CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale Incontro di studi “I contratti dell’impresa e la tutela del consumatore”
Roma 10 –12 febbraio 2010
SUBFORNITURA INDUSTRIALE, ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA E CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE
XXXX. XXXXXXX XXXXXX GIUDICE DEL TRIBUNALE DI PALERMO
Sommario : 1. La nozione di subfornitura industriale; 2. La forma del contratto di subfornitura; 3. Il contenuto del contratto di subfornitura; 4. Il divieto di interposizione; 5. La responsabilità del subfornitore; 6. Conciliazione ed arbitrato; 7. Abuso di dipendenza economica; 8. I contratti di distribuzione. 8.1. Definizione;
8.2. Il contratto di concessione di vendita; 8.3. Natura giuridica del contratto di concessione di vendita.
L’obiettivo di questo lavoro non è quello di effettuare un’esposizione organica e completa dell’assetto normativo e giurisprudenziale relativo alla subfornitura industriale, all’abuso di dipendenza economica ed ai contratti di distribuzione, ma solo quello di offrire del materiale di studio in ordine a taluni casi pratici di particolare interesse con riferimento al tema in questione (casi pratici in merito ai quali si rinvia al separato materiale in distribuzione).
1. La nozione di subfornitura industriale.
Il contratto di subfornitura industriale si è prima diffuso nella prassi negoziale e, dopo avere acquisito una tipicità sociale, ha trovato una sua disciplina normativa con la legge 192/19981, uno dei cui obiettivi era quello della tutela, in relazione a possibili abusi del committente, della posizione del subfornitore, considerato il contraente debole nella dinamica dei rapporti negoziali tipici della subfornitura.
Con il termine “subfornitura” si intende il rapporto contrattuale in base al quale un imprenditore (committente) conferisce ad un altro imprenditore (subfornitore) l’incarico di predisporre parti del prodotto finale o di svolgere talune fasi del processo produttivo, se questo sia scomponibile.
Nella definizione che troviamo all’art. 1, I comma, della legge 192/98 si prevede che “con il contratto di subfornitura un imprenditore si impegna a effettuare per conto di una impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente”.
Ecco che la disciplina della subfornitura nelle attività produttive introdotta dalla legge 18 giugno 1998 n.
192 non si riferisce a tutti i rapporti commerciali, emersi nella prassi, tradizionalmente qualificabili come subfornitura, ma solo a quelli caratterizzati dalla “subalternità progettual-tecnologica” del subfornitore, in cui sia ravvisabile il presupposto peculiare della necessaria conformità dell’opera da realizzare a progetti esecutivi, conoscenze tecniche o tecnologiche, modelli e prototipi forniti dalla committente (ossia la c.d. lavorazione per conto e la subfornitura di prodotti o servizi, entrambi con la ricorrenza del presupposto della strumentalità della prestazione rispetto al ciclo produttivo del committente) ed esige, pertanto, la sussistenza della soggezione tecnologica del subfornitore rispetto al committente (Trib. Torino, 13/12/2007).
Tale requisito della soggezione tecnologica è alla base della differenza tra il contratto di appalto (che, costituendo un’obbligazione di risultato, è caratterizzato dall’autonomia dell’appaltatore, con cui è comunque compatibile il controllo esercitato dal committente) ed il contratto di subfornitura di cui alla legge 192/1998
1 Successivamente modificata dalla legge 5.3.2001 n. 57 e dal D. Lgs. 9.10.2002 n. 231.
(caratterizzato dal controllo diretto ed integrale sull’esecuzione dei lavori da parte del committente, il quale trasferisce al subfornitore l’intero patrimonio conoscitivo sulla realizzazione di un determinato bene o servizio)2. L’appalto è caratterizzato dall’ autonomia dell’appaltatore, in funzione della stessa obbligazione di quest’ultimo, che è di risultato e non di mezzi, e vi è compatibile il controllo e la sorveglianza esercitata dal committente al fine di assicurarsi che l’opera venga eseguit a in conformità delle regole dell’arte. L’appaltatore, dovendo però perseguire il risultato dell’ opera, non deve solo attenersi alle norme tecniche ed alle direttive
dell’appaltante, ma deve opporre le eventuali necessarie obiezioni di ordine tecnico.
La subfornitura è invece caratterizzata dal controllo diretto ed integrale sull’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa committente. Progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli e prototipi sono infatti forniti dall’ impresa committente, la quale, dovendo il prodotto o servizio essere inserito nella produzione di un bene complesso, trasferisce al subfornitore il cosiddetto know how, nel senso dell’ intero patrimonio conoscitivo sul come produrre un determinato bene o servizio3. La dipendenza tecnologica e progettuale verso il committente risiede in questo integrale trasferimento da parte del committente medesimo al subfornitore delle nozioni sul come fare un determinato bene o servizio, al punto che il subfornitore, a differenza dell’appaltatore, è privo di autonoma capacità valutativa in ordine alla congruità delle prescrizioni4.
Ai fini della qualificazione del rapporto intercorso fra le parti non può sfuggire che anche nel caso dell’appalto la materia può essere fornita dal committente, come si evince dall’art. 1658 c.c., che fa salva una diversa convenzione delle parti con riferimento alla disposizione secondo cui la materia deve essere fornita dall’appaltatore.
Tenuto conto di quanto sopra, emerge che la legge 192/98 non ha quindi considerato, se non marginalmente, la subfornitura “strutturale” o “specializzata”, in cui il subfornitore non necessariamente si limita a dare esecuzione a degli ordini e a rispettare certe specifiche indicazioni, ma anzi, al contrario è spesso uno specialista del suo settore produttivo, ha un suo specifico know-how, peculiari tecnologie e conoscenze (tecnologie e conoscenze che, in ipotesi, il committente può non possedere) e proprio per questo può essere chiamato a partecipare anche alla fase di concezione, progettazione e sviluppo del prodotto5.
In dottrina si è infatti distinto tra la subfornitura “congiunturale” o “per motivi di capacità”(che si ha quando il committente, pur essendo in grado di eseguire il lavoro da sé, si avvale del subfornitore per sue ragioni organizzative, ad es. per reperire capacità aggiuntive alle proprie in un momento di sovraccarico di lavoro) e la subfornitura “strutturale” o “specializzata” (che si ha quando il committente non è in grado di effettuare da sé una fornitura di beni o servizi e affida la stessa al subfornitore in considerazione della complessità del procedimento produttivo e della necessità di usufruire di sottofasi o singole funzioni del procedimento che richiedono competenze e/o tecnologie particolari).
Tale distinzione è stata recepita in giurisprudenza.
Secondo il Tribunale di Genova (sentenza della sezione VI del 13/12/2005) la sussistenza dei presupposti soggettivi (consistenti nel rapporto tra fra due imprese) ed oggettivi (risultanti dalla richiesta di una lavorazione su materie prime fornite dalla committente nonché la realizzazione di un prodotto destinato ad essere incorporato nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’ impresa committente) concretano la presenza della c.d. subfornitura congiunturale, in cui un imprenditore isola una o più delle fasi in cui si articola il processo produttivo – fasi che
2 V. Trib. Bari, sez. II, 30/10/2006. Secondo tale pronuncia, alla luce della detta differenza, “ai fini della qualificazione giuridica dei suddetti contratti non è sufficiente il nomen iuris attribuito dalle parti, dovendosi aver riguardo al risultato che le parti intendono perseguire in concreto”.
3 Proprio in considerazione di ciò l’art. 7 (rubricato “proprietà del progetto”) stabilisce che “il committente conserva la proprietà industriale in ordine ai progetti e alle prescrizioni di carattere tecnico da lui comunicati al fornitore e sopporta i rischi ad essi relativi. Il fornitore è tenuto alla riservatezza e risponde della corretta esecuzione di quanto richiesto, sopportando i relativi rischi”.
4 V. Trib. Bari, sez. II, 30/10/2006; Trib. Bari, sez. II, 13/07/2006.
5 Probabilmente la legge 192/1998 non ha preso in considerazione la subfornitura “strutturale” o “specializzata” in quanto il provvedimento legislativo in questione aveva lo scopo di fornire protezione al subfornitore parte debole del rapporto contrattuale. Ecco che, di fatto, occorre verificare, con riferimento allo specifico caso concreto, se sia configurabile una subfornitura congiunturale caratterizzata da subalternità progettual-tecnologica” del subfornitore e, quindi, interamente regolata dalla legge 192/1998, ovvero se sia configurabile un diverso rapporto.
potrebbe egli stesso svolgere con una diversa organizzazione della produzione impiegando risorse proprie – per affidarla all’ esterno ad altro imprenditore. Questi a sua volta rende una prestazione che va ad innestarsi nel ciclo produttivo della committente, dovendosi attenere alle indispensabili direttive di carattere tecnico impartite da quest’ultima, atteso che, trattandosi spesso di prestazioni che richiedono una elevata specializzazione tecnica, non è possibile a priori escludere che vi possa essere un concorrente apporto a livello progettuale e soprattutto esecut ivo, da parte del subfornitore6.
Ora, proprio in considerazione del fatto che la subfornitura è caratterizzata dalla detta subalternità progettual-tecnologica del subfornitore, si è affermato che “non rientra nell’ambito di applicazione della disciplina sulla subfornitura dettata dalla legge n. 192/1998 – ai sensi del cui art. 1 il contratto può definirsi tale allorquando abbia ad oggetto l’impegno di un imprenditore di effettuare per conto dell’impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o materie prime dalla medesima fornite, ovvero fornire alla stessa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, conformemente a progetti esecutivi, conoscenze tecniche, modelli o prototipi forniti dalla stessa committente – il contratto avente ad oggetto solamente la fornitura di servizi integrati per interventi ordinari e straordinari di pulizia variamente indicati nel contratto stesso, presso gli uffici e la foresteria della committente, poiché manca in tal caso, il tipico carattere del contratto in oggetto, ovvero la dipendenza, non solo economica, ma anche tecnica e tecnologica, dalla committente”7.
Analogamente, si è esclusa la configurabilità della subfornitura nel caso di contratto relativo alla realizzazione di linee elettriche. In particolare, in questo caso sono state due le circostanze atte ad escludere che trattavasi di subfornitura: innanzitutto l’esclusione operata dalla relativa disciplina dei contratti aventi ad oggetto la fornitura di beni strumentali non riconducibili ad attrezzature8 (laddove nella specie trattavasi di realizzazione di linee elettriche come tali destinate ad essere artificialmente incorporate nel suolo) nonché la circostanza per la quale l’attività di costruzione di impianti, concernendo un complesso di nozioni non inerenti un unico bene finale, non si identifica come tale con il patrimonio conoscitivo del committente, bensì con una serie di regole d’arte da osservare per la corretta esecuzione del complesso dei lavori9.
In una recente sentenza del Tribunale di Roma (sezione IX) del 23 gennaio 2008 si è poi affermato che il contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi generici di distribuzione di merci su incarico del committente (che nel caso di specie richiedeva specifiche caratteristiche nel mezzo di trasporto e modalità di esecuzione tali da garantire il buon livello del servizio ) non integra un contratto di subfornitura, considerata la mancanza (anche tenuto conto delle clausole contrattuali e delle condizioni di gara di cui alla specifica vicenda oggetto del giudizio) “di un collegamento di dipendenza tra le due imprese, con riferimento all’organizzazione aziendale”.
