CAPITOLO III
CAPITOLO III
LE PARTI
QUESTIONI
. La locazione ha natura di contratto bilaterale che vede contrapposti da un lato il locatore e, dall’altro, il conduttore o locatario: al di la`di alcune peculiarita`in tema di (relativa) incapacita`giuridica, la capacita`di agire necessaria ai fini della stipulazione del contratto richiede di essere esaminata essenzialmente dall’angolo visuale del locatore, avuto riguardo alla distinzione tra locazioni infranovennali ed ultranovennali, nella misura in cui essa riflette la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
. Vengono in tale ottica esaminate le posizioni dei tutori e protutori, dei rappresentanti legali di minori ed interdetti, dei curatori gli emancipati ed inabilitati, degli ammini- stratori di beni ereditari, dei curatori fallimentari, dei debitori esecutati e custodi, dei mandanti e gestori di affari delle persone giuridiche e societa`commerciali.
. Particolare rilievo riveste nella materia la questione della locazione di cosa altrui, il cui atteggiarsi discende dalla natura personale e non reale del contratto: non occorre pertanto che il locatore sia titolare di un diritto reale sulla cosa, mentre la locazione rimane valida ed efficace tra le parti anche quando il locatore non abbia diritti sul bene, nel qual caso essa puo`tuttavia risultare non opponibile al proprietario. In tali termini si pone il problema della locazione stipulata dal ladro, dal ricettatore, dall’usurpatore ecc.
. Notevolissimo interesse pratico desta l’interazione tra la disciplina della comunione e quella della locazione, nel caso della stipulazione di qui sta da uno od alcuni soltanto dei comunisti: in generale, la regola giurisprudenziale `e nel senso che il singolo comunista puo` agire nell’interesse della totalita`.
. Richiede di essere esaminata, nel capitolo dedicato alle parti del contratto di locazione, l’ipotesi che il locatore sia titolare di particolari diritti reali sulla cosa, quali quelli spettanti al superficiario, enfiteuta, usufruttuario, usuario, habitator.
. Peculiari questioni si presentano nel caso che la locazione sia stata stipulata da piu` conduttori, i quali abbiano dato vita ad una parte soggettivamente complessa: in tale frangente le vicende della locazione vanno in generale misurate con la parte nel suo complesso e non con i singoli componenti di essa.
. Complesse problematiche sorgono nell’ipotesi in cui la posizione del locatore ovvero del conduttore sia assunta dal fallimento sopravvenuto in pendenza del rapporto: in tal caso la disciplina giuridica applicabile muta secondo che l’evento si sia verificato nei confronti dell’una o dell’altra parte contrattuale.
. Alcune questioni in tema di parti del rapporto di locazione vanno infine esaminate con riguardo alla locazione stipulata dallo straniero.
LA LOCAZIONE
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Cass., sez. III, 29 ottobre 1993, n. 10779, FI, 1994, I, 764; ALC, 1994, 69 – Un contratto della specie di quello in questione, disciplinato dall’art. 27 ss. della l. 392/1978, configura un atto di straordinaria amministrazione, al pari di quello ultranovennale (art. 1572 c.c.), solo in quanto raggiunge una tale durata per effetto della preven- tiva rinuncia del locatore alla facolta` di diniego della rinnovazione del rapporto accordatagli dal- l’art. 28 della l. 392/1978. Sicche´, in difetto di siffatta preventiva rinuncia, un contratto, come quello in esame, e` inidoneo a configurare un atto di straordinaria amministrazione.
Cass., sez. III, 30 gennaio 1982, n. 599, GC,
1982, I, 2147; ALC, 1982, 693 – Ai sensi e per
gli effetti di cui all’art. 320, 3o co., c.c., locazioni ultranovennali sono soltanto quelle stipulate ini- zialmente per un periodo superiore ai nove anni, e non anche quelle convenute per un tempo infe- riore, ma suscettibili di protrarsi per un tale pe- riodo in virtu` di clausola di tacito rinnovo od in conseguenza della soggezione a proroga legale, poiche´, per la qualificazione del contratto, occorre aver riguardo alla volonta` originaria delle parti, e non alla potenziale maggior durata del medesimo, sia per tacito rinnovo, sia per una proroga deri- vante dalla volonta` della legge, che si sovrapponga d’imperio alla volonta` dei contraenti.
Cass., sez. III, 3 ottobre 2005, n. 19323, MGI, 2009 – Dopo il pignoramento di un immobile che era stato gia` dato in locazione, il locatore- proprietario perde la legittimazione sostanziale sia a richiedere al conduttore il pagamento dei canoni sia ad accettarli, spettando tale legittima- zione in via esclusiva al custode, fino al decreto di trasferimento del bene, per effetto del quale la proprieta` del bene e dei frutti si trasferisce all’ag- giudicatario. Pertanto qualora il locatore venga nominato custode dell’immobile pignorato, mu- tando il titolo del possesso del bene, puo` xxxxxx- dere il pagamento dei canoni solo nell’esercizio del potere di amministrazione e gestione del bene. A tal fine, intrapresa dal locatore, dopo il pigno- ramento, azione per il pagamento dei canoni, per economia dei giudizi e in forza del principio di conservazione degli atti processuali, gli e` consen- tito dichiarare in sede di appello, modificando la veste assunta, di agire in qualita` di custode, ufficio comunicato al conduttore all’atto della notifica del pignoramento contenente la relativa nomina. Per
l’esercizio di tale potere processuale non e` neces- saria l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, trattandosi di esplicazione di compiti di ordinaria amministrazione nella gestione dell’immobile pi- gnorato, ai cui frutti si estende il pignoramento.
Cass., sez. III, 13 dicembre 2007, n. 26238, FI, 2009, I, 3022 – Anche se la locazione dell’immo- bile pignorato e` stata stipulata prima del pignora- mento, la rinnovazione tacita della medesima ri- chiede l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in forza dell’art. 560, 2o co., c.p.c.; peraltro, il custode giudiziario deve assicurare la conservazio- ne e la fruttuosa gestione della cosa pignorata previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, sicche´ e` legittimato ad inviare la disdetta e a pro- muovere la procedura di rilascio per finita locazio- ne. La norma citata, rettamente interpretata nel senso esposto, non suscita dubbi di incostituzio- nalita` per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto la peculiare funzione del pignoramento nell’ambito del processo di esecuzione giustifica la particolari- ta` della sua disciplina in cui si inquadra in modo armonico e coerente il suddetto 2o co. dell’art. 560 c.p.c.
Cass., sez. III, 1o dicembre 1994, n. 10270, ALC, 1995, 345 – La qualita` di locatore non presup- pone necessariamente, attesa la natura personale del rapporto di locazione, quella di proprietario, essendo sufficiente la disponibilita` materiale del bene.
Cass., sez. III, 29 aprile 1983, n. 2973, FI, 1983, I, 1861 – Xxxxxx´, nel rapporto di locazione, si prescinde dalla titolarita` del diritto di proprieta` o di usufrutto del locatore sull’immobile – essen- do sufficiente, in relazione all’obbligazione princi- pale da lui assunta di consentire al conduttore l’uso ed il godimento dell’immobile stesso, che egli abbia la disponibilita` del bene – spetta allo stesso la legittimazione ad agire per tutte le que- stioni che concernano la costituzione, lo svolgi- mento e la cessazione del rapporto.
Cass., sez. III, 29 agosto 1995, n. 9113, GC, 1995, I, 2818 – Va ribadito, riguardo agli immo- bili oggetto di comunione, il principio della con- correnza – in difetto di prove contraria – di pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, sulla base della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri.
CAPITOLO III - LE PARTI
Cass., sez. III, 19 aprile 1991, n. 4261, RaEquoC, 1992, 59 – Il singolo comproprietario e` legittima- to a dare in locazione la cosa comune e` fondato sull’essenziale presupposto che non esista dissenso con gli altri compartecipanti alla comunione, tro- vando cos`ı la sua ragion d’essere nella presunzione di consenso insita nel comportamento passivo dei comproprietari in relazione ad un atto di ordinaria amministrazione della cosa comune, effettuato dal comproprietario resosi attivo a tutela dei comuni interessi e cos`ı venuto ad assumere la figura del tacito mandatario.
Cass., sez. III, 4 giugno 2008, n. 14759, MGC,
2008, 6, 864 – In tema di comunione, qualora la maggioranza dei comunisti – appresa l’intenzione della minoranza o di uno di essi di cedere in locazione (o in affitto agrario) ad un terzo la cosa comune, ovvero l’avvenuta stipulazione del con- tratto – si opponga, rispettivamente, alla conclu- sione del contratto o all’esecuzione del rapporto locativo, al terzo, cui venga comunicato tale dis- senso, resta preclusa la possibilita` di pretendere quella conclusione o esecuzione, con la conse- guenza che il contratto, stipulato nonostante tale consapevolezza, e` invalido per carenza di potere, o di valida xxxxxxx`, della parte concedente di disporre per l’intero. Inoltre, la comunicazione del detto dissenso non solo alla minoranza, ma anche al terzo conduttore (o affittuario), determi- na la consapevolezza, in quest’ultimo, della man- canza di legittimazione alla stipula dell’atto da parte della minoranza e, quindi, il concorso, in malafede, nell’abuso del diritto nell’amministra- zione del bene comune e cio` costituisce fatto illecito generatore del danno di cui e`, pertanto, corresponsabile in solido il conduttore (o affittua- rio) che ha concorso e cooperato nella conclusio- ne del contratto.
Cass., sez. III, 22 marzo 2001, n. 4131, GI, 2002, I, 1, 272 – Non sussiste la violazione del- l’art. 1102 c.c. se al condomino aspirante ad esser conduttore della cosa comune e` preferito un terzo perche´ la predetta norma tutela l’uso diretto di ciascun condomino sulla medesima e non quello indiretto, come nel caso la maggioranza dei con- domini, secondo il valore delle rispettive quote, deliberi di locare la cosa comune un terzo, ancor- che´ a condizioni meno vantaggiose per il condo- minio rispetto a quelle offerte dal condomino, non essendovi il limite del pregiudizio agli inte- ressi dei condomini, come invece per le innova- zioni, al potere di scelta della maggioranza.
Cass., sez. III, 20 luglio 1991, n. 8110, Ra-
EquoC, 1992, 28; ALC, 1992, 55; Cass. 23 giu- gno 1999, n. 6405, ALC, 1999, 789 – Il compro-
prietario conduttore dell’immobile in comunione, avendo diritto al godimento dello stesso in pro- porzione della sua quota di proprieta`, non puo` essere condannato al rilascio del bene medesimo agli altri comproprietari, restando, invece, ai co- munisti la facolta` di disciplinare l’ordinaria ammi- nistrazione della cosa comune senza privare alcu- no dei contitolari del bene delle sue facolta` di godimento e, cos`ı, eventualmente, di ricorrere, in caso di persistente disaccordo, all’autorita` giu- diziaria per la nomina di un amministratore.
Cass., sez. III, 18 luglio 2008, n. 19929, VN,
2008, 1432; CorG, 2008, 1543; GC, 2008, I,
2737; FI, 2009, I, 1167 – Nel caso di concessione di un bene in locazione ad uno dei comproprie- tari, venuto a conclusione il rapporto locatizio per scadenza del termine o per la pronuncia della sua risoluzione per inadempimento del conduttore, il predetto bene deve essere restituito alla comunio- ne per consentire alla stessa di disporne e, attra- verso la sua maggioranza, di esercitare la facolta` di goderne direttamente o indirettamente. Ne con- segue che il conduttore-comproprietario puo` esse- re condannato al rilascio del bene medesimo in favore della comunione.
Cass., sez. III, 2 agosto 1990, n. 7716, ALC, 1991, 72 – Il comproprietario che abbia il godi- mento esclusivo deve corrispondere agli altri, qua- le ristoro per la privazione della utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti al tempo della divisione; frutti che, iden- tificantesi con il corrispettivo del godimento del- l’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono solo in mancanza di altri piu` idonei criteri di valutazione essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile.
Cass., sez. III, 22 giugno 2009, n. 14530, GDir, 2010, 1, 48 – Qualora in un contratto di locazio- ne la parte locatrice sia costituita da piu` locatori, ciascuno di essi e` tenuto, dal lato passivo, nei confronti del conduttore alla medesima prestazio- ne, cos`ı come, dal lato attivo, ognuno degli stessi puo` agire nei riguardi del locatario per l’adempi- mento delle sue obbligazioni, applicandosi in pro- posito la disciplina della solidarieta` di cui all’art. 1292 c.c., che non determina, tuttavia, la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non da`
LA LOCAZIONE
luogo, percio`, a litisconsorzio necessario tra i di- versi obbligati o creditori.
Cass. 27 febbraio 1978, n. 1011, AC, 1978, 758
– La coesistenza nello stesso rapporto locatizio di piu` conduttori non esclude che ciascuno di questi sia tenuto per la medesima prestazione (nella spe- cie: pagamento del canone) con distinta ed auto- noma obbligazione. In tal caso deve ritenersi che essi siano obbligati in solido a norma degli artt. 1292 e 1294 c.c., xxxxxx´ si versa in ipotesi di obbligazioni solidali, nelle quali si ha in realta`, non un’obbligazione unica con pluralita` di sog- getti, ma tante singole obbligazioni quanti sono i piu` debitori, connesse fra loro ed aventi, ciascuna, per oggetto l’identica prestazione.
Cass., sez. III, 28 novembre 1987, n. 8872, FI,
1988, I, 1925; GC, 1988, I, 2954; RaEquoC,
1988, 157; ALC, 1988, 48; GI, 1989, I, 1, 186
– Qualora il conduttore di un immobile adibito ad attivita` commerciale ceda l’azienda e il contratto di locazione relativo all’immobile in cui essa e` eserci- tata, ma, a seguito della preannunziata opposizio- ne del locatore, anziche´ consegnare l’immobile al cessionario lo restituisca al locatore e questi, a sua volta, lo conceda in locazione ad un terzo facen- dogliene consegna, il conflitto tra cessionario e terzo va risolto in favore del primo, che, essendo subentrato nel rapporto locatizio nella medesima posizione del conduttore cedente quale si configu- rava al momento della cessione, ne ha mutuato anche la situazione di priorita` nel godimento del bene, preferenziale ex art. 1380, 1o co., c.c.
Cass., sez. III, 30 luglio 2009, n. 17735, MGI, 2009 – L’occupazione di un immobile di proprieta` del fallito da parte di un terzo, ancorche´ risalente ad epoca anteriore all’apertura della procedura concorsuale, e` inopponibile al fallimento, in difet- to della prova della sua riconducibilita` ad un rap- porto di locazione, non potendo trovare applica- zione in tal caso l’art. 2923, 4o co., c.c. – dettato per l’esecuzione forzata, ma applicabile anche al fallimento, che costituisce un pignoramento gene- rale dei beni del fallito – in quanto la certezza in ordine all’anteriorita` della detenzione, alla quale la predetta disposizione conferisce rilievo, in linea con quanto previsto in via generale dall’art. 2704 c.c., non esclude la compatibilita` della stessa con altri rapporti, ivi compreso quello di comodato.
Cass., sez. III, 4 giugno 0000, x. 0000, XX,
0000, X, 000; FI, 1962, I, 1692 – Dal raccordo
delle disposizioni degli artt. 2923, 2643 e 2644
c.c. e dal loro coordinamento non puo` trarsi l’il- lazione che le locazioni ultranovennali trascritte prima del pignoramento della cosa locata siano escluse dal regolamento particolare previsto dal- l’art. 2923 c.c. e rese opponibili incondizionata- mente all’aggiudicatario. Consegue a cio` che la generica disposizione dell’art. 2923, 3o co., c.c., per cui « in ogni caso l’acquirente non e` tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni», riflette tanto l’ipotesi della locazione ultranovennale trascritta posteriormente al pignoramento quanto l’ipotesi della locazione trascritta anteriormente.
Cass., sez. III, 20 aprile 1982, n. 2462, GC, 1982, I, 2752 – Poiche´ nel procedimento esecu- tivo e` il pignoramento che pone il vincolo di devoluzione effettiva del patrimonio del debitore al soddisfacimento del creditore, in tale momento si cristallizza la situazione giuridica opponibile ai creditori pignoranti e ai terzi che dall’esecuzione forzata acquisiscano diritti. Conseguentemente, nel caso di locazione concernente i beni pignorati anteriore al pignoramento, l’adeguatezza del prez- zo che l’art. 2923 c.c. pone, insieme ad altre, come condizione per l’applicabilita` alla particolare situazione del generale principio emptio non tollit locatum va considerata con riferimento alla data del pignoramento e non a quella della stipulazione del contratto, ovvero della assegnazione del bene.
