sugli appalti pubblici richiederebbe l’intervento del legislatore comunitario” ed ancora, “In
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Oltre alla Commissione, anche il Comitato economico e sociale217 ed il Comitato delle regioni sono intervenuti nel dibattito con una serie di pareri favorevoli all’integrazione di considerazioni sociali nella disciplina degli appalti pubblici. In particolare, il CES ha sottolineato più volte la possibilità di promuovere l’impiego di persone disabili attraverso l’inserimento di clausole sociali all’interno dei contratti pubblici e di intervenire per rendere la normativa comunitaria sugli appalti più compatibile con gli obiettivi di un’economia sostenibile. Tali interventi, anche se non vincolanti, sono importanti, in quanto dimostrano il crescente interesse di tutte le istituzioni comunitarie verso questa problematica.
2.2. Il ruolo della Corte di giustizia
Ancor prima della Commissione, l’istituzione comunitaria che si è pronunciata sui possibili modi di conciliare la politica in materia di appalti pubblici con la tutela sociale è stata la Corte di giustizia.
Il giudice comunitario ha avuto la possibilità di concorrere all’evoluzione della politica sociale in occasione di pronunce relative a materie e controversie tra loro molto eterogenee218. Quello che in questa sede interessa analizzare è il ruolo svolto dalla Corte nelle situazioni di conflitto tra il principio di concorrenza e l’esigenza degli Stati membri di perseguire determinate finalità sociali di interesse generale, che il solo sistema di mercato non è capace di tutelare adeguatamente.
Queste pronunce manifestano l’attenzione del giudice per un complesso di interessi sociali, di cui è portatrice la collettività nella sua interezza, che non possono essere valutati economicamente e che sono strettamente correlati al tipo di società sostenibile che l’ordinamento giuridico europeo intende promuovere.
Nella giurisprudenza comunitaria, il leading case in materia è rappresentato da una sentenza del 1988, il caso Beentjes219.
presenza di elementi tali da far ritenere che l’attuale regime degli appalti pubblici non consente di tenere adeguatamente conto degli aspetti sociali, sarebbe necessario apportare delle modifiche alle direttive sugli appalti pubblici”.
217 Si v. i pareri del Comitato economico e sociale, “L’economia sociale ed il mercato unico”, 2000 e “Equal opportunities for people with disabilities: A European action plan”, 2003.
218 X. XXXXXXX, EC Social Policy, in X. XXXXX and X. XX XXXXX (Eds), The Evolution of EU Law, Oxford University Press, 1999, pp. 479 ss.
219 Corte di giust., 20 agosto 1988, Beenjes c. Netherlands State, in causa 31/87. Per un commento, si v. X. XXXXX, The European Employment Strategy and the ‘Acquis Communitaire’ of Labour Law, in
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Tale pronuncia rappresenta, infatti, la prima occasione in cui la Corte di giustizia si è espressa in merito all’ammissibilità di considerazioni non strettamente economiche quali criteri di aggiudicazione degli appalti comunitari.
La lite, insorta tra l’impresa Beentjes BV ed il Ministero dell’agricoltura e della pesca dei Paesi Bassi, verteva sull’aggiudicazione di un appalto di lavori pubblici indetto nell’ambito di un progetto di ricomposizione fondiaria. La società olandese lamentava di aver subito un danno per essere stata esclusa dalla gara, pur avendo presentato l’offerta più bassa, a vantaggio di un’impresa che aveva proposto il prezzo immediatamente superiore.
L’autorità giudiziaria olandese ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte alcune questioni interpretative, tra cui, in particolare, quella di stabilire se il diritto comunitario consenta o meno di escludere un offerente in base alla circostanza che quest’ultimo non sembri in grado di provvedere all’impiego di disoccupati stabili.
In particolare, tale ultima condizione era espressamente formulata nel bando di gara e dava quindi l’opportunità alla Corte di esprimersi in merito all’ammissibilità di una condizione in materia di lotta alla disoccupazione locale nell’ambito della procedura di aggiudicazione di un appalto comunitario.
E’ interessante ripercorrere le tappe del ragionamento svolto dal giudice.
