Lavoratori, volontari e amatori tra sport e terzo settore*
Lavoratori, volontari e amatori tra sport e terzo settore*
Xxxxx Xxxx- Xxxxxxx Xxxxxxx
2. La legge n. 91/1981: a) la distinzione tra professionismo e dilettantismo. 52
3. Segue: b) gli interventi del legislatore nell’ambito dello sport dilettantistico. 54
4. Il d. lgs. n. 36/2021 tra conferme e novità. 55
5. Segue: le discipline applicabili ai contratti di lavoro subordinato sportivo. 58
6. Riforma del lavoro sportivo e terzo settore: i principali problemi giuslavoristici. 59
7. Alcune (facili) questioni di costituzionalità. 61
8. Amatorialità sportiva e volontariato nel terzo settore. 62
9. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestio- nale. 65
10. Riflessioni conclusive. 66
* Originariamente pubblicato come WP C.S.D.L.E. "Xxxxxxx X'Xxxxxx".IT – 443/2021
La recente riforma del lavoro sportivo – finalmente varata con il d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36, che, sebbene non tutto di immediata applicazione, dà seguito all’art. 5 della legge delega 8 agosto 2019, n. 86 (i cui termini originari sono stati prorogati) - presenta molti aspetti di notevole inte- resse anche giuslavoristico. La maggior parte riguarda ovviamente configurazione e disciplina dei rapporti di lavoro degli sportivi, soprattutto per quanto riguarda le attività dilettantistiche. Poiché molti enti sportivi gravitano nel terzo settore e possono continuare a farlo anche in futuro, non sono da trascurare gli intrecci con la riforma, anch’essa abbastanza recente (2017) e di tormen- tata attuazione, del terzo settore, sia per quanto riguarda i rapporti di lavoro veri e propri sia per quanto riguarda la delicata e sempre più complessa disciplina del volontariato. Un fenomeno, quest’ultimo, presente in quantità significative anche nel mondo dello sport e che oggi si sovrap- pone e confonde con la figura dell’attività sportiva amatoriale, prevista appunto dal d.lgs. 36/21, come si dirà più avanti.
In questo contributo ci proponiamo di fornire alcune prime riflessioni sugli intrecci tra queste due riforme, partendo dall’impatto sistematico che il d.lgs. 36/21 ha sulla previgente disciplina del lavoro sportivo e focalizzando poi l’analisi sugli aspetti più problematici della nuova normativa rispetto agli assetti giuslavoristici che vanno profilandosi nel terzo settore.
2. La legge n. 91/1981: a) la distinzione tra professionismo e dilettantismo.
Il tema della natura dell’attività lavorativa prestata nell’ambito della pratica sportiva è da tempo oggetto di approfondimenti. Peraltro, se si esclude lo svolgimento di attività a fini ludici o a titolo di (effettivo) volontariato, non vi è ormai dubbio che siano configurabili veri e propri rapporti di lavoro.
Tuttavia, prima dell’entrata in vigore della l. n. 91 del 1981 la qualificazione di tali rapporti era estremamente controversa (subordinati, autonomi, atipici o di tipo associativo); inoltre si qualifi- cava dilettante chiunque svolgesse attività agonistica senza scopo di lucro e per soli fini ricreativi o di educazione psicofisica.
La l. n. 91/1981 ha, invece, assunto una posizione chiara dividendo lo sport in due mondi, il pro- fessionismo ed il dilettantismo, che seguono regole e presentano tutele diverse anche e soprat- tutto con riguardo ai rapporti di lavoro.
In particolare, come ben noto, da un lato, la distinzione tra i due settori è stata affidata alle singole federazioni sportive nazionali: una soluzione che rimette al mero arbitrio dei soggetti dell’ordina- mento sportivo l’accesso alla disciplina speciale stabilita dall’ordinamento statale, facendosi di- pendere l’acquisizione di uno status (quello di professionista) da un elemento formale (la mera opzione di una singola federazione). Per di più il CONI, al quale era stato devoluto il compito di stabilire, «in armonia con l’ordinamento sportivo internazionale e nell'ambito di ciascuna federa- zione sportiva nazionale, criteri per la distinzione dell’attività sportiva dilettantistica da quella professionistica» (art. 5, comma 2, lett. d), non ha elaborato gli attesi criteri generali, e tanto meno lo hanno fatto le singole federazioni. Col risultato che soltanto alcune di esse, dapprima sei (calcio, basket, pugilato, golf, ciclismo, motociclismo), poi quattro (calcio, basket, golf, ciclismo) e limitatamente all’attività di vertice (ad es., la sola serie A1 per il basket, le serie A e B e la Lega Pro per il calcio), hanno optato per il professionismo, cosicché è rimasta esclusa l’applicazione della l.
n. 91/1981 ai c.d. professionisti di fatto, cioè a tutti coloro che ricavano dallo sport la loro unica
fonte di sostentamento191.
D’altro lato, l’art. 2, l. n. 91/1981 ha individuato le figure dei professionisti sportivi negli atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici192.
Inoltre, l’art. 3 ha introdotto una presunzione pressoché assoluta di subordinazione per i soli at- leti, la quale tutto sommato non ha creato particolari problemi, mentre per le altre categorie di sportivi trova applicazione l’art. 2094 c.c.
Infine, quanto alla normativa applicabile sono previste numerose deroghe rispetto al diritto co- mune del lavoro, che hanno indotto autorevole dottrina193 a parlare di “disciplina stabilita dall’or- dinamento sportivo”, meno favorevole di quella propria dell’ordinario diritto del lavoro.
Al contrario il legislatore non si è pronunciato con riguardo alla natura dei rapporti di lavoro ed alle regole agli stessi applicabili nell’ambito dello sport dilettantistico, che è rimasto confinato in una sorta di limbo, stretto tra due esigenze contrapposte, quali le compatibilità economiche del settore e la tutela del lavoro, senza distinzione tra situazioni di professionismo di fatto (ad es., società di pallavolo di serie A o di basket di serie A2, istruttori di grossi circoli sportivi di tennis o di golf) e persone che operano in piccole realtà, al limite del volontariato: di conseguenza sarebbe prospettabile l’applicazione di una disciplina unitaria, che stride con l’esistenza di un universo così ampio e variegato.
Nella prassi diffusa, e fatte salve limitate eccezioni, le associazioni sportive hanno effettuato un larghissimo ricorso ai contratti di collaborazione, escludendo la natura subordinata dei rapporti di lavoro e quindi realizzando “un vero e proprio vulnus di tutela”194. Ciò anche se paradossal- mente il lavoro prestato nel mondo del dilettantismo, “in quanto estraneo alla disciplina speciale della legge n. 91, è ritenuto integralmente assoggettato al diritto del lavoro e, se presenta i carat- xxxx della subordinazione, alla integrale disciplina garantistica del lavoro subordinato ordina- rio”195.
Ma è questo il punto. Il riconoscimento della subordinazione è stato rimesso alle iniziative isolate
191 La dottrina aveva con decisione criticato tale scelta del legislatore: cfr., fra i tanti, DE XXXXXXXXXX, Commento alla legge n. 91/1981, in Nuove leggi civ. comm., 1982, 579; DURANTI, L’attività sportiva come prestazione di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1984, I, 706; VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, in Giust. civ., 1993, I, 210; BELLAVISTA, Il lavoro sportivo professionistico e l’attività dilettantistica, in Riv. giur. lav., 1997, I, 522; PESSI, Decisioni dei giudici sportivi e diritto del lavoro, in XXXXXXXXX (a cura di), Gli effetti delle decisioni dei giudici sportivi, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2004, 36; TOSI, Sport e diritto del lavoro, in Arg. dir. lav., 2006, 719 s.; XXXXXXXX, Dal dilettante al lavoratore sportivo. Prime osservazioni sulla riforma dello sport, in Mass. giur. lav., 2021, 409.