Cass., Sez. U., 18 ottobre 1982, n. 5397, GI,
1983, I, 1, 38; DFP, 1983, 21; DF, 1983, II,
106; Fa, 1983, 578 – La locazione, quando abbia ad oggetto un immobile destinato esclusivamente ad abitazione propria del fallito e della sua fami- glia, non integra un rapporto di diritto patrimo- niale compreso nel fallimento del conduttore, se- condo la previsione dell’art. 43, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ma un rapporto di natura stretta- mente personale, ai sensi dell’art. 46, n. 1 decreto cit., rivolto al soddisfacimento di un’esigenza pri- xxxxx di vita, il quale e` indifferente per il falli- mento, e resta correlativamente sottratto al potere di recesso del curatore; ne consegue la nullita` della notificazione dell’atto di intimazione di sfratto e di citazione per la convalida, che sia stata effettua- ta dal locatore al curatore del fallimento, anziche´ al fallito personalmente, conservando quest’ulti- mo, anche dopo la dichiarazione di fallimento, la qualita` di locatario e di legittimato a resistere in giudizio.
CAPITOLO III - LE PARTI
Cass., sez. III, 28 giugno 1963, n. 1760, FI, 1963, I, 1902 – In caso di fallimento del condut- tore, se il curatore non esercita la facolta` di rece- dere dalla locazione, il rapporto di locazione con- tinua in persona del curatore cos`ı come esso sussiste fra le parti originarie e al curatore, da considerarsi terzo rispetto al contratto, sono op- ponibili le modifiche apportate al regolamento contrattuale contenute in una scrittura privata non autentica solo se questa abbia data certa.
Cass., sez. III, 27 novembre 1990, n. 11397, Fa, 1991, 561 – In caso di fallimento del conduttore il curatore subentra nella locazione (se non intenda recederne ex art. 80, 2o co., l. fall.) ed il debito di pagare i canoni fa capo alla massa dei creditori, quale corrispettivo della res locata, con la conseguenza che il mancato pagamento dei canoni da parte del cura- tore produce la risoluzione del contratto per moro- sita`, che si riverbera direttamente sul fallito tornato in bonis dopo la chiusura del fallimento.
SOMMARIO
3.1. Le parti contrattuali nella locazione. - 3.2. Capacita` giuridica e capacita` di agire. - 3.2.1. Incapacita` giuridica relativa dei tutori e protutori. - 3.3. La « sostituzione» nella stipulazione del contratto di locazione. - 3.3.1. La locazione infranovennale. - 3.3.2. La locazione ultranovennale.
- 3.3.3. Locazione ultranovennale stipulata dal conduttore quale atto di straordinaria ammini- strazione. - 3.3.4. Locazione ultranovennale, azione di annullamento e principio di conservazione del negozio giuridico. - 3.3.5. Rappresentanti legali di minori e interdetti. Curatori di emancipati ed inabilitati. - 3.3.6. Amministratori di beni ereditari. - 3.3.7. Curatore fallimentare. - 3.3.8. Debitore esecutato e custode. - 3.3.9. Mandante e gestore di affari. - 3.3.10. Persone giuridiche e societa` commerciali. - 3.3.10.1. Amministratore senza poteri. - 3.4. La locazione di cosa altrui: tratti essenziali del dibattito dottrinale. - 3.4.1. La locazione di cosa altrui nella giurisprudenza. -
3.4.1.1. La giurisprudenza ed il ladro, il ricettatore, l’usurpatore. - 3.4.1.2. Corollari giurispru- denziali in tema di locazione di cosa altrui. - 3.4.2. La tutela del conduttore nella locazione di cosa altrui. - 3.5. Il proprietario. - 3.5.1. La « legittimazione a locare» del proprietario ed il divieto convenzionale di locare. - 3.5.2. Il proprietario non locatore. - 3.6. Il comproprietario locatore e l’amministrazione della comunione. - 3.6.1. La costruzione giurisprudenziale del mandato pre- sunto o tacito. - 3.6.2. Limiti della costruzione giurisprudenziale. - 3.6.3. Il divieto convenzionale di locare la cosa comune. - 3.7. Il comproprietario conduttore. - 3.7.1. Comproprietario nel- l’esclusivo godimento del bene. - 3.8. Il coniuge in comunione legale. - 3.9. Superficiario, enfiteuta, usufruttuario, usuario, habitator. - 3.10. Il titolare di un diritto personale di godimento. - 3.11. Pluralita` di locatori e pluralita` di conduttori. - 3.12. Il conflitto in caso di doppia locazione. -
3.12.1. Interpretazione conservativa ed interpretazione eversiva. - 3.12.2. L’applicazione della norma alla locazione. - 3.12.3. Il 1o co. - 3.12.4. Il 2o e 3o co. - 3.13. Il fallimento. - 3.13.1. Fallimento del locatore. - 3.13.1.1. Opponibilita` della locazione al fallimento. - 3.13.1.1.1. Durata delle locazioni opponibili al fallimento del locatore ma non aventi data certa. - 3.13.1.1.2. L’inopponibilita` della locazione al fallimento del locatore per vilta` del canone. - 3.13.1.1.3. Altre questioni in tema di opponibilita` della locazione al fallimento del locatore. -
3.13.1.2. Significato del patto contrario. - 3.13.1.3. Effetti del subentro. - 3.13.1.4. Revocabilita` del contratto e dei pagamenti del canone. - 3.13.2. Fallimento del conduttore. - 3.13.2.1. Loca- zioni cessate alla data del fallimento. - 3.13.2.2. Locazioni non soggette al congegno di subin- gresso. - 3.13.2.3. Fallimento del conduttore ed obbligazioni gravanti sul curatore subentrato. -
3.13.2.4. Morosita` maturata anteriormente alla dichiarazione di fallimento. - 3.13.2.5. Morosita` maturata posteriormente alla dichiarazione di fallimento. - 3.13.2.6. Inadempimento del curatore e azione di risoluzione. - 3.13.2.7. Risarcimento del danno da inadempimento. - 3.13.2.8. Recesso del curatore e diritto al giusto compenso. - 3.14. Legge sostanziale applicabile alla locazione stipulata dallo straniero.
3.1 LA LOCAZIONE
3.1. Le parti contrattuali nella locazione
LEGISLAZIONE c.c. 1571
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
Il contratto di locazione ha struttura bilaterale – bilateralita` che sembra meglio sottolineata dal lemma « parti», utilizzato per intitolare il capitolo, piuttosto che da quello « soggetti», altrimenti utilizzato nella trattatistica sulla materia – sicche´ la sua stipulazione esige la partecipazione di due contraenti: l’uno, il locatore, assume (approssimativamente) l’obbligazione fondamentale di far godere la cosa locata; l’altro, il conduttore, o anche locatario, quella di pagare il corrispettivo.
Ancorche´ la disciplina della locazione generalmente non presenti, quanto alla con- notazione soggettiva delle parti, rilevanti peculiarita` normative od impegnativi osta- coli di ordine dogmatico – non in tema di capacita` giuridica e di agire, di sostitu- zione legale o negoziale nello svolgimento dell’attivita` giuridica, di scrutinio delle diverse ipotesi di « legittimazione a locare», e cos`ı via – e` senz’altro utile soffermarsi nella verifica analitica delle pertinenti regole generali da applicare di volta in volta: e cio` nello spirito dell’opera, che intende fornire un supporto teorico-pratico di impo- stazione casistica organico e tendenzialmente completo.
L’esposizione non e`, sul piano quantitativo, equamente ripartita: al di la` della di-
stinzione tra locazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione, comune ad entrambe le posizioni contrattuali, la gran parte e` dedicata in prevalenza al locatore. Riguardo a quest’ultimo occorre vagliare, in diverse eterogenee ipotesi, il rapporto tra il soggetto ed il bene, in vista dell’individuazione dei requisiti necessari alla stipula- zione di un contratto valido ed efficace. Xxxxxx, invece, sono i problemi posti dal titolare del godimento, essenzialmente limitati alle figure del comproprietario con- duttore e della parte conduttrice plurisoggettiva.
Volendo poi evidenziare taluni argomenti che si cercherebbero invano in questa sezione, occorre per un verso chiarire, quanto al conduttore, che il contratto di locazione non e` un contratto intuitu personae – ed anzi il particolare rilievo attri- buito alle qualita` personali del conduttore innesta nel rapporto una distinta causa contrahendi che incide sulla sua tipicita` (v., p. es., Cass. 24 giugno 1958, n. 2230, ined.) – e, per altro verso, che la persona del conduttore va tenuta distinta da coloro ai quali si estenda il godimento della cosa, come ad esempio i suoi familiari (v., per l’emersione della tutela del nucleo familiare, Cap. I, § 1.3.1.2), senza che assumano i diritti e gli obblighi spettanti alla parte contrattuale, sicche´ l’esame della loro posi- zione dovra` trovare spazio nella trattazione dedicata alle obbligazione del conduttore, per quanto attiene alla liceita` della condotta di questi nel destinare il godimento a terzi, ed in quella dedicata alle vicende del rapporto, con particolare riguardo alla disciplina dettata dagli artt. 6 e 37 l. eq. can.
Nella sezione trova viceversa collocazione – nella prospettiva, ancora una volta, di facilitare la consultazione, piu` che di realizzare un’ineccepibile inquadramento
CAPITOLO III - LE PARTI 3.2
sistematico – anche il tema del conflitto fra conduttori in caso di doppia locazione, che trova il suo criterio di composizione nella disciplina dettata dall’art. 1380 c.c.
3.2. Capacita`giuridica e capacita`di agire
LEGISLAZIONE c.c. 392, 414, 424, 428
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxx 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
Per stipulare validamente un contratto, quale la locazione, occorre che i contraenti
– in questo caso tanto il locatore quanto il conduttore – dispongano di capacita` giuridica e di capacita` di agire.
La prima, la capacita` giuridica, ossia la capacita` di essere soggetti di diritti, si acquista dalle persone fisiche al momento della nascita, ai sensi dell’art. 1 c.c. Ma, come si vedra` nel paragrafo seguente, si rinvengono, con riguardo alla locazione, ipotesi di incapacita` giuridica relativa.
La capacita` di agire si acquista invece con la maggiore eta`: sono pertanto incapaci i minori. Lo sono parimenti gli interdetti giudiziali (artt. 414 ss. c.c.) o legali (art. 19, n. 3, c.p.).
Sono quindi capaci di stipulare il contratto di locazione i maggiori di eta` non interdetti. Ma – occorre aggiungere – lo sono altres`ı nell’ambito dell’attivita` im- prenditoriale, i minori autorizzati all’esercizio dell’impresa ai sensi dell’art. 397 c.c. Sono inoltre capaci tanto il minore emancipato, ex art. 394 c.c., quanto il maggiore di eta` inabilitato, attraverso il rinvio di cui all’art. 424 c.c., quando la locazione rientri nell’attivita` di ordinaria amministrazione. Altrimenti devono essere assistiti dal curatore, con l’autorizzazione del giudice tutelare, ex art. 394, 3o co., c.c.
La disciplina che precede, tuttavia, merita oggi di essere integralmente riconsiderata
alla luce dell’introduzione dell’amministrazione di sostegno, che, mossa dall’intento di determinare la « minore limitazione possibile della capacita` di agire» (art. 1, l. 9 gennaio 2004, n. 6), finisce per collocare gli istituti dell’interdizione e dell’inabili- tazione in una posizione del tutto residuale, potendo esse trovare applicazione solo nelle ipotesi – non facili da identificare – in cui l’amministrazione di sostegno non costituisca sufficiente strumento di tutela di quanti siano incapaci di provvedere ai propri interessi.
E` poi incapace di stipulare il contratto di locazione, chi, al momento dell’atto, versi,
per qualsiasi causa, anche transitoria, in stato di incapacita` naturale, ossia di inca- pacita` di intendere e di volere, ex art. 428 c.c.
Il rimedio, nelle ipotesi che precedono – ossia quando il contratto sia stato stipulato da persona incapace ovvero senza le autorizzazioni previste – e` l’annullamento, ex art. 1425 c.c., mentre la legittimazione ad agire spetta ai soggetti di volta in volta individuabili (art. 1441 c.c. in relazione agli artt. 322, 377, 396, 412, 427 e
428 c.c.).
3.2.1 LA LOCAZIONE
3.2.1. Incapacita`giuridica relativa dei tutori e protutori
LEGISLAZIONE c.c. 378, 396
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
E` il caso di muovere dall’esame di una questione in tema di capacita` giuridica. L’art. 378, 2o co., c.c., stabilisce che il tutore e il protutore:
Non possono prendere in locazione i beni del minore senza l’autorizzazione e le cautele fissate dal giudice tutelare
(art. 378, 2o co., c.c.).
Lo stesso divieto si applica alla tutela del interdetti, ex art. 424 c.c., alla curatela dei minori emancipati, ex art. 396, 2o co., c.c., e degli inabilitati, ancora ex art. 424 c.c. Secondo la migliore dottrina si versa in tal caso in ipotesi di vera e propria incapacita` giuridica, sebbene relativa:
La qualificazione di questa ipotesi, che sembra piu` appropriata, e` quella che le configura come limitazioni alla capacita` giuridica del soggetto, ossia come incapacita` giuridica relativa; le suddette norme, infatti, vietano al soggetto non di compiere certi atti, ma di divenire titolari di una certa posizione giuridica; quella che viene limitata, dunque, non e` la capacita` a compiere attivita` giuridicamente rilevanti, ma la capacita` di essere soggetti di diritti, ossia la capacita` giuridica
(Mirabelli 1972, 184).
L’incapacita` relativa di cui si discorre viene rimossa dal provvedimento del giudice tutelare il quale e` chiamato ad autorizzare la conclusione del contratto fissandone le modalita`. In mancanza dell’autorizzazione il contratto di locazione e` annullabile ad istanza dell’altro contraente, ovvero dei suoi eredi o aventi causa, ex art. 378, 3o co., c.c., in relazione all’art. 377 c.c.
E` da ritenere che la previsione dell’art. 378, 1o co., che preclude al tutore o protutore
l’acquisto di beni anche « per interposta persona», trovi analogamente applicazione con riguardo al 2o co.: dunque che la locazione non possa parimenti essere stipulata dal tutore o protutore neppure per interposta persona.
3.3. La « sostituzione» nella stipulazione del contratto di locazione
LEGISLAZIONE c.c. 1571
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxx 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001 - Xxxxxxx e Xx Xxxxxx 2002
Si esamineranno tra breve taluni eterogenei istituti raggruppati nella categoria – che sembra esatto intendere come semplicemente descrittiva – della « sostituzione» (x. Xxxxxxxxx 1972, 189 ss.) nello svolgimento di una specifica attivita` giuridica quale la stipulazione del contratto di locazione.
Si tratta, da un lato, di ipotesi di stipulazione di quel contratto nel quadro dell’am-
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.1
ministrazione di un patrimonio altrui, alle quali verranno associati, per l’intima connessione, anche alcuni casi di amministrazione di un patrimonio proprio, ma limitata oppure « di scopo»:
(a) nel primo gruppo vanno inquadrate, oltre all’istituto della rappresentanza legale dei minori e degli interdetti, legali e giudiziali, le locazioni poste in essere dal chiamato all’eredita`, dal curatore dell’eredita` giacente, dall’esecutore testamentario, dal curatore fallimentare, dal custode pignoratario o sequestratario;
(b) nel secondo gruppo vanno invece considerate l’amministrazione degli emancipati e degli inabilitati, quella dell’erede beneficiato e la locazione posta in essere dal debitore esecutato.
Ma, per altro verso, si ha sostituzione nello svolgimento di attivita` giuridica, nego- ziale o legale, anche quando un soggetto conferisca ad un altro l’incarico di esercitarla per suo conto (come nel caso del mandato), ovvero quando questi la eserciti per conto del soggetto, senza tuttavia averne ricevuto incarico (come nel caso della gestione di affari).
Attinente alla materia e`, ancora, il tema della stipulazione del contratto di locazione da parte della persona giuridica a mezzo dei propri organi.
I fenomeni indicati verranno dunque di seguito sviluppati in singoli paragrafi, te- nendo uniti, per l’evidente coerenza, quelli attinenti all’amministrazione dei beni ereditari.
Nell’esaminare le figure sinteticamente elencate, sorgera` di volta in volta – come si vedra` man mano – il problema dell’identificazione dei poteri del « sostituto», per il che il legislatore si avvale delle nozioni di ordinaria e straordinaria amministrazione, identificandole, con specifico riferimento alla locazione, attraverso la durata del rapporto.
Ecco perche´, dunque, occorre muovere dall’esame della nozione di locazione ultra- novennale, quale paradigma normativo della locazione eccedente l’amministrazione ordinaria.