In primo luogo, la Corte di giustizia ha affrontato la spinosa questione circa la qualificazione di un criterio nuovo, l’impiego di disoccupati di lunga durata, precisando che quest’ultimo, non essendo classificabile tra i criteri per l’accertamento dell’idoneità economica, finanziaria e tecnica degli offerenti, doveva rientrare tra quelli di valutazione delle offerte220.
In secondo luogo, il giudice comunitario si è interrogato in merito alla compatibilità o meno di un tale criterio di aggiudicazione con il diritto comunitario. Per essere compatibile con la normativa europea degli appalti pubblici, una condizione del genere “deve rispettare tutte le pertinenti disposizioni del diritto comunitario ed, in particolare, i divieti connessi ai principi sanciti dal Trattato in materia di diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi”221, e la sua applicazione deve aver luogo
The International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations, vol. 17/3, 2001, pp. 309 ss.
220 Corte di giust., Xxxxxxxx, cit, par. 28.
221 Corte di giust., Xxxxxxxx, cit, par. 29.
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“nel rispetto di tutte le norme procedurali della direttiva e, in particolare, delle disposizioni di questa in materia di pubblicità”222.
In sostanza, un criterio di aggiudicazione come quello dell’impiego di disoccupati stabili è legittimo nella misura in cui non produca effetti discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti di offerenti provenienti da altri Stati membri della Comunità223. Infine, in ossequio al principio di pubblicità, tale criterio sociale deve essere espressamente indicato nel bando, per essere portato a conoscenza dei partecipanti già nella fase di indizione della gara224.
La sentenza presenta, quindi, una notevole importanza, in quanto costituisce l’inizio dell’introduzione di considerazioni di carattere sociale nell’ambito della normativa in materia di appalti pubblici, fino a quel momento saldamente ancorata a criteri di aggiudicazione strettamente economici. In particolare, con la sentenza Xxxxxxxx, la Corte ha aperto la strada all’introduzione di criteri sostenibili anche nella fase di valutazione delle offerte.
Successivamente, nella causa Nord Pas de Calais225 del 2000, i giudici di Lussemburgo, chiamati a pronunciarsi di nuovo sull’ammissibilità o meno del criterio relativo alla lotta contro la disoccupazione, hanno ribadito l’orientamento affermato in precedenza.
Il caso di specie riguardava un ricorso alla Corte proposto dalla Commissione ai sensi dell’art. 000 Xx. Xx e diretto a far constatare che, in occasione delle diverse procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori relativi alla costruzione e manutenzione di edifici scolastici indette dalla Regione Nord Pas de Calais, la Repubblica francese era venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dal Trattato e dalla direttiva comunitaria in materia di appalti di lavori.
In particolare, per ciò che qui interessa, veniva contestata la violazione dell’art. 30 della direttiva 93/37, per avere l’amministrazione aggiudicatrice fatto riferimento in
222 Corte di giust., Xxxxxxxx, cit, par. 31. Nel caso in esame, la condizione dell’impiego di disoccupati stabili costituiva oggetto di specifiche clausole del capitolato d’oneri ed era espressamente menzionata nel bando di gara pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Comunità europea.
223 C. XXXXX, Recent case law relating to public procurement: a beacon for the integration of public markets, in Common Market Law Review, 2002, p. 1051.
224 C. XXXXX, Public Procurement in the European Union: A Critical Analysis of the New Regime, in Legal Issues of Economic Integration, 2006, p. 43.
225 Corte di giust., 26 settembre 2000, Commissione c. Repubblica francese, in causa C-225/98.
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alcuni bandi di gara ad un criterio connesso alla lotta contro la disoccupazione come criterio di aggiudicazione.
Nel proprio ricorso, la Commissione sosteneva che l’introduzione di una condizione relativa all’occupazione poteva essere considerata compatibile con il diritto comunitario solamente come clausola di esecuzione del contratto, ai sensi della precedente sentenza Xxxxxxxx, e non, come nel caso di specie, quale criterio di aggiudicazione della gara226. Anche l’opinione dell’Avvocato generale era in linea con la teoria della Commissione227.
La Corte, invece, ha nettamente bocciato le argomentazioni della ricorrente e le conclusioni dell’Avvocato ed, interpretando correttamente il proprio precedente, ha precisato che la condizione legata all’occupazione di disoccupati di lungo periodo, al centro della citata sentenza Beentjes228, era servita come base per escludere un offerente e, pertanto, poteva costituire solo un criterio di aggiudicazione dell’appalto e non una clausola di esecuzione229.