192 Era controversa in dottrina la natura esemplificativa o tassativa di tale elencazione: nel primo senso cfr. DE CRISTOFARO, Commento alla legge n. 91/1981, cit., 576; MAZZOTTA, Il lavoro sportivo, in Foro it., 1981, V, 302; TOSI, Sport e diritto del lavoro, cit., 721; nel secondo senso v. VIDIRI, Il lavoro sportivo tra codice civile e lavoro speciale, in., Riv. it. dir. lav., 2002, I, 58. La giurisprudenza ha, invece, optato in modo deciso per la natura tassativa dell’elencazione contenuta nell’art. 2, in ragione della specialità della disciplina conte- nuta nella legge n. 91/1981: cfr. Cass., 11 aprile 2008, n. 9551, in Giust. civ., 2009, I, 444; Pret. Venezia, 22 luglio 1998, in Riv. dir. sport, 1998, 164, con nota di LAMBO.
193 Cfr. TOSI, Sport e diritto del lavoro, cit., 717. Cfr. analogamente anche XXXXXX, Il lavoro subordinato: definizione e inquadramento, Milano, Xxxxxxx, 1992, 99 e BELLAVISTA, Il lavoro sportivo professionistico e l’attività dilettantistica, cit., 523, che sottolinea come sia stato creato in tal modo “un nuovo e speciale tipo legale di contratto di lavoro subordinato adeguato alle peculiarità dell’ordinamento sportivo”.
194 Così ROCCHINI, Dal dilettante al lavoratore sportivo. Prime osservazioni sulla riforma dello sport, cit., 410, che peraltro attribuisce tale conseguenza alla bipartizione tra professionismo e dilettantismo operata dalla legge n. 91/1981.
195 Così TOSI, Sport e diritto del lavoro, cit., 717.
dei singoli, che la giurisprudenza ha, comunque, in diverse occasioni ritenuto fondate196, appli- cando i principi “cardine” in materia di rapporti di lavoro, a partire da quello di effettività e di indisponibilità del tipo contrattuale197.
3. Segue: b) gli interventi del legislatore nell’ambito dello sport dilettantistico.
L’indifferenza del legislatore è venuta meno quando ha dovuto fronteggiare l’esigenza di ridu- zione dei costi delle associazioni e delle società sportive dilettantistiche, riconoscendo che esse operano in un settore ritenuto meritevole di particolare cura e sostegno da parte dell’ordina- mento, per il valore e il significato sociale che lo sport assume198. Al riguardo si è occupato <<in via affatto prevalente dell’inquadramento fiscale dei compensi riconosciuti da queste ultime, sta- bilendone la riconducibilità nella categoria dei “redditi diversi” di cui all’art. 67, comma 1, TUIR>>199. A tal fine ha previsto il contratto per prestazioni sportive dilettantistiche, che non co- stituisce un tipo contrattuale diverso, ma gode di un trattamento speciale sul piano fiscale e, in ricaduta, su quello previdenziale200.
È poi nuovamente intervenuto con la legge n. 205/2017, che ha introdotto agevolazioni fiscali per le società sportive anche lucrative e innalzato da 7.500 a 10.000 € all’anno il limite dei compensi esenti da imposte previsti per le collaborazioni sportive.
Il legislatore ha altresì escluso per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa dapprima l’obbligo del progetto, poi l’applicabilità dell’art. 2, comma 2, d. lgs. n. 81/2015, che estende la disciplina posta dalla legge a presidio del lavoro subordinato a quelle collaborazioni, esclusiva- mente personali, che siano “organizzate dal committente”, senza che ciò giunga a compromet- terne la natura genuinamente autonoma sulla base dei consolidati principi giurisprudenziali.
L’art. 1, commi 358-360, l. n. 205/2017 ha, a sua volta, precisato, con riguardo alla lettera d),
196 La giurisprudenza, in più occasioni, ha riconosciuto la natura subordinata dei rapporti instaurati in virtù di contratti di lavoro auto- nomo, anche di collaborazione, nell’ambito dello sport dilettantistico: cfr., in tal senso, Cass. n. 6439/1995, in Giust. civ. Mass., 1998, 1365, con riguardo a un lavoratore che aveva svolto, dapprima, mansioni di istruttore di nuoto e, in seguito, anche di direttore tecnico; Cass. n. 6114/1998, in Lav. giur., 1995, 250 relativamente al direttore sportivo di una società calcistica; cfr. altresì, nella giurisprudenza di merito, Pret. Palermo, 23 maggio 1986, in Inf. Prev., 1987, 940 in ordine all’attività prestata da istruttori di educazione fisica presso un centro di educazione fisica; Trib. Venezia, 14 settembre 1993, in Giur. merito, 1984, 876 sempre in merito all’ipotesi di un direttore sportivo di una società calcistica; Pret. Napoli, 14 febbraio 1995, in Dir. lav., 1995, 627; Trib. Ancona, 4 luglio 2001, n. 147, in Inf. prev., 2002, 1081 a proposito del rapporto di lavoro instaurato tra un calciatore e la società di appartenenza.
Per una ricostruzione delle posizioni dottrinali v. BELLAVISTA, Il lavoro sportivo professionistico e l’attività dilettantistica, cit., 525 e, da ultimo, ROCCHINI, Dal dilettante al lavoratore sportivo …, cit., 412 s., che richiama anche la giurisprudenza comunitaria, la quale si concentra sulla effettiva natura dell’attività esercitata.
197 Cfr. le due note pronunce della Corte Costituzionale n. 121/1993, in Foro it., 1993, I,2432 e n. 115/1994, in Foro it., 1994, I, 2656, alla cui stregua non è consentito al legislatore “negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato”, come ad esempio l’art. 36 Cost. in tema di equa retribuzione; cfr. altresì la più recente sentenza n. 77/2015. In dottrina, per tutti, v. D’ANTONA, “Limiti costituzio- nali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro”, in Arg. dir. lav., 1995, 63-90.
198 Si veda, in particolare, XXXXXXXXXX, Il mondo variopinto delle collaborazioni coordinate e continuative, in ID. (coordinato da), “Il nuovo mercato del lavoro: commento al D. Lgs. 276/2003”, Bologna, Zanichelli, 2004, 663; PEDRAZZOLI, Riconduzione a progetto delle collabo- razioni coordinate e continuative, lavoro occasionale e divieto delle collaborazioni semplici: un cielo diviso per due, ivi, 684 ss.
199 Così ROCCHINI, Dal dilettante al lavoratore sportivo …, cit., 410.
200 Sul punto si è addirittura arrivati ad escludere la completa assoggettabilità a contribuzione dei compensi degli sportivi con contratto di collaborazione sportiva dilettantistica in quanto riconducibili alla categoria dei redditi diversi: cfr. ancora ROCCHINI, Dal dilettante al lavoratore sportivo …, cit., 411.
comma 2, dell’art. 2, d. lgs. n. 81/2015, che le prestazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle di- scipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI (come indivi- duati e disciplinati dall’art. 90, l. n. 289/2002)201 “costituiscono oggetto di contratti di collabora- zione coordinata e continuativa”.
La norma non postula affatto – né potrebbe farlo, neppure attraverso il meccanismo della pre- sunzione legale assoluta – la qualificazione di ogni attività svolta in favore di una società sportiva dilettantistica come di lavoro autonomo, a prescindere dal suo concreto atteggiarsi, in virtù del richiamato principio di indisponibilità del tipo lavoro subordinato202.
L’art. 1, comma 358, l. n. 205/2017 conserva, comunque, un certo rilievo, atteso che puntualizza, con specifico riguardo alla lettera d) dell’art. 2, comma 2, d. lgs. n. 81/2015, il catalogo delle pre- stazioni di lavoro autonomo coordinato che si sottraggono al regime giuridico istituito dal comma 1 della medesima norma.
Si tratta, del resto, al di fuori della rilevante ipotesi aperta contemplata alla lettera a), delle me- desime fattispecie di lavoro autonomo coordinato che già si sottraevano alla disciplina del lavoro a progetto introdotta dagli artt. 61-69, d. lgs. n. 276/2003, novellata dalla l. n. 92/2012 e, oggi, definitivamente superata dal Jobs Act (art. 52, d. lgs. n. 81/2015).