6 Nella sentenza del 13.12.2005 il Tribunale di Genova ha ritenuto che rientra nella disciplina di cui alla legge 192/98 in materia di subfornitura il contratto avente per oggetto il montaggio della struttura, degli accessori e di quant’altro necessario per la “completa finitura di n. 260 cellule bagno”, da realizzarsi su disegni e con materiali forniti in prevalenza dal committente. In particolare il subfornitore doveva nel caso di specie provvedere al “montaggio struttura, saldatura, sigillatura, piastrellatura, montaggio accessori e sanitari, realizzazione e collaudo impianto elettrico ed idraulico, fornitura posa rasatura e tinteggiatura cartongesso soffitto, pulizia ed imballo e quant’altro necessiti alla completa finitura della cellula bagno, per locale tipo commessa cv 056, secondo ns disegni 563TAAA00R3 (assemblaggio), 563TAII00R3 (impianto idraulico), 563TAIE00R1 (impianto elettrico). Materiali come da distinta base allegata”.
7 Trib. Monza, 9/5/2007 .
8 V. i casi espressamente considerati come estranei alla nozione di subfornitura indicati al comma 2 dell’art. 1 della legge 192/1998 (sui quali comunque si dirà in seguito).
9 Trib. Bari, Sez. II, 30/10/2006. Si legge in sentenza: “posto che nella specie ricorre l’attività di costruzione di impianti, che vanno da opere murarie a conduttori, aerei o di terra, il complesso di nozioni contenute nel capitolato tecnico, costituente parte integrante del contratto, non si identifica con il know how di tali impianti, ma con le regole d’arte da osservare per la corretta esecuzione dell’opera. Si deve infatti presumere che l’esecutore i lavori sappia come si deve eseguire un’opera muraria in linea generale. L’inerenza di tali impianti all’energia elettrica comporta il rispetto di determinati accorgimenti tecnici, ma tali accorgimenti non integrano la conoscenza generale sul come fare opere murarie e conduttori o sostegni, bensì mere norme tecniche da rispettare per la corretta esecuzione di impianti destinati all’erogazione di energia elettrica”. V. anche Trib. Bari, sez. II, 13/07/2006.
Si è, invece, sostenuto che rientra nell’ambito di applicazione della disciplina sulla subfornitura il contratto con cui l’impresa committente ha subappaltato lavori di pavimentazione ad altra impresa, ove quest’ultima, ancorché specializzata nella realizzazione di pavimentazioni industr iali, abbia assunto l’obbligo di realizzare i lavori sulla base del progetto esecutivo fornito dalla committente e con le caratteristiche tecniche specificamente individuate dalla medesima10.
Del pari, è stata ravvisata una posizione di “dipendenza tecnologica” (con riconducibilità della fattispecie negoziale in questione nell’ ambito di applicazione della disciplina sulla subfornitura) nel rapporto contrattuale avente ad oggetto la fornitura di alcune migliaia di metri lineari di “mobiletti sotto finestra” da realizzare sulla base dei disegni esecutivi predisposti dal committente e da inserire nella catena produttiva di quest’ultimo11.
Stabilire se si tratta di un contratto di subfornitura o meno è di particolare interesse anche se si considera che secondo l’art. 3, comma 4, della legge 192/1998 “in ogni caso la mancata corresponsione del prezzo entro i termini pattuiti costituirà titolo per l’ottenimento di ingiunzione di pagamento provvisoriamente esecutiva ai sensi degli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile”12.
Se si tiene conto del requisito della dipendenza progettual-tecnologica del subfornitore si può ben comprendere la ratio posta a base delle disposizioni della legge 192/1998, ossia quella di ridurre lo squilibrio contrattuale tra committenti e subfornitori in considerazione della debolezza contrattuale di questi ultimi, spesso esponenti del mondo della piccola impresa che si trovano a contrattare con imprese di grandi dimensioni.
In questo senso vanno letti la tipizzazione del contratto, la formalizzazione dello stesso attraverso la previsione di una forma scritta a pena di nullità, la previsione di conseguenze negative in caso di abusi di posizione, l’introduzione di strumenti di conciliazione della lite.
Sempre sotto il profilo oggettivo e della determinazione del campo di applicazione, va ora precisato che la legge 192/998 precisa anche, all’art. 1, II comma, quali sono i rapporti estranei alla sfera di operatività della legge stessa. Si tratta dei “contratti aventi ad oggetto la fornitura di materie prime, di servizi di pubblica utilità e di beni strumentali non riconducibili ad attrezzature”.
In relazione alla fornitura di materie prime non si può quindi fare riferimento alla legge 192/98. I servizi di pubblica utilità sono poi regolati da leggi speciali.
Ricorre, inoltre, spesso un contratto di appalto e non di subfornitura quando viene stipulato un contratto tra imprese in base al quale una ha il compito di realizzare beni strumentali non riconducibili ad attrezzature (ossia, prevalentemente, immobili ed altri cespiti nei quali si esercita l’attività produttiva). Del resto, l’avere circoscritto la portata precettiva della disciplina in discorso ai beni mobili rinviene la propria ratio nel fatto che è proprio di tali beni l’essere utilizzati nell’ ambito del ciclo di produzione di un bene complesso e l’avere la caratteristica di acquistare un significato tecnico nell’ambito della produzione di un bene più complesso. Trattasi,
10 Trib. L’Aquila, 13/12/2002.
11 Trib. Udine, 27/4/2001.
12 Ecco che in giurisprudenza si è sul punto affermato: 1) che posto che per aversi subfornitura industriale ai sensi della nuova disciplina deve ricorrere una situazione di dipendenza progettual -tecnologica del subfornitore nei confronti del committente, va sospesa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo emesso nel presupposto che il credito sorga da un rapporto rientrante tra quelli regolati dalla nuova disciplina (nella specie, il subfornitore aveva realizzato, senza direttive specifiche del committente, un ‘instradatore di chiamata’). Nel caso in cui non vi sia un rapporto che possa rientrare tra quelli regolati dalla nuova disposizione legislativa e ciò per mancanza della dipendenza tecnologica, al decreto ingiuntivo emesso per il recupero di questo credito va quindi sospesa la provvisoria esecuzione (Trib. Torino 19/11/1999); 2) che, “posto che per aversi subfornitura industriale, oltre alla prestazione afferente il ciclo produttivo del committente, deve ricorrere anche l’elemento del trasferimento di conoscenze tecniche e tecnologiche da parte del committente in favore del subfornitore, va sospesa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo emesso nel presupposto che il rapporto rientri tra quelli regolati dalla nuova disciplina (nella specie, il subfornitore svolgeva attività di bonifica per inquinamento da petrolio all'interno delle aree portuali)” - Trib. Taranto, 13/10/1999; 3) che, “posto che per aversi subfornitura industriale, oltre alla prestazione afferente il ciclo produttivo del committente, deve ricorrere anche l’elemento della dipendenza tecnologica del subfornitore verso il committente stesso, va sospesa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo emesso nel presupposto che il rapporto rientri tra quelli regolati dalla nuova disciplina (nella specie, il preteso subfornitore svolgeva attività di recupero dei crediti insoluti risultanti dalla documentazione relativa agli avvisi di accertamento” (Trib. Taranto, 28/09/1999); 4) che “l’art. 3 della legge sulla subfornitura industriale non trova applicazione rispetto a contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della legge stessa e predeterminati nel loro svolgimento temporale (nella specie, è stato concesso il decreto ingiuntivo, ma non la sua provvisoria esecutorietà)” (Trib. Taranto, 22/03/1999).
cioè, di un bene o servizio che funge da elemento di un ciclo produttivo complesso, e non di un bene finale, dotato di autonomia funzionale13.
Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, la legge 192/1998 si riferisce, testualmente, a “imprenditori” e “imprese”. Si pone quindi il problema dell’inclusione nell’ambito di applicazione del provvedimento normativo in questione dei contratti con le Pubbliche Amministrazioni che non svolgono, prevalentemente o esclusivamente, attività economica. Difficilmente questi enti possono considerarsi “imprenditori” e “imprese”. Si tratta, comunque, di una questione sulla quale mancano decisioni della giurisprudenza. Certo, l’esclusione dei contratti suddetti dalla sfera operativa della legge 192/1998 sarebbe particolarmente significativa se si considera che nei casi di commesse degli Enti pubblici ricorre spesso una situazione di “dipendenza” degli imprenditori privati che meriterebbe considerazione.
2. La forma del contratto di subfornitura.
L’art. 2 della legge 192/1998 stabilisce:
“Il rapporto di subfornitura si instaura con il contratto, che deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità. Costituiscono forma scritta le comunicazioni degli atti di consenso alla conclusione o alla modificazione dei contratti effettuate per telefax o altra via telematica. In caso di nullità ai sensi del presente comma, il subfornitore ha comunque diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai fini dell'esecuzione del contratto.
Nel caso di proposta inviata dal committente secondo le modalità indicate nel comma 1, non seguita da accettazione scritta del subfornitore che tuttavia inizia le lavorazioni o le forniture, senza che abbia richiesto la modificazione di alcuno dei suoi elementi, il contratto si considera concluso per iscritto agli effetti della presente legge e ad esso si applicano le condizioni indicate nella proposta, ferma restando l'applicazione dell'articolo 1341 del codice civile.
Nel caso di contratti a esecuzione continuata o periodica, anche gli ordinativi relativi alle singole forniture devono essere comunicati dal committente al fornitore in una delle forme previste al comma 1 e anche ad essi si applica quanto disposto dallo stesso comma 1.
Il prezzo dei beni o servizi oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile in modo chiaro e preciso, tale da non ingenerare incertezze nell'interpretazione dell'entità delle reciproche prestazioni e nell'esecuzione del contratto”.
Innanzitutto, quindi, il contratto di subfornitura deve essere redatto per iscritto a pena di nullità14 (fermo comunque restando, sempre nell’ottica della tutela del subfornitore-contraente debole, il diritto di quest’ultimo, riconosciuto dal primo comma dell’art. 2, “al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai fini dell'esecuzione del contratto”).
Alla luce della previsione del requisito della forma scritta ad substantiam, pare quindi condivisibile quell’impostazione15 per cui, contrariamente a talune affermazioni dottrinali, la disciplina della subfornitura ha definito un nuovo tipo contrattuale. Ed infatti, un elemento rilevante nel senso della tipicità può essere rinvenuto proprio nella norma che commina la nullità del contratto in conseguenza del mancato rispetto della forma scritta.
Se, infatti, si dovesse ritenere, come è stato osservato in dottrina, che la nuova legge non abbia inteso introdurre un nuovo tipo di contratto ma integrare la disciplina di altri contratti (come l’appalto o il contratto d’opera), non si vede in che modo la mancata redazione per iscritto del contratto potrebbe determinare la nullità
13 V. Trib. Bari, sez. II, 30/10/2006 e Trib. Bari, sez. II, 13/07/2006 (per il quale deve escludersi il ricorso del contratto di subfornitura nelle ipotesi in cui trattasi di costruzione di impianti elettrici e linee aeree, che, poiché destinati ad essere artificialmente incorporati nel suolo, non costituiscono attrezzature).