3.3.1. La locazione infranovennale
LEGISLAZIONE c.c. 1572
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxx 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
La disciplina codicistica reca in tema di locazione una disposizione di stampo me- ramente empirico – non applicabile al comodato (Cass. 4 dicembre 1990, n. 11620, GI, 1992, I, 1, 1809) – secondo la quale:
Il contratto di locazione per una durata superiore a nove anni e` atto eccedente l’ordinaria amministrazione
(art. 1572, 1o co., c.c.).
La formulazione della norma pone distinti problemi, non esclusivamente attinenti al tema ora in esame: quello dei soggetti – o, come si e` preferito dire, delle parti – del
3.3.1 LA LOCAZIONE
contratto di locazione. Problemi che e` pero` indispensabile esaminare a questo punto dell’opera, giacche´, altrimenti, lo stesso studio delle parti contrattuali ne risentirebbe. I quesiti sono:
(a) se la locazione infranovennale costituisca sempre e comunque, percio` stesso, atto di ordinaria amministrazione;
(b) quando la locazione possa essere qualificata ultranovennale;
(c ) se la locazione ultranovennale costituisca egualmente atto di straordinaria ammi- nistrazione tanto per il locatore quanto per il conduttore.
Essi saranno esaminati l’uno in questo paragrafo e gli altri nei due successivi. Quanto al primo quesito, va osservato che l’art. 1572, 1o co., c.c., ancorche´ renda incontestabile il carattere di atto di straordinaria amministrazione della locazione ultranovennale, sia essa mobiliare o immobiliare, sembra lasciare spazio, sul piano strettamente letterale, all’accertamento in concreto se ciascuna locazione infranoven- nale possieda o meno i requisiti della straordinaria amministrazione.
Viceversa l’interpretazione dottrinale nella norma e la sua applicazione giurispruden- ziale appaiono sovente informate ad un automatismo di distinzione fra locazioni di ordinaria e di straordinaria amministrazione, scandito da un criterio meramente temporale: nel senso che, cos`ı come e` sempre atto di straordinaria amministrazione la locazione ultranovennale, allo stesso modo sarebbe sempre atto di amministrazione ordinaria la locazione infranovennale.
In tal senso, in giurisprudenza, puo` ad esempio essere rammentato il responso che segue, il quale, una volta scartata la tesi che un contratto di locazione non abitativa, in quanto soggetto al diniego di rinnovazione alla prima scadenza di cui agli artt. 28 e 29 l. eq. can., avesse durata ultranovennale, ha conseguentemente escluso, senza necessita` di alcuna altra indagine, che esso potesse configurarsi quale atto di straor- dinaria amministrazione:
Un contratto della specie di quello in questione, disciplinato dall’art. 27 e segg. della legge n. 392 del 1978, configura un atto di straordinaria amministrazione, al pari di quello ultranovennale (art. 1572 c.c.), solo in quanto raggiunge una tale durata per effetto della preventiva rinuncia del locatore alla facolta` di diniego della rinnovazione del rapporto accordatagli dall’art. 28 della legge n. 392 del 1978. Sicche´, in difetto di siffatta preventiva rinuncia, un contratto, come quello in esame, e` inidoneo a confi- gurare un atto di straordinaria amministrazione
(Cass. 29 ottobre 1993, n. 10779, FI, 1994, I, 764; ALC, 1994, 69).
La soluzione prospettata presenta l’indubbio pregio della semplicita` e della certezza applicativa, considerata, altrimenti, l’evidente difficolta` di distinguere l’amministra- zione ordinaria da quella straordinaria in mancanza di una pertinente nozione legale. Tuttavia, non e` mancato chi ha posto in rilievo l’insufficienza del criterio meramente temporale, ben potendosi ammettere che anche una locazione infranovennale possa determinare – questa l’essenza del fenomeno – un’alterazione della consistenza quantitativa del patrimonio che ne rimane coinvolto. Puo` dirsi anzi formata
un’opinione abbastanza consolidata secondo la quale, per giudicare se un atto, in generale, e un contratto di locazione, in particolare, ecceda, o meno, l’ordinaria
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.2
amministrazione non basta riferirsi alla qualificazione temporale posta dall’art. 1572, ma occorre valutare l’importanza economica e giuridica dell’atto in relazione al patrimonio del soggetto interessato
(Mirabelli 1972, 189).
Cos`ı, in giurisprudenza, in tempi remoti, la rinuncia alla conduzione di un mulino, da cui era derivata la cessazione dell’attivita` imprenditoriale dei minori eredi, e` stata ritenuta eccedere l’amministrazione ordinaria (Trib. Napoli 5 febbraio 1951, DG, 1951, 185). Parimenti e` stata considerata decisiva la gravita` dell’immobilizzazione prolungata, ancorche´ inferiore al novennio, di un bene di rilevante importanza economica nell’ambito del patrimonio amministrato (Cass. 16 luglio 1946, n. 894, RFI, 1946, Locazione, 71 bis -71 ter). Sicche´, in tempi meno lontani, e` stato infine ribadito, in generale, che:
La distinzione che la legge opera tra atti di ordinaria e di straordinaria amministra- zione, mentre pone tra questi ultimi le locazioni ultranovennali (art. 1572 c.c.), non comporta necessariamente che ogni altro rapporto locatizio debba essere considerato atto di ordinaria amministrazione, dovendosi, ai fini di detta qualificazione, avere riguardo alle clausole contrattuali che in relazione alla rilevanza economica, all’entita` degli interessi coinvolti ed al rapporto con la consistenza economica dei disponenti vengano ad incidere sul patrimonio di un soggetto
(Cass. 21 gennaio 1982, n. 402, FI, 1982, I, 1983; VN, 1982, 1235).
Allo stesso modo nella giurisprudenza di merito – sulla scia della giurisprudenza di legittimita` che ne riconosce in genere la revocabilita` (v. p. es., Xxxx. 4 maggio 1996, n. 4143, F, 1997, 26; Cass. 17 gennaio 1996, n. 366, MGC, 1996, 76; FI, 1996, I,
3175; F, 1996, 950) – e` stato considerato revocabile, ai sensi dell’art. 67 l. fall., il contratto di locazione, che, non solo se ultranovennale, puo` presentarsi quale atto di
straordinaria amministrazione idoneo ad alterare in senso peggiorativo la consistenza patrimoniale del fallito (Trib. Udine 24 gennaio 1994, NGCC, 1994, 765).
3.3.2. La locazione ultranovennale
LEGISLAZIONE c.c. 1572
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
Va quindi esaminato il successivo quesito poc’anzi posto, ossia: quando la locazione possa essere qualificata ultranovennale.
Il problema possiede notevole rilievo pratico non soltanto in riferimento alla posi- zione delle parti del contratto, in dipendenza dell’applicazione del citato art. 1572 c.c.
– nel senso che, se la locazione e` ultranovennale, essa va certamente considerata quale atto di straordinaria amministrazione –, ma anche di altre norme.
Cos`ı, in materia di forma, l’art. 1350, n. 8, c.c., richiede per le locazioni immobiliari ultranovennali l’atto scritto ad substantiam, e la forma scritta e` richiesta anche per la manifestazione del consenso da parte del contraente ceduto nel caso di cessione del
3.3.2 LA LOCAZIONE
contratto gia` stipulato (Cass. 9 aprile 1991, n. 3725, ALC, 1992, 98); l’art. 1599, 3o co., x.x., xxxxx xxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxxx xx xxxxx xxxxxxxxxx se trascritte; gli artt. 2643, n. 8, e 2644 c.c. assoggettano le locazioni ultranovennali al medesimo onere pubblicitario.
Cinque appaiono le diverse ipotesi meritevoli di approfondimento.
(a) In primo luogo, puo` dubitarsi se abbia natura di locazione ultranovennale quella sottoposta, quanto alla durata, ad un termine finale incertus quando : ipotesi, questa, ad esempio prospettata, nella disciplina codicistica, dall’art. 1607 c.c., secondo cui:
La locazione di una casa per abitazione puo` essere convenuta per tutta la durata della vita dell’inquilino e per due anni successivi alla sua morte
(art. 1607 c.c.).
In proposito sembra unanime, ed e` certo da condividersi, l’opinione secondo cui
La locazione a termine incerto deve considerarsi ultranovennale, giacche´ cio` che conta e` la potenziale durata del vincolo. In altri termini, al fine di stabilire se, per la validita` di un contratto di locazione posto in essere in nome e per conto di un minore, sia o no necessaria l’autorizzazione giudiziale, occorre avere riguardo non a quella che sara` l’effettiva durata, la quale potrebbe essere anche brevissima, ma all’intensita` del vincolo che attraverso di esse viene accollato all’incapace
(Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 56).
La soluzione ha trovato il consenso della giurisprudenza – sulla scorta gia` di Trib. Milano 23 giugno 1967, MT, 1967, 1103, che aveva ritenuto illegittimo il rifiuto del conservatore di trascrivere un contratto di locazione stipulato per tutta la vita dell’inquilino – in un peculiare caso in cui al contratto di locazione era stata apposta la condizione risolutiva del matrimonio della figlia del locatore, la quale non aveva pero` trovato pretendenti:
La previsione, inserita in un contratto di locazione, del matrimonio della figlia del locatore come condizione risolutiva del contratto, non realizzatasi ne´ sotto la vigenza delle leggi di proroga delle locazioni ne´ nel periodo di durata ulteriore imposto dalla legge n. 392 del 1978, e` legittima e conferisce alla locazione il carattere di rapporto a tempo indeterminato, con la conseguenza che, essendo potenzialmente ultranoven- nale, il contratto deve essere stipulato in forma scritta e, per essere opponibile ai terzi, deve essere trascritto
(Pret. X. Xxxxxxxx Xxxxxxxx 00 gennaio 1984, FI, 1984, I, 851).
(b) La medesima conclusione viene prospettata nell’ipotesi di locazione infranoven- nale con la quale sia pero` riconosciuta al conduttore una opzione, ex art. 1331 c.c., di rinnovo del rapporto per un periodo ulteriore che, cumulato a quello iniziale, renda la locazione ultranovennale (Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 57). In tal caso e` pur vero che l’opzione non determina la formazione del vincolo contrattuale, attribuendo invece ad una delle parti il diritto potestativo di determinarne l’insorgenza, ma va nondimeno sottolineato che l’altra parte rimane fin da subito assoggettata alla durata ultranovennale.
Alla figura dell’opzione, formulando le medesime conclusioni, puo` essere avvicinato
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.2
il caso che la facolta` di disdetta sia attribuita ad uno solo dei contraenti, oppure che uno solo di essi abbia la facolta` di proroga per dichiarazione unilaterale (Mirabelli 1972, 220; Xxxxx 1972, 264, abbandonando una sua precedente opinione).
Tuttavia, sulla scorta della contraria e non piu` attuale opinione dottrinale del Xxxxx, e` stata ritenuta non necessaria la forma scritta, di cui all’art. 1350, n. 8, c.c., per la validita` del contratto di locazione immobiliare stipulato per una durata inferiore al novennio, ancorche´, in virtu` della pattuita clausola di rinnovo, esso potesse, a richiesta del conduttore, protrarsi per una durata ultranovennale (Cass. 5 novembre 1968, n. 3654, RGI, 1969, Locazione, n. 5; nello stesso senso, in riferimento, pero`, alla soggezione all’onere della trascrizione, x. Xxxx. 00 xxxxxx 0000, x. 0000, XX, 1949, I, 1050; GI, 1950, I, 1, 36; Cass. 16 aprile 1956, n. 1137, RGI, 1956,
Locazione, n. 55; sul che v. le critiche di Torrente 1949, 1050 ss.).
(c ) Xxxx stesso modo, va riconosciuta durata ultranovennale al contratto di locazione che raggiunga tale soglia per effetto della preventiva rinuncia del locatore alla facolta` di diniego della rinnovazione del rapporto accordatagli dall’art. 28, 2o co., l. eq. can. (Cass. 29 ottobre 1993, n. 10779, FI, 1994, I, 764; ALC, 1994, 69; Cass. 22 giugno
1985, n. 3757, ALC, 1985, 434; F, 1986, 28; RaEquoC, 1985, 220).
(d ) Altra ipotesi discutibile e` quella della locazione infranovennale assoggettata al congegno della rinnovazione tacita in mancanza di disdetta: in questo caso e` opi- nione comune che la durata del rapporto debba essere commisurata alla iniziale previsione, giacche´ la rinnovazione non si pone quale evento ineluttabile, bens`ı quale sviluppo riconducibili alla volonta` delle parti, le quali abbiano scelto di non intimare disdetta. In giurisprudenza – seguendo l’insegnamento di Xxxx. 16 aprile 1956, n. 1137, RGC, 1956, Trascrizione, n. 12; Cass. 4 agosto 1955, n. 2518, DF, 1955, II, 605 – si trova cos`ı affermato che:
Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 320, 3o co., c.c., locazioni ultranovennali sono soltanto quelle stipulate inizialmente per un periodo superiore ai nove anni, e non anche quelle convenute per un tempo inferiore, ma suscettibili di protrarsi per un tale periodo in virtu` di clausola di tacito rinnovo od in conseguenza della soggezione a proroga legale, poiche´, per la qualificazione del contratto, occorre aver riguardo alla volonta` originaria delle parti, e non alla potenziale maggior durata del medesimo, sia per tacito rinnovo, sia per una proroga derivante dalla volonta` della legge, che si sovrapponga d’imperio alla volonta` dei contraenti
(Cass. 30 gennaio 1982, n. 599, GC, 1982, I, 2147; ALC, 1982, 693).
(e) Va infine menzionato il caso – probabilmente di maggior rilievo pratico – delle locazioni non abitative, disciplinate dagli artt. 27 ss. l. eq. can., le quali hanno durata minima di sei anni ma, alla prima scadenza contrattuale, si rinnovano per eguale periodo, salvo diniego di rinnovazione, ai sensi dell’art. 28, 2o co., l. eq. can., nei casi previsti dall’art. 29 della stessa legge: tali contratti, dunque, hanno una durata tendenziale non inferiore a dodici anni. Anche in proposito, percio`, si e` posto il quesito se, sotto tale profilo, essi debbano considerarsi assoggettati all’artt. 1572 c.c. Secondo una prima soluzione, il combinato disposto degli artt. 27, 28 e 29 l. eq. can. indurrebbe a ritenere che i contratti di locazione ad uso diverso abbiano normal-
3.3.2 LA LOCAZIONE
mente durata di dodici anni, salva l’ipotesi, non rilevante perche´ eccezionale, del diniego di rinnovazione alla prima scadenza nei casi previsti dall’art. 29 citato (Xxxx. 30 dicembre 1991, n. 14012, FI, 1992, I, 2151; RGE, 1992, I, 597; nello stesso
senso, in precedenza, App. Trieste 9 febbraio 1984, GI, 1985, I, 2, 26; RN, 1985, 702, secondo cui il diniego di rinnovazione e` ammesso soltanto in determinate ipotesi, attribuendo cos`ı al locatore un semplice diritto di recesso).
Nondimeno – seguendo l’ultima pronuncia di legittimita` ricordata – avendo la legge dell’« equo canone» compiutamente disciplinato i contratti di locazione ad uso di- verso, fissando per essi la durata di dodici anni, senza prescriverne la trascrizione, ne´ rinviare esplicitamente o implicitamente all’art. 2643, n. 8, c.c., quest’ultima norma dovrebbe ritenersi, al riguardo, non applicabile. Conseguentemente non sarebbe piu` applicabile neppure l’art. 1599, 3o co., c.c. Dovrebbe allora ritenersi che i contratti di locazione di immobili ad uso non abitativo stipulati nel vigore della legge dell’« equo canone» ed aventi durata di dodici anni siano opponibili al terzo acquirente anche se non trascritti, purche´ abbiano data certa anteriore all’alienazione dell’immobile a norma dell’art. 1599, 1o co., x.x., xxxxxx xxxxxxxxxxx (Xxxx. 00 xxxxxxxx 0000, x. 00000, XX, 1992, I, 2151; RGE, 1992, I, 597).
Tutt’altro che favorevoli i puntuali commenti della dottrina:
Il pensiero delle gravi conseguenze e degli abusi cui si presta una siffatta generaliz- zazione del principio della opponibilita` senza bisogno di trascrizione [...], dovrebbe indurre ad essere cauti. Discutibile e meritevole di piu` attenta considerazione appare, comunque, lo stesso presupposto logico del principio suddetto, e cioe` l’affermazione secondo cui le locazioni previste dall’art. 27 [...] avrebbero durata legale di dodici anni (diciotto, in caso di locazione alberghiera). Non puo`, invero, omettersi di considerare: a) il dato testuale degli artt. 27 e 28, che indica in sei anni (nove, per gli alberghi) la durata minima dei contratti in questione; b) soprattutto, il fatto che alla prima scadenza contrattuale la facolta` di denegare la tacita rinnovazione del contratto subisce forti limitazioni [...] soltanto per il locatore, e non anche per il conduttore, il quale puo` liberamente porre fine al rapporto anche senza addurre motivi giustificativi
(Piombo 1992, 2151).