Se, per alcune di tali ipotesi, l’eccezione era giustificata dalla presunta forza negoziale o econo- mico-sociale del prestatore di lavoro (così, probabilmente, per i professionisti e gli amministratori e sindaci di società), nel caso delle collaborazioni sportive il regime di favore rinveniva la propria ratio nella specifica natura del committente, e cioè nell’esigenza di favorire le associazioni e le società sportive dilettantistiche. Tale favore ordinamentale per la pratica dello sport non profes- sionistico si traduce, oggi, nella scelta di consentire che le collaborazioni coordinate e continua- tive, ancorché etero-organizzate dagli esercenti società sportive, lucrative o meno che siano, tro- vino la propria regolazione nelle norme di disciplina del lavoro autonomo previste dal codice civile e da talune specifiche leggi speciali, così da non appesantire i costi economici e normativi che dette società dovrebbero sopportare ove fosse loro imposto di applicare anche a tali collabora- zioni la disciplina prevista per i lavoratori dipendenti: ciò – si ribadisce - sempre che nei fatti non venga a configurarsi effettivamente quella situazione di eterodirezione che impone di riqualifi- care il rapporto in termini di subordinazione.
4. Il d. lgs. n. 36/2021 tra conferme e novità.
Nel contesto appena illustrato si inserisce la recente complessiva riforma dello sport, che ha preso il via con la delega contenuta nell’art. 5, l. n. 86/2019 e che ha trovato attuazione attraverso l’approvazione di cinque decreti legislativi, tra i quali si segnala ai fini del lavoro sportivo il n. 36 del 28 febbraio 2021.
Gli obiettivi della riforma sono decisamente ambiziosi, a partire dalla volontà di “introdurre una
disciplina organica del rapporto di lavoro sportivo, a tutela della dignità dei lavoratori e rispettosa
201 Va ricordato che il CONI è l’unico certificatore della effettiva attività sportiva svolta dalle società e associazioni dilettantistiche, in base a quanto previsto dall’art, 7, d.l. n. 136/2004, convertito in legge, con modificazioni, dalla l. n. 186/2004 (art. 1).
202 Cfr. XXXX, MARTELLONI, Le collaborazioni sportive nel prisma della Legge di Bilancio 2018, in Associazioni e sport, 2018, n. 6, 2 ss.
della specificità dello sport” (art. 3, comma 2, lett. h).
Le intenzioni sono evidentemente apprezzabili203, ma la relativa realizzazione si è rivelata sin da subito difficile, come attesta il fatto che l’entrata in vigore è stata posticipata prima al 1° gennaio 2022, poi, limitatamente alle norme dedicate proprio al lavoro sportivo (titolo V), al 31 dicembre 2023.
Le novità sono rilevanti, ma restano alcuni dei punti critici più significativi in precedenza eviden- ziati, cosicché da più parti sono state immediatamente manifestate insoddisfazione ed anzi delu- sione.
In particolare, prendendo le mosse dalla distinzione tra professionismo e dilettantismo, non si può fare a meno di rilevare che la riforma non incide sul potere delle federazioni, salvo che l’art. 38, d. lgs. n. 36/2021 prevede che, decorsi 8 mesi dall’entrata in vigore della nuova normativa, “le direttive e i criteri di cui al presente articolo sono adottati, sentito il CONI, dal Presidente del Consiglio dei ministri o dall’Autorità politica da esso delegata in materia di sport”.
Inoltre si prevede la possibilità del passaggio al professionismo dello sport femminile (art. 39), ma la si rimette pur sempre alla scelta delle Federazioni, benché con un meccanismo incentivante di sostegno economico.
Passando più direttamente ai rapporti di lavoro, il legislatore interviene in modo innovativo sulla nozione di lavoratore sportivo e lo fa in due direzioni: da un lato, ne amplia l’elenco ricompren- dendovi, oltre agli atleti, agli allenatori, ai direttori tecnico-sportivi ed ai preparatori atletici (art. 2, l. n. 91/1981), anche gli istruttori, i maestri e selezionatori, i direttori di gara (artt. 2, lett. dd) e 25, comma 1, d. lgs. n. 36/2021); dall’altro, estende tale nozione all’ambito dello sport dilettanti- stico, al quale la applica in modo generalizzato con la sola esclusione delle prestazioni amatoriali di cui all’art. 29 (art. 25, comma 1).
Resta, invece, invariata la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato. In particolare, la no- zione speciale di subordinazione prevista dall’art. 3, l. n. 91/1981 viene riproposta negli stessi termini dall’art. 27, d. lgs. n. 36/2021 ed ancora una volta limitatamente agli atleti, cosicché per gli altri lavoratori sportivi non possono non trovare applicazione, come in precedenza, gli artt. 2094 e 2222 c.c.
Alcune novità, peraltro, pur non concernendo tale distinzione e quindi le due fattispecie in que- stione, possono in qualche modo incidere indirettamente sulle stesse ed in particolare sugli ef- fetti, sia pur sempre nel rispetto dei principi di effettività e di indisponibilità del tipo contrattuale.
Innanzitutto si sancisce la possibilità che anche l’attività di lavoro sportivo possa essere oggetto
di prestazioni occasionali (art. 25, comma 4).
In secondo luogo, si superano le collaborazioni sportive dilettantistiche, ma si prevedono, per i lavoratori sportivi con contratto di collaborazione continuativa e coordinata, l’iscrizione alla ge- stione separata Inps con un’aliquota che varia in ragione dell’iscrizione del lavoratore ad un’altra gestione previdenziale (art. 35); per l’”esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche”, la qua- lificazione come “redditi diversi” e l’esenzione fiscale sino a € 10.000 all’anno (art. 36, comma 6);
203 Cfr. analogamente ROTONDI, Il nuovo diritto del lavoro sportivo: dal professionismo elitario alla sportivizzazione, in Guida lav., 2021, n. 32, 54.
per l’attività di tipo amministrativo-gestionale che non superi quella soglia, l’esenzione fiscale e
contributiva (art. 37).
Dal punto di vista tipologico restano le collaborazioni continuative e coordinate a carattere pre- valentemente personale, ma viene abrogato l’art. 2, comma 2, lett. d), d. lgs. 81/2015 sia per le prestazioni sportive, sia per quelle amministrativo-gestionali204. Si tratta di una novità di grande rilievo, che rende applicabile, anche nell’ambito dello sport dilettantistico, la disciplina del lavoro subordinato a tutti i contratti di collaborazione caratterizzati da etero-organizzazione: una possi- bilità destinata ad estendere in modo molto ampio la suddetta disciplina di tutela al di là della subordinazione.
In terzo luogo, si prevede, anche se per i soli atleti ed allenatori di società ed associazioni sportive dilettantistiche, oltre che, fra gli altri, di federazioni sportive nazionali, la possibilità di una presta- zione di tipo amatoriale (art. 29), che si colloca al di fuori dei rapporti di lavoro tanto subordinato quanto autonomo205.
Infine, si introduce, o, meglio, si rimarca, anche per i contratti di lavoro sportivo la possibilità della certificazione. Al riguardo, nel tentativo di circoscrivere i rischi connessi all’aleatorietà del con- tenzioso in tema di qualificazione dei rapporti di lavoro e di accrescere quella certezza che l’isti- tuto de quo non riesce a conseguire, il legislatore tenta di attribuire un ruolo rilevante proprio in funzione qualificatoria alla contrattazione collettiva o, in via sussidiaria, al Presidente del Consiglio o all’“Autorità politica da esso delegata in materia di sport” tramite decreto “da adottarsi, di con- certo con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro 9 mesi dall’entrata in vigore” del d. lgs. n. 36/2021 (art. 25, comma 3). Non viene in rilievo semplicemente l’adozione di “codici di buone pratiche per l’individuazione delle clausole indisponibili”, secondo quanto previsto per la generalità dei contratti di lavoro dall’art. 78, comma 3, d. lgs. n. 276/2003, ma di quegli “indici” o spie sui quali la giurisprudenza fonda le proprie decisioni in termini di riconoscimento della natura subordinata o autonoma del rapporto. Se, ancora una volta, i principi di effettività e di indisponi- bilità del tipo contrattuale impediscono di escludere a priori la subordinazione e le tutele fonda- mentali ad essa collegate206, non si può negare che la tipizzazione operata in sede collettiva o amministrativa possa conferire alla certificazione una maggiore attendibilità207, sempre che la scelta delle parti non venga smentita dalle effettive modalità di svolgimento del rapporto di la- voro; ciò a differenza di quanto deve dedursi con riguardo a eventuali previsioni unilaterali delle federazioni, quali le Norme Organizzative Interne della FIGC, il cui art. 94-ter, per i calciatori e le calciatrici tesserati da società e associazioni dilettantistiche, aprioristicamente <<esclude, come
204 Correttamente XXXXXXXXX, Le novità sul lavoro sportivo dilettantistico, in Associazioni e sport, 2021, n. 2, 6 ss. rileva che, anche se l’art. 37, relativo alle collaborazioni amministrativo-gestionali, a differenza dell’art. 25, comma 2, concernente i lavoratori sportivi, nulla dice sull’applicabilità della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate, l’art. 52, comma 1 risolve il problema alla radice abrogando espressamente l’art. 2, comma 2, lett. d), d. lgs. n. 81/2015.