14 Per Trib. Bari 17/1/2005 “se il rapporto dì subfornitura si è instaurato fra le parti esclusivamente in virtù degli
ordini di volta in volta inviati dal committente, integranti distinte proposte contrattuali, seguiti dall’accettazione dell’impresa subfornitrice per fatti concludenti, ovvero mediante esecuzione della relativa prestazione, difetta un unico rapporto contrattuale di subfornitura, protrattosi nel tempo, perché non sorretto dall’essenziale forma scritta, non è configurabile recesso dal rapporto e, conseguentemente, inadempimento contrattuale, suscettibile di valutazione secondo i criteri degli art. 1218 e 1453 Codice civile. Infatti, non può riconoscersi il diritto alla conclusione di un nuovo contratto - previsto nell'ordinamento in ipotesi tassative, quali il monopolio legale e la stipula del preliminare; ben diverse dal caso di specie - in relazione al quale valutare l'equità delle condizioni contrattuali precedentemente osservate”.
15 V. Trib. Bari, Sez. II, 30/10/2006 e Trib. Bari, Sez. II, 13/07/2006.
dello stesso e non semplicemente l’ inoperatività del particolare regime previsto dalla legge sulla subfornitura (peraltro la conversione non avrebbe qui le conseguenze proprie dell’art. 1424 c.c., in quanto il contratto produrrebbe gli effetti originari previsti dalle parti, mutando semplicemente il quadro normativo di qualificazione). La forma è invece un requisito di validità del contratto e la sua mancata previsione è causa di nullità. La tipicità legale non esclude la diversità di situazioni fattuali cui può ricollegarsi la prestazione. Si spiega così il quarto comma dell’art. 5, secondo cui le eventuali contestazioni in ordine all’esecuzione della subfornitura devono essere sollevate dal committente entro i termini stabiliti nel contratto che non potranno tuttavia derogare ai più generali termini di legge. Entro tali limiti la disciplina della subfornitura rinvia dunque alle discipline dei singoli tipi cui è riconducibile la prestazione contrattuale, la quale, già sulla base dell’art. 1 della legge in discorso, può acquistare i caratteri dell’esecuzione di un’opera o quelli di una fornitura (così Trib. Bari, sez. II, 30/10/2006; Trib. Bari, sez. II, 13/7/2006).
In senso contrario, si legge nella sentenza del Tribunale di Desio del giorno 1/3/2004 che la legge 18 giugno 1998 n. 192 non ha introdotto un nuovo tipo contrattuale ma costituisce una piattaforma normativa finalizzata ad offrire una base inderogabile di tutela ad una categoria di imprese che si trova ad operare all’ interno di rapporti giuridicamente riconducibili entro vari tipi contrattuali, ma accomunati dal carattere economico fondamentale dell’esistenza di un nesso di dipendenza, potenziale fonte di abusi da parte dell’impresa committente (in virtù del suddetto principio, il rapporto di subfornitura oggetto della controversia, essendo prevalente un’obbligazione di facere da parte del subfornitore, è stato ricondotto al contratto d’appalto, con conseguente applicazione degli artt. 1667 e seg. c.c. per quanto riguarda la responsabilità del subfornitore).
Sempre in relazione alla forma del contratto di subfornitura si ribadisce, poi, che secondo l’art. 2 della legge 192/1998 “costituiscono forma scritta le comunicazioni degli atti di consenso alla conclusione o alla modificazione dei contratti effettuate per telefax o altra via telematica”. Ecco che il contratto di subfornitura è da ritenere validamente concluso anche per effetto del solo scambio di fax o di e-mails. Stipulato per iscritto il contratto, è da credere che sia priva di efficacia invalidante la mancanza di forma scritta degli ordini relativi alle singole forniture costituenti esecuzione delle previsioni negoziali.
Nell’ottica di fornire protezione al subfornitore che abbia iniziato l’esecuzione del contratto ancora da lui non sottoscritto, il citato articolo 2 introduce una deroga al principio della necessità di un contratto scritto sottoscritto da entrambe le parti. Si prevede, infatti, che “nel caso di proposta inviata dal committente secondo le modalità indicate nel comma 1, non seguita da accettazione scritta del subfornitore che tuttavia inizia le lavorazioni o le forniture, senza che abbia richiesto la modificazione di alcuno dei suoi elementi, il contratto si considera concluso per iscritto agli effetti della presente legge e ad esso si applicano le condizioni indicate nella proposta, ferma restando l'applicazione dell'articolo 1341 del codice civile”.
Ne discende che in caso di trasmissione in forma scritta di un ordine da parte del committente, il contratto di subfornitura è validamente concluso (con applicazione della relativa disciplina) anche se il subfornitore non risponda per iscritto, ma si limiti a dare esecuzione a quell’ordine in modo conforme a quanto in esso previsto. In tale ipotesi il contratta è da ritenere concluso, in base a quanto previsto dall’art. 1327 c.c., nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l'esecuzione.
Viene comunque fatta salva l’applicazione dell’articolo 1341 c.c., il che significa che anche in questo caso le clausole vessatorie saranno efficaci solo specificamente sottoscritte.
3. Il contenuto del contratto di subfornitura.
In relazione al contenuto negoziale, l’art. 2 dispone che “nel contratto di subfornitura devono essere specificati: a) i requisiti specifici del bene o del servizio richiesti dal committente, mediante precise indicazioni che consentano l'individuazione delle caratteristiche costruttive e funzionali, o anche attraverso il richiamo a norme tecniche che, quando non siano di uso comune per il subfornitore o non siano oggetto di norme di legge o regolamentari, debbono essere allegate in copia; b) il prezzo pattuito; c) i termini e le modalità di consegna, di collaudo e di pagamento”.
Con particolare riferimento al prezzo, sempre l’art. 2 precisa che esso “deve essere determinato o determinabile in modo chiaro e preciso, tale da non ingenerare incertezze nell’interpretazione dell’entità delle reciproche prestazioni e nell'esecuzione del contratto”. Sul prezzo viene poi aggiunto, all’art. 3, che nel caso in cui vengano apportate, nel corso dell'esecuzione del rapporto, su richiesta del committente, significative
modifiche e varianti che comportino comunque incrementi dei costi, il subfornitore avrà diritto ad un adeguamento del prezzo anche se non esplicitamente previsto dal contratto.
Per quanto riguarda i pagamenti, va rilevato che il contratto deve fissare i termini di pagamento della subfornitura, decorrenti dal momento della consegna del bene o dal momento della comunicazione dell’avvenuta esecuzione della prestazione, e deve precisare, altresì, gli eventuali sconti in caso di pagamento anticipato rispetto alla consegna. Il prezzo pattuito deve essere corrisposto in un termine che non può eccedere i sessanta giorni dal momento della consegna del bene o della comunicazione dell'avvenuta esecuzione della prestazione.
Deve ora osservarsi, con riferimento all’aspetto sanzionatorio, che in caso di mancato rispetto del termine di pagamento il committente deve al subfornitore, senza bisogno di costituzione in mora, un interesse specificamente determinato dalla legge sulla subfornitura. Sono comunque fatte salve la pattuizione tra le parti di interessi moratori in misura superiore e la prova del danno ulteriore.
Se poi il ritardo nel pagamento eccede di trenta giorni il termine convenuto, il committente incorre, inoltre, in una penale pari al 5 per cento dell’ importo in relazione al quale non ha rispettato i termini.
Sotto il profilo degli strumenti processuali di tutela, vale la pena di evidenziare che il mancato pagamento del prezzo entro i termini pattuiti dà diritto al subfornitore di ottenere dal Giudice l’emissione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.
L’art. 6 della legge 192/1998 contiene, poi, una serie di previsioni sulla nullità di clausole negoziali.
E così, in merito allo ius variandi di una parte, si prevede che è nullo il patto tra subfornitore e committente che riservi ad uno di essi la facoltà di modificare unilateralmente una o più clausole del contratto di subfornitura. Sono tuttavia validi gli accordi contrattuali che consentano al committente di precisare, con preavviso ed entro termini e limiti contrattualmente prefissati, le quantità da produrre ed i tempi di esecuzione della fornitura.
Con riferimento al diritto di recesso si prevede che è nullo il patto che attribuisca ad una delle parti di un contratto di subfornitura ad esecuzione continuata o periodica la facoltà di recesso senza congruo preavviso.
Infine, è nullo il patto con cui il subfornitore disponga, a favore del committente e senza congruo corrispettivo, di diritti di privativa industriale o intellettuale.
4. Il divieto di interposizione.
L’art. 4 della legge 192/1998 prevede:
“La fornitura di beni e servizi oggetto del contratto di subfornitura non può, a sua volta, essere ulteriormente affidata in subfornitura senza l'autorizzazione del committente per una quota superiore al 50 per cento del valore della fornitura, salvo che le parti nel contratto non abbiano indicato una misura maggiore.
Gli accordi con cui il subfornitore affidi ad altra impresa l'esecuzione delle proprie prestazioni in violazione di quanto stabilito al comma 1 sono nulli.
In caso di ulteriore affidamento in subfornitura di una parte di beni e servizi oggetto del contratto di subfornitura, gli accordi con cui il subfornitore affida ad altra impresa l'esecuzione parziale delle proprie prestazioni sono oggetto di contratto di subfornitura, così come definito dalla presente legge. I termini di pagamento di detto nuovo contratto di subfornitura non possono essere peggiorativi di quelli contenuti nel contratto di subfornitura principale”.
Emerge all’evidenza la differenza con la disciplina prevista per il contratto di appalto, in relazione al quale l’art. 1656 c.c. stabilisce che “l’appaltatore non può dare in subappalto l’esecuzione dell’opera o del servizio, se non è stato autorizzato dal committente”.
Nella subfornitura l’autorizzazione del committente è necessaria solo se la quota della subfornitura della subfornitura supera il 50% del valore della fornitura (sempre che le parti non abbiano negozialmente indicato una misura maggiore).
La diversa regolamentazione del subcontratto relativo all’appalto ed alla subfornitura è dovuta alla differenza strutturale tra tali due istituti. Si è già detto che la subfornitura è caratterizzata dalla dipendenza tecnologica e progettuale del subfornitore nei confronti del committente, che ha il controllo diretto ed integrale sull'esecuzione dei lavori, fornendo egli progetti esecutivi e conoscenze tecniche e tecnologiche, ossia, in ultima analisi, tutte le nozioni sul come fare un determinato bene o servizio. Il contratto di appalto è invece caratterizzato dall’autonomia dell’appaltatore, su cui grava un’obbligazione di risultato e non di mezzi.
Ecco che al subfornitore, che a differenza dell’appaltatore è privo di autonoma capacità valutativa in ordine alla congruità delle prescrizioni, si consente di commissionare ad altri, senza bisogno di autorizzazione del committente, la realizzazione della subfornitura fino alla quota del 50% (o alla maggior quota prevista in contratto).
Mette a questo punto conto evidenziare una possibilità difficoltà che potrebbe sorgere nell’applicazione concreta della subfornitura della subfornitura. La norma non fa riferimento alla quota del 50% del prezzo, che sarebbe facilmente quantificabile, ma alla quota del “50% del valore della fornitura” e prevede la nullità dell’accordo per una quota maggiore in assenza di autorizzazione del committente. Diventa quindi rilevante determinare il detto “50% del valore della fornitura” (peraltro da valutare al momento della conclusione del subcontratto tra il subfornitore ed il terzo).