Chiarito questo punto, il giudice comunitario ha riaffermato il seguente principio generale: le amministrazioni aggiudicatrici nella valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa possono ricorrere ad un criterio di aggiudicazione non economico, come la lotta contro la disoccupazione, “ammesso che una siffatta condizione rispetti tutti i principi fondamentali del diritto comunitario, in particolare, il principio di non discriminazione”230 e sia “espressamente menzionata nel bando di gara”231.
La pronuncia in oggetto riveste una notevole importanza sotto due punti di vista.
Innanzitutto, tale sentenza mette direttamente a confronto le diverse opinioni sostenute dalle due istituzioni comunitarie, in relazione alla possibilità di inserire criteri non economici nella fase di valutazione delle offerte. Da una parte, si evidenzia la posizione della Commissione, attenta a salvaguardare l’oggettività e l’economicità delle procedure di aggiudicazione degli appalti; dall’altra, quella della Corte di giustizia, più
226 Corte di giust., Commissione c. Repubblica francese, cit, par. 46.
227 Conclusioni 14 marzo 2000, C-225/98, par. 43-49. Infatti, l’A.G. riteneva che “the employment condition imposed by the French authorities was invalid, as it had not assumed the character of a performance criterion”.
228 Corte di giust., Xxxxxxxx, cit, par. 14. Nella sentenza si parla, infatti, di “impossibilità, da parte dell’imprenditore, di impiegare disoccupati stabili, come motivo di esclusione dell’offerente dalla gara”.
229 Corte di giust., Commissione c. Repubblica francese, cit, par. 52. 230 Corte di giust., Commissione c. Repubblica francese, cit, par. 50. 231 Corte di giust., Commissione c. Repubblica francese, cit, par. 51.
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aperta e sensibile alla tutela di diverse iniziative sociali, come, nel caso di specie, il sostegno ai lavoratori disoccupati.
In secondo luogo, è significativo che, nella successiva Comunicazione del 2001, proprio questa sentenza sia stata utilizzata dalla Commissione per diffondere la teoria dei c.d. “criteri aggiuntivi”.
In effetti, nella controversia Nord Pas de Calais, il governo francese si era difeso affermando che la condizione connessa alla lotta contro la disoccupazione era stata considerata solamente come un criterio secondario ed accessorio, non determinante ai fini della scelta del contraente232. Di conseguenza, la Commissione ha utilizzato la difesa del governo francese per elaborare la teoria del “criterio addizionale”, secondo la quale le amministrazioni aggiudicatrici si possono basare su un criterio di aggiudicazione non economico soltanto nel caso in cui si trovino di fronte a due, o più, offerte che siano economicamente equivalenti, rispetto alle quali il requisito sociale rappresenta un quid pluris. In altre parole, secondo la Commissione, i criteri sociali possono essere utilizzati nella fase di aggiudicazione non come criteri primari ma solamente come “accessory criterion that is not decisive” 233.
In realtà, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, la Corte, nelle sentenze analizzate, ha voluto esprimere un principio più generale di equiparazione del criterio sociale agli altri espressamente previsti dalle direttive comunitarie. Secondo il giudice, infatti, l’impiego di persone disoccupate non è una “additional specific condition” ma un vero e proprio criterio di aggiudicazione, al pari di quelli economici.
Anche i due requisiti, ovvero il collegamento diretto con l’oggetto del contratto ed il beneficio economico a diretto vantaggio dell’amministrazione aggiudicatrice, richiesti dalla Commissione nel 2001 ai fini della compatibilità del criterio sociale con il diritto comunitario, contrastano con il ragionamento svolto dalla Corte di giustizia.
Nella sentenza Commissione/Francia, il giudice comunitario ha dichiarato che la considerazione sociale relativa all'impiego di disoccupati poteva costituire un criterio di aggiudicazione valido, fatte salve le due limitazioni del rispetto del principio di non
232 Corte di giust., Commissione c. Repubblica francese, cit, par. 56.
233 Si v. X. XXXXX, EU Public Procurement Takes on a Greener Hue, cit., p. 3. Secondo l’Autore: “The Commission has argued that Nord-Pas de Calais only established that social criteria can be used as a tiebreak, if the bidders are neck and neck on the other criteria. This interpretation makes little sense: bidders will rarely be absolutely neck and neck, and if they are not absolutely neck and neck, any social consideration tiebreak will take effect as a criterion like any other”.