205 Sul punto v. infra, § 8.
206 Condivisibilmente, comunque, TOSI, Sport e diritto del lavoro, cit., 722 rileva che “sono consentite alla valutazione legislativa diverse gradazioni di subordinazione – e conseguentemente di tutela – in relazione alle peculiarità dei diversi settori merceologici e delle diverse attività lavorative”.
207 Correttamente ROCCHINI, Dal dilettante al lavoratore sportivo …, cit., 421 sottolinea che, se è vero che l’elaborazione degli accordi menzionati nel testo esplicano i propri effetti nell’ambito delle procedure di certificazione, “è altrettanto evidente che in caso di contenzioso circa la corretta qualificazione di un contratto non certificato, quegli stessi indici non potrebbero non essere considerati al fine di una corretta identificazione del tipo contrattuale effettivamente realizzato”.
per tutti i calciatori/calciatrici “non professionisti”, ogni forma di lavoro autonomo o subordi-
nato>>208.
5. Segue: le discipline applicabili ai contratti di lavoro subordinato sportivo.
Concentrando l’attenzione sulla disciplina dei contratti di lavoro subordinato si segnala, in primo luogo, la novità metodologica o sistematica dell’adozione da parte del d. lgs. n. 36/2021 di una regolamentazione unitaria per professionisti e dilettanti.
In questa logica il legislatore, da un lato, ha previsto che, nell’ottica della formazione dei giovani atleti e “per garantire loro una crescita non solo sportiva, ma anche culturale ed educativa”, le società o associazioni sportive possano “stipulare contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, per il diploma di istruzione secondaria superiore e per il certificato di spe- cializzazione tecnica superiore …, e contratti di apprendistato di alta formazione e di ricerca” (art. 30, comma 1), cui si applica una disciplina parzialmente speciale rispetto a quella di cui agli artt. 41 ss., d. lgs. n. 81/2015.
D’altro lato, ha ribadito, estendendola al dilettantismo, la legittimità del ricorso a contratti a ter- mine per i lavoratori sportivi senza la necessità di alcuna causale giustificativa e col solo limite della durata quinquennale, peraltro con illimitata rinnovabilità; ciò con connessa completa inap- plicabilità della disciplina generale di cui agli artt. 19-29, d. lgs. n. 81/2015 (art. 26, comma 2, d. lgs. n. 36/2021). Si tratta di una soluzione che, se trova piena giustificazione con riguardo ad atleti ed allenatori, anche alla luce del superamento, esteso al dilettantismo dall’art. 31, d. lgs. n. 36/2021, del vincolo sportivo, appare meno condivisibile con riguardo alle altre categorie di lavo- ratori sportivi, se non nella logica di attribuire alle società ed alle associazioni sportive una mag- giore flessibilità.
La medesima ratio è, del resto, alla base della sancita inapplicabilità della disciplina sui licenzia- menti (art. 26, comma 1). Residua un caso di recesso ad nutum, come era previsto nell’ambito del professionismo dalla l. n. 91/1981209, ancora una volta per tutti i lavoratori sportivi, ma non per il personale dipendente che svolga attività amministrativo-gestionale o che sia addetto alla manutenzione degli impianti.
Passando ad esaminare la fase della stipulazione del contratto di lavoro ed il contenuto di quest’ultimo, si conferma opportunamente tanto la possibilità che nel contratto individuale sia introdotta una clausola compromissoria per il deferimento ad arbitri delle “controversie concer- nenti l’attuazione del contratto” (art. 26, comma 5), quanto il divieto di clausole o patti di non concorrenza per il periodo successivo alla cessazione del rapporto (art. 26, comma 6): ancora una volta in entrambi i casi con estensione al settore del dilettantismo.
Decisamente innovativa, nell’ambito questa volta del solo lavoro sportivo professionistico, è, in- fine, l’introduzione dell’obbligo di deposito in Federazione, unitamente al contratto di lavoro, di tutti gli ulteriori contratti stipulati tra le parti ivi compresi quelli promo-pubblicitari, entro 7 giorni dalla stipulazione (art. 27, comma 5). La previsione è del tutto condivisibile in quanto diretta a
208 Cfr. correttamente ROTONDI, Il nuovo diritto del lavoro sportivo: dal professionismo elitario alla sportivizzazione, cit., 55. Sul punto cfr. anche ROCCHINI, Dal dilettante al lavoratore sportivo. Prime osservazioni sulla riforma dello sport, cit., 409, nt. 5.
209 Cfr. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, 2° ed., Torino, Giappichelli, 2012, 213. Contra, dopo la riforma del 2021, XXXXXXXXX, Le novità sul lavoro sportivo dilettantistico, cit., 9, che ritiene applicabili i rimedi previsti dall’art. 8, l. n. 604/1966.
rendere trasparente l’intero assetto delle pattuizioni tra le parti, anche e soprattutto al fine di
evitare i rischi di evasione o elusione fiscale per gli sportivi non italiani.
Con riguardo, infine, alla disciplina del rapporto di lavoro in senso stretto, trovano espressa ap- plicazione tutte le norme in materia di sicurezza, in quanto compatibili con le modalità della pre- stazione sportiva, e della vigente disciplina a tutela di malattia, infortunio, gravidanza, maternità e genitorialità, nonché contro la disoccupazione involontaria (art. 33).
Al contrario le eccezioni più significative concernono, come per il solo sport professionistico sotto il vigore della l. n. 91/1981, l’inapplicabilità, oltre che della menzionata disciplina limitativa dei licenziamenti, delle norme dello statuto dei lavoratori in tema di controllo a distanza, di accerta- menti sanitari e di modifica delle mansioni (artt. 4, 5, 13), ritenute incompatibili con il lavoro sportivo e con le relative modalità di svolgimento, oltre che, per quanto concerne l’uso degli im- pianti audiovisivi, con le esigenze del pubblico e delle televisioni.
Alcuni nodi continuano, peraltro, a non essere risolti. È il caso, in particolare, del diritto al tratta- mento di fine rapporto. Al riguardo l’art. 26, comma 4, d. lgs. n. 36/2021 ripropone il contenuto dell’art. 4, comma 7, l. n. 91/1981, ancora una volta estendendolo allo sport dilettantistico. La norma, che sancisce la possibilità per le federazioni sportive nazionali di “prevedere la costitu- zione di un fondo … per la corresponsione dell’indennità di anzianità (sic!) al termine dell’attività sportiva a norma dell’articolo 2123 del codice civile”, solleva il dubbio se i fondi di previdenza volontaria sostituiscano il t.f.r. o se quest’ultimo spetti anche agli sportivi. Sul punto la dottrina era divisa sotto il vigore della l. n. 91/1981210 ed il legislatore ha perso una buona occasione per pronunciare una parola chiara e definitiva. In effetti l’art. 2123 c.c. non esclude la corresponsione del t.f.r., ma si limita a disporre la deducibilità dallo stesso di quanto venga destinato ai fondi di previdenza, in qualche modo dando per scontata la corresponsione diretta del t.f.r. nel caso di mancata costituzione di un fondo di fine attività. Si tratta di una soluzione dirompente con ri- guardo ad atleti e allenatori professionisti che militino a lungo nella stessa società, ma è bene esserne consapevoli nella determinazione iniziale del corrispettivo, di cui una parte andrebbe erogata alla cessazione del rapporto. Del resto per gli altri lavoratori sportivi subordinati, specie nell’ambito del dilettantismo, essa appare del tutto pacifica e coerente con la natura del rapporto, oltre che con il testo della norma.