5. La responsabilità del subfornitore.
L’art. 5 della legge 192/1998 prevede:
“Il subfornitore ha la responsabilità del funzionamento e della qualità della parte o dell'assemblaggio da lui prodotti o del servizio fornito secondo le prescrizioni contrattuali e a regola d'arte.
Il subfornitore non può essere ritenuto responsabile per difetti di materiali o attrezzi fornitigli dal committente per l’esecuzione del contratto, purché li abbia tempestivamente segnalati al committente.
Ogni pattuizione contraria ai commi 1 e 2 è da ritenersi nulla.
Eventuali contestazioni in merito all'esecuzione della subfornitura debbono essere sollevate dal committente entro i termini stabiliti nel contratto che non potranno tuttavia derogare ai più generali termini di legge”.
Se, quindi, in linea generale, il subfornitore è responsabile del funzionamento e della qualità della parte o dell’assemblaggio da lui prodotti o del servizio fornito, tuttavia tale responsabilità viene meno in relazione ai difetti nei materiali o attrezzi forniti dal committente per l’esecuzione della fornitura e tempestivamente segnalati dal subfornitore.
Il regime di responsabilità appena esposto, particolarmente sintetico, non esclude l’applicazione di altre discipline normative, come quella sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso.
In merito a possibili erronee effettuazioni della fornitura, l’art. 5 prevede anche, come detto, che “eventuali contestazioni in merito all’esecuzione della subfornitura debbono essere sollevate dal committente entro i termini stabiliti nel contratto che non potranno tuttavia derogare ai più generali termini di legge”.
La necessità di tali termini è dovuta al fatto che il subfornitore non può rimanere esposto sine die alla possibilità di una contestazione da parte del committente. Non può però trattarsi di un termine eccessivamente breve se si considera che l’art. 2965 c.c. stabilisce che “è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l'esercizio del diritto”.
Al termine di decadenza in questione è poi collegata la possibilità per le parti di esperire un tentativo di conciliazione.
6. Conciliazione ed arbitrato.
In merito alla conciliazione ed all’arbitrato va innanzitutto riportato il disposto normativo dell’art. 10: “Entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui all'articolo 5, comma 4, le controversie relative ai
contratti di subfornitura di cui alla presente legge sono sottoposte al tentativo obbligatorio di conciliazione presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui territorio ha sede il subfornitore, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n. 580.
Qualora non si pervenga ad una conciliazione fra le parti entro trenta giorni, su richiesta di entrambi i contraenti la controversia è rimessa alla commissione arbitrale istituita presso la camera di commercio di cui al comma 1 o, in mancanza, alla commissione arbitrale istituita presso la camera di commercio scelta dai contraenti.
Il procedimento arbitrale, disciplinato secondo le disposizioni degli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile, si conclude entro il termine massimo di sessanta giorni a decorrere dal primo tentativo di conciliazione, salvo che le parti si accordino per un termine inferiore”.
È stato quindi introdotto un particolare meccanismo di risoluzione delle controversie tra subfornitore e committente.
Dopo la scadenza del termine per le contestazioni del committente sull’esecuzione della subfornitura si apre una fase obbligatoria di conciliazione presso la Camera di Commercio nel cui territorio ha sede il subfornitore16. In caso di fallimen to di tale obbligatorio tentativo di conciliazione, allora è prevista la facoltà, su richiesta di entrambi i contraenti, di rimettere la controversia alla Commissione arbitrale istituita presso la Camera di Commercio , instaurando così un vero e proprio arbitrato.
Evidentemente, la procedura arbitrale potrà essere iniziata o in base ad una clausola compromissoria inserita in contratto oppure mediante un accordo successivo alla stipulazione del contratto o all’insorgere della controversia.
La presenza di una clausola compromissoria potrebbe però non convenire al subfornitore che abbia ottenuto, a seguito dell’inadempimento del committente alla sua obbligazione di pagare il prezzo, un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, considerato che tale clausola potrebbe essere fatta valere dal committente nella causa di opposizione al decreto ingiuntivo (anche con richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione).
Il problema pratico maggiormente rilevante che si è posto in tema di tentativo di conciliazione è quello relativo alla sua necessità o meno in relazione alla procedura di ricorso per ingiunzione ex artt. 633 ss c.p.c. Al riguardo si è già detto che l’art. 3 della legge 192/98 prevede che la mancata corresponsione del prezzo entro i termini pattuiti costituisce titolo per l’ ottenimento di ingiunzione di pagamento provvisoriamente esecutiva. Si tratta ora di verificare se prima di presentare il ricorso per ingiunzione il subfornitore sia o meno tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione. E poiché l’art. 10 parla di un tentativo obbligatorio di conciliazione per “le controversie relative ai contratti di subfornitura di cui alla presente legge”, si deve anche valutare se il committente destinatario di un decreto ingiuntivo debba o meno far precedere la notifica dell’opposizione da un tentativo di conciliazione
In giurisprudenza si trova affermato che in tema di decreti ingiuntivi e contratti di subfornitura è infondata e deve essere respinta l’eccezione di improcedibilità sollevata dall’opponente sul presupposto che il decreto ingiuntivo avrebbe dovuto essere preceduto dal tentativo di conciliazione ex art. 10 L. n. 192/1998, giacché tale procedura è sicuramente incompatibile con il ricorso monitorio, così come affermato anche dalla Corte costituzionale 17 (così Trib. Genova, Sez. I, 17/04/2007, secondo il quale la procedura dal tentativo di conciliazione ex art. 10 L. 192/1998 è sicuramente incompatibile con il ricorso monitorio; v. anche Trib. Udine, 27.4.02).
La situazione è da qualche anno diventata di facile lettura in quanto nel 2004 la Corte Costituzionale ha stabilito (nella sentenza n. 163) che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, 4° comma, L. 18 giugno 1998 n. 192, nella parte in cui non prevede che il subfornitore, il quale intenda avvalersi del procedimento per ingiunzione di cui agli art 633 ss c.p.c., debba preventivamente esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 10 stessa legge, in riferimento all'art. 3 Cost..
Ora, secondo tale sentenza della Consulta, che viene dopo la decisione n. 276 del 2000 resa a proposito dell’art. 412 bis c.p.c., in tema di inapplicabilità del tentativo di conciliazione al procedimento di ingiunzione per crediti di lavoro, la norma che non sottopone al tentativo di conciliazione anche le procedure monitorie in tema di subfornitura non contrasta con l’art. 3 della Costituzione poiché non vi è una disparità di trattamento tra due situazioni (l’esercizio dell’azione in via ordinaria e quello in via monitoria) che fanno capo allo stesso soggetto e ciò in quanto tali due situazioni riguardano due distinte forme di tutela giurisdizionale sperimentabili dal titolare secondo una sua libera scelta, onde non si vede come possa parlarsi di disparità. Né l’art. 3 della Costituzione è violato per difetto di ragionevolezza in quanto si deve tenere conto, per la Corte, sia della discrezionalità legislativa nel configurare le discipline processuali, sia del fatto che il legislatore, apprestando una tutela particolarmente intensa ai crediti dei subfornitori, con la previsione dell’ingiunzione di pagamento provvisoriamente esecutiva, mostra all’evidenza di risolvere non irragionevolmente in favore di una sollecita
16 Il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 10 legge 18 giugno 1998, n. 192 è presupposto processuale dei giudizi relativi alle domande nascenti da tale contratto, con la conseguenza che la sua mancata adizione è causa di improponibilità dell’azione, salvo che tali giudizi siano preceduti da una fase cautelare ovvero che l’oggetto della domanda principale consista nell’adempimento della prestazione principale del committente. Il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 10 legge n. 192 del 1998 è incompatibile con il rito della verifica dello stato passivo fallimentare (Trib. Monza, 6/3/2004).
17 Corte costituzionale (ordinanza) 1.6.04 n. 163, in Foro it. 2005, I, 666.
realizzazione delle pretese di tali soggetti (alla quale è funzionale il processo monitorio) la valutazione di bilanciamento con l’esigenza di apprestare uno strumento di composizione transattiva delle relative controversie. Peraltro, nella sostanza la soluzione opposta, ossia quella di richiedere l’espletamento del tentativo di conciliazione prima dell’attivazione della procedura monitoria comporterebbe, considerato che il decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell’art. 3 L. 192/98 è provvisoriamente esecutivo, lo svuotamento di significato di un
rimedio monitorio che invece il legislatore configura in questo caso come particolarmente incisivo.
Certo, è vero che la soluzione di sganciare il rito monitorio dal tentativo di conciliazione in un ambito, quale quello della subfornitura, in cui il decreto ingiuntivo è lo strumento utilizzato in via quasi esclusiva (anche per la provvisoria esecutività prevista per legge) dai subfornitori per ottenere il pagamento dei corrispettivi da parte dei committenti, comporta che il tentativo di conciliazione risulterà applicabile solo quando la controversia riguarderà questioni diverse dal pagamento del corrispettivo della subfornitura.
7. Abuso di dipendenza economica.
Il legislatore si è preoccupato della possibilità che si determinino situazioni di dipendenza del subfornitore verso il committente.
L’art. 9 della legge 192/1998 (sull’abuso di dipendenza economica) prevede che “è vietato l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
L’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.
Il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è nullo. Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni.
Ferma restando l'eventuale applicazione dell’articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell’attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell'istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso”.
L'istituto dell’abuso di dipendenza economica è stato studiato in dottrina ma ha trovato un limitato riscontro giurisprudenziale.
Restano pertanto ancora irrisolte una serie di questioni, a partire da quella concernente l’applicabilità dell’istituto in questione a contratti diversi dalla subfornitura.
Sul punto anche in giurisprudenza si rinvengono due orientamenti contrapposti.
Il primo è nel senso di una soluzione restrittiva, secondo la quale il citato art. 9 "derogando al principio della libertà contrattuale, conferisce al giudice poteri di natura eccezionale qual è quello di riequilibrare l'assetto del contratto e può spingersi fino all'estremo di costituire veri e propri rapporti giuridici fra le parti, determinando in tal modo conseguenze che, ove se ne ritenesse l'applicazione al di fuori della ristretta cerchia delle subforniture, si rivelerebbero assolutamente dirompenti dei principi di comune applicazione in materia contrattuale"18.