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discriminazione e di quello di trasparenza e pubblicità della gara. Lo stesso è avvenuto per la sentenza Xxxxxxxx. Xxxxxx, in entrambi i casi si trattava di appalti di lavori. Questi lavori avrebbero potuto essere eseguiti anche da non disoccupati. La condizione imposta, pertanto, non era connessa all'oggetto dell’appalto, vale a dire alle caratteristiche dei lavori da eseguire, e ciò nonostante è stata considerata dalla Corte valida e compatibile con la normativa comunitaria degli appalti pubblici.
Inoltre, sempre nei casi Xxxxxxxx e Nord Pas-de Calais, la Corte ha riconosciuto come lecita l’integrazione di un criterio non economico a tutela dell'interesse generale tra i criteri di attribuzione di un appalto pubblico, a prescindere dalla sussistenza o meno di un risparmio economico per l’amministrazione. Del resto, l’idea che criteri sociali a tutela dell’interesse generale possano figurare tra i criteri per l’attribuzione di un appalto risponde ad una certa logica. Infatti, dal momento che le pubbliche amministrazioni per loro natura sono chiamate a tutelare l’interesse generale, quest’ultimo deve poterle ispirare anche quando esse concludono un contratto pubblico.
Di conseguenza, anche il requisito del beneficio in termini economici richiesto dalla Commissione non sembra essere supportato da argomentazioni logico-giuridiche.
Ora è vero che nella sentenza Xxxxx Medical e Xxxxxxxxx Xxxxx, la Corte ha dichiarato che “la scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa lascia alle amministrazioni aggiudicatrici la decisione sui criteri di attribuzione dell'appalto che intendono adottare, purché questa decisione verta unicamente su criteri rivolti a identificare l’offerta economicamente più vantaggiosa”234.
Tuttavia, dal fatto che spetta all’amministrazione individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa non si può dedurre che ciascun criterio di aggiudicazione per essere compatibile con il diritto comunitario debba obbligatoriamente essere di tipo economico o possedere tale dimensione.
Infatti, la normativa comunitaria degli appalti pubblici prevede, per esempio, che l’autorità aggiudicatrice possa includere tra i criteri dell’offerta economicamente più vantaggiosa anche le “caratteristiche estetiche” di un prodotto. Xxxxxx, è ovvio che a meno di interpretare il termine “economico” in modo estremamente ampio, un criterio estetico difficilmente possiede tale carattere. A maggior ragione, non si comprende come esso possa procurare un diretto vantaggio economico all’autorità aggiudicatrice.
234 Corte di giust., 28 marzo 1995, in causa C-324/93, par. 42.
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Non sembra, pertanto, giustificato il fatto che a livello comunitario si possa ammettere un criterio di tipo sociale negli appalti pubblici solo qualora esso presenti un vantaggio economico per l’entità aggiudicatrice interessata. Un siffatto criterio, al contrario, dovrebbe considerarsi lecito anche quando presenti benefici per la collettività in generale.
Occorre considerare, inoltre, che per qualsiasi amministrazione aggiudicatrice sarebbe particolarmente complicato, se non addirittura impossibile, adottare un criterio sociale di aggiudicazione che sia collegato con l’oggetto del contratto e che apporti un vantaggio economico alla stessa amministrazione.
Recentemente, poi, la Corte si è pronunciata in merito alla possibilità di richiedere il rispetto di alcuni valori sociali nella fase di esecuzione del contratto235.
In particolare, la questione sollevata dal giudice tedesco con il rinvio pregiudiziale ha costretto ancora una volta la Corte a soppesare, da una parte, il libero mercato, e dall’altra, gli imperativi relativi alla tutela dei lavoratori ed alla prevenzione del dumping sociale236.
Tale pronuncia è sorta nell’ambito di una controversia, avente ad oggetto la risoluzione di un contratto di appalto di lavori stipulato tra una società ed il Land della Bassa Sassonia.