Dall’assunto la Suprema Corte si e` difatti successivamente piu` volte discostata
– senza che sia emersa, pero`, la consapevolezza del contrasto – sottolineando, al contrario, come la rinnovazione alla prima scadenza del contratto disciplinato dagli artt. 27 ss. l. eq. can. sia soltanto eventuale, tranne nel caso, poc’anzi ricordato, della preventiva rinunzia del locatore al diniego di rinnovazione. In una delle decisioni il problema e` stato affrontato in riferimento alla necessita` della forma scritta ad substantiam, ex art. 1350, n. 8, c.c. Quest’ultima – e` stato osservato – e` applicabile
solo ai contratti che sono ab origine previsti per piu` di nove anni e non per quelli originariamente stabiliti di durata infranovennale. In tale ambito si inseriscono le locazioni degli immobili non abitativi di cui all’art. 27 della legge n. 392 del 1978, che subiscono per effetto degli artt. 28 e 29 della legge stessa l’obbligatoria rinno- vazione del contratto alla prima scadenza, in mancanza di motivi che legittimino il
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.3
diniego di rinnovazione o in mancanza dell’esercizio in concreto di tale facolta`. La limitazione di detti motivi non impedisce di considerare del tutto eventuale la rinnovazione del contratto e quindi esclude quella unicita` di durata ultranovennale che e` il presupposto per la prescrizione della forma scritta a pena di nullita`
(Cass. 2 giugno 1993, n. 6130, ALC, 1994, 69; FI, 1994, I, 764; VN, 1994, 231).
Lo stesso principio espresso dalla ricordata pronuncia – cui xxxx Xxxx. 14 maggio 1997, n. 4258, GC, 1998, I, 2001; FI, 1997, I, 1748; ALC, 1997, 620 – e` stato ripetuto
con riguardo al contratto di locazione alberghiera. Anche in tal caso e` stato posto in rilievo che la durata ultranovennale e` solo eventuale:
Dalla normativa di cui agli artt. 27 e segg. legge n. 392 del 1978 non e` dato desumere che la locazione di un immobile adibito ad uso alberghiero abbia sempre e comunque una durata superiore a nove anni, posto che la durata ultranovennale del rapporto e` soltanto eventuale, attuandosi solo in assenza delle ipotesi di xxxxxxx dalla stessa legge specificamente contemplate
(Cass. 27 novembre 1993, n. 11771, ALC, 1994, 307).
La Suprema Corte – in una decisione gia` ricordata al paragrafo precedente – ha poi confermato il responso di una corte di merito che, negando alla locazione natura di atto eccedente l’ordinaria amministrazione, aveva ritenuto pienamente valida la stessa, in quanto conclusa dagli amministratori di una comunione muniti di poteri di ordinaria amministrazione. Cio` perche´ un simile contratto configura un atto di straordinaria amministrazione, ex art. 1572 c.c., al pari di quello ultranovennale, solo se raggiunga tale durata per effetto della preventiva rinuncia del locatore alla facolta` di diniego della rinnovazione del rapporto di cui all’art. 28 l. eq. can. (Cass. 29 ottobre 1993, n. 10779, FI, 1994, I, 764; ALC, 1994, 69).
3.3.3. Locazione ultranovennale stipulata dal conduttore quale atto di straordinaria amministrazione
LEGISLAZIONE c.c. 1572
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
Come si e` visto, l’art. 1572 c.c. qualifica la locazione ultranovennale come atto eccedente l’ordinaria amministrazione: in cio` la norma non fa riferimento ad una
delle due parti contrattuali, e dunque sembra riferirsi – come per la verita` viene in genere ritenuto – ad entrambe. E` opinione comune, cioe`, che, con la stipulazione di
una locazione ultranovennale, tanto il locatore, quanto il conduttore pongano in essere un atto eccedente l’ordinaria amministrazione.
Una simile impostazione – che ben si inquadra nella prospettiva commutativa formalmente paritaria adottata dal codice civile – e` stata posta in dubbio da chi, oltre a mettere in risalto la profonda differenza tra l’obbligazione di far godere assunta dal locatore e quella meramente pecuniaria gravante sul conduttore, ha evidenziato che la disciplina delle locazioni immobiliari urbane riserva a quest’ultimo
3.3.4 LA LOCAZIONE
il potere di sottrarsi al vincolo contrattuale per sopravvenuti gravi motivi. Di guisa che l’art. 1572 c.c. dovrebbe intendersi riferito al solo locatore:
L’equiparazione delle parti, secondo noi, non puo` ritenersi esatta, ove si consideri che, in realta`, il vincolo dell’obbligazione ultranovennale, con connessa « indisponi- bilita`» del bene, si riferisce, gravandola, alla sfera del locatore, mentre quella del conduttore appare in realta` gravata, principalmente, da un obbligo, meramente pecuniario, di corresponsione del canone; dal quale il conduttore poteva probabil- mente gia` in passato e puo` sicuramente oggi (alla stregua degli artt. 4, 2o co., e 27, 8o co., della legge n. 392 del 1978) liberarsi anche in costanza di rapporto ultrano- vennale; e cio` mediante l’esercizio del recesso anticipato per gravi motivi (Cosentino e Xxxxxxx 1986, 35).
L’opinione, tuttavia, pur muovendo dall’esatta considerazione dell’evoluzione nor- mativa (con l’aggiunta che il recesso per gravi motivi e` attribuito al conduttore anche dall’art. 3, 6o co., l. loc. ab.), e del rilievo della legislazione « speciale» rispetto all’impianto codicistico (v. § 1.2.1), non pare condivisibile, ne´ risulta aver mai ricevuto il consenso della giurisprudenza, se e` vero che il carattere straordinario dell’atto va vagliato ex ante, attraverso la considerazione della potenziale intensita` del vincolo contrattuale instaurato.
Il che induce ad evidenziare che il conduttore, con la locazione ultranovennale, si assume il permanente onere di pagamento del corrispettivo lungo tutto l’arco di durata del rapporto a fronte del soltanto ipotetico sopravvenire di una eventuale causa di recesso.
3.3.4. Locazione ultranovennale, azione di annullamento e principio di conservazione del negozio giuridico
LEGISLAZIONE c.c. 1572
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
Si e` gia` accennato che la nozione di locazione ultranovennale delineata dall’art. 1572
c.c. vale ad identificare le locazioni eccedenti l’ordinaria amministrazione in vista della delimitazione dei poteri di taluni soggetti (p. es., emancipati, inabilitati) e
« sostituti» (p. es., rappresentanti legali, tutori): i quali, nelle ipotesi che si esamine- ranno tra breve, non possono stipulare locazioni ultranovennali – o comunque eccedenti l’amministrazione ordinaria – se non munendosi delle autorizzazioni di volta in volta richieste.
E si e` altres`ı rammentato che il rimedio, qualora il contratto sia stato stipulato da persona incapace ovvero senza le autorizzazioni previste, e` l’annullamento, ex art. 1425 c.c., mentre la legittimazione ad agire spetta ai soggetti individuabili attraverso l’art. 1441 c.c.
Cio` che ancora occorre chiedersi – ed e` quesito di notevole rilievo pratico – e` se l’invalidita`, sotto specie di annullabilita`, del contratto di locazione ultranovennale
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.4
travolga il contratto medesimo nella sua interezza ovvero soltanto con riguardo alla durata, ricondotta nei limiti del novennio, cos`ı come – e` stato osservato da alcuni – la locazione ultratrentennale « e` ridotta al termine suddetto», ai sensi dell’art. 1573, 2o co., c.c.
L’opinione prevalente – va detto – e` senz’altro nel senso dell’annullabilita` dell’intero contratto e non della sola « eccedenza». Non sembra lasciare spazio a repliche l’au- torevole opinione di chi ha ritenuto
del tutto ingiustificata la tesi [...] secondo cui la locazione ultranovennale stipulata senza l’osservanza delle limitazioni e delle formalita` prescritte dalla legge per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione sarebbero non annullabili, ma riducibili al novennio. L’analogia con la riduzione al trentennio delle locazioni ultratrentennali [...] non sussiste, in quanto questa consiste in una limitazione all’autonomia, mentre l’annullabilita` tutela un interesse del soggetto
(Mirabelli 1972, 186).
Non dissimile il punto di vista secondo cui le locazione ultranovennali, al pari dei pagamenti anticipati ultrannuali di cui all’art. 1572, 2o co., c.c.,
sono annullabili in toto e non si riducono al novennio, in difetto di una norma espressa che limiti l’annullabilita` alla sola durata eccedente il novennio, o al solo pagamento anticipato oltre l’anno. Infatti, la norma dell’art. 1573, che commina la nullita` parziale (art. 1419) del contratto di locazione ultratrentennale, ha carattere eccezionale rispetto al principio che il vizio colpisce il contratto della sua interezza (Xxxxx 1972, 176).
Altri ancora, oltre a ribadire l’inapplicabilita` in via analogica del congegno previsto dall’art. 1573 c.c., per mancanza del requisito dell’eadem ratio, hanno aggiunto che non varrebbe invocare
la massima utile per inutile non vitiatur senza dimenticare l’importanza che ha nella locazione il termine, il quale serve, di regola, a stabilire il corrispettivo. Non e` possibile scindere in due il consenso che fu necessariamente unico e non potra` esercitarsi l’azione di nullita` se non per l’intero
(Xxxxxxxxxxxx 1947, 233).
L’osservazione che precede sposta dunque l’attenzione dalla ristretta questione di applicabilita` per analogia dell’art. 1573 c.c. – che, per la verita`, quale limite imposto all’autonomia dei privati, sembra evidentemente insuscettibile di applicazione ana- logica al caso della locazione ultranovennale stipulata in difformita` dal paradigma legale – a quella piu` generale di applicabilita` al caso in discussione del principio di conservazione del negozio giuridico, di cui e` espressione, oltre all’art. 1419 c.c., in tema di nullita` parziale, il successivo art. 1424 c.c., che disciplina la conversione del contratto nullo. Ed invero, non sembra individuabile alcun ostacolo di rilievo con- cettuale all’applicazione delle due menzionate norme al contratto di locazione, men- tre altra cosa e` verificare, quanto all’art. 1419 c.c., se il segmento della pattuizione attinente alla durata eccedente il novennio possa essere isolato dal contesto dell’ac- cordo considerato nel suo complesso. Sicche´ si e` piu` di recente sottolineato che:
3.3.5 LA LOCAZIONE
In materia di locazione, e` indiscutibile l’applicabilita` di una delle due norme appena esaminate, quando l’invalidita` del contratto derivi dalla mancanza dei requisiti ri- chiesti dalla legge per una locazione ultranovennale; con il risultato di far valere il contratto stesso come locazione infranovennale, per la quale quei requisiti non sarebbero stati richiesti
(Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 70).
Ne´ varrebbe ad escludere l’applicabilita` degli artt. 1419 e 1424 c.c. l’osservazione che essi sono dettati in riferimento alla piu` grave ipotesi della nullita`,
xxxxxxx´ il contratto annullato, versando nella medesima situazione di uno nullo, e` assoggettabile, sebbene in via di eccezione, anche alle regole stabilite con riguardo al contratto nullo
(Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 70).
Pertanto, e` da credere che, dinanzi alla domanda di annullamento spiegata – ad esempio – dal rappresentante del minore, l’altro contraente possa in via di eccezione invocare, in concorso con i presupposti di applicazione delle disposizioni, gli artt. 1419 e 1424 c.c. in vista della limitazione degli effetti dell’annullamento al solo periodo eccedente il novennio.
3.3.5. Rappresentanti legali di minori e interdetti. Curatori di emancipati ed inabilitati
LEGISLAZIONE c.c. 320, 374
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972
In luogo degli incapaci (minori di eta`, interdetti) agiscono i titolari della rappresen- tanza legale (genitori, tutori), eventualmente muniti delle previste autorizzazioni. I limitatamente capaci (emancipati e inabilitati) sono assistiti, per il compimento degli atti che eccedano l’ordinaria amministrazione, dal curatore (artt. 394, 424 c.c.), con autorizzazione del giudice tutelare.
Per quanto riguarda i minori in potestate, in particolare, occorre ricordare la dispo- sizione che, sotto la rubrica « rappresentanza e amministrazione», stabilisce:
I genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la potesta`, rappresentano i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore.
[...]
I genitori non possono [...] contrarre [...] locazioni ultranovennali o compiere altri atti eccedenti la ordinaria amministrazione [...], se non per necessita` o utilita` evi- dente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare
(art. 320, 1o e 3o co., c.c.).
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.5
Val quanto dire che il minore in potestate non puo` mai stipulare il contratto di locazione – giacche´ con esso si concede o si acquista un diritto personale di godi- mento – se non attraverso entrambi i genitori: salvo a distinguere ulteriormente se la locazione costituisca o meno atto di straordinaria amministrazione, con le successive implicazioni (sussistenza del presupposto della necessita` o utilita` evidente, autoriz- zazione del giudice tutelare) previste dal 3o co. della norma trascritta.
Naturalmente, vi sono casi particolari in cui la rappresentanza del minore spetta ad un solo genitore (esercizio esclusivo della potesta` genitoriale da parte del genitore affidatario in caso di separazione coniugale o scioglimento del matrimonio; morte di uno dei genitori), nel qual caso, conseguentemente, il contratto di locazione xxxx` stipulato dal solo genitore titolare della rappresentanza.
Xxxxxxxxx, ancora, e` il caso del figlio naturale riconosciuto da entrambi i genitori, ai quali spetta congiuntamente la rappresentanza soltanto nel caso che siano conviventi (v. art. 317 bis c.c.).
Quanto alla categoria di incapaci costituita, da un lato, dai minori senza genitori esercenti la potesta` e, dall’altro, dagli interdetti, occorre dire che, ai sensi dell’art. 357 c.c.:
Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni
(art. 357 c.c.).
Ai sensi dell’art. 424 x.x., xxx, xx xxxxxxxxxxxx xxxxx xxxxxx xxx xxxxxx xx applicano alla tutela degli interdetti. Xxxxxx`, tanto il tutore del minore non in potestate, quanto il tutore dell’interdetto, sono assoggettati alla disposizione secondo cui:
Il tutore non puo` senza l’autorizzazione del giudice tutelare [...] 4) fare contratti di locazione d’immobili oltre il novennio o che in ogni caso si prolunghino oltre un anno dopo il raggiungimento della maggiore eta`
(art. 374, n. 4, c.c.).
Sarebbe pero` errato desumere dalla disposizione che il tutore possa senza autorizza- zione del giudice tutelare stipulare locazioni di durata inferiore al novennio. Si deve infatti considerare che la medesima norma stabilisce altres`ı che il tutore deve munirsi dell’autorizzazione del giudice tutelare, in generale, laddove intenda
assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mante- nimento del minore e per l’ordinaria amministrazione del suo patrimonio
(art. 374, n. 2, c.c.).
Si puo` dunque concludere che l’autorizzazione del giudice tutelare e` richiesta non soltanto per la stipulazione della locazione ultranovennale, ma anche per quella infranovennale, salvo che essa non sia diretta a sopperire alle spese necessarie per il mantenimento del minore, ovvero dell’interdetto, e per l’ordinaria amministrazio- ne del loro patrimonio.
Merita altres`ı sottolineare uno scarto tra la disciplina riservata ai minori in potestate
e non: i genitori non possono « contrarre [...] locazioni ultranovennali» (art. 320,
3.3.6 LA LOCAZIONE
3o co., c.c.), senza ulteriore distinzione, sicche´ la disposizione e` senz’altro da intendere riferita tanto alle locazioni mobiliari quanto a quelle immobiliari; il tutore, invece, non puo` « fare contratti di locazione d’immobili oltre il novennio» (art. 374, n. 4, c.c.): la differente disciplina non sembra sorretta da una evidente logica, ma, nondi- meno, tale e`. Resta ferma, in ogni caso, per la locazione mobiliare, l’applicazione dell’art. 374, n. 2, c.c.
3.3.6. Amministratori di beni ereditari
LEGISLAZIONE c.c. 460 ss.