18 Così Trib. Torino 19 novembre 1999 e Trib. Taranto 28 settembre e 13 ottobre 1999, in Foro it , 2000, I, 624, con note di XXXXXXXX e XXXXXXX. In relazione a questo primo orientamento possono poi essere ricordate la decisione del Tribunale di Taranto del 22 dicembre 2003, in Foro it ., 2004, 1, 262 (secondo la quale “i rapporti di franchising, in quanto non riconducibili alla tipologia del contratto di subfornitura, non ricadono nella sfera di applicazione della disciplina dell'abuso di dipendenza economica. Non può essere accolto il ricorso con cui il franchisee chiede di sospendere in via d'urgenza gli effetti della disdetta di un contratto di affiliazione commerciale per l'esercizio del servizio di autonoleggio, intimata dal franchisor nel rispetto del termine di preavviso pattuito, posto che: a) il franchising non è riconducibile ai rapporti di subfornitura, ai quali soltanto si applica il divieto dell’abuso di dipendenza economica; b) in ogni caso, non è
Il secondo è invece favorevole ad una applicazione estensiva della norma sopra riportata, applicazione secondo la quale la norma stessa disegna un "...istituto che, a buon diritto, nel solco interpretativo tracciato dall’affermazione del centrale ruolo svolto dalla buona fede nella gestione dei rapporti speciali, precontrattuali e contrattuali, si inserisce quale “clausola generale di abuso di potere contrattuale delle relazioni negoziali tra imprese”, subito dopo altri significativi interventi normativi (disciplina sulle clausole abusive, legge antiusura)19. Inoltre, una seconda motivazione addotta a supporto della considerazione per cui l’art. 9 della legge n. 192 del 1998 è operante in tutti i contratti tra imprese è anche quella di carattere letterale per cui la norma parla di imprese clienti o fornitrici, usando quindi un termine (cliente) che non è presente altrove nel testo della legge n. 192 del 199820.
Un’altra questione ancora da approfondire è quella relativa alla definizione del concetto stesso di abuso di dipendenza economica.
A differenza di quanto accade per i contratti dei consumatori, dove è previsto un elenco di clausole che si presumono vessatorie o abusive, nella subfornitura industriale non è stato normativamente precisato cosa si debba intendere per “abuso di dipendenza economica”. Chiaramente, le indicazioni ricavabili dalla norma vanno lette in relazione alla specifica situazione concreta.
E così – se si considera che in base al comma 2 dell’art. 9 l’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare o nell’ imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o
configurabile un'interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto, allorquando il contratto prevede una durata determinata e attribuisce alle parti la facoltà di non proseguirlo inviando una disdetta nel termine all'uopo concordato”), la decisione del Tribunale di Torino del 18 marzo 2003, in Gius, 2003, 13, 1502 (secondo la quale “l’abuso di dipendenza economica rappresenta un illecito concorrenziale previsto dalla legge unicamente in tema di subfornitura nelle attività produttive e dunque si configura come istituto carattere speciale, non estensibile, in via analogica, al rapporto di concessione di vendita”) e la decisione del Tribunale di Bari del 2 luglio 2002, in Foro it., 2002, I, 3208, con nota di XXXXXXXX (secondo la quale “posto che il divieto dell'abuso di dipendenza economica si applica soltanto ai contratti di subfornitura e che lo stesso, derogando al principio di libertà contrattuale, conferisce al giudice poteri di natura eccezionale, va revocato il provvedimento con cui era stato costituito in via cautelare un rapporto obbligatorio tra un rivenditore al dettaglio ed un produttore di capi di abbigliamento, il quale non aveva accettato la proposta contrattuale proveniente dal primo. Nel caso di specie, l'ordinanza revocata, sul presupposto che il rifiuto di vendere i capi di vestiario commissionati integrasse gli estremi dell'abuso di dipendenza economica, aveva ordinato al fornitore di consegnare immediatamente la merce richiesta, alle condizioni previste nel modulo, predisposto dal fornitore stesso e sottoscritto dal cliente, contenente la proposta di acquisto”).
19 Così Tribunale di Catania 5 gennaio 2004, in Foro it., 2004, 1, 262, in Arch. Civ., 2004, 339, in Danno e Resp.,
2004, 4, 426, con nota di XXXXXXXX (secondo la quale “l’istituto dell'abuso di dipendenza economica, introdotto dall' art. 9, L. 18 giugno 1998, n. 192, come modificato dall'art. 11, L. n. 57 del 2001, pur se costituisce parte integrante della legge in materia di subfornitura, deve considerarsi, per sua natura, di applicazione generalizzata a tutti i rapporti contrattuali tra imprese aventi natura commerciale, sì da non porsi un problema di applicazione analogica o estensiva dello stesso. L'abuso di dipendenza economica di cui all'art. 9 della legge n. 192 del 1998 configura una fattispecie di applicazione generale, che può prescindere dall'esistenza di uno specifico rapporto di subfornitura, la quale presuppone, in primo luogo, la situazione di dipendenza economica di un'impresa cliente nei confronti di una sua fornitrice, in secondo luogo, l'abuso che di tale situazione venga fatto, determinandosi un significativo squilibrio di diritti e di obb lighi”). In relazione a questo secondo orientamento possono essere anche ricordate la decisione del Tribunale di Roma del 5 novembre 2003, in Lavoro nella giur., 2004, 193 (secondo la quale “rispetto ai contratti di concessione di vendita di autoveicoli si applica l'art. 9 della L. n. 192 del 1998 (Disciplina della subfornitura nelle attività produttive) che opera rispetto a tutti i contratti tra imprese”), la recente decisione sempre del Tribunale di Roma (sezione IX) del 23 gennaio 2008 (secondo la quale “la qualificazione del rapporto tra le parti quale subfornitura non è determinante ai fini dell'applicabilità dell'art. 9 l. 192/1998, in quanto detto rapporto non esaurisce l'ambito di applicazione della norma, ove un'impresa, come dedotto dalla parte attrice nel caso di specie, abbia una organizzazione aziendale e un peso economico tali da poter determinare un apprezzabile squilibrio nel sinallagma contrattuale, nei confronti di altra impresa di minori dimensioni. Elemento determinante è l'accentuato squilibrio di diritti e obblighi tra le parti e la dipendenza del fornitore - di beni o servizi - dal committente. Detta situazione
- seppur genericamente - è stata dedotta da Cr., deve pertanto ritenersi ammissibile la domanda ex art. 9 l. cit., con conseguente esame del merito della domanda”), la decisione del Tribunale di Bari del 22/10/2004, in Foro it., 2005, 1, 1604 (secondo cui “la disciplina dell'abuso di dipendenza economica si applica a tutti i rapporti contrattuali tra imprese, ivi compreso il franchising”)..
20 Trib. Roma, 5/11/2003, in Lavoro nella giur., 2004, 193.
discriminatorie o nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto – si verific a un caso di abuso quando il subfornitore abbia investito economicamente in apparati tecnologici necessari a far fronte alla particolare lavorazione a lui richiesta (e difficilmente impiegabili in altre lavorazioni) e si veda poi il rapporto contrattuale bruscamente interrotto dalla sua controparte21.
Parimenti, si ha un abuso nel caso in cui l’impresa committente, approfittando della sua posizione dominante e dell’ impossibilità per il subfornitore di reperire alternative soddisfacenti, abbia imposto al subfornitore un contenuto negoziale che sia fonte di uno squilibrio di diritti e di doveri a favore del committente. Ad esempio, ricorre un abuso in caso di imposizione di una pattuizione negoziale eccessivamente gravosa, ai sensi della quale un cliente, che abbia l’esigenza di spostare il proprio impianto, è tenuto a rivolgersi solo alla società fornitrice, senza alcuna possibilità di contrattare i prezzi dei lavori e dei materiali22.
Si è invece affermato che non può accordarsi la tutela cautelare al subfornitore che lamenti l’abuso del proprio stato di dipendenza economica in considerazione del recesso del committente comunicato a seguito del reiterato addebito di inadempienze e ritardi nelle consegne 23 o in considerazione del recesso del committente (comunicato in un termine inferiore rispetto a quello previsto) a causa di una situazione di oggettiva necessità di riorganizzazione aziendale24. In questi casi non ricorre un abuso di dipendenza economica in quanto non vi è un’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali.
Il mancato rinnovo del contratto di affiliazione commerciale può invece costituire un abuso del diritto, in quanto contrario all’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto, solo laddove assuma connotati imprevisti ed arbitrari alla luce del comportamento tenuto nel xxxxx xxx xxxxxxxx00.
Ed anche nel caso di una società che lamenti l’ impossibilità di ottenere un materiale impiegato nel proprio processo produttivo per il rifiuto del fornitore da cui si era in precedenza approvvigionata e che chieda di inibire in via cautelare il diniego di dar corso all’ordine di acquisto, il provvedimento può essere emesso qualora siano dimostrati: a) l’ inesistenza sul mercato di reali e valide alternative ai materiali commercializzati dal fornitore; b) l’organizzazione del processo produttivo secondo specifiche tecniche tali da necessitare in via esclusiva di quel particolare materiale; c) il pericolo di un blocco totale degli impianti a causa dell’esaurimento delle scorte26.
Sotto il profilo della definizione del concetto stesso di abuso di dipendenza economica sembra poi opportuno osservare ciò che è stato ben chiarito da Cass. 20106/09 in merito alla nozione di abuso del diritto, ossia che si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti. Ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell’individuo o dell’ imprenditore, giacché ciò che è censurato in tal caso non è l’atto di autonomia negoziale, ma l’abuso di esso (in applicazione di tale principio, è stata cassata la decisione di merito la quale aveva ritenuto insindacabile la decisione del concedente di recedere ad nutum dal contratto di concessione di vendita, sul presupposto che tale diritto gli era espressamente riconosciuto dal contratto).
21 Su un caso analogo v. Trib. Taranto, 19/9/2003, in Foro it., 2003, 1, 3440; in Danno e resp., 2004, 1, 2004, con nota di XXXXXXXXX.
22 In questo caso è stato ordinato alla fornitrice di effettuare immediatamente gli interventi occorrenti per il trasloco, fatti salvi il diritto di quest’ultima ad ottenere il compenso nei tempi previsti dal contratto e quello del cliente a sindacarne eventualmente la congruità (Trib. Trieste, 21/9/2006, in Foro it, 2006, 12, 1, 3513). Per Trib. Trieste, 20/9/2006, in Giur. it., 2007, 7, 1737, con nota di XXXXXXXXXX, è ammissibile un provvedimento d'urgenza che obblighi ad un facere infungibile, per tutelare, in via cautelare, la libertà contrattuale del contraente debole, in caso di violazione dell’art. 9 della legge 192/1998.
23 Trib. Bari, 17/1/2005, in Foro it., 2005, 1, 1603.
24 Trib. Roma, 5/11/2003, in Foro it., 2003, 1, 3440.
25 Trib. Bari, 22/10/2004, in Foro it., 2005, 1, 1604.
26 Trib. Catania, 5/1/200 4, in Danno e Resp., 2004, 4, 426, con nota di XXXXXXXX.
La terza sezione della Corte di Cassazione è pervenuta a queste conclusioni anche sulla base della considerazione per cui i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione e nell’ interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto.
Un aspetto di particolare interesse è, poi, quello relativo al tipo di pronuncia che può emettere il giudice in caso di abuso di dipendenza economica. In particolare ci si chiede se il giudice, al quale il citato art. 9 riconosce la facoltà di emettere pronunce inibitorie, possa anche condannare ad un facere infungibile. In particolare, ci si interroga sulla possibilità di emettere, a seguito dell’accertamento dell’abuso di posizione dominante consistente nell’interruzione delle relazioni commerciali in atto o nel rifiuto di vendere o di comprare, un ordine di riattivazione delle dette relazioni commerciali o di effettuazione della vendita o dell’acquisto negati considerando questo ordine come un’inibitoria della condotta di interruzione delle relazioni commerciali o del comportamento di rifiuto.