Nell’autunno 2003, in esito ad una gara, il Land tedesco ha attribuito ad una società un appalto di lavori per la costruzione di un istituto penitenziario. Il contratto conteneva un accordo relativo al rispetto delle disposizioni del contratto collettivo in occasione dell’esecuzione dei lavori. Inoltre, la società si impegnava a far rispettare tale accordo anche ai subappaltatori. La mancata osservanza di tale obbligo giustificava la risoluzione immediata del contratto da parte dell’ente pubblico aggiudicatore.
Nell’estate del 2004, una società subappaltatrice dell’aggiudicataria è stata sospettata di avere impiegato, in cantiere, manodopera polacca cui sarebbe stata corrisposta una retribuzione inferiore a quella prevista dal contratto collettivo
235 Corte di giust., 3 aprile 2008, in causa X-000/00, Xxxxxxxxxxxx c. Land Niedersachsen. Si v., in particolare, le Conclusioni dell’Avvocato Generale Xxxx Xxx presentate il 20 settembre 2007.
236 In sostanza, il giudice nazionale ha chiesto alla Corte di chiarire se “il diritto comunitario debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che impone agli aggiudicatari e, indirettamente, ai loro subappaltatori, di corrispondere ai lavoratori distaccati nell’ambito dell’esecuzione di un appalto pubblico, come minimo, la retribuzione prevista dal contratto collettivo applicabile nel luogo di esecuzione della prestazione, a pena di sanzioni che possono arrivare fino alla risoluzione del contratto d’appalto”.
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applicabile. A seguito di tale indagine, il Land ha risolto il contratto di appalto, sostenendo che la società aveva violato il suddetto obbligo contrattuale.
Secondo l’opinione dell’Avvocato generale, l’impegno di corrispondere ai dipendenti per lo meno la retribuzione prevista dal contratto collettivo applicabile nel luogo di realizzazione dei lavori, nonché di far rispettare tale obbligo al subappaltatore, costituisce una condizione di esecuzione dell’appalto.
Nelle conclusioni, l’A.G. ribadiva il precedente orientamento della Corte di giustizia, ovvero che una tale condizione a carattere sociale poteva ritenersi compatibile con il diritto comunitario, nei limiti del rispetto del divieto di discriminazione e del principio di trasparenza. Secondo l’Avvocato, infatti, l’appalto pubblico è uno strumento che consente alla p.a. di soddisfare oltre a quelle economiche anche altre necessità d’interesse generale, come, ad esempio, la tutela dei salari minimi.
Contrariamente a quanto affermato dall’A.G., nella sentenza, il giudice comunitario non dedica alcun cenno alla possibilità per le amministrazioni di integrare considerazioni sociali nell’esecuzione del contratto di appalto. Secondo la Corte, infatti, quanto richiesto dalla normativa del Land tedesco comporta un onere economico supplementare alle imprese aggiudicatrici (ed, indirettamente, ai loro subappaltatori) non giustificato dall’obiettivo di tutela dei lavoratori e, pertanto, restrittivo ai sensi dell’art. 00 Xx. Xx.
La giurisprudenza analizzata evidenzia una spinta iniziale della Corte di giustizia ad introdurre esigenze di carattere sociale nella disciplina degli appalti pubblici, temperata, però, dagli interventi interpretativi della Commissione.
Il ragionamento non lineare ed a volte contraddittorio seguito dal giudice europeo riflette l’immagine di una Comunità fortemente divisa di fronte all’opportunità di consentire interventi dei pubblici poteri nella disciplina del mercato interno al fine di tutelare interessi sociali non strettamente economici ma altrettanto fondamentali.
Nelle prime pronunce, infatti, il giudice comunitario sembra mettere in evidenza che accanto alla realizzazione del mercato concorrenziale, esistono altri valori obiettivo del Trattato per perseguire i quali è possibile limitare la normativa sul mercato interno ed accettare un intervento dei pubblici poteri.
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In seguito, invece, ed, in particolare, nelle sentenze successive alla Comunicazione interpretativa della Commissione del 2001237, la Corte di giustizia sembra fare quasi un passo indietro, affermando, ad esempio, il necessario collegamento dei criteri di aggiudicazione non economici all’oggetto dell’appalto.