BIBLIOGRAFIA Xx Xxxxxx e Xxxxxxxx de Courtelary 2000
Il soggetto al quale l’eredita` sia stata devoluta, ma che non l’abbia ancora adita, ossia il chiamato all’eredita`, oltre ad esercitare le azioni possessorie senza la materiale apprensione, puo` prima dell’accettazione « compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea», ivi compresa la vendita di taluni beni (art. 460 c.c., sul quale v., in generale, Xx Xxxxxx e Xxxxxxxx de Courtelary 2000, 187 ss.). Ma, a ben vedere, il chiamato all’eredita` puo` fare ben di piu`: egli puo` accettare l’eredita`, e cio` espressamente o tacitamente, ex art. 474 c.c. Questa seconda ipotesi
– l’accettazione tacita – ha luogo quando « il chiamato all’eredita` compie un atto che
presuppone necessariamente la sua volonta` di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualita` di erede» (art. 476 c.c.). Val quanto dire che egli potrebbe senza dubbio compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione, cos`ı come ogni altro atto, anche in mancanza della disposizione in tema di poteri del chiamato prima dell’accettazione, subendone come conseguenza l’acquisto dell’eredita`.
Si comprende, allora, che l’essenza dell’art. 460 c.c. sta nel consentire al chiamato all’eredita` di compiere gli atti indicati dalla norma senza per questo acquistare la qualita` di erede: egli, avvalendosi dell’art. 460 c.c., puo` compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea, nondimeno rimanendo nella posizione di chiamato all’eredita`, ancorche´ questi presuppongano necessariamente la sua vo- lonta` di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualita` di erede. Occorre quindi interrogarsi se la stipulazione di un contratto di locazione, da parte del locatore, possegga i requisiti di cui all’art. 476 c.c. e, cioe`, se importi accettazione tacita dell’eredita`, senza di che la stessa questione se l’amministrazione del chiamato possa estendersi alla locazione verrebbe a cadere.
Ebbene, sul punto non sembra possano – almeno in generale – nutrirsi dubbi. La locazione e` contratto normalmente stipulato, quale locatore,
da chi e` titolare di una posizione giuridica sul bene, che lo abilita` a farne oggetto di contrattazioni efficaci nei confronti di chiunque, ossia come locazione di beni propri e non di beni altrui
(Mirabelli 1972, 194).
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.6
Ed allora, e` senz’altro da ritenere che la stipulazione della locazione, dalla posizione del locatore, presenti entrambi i requisiti previsti dall’art. 476 c.c., giacche´ essa presuppone che il locatore abbia titolo a concedere il godimento del bene. Percio`,
qualsiasi locazione di un bene ereditario, e non soltanto una locazione ultranoven- nale o comunque eccedente l’ordinaria amministrazione, assume il valore di accetta- zione tacita dell’eredita`
(Mirabelli 1972, 194).
Se ciascuna locazione di un bene ereditario stipulata dal locatore costituisce manife- stazione tacita di accettazione dell’eredita`, non in ogni caso l’accettazione puo` essere esclusa in applicazione dell’art. 460 c.c. Il minimo comun denominatore degli atti di cui alla norma richiamata e` la finalita` di conservazione del patrimonio ereditario, finalita` che inerisce non soltanto agli atti conservativi in senso stretto, ma anche agli atti di vigilanza e di amministrazione temporanea. Si pone in evidenza, in proposito,
che l’amministrazione del chiamato, intesa in senso lato, articolandosi in atti speci- ficamente conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea, e` sempre pervasa da una finalita` conservativa, la quale trova la sua ragion d’essere, il suo riflesso, nell’urgenza. Proprio perche´ il tratto distintivo dell’amministrazione conser- vativa del chiamato prima dell’accettazione e` l’urgenza di provvedere, pena lo svili- mento del valore dell’eredita`, essa puo` estrinsecarsi [...] sia in atti di amministrazione ordinaria che di amministrazione straordinaria
(Xx Xxxxxx e Xxxxxxxx de Courtelary 2000, 196).
Sicche´, dovendosi guardare all’amministrazione temporanea del chiamato all’eredita` in un’ottica di mera conservazione del patrimonio ereditario, appare chiaro come la stipulazione di un contratto di locazione possa rientrarvi con difficolta`. Puo` cos`ı ammettersi « la rinnovazione o la conclusione di una locazione di breve durata» (Xx Xxxxxx e Xxxxxxxx de Courtelary 2000, 208) o, secondo un’impostazione non dissimile, puo` riconoscersi al chiamato il potere di stipulare il contratto di locazione, quale locatore, solo se esso consista
nella mera rinnovazione di un rapporto locativo corrente, venuto a scadenza, che si mantenga nell’ambito della durata consuetudinaria o legale, o, al piu`, nella stipula- zione di una locazione nuova, sopra un bene mobile od un immobile a produzione continuata o stagionale, che era solitamente data di locazione dal de cuius e per il quale non possa essere rinnovato il precedente rapporto, sempre che la durata non ecceda i termini suddetti
(Mirabelli 1972, 194).
Quanto al curatore dell’eredita` giacente (su cui v. Xx Xxxxxx e Xxxxxxxx de Cour- telary 2000, 415 ss.) occorre dire che egli, ai sensi dell’art. 529 c.c., e` tenuto ad amministrare l’eredita`. Diversa, pero`, e` la disciplina dell’amministrazione ordinaria e di quella straordinaria.
Con riguardo alla prima, si ritiene, in genere, che il curatore goda di un’ampia autonomia, poiche´, per l’amministrazione ordinaria non e` richiesta autorizzazione giudiziale. Cio` si desume con certezza, a contrario, dall’art. 782, 2o co., c.p.c.,
3.3.6 LA LOCAZIONE
secondo il quale gli atti del curatore che eccedono l’ordinaria amministrazione debbono essere autorizzati dal giudice, il che sta a significare che quelli di ammini- strazione ordinaria non devono essere preventivamente autorizzati.
Percio`, il curatore puo` senz’altro stipulare locazioni, purche´ non si tratti di locazioni immobiliari ultranovennali. Quanto a quelle infranovennali, rimane ferma la que- stione, gia` esaminata, se esse possano comunque essere, secondo i casi, ricondotte all’area della straordinaria amministrazione.
Le locazioni di straordinaria amministrazione, tra le quali quelle ultranovennali,
richiedono l’autorizzazione di cui al citato art. 782, 2o co., c.p.c., da parte del Tribunale in composizione monocratica. E` infatti da ritenere che il Tribunale in
composizione collegiale debba autorizzare la sola vendita immobiliare.
Brevi osservazioni meritano di essere compiute con riguardo alla figura dell’esecutore testamentario (su cui v. Xx Xxxxxx e Xxxxxxxx de Courtelary 2000, 561 ss.). Questi puo` essere integralmente privato dell’amministrazione della massa ereditaria, come si desume dalla « contraria volonta` del testatore» prevista nella disposizione che recita:
L’esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volonta` del defunto.
A tal fine, salvo contraria volonta` del testatore, egli deve amministrare la massa ereditaria, prendendo possesso dei beni che ne fanno parte
(art. 703, 1o e 2o co., c.c.).
In tal caso, evidentemente, l’attivita` dell’esecutore testamentario si risolve nel con- trollo e nella vigilanza ab externo sull’osservanza della volonta` testamentaria: dunque non e` ipotizzabile la stipulazione da parte sua, quale locatore, di un contratto di locazione.
Altrimenti, nel delimitare l’ambito dei poteri di amministrazione dell’esecutore te- stamentario – ulteriori rispetto all’adempimento dei legati ed al pagamento dei debiti ereditari – e` senz’altro esatto dire che essi sono affidati all’esecutore
in funzione della conservazione quantitativa e qualitativa della massa ereditaria
(Talamanca 1965, 482).
Ben potra` l’esecutore, quindi, compiere tutto cio` che e` necessario alla custodia dei beni ereditari, alla riscossione dei frutti ed alla conservazione dei redditi. Nel rispetto dei limiti indicati egli potra`, in generale, porre in essere ogni atto che si renda necessario, anche se si tratti di un atto di straordinaria amministrazione, che, tutta- via, comportera` per lui l’obbligo di munirsi dell’autorizzazione giudiziaria, ancorche´ espressamente prevista dall’art. 703, 4o co., c.c., per il solo caso dell’alienazione.
Percio`, ricondotta l’essenza dell’amministrazione delle esecutore testamentario alla conservazione della massa volta allo scopo di realizzare l’esatto adempimento della volonta` testamentaria, non resta che riconoscere modesto rilievo alla stipulazione del contratto di locazione, da ammettersi entro limiti sostanzialmente analoghi a quelli menzionati in riferimento all’amministrazione del chiamato all’eredita`.
Nel caso dell’accettazione dell’eredita` con beneficio di inventario l’amministrazione del patrimonio relitto compete all’erede beneficiato. Ed egli – e` importante sottoli-
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.6
neare – la conduce in prima persona, sotto il dominio dei « principi di libera scelta ed economicita`» (Ferri 1997, 398). Di per se´ decisiva, al riguardo, e` l’osservazione che egli e` vero e proprio erede e, dunque, e` il dominus dei beni ereditari, sicche´ – si e` detto – come tale gli spetta
la piena legittimazione a porre validamente in essere qualsiasi atto di amministrazio- ne in ordine al patrimonio medesimo, non importa se si tratti o meno di ammini- strazione meramente conservativa, di ordinaria o straordinaria amministrazione, di atti materiali o di disposizione giuridica
(Xxxxxx e Burdese 1977, 457).
Tuttavia, merce´ la separazione dei patrimoni del defunto e dell’erede, in cui si compendia l’essenza dell’accettazione beneficiata, i beni ereditari rimangono desti- nati al soddisfacimento dei creditori ereditari e legatari, soddisfacimento al quale e` preordinata la liquidazione, che costituisce il fondamentale aspetto dinamico del- l’istituto:
L’attivita` dell’erede, in ordine ai beni acquistati con la successione, subisce una prima limitazione, in quanto egli non puo`, senza pregiudicare la persistenza del beneficio, godere e disporre dei beni, non puo`, cioe`, imprimere a questi una destinazione arbitraria; ma deve curare che sia rispettata quella (di garanzia dei creditori del defunto) che, con l’accettazione beneficiata, egli stesso ha contribuito a consolidare (Xxxxxx 1969, 146).
E`, dunque, quella dell’erede beneficiato, un’attivita` amministrativa tutta strumentale alla liquidazione – ossia alla monetizzazione del patrimonio ed alla soddisfazione delle passivita` ereditarie –, senza, pero`, che ne sia escluso l’aspetto conservativo. Ed anzi, la liquidazione implica l’amministrazione conservativa, quale componente ac- cessoria, nel senso che, per liquidare, l’erede « deve conservare ai beni il proprio valore» (Cicu 1961, 283). L’amministrazione dell’erede beneficiato – si e` in con- clusione affermato – « non puo` che avere carattere prevalente di liquidazione» (Xxxxxx 1969, 146).
Sicche´, guardando alla locazione stipulata da parte dell’erede beneficiato, non v’e` dubbio che egli possa locare beni ereditari, occorrendo di volta in volta verificare, in concreto, la compatibilita` della locazione con la finalita` liquidativa propria dell’ac- cettazione beneficiata.
Ma, dall’incompatibilita` tra l’una e l’altra potra` semmai generarsi responsabilita` dell’erede beneficiato, ex art. 491 c.c., senza pero` che la locazione ne venga in alcun modo compromessa quanto a validita` ed efficacia.
Per quanto attiene, poi, alle locazioni ultranovennali – o comunque tali da eccedere l’amministrazione ordinaria – sorge il quesito se esse siano assoggettate all’autorizza- zione giudiziale prevista dall’art. 493, 1o co., c.c., secondo cui:
L’erede decade dal beneficio d’inventario, se aliena o sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari, o transige relativamente a questi beni senza l’autorizzazione giudiziaria e senza osservare le forme prescritte dal codice di procedura civile
(art. 493, 1o co., c.c.).
3.3.7 LA LOCAZIONE
Si confrontano, in proposito, un’interpretazione restrittiva della norma ed una esten- siva, che giunge a ricomprendere nel suo ambito di applicabilita` ogni atto di straor- dinaria amministrazione, come tale idoneo a pregiudicare la consistenza del patri- monio relitto e, xxxxxx`, a nuocere alle ragioni dei creditori e legatari. Quest’ultima soluzione e` preferibile (v. Xx Xxxxxx e Xxxxxxxx de Courtelary 2000, 297 ss.; contra, con specifico riguardo alla locazione, Xxxxxxxxx 1972, 196, secondo il quale la locazione non sarebbe idonea a pregiudicare le ragioni creditorie), ma cio` che conta in questa sede sottolineare e` che, comunque, la locazione stipulata dall’erede bene- ficiato, con o senza autorizzazione, e` comunque pienamente valida ed efficace, po- tendo la mancanza di autorizzazione determinare, ai sensi del citato art. 493 c.c., esclusivamente la decadenza dal beneficio.
3.3.7. Curatore fallimentare
LEGISLAZIONE l. fall. 31, 36
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972
La locazione dei beni del fallito rientra certamente nell’attivita` di amministrazione affidata al curatore fallimentare, alla stregua della disposizione secondo cui:
Il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato
(art. 31, 1o co., l. fall.).
E`, poi, da osservare che art. 35 l. fall. prevede una speciale autorizzazione da parte del giudice delegato o del Tribunale soltanto in caso di riduzioni di crediti, transazioni, compromessi, rinunzie alle liti, ricognizioni di diritti di terzi, cancellazione di ipote- che, restituzione di pegni, svincolo di cauzioni e accettazioni di eredita` e donazioni: dunque, nessuna menzione e` fatta della locazione, neppure se ultranovennale.
Contro gli atti d’amministrazione del curatore il fallito e ogni altro interessato possono soltanto reclamare al giudice delegato, che decide con decreto motivato, ai sensi del successivo art. 36, 1o co., l. fall.
In tale quadro normativo, e` stato affermato che:
La legge non pone limitazioni al curatore del fallimento in materia di locazione, s`ı che egli e` abilitato a stipulare anche una locazione ultranovennale, se questa stipu- lazione si presenti utile per l’attuazione della procedura concorsuale. Parimenti rientra nell’amministrazione del curatore di prendere in locazione cose che occorrano per la conservazione dei beni costituenti la massa attiva (magazzini, attrezzi, ecc.); la stipulazione di tali locazioni e`, pertanto, pienamente valida nei confronti di terzi contraenti e solo puo` recare responsabilita` del curatore nei confronti della massa dei creditori, qualora siano poste in essere in violazione del generale obbligo di diligenza (Mirabelli 1972, 197).
L’opinione, per il resto in tutto condivisibile, non sembra esatta nella parte in cui ammette che il curatore fallimentare possa stipulare senza autorizzazione locazioni
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.8
ultranovennali, dal momento che l’art. 35 l. fall., nell’interpretazione affermatasi, appare da riferire alla generalita` degli atti di amministrazione straordinaria, idonei, cioe` a recare pregiudizio alla consistenza patrimoniale della massa: quale e` da consi- derare, appunto, la locazione eccedente il novennio (v., ad esempio, per la sottra- zione all’autorizzazione ex art. 35 l. fall. della scelta del curatore tra l’esecuzione e lo scioglimento del contratto preliminare di compravendita, in quanto atto di ammini- strazione ordinaria, Cass., Sez. U., 14 aprile 1999, n. 239, AC, 1999, 698; GC,
1999, I, 1572; CorG, 1999, 1107; F, 1999, 1247; DF, 1999, II, 678; Cass. 27 luglio
1993, n. 8394, F, 1994, 134).
Sicche´, la stipulazione della locazione ultranovennale da parte del curatore fallimen- tare e` da ritenere assoggettata all’autorizzazione prevista dal citato art. 35 l. fall., quale atto di straordinaria amministrazione (cos`ı, del resto, xxxx Xxxxxxxxxxxx 1947, 212). In tal senso, nella contermine ipotesi dell’affitto (sulla quale v. pure Trib. Modica 1o luglio 1982, GC, 1983, I, 1848), e` stato percio` affermato che:
Il contratto d’affitto di un fondo rustico stipulato dal curatore senza la preventiva autorizzazione del giudice delegato (nella specie, trattandosi di contratto avente una durata minima di quindici anni ex art. 17 l. 11 febbraio 1971, n. 11, il negozio posto in essere dal curatore eccedeva la normale onerosita`) e` annullabile
(Cass. 12 ottobre 1981, n. 5334, GI, 1982, I, 1, 652; DF, 1982, II, 33; F, 1982, 66).
Con l’ulteriore conseguenza che la mancanza dell’autorizzazione importa – non gia` la nullita` del negozio ma – l’annullabilita` dell’atto, la quale puo` essere fatta vale- re unicamente dall’amministrazione fallimentare, ai sensi dell’art. 1441 c.c., dal momento che la norma e` posta a tutela del suo interesse (Xxxx. 12 ottobre 1981, n. 5334, GI, 1982, I, 1, 652; DF, 1982, II, 33; F, 1982, 66).