In proposito va osservato che l’art. 9 non prevede un obbligo a contrarre né la possibilità di emettere un
provvedimento che, lungi dall’essere inibitorio, trasformi un “provvedimento inibitorio in un provvedimento che, in spregio a quanto disposto dall'art. 2908 c.c., costituisca un rapporto giuridico al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (artt. 2932 e 2597 c.c.) ovvero imponga in via cautelare un obbligo di fare, qual è quello di prestare il proprio consenso per la conclusione di un contratto”27.
27 Secondo l’ordinanza del Tribunale di Bari, sez. II, del giorno 11/10/2004 “in presenza di un rapporto di subfornitura da classificare come di fatto, in quanto non assistito da un valido contratto stipulato in forma scritta ed avente il contenuto minimo previsto dall'art. 2 della L. n. 192 del 1998, non è applicabile la disciplina del recesso (di cui all'art. 6), dovendosi inquadrare la fattispecie nell'interruzione delle relazioni commerciali disciplinata dall'art. 9 della stessa legge. Ai fini dell'applicazione di tale disposizione, non si può escludere l'esistenza di una situazione di dipendenza economica di una impresa da un’altra in base alla possibilità per una di esse di reperire sul mercato alternative soddisfacenti, qualora si sia in presenza di una notoria situazione di crisi e di saturazione di un determinato settore produttivo. Per potersi configurare la situazione di dipendenza tecnologica rileva l’assenza o la minusvalenza dell’apporto tecnologico da parte del fornitore. Tale situazione sussiste anche quando il fornitore, per soddisfare le esigenze del committente, deve apportare significativi adattamenti ai propri mezzi di produzione e sostenere investimenti specifici. L'art. 9 stabilisce che la violazione del divieto d'interruzione arbitraria delle relazioni commerciali, così come del rifiuto di vendere o acquistare, costituisce fonte di obbligazione risarcitoria a carico del contraente "forte", ma non prevede alcun obbligo a contrarre. La modifica introdotta dalla L. n. 57 del 2001 (in base alla quale «il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni») non consente di trasformare un provvedimento inibitorio in un provvedimento che, in spregio a quanto disposto dall'art. 2908 c.c., costituisca un rapporto giuridico al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (artt. 2932 e 2597 c.c.) ovvero che imponga in via cautelare un obbligo di fare, qual è quello di prestare il proprio consenso per la conclusione di un contratto. I casi in cui è prevista dal nostro ordinamento l'esecuzione in forma specifica di un obbligo a contrarre richiedono necessariamente o che il contenuto del contratto definitivo sia stato predeterminato dalle parti attraverso un precedente contratto (art. 2932 c.c.), oppure che il contratto definitivo sia predeterminato in maniera rigorosa dal mercato, in quanto, trattandosi di monopolista legale (art. 2597 c.c.), basti applicare le condizioni contrattuali che lo stesso pratica nel mercato al fine di garantire la parità di trattamento tra tutti i contraenti”. Per Trib. Roma, 12/9/2002, in Foro it., 2002, I, 3207, con nota di XXXXXXXX “posto che: a) non è ammissibile la condanna all'adempimento di un'obbligazione avente ad oggetto un "facere" infungibile; b) attraverso la tutela cautelare atipica non può essere alterata la struttura dei rapporti sostanziali discendenti da un contratto; non sussistono i presupposti per accogliere il reclamo proposto avverso l'ordinanza che aveva rigettato il ricorso con cui un'impresa fornitrice di prodotti destinati alla cosmesi chiedeva di inibire in via d'urgenza l'interruzione delle relazioni commerciali intrattenute con il committente, nonchè il conferimento ad altra impresa dell'incarico di provvedere alla fornitura degli stessi prodotti”. Molto più semplice è il caso affrontato da Trib. Bari 6/5/2002 (in Danno e resp., 2002, 7, 765, con nota di XXXXXXX ed in Corriere Giur., 2002, 8, 1063, con nota di XXXXXXXXX), secondo cui “il rifiuto arbitrario di vendere la merce commissionata integra gli estremi dell'abuso di dipendenza economica in danno del rivenditore, va quindi ordinato al fornitore di consegnare immediatamente la merce richiesta, alle condizioni previste nel modulo, predisposto dal fornitore stesso e sottoscritto dal cliente, contenente la proposta di acquisto. Posto che il rifiuto arbitrario di vendere la merce
Sul piano della disciplina, merita poi di essere sottolineato che l’art. 9 è stato modificato dalla legge 57/2001, che ha previsto la possibilità per chi abbia subito l’abuso di agire davanti all’Autorità Giudiziaria ordinaria non solo per il risarcimento del danno (cosa che era possibile anche in passato) ma anche per l’inibitoria. È stato poi anche aggiunto il comma 3 bis e, quindi, la possibilità per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) di procedere alle indagini, istruttorie, diffide e sanzioni previste dalla legge nei confronti dell’impresa che abbia commesso l’abuso.
In merito all’azione risarcitoria ed alla legittimazione attiva relativa alla stessa, vale infine la pena di precisare che nell’abuso di dipendenza economica, ammesso che la figura trovi applicazione anche a rapporti diversi dalla subfornitura, l’azione di responsabilità compete alla società e non anche al singolo socio (Trib. Bologna, sez. IV, 14/04/200628), che per esempio ritenga di aver subito, per effetto del comportamento abusivo ex art. 9 legge 192/1998 operato nei confronti della società di cui è socio, un danno concretatosi nella diminuzione di valore della propria quota di partecipazione sociale, nonché nell’ essere stato escusso dagli istituti bancari quale fideiussore per debiti della società ed infine per aver patito ripercussioni sulla propria attività professionale, con un conseguente forte stato di prostrazione psico-fisica. Ed infatti, il danno colpisce il patrimonio sociale ed obbliga il responsabile a risarcire il danno alla persona giuridica.
8. I contratti di distribuzione. 8.1. Definizione
Si avverte spesso nel mondo dell’impresa l’esigenza di disporre di un’organizzazione per la distribuzione dei prodotti e ciò al fine di potere ottenere la massima diffusione degli stessi nei vari mercati di destinazione, mercati spesso lontani e non conosciuti dal produttore.
Occorre superare il divario tra produzione e consumo, fare fronte alla concorrenza, tenere conto della globalizzazione dei mercati, mirare anche ai destinatari che si trovano in zone territoriali lontane, assicurare pure attività di garanzia e di assistenza alla clientela.
A tali fini sono state elaborate tradizionalmente due forme di organizzazione per la distribuzione di un bene o di un servizio: la distribuzione diretta e quella indiretta.
Nel primo caso il bene viene consegnato (o il servizio viene prestato) direttamente dal produttore a l consumatore, secondo un modello di integrazione “verticale”, in cui il produttore si occupa della messa in commercio del prodotto o del servizio. In questo contesto il produttore impiega propri dipendenti. La fase di commercializzazione è quindi sotto il controllo del produttore.
Di contro, nel modello della distribuzione indiretta il produttore non ha una propria organizzazione distributiva. Per la distribuzione egli si affida, invece, ad altri soggetti come il grossista ed il dettagliante.
Una via intermedia tra la distribuzione diretta e quella indiretta è quella che è stata definita distribuzione “coordinata”, in cui vi è un’interazione ed una collaborazione (negozialmente definita) tra il produttore ed il distributore, che pur rimanendo soggetti autonomi, coordinano l’attività di produzione e quella di distribuzione.
Si è quindi diffusa una serie di contratti, c.d. contratti di distribuzione, tramite i quali si realizza una collaborazione stabile tra produttori e soggetti che, ponendosi come intermediari tra produttore e consumatore, si occupano della distruzione dei prodotti e dei servizi.
Si tratta di contratti caratterizzati dalla stabilità e continuità, dalla ripetizione continua di prestazioni e obbligazioni (App. Bologna, 3/5/1993, n. 668, Lex- Giur.Mass. 2003).
“Il contratto di distribuzione non sarebbe una nuova figura contrattuale ma piuttosto un genus sotto il quale andrebbero riunite le fattispecie negoziali attinenti in qualche modo al processo di distribuzione commerciale, cioè ai complessi meccanismi che colmano la distanza tra produzione e consumo” (Trib. Catania 29.2.88, NGCC,1989, I,14).
C’è poi chi ha distinto i contratti di distribuzione dai contratti in materia di distribuzione. I contratti di distribuzione sarebbero connessi ad operazioni di vendita dei beni al distributore che avrebbe poi l’obbligo di
commissionata, in quanto: a) opposto da un produttore di capi di abbigliamento di alta moda ad un rivenditore al dettaglio con il quale intratteneva un consolidato rapporto commerciale; b) formalizzato quando ormai non era più possibile reperire in tempo utile sul mercato una valida alternativa, integra gli estremi dell'abuso di dipendenza economica in danno del rivenditore, la cui immagine rischia di essere compromessa dall'indisponibilità di quei capi di vestiario, va ordinato al fornitore di consegnare immediatamente la merce richiesta, alle condizioni previste nel modulo, predisposto dal fornitore stesso e sottoscritto dal cliente, contenente la proposta di acquisto”.
28 In Obbl. e contr., 2006, 8-9, 748, con nota di XXXXXXXXX
rivendere gli stessi ai consumatori. In questo caso è evidente che i rischi dell’invenduto vengono a gravare sul distributore, e ciò a differenza dei contratti in materia di distribuzione (quali l’agenzia, la commissione, la mediazione o il franchising).
Ed infatti, le due figure di intermediari più utilizzate nella prassi sono l’agente di commercio (intermediario incaricato dello svolgimento continuativo di un’attività di promozione e negoziazione di affari in cambio di una provvigione) ed il concessionario di vendita o distributore (incaricato di curare la distribuzione dei prodotti in veste di acquirente-rivenditore). Quest’ultimo, quindi, va nettamente distinto dagli intermediari in senso stretto (agenti, procacciatori), che si limitano a promuovere contratti che verranno poi conclusi tra il preponente ed il cliente finale. Al contrario, il concessionario acquista il prodotto o il servizio, occupandosi poi della sua rivendita ai consumatori.
Va poi osservato che l’esclusiva non rientra tra gli elementi a carattere connotativo dei contratti di distribuzione (Trib. Lecce, 09/02/1990)
8.2. Il contratto di concessione di vendita
Il classico contratto di distribuzione è il contratto di concessione di vendita, figura negoziale nella quale il produttore non rivende direttamente alla clientela (distribuzione diretta), né si affida ad agenti ed intermediari (distribuzione indiretta), ma vende al distributore, con il quale instaura un rapporto di stretta collaborazione in forza del quale il distributore deve innanzitutto promuovere le vendite presso la clientela, essendo interesse del produttore non solo quello tipico del venditore nella compravendita (ottenere il corrispettivo), ma anche e soprattutto quello di ottenere una diffusione del prodotto da parte del concessionario e di garantire il prestigio del marchio. Ed è per questo che sul concessionario grava spesso, soprattutto quando si tratta di prodotti tecnologici, l’obbligo di effettuare attività di garanzia e di assistenza alla clientela.