Ricapitolando, il giudice comunitario ha senz’altro avviato il procedimento di integrazione della tutela sociale con la disciplina degli appalti pubblici, ma non ha avuto il coraggio di portarlo a termine. Anche nella recente sentenza analizzata, infatti, la Corte ha preferito salvaguardare la concorrenza e la libera prestazione dei servizi nel mercato interno, piuttosto che condividere le conclusioni dell’Avvocato generale, secondo il quale: “l’appalto pubblico può costituire un mezzo per combattere la disoccupazione e l’emarginazione, venendo utilizzato come pilastro favorevole allo sviluppo del lavoro”.
2.3. Il ruolo del legislatore comunitario
I principi, sopra esaminati, elaborati dalla Commissione e dalla Corte di giustizia sono stati codificati238 nelle direttive sugli appalti pubblici n. 17 e n. 18 del 2004.
Attraverso tale intervento, infatti, il legislatore comunitario ha riconosciuto, per la prima volta in un testo normativo, la possibilità per gli Stati membri di introdurre criteri sociali nelle rispettive procedure di acquisto pubbliche.
In realtà, le innovazioni relative alle c.d. “secondary policies”, contenute nelle direttive, sono tese ad indicare la possibilità per le amministrazioni di “soddisfare le esigenze del pubblico interessato in materia sociale, purché tali criteri non economici siano collegati all'oggetto dell'appalto, non conferiscano all’amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata di scelta, siano espressamente menzionati e rispettino i principi fondamentali della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché i principi che ne derivano,
237 Si v., in particolare, le sentenze commentate nel par. 2.2 del capitolo terzo.
238 Si v. X. XXXXXX, The New Public Procurement Directives: A Partial Solution to the Problems of Procurement Compliance, in European Public Law, vol. 12, issue 2, 2006, p. 284. Secondo l’Autore, “The directive tries to take account of the so-called sustainability issues: the environmental and social impacts of public procurement. The only innovation, if that is not too strongly put, is that the directive makes explicit reference to the potential to take sustainability issues into account. This is merely a “codification” of the existing ECJ case law and the Commission’s earlier interpretative statements on the compatibility of the rules on public procurements with social and environmental objectives”.
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quali i principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalità e di trasparenza” 239.
Scopo dell’intervento normativo è quello di chiarire, dunque, in quale modo le autorità aggiudicatrici possano contribuire alla tutela sociale ed alla promozione dello sviluppo sostenibile ed, al tempo stesso, ottenere per i propri appalti il miglior rapporto qualità/prezzo240.
La possibilità per gli enti di prendere in considerazione per gli appalti fattori di ordine non economico, connessi ai bisogni sociali della collettività interessata241, è illustrata nei considerando nn. 1 e 46 della dir. 2004/18/Ce e nei considerando nn. 1 e 55 della dir. 2004/17/Ce.
In conformità, agli orientamenti della Corte di giustizia242 ed, in particolare, della Commissione, tale possibilità viene articolata in diversi momenti della procedura e del connesso rapporto che a seguito del contratto si viene ad instaurare.
Le direttive, in primo luogo, introducono notevoli novità nella fase di qualificazione dei concorrenti, attraverso, ad esempio, l’ipotesi di esclusione dalle gare per le imprese colpevoli del mancato rispetto delle norme sociali. L’art. 45 della dir. 2004/18/Ce prevede, infatti, la possibilità di escludere le imprese accusate di partecipare ad organizzazioni criminali, frode, corruzione, riciclaggio denaro sporco o non in regola con il pagamento di contributi previdenziali, imposte o tasse. Di conseguenza, potranno prender parte alle gare di appalto solo gli operatori di cui è accertata, oltre alla capacità finanziaria, anche la moralità professionale243.
239 Cons. 1 dir. 2004/18/Ce e 2004/17/Ce.
240 Cons. 5 dir. 2004/18/Ce.
241 In senso difforme, si v. X. XXXXXXXX, The New Public Procurement Directives of the European Union, cit., p. 284. Secondo l’Autore, invece, “The new Directives make clear that the criteria selected must be relevant to determining the most economically advantageous bid from the point of view of the contracting authority (and not society at large) and they must be linked to the subject-matter of the contract in question”.