Viceversa, qualora il curatore fallimentare non partecipi alla stipulazione del con- tratto di locazione ultranovennale, ma vi subentri in applicazione dell’art. 80 l. fall., cio` non esclude l’esperimento dell’azione revocatoria fallimentare:
La circostanza che il curatore subentri nel rapporto di locazione ultranovennale stipulato dal fallito in epoca antecedente la dichiarazione di fallimento, non esclude che, ove ne ricorrano le condizioni, il contratto possa essere revocato, ai sensi dell’art. 67 l. fall., atteso che l’esercizio dell’azione revocatoria vede il curatore intervenire come terzo, per elidere il pregiudizio recato al patrimonio del fallito da atti da questi compiuti entro l’anno dalla dichiarazione di fallimento
(Cass. 4 maggio 1996, n. 4143, F, 1997, 26).
Infatti, il contratto di locazione ultranovennale configura un atto di straordinaria amministrazione idoneo di per se´ ad alterare in senso peggiorativo la garanzia pa- trimoniale offerta dal locatore ai creditori e pertanto soggetto all’azione revocatoria.
3.3.8. Debitore esecutato e custode
LEGISLAZIONE c.c. 559, 560
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972
3.3.8 LA LOCAZIONE
Una disciplina particolare, quanto alla concessione del bene in locazione, e` dettata per il caso che l’immobile sia sottoposto ad esecuzione forzata. In proposito occorre anzitutto rammentare la disciplina dettata dall’art. 559 c.p.c., il quale, sotto la rubrica « custodia dei beni pignorati», stabilisce che:
Col pignoramento il debitore e` costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, comprese le pertinenze, e i frutti senza diritto a compenso.
Su istanza del creditore pignorante o di un creditore intervenuto, il giudice del- l’esecuzione, sentito il debitore, puo` nominare custode una persona diversa dallo stesso debitore. Il giudice provvede a nominare una persona diversa quando l’immobile non sia occupato dal debitore.
Il giudice provvede alla sostituzione del custode in caso di inosservanza degli obblighi su di lui incombenti.
Il giudice, se custode dei beni pignorati e` il debitore e salvo che per la particolare natura degli stessi ritenga che la sostituzione non abbia utilita`, dispone, al momento in cui pronuncia l’ordinanza con cui e` autorizzata la vendita o disposta la delega delle relative operazioni, che custode dei beni medesimi sia la persona incaricata delle dette operazioni o l’istituto di cui al primo comma dell’art. 534.
Qualora tale istituto non sia disponibile o debba essere sostituito, e` nominato custode altro soggetto.
I provvedimenti di cui ai commi che precedono sono pronunciati con ordinanza non impugnabile
(art. 559 c.p.c.).
La norma che precede, in buona parte derivante da una novella introdotta con d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni in l. 14 maggio 2005, n. 80, si caratterizza per aver notevolmente limitato a regola previgente che voleva normal- mente affidata la custodia del bene pignorato al debitore esecutato, a meno che non venisse formulata istanza del creditore pignorante per la nomina di una persona diversa. Secondo l’attuale previsione, infatti, la custodia e` affidata a persona diversa dal debitore, in ogni caso, quando l’immobile non sia occupato dal debitore e, di regola, al momento in cui e` pronunciata l’ordinanza di vendita.
In tale contesto, il credito concernente il canone di locazione dovuto in dipendenza della stipulazione di una locazione antecedente al pignoramento spetta al custode, quantunque la figura di questi possa coincidere con quella del debitore esecutato:
Dopo il pignoramento di un immobile che era stato gia` dato in locazione, il locatore- proprietario perde la legittimazione sostanziale sia a richiedere al conduttore il pa- gamento dei canoni sia ad accettarli, spettando tale legittimazione in via esclusiva al custode, fino al decreto di trasferimento del bene, per effetto del quale la proprieta` del bene e dei frutti si trasferisce all’aggiudicatario. Pertanto qualora il locatore venga nominato custode dell’immobile pignorato, mutando il titolo del possesso del bene, puo` richiedere il pagamento dei canoni solo nell’esercizio del potere di amministra- zione e gestione del bene. A tal fine, intrapresa dal locatore, dopo il pignoramento, azione per il pagamento dei canoni, per economia dei giudizi e in forza del principio di conservazione degli atti processuali, gli e` consentito dichiarare in sede di appello, modificando la veste assunta, di agire in qualita` di custode, ufficio comunicato al conduttore all’atto della notifica del pignoramento contenente la relativa nomina.
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.8
Per l’esercizio di tale potere processuale non e` necessaria l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, trattandosi di esplicazione di compiti di ordinaria amministrazione nella gestione dell’immobile pignorato, ai cui frutti si estende il pignoramento. (Cass. 3 ottobre 2005, n. 19323, MGI, 2009).
Con riguardo ai canoni scaduti prima del pignoramento, si trova invece chiarito che, successivamente ad esso, il proprietario-locatore del bene pignorato, il quale non puo` piu` continuare a riscuotere il corrispettivo della locazione del bene stesso (in virtu` del disposto di cui agli artt. 2912 c.c., 65 e 560 c.p.c.), e` legittimato ad agire per conseguire il credito costituito dai canoni rimasti in tutto o in parte non pagati fino alla data del pignoramento. Infatti,
a tali canoni – che, ancorche´ afferenti al bene, non costituiscono frutti del bene, bens`ı crediti del locatore pignorato – non puo` applicarsi il disposto dell’art. 2912 c.c. sull’estensione del pignoramento, disponendo il creditore del locatore, relativamente a tali crediti, di altri mezzi di tutela, quale l’azione surrogatoria
(Cass., sez. III, 16 febbraio 1996, n. 1193, RLC, 1996, 342).
Il subentro del custode nel rapporto, poi, fa s`ı che gli appartenga la legittimazione ad intimare disdetta:
Anche se la locazione dell’immobile pignorato e` stata stipulata prima del pignora- mento, la rinnovazione tacita della medesima richiede l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in forza dell’art. 560, comma 2, c.p.c.; peraltro, il custode giudiziario deve assicurare la conservazione e la fruttuosa gestione della cosa pignorata previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, sicche´ e` legittimato ad inviare la disdetta e a promuovere la procedura di rilascio per finita locazione. La norma citata, retta- mente interpretata nel senso esposto, non suscita dubbi di incostituzionalita` per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto la peculiare funzione del pignoramento nel- l’ambito del processo di esecuzione giustifica la particolarita` della sua disciplina in cui si inquadra in modo armonico e coerente il suddetto comma 2 dell’art. 560 c.p.c. (Cass. 13 dicembre 2007, n. 26238, FI, 2009, I, 3022).
Secondo l’opinione manifestata da un giudice di merito, poi, l’acquirente del bene substato potrebbe intimare disdetta anche prima del trasferimento del bene, sempre che tale trasferimento segua poi effettivamente (Trib. Milano 13 maggio 1994, ALC, 1995, 159). Della qual cosa puo` dubitarsi, dal momento che la disdetta e` atto al quale e` legittimata la parte contrattuale attuale.
Merita ancora rammentare che i poteri del custode in ordine alla percezione del canone, in caso di estinzione della procedura esecutiva, vengono meno ipso iure :
Il decreto con il quale il giudice dell’esecuzione dispone che i canoni di locazione dell’immobile pignorato siano versati al custode del bene, essendo emesso in funzio- ne strumentale alla procedura coattiva, spiega i suoi effetti soltanto nell’ambito del processo esecutivo in cui l’ausiliare e` stato nominato, dovendosi escludere ogni ultrattivita` del suddetto decreto nel caso in cui la procedura si estingua. Pertanto il custode del bene gia` pignorato, che abbia acquistato l’immobile dal debitore esecutato, non puo` nella veste di nuovo proprietario valersi di tale decreto contro il conduttore dell’immobile, relativamente ai canoni dovuti per il periodo corrispon-
3.3.8 LA LOCAZIONE
xxxxx alla procedura esecutiva estinta, ne´ a tal fine puo` invocare il fenomeno suc- cessorio tra le due distinte qualita` soggettive
(Cass. 25 giugno 2002, n. 9237, MGI, 2002).
Dopodiche´, l’art. 560 c.p.c. – cui rinvia l’art. 676 c.p.c. in tema di sequestro, e che pare applicabile anche all’amministratore giudiziario nominato nell’espropriazione immobiliare, ex art. 592 c.p.c. –, sotto la rubrica « modo della custodia», dopo aver posto a carico del debitore e del custode l’obbligo di rendiconto di cui all’art. 593 c.p.c., stabilisce che
Ad essi e` fatto divieto di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono auto- rizzati dal giudice dell’esecuzione
(art. 560, 2o co., c.p.c.).
Nei menzionati casi, dunque, la locazione appare inclusa nell’amministrazione quale che ne sia la durata, mancando qualsiasi riferimento all’amministrazione ordinaria (Mirabelli 1972, 198). Il debitore esecutato ed il custode giudiziario – il primo quale custode ex lege, ex art. 559, 1o co., c.c., quanto non sia stato nominato altro custode – hanno dunque il potere di stipulare contratti di locazione per i beni tenuti in amministrazione a garanzia degli interessi dei creditori previa autorizzazione del giudice (v., tuttavia Pret. Napoli 16 ottobre 1989, XxXxxxX, 1989, 256, il quale ha affermato la possibilita` che, anche al di fuori dell’autorizzazione del giudice, la stipulazione possa avvenire attraverso facta concludentia ).
Qualora la locazione sia stata stipulata in mancanza dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, il contratto non e` invalido, bens`ı inopponibile ai creditori e all’as- segnatario. In un caso in cui il locatore, proprietario esecutato, aveva proposto azione in proprio e non quale custode per il pagamento dei canoni di una locazione
di un bene pignorato stipulata senza autorizzazione, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata, con la quale si era ritenuta la parte attrice priva di legitti- mazione:
La locazione di un bene sottoposto a pignoramento stipulata senza l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in violazione dell’art. 560 cod. proc. civ., non comporta l’invalidita` del contratto ma solo la sua inopponibilita` ai creditori e all’assegnatario, precisandosi che il contratto cos`ı concluso non pertiene al locatore – proprietario esecutato, ma al locatore – custode, e che le azioni da esso scaturenti devono essere esercitate dal custode.
(Cass. 14 luglio 2009, n. 16375, MGI, 2009).
La pronuncia e` cos`ı sinteticamente motivata:
Come ha correttamente affermato l’impugnata sentenza, anche se la locazione di un bene sottoposto a pignoramento senza l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in violazione dell’art. 560 c.p.c., non comporta l’invalidita` del contratto ma solo la sua inopponibilita` ai creditori ed all’assegnatario (Cass., 13 luglio 1999, n. 7422; Cass., 10 ottobre 1994, n. 8267), il contratto cos`ı concluso non pertiene al locatore- proprietario esecutato, ma al locatore-custode e le azioni che da esso scaturiscono
– nella specie per il pagamento dei canoni – devono essere esercitate, anche in caso di
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.8
locazione non autorizzata, dal custode. Nel caso in esame la C., che e` stata nominata custode nel corso dell’espropriazione, ha agito in proprio, non quale custode, ed in proprio ha chiesto il pagamento dei canoni. Ne consegue che ella stessa, rispetto all’azione proposta, era priva di legittimazione sostanziale e processuale. La C. avreb- be potuto intimare lo sfratto come custode ma con l’autorizzazione del Giudice che pero` manca. Ha invece intimato lo sfratto in proprio mentre, senza la suddetta autorizzazione non lo poteva fare. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato
(Cass. 14 luglio 2009, n. 16375, MGI, 2009).
Occorre quindi ricordare che l’art. 2923 c.c. esordisce disponendo che:
Le locazioni consentite da chi ha subito l’espropriazione sono opponibili all’acqui- rente se hanno data certa anteriore al pignoramento, salvo che, trattandosi di beni mobili, l’acquirente ne abbia conseguito il possesso in buona fede
(art. 2923, 1o co., c.c.).
Sorge dunque il problema del rapporto tra gli artt. 2923, 1o co., c.c. e 560, 2o co.,
c.p.c. Secondo la Suprema Corte l’art. 2923 c.c. si riferisce alle locazioni aventi data certa anteriore al pignoramento, per dirle opponibili all’acquirente in executivis, ma e` evidente che la norma contiene in se´ anche l’opposta proposizione normativa, se- condo cui le locazioni posteriori al pignoramento, o comunque non aventi data certa anteriore, non sono opponibili a tale soggetto.
Resta pero` da verificare se l’art. 560, 2o co., c.p.c. – secondo cui il custode della cosa pignorata non puo` concederla in locazione se non con l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione – sia integrativo di tale disciplina e si ponga sul suo stesso piano logico-sistematico, introducendo una deroga al suo interno, oppure se le due norme si collochino su diversi piani logico-sistematici.
Secondo la Suprema Corte sono astrattamente possibili due soluzioni:
(a) l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 560 c.p.c., ha l’ef- fetto di determinare l’opponibilita` all’acquirente in executivis di quelle locazioni che, stipulate dopo il pignoramento, sarebbero altrimenti a lui inopponibili;
(b) la disciplina sostanziale dell’opponibilita` della locazione e` contenuta nel solo art. 2923 c.c., mentre l’art. 560 c.p.c. prevede semplicemente una modalita` di esercizio della custodia del bene a fini meramente processuali e, quindi, con effetti limitati, anche temporalmente, al processo.
Quest’ultima la soluzione sostenuta dalla giurisprudenza di legittimita`, secondo la quale e` da escludere che il semplice intervento autorizzativo del giudice dell’esecu- zione, il cui compito consiste essenzialmente nel garantire il buon andamento della procedura, possa sovvertire il regime sostanziale dettato dall’art. 2923 c.c.
Ed allora, la locazione stipulata dal custode ai sensi dell’art. 560, 2o co., c.p.c. – o dal curatore del fallimento in virtu` dell’art. 105 l. fall. – si inquadra nel processo e non travalica i limiti temporali della custodia: in definitiva, la locazione viene a cessare con la vendita forzata (Cass., Sez. U., 20 gennaio 0000, x. 000, XX, 0000, X, 000;
ALC, 1994, 289; CorG, 1994, 735; F, 1994, 690; FI, 1994, I, 2818; DF, 1994, II,
1098; RDA, 1994, II, 309; Cass. 12 dicembre 1994, n. 10599, GC, 1995, I, 1254;
3.3.8 LA LOCAZIONE
DGA, 1995, 488; XXX, 0000, XX, 000; per la motivazione della sentenza delle Sezioni Unite ed ulteriori rilievi si rinvia al § 8.62).
Percio` – si e` ulteriormente chiarito – la clausola con la quale il curatore ed il conduttore espressamente pattuiscano la risoluzione della locazione per effetto della vendita forzata del bene e` pienamente valida, in quanto esplicita un limite di durata connaturato al contratto ed alle sue peculiari finalita`, che lo sottraggono all’ambito di applicabilita` dell’art. 7 l. eq. can., che sanziona di nullita` la clausola di risoluzione del contratto di locazione in caso di alienazione del bene locato.
La questione del rapporto tra gli artt. 2923 c.c. e 560 c.p.c. ha rilievo, altres`ı, ai fini della valutazione dell’opponibilita` all’aggiudicatario della rinnovazione tacita della locazione per mancanza di disdetta.
Una corte di merito ha ritenuto che, nell’ipotesi di omessa comunicazione della disdetta della locazione di un immobile assoggettato a pignoramento nel termine previsto dall’art. 3 l. eq. can. non sia configurabile rinnovazione tacita opponibile all’aggiudicatario, in mancanza di autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in quan- to tale comportamento omissivo – l’omessa disdetta – ha contenuto negoziale e non puo` essere produttivo di effetti giuridici dopo la trascrizione del pignoramento, se non con tale autorizzazione:
Il rinvio contenuto nell’art. 2923, 4o co., x.x., xxx xx xxxxxxx xx xxxxxxxxxx xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxxx della cosa locata, alla durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato, sia limitato al solo termine di efficacia posto dall’art. 1574 c.c., ovvero a quello introdotto dall’art. 1 della legge n. 392 del 1978, e non alla complessiva disciplina delle locazioni a tempo indeterminato onde ogni ulteriore sviluppo del rapporto, in quanto estraneo alla salvezza contenuta nella norma citata sarebbe ex se inopponibile all’acquirente. Ma anche laddove dovesse ritenersi efficace la ulteriore rinnovazione del rapporto che l’art. 3 della legge n. 392 del 1978 riconnette al comportamento concludente del locatore tale vicenda, in quanto successiva al pignoramento, sarebbe comunque inopponibile all’acquirente per effetto del divieto posto dall’art. 560 c.p.c. e piu` in generale, per i limiti intrinseci di efficacia individuati dalle sezioni unite nella citata sentenza n. 459 del 1994. Ne´ possono ex converso esser recuperate esigenze di tutela del terzo contraente atteso che come piu` volte evidenziato dalla S.C., il conduttore che non sia stato reso edotto della espropriazione e venga quindi estromesso dall’aggiudicatario ha comunque azione di risarcimento dei danni nei confronti del locatore
(App. Napoli 30 gennaio 1997, GC, 1997, I, 1940; ALC, 1997, 1032).