6. Riforma del lavoro sportivo e terzo settore: i principali problemi giuslavoristici.
Passando ad analizzare gli intrecci della riforma del lavoro sportivo con il terzo settore, conviene tornare anzitutto all’art. 5 della legge delega 8 agosto 2019, n. 86. In questa legge troviamo alcuni criteri/principi ispiratori che hanno diretta ripercussione sulla tematica che ci interessa:
a) riconoscere il carattere sociale e preventivo-sanitario dell’attività sportiva, quale strumento di miglioramento della qualità della vita e della salute, nonché quale mezzo di educazione e di svi- luppo sociale, con implicito, ma evidente riferimento anche a norme costituzionali come gli artt. 31 u.c. e 32 (art. 5, comma 1, lett. a);
b) riformare i rapporti di lavoro professionali e no degli sportivi prima contemplati dalla l. 81/91 secondo equilibri e tecniche già in precedenza analizzati, che però non incrociano in alcun modo
210 Cfr. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, cit., 186 s.
il terzo settore (art. 5, comma 1, lett g);
c) disciplinare i rapporti di collaborazione di carattere amministrativo- gestionale di natura non professionale per le prestazioni rese in favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche, tenendo conto delle peculiarità di queste ultime e del loro fine non lucrativo (art. 5, comma 1, lett. f).
Il d.lgs. 36/21, attuativo della delega, non dà particolare risalto al principio di cui alla suesposta lettera c), se non configurando in modo specifico l’“assenza di fine di lucro” nelle associazioni sportive dilettantistiche (art. 8). Però tra gli obiettivi generali dello stesso decreto si indica: “so- stenere e tutelare il volontariato sportivo” (art. 3, comma 2, lett. l).
In relazione a questo quadro generale e all’obiettivo specifico di cui all’appena citato art. 3, comma 2 lett. l., è da prendere in attenta considerazione, per la materia che qui ci interessa, l’art. 6, comma 2, laddove si prevede che “gli enti sportivi dilettantistici, ricorrendone i presupposti, possono assumere la qualifica di enti del terzo settore, ai sensi dell’art. 5, comma 1 lett. t, del d.lgs. 117/17, e di impresa sociale, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. 112/17. In tal caso, le norme del presente decreto trovano applicazione solo in quanto compatibili” (corsivi e neretti sono ovviamente dell’autore).
La formula utilizzata dal legislatore è tra quelle che lasciano presagire un complicato lavoro di raccordo normativo affidato in primo luogo agli interpreti. Con tutto quanto ne consegue in ter- mini di incertezza delle regole e dilatazione dei tempi di assestamento del quadro normativo. Volendo però ridurre il tasso di problematicità della formula “di comodo”, benché ricorrente, usata dal legislatore anche dell’ultima riforma dello sport, pare che la questione della “compati- bilità” si ponga essenzialmente per due profili:
a) la disciplina dei rapporti di lavoro delle prestazioni sportive amatoriali (art. 29) rispetto alle attività di volontariato vero e proprio;
b) la disciplina dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministra- tivo-gestionale prevista per le associazioni sportive (art. 37) – già in parte analizzata – rispetto alla tipologia di contratti utilizzabili per tali attività negli enti del terzo settore.
Su questi due aspetti torneremo a breve.
Conviene però dire prima che allo sguardo del giuslavorista potrebbero astrattamente presentarsi altre interessanti questioni specie sul piano della legalità costituzionale. Sullo sfondo c’è il tema - già in parte toccato nei paragrafi precedenti e del resto ricorrente nel moderno diritto del lavoro, che ha perso i tratti di un suo originario (e un po’ mitizzato) monolitismo211 - del rapporto tra disciplina generale del contratto di lavoro subordinato – tendenzialmente universalistica – e di- scipline differenziate per peculiarità riguardanti elementi essenziali del contratto, a cominciare dai contraenti. La questione riguarda già in apicibus il lavoro sportivo in tutta la sua morfologia, che conserva come s’è visto marcati tratti di specialità regolativa. L’applicazione al terzo settore della disciplina speciale per il lavoro subordinato prevista per il lavoro sportivo dilettantistico an- che dopo il d.lgs. 36/21 può poi entrare doppiamente in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’ art. 3 Cost. Infatti se un ente dilettantistico, in base all’art. 6, comma 2 del d.lgs. 36/21,
211 V., da ultimo, X. XXXXXXX, Oltre la subordinazione. La nuova tendenza espansiva del diritto del lavoro, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2021.
assumesse la qualifica di ente del terzo settore (in seguito anche ETS) potrebbe cumulare due discipline differenziate proprio riguardo al complessivo apparato delle tutele lavoristiche212. Da un lato, le tutele differenziate riguardanti il lavoro sportivo dilettantistico, analizzate nei prece- denti paragrafi; dall’altro, le poche ma significative regole speciali che riguardano i rapporti di lavoro per gli enti del terzo settore213. Questo cumulo di regole speciali potrebbe dar luogo a norme differenziate anzitutto tra enti che appartengono tutti al terzo settore; ma anche a seg- mentazioni regolative tra lavoratori sportivi non giustificate oggettivamente oppure non armo- nizzabili con principi e norme del “nuovo” diritto del lavoro sportivo.
7. Alcune (facili) questioni di costituzionalità.
Non mi pare in verità che, ad una prima valutazione degli intrecci tra le due riforme, le accennate questioni di costituzionalità possano assumere un ruolo assorbente e preclusivo. Fermo restando che possono sempre accendersi focus analitici su aspetti di dettaglio che meritino una trattazione specifica anche in ordine alla conformità con il principio di eguaglianza. in linea generale mi pare che la risposta alla questione di fondo poco sopra sollevata possa essere una volta tanto agevole: non c’è rotta di collisione tra le due discipline speciali in materia di rapporti di lavoro. Almeno su questo punto la riforma del lavoro sportivo e la disciplina del terzo settore non creano problemi né di antinomie di principio né di cumulo di irragionevoli differenziazioni: infatti i rapporti di la- voro sportivo con enti sportivi qualificati come enti del terzo settore possono essere solo di tipo dilettantistico. Quindi, per un verso, l’ETS sportivo o l’impresa sociale sportiva continuano a rea- lizzare tutte le finalità di cui all’art. 5 lett. a) della legge delega 86/19, giustificando pienamente l’applicazione della disciplina del lavoro sportivo anche rispetto agli altri enti del terzo settore che operano in ambiti diversi dallo sport vero e proprio. Si potrebbe dire che qui non sussiste un problema di compatibilità, bensì di prevalenza della finalità sportiva di cui risulta permeato il con- tratto di lavoro dello sportivo e che si “trascina” la disciplina speciale, allontanando il dubbio di contrasto con l’art. 3 Cost. Se un problema c’è, questo può riguardare confini e modalità per perimetrare in senso rigorosamente congruo con la realtà l’attività sportiva in senso stretto, senza dar adito non tanto ad astratti cortocircuiti logici, ma a palesi divaricazioni tra mondo reale e disciplina legale. Ma qui non è la “specialità lavoristica” a venire in rilievo, bensì il confine legisla- tivo tra cosa è sport e cosa non lo è (rimesso, come prima si è detto, al CONI: v. nota 11).
Per l’altro verso - cioè le ingiustificate differenziazioni tra lavoratori, sportivi e no, ma tutti del terzo settore - le regole speciali del lavoro nel terzo settore sono ispirate essenzialmente o a garantire dei minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori del settore (v. art. art. 16 d.lgs. 117/17; e, per le imprese sociali, art. 13, comma 1, d.lgs. 112/17) o ad un calmieramento dei compensi verso l’alto (v. art. 16 d.lgs. 117/17: in ciascun ente del Terzo settore la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non può essere superiore al rapporto uno a otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda)214. Queste finalità, anche se per enti ed imprese che
212 Sul tema, in generale, x. XXXXXXX, La nozione del “Terzo settore” e la sua rilevanza per i rapporti di lavoro, in Var. temi dir.lav., 2019,
p. 1052 ss.; XXXXXXXXX, DIRITTO del lavoro e terzo settore. Occupazione e welfare partenariale dopo il d.lgs. 000/00, Xxxxxx, XXX, 2020,
p.59 ss.; XXXXXXXXXXX, Riflessioni sulla prestazione di lavoro gratuita alla luce del Codice del Terzo settore, in Dir. lav. merc., 2021, p. 101 ss.
213 V., da ultimo e per tutti, XXXXXXXXX, Diritto del lavoro…, cit.
214 Su queste norme v. anche la nota del Ministero del lavoro del 27 febbraio 2020 n. 2088.
svolgono attività sportiva presentano altri problemi giuridici esistenti per tutto il terzo settore215, appaiono del tutto ragionevoli sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nonché compatibili con i principi del lavoro sportivo dilettantistico.