242 A riguardo, il 1° cons. dir. 2004/18/Ce dichiara espressamente che “la presente direttiva si basa sulla giurisprudenza della Corte di giustizia, in particolare sulla giurisprudenza relativa ai criteri di aggiudicazione (..)”. Il ruolo centrale svolto dalla Corte di giustizia “in interpreting the public procurement legal framework”, soprattutto alla luce del fatto che “Arming the public procurement rules with direct effect will enhance access to justice at national level, improve compliance, increase the quality of the regulatory regime and finally streamline the public procurement process across the Common Market by introducing an element of uniformity” è evidenziato da C. XXXXX, The new public procurement regime in the European Union: a critical analisys of policy, law and jurisprudence, cit., p. 609.
243 L’art. 45 della direttiva consente, inoltre, alle amministrazioni aggiudicatrici di richiedere agli offerenti documenti attestanti la loro moralità professionale e la situazione economica.
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In secondo luogo, il legislatore sembra incoraggiare le amministrazioni aggiudicatrici ad includere specifiche tecniche che tengano conto anche dei bisogni degli utenti, ed, in particolar modo, delle persone disabili244. Le caratteristiche etico- sociali, tuttavia, devono essere sufficientemente precise e tali da consentire agli offerenti di determinare l'oggetto dell'appalto ed alle amministrazioni di aggiudicare il contratto245.
In terzo luogo, “considerazioni sociali” possono assumere rilevanza, ai sensi dell’art. 26, dir. 2004/18/Ce246, come fondamento di specifiche condizioni di esecuzione di un appalto247. In particolare, nella fase esecutiva, la p.a. può inserire condizioni di natura etico-sociale a condizione che non siano, direttamente o indirettamente, discriminatorie e siano indicate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri. Tali condizioni possono comprendere, ad esempio, gli obblighi di assumere disoccupati di lunga durata, di introdurre azioni di formazione per i giovani, di rispettare le disposizioni delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) o di assumere un numero di persone disabili superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale.
Le nuove direttive prevedono, infine, un’eccezione alla regola, ovvero la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di avvalersi di un regime particolare di appalti riservati. L’art. 19, dir. 2004/18/Ce, dispone, infatti, che: “Gli Stati membri possono riservare la partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici a laboratori protetti o riservarne l'esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando la maggioranza dei lavoratori interessati è composta di disabili i quali, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non possono esercitare un'attività professionale in condizioni normali. Il bando di gara menziona la presente disposizione”.
Per quanto riguarda la fase di aggiudicazione, invece, le nuove direttive non elencano le considerazioni sociali tra i criteri idonei a valutare l’offerta economicamente
244 Si v. X. XXXXXXXX, The New Public Procurement Directives of the European Union, cit., p.
284.
245 Art. 26, dir. 2004/18/Ce e art. 48, dir. 2004/17/Ce.
246 La direttiva sui c.d. settori esclusi riproduce disposizioni per larga parte analoghe a quelle
appena menzionate, rispettivamente, con gli artt. 28 e 34, con l’art. 55, par. 1, lett. a) e con l’art. 38.
247 Si v. cons. 33, dir. 2004/18/Ce.
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più vantaggiosa248. Inoltre, è previsto espressamente che tutti i criteri di aggiudicazione devono essere collegati all’oggetto dell’appalto in questione e contribuire a determinare un vantaggio a diretto beneficio economico per l’autorità appaltante249 e non per la società complessivamente considerata. Infatti, discostandosi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia ed accogliendo, invece, le argomentazioni della Commissione, sia l’art. 53, par. 1, lett. a), dir. 2004/18/Ce che l’art. 55, par. 1 lett. a), dir. 2004/17/Ce stabiliscono che l’offerta economicamente più vantaggiosa deve essere tale “dal punto di vista dell’amministrazione aggiudicatrice”, ovvero “dell’ente aggiudicatore”.
In realtà, il Parlamento aveva presentato due emendamenti al fine di aggiungere all’elenco dei criteri di valutazione anche la politica dell’offerente in materia di disabili e di eliminare la precisazione che l’offerta doveva essere economicamente più vantaggiosa “per le amministrazioni aggiudicatrici”. Tuttavia, in seguito al parere negativo della Commissione250, entrambi gli emendamenti sono stati respinti.