La pronuncia – seguendo la linea tracciata da Xxxx. 5 dicembre 1970, n. 2576, GI, 1972, I, 1, 1360; DF, 1971, II, 194; FI, 1971, I, 81; GC, 1970, I, 1717, riguardo
alla quale si rinvia alle considerazioni critiche svolte al § 9.9 – e` stata confermata
dalla Suprema Corte, la quale ha osservato che:
La rinnovazione tacita della locazione integra un nuovo negozio giuridico bilaterale, sicche´, ove l’immobile in questione sia pignorato, si richiede l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in forza dell’art. 560 c.p.c.
(Cass. 25 febbraio 1999, n. 1639, GI, 1999, I, 1, 2019).
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.8
Una ulteriore distinzione e` stata introdotta dalla Suprema Corte con riguardo al caso del diniego di rinnovazione alla prima scadenza di cui agli artt. 28 e 29 l. eq. can. Secondo la Suprema Corte, in particolare, il principio dell’inopponibilita` della rin- novazione tacita desunto dall’art. 560 c.p.c. troverebbe applicazione in caso di rinnovazione per effetto di mancata disdetta pura e semplice, alle scadenze contrat- tuali di una locazione non abitativa – ma analogo discorso potrebbe farsi per le locazioni abitative in relazione all’art. 3 l. loc. ab. – successive alla prima: non si applicherebbe, invece, in caso di rinnovazione dovuta a mancato diniego:
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull’equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore, della facolta` di diniego della rinnovazione stessa (artt. 28 e 29 della legge 27 luglio 1978, n. 392) costituisce un effetto automatico scaturente direttamente dalla legge e non da una manifesta- zione di volonta` negoziale. Ne consegue che, in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, siffatta rinnovazione non necessita dell’auto- rizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dal secondo comma dell’art. 560 c.p.c. (Cass. 7 maggio 2009, n. 10498, FI, 2009, I, 3021).
La pronuncia – condivisibile nella parte in cui ammette l’opponibilita` della rinno- vazione tacita dovuta a mancanza di diniego di rinnovazione, ma non in quella in cui conferma l’inopponibilita` della rinnovazione per difetto di mancanza di disdetta pura e semplice – e` sostenuta dagli argomenti che seguono:
Con il primo motivo la ricorrente – nel lamentare la violazione della legge n. 392 del 1978, art. 28, nonche´ dell’art. 1597 c.c. – sostiene che, per analogia, andrebbe applicata la disciplina dell’art. 1597 c.c. a quella dell’art. 28 cit., con la conseguenza che nessuna rilevanza, ai fini della rinnovazione del contratto, avrebbe la disdetta semplice rispetto a quella motivata: l’effetto sarebbe sempre il medesimo, ossia la rinnovazione del contratto. Inoltre, la disdetta semplice o motivata sarebbe sempre espressione di una scelta del locatore che, manifestando la sua volonta` per iscritto al conduttore, impedisce la rinnovazione del contratto. Il secondo motivo censura la contraddittorieta` della motivazione nel punto in cui la sentenza avrebbe erronea- mente data per pacifica la non sussistenza alla prima scadenza del rapporto contrat- tuale dei presupposti di cui alla legge n. 392 del 1978, art. 29; presupposti il cui accertamento andava effettuato con riferimento a 18 mesi prima della prima sca- denza contrattuale. Il terzo motivo denunzia la violazione dell’art. 560 c.p.c., insi- stendo sulla considerazione che la decisione di non inviare il diniego alla rinnova- zione del contratto costituisce una volontaria scelta del locatore che, xxxxxx´ opponibile al terzo aggiudicatario, deve essere integrata dall’autorizzazione del giu- dice dell’esecuzione. Il quarto motivo censura la sentenza per avere omesso di valutare il provvedimento con il quale il G.E., in data 21 marzo 2002, aveva espresso parere negativo a qualsiasi rinnovazione tacita del contratto senza sua specifica auto- rizzazione [...] I motivi dal primo al quarto, che possono essere congiuntamente trattati, sono tutti infondati. La legge sull’equo canone costituisce un microsistema del tutto autonomo rispetto al sistema generale sulle locazioni disciplinato dal codice civile ed ammette l’integrazione delle disposizioni normative di quest’ultimo solo laddove la materia non sia specificamente disciplinata. La stessa legge, all’art. 28,
3.3.8 LA LOCAZIONE
stabilisce che per le locazioni di immobili adibiti ad attivita` alberghiera (come quello di specie) « il contratto si rinnova tacitamente [...] di nove anni in nove anni; tale rinnovazione non ha luogo se sopravviene disdetta [...] Alla prima scadenza con- trattuale [...] il locatore puo` esercitare la facolta` di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui all’art. 29 [...] ». Quest’ultimo articolo, al secondo comma, prevede che « per le locazioni di immobili adibiti all’esercizio di albergo, pensione o locanda, anche se ammobiliati, il locatore puo` negare la rinnovazione del contratto nelle ipotesi previste dalla L. 2 marzo 1963, n. 191, art. 7, modificato dal D.L. 21 giugno 1967, n. 460, art. 4 bis, convertito, con modificazioni, nella L. 28 luglio 1967, n. 628, qualora l’immobile sia oggetto di intervento sulla base di un pro- gramma comunale pluriennale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti. Nei casi suddetti il possesso della prescritta licenza o concessione e` condizione per l’azione di rilascio [...] Il locatore puo` altres`ı negare la rinnovazione se intende esercitare personalmente nell’immobile o farvi esercitare dal coniuge o da parenti entro il secondo grado in linea retta la medesima attivita` del conduttore, osservate le dispo- sizioni di cui alla L. 2 marzo 1963, n. 191, art. 5, modificato dal D.L. 27 giugno 1967, n. 460, art. 4 bis, convertito, con modificazioni, nella L. 28 luglio 1967,
n. 628 ». La disposizione, dunque, configura la rinnovazione tacita del contratto, alla prima scadenza (della quale si tratta nella fattispecie in esame), in maniera del tutto speciale ed autonoma rispetto alla rinnovazione tacita del contratto di cui all’art. 1597 c.c., il quale ultimo fa riferimento alla « fine della locazione per lo spirare del termine» di cui al precedente art. 1596. Rinnovazione che, per l’ipotesi in esame, si atteggia, nel caso in cui il locatore non si trovi nelle condizioni di cui dell’art. 29, comma 2 (o, pur trovandovisi, non le comunichi al conduttore), come mero effetto automatico in assenza di disdetta. Diversamente dall’ipotesi di successive scadenze contrattuali, rispetto alle quali l’esercizio della disdetta, ad opera del locatore, e` svincolato da qualsiasi presupposto o condizione. Effetto automatico ex lege, dunque, che esclude l’applicabilita` del disposto dell’art. 560 c.p.c., il quale, nel far divieto al debitore ed al terzo nominato custode « di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice delegato» fa esplicitamente riferimento ad un atto negoziale di volonta` che, nella fattispecie trattata, non ricorre. Assolutamente incon- ferente e` la giurisprudenza citata dalla ricorrente, la quale s’e` limitata alla mera lettura delle massime estratte dai precedenti evocati. Infatti, Cass. n. 2576 del 1970 non e` neppure da considerare in quanto addirittura precedente all’entrata in vigore della legge sull’equo canone. Cass. n. 8800 del 1998 tratta una fattispecie relativa a contratto di locazione stipulato prima dell’entrata in vigore della legge e tacitamente rinnovatosi alla scadenza del periodo di proroga disposto dalla disciplina transitoria.
Cass. n. 15297 del 2002 contiene un obiter (« E` ben vero che, in linea di principio
[...] ») che serve solo ad assecondare la petizione di principio affermata dal ricorrente ma che non vale a ritenere fondato il motivo di ricorso. Infine, la fattispecie trattata da Cass. n. 26238 del 2007 riguarda un’ipotesi di contratto pervenuto alla sua naturale scadenza e non di « prima scadenza contrattuale». In conclusione puo` essere affermato il seguente principio: in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione disciplinati dalla legge sull’equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facolta` di diniego della rinnovazione stessa (della legge n. 1392 del 1978, artt. 28 e 29) costituisce un effetto automatico scaturente
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.8
direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volonta` negoziale. Ne consegue che siffatta rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice del- l’esecuzione, prevista dell’art. 560 c.p.c., comma 2
(Cass. 7 maggio 2009, n. 10498, FI, 2009, I, 3021).
La soluzione, gia` prospettata da Trib. Roma 10 aprile 2002, GRom, 2002, 237, mostra solo in parte, come si accennava, consapevolezza dei termini del problema, giacche´ intende come la rinnovazione tacita disciplinata dal codice civile sia altra cosa rispetto alla rinnovazione tacita per mancanza diniego di rinnovazione alla prima scadenza prevista dalla legislazione speciale locatizia (artt. 28 e 29. l. eq. can.; artt. 2 e 3 l. loc. ab.): ma non intende, invece, come la medesima profonda differenza intercorra anche tra la rinnovazione tacita nella prospettiva codicistica e nella legi- slazione speciale. A ben vedere, infatti, l’affermazione secondo cui « la rinnovazione tacita della locazione integra il perfezionarsi di un nuovo negozio giuridico bilaterale» (questa l’affermazione formulata da Xxxx. 25 febbraio 1999, n. 1639, GI, 1999, I, 1, 2019) e` stata all’origine formulata con riguardo all’ipotesi della rinnovazione tacita del contratto di locazione a tempo determinato: la locazione, cioe`, che, ai sensi dell’art. 1597, 1o co., c.c., si ha per rinnovata se, scaduto il termine di essa, il conduttore rimane ed e` lasciato nella detenzione della cosa locata. Viceversa, nel caso di locazione sottoposta alla legislazione speciale (sia che si tratti di locazione abitativa regolata dalla l. 431/1998, sia che si tratti di locazione non abitativa regolata dagli artt. 27 ss., l. 392/1978) il rapporto si protende naturalmente nel tempo, prosegue di rinnovo in rinnovo, salvo che non sia intimata disdetta. Xxxxxx´ appare in generale discutibile l’indirizzo prima ricordato che ritiene l’applicabilita` dell’art. 560 c.p.c. alla rinnovazione dei contratti di locazione disciplinati dalla menzionata legislazione speciale.
Posto il principio dell’opponibilita` della locazione di cui all’art. 2923 c.c. – principio confermato da Xxxx. 13 dicembre 2007, n. 26238, FI, 2009, I, 3022 –, occorre dire che tale disciplina soffre tuttavia una deroga:
In ogni caso l’acquirente non e` tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni
(art. 2923, 3o co., c.c.).
Il principio, applicabile anche con riguardo alle locazioni ultranovennali trascritte prima del pignoramento (Cass. 4 giugno 0000, x. 0000, XX, 0000, X, 000; FI, 1962, I, 1692) non e` stato abrogato neppure tacitamente dalla legge dell’«equo canone», che non trova applicazione con riguardo alle locazioni degli immobili espropriati (Cass. 4 aprile 1989, n. 1615, ALC, 1989, 469; GC, 1989, I, 2105; RTDPC, 1991, 341).
Secondo la decisione – che lascia qualche perplessita`, soprattutto in ordine al prin- cipio dell’inapplicabilita` della legge dell’« equo canone» alle locazioni de quibus, in quanto non valorizza il fatto che l’inserzione automatica del prezzo legale potrebbe operare comunque la reductio ad aequitatem (Trifone 1984, 529; in argomento Pret. Parma 5 gennaio 1991, ALC, 1991, 349) – l’art. 2923 c.c.
3.3.9 LA LOCAZIONE
mira chiaramente ad impedire la stipula, da parte del debitore, di locazioni in danno degli acquirenti e trova il suo precedente legislativo nella disposizione sancita dall’art. 687, comma 2, dell’abrogato codice di rito civile del 1865, che poneva una presun- zione assoluta di frode nell’ipotesi di fitto inferiore di un terzo a quello risultante da perizia o da locazioni precedenti. La norma attuale in vigore ha quindi rimesso al giudice l’accertamento relativo al « giusto prezzo», offrendogli la possibilita` di avvalersi di criteri (o piu` esattamente di parametri) obbiettivi di raffronto, quali possono essere o quelli considerati dal legislatore per la determinazione dell’equo canone oppure quelli ricavati dai corrispettivi eventualmente pattuiti con precedenti conduttori, al fine di stabilire, con la maggiore approssimazione possibile, se la locazione opponibile al terzo aggiudicatario non si presenti sospetta o comunque eccessivamente dannosa per il terzo stesso a causa di un notevole squilibrio tra l’adeguato corrispettivo per il godimento della cosa ed il corrispettivo effettivo pattuito con il conduttore. [...] Soltanto per completezza di motivazione va aggiunto, in ordine all’assunto di un’im- plicita abrogazione del comma 3 dell’art. 2923 c.c., che la legge sull’equo canone non ricomprende nel suo ambito le locazioni di immobili espropriati
(Cass. 4 aprile 1989, n. 1615, ALC, 1989, 469; GC, 1989, I, 2105; RTDPC, 1991, 341).
Si e` inoltre osservato che l’art. 2923 c.c., secondo il quale l’acquirente di un immo- bile subastato non e` tenuto a rispettare le locazioni consentite dall’espropriato di data certa anteriore al pignoramento qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni, non si pone come norma eccezionale, derogatoria all’art. 1415, 2o co., c.c., in tema di simulazione. Consegue che l’acquirente di un immobile locato ha facolta` di agire nei confronti del conduttore alternativamente o per sollecitare la tutela di cui all’art. 2923, 3o co., c.c., ovvero quella di cui al precedente al 1415, 2o co., c.c. (Cass. 27 gennaio 1999, n. 721, GC, 1999, I, 1365).
Va, in ultimo, rammentato che – ove il diritto del proprietario si riespanda per il venire meno dell’usufrutto nel corso del procedimento di espropriazione forzata – la locazione stipulata originariamente dall’usufruttuario e` opponibile, nei limiti in cui avrebbe dovuto essere rispettata dal nudo proprietario, all’aggiudicatario secondo le regole dettate dall’art. 2923 c.c. (Cass. 22 luglio 1991, n. 8166, ALC, 1992, 51). Qualora il contratto – per essere stato stipulato in epoca successiva al pignoramento – sia inopponibile all’aggiudicatario del bene, il conduttore, che non sia stato avver- tito dall’esistenza del pignoramento dell’immobile, ha diritto, a seguito dell’estro- missione da parte dell’aggiudicatario, al risarcimento del danno verso il locatore, per non aver goduto dell’immobile fino alla scadenza pattuita nel contratto o a quella legale (Cass. 22 luglio 1991, n. 8166, ALC, 1992, 51).
3.3.9. Mandante e gestore di affari
LEGISLAZIONE c.c. 1398
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972
Per quanto riguarda il mandato, occorre ricordare la norma secondo cui:
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.9
Il mandato generale non comprende gli atti che eccedono l’ordinaria amministra- zione, se non sono indicati espressamente
(art. 1708, 2o co., c.c.).
Torna ancora in questione, dunque, la distinzione tra amministrazione ordinaria e straordinaria della quale si e` gia` discorso. Il mandatario generale, dunque, in man- canza di espressa indicazione, non puo` stipulare locazioni ultranovennali ne´ locazioni infrannovennali – se si aderisca all’opinione gia` al riguardo prospettata al § 3.3.1 – che parimenti eccedano l’ambito dell’amministrazione ordinaria.