8. Amatorialità sportiva e volontariato nel terzo settore.
Venendo al primo dei due rilevanti problemi esegetici che solleva la già richiamata clausola di compatibilità di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. 36/21 – cioè il rapporto tra sportivi amatoriali e volontari del terzo settore – c’è anzitutto da analizzare attentamente l’art. 29 del d.lgs. 36/21, che, come s’è detto, contiene la nuova definizione di “sportivo amatoriale”, seppure, significati- vamente, con riguardo alle “prestazioni amatoriali”. Al riguardo i principali dubbi sembrano due:
a) gli sportivi amatoriali sono da considerarsi alla stessa stregua dei volontari del terzo settore o tra le due categorie c’è una netta distinzione? b) una volta divenuti ETS o imprese sociali alle associazioni sportive si applicano le c.d. clausole di contingentamento – che impongono un de- terminato rapporto quantitativo tra volontari, soci e lavoratori veri e propri - previste dai d.lgs. 112/17 e 117/17 per gli enti del terzo settore216?
Entrambe le questioni sono complesse e intrecciano due tematiche di grande rilievo: a) l’ambiva- lenza e stratificazione del c.d. fenomeno del volontariato post-moderno217; b) l’espansione dei criteri di applicazione delle tutele del diritto del lavoro oltre le fattispecie classiche218.
Si può subito dire che la consapevolezza di tali tematiche generali pare molto relativa nell’art. 29
del d.lgs. 36/21.
L’art. 29, comma 1, fornisce una definizione ampia e generale di prestazioni amatoriali consen- tendo a tutti gli enti sportivi di avvalersi per le proprie attività istituzionali di “amatori che met- tono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo per- sonale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali. Le prestazioni amatoriali sono comprensive dello svolgimento diretto dell’attività sportiva, nonché della formazione, della didattica e della preparazione degli atleti”. La definizione di sportivo amatoriale dell’art. 29, comma 1, per alcuni versi ricalca dunque quella di volontario219
215 Per un esempio di particolare rilevanza, la costituzionalità dell’efficacia generalizzata dei contratti collettivi qualificati di cui all’art. 51 del d.lgs. 81/15 prevista dalle norme citate nel testo. Sulla questione x. XXXXXX, La soggettività giuridica degli Enti del Terzo settore. Profili giuslavoristici, in Xxxxxxxxxxx.xx, 2018, p. 1 ss.; XXXXXXXX, Le novità della riforma del terzo settore nella disciplina giuslavoristica, in Dir. ec. impr., 2018, p. 667 ss.; X. XXXXXXXX, Il lavoro nel terzo settore, in Mass. giur.lav., 2018, p. 91 ss.; DE MOZZI, Terzo settore e contrattazione collettiva, in Var.temi dir.lav., 2019, p. 1015 ss.; XXXXXXXXX, Diritto del lavoro…, cit., p. 94. Invero il richiamo che al riguardo qualcuno fa per le norme citate alle “clausole sociali” come “contropartita per fruire della disciplina di favore che il nuovo diritto del Terzo settore garantisce…” (XXXXXXXXX, Diritto del lavoro…, cit., p. 104; anche DE MOZZI, Terzo settore…, cit., p. 1033;) po- trebbe valere in particolare per gli ETS sportivi (anche se a me quel richiamo non convince del tutto in generale).
216 I limiti all’utilizzo di lavoratori a titolo oneroso per le organizzazioni di volontariato e le associazioni (artt. 33, comma 1, e 36, comma 1, del d.lgs. 117/17) sono di due tipi: a) qualitativo, in quanto questi soggetti “possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure nei limiti occorrenti a qualificare o specializzare l’attività svolta”; b) e, più stringente, quantitativo, in quanto al massimo si può arrivare fino al 50% del numero dei volontari o al 5% degli associati nel caso di associazioni di promozione sociale. Nel secondo caso si parla appunto di “clausole di contingentamento”: x. XXXXXXXXX, Diritto del lavoro…, cit. p. 182 ss.
217 V. ampiamente e riassuntivamente, anche per ulteriori indicazioni bibliografiche, XXXXXXXXX, Diritto del lavoro…, cit., p. 132 ss.
218 V. ancora, per tutti, XXXXXXX, Oltre la subordinazione…, cit.
219 V. art. 17, comma 2, del d.lgs. 117/17 “il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e
- peraltro con uso esplicito del termine nei successivi commi 3 e 4 - e per altri se ne discosta. In comune ci sono i requisiti della “gratuità”, “spontaneità”, “assenza di fini di lucro anche indiretti”, in presenza dei quali consegue l’effetto giuridico comune dell’“incompatibilità con qualsiasi rap- porto di lavoro autonomo o subordinato” dell’attività di volontariato (prevista appunto per gli sportivi amatoriali dall’art. 29, comma 3). A differenziare le due nozioni ci sono la settorialità og- gettiva della nozione di prestazione sportiva amatoriale (attività sportiva vera e propria; forma- zione, didattica e preparazione degli atleti) nonché la finalità determinante individuata, tautolo- gicamente, come “finalità amatoriale”. L’attività del volontario sotto il profilo finalistico è invece caratterizzata dall’essere diretta a “fini di solidarietà” (v. art. 17, comma 2, del d.lgs. 117/17, ci- tato in nota 29). Inoltre gli sportivi amatoriali possono partecipare a competizioni ricevendo premi e, soprattutto, rimborsi spese in misura decisamente superiore ai volontari del terzo settore (art. 29, comma 2, del d.lgs. 36/21)220.
Pur essendovi elementi comuni, pare che specificità settoriale, assenza di fini solidaristici e pos- sibilità di percepire premi significativi e rimborsi non predeterminati diano allo sportivo amato- riale una configurazione del tutto peculiare non sovrapponibile al volontario caratterizzato e mo- tivato dalla particolare utilità sociale dell’attività svolta, attività cioè che va intesa come propria- mente rivolta a fornire utilità ad altri in misura (almeno) maggiore che a se stessi. In sintesi l’atti- vità del volontario “tipico” – intendendo l’aggettivazione in senso classico di “fattispecie tipica” – si connota per l’accentuata finalizzazione “altruistica” che consente, pur con tutte le riserve con- nesse alla moderna morfologia del fenomeno, addirittura di accostarla alla donazione e che evoca l’elemento costitutivo dell’animus donandi221.
Pur con qualche cautela, pare in verità che i tratti differenziali indicati dal legislatore prevalgano su quelli comuni. Al punto che i riflessi dei secondi sui primi – pure la cruciale “gratuità”, ad esem- pio, si colora diversamente se viene scissa dalla finalità “solidaristica” – danno vita ad una fatti- specie legislativa connotata in modo specifico che rende la prestazione amatoriale avulsa dalle logiche precipue del codice del terzo settore. È preferibile dunque optare per una non sovrappo- nibilità delle due nozioni/figure di “sportivo amatoriale” e “volontario” del terzo settore, che ri- spondono a funzioni diverse. Sicché, salvo scelte normative esplicitamente differenti e fermo re- stando che gli enti sportivi che dovessero “accedere” al Terzo settore possono avvalersi di en- trambe le fattispecie, gli sportivi amatoriali non sono da considerarsi a nessun fine volontari nell’applicazione della disciplina degli ETS. E appare anche difficile configurare dei volontari che svolgano le attività sportive - e/o qualcuna delle altre indicate dall’art. 29 del d.lgs. 36/21 - e che non siano da ricondurre agli sportivi amatoriali. Negli equilibri della riforma sembrerebbe proprio che il volontariato propriamente sportivo debba assumere la configurazione giuridica dello spor- tivo amatoriale che assorbe quella del volontario.
Ne risulta aggravato il secondo dei dubbi esegetico-ricostruttivo sollevati a inizio di questo para- grafo: cioè l’applicabilità delle clausole di contingentamento agli ETS sportivi. Infatti per questi enti il volontariato è pensabile solo al di fuori delle attività sportive ac similia di cui al più volte
gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà”. Sulla problematicità già solo di questa nozione
v. il mio Volontariato e diritti dei lavoratori tra Jobs Act e codice del terzo settore, in XXXXXXXX-X. XXXXXXX (a cura di), Xxxx Xxxxxx Volon- tariato, Lecce, Milella, 2018, p. 55 ss.