Secondo tale istituzione, infatti, l’eliminazione dell’inciso “per le amministrazioni aggiudicatrici” avrebbe consentito all’ente appaltante di prendere in considerazione elementi vaghi, spesso non quantificabili, in relazione ad un eventuale vantaggio per la società, intesa nel senso ampio del termine. Criteri di aggiudicazione di questo tipo non avrebbero più permesso di valutare le qualità intrinseche delle offerte per individuare il miglior rapporto qualità/prezzo.
Anche l’ipotesi di tener conto di considerazioni sociali non collegate all’oggetto dell’appalto, secondo la Commissione, non poteva essere accolta, in quanto avrebbe snaturato la ratio della direttiva, ovvero garantire la parità d’accesso agli appalti pubblici ed una spesa pubblica sana, per trasformarla in uno strumento a servizio esclusivo di altre politiche, con seri rischi per la concorrenza.
248 Si v. art. 53, dir. 2004/18/Ce e art. 55, dir. 2004/17/Ce. In particolare, il legislatore comunitario prevede che “quando l'appalto è aggiudicato all'offerta economicamente più vantaggiosa dal punto di vista dell'amministrazione aggiudicatrice, diversi criteri collegati all'oggetto dell'appalto pubblico in questione, possono essere utilizzati quali, ad esempio, la qualità, il prezzo, il pregio tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, le caratteristiche ambientali, il costo d'utilizzazione, la redditività, il servizio successivo alla vendita e l'assistenza tecnica, la data di consegna e il termine di consegna o di esecuzione”.
249 Si v. cons. 46 ed art. 53, dir. 2004/18/Ce.
250 Cfr. Parere della Commissione a norma dell’articolo 251, par. 2, terzo comma, lett. c) del Trattato Ce sugli emendamenti del Parlamento europeo alla posizione comune del Consiglio riguardante la proposta di direttiva relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, Bruxelles, COM (2003), 503 def., del 14.08.2003.
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Infine, secondo tale istituzione, non sarebbe stato opportuno inserire la politica dell’offerente in materia di disabili nell’elenco dei criteri di aggiudicazione, in quanto ciò avrebbe permesso alle amministrazioni di attribuire una preferenza alle imprese “socialmente responsabili”.
A seguito di tali considerazioni, si è preferito, pertanto, introdurre la problematica sociale nei considerando ma non nell’articolo delle direttive comunitarie che elenca i criteri idonei a valutare le offerte. Tale omissione, tuttavia, anche se certamente significativa, è facilmente superabile in quanto il giudice comunitario ha chiarito più volte che “come risulta dall’uso dell’espressione – ad esempio- i criteri che possono essere adottati come criteri di aggiudicazione di un appalto all’offerta economicamente più vantaggiosa non sono elencati in maniera esaustiva”251.
Secondo una parte della dottrina, il legislatore comunitario avrebbe potuto fare molto di più, ad esempio, chiarendo in maniera completa e precisa, una volta per tutte, “the position of contracting authorities over the legitimacy of pursuing socio-economic and environmental policies through public procurement”252.
Al contrario, le nuove direttive si sono limitate a codificare i requisiti stabiliti dalla Commissione nella Comunicazione interpretativa del 2001.
In particolare, la nuova normativa non è riuscita a chiarire se il criterio di valutazione sociale per essere legittimo debba apportare un beneficio economico all’amministrazione aggiudicatrice o se possa solamente comportare un vantaggio alla collettività di riferimento.
L’espressione del legislatore, infatti, che prevede “la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di soddisfare le esigenze del pubblico interessato in materia sociale” è, poi, più volte contraddetta dalla necessità di valutare in termini di costi/benefici dal punto di vista dell’ente appaltante ciascun criterio di aggiudicazione, anche se etico-sociale.
251 Corte di giust., 17 settembre 2002, Concordia Bus Finland, in causa C-513/99, par. 54. Per un commento alla sentenza, si v. il par. 2.2. del capitolo terzo.
252 C. BOVIS, Public Procurement in the European Union: A Critical Analysis of the New Regime, cit., p. 40 e C. XXXXX, The New Public Procurement Regime: A Different Perspective on the Integration of Public Markets of the European Union, cit., p. 86.
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