Con il contratto di concessione di vendita il concessionario (distributore) assume l’ impegno di acquistare e promuovere la commercializzazione dei prodotti fabbricati dal concedente, instaurando rapporti di compravendita direttamente con il rivenditore (dettagliante). Spetta di conseguenza al concessionario il diritto di agire in giudizio per il mancato pagamento della fornitura da parte del rivenditore-dettagliante (Trib. Cagliari, 22/8/199429).
Ecco che, tramite la vendita dei beni al concessionario, il produttore ottiene il vantaggio di decentrare il rischio di impresa (facendo ricadere sul concessionario il rischio dell’invenduto) senza però disinteressarsi delle modalità di vendita al consumatore finale. Da qui i poteri di indirizzo e controllo gestionale che il produttore spesso si riserva negozialmente e che possono essere di intensità tale da arrivare ad incidere sulle scelte economiche del concessionario e sull’allestimento esteriore del punto vendita. Visto che i contratti di concessione sono spesso uguali in tutto il territorio nazionale, viene così a crearsi una vera e propria catena commerciale, dando ai consumatori l’impressione che i distributori ed il produttore costituiscano un’unica entità d’impresa, Certo, se l’integrazione e la collaborazione reciproca sono previsti in modo particolarmente intenso non è sempre agevole distinguere la figura in questione dal contratto di franchising.
A fronte degli obblighi promozionali del distributore, del rischio dell’invenduto e della sottoposizione alle direttive gestionali del concedente, il concessionario può comunque giovarsi del prestigio del marchio e dell’esperienza commerciale del produttore.
Diversi sono quindi i vantaggi che può trarre il concessionario dalla integrazione con il produttore: si riducono i costi di esercizio commerciale a carico del concessionario (che per lo stretto rapporto di collaborazione con il concedente può ben programmare la rotazione delle scorte, limitando il rischio dell’invenduto) e si beneficia del ritorno di immagine naturalmente connesso al fare parte di una catena di distribuzione, con il diritto di utilizzare i segni distintivi del concedente e di godere della forza attrattiva del marchio.
Ciò è tanto vero che anche al fine di tutelare gli interessi del concessionario, si è affermato che “è connaturato con le caratteristiche proprie della concessione di vendita, che rientra nel novero delle figure contrattuali di distribuzione commerciale, l’obbligo per il concedente (…) di non pregiudicare il prestigio del proprio marchio al fine di evitare che il concessionario possa subire danni economici”. (Cass. 22.2.99, n. 1469, Xxx - Xxxx.Mass. 2003).
29 In Riv. giur. sarda, 1995, 426, con nota di URRAI.
A favore del concessionario sono poi spesso inserite in contratto clausole che prevedono una esclusiva territoriale.
Il concessionario può infatti avere il diritto di esclusiva per la distribuzione dei beni in una determinata zona territoriale, con la conseguenza che il concedente deve rifornire unicamente il distributore organizzato. In cambio viene generalmente inibito al concessionario il commercio di prodotti concorrenti (o vengono previste misure fortemente limitative dell’autonomia privata del concessionario).
È fin troppo chiaro che il contratto di concessione di vendita integra una complessa operazione economica. Esso non è un semplice contratto di scambio, ma un negozio in cui convergono un’attività di scambio e di fornitura di prodotti ed un’attività di collaborazione (promozione delle vendite da parte del concessionario e poteri di controllo e di indirizzo gestionale da parte del concedente). Si tratta di un contratto di durata, a prestazioni corrispettive, di scambio e collaborazione, in forza del quale il concessionario è un acquirente-rivenditore che ha l’obbligo di curare la commercializzazione dei prodotti del concedente ma che si giova (talvolta in esclusiva) del marchio del produttore e della sua esperienza commerciale, godendo di una posizione di privilegio nella rete distributiva che gli garantisce una parte di potere di mercato del concedente. Per la Cassazione, infatti, “la parziale dismissione della propria autonomia imprenditoriale da parte del concessionario, viene operata in corrispettivo di una posizione di privilegio nel mercato accordatagli dal concedente, che consiste tra l’altro nella licenza d’uso del marchio della stessa concedente, marchio che solitamente è caratterizzato da particolare prestigio sociale” (Cass. 22.2.99, n. 1469, Lex -Giur.Mass. 2003).
Va comunque precisato che può anche succedere che in alcuni casi il concessionario svolga attività non di rivendita ma di mera intermediazione, come per affari di particolare importanza o con clienti che preferiscono trattare direttamente con il concedente. In questi casi anche il concessionario sarà un semplice intermediario (remunerato con una percentuale sul valore dell’affare).
Normalmente, però, il concessionario è un rivenditore “integrato”, a differenza ad esempio dei grossisti, rivenditori non integrati.
Nella maggior parte degli Stati il contratto di concessione di vendita non è regolato dalla legge. Ciò non esclude però l'esistenza di principi applicabili in materia (prevalentemente elaborati dalla giurisprudenza), soprattutto con riferimento ai problemi più critici, quali l’ indennità spettante in caso di risoluzione del contratto e l’obbligo di riacquistare lo stock di prodotti (ed eventualmente di parti di ricambio) alla fine del rapporto.
8.3. Natura giuridica del contratto di concessione di vendita
Nel nostro paese è discusso se il contratto di concessione di vendita rientri nella somministrazione30 o vada qualificato come contratto misto con elementi della vendita e del mandato31 o – esclusa la configurabilità in termini di contratto preliminare (considerato che se in tal modo potrebbero spiegarsi le obbligazioni a stipulare i successivi contratti definitivi di scambio, tuttavia rimarrebbe privo di spiegazione l’aspetto della collaborazione, gli obblighi promozionali e di assistenza e via dicendo) 32 – come contratto quadro33.
30 In questo senso v. ad es. App. Milano, 3 ottobre 1978, Xxxxxxxx c. Soc. Citroen Italia, in Foro it., 1979, I, p. 819; Cass. 8 giugno 1976, n. 2094, Xxxxxxxxx c. Soc. SAIS, in Rep. Giust. civ., 1976, voce Agenzia, n. 7; Cass. 13 maggio 1976,
n. 1698, in Rep. Giust. civ., 1976, voce Somministrazione, n. 10.
31 X. Xxxx. Xxxxxx, 00 settembre 1989, Gioia x. Xxxxxxx Xxxxxx italiana, in Giur. it., 1991, 1, 2, c. 834; Trib. Catania, 29 febbraio 1988, Soc. CID c. SGS Ates, in Xxxxx xxxx. xxx. xxxx., 0000, X, x. 00; Cass. 26 settembre. 1979, n. 4961, Torsello c. Società Sirio, in Giur. it., 1980, I, 1, c. 1546.
32 E quindi esclusa l’applicazione degli artt. 1351 e 2932 c.c.
33 Cass. 20106/09; 13568/09; 7275/05; 14891/02; 11960/90; 4976/94. In giurisprudenza di merito v. Trib. Catania, 10/11/1992, per il quale “ai fini dell’opponibilità del patto di riservato dominio al fallimento non è sufficiente che esso sia contenuto nel contratto quadro (quale appunto il contratto di concessione di vendita in esame), ma è necessario che risulti presente nei singoli contratti concernenti le partite di beni della cui riserva di proprietà si discute. Quando un sistema di distribuzione di autoveicoli tramite contratto di concessione di vendita prevede l'intervento di una società finanziaria che versi al concedente le somme corrispondenti al prezzo dei veicoli acquistati dal concessionario, l'intervento della finanziaria costituisce finanziamento a favore del concessionario, e pagamento al concedente, su delega ed autorizzazione del concessionario; avvenuto tale pagamento, il concedente non può più valersi della clausola di riservato dominio sui
In quest’ultima prospettiva, che è molto interessante in quanto generalmente le parti hanno interesse a non predeterminare con una certa precisione le caratteristiche dei futuri contratti come invece avviene nel contratto preliminare, si segnala che nella sentenza n. 9035/1995 si legge che “il contratto di concessione di vendita, come negozio atipico, può assumere il carattere di contratto normativo (contratto - quadro), dal quale deriva l'obbligo di stipulare successivi ed analoghi contratti . Il cosiddetto contratto di concessione di vendita (nella specie, di veicoli e ricambi), il quale manca di una struttura negoziale tipica, può atteggiarsi nella realtà o come contratto a prestazioni corrispettive (salvo poi a determinare quali di esse assumano carattere prevalente), o come contratto quadro, dal quale derivi l'obbligo di stipulare successivi ed ulteriori contratti ”34.
Di recente Cass. 20106/2009 ha affermato che la concess ione di vendita è un contratto atipico avente natura di contratto normativo, dal quale deriva l'obbligo per il concessionario sia di promuovere la stipulazione di singoli contratti di compravendita, sia di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle condizioni fissate nell'accordo iniziale35.
Particolare è il caso dell’assenza dei profili di collaborazione. In proposito si legge nella sentenza della Cassazione n. 6819 del 199436 che “nel contratto di concessione di vendita - che per la sua struttura e funzione economico-sociale è un contratto atipico di scambio, che, escludendo profili di cooperazione, si colloca in un’area di affinità con i contratti di somministrazione o di commissione, ma non con quello di agenzia – l’attribuzione del diritto di esclusiva al concessionario, costituendo un elemento accidentale e non essenziale del contratto, non può ricavarsi implicitamente dalla predeterminazione di una “zona” al concessionario medesimo, non essendovi alcun necessario collegamento tra zona ed esclusiva”.
Da quanto si è già detto è chiaro che la concessione di vendita presenta analogie e differenze rispetto ad istituti simili.
Con riferimento alle analogie si noti che nel rapporto di concessione di vendita in esclusiva, che è caratterizzato, così come il rapporto di agenzia, dalla stabilità e continuità, si determina quella ripetizione continua di prestazioni e obbligazioni che è tipica della categoria dei contratti di distribuzione commerciale, i cui principi fondamentali sono applicabili alla concessione di vendita in esclusiva (App. Bologna, 3/5/1993).
veicoli venduti al concessionario, anche se rimane contrattualmente obbligato a restituire alla finanziaria le somme da questa anticipate, qualora il concessionario non adempia poi al proprio debito verso la finanziaria”.
34 Cass. civ., sez. I, 28/08/1995, n. 9035, in Dir. Fall., 1996, II, 851; Fallimento, 1996, 8, 729, con nota di
XXXXXXX.