220 In base al codice del terzo settore anche i volontari possono avere rimborsi spesi, ma entro limiti massimi molto stringenti (10 euro giornalieri e 150 euro mensili: x. xxx. 00, xxxxx 0, xxx d.lgs. 117/17).
221 V. Già X. XXXXXXX, Volontariato e diritti…, cit., p. 47 ss.
citato art. 29, ovvero, essenzialmente, per attività gestionali, impiegatizie e/o di tipo manuale (pulizia, custodia, ecc.). Una forte restrizione dell’ambito entro cui va verificato il rispetto delle clausole di contingentamento, almeno per quella prevista dall’art. 33 e da parte dell’art. 36 del d.lgs. 117/17 (50% dei volontari).
Pur consapevole di questa difficoltà, non vedo sinceramente il motivo per escludere l’applica- zione delle clausole di contingentamento agli ETS sportivi. Infatti, sebbene il volontariato ormai può essere considerato un fenomeno che va ben oltre il terzo settore e che pone problemi di limiti al suo abuso222, la qualifica di ente del terzo settore si coniuga inscindibilmente con la pro- mozione del volontariato. Questa è la ragione profonda per cui il legislatore, con le clausole di contingentamento, limita l’utilizzazione di veri e propri contratti di lavoro a titolo oneroso. Se gli enti sportivi intendono avvalersi del codice del Terzo settore non possono certo sottrarsi al fine di promuovere il volontariato genuino. Al di là del fatto che tale volontariato, come s’è detto, non sembra aver riscontro pieno nello sportivo amatoriale, le clausole di contingentamento devono e possono trovare applicazione anche a ETS sportivi non essendo incompatibili con le finalità che esse perseguano. In effetti tali clausole creano solo qualche, pur significativa, difficoltà, non si sa quanto adeguatamente soppesata dalla riforma del 2021. Forse il legislatore potrebbe ancora correggere questi aspetti equiparando, ai fini del contingentamento, gli sportivi amatoriali ai vo- lontari veri e propri quando, ad esempio, la gratuità dovesse coniugarsi con finalizzazioni più so- lidaristiche (ad esempio: formazione e didattica sportive per disabili/fasce sociali indigenti, ecc.) e/o alla rinuncia a partecipare direttamente a competizioni onerose o con premi di rilevante va- lore economico.
Va comunque considerato che, pur con le restrizioni connesse alla specificità legislativa dello sportivo amatoriale, le clausole di contingentamento previste dall’art. 36 del d.lgs. 117/17 per le associazioni di promozione sociale (APS) creano minori problemi per gli enti sportivi che acquisi- scano la qualifica di APS, essendo in quel caso il ricorso a contratti di lavoro consentito anche nella misura del 5% dei soci (e quindi avendo minore rilevanza il numero di volontari).
Invece coerente con gli assetti complessivi del terzo settore mi pare la ricaduta delle interpreta- zioni proposte dell’art. 29 del d.lgs. 36/21 sulle imprese sociali, qualifica alla quale pure possono puntare le società sportive223. In questo caso le clausole di contingentamento operano in modo diverso, dal momento che la legge consente il ricorso al volontariato in misura pari a quello dei lavoratori dell’impresa (art. 13, comma 2, del d.lgs. 112/17): ciò significa che l’esclusione degli sportivi amatoriali dalla nozione di volontario del codice del Terzo settore consente alle imprese sociali di aggiungere i primi ai secondi. Questo è coerente con uno statuto complessivo del terzo settore che sembra privilegiare le imprese sociali224. Con riguardo al tema che si sta trattando, probabilmente si dovrà scontare un effetto di maggiore indistinguibilità pratica delle due figure dello “sportivo amatoriale” e del “volontario del terzo settore”.
Connessi all’applicazione delle clausole di contingentamento sorgono alcuni problemi applicativi.
Anzitutto quello delle eventuali conseguenze giuridiche della violazione delle clausole di
222 X. XXXXXXXXX, Diritto del lavoro…, cit., p. 132 ss., nonché X. XXXXXXX, Volontariato e diritti…, cit., p. 47 ss..
223 In generale v. X’XXXXXX, La riforma dello sporto: quali scenari?, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 20 maggio 2021.
224 Con tutto ciò che ne consegue in merito all’ “ibridazione” dei modelli legislativi: v., anche per l’attenzione ai profili giuslavoristici, XXXXXXXXX, Diritto del lavoro …, cit., p. 315 ss., che riassume il ricco dibattito sul punto.
contingentamento, tutt’altro che ben definite, anche se sullo sfondo si profila la cancellazione dal Registro Unico del Terzo settore (RUNTS)225. Non è questa la sede per riesaminare la questione; non pare però che la soluzione interpretativa prescelta sia influenzata o influisca sulla “clausola di compatibilità” del codice del terzo settore con la disciplina del lavoro nelle associazioni spor- tive.
Un ulteriore problema può porsi in ordine alle conseguenze nel caso di variazione del rapporto numerico tra le categorie contemplate nelle clausole di contingentamento. Qui, salvo le soluzioni prospettabili in generale, soccorre una norma dettata dall’art. 35, comma 1-bis, del d.lgs. 117/17 per le APS, che consente di integrare il numero di soci entro un anno prima di incorrere nella cancellazione dal RUNTS.
9. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale. L’altra norma di cui occorre valutare la compatibilità con il codice del Terzo settore è, come si è
detto, l’art. 37 del d.lgs. 36/21, che detta una specifica disciplina per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale. Al riguardo il d.lgs. 36/21 - in applicazione piuttosto minimale del criterio di delega di cui all’art. 5, comma 1, della l. 86/19 - contiene una disciplina innovativa, ma alquanto confusa e ambigua226.
Già l’incipit dell’art. 37, nel consentire il ricorso ai xx.xx.xx. di cui all’art. 409, comma 1 n. 3 del
c.p.c. (“ricorrendone i presupposti…”), suscita perplessità. I “presupposti”, se non intaccati da una nuova disposizione di legge, devono ricorrere sempre (salvo a capire tecnicamente cosa sono). Non c’era certo bisogno di una specifica autorizzazione del legislatore per utilizzare una tipologia generale di contratto di lavoro. La novità sta piuttosto, come già rimarcato, nell’abrogazione dell’art. 2, comma 0, xxxx. x), xxx x. xxx. x. 00/0000 (x. art. 52, comma 1 lett. d, del d.lgs. 36/21), che riconduce anche le collaborazioni di carattere amministrativo-gestionali degli enti sportivi alla disciplina generale227. Con tutto quanto ne consegue in ordine al sottile confine tra collaborazioni coordinate e collaborazioni etero-organizzate228.
Tornando ai “presupposti”, quell’incipit non proprio felice può assumere un senso specifico pro- prio per il terzo settore, potendosi agevolmente leggere in quella espressione una conferma della necessità di rispettare le clausole di contingentamento nel caso in cui l’ente sportivo abbia acqui- sito la qualifica di ETS.
Invece non mi sembra per nulla sostenibile una lettura della norma secondo cui i contratti ex art. 409, comma 1 n. 3, c.p.c. sarebbero l’unica tipologia utilizzabile nel settore sportivo per svolgere attività di carattere amministrativo-gestionale. Osterebbero a tale lettura sia dati testuali, in quanto l’art. 37, comma 1, del d.lg. 36/21 recita: “può essere oggetto”; sia dati sistematici, in quanto il già richiamato principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale, applicabile anche agli enti sportivi dentro e fuori il terzo settore, rende rilevanti, ai fini della classificazione del contratto
225 V. ancora XXXXXXXXX, Diritto del lavoro…, cit., p. 185 ss.
226 V. già il § 5.
227 Su cui v., da ultimi, ZOPPOLI A., Le collaborazioni eterorganizzate tra antiche questioni, vincoli di sistema e potenzialità, e XXXXXXX, Subordinazione, eterorganizzazione e autonomia tra ambiguità normative e operazioni creative della dottrina, entrambi in Dir. rel. Ind., 2020, risp. p. 105 ss. e 703 ss.; XXXXXXX, Oltre la subordinazione…, cit.
228 Oltre alla dottrina appena citata, al riguardo occorre aver presente che è ancora lontano un assestamento della giurisprudenza in ordine al regime giuridico complessivo che differenzi radicalmente xx.xx.xx. e lavoro eteorganizzato: da ultimo v., ad esempio, su importanti profili previdenziali, Xxxx. 30 aprile 2021, n. 11430.
utilizzato, le concrete modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, come già del resto è nella tradizione antiformalista del moderno diritto del lavoro.
Invece la già ricordata abrogazione della lett. d) dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. 81/15 e il principio di delega inizialmente richiamato fanno propendere per la natura di norma promozionale o di sostegno dell’art. 37, che vuole essenzialmente prefigurare l’utilizzazione dei contratti ex art. 409
n. 3 cpc collegandoli ad un regime fiscale agevolato con compensi tassati come redditi diversi fino a 10.000 euro.
Anche qui c’è però un’ambiguità non da poco sotto il profilo giuslavoristico laddove l’art. 37, comma 4, ultimo alinea, recita: “le prestazioni di carattere amministrativo-gestionale sono consi- derate di natura professionale per l’intero importo” se superano i suddetti limiti quantitativi. Que- sta conseguenza di natura fiscale – che mi pare in verità sin troppo sintonica con l’utilizzazione della normativa tributaria in modo elusivo dei vincoli giuslavoristici – non mi pare però aver nulla a che fare con la qualificazione del rapporto di lavoro coerente con la sua effettiva esecuzione. Il contratto andrà comunque qualificato alla luce degli indici della subordinazione o dell’etero-or- ganizzazione previsti dall’odierno diritto del lavoro a prescindere dalla qualificazione legislativa dei redditi a fini tributari.
L’art. 37 del d.lgs. 36/21, pur con tutte le sue oscurità ed ambiguità, appare pienamente compa- tibile con l’acquisizione della qualifica di ETS o di impresa sociale da parte delle associazioni o società sportive. Per questo è ancora più importante che ne siano chiare tutte le implicazioni, senza alimentare alcuna falsa speranza di permanenza di statuti giuridici speciali per le collabo- razioni a carattere gestionale-amministrativo nel settore dell’attività sportiva.
In conclusione, non si può negare che la riforma dello sport presenti numerosi aspetti positivi, a partire dal pieno riconoscimento della natura lavorativa dei rapporti tra sportivi e società o asso- ciazioni sportive, con l’esclusione delle prestazioni amatoriali. Ne costituisce ovvia conseguenza l’attribuzione di una serie di tutele, ovviamente diversificate tra lavoro subordinato e autonomo, per quest’ultimo con una scelta in termini di progressività per quanto concerne gli obblighi fiscali e contributivi229, ma con la sottolineata rilevante novità dell’applicazione tendenziale dell’intera disciplina del lavoro subordinato a tutti i contratti di collaborazione etero-organizzati.
Peraltro a questo riguardo viene reiterato il tradizionale, ed in precedenza rimarcato, duplice er- rore di fondo. Da un lato, si affida alla scelta esclusiva ed insindacabile delle federazioni nazionali la riconduzione al professionismo. Dall’altro, manca una qualunque distinzione nell’ambito del dilettantismo230: viene, invero, adottato un modello, in larga misura forgiato su quello già esi- stente nello sport professionistico, unico per l’intero settore, ovvero valido tanto per le società che partecipano, ad esempio, ai campionati di pallavolo di serie A e di pallacanestro di serie A2, per le quali vi è assoluta identità tipologica col professionismo, quanto per la piccole realtà nelle quali gli sportivi si pongono finalità prevalentemente ludiche (quali, ad es., ASD che partecipano
229 Sul punto v. retro, § 3.
230 Lamentano la mancata considerazione da parte del d. lgs. n. 36/2021 della specificità dei settori dilettantistici, declinati al plurale, AGRIFOGLIO, Prime osservazioni sulla riforma in materia di lavoro sportivo, in xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxxx.xx, 2021, 23 e SANDULLI G., La riforma del lavoro sportivo all’esame del parlamento. Valutazioni e rilievi presentati in audizione al Senato, 5 gennaio 2020, in Olim- pialexreview, 2020, 3.
a competizioni delle categorie inferiori o circoli sportivi di ridotte dimensioni). Un modello che rischia di non essere compatibile con la sostenibilità economica del sistema. È, pertanto, assolu- tamente condivisibile la proposta da tempo avanzata di “introdurre una fascia intermedia” tra professionismo vero e proprio e dilettantismo puro, per la quale sarebbe sufficiente l’applicazione di una normativa minima e speciale (ad es., obblighi delle parti, periodi di riposo, tutela sanitaria, tutela della salute, assicurazione contro gli infortuni e trattamento pensionistico)231.
In questa logica si spiega l’introduzione della figura dello sportivo amatoriale. Come si è visto però anche quest’ultima, timida, innovazione presenta varie ombre allorché associazioni e società sportive si affacciano nel terzo settore. Con riferimento all’ambito sportivo le scelte del legislatore confermano infatti per molti versi l’impostazione generale seguita già qualche anno fa nella ri- forma del terzo settore quanto ad una netta separazione di regime giuridico tra contratti di lavoro e volontariato. Introducendo gli sportivi amatoriali il legislatore contribuisce poi a rendere tipo- logia e disciplina del volontariato più articolate, anche se più imprevedibilmente segmentata e confusa, proprio all’interno del terzo settore nel quale è presumibile che approderanno varie as- sociazioni e società sportive dilettantistiche. Neanche in questo settore si affronta però la que- stione di fondo dell’accertamento della genuinità del volontariato, pur quando riconducibile all’attività sportiva amatoriale: infatti il potenziamento della certificazione – previsto come s’è detto nell’art. 25, comma 3, del d.lgs. 36/21 per i contratti di lavoro sportivo – continua a riguar- dare solo i contratti di lavoro232.
Il d.lgs. 36/21, pur confermandone significativi tratti di specialità, avvicina complessivamente la disciplina del lavoro sportivo a quella generale, rendendo il settore più permeabile a quel pro- cesso di assottigliamento di confini e differenziazioni tra fattispecie contrattuali, già in atto anche nella giurisprudenza pre-riforma in materia. Questo orientamento pare destinato a influenzare gli enti sportivi che dovessero ambire a restare o entrare nel terzo settore. Non sembrano indivi- duabili infatti specifiche misure giuslavoristiche volte ad incentivare il volontariato negli enti spor- tivi del terzo settore; e neanche discipline di particolare favore per i contratti di lavoro stipulati con enti sportivi che acquisiscano qualifica di ETS. Invero sembra piuttosto intravedersi un assetto legislativo in cui la giusta rilevanza che nel terzo settore deve avere il volontariato con precipue finalità di solidarietà sociale – presupposto anche quantitativo per assumere lavoratori intorno a cui imperniare organizzazioni solide - possa addirittura essere un disincentivo allo sviluppo (o al mantenimento) di enti sportivi nel medesimo terzo settore. Meno colpita, come s’è detto, è forse solo la scelta dell’impresa sociale. Anche questo però conferma come l’incontro tra sport e terzo settore avvenga all’insegna della ibridazione di modelli normativi, probabilmente più rispondente alla proteiforme realtà, ma meno idonea a indirizzare le dinamiche reali verso i migliori assetti pure sotto il profilo giuslavoristico.
000 Xxx. XXXXXXXXXX, Xx lavoro sportivo professionistico e l’attività dilettantistica, cit., 523 s. e 526. Da ultimo ROCCHINI, Dal dilettante al lavoratore sportivo …, cit., 413 sottolinea come sia maturata “la convinzione circa la necessità di una linea di intervento mediana, per il tramite dell’emersione, accanto allo sportivo professionista, della figura del “lavoratore sportivo” tout court, cui riconoscere l’esten- sione di alcune tutele minime inderogabili, distinguendo la sua situazione da quella dell’amatore che fa sport per mero diletto e senza ricavarne un compenso”. Tale a., comunque, dà un giudizio complessivamente positivo della riforma, in quanto – e sul punto non ci sono dubbi - “prova a rispondere a una reale e indefettibile esigenza di tutela” (p. 423).
232 Per una proposta in tal senso riguardante il volontariato in generale v. X. Xxxxxxx, Volontariato e diritti dei lavoratori…, cit., p. 60.