35 Così anche Cass. 13568/2009. Inoltre, per Cass. 9035/95 “il cosiddetto contratto di concessione di vendita (nella specie, di veicoli e ricambi), il quale manca di una struttura negoziale tipica, può atteggiarsi nella realtà o come contratto a prestazioni corrispettive (salvo poi a determinare quali di esse assumano carattere prevalente), o come co ntratto quadro, dal quale derivi l'obbligo di stipulare successivi ed ulteriori contratti. Qualora si ravvisi nella realtà un contratto di somministrazione, la compatibilità con esso della clausola di riserva di proprietà non fa venir meno, ai fini dell'operatività della clausola, la necessità dell'individuazione del bene nella sua singolarità al momento della consegna e l'esigenza del mantenimento dell'individuazione fino al pagamento, con la conseguenza che non è opponibile alla massa fallimentare dell'acquirente il patto di riserva di proprietà quando le relative clausole contrattuali, pur munite della forma richiesta e della certezza di data anteriore al fallimento, siano prive dell'indicazione dei beni nella loro individualità”. Principi analoghi ha affermato Xxxx. 13568/09. Si legge poi in Cass. 14891/02 che “la concessione di vendita è un contratto innominato atteggiantesi, sul piano strutturale, come contratto quadro o normativo, dal quale deriva l'obbligo di promuovere la rivendita dei prodotti che vengono acquistati mediante la stipulazione, alle condizioni fissate nell'accordo iniziale, di singoli contratti di acquisto. Da ciò deriva che la previsione, nel contratto normativo intercorso tra le parti, del patto di riservato dominio comporta l'obbligo, per le medesime parti, di inserire la clausola di riserva della proprietà in ciascuno dei contratti di vendita da stipularsi in epoca successiva, senza tuttavia che detta clausola possa ritenersi implicitamente riprodotta in questi ultimi per il solo fatto di far parte dell'impegno programmatico, che, in quanto tale, è di per sè inidoneo ad impedire l'effetto traslativo reale là dove manchi, nel singolo contratto di vendita, un titolo negoziale della riserva medesima con riferimento alle cose in concreto consegnate”. Si afferma in Cass. 7275/05 che “qualora il cosiddetto contratto "quadro" di concessione vendita (nella specie di autoveicoli) non contenga l'indicazione dei beni oggetto dell'accordo, la clausola di riserva della proprietà in esso pattuita, seppure contenuta in un atto di data certa, non è opponibile ai terzi acquirenti dal concessionario, se la stessa non sia inserita anche nei singoli contratti di cessione dei beni, oggetto del contratto di concessione”.
36 Cass. civ., sez. III, 21/07/1994, n. 6819, in Mass. giur. it., 1994; Xxxxxxxxx, 1995, 1, 54; Giur. it., 1995, I,1, 381.
Sempre in relazione alle analogie si osservi che la concessione di vendita si caratterizza per il fatto di affiancare ad una funzione di scambio, che è tipica della somministrazione, una componente di collaborazione, che è tipica dei contratti della distribuzione commerciale (Trib. Brescia, sez. III, 11/12/2003).
Va quindi innanzitutto operata una distinzione tra il contratto di concessione di vendita ed il contratto di somministrazione, che è il tipico contratto di scambio di durata. Sul punto va osservato che nei contratti di distribuzione (quale la concessione di vendita) rileva non solo il momento dello scambio, ma anche quello della collaborazione, che invece non trova riscontro negli artt. 1559 ss. c.c. in tema di somministrazione.
Specularmente, con riferimento alla distinzione tra concessione di vendita ed agenzia, non può non rilevarsi che in quest’ultimo vengono disciplinati i profili di collaborazione e non di scambio. Nel contratto di concessione di vendita la collaborazione tra concedente e concessionario è sì prevista, ma non assurge ad elemento determinante (x. Xxxx. 20106/2009).
Si legge in una sentenza della Pretura di Cosenza del 15 febbraio 199937 “il contratto di concessione di vendita (in esclusiva) con il quale il concessionario si impegna in nome e per conto proprio ad acquistare prodotti dal concedente per rivenderli a terzi, non è riconducibile alla diversa fattispecie del contratto di agenzia in cui l’agente si obbliga a promuovere la conclusione di affari per conto (od anche in nome) del preponente, attesa la qualificazione giuridica che le parti hanno dato al rapporto come estimatorio”.
Non sussiste agenzia in caso di mancanza di un rapporto diretto tra agente e preponente e di una “provvigione” in favore del preteso agente ed in caso di una struttura del rapporto che preveda non una semplice attività promozionale di vendite, o al più anche di esecuzione dei contratti stipulati per effetto di tale attività, ma la vendita diretta a terzi, da parte del concessionario, di beni acquistati da potere del concedente.
Dovrebbe ricorrere la figura del concessionario di vendita se il soggetto in questione si limita a lucrare la differenza tra il prezzo realizzato nelle vendite a terzi e quello pagato.
Dovrebbe escludersi l’agenzia e configurarsi concessione di vendita se vi è la previsione di un’attività concretantesi non nel promuovere stabilmente affari in una determinata zona per conto del preponente (salvo ad essere eventualmente incaricati della loro esecuzione), bensì nell’acquistare dal preponente merci per poi rivenderle a terzi lucrando la differenza tra i rispettivi prezzi. In questo caso non ricorre un contratto di agenzia, bensì un contratto di scambio.
Non è però dirimente l’eventuale struttura organizzativa ed il carattere imprenditoriale della società concessionaria, atteso che anche l’attività dell’agente può svolgersi con una struttura ed una organizzazione di impresa.
Occorre invece dare il giusto risalto alla previsione dell’acquisto e della rivendita in proprio delle merci da parte dell'agente-concessionario.
Tale previsione caratterizza, invero, i contratti di scambio e non quelli di cooperazione, come il contratto di agenzia, ed è, quindi, propria di contratti come la somministrazione, la concessione di vendita, la commissione (nel caso in cui la merce sia rivenduta per conto della ditta fornitrice, anche se in nome proprio dell’acquirente).
Si è comunque già osservato che aspetti di collaborazione possono essere inseriti anche nel contenuto negoziale di un contratto di scambio come la somministrazione o la concessione di vendita.
Per Cass. 2122/8738 “il contratto di concessione di vendita, con il quale il concessionario si impegna ad acquistare prodotti dal concedente per rivenderli a terzi, è un rapporto sinallagmatico in cui la prestazione del concessionario è svolta per conto proprio, a suo rischio e secondo proprie ed autonome scelte e, pertanto, non potendosi configurare come un rapporto di collaborazione autonoma all'impresa del concedente, esula, ai fini della determinazione della competenza, da quelli di collaborazione previsti dall'art. 409, n. 3, c. p. c.”.
In proposito, di recente Cass. 20106/09 ha precisato che il contratto di concessione di vendita differisce da quello di agenzia perché in esso la collaborazione tra concedente e concessionario, pur prevista, non assurge ad elemento determinante.
Interessante è poi la questione della rilevanza della predeterminazione della zona, che è elemento caratterizzante il contratto di agenzia, ma che non caratterizza in modo esclusivo il contratto di agenzia, essendo al contrario tipico anche di contratti nei quali ’lessenziale funzione di scambio non sia disgiunta da aspetti di cooperazione (ad es., la concessione di vendita). Per Cass. 6819/94 “nel contratto di concessione di vendita - che
37 In Riv. giur. lav ., 2000, II, 331, con nota di X’XXXXXXXXX.
38 Cass. civ., sez. III, 27/02/1987, n.2122, in Foro It., 1987, I, 2134.
per la sua struttura e funzione economico-sociale è un contratto atipico di scambio, che, escludendo profili di cooperazione, si colloca in un'area di affinità con i contratti di somministrazione o di commissione, ma non con quello di agenzia - l'attribuzione del diritto di esclusiva al concessionario, costituendo un elemento accidentale e non essenziale del contratto, non può ricavarsi implicitamente dalla predeterminazione di una "zona" al concessionario medesimo, non essendovi alcun necessario collegamento tra zona ed esclusiva”39.
Evidentemente, poi, l’eventuale carattere illegittimo della vendita diretta del prodotto, considerato che l’eventuale illiceità della vendita diretta non varrebbe a trasformare in contratto di agenzia un contratto che possieda i connotati essenziali dei contratti di scambio, anziché di semplice collaborazione.
Mette ora appena conto rilevare che il contratto di concessione di vendita è evidentemente diverso anche dal contratto di franchising40.
Alla luce di quanto sopra esposto vi è stato, come già accennato, chi ha tentato di qualificare la concessione di vendita come contratto misto, partecipe degli elementi di contratti di scambio (vendita o somministrazione) e collaborazione (mandato o agenzia).
Per la giurisprudenza di legittimità, comunque, la concessione di vendita, pur presentando aspetti che, per qualche verso, l'avvicinano al contratto di somministrazione, non consente, tuttavia, di essere inquadrato in uno schema contrattuale tipico, trattandosi, invece, di un contratto innominato, che si caratterizza per una complessa funzione di scambio e di collaborazione e consiste, sul piano strutturale, in un contratto-quadro o contratto- normativo, dal quale deriva l'obbligo per il concessionario sia di promuovere la stipulazione di singoli contratti di compravendita, sia di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle condizioni fissate nell'accordo iniziale 41.
In ogni caso, mancando una disciplina legale della concessione di vendita e non essendo questa
riconducibile ad alcuno dei tipi legali, non resta comunque che fare riferimento, per la disciplina applicabile, all’applicazione analogica delle norme sui contratti tipici analoghi in relazione al profilo da disciplinare. Si potranno applicare analogicamente le norme della somministrazione, della vendita, dell’agenzia e del mandato42.
39 Cass. civ., sez. III, 21/07/1994, n. 6819, in Mass. Giur. It ., 1994 e Xxxxxxxxx, 1995, 1, 54.
40 La caratteristica principale del contratto di franchising è quella di una stretta e leale collaborazione tra affiliante e affiliato non solo al momento della conclusione del contratto ma per tutta la durata del rapporto (v. Trib. Torino, Sez. IX, 18/6/2007). Il contratto di franchising è, secondo la legge 6 maggio 2004 n. 129, una forma di collaborazione tra imprese, in cui taluni soggetti, i franchisees, commerciano prodotti del franchisor, utilizzandone marchio e know-how, ma mediante una distinta organizzazione, rimanendo soggetti economicamente e giuridicamente distinti dal franchisor (v. Cons. Stato, Sez. VI, 09/02/2006, n.518).
00 X. Xxxx. 00000/00; 13568/09; 7275/05; 14891/02; 1469/99; 11960/90; 6819/94; 4976/94.
42 In merito alla disciplina applicabile al contratto di concessione di concessione di vendita ed in generale ai contratti di distribuzione, è appena il caso di ricordare alcuni principi giurisprudenziali:
1) le norme sul mandato sono estese in via analogica anche al contratto di distribuzione, in particolare il disposto di cui all'art. 1725 c.c. che legittima la revoca del mandato oneroso alla concessione di un congruo preavviso o per giusta causa che non permetta la prosecuzione del rapporto (Trib. Desio, 8/10/2003);
2) i contratti di distribuzione, siano essi di agenzia o di concessione di vendita in esclusiva, pur essendo contratti di durata, sono, in mancanza di un meccanismo contrattuale di rinnovo tacito, regolati su base annuale (Trib. Cagliari, 04/06/1996):
3) la natura fiduciaria che caratterizza il contratto di distribuzione costituisce il presupposto per l'applicabilità al rapporto tra concedente e concessionario delle disposizioni di cui agli art. 1723 e 1727 c.c. che riconoscono rispettivamente al mandante e al mandatario il potere di recedere dal vincolo contrattuale; la rinunzia del concessionario-distributore alla prosecuzione del rapporto trova, quindi, nell'art. 1727 c.c. la propria fonte di legittimazione (Coll. Arbitrale, 14/05/1991);
4) la clausola di “price protection” non costituisce un elemento naturale del contratto di distribuzione; qualora le parti non abbiamo stabilito diversamente, pertanto, alla riduzione dei prezzi di listino dei prodotti da distribuire non consegue l'obbligo del concedente di versare al concessionario la differenza tra la vecchia e la nuova quotazione (Trib. Catania, 29/2/1988).