Si discute, pero`, il significato da attribuire all’espressione mandato generale. Proprio con riguardo al tema della locazione stipulata in forza del mandato generale e` stato sostenuto che esso dovrebbe identificarsi non gia` con il mandato per tutti gli affari del mandante, bens`ı con il mandato concepito in termini generali. Non dunque – si puo` sintetizzare – mandato generale, bens`ı mandato generico:
In effetti, soltanto nell’ipotesi in cui siano adoperate locuzioni del tutto generiche puo` ammettersi che l’attivita` del mandatario debba limitarsi a non alterare il com- plesso patrimoniale del mandante, ma questa ipotesi puo` presentarsi sia quando sia conferito mandato comprendente tutti i rapporti giuridico-patrimoniali del mandan- te, sia quando l’incarico concerna uno o piu` rapporti determinati, ma sia espresso, in tutto in parte, con locuzione generiche dalle quali non sia possibile dedurre l’effettiva latitudine dei compiti affidati al mandatario. Per contro se viene attribuito l’incarico di curare tutte le attivita` patrimoniali del mandante in un certo settore del patrimo- nio od in relazione ad un determinato complesso patrimoniale, pur senza specifica- zione di compiti, non puo` essere affatto escluso, sol perche´ il mandato si presenti come generale, che vi rientrino anche gli atti di maggior rilevanza economica che, pur potendo alterare la consistenza del patrimonio cui il mandato si riferisce, pur- tuttavia rientrano nell’ambito dell’attivita` necessaria al raggiungimento del risultato cui il mandato e` indirizzato
(Mirabelli 1972, 199).
Su tali considerazioni applicate al contratto di locazione, e` stato ritenuto che, dinanzi ad un mandato conferito in termini generali, cioe` ad un mandato generico, anche se riferito ad uno specifico complesso di beni o rapporti, il mandatario non abbia il potere di stipulare locazioni ultranovennali. Viceversa, qualora il mandante abbia affidato al mandatario tutti i suoi affari, con espressioni dalle quali si possa escludere la volonta` di porre limiti all’amministrazione – dunque, se sia stato conferito un vero e proprio mandato generale –, anche la stipulazione di locazioni ultranovennali rientrerebbe nei poteri del mandatario.
Merita, in tema, accennare anche all’ipotesi che il contratto di locazione sia stato stipulato dal falsus procurator : si tratta, in realta`, di una ipotesi di locazione di cosa altrui, della quale si trattera` tra breve. Oltre a rinviare ai paragrafi riservati all’argo- mento, occorre qui aggiungere che l’art. 1398 c.c. non abilita il terzo contraente a chiedere la risoluzione, ma sancisce la responsabilita` del falsus procurator verso il contraente che abbia confidato senza colpa della validita` del contratto. In questo caso, pero`, il contratto e` valido ed efficace, come appunto emergera` trattando della
3.3.10 LA LOCAZIONE
locazione di cosa altrui: ed allora, dinanzi al contratto di locazione concluso dal rappresentante senza potere non resta che il ricorso all’annullamento per vizio del consenso (v. § 3.4.2).
Secondo la regola generale, inoltre, il negozio concluso dal falsus procurator puo` essere oggetto di ratifica:
Il principio generale che la ratifica del negozio concluso da chi abbia agito in veste di rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facolta` conferitegli puo` risultare, oltreche´ da dichiarazione espressa, anche da una tacita manifestazione di volonta` (e consistere, quindi, in atti o fatti che implichino necessariamente la volonta` dell’interessato di fare proprio il contratto stipulato, a suo nome e nel suo interesse, dal falsus procurator ), trova applicazione anche nei confronti delle persone giuridiche e degli enti morali, con la conseguenza che il comportamento inequivoco riferibile ai rispettivi organi statutari, quando consista in fatti o atti implicanti la tacita volonta` di fare propri gli effetti del contratto concluso dal falsus procurator, concreta la ratifica di tale contratto
(Cass. 23 febbraio 1983, n. 1397, ined.).
Cos`ı e` stata ricondotta tale efficacia, con riferimento ad un contratto di affitto di fondo rustico stipulato da rappresentante di un ente morale privo di potere, alla delibera del consiglio di amministrazione dell’ente, ritualmente assunta, che appro- vava il bilancio nel quale, fra le attivita`, erano riportati i canoni di affitto del fondo in questione.
Per altre questioni in tema di locazione stipulata dal mandatario senza rappresen- tanza v. § 3.5.2. Per l’amministratore di societa` che abbia contratto senza poteri v. pure § 3.3.10.1.
Quanto alla gestione di affari, la riferibilita` al dominus dell’attivita` di gestione non e` dalla legge posta in correlazione con la distinzione tra amministrazione ordinaria e straordinaria, mentre occorre avere riguardo ai due requisiti dell’utiliter coeptum e dell’assenza di prohibitio domini. Sicche´, qualora non ne ricorrano i requisiti, anche la locazione ultranovennale puo` essere oggetto di negotiorum gestio (Mirabelli 1972, 200).
3.3.10. Persone giuridiche e societa`commerciali
LEGISLAZIONE c.c. 2323, 2386, 2468
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972
Le persone giuridiche e le societa` commerciali agiscono a mezzo dei propri organi, i quali solo eccezionalmente vedono per legge limitata la propria attivita` all’ordinaria amministrazione (v., p. es., artt. 2323, 2o co., 2386, 4o co., 2468, 2o co., c.c.). Di regola, dunque, i menzionati organi sono titolari del potere di svolgere attivita` di amministrazione tanto ordinaria quanto straordinaria.
E` tuttavia possibile che limiti all’attivita` di amministrazione siano posti con l’atto
costitutivo ovvero con la procura.
CAPITOLO III - LE PARTI 3.3.10.1
Cio` che conta evidenziare, in argomento, e` che, con riguardo alle societa` commer- ciali, non trova applicazione la medesima nozione di straordinaria amministrazione per il resto accolta dall’ordinamento. La distinzione tra atti di ordinaria e straordi- naria amministrazione prevista dal codice civile in relazione ai beni degli incapaci, dunque, non coincide con quella applicabile in tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle societa`, poteri che, secondo il ripetuto insegna- mento della Suprema Xxxxx (x., x. xx., Xxxx. 0 maggio 1995, n. 4856, VN, 1996, 941; Cass. 18 giugno 1987, n. 5353, Soc, 1987, 920; DF, 1987, II, 587), vanno
identificati con riferimento all’oggetto sociale e non alla mera rilevanza economica dell’atto:
La distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione prevista dal codice civile in relazione ai beni degli incapaci (artt. 320, 374 e 394 c.c.) non coincide con quella applicabile in tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle societa`, i quali vanno individuati con riferimento agli atti che rientrano nel- l’« oggetto sociale» – qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica –, pur se eccedano i limiti della cosiddetta ordinaria amministrazione, con la conse- guenza che, salvo le limitazioni specificamente previste nello statuto sociale, devono ritenersi rientranti nella competenza dell’amministratore tutti gli atti che ineriscono alla gestione della societa` ed eccedenti i suoi poteri, invece, quelli di disposizione o di alienazione, suscettibili di modificare la struttura dell’ente e, percio` esorbitanti (e contrastanti con) l’oggetto sociale
(Cass. 12 marzo 1994, n. 2430 DF, 1994, II, 1054; FI, 1995, I, 1305; GI, 1995, I, 1, 270;
RDCo, 1995, II, 129).
Sicche´, qualora vengano in questione limitazioni all’ordinaria amministrazione del potere degli amministratori di societa` commerciali, occorre fare riferimento alla nozione ora menzionata e non a quella desumibile dalla dicotomia conservazione- disposizione del patrimonio amministrato.
3.3.10.1. Amministratore senza poteri
LEGISLAZIONE c.c. 1398
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972
Xxxxxx qui esaminare la questione se la locazione stipulata dall’amministratore di una societa` privo dei necessari poteri debba o meno essere imputata alla societa` pseudo- rappresentata.
In proposito e` stato affermato che gli effetti di un contratto, posto in essere da persona che non abbia la qualita` di amministratore d’una societa` di capitali e non dichiari espressamente di contrarre in tale qualita`, possono tuttavia essere imputati alla societa` se risulti dimostrato che la persona abbia tacitamente, ma inequivoca- mente agito come rappresentante della stessa societa`, purche´ risulti altres`ı provato o il conferimento di una procura alla persona che ha agito o un comportamento colposo della societa` che abbia ingenerato l’incolpevole convincimento dell’altra parte di
3.3.10.1 LA LOCAZIONE
negoziare con persona cui sia stato conferito con procura il potere di rappresentare la societa`:
Gli attuali ricorrenti hanno proposto in confronto della societa` resistente una do- manda di risoluzione d’un contratto di locazione per inadempimento ed hanno sin dall’inizio sostenuto che la societa` si fosse obbligata al pagamento d’un canone mensile di £ 550.000 e che cio` risultasse da un contratto stipulato dalla societa` il 31.3.1980 per un canone di £ 280.000 e da una successiva scrittura, con la quale la stessa societa` s’era impegnata a pagare l’ulteriore somma di £ 270.000, scrittura firmata l’1.4.1980. Di fronte alla contestazione che il contratto appariva stipulato per la societa` dal suo amministratore unico, mentre la scrittura appariva intervenuta tra i locatori da una parte e una diversa persona (V.G.) dall’altra; e in presenza della contestazione, da parte della societa`, d’essere estranea al secondo atto, che era stato formato da soggetto che non la rappresentava; gli attuali ricorrenti avevano insistito nella loro domanda, adducendo argomenti e deducendo prove, da cui, a loro avviso, avrebbe dovuto trarsi la conclusione che V.G. s’era loro presentato come rappresen- tante della societa` e l’avesse percio` impegnata, giacche´ quegli stessi argomenti e prove avrebbero dimostrato che il G. o aveva il potere di rappresentare la societa` o appariva averlo [...] La societa` convenuta non aveva contestato d’aver stipulato il contratto di locazione 31.3.1980. D’altro canto, la corte d’appello ha accertato in fatto [...] che la scrittura 1.4.1980 era stata firmata da V.G., non qualificatosi in essa come persona che agisse in qualita` di amministratore della societa` o come suo procuratore. La sentenza contiene l’ulteriore non contestato accertamento, che all’epoca V.G. non rivestiva (ne´ l’avrebbe rivestita in seguito) la carica di amministratore della societa`. Le condizioni per riferire alla societa` gli effetti della scrittura 1.4.1980 [...] erano le seguenti: – che potesse considerarsi implicita o manifestata per fatti concludenti una volonta` del G. di agire come procuratore della societa` (cfr. Cass. 6 dicembre 1988,
n. 6631; Cass. 18 giugno a 1987, n. 5371); – che potesse considerarsi provata o l’esistenza d’una procura o una situazione caratterizzata da un comportamento col- poso della societa` tale da aver ingenerato nei locatori il giustificato convincimento che il Gallo ne avesse la rappresentanza (cfr. Cass. 19 gennaio 1987, n. 423). La sentenza impugnata anche se, nella parte finale, contiene una non motivata afferma- zione circa la mancanza d’una procura, non ha in realta` preso in esame i diversi elementi di fatto, pur valutati ai fini della decisione, in vista dello stabilire se fornissero la prova delle condizioni avanti indicate. Avendo considerato decisiva la circostanza che il G., alla data dell’1.4.1980 e prima, non rivestiva la carica di amministratore della societa` e per questo non ne aveva la rappresentanza, ha ritenuto che la domanda in tanto poteva essere accolta in quanto fosse risultato dimostrato, che il rappresentante legale della societa`, nell’atto di sottoscrivere il contratto 31.3.1980, avesse convenuto con i locatori di indicare nel contratto un canone inferiore a quello effettivo: gli elementi di fatto di cui s’e` detto sono stati percio` esaminati nella prospettiva dello stabilire se somministrassero tale prova. La decisione si rivela allora viziata sotto il profilo della violazione delle norme sulla rappresentanza, per non avere la sentenza considerato che, nonostante il G. non fosse amministratore della societa`, l’obbligazione da quegli assunta con la scrittura 1.4.1980 avrebbe potuto esser tuttavia riferita alla societa`, ove fossero ricorse le condizioni di cui s’e` prima detto, che si trattava percio` di stabilire se fossero state o no provate dagli attori (Cass. 28 febbraio 1992, n. 2494, RGE, 1992, 868).
CAPITOLO III - LE PARTI 3.4
Il principio che gli effetti di un contratto stipulato da persona priva della qualita` di amministratore di una societa` di capitali, che non abbia dichiarato espressamente di agire in detta qualita` possono essere imputati alla societa` nella sola ipotesi in cui detta persona abbia tacitamente ma inequivocabilmente agito come rappresentante del- l’ente e` stato anche successivamente ribadito, in riferimento a fattispecie non loca- tizie (v., p. es., Cass. 26 novembre 2002, n. 16650, GIUS, 2003, 567; Cass. 3 marzo
1994, n. 2123, ined.).
3.4. La locazione di cosa altrui: tratti essenziali del dibattito dottrinale
LEGISLAZIONE c.c. 1478, 1571
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxx 1972
Ci si soffermera`, in questo paragrafo, sulla locazione di cosa altrui, cos`ı individuata mediante una espressione ricorrente nella trattatistica sulla materia, ma senz’altro fuorviante. La formula, infatti, oltre a soffrire di una inappropriata assonanza con la rubrica dell’art. 1478 c.c., in tema di vendita di cosa altrui, rinvia ad una ampia gamma di ipotesi non omogenee, alcune delle quali tutt’affatto estranee al nocciolo del dibattito.
Ben si intende che la locazione conclusa, ad esempio, dall’enfiteuta o dall’usufrut- tuario e` anch’essa una locazione di cosa altrui: indubbiamente stipulata, pero`, dal titolare di un diritto che di regola comprende la facolta` di locare. Non sono invero simili eventualita` ad avere attratto le riflessioni della dottrina e ad impegnare sovente la giurisprudenza: il contratto di locazione stipulato dall’enfiteuta o dall’usufruttuario e` validamente ed efficacemente concluso, ne´ e` destinato in linea di principio ad essere esposto – per cos`ı dire – ad alcun rischio di disturbo o di prematura fine per iniziativa del dominus.
Ed invece, occorre immaginare ipotesi in cui le vesti del locatore siano assunte da colui che non sia titolare di un diritto, reale o personale, comprensivo della facolta` di locare – si pensi all’usuario o all’habitator, ex art. 1024 c.c., o al conduttore, in caso di sublocazione vietata – ovvero che, ancor piu` in radice, abbia soltanto la disponi- bilita` materiale della cosa, quale, in caso estremo, l’usurpatore.
Nel discorrere di locazione di cosa altrui, allora, si discute della validita` e dell’efficacia della locazione stipulata da chi non sia titolare di un diritto sulla cosa in cui sia compresa la facolta` di locare. E, una volta chiarito che la locazione di cosa altrui, nell’indicata accezione, e` valida ed efficace, si comprendera` ulteriormente che il reale interesse della figura attiene alla sua opponibilita` al dominus: tanto che la dottrina ha autorevolmente evidenziato l’erroneita` della stessa collocazione dell’argomento, se- condo la sistematica tradizionale, nel contesto della trattazione riservata alle parti
– nella quale si e` qui preferito mantenerlo per comodita` di consultazione – o alla possibilita` dell’oggetto (x. Xxxxxxxxx 1972, 58).
Il tema, per quanto attiene agli apporti della dottrina, risente della difficolta` di
3.4 LA LOCAZIONE
inquadramento dogmatico del diritto del conduttore, che, come si e` gia` ricordato, e` stato definito « uno dei punti piu` scabrosi dell’intera dogmatica giuridica» (Xxxxxxx 1951, 322; v., sull’argomento, § 2.7).
Sintetizzando, occorre rammentare che, nel passato, la locazione di cosa altrui veniva trattata nel suo collegamento con la vendita di cosa altrui. Xxxx xx Xxxxxxx era giunto ad ammettere la validita` della prima muovendo dalla validita` della seconda. Il Tro- plong aveva invece riconosciuto la validita` della locazione di cosa altrui, a differenza della vendita di cosa altrui, sulla considerazione che l’una, al contrario dell’altra, non comporta alienazione. Nel vigore del codice abrogato parimenti si disputava dalla validita` della locazione di cosa altrui partendo dal dibattito sulla validita` della vendita di cosa altrui. Con il codice vigente, una volta sancita legislativamente la validita` della vendita di cosa altrui, all’art. 1478 c.c., vi e` stato cos`ı chi ha conseguentemente ammesso, senza ulteriori approfondimenti, la medesima soluzione per la locazione di cosa altrui (Xxxxxxxxxxxx 1947, 222).
Viceversa, coloro i quali tradizionalmente ravvisano nella locazione un contratto ad efficacia meramente obbligatoria, a differenza della vendita, che e` contratto ad effi- cacia reale, tengono coerentemente separate le questioni (in questo senso v., per tutti, Xxxxx 1972, 180 ss.).
Con la vendita, in applicazione del principio consensualistico, ex art. 1376 c.c., si produce il trasferimento del diritto oggetto del contratto. Ma l’effetto reale proprio della vendita in tanto puo` realizzarsi in quanto il venditore sia titolare del diritto alienato: in tal caso, il potere di disposizione della cosa costituisce requisito di efficacia del contratto, tanto che essa, in caso di vendita di cosa altrui, « degrada» da reale ad obbligatoria.
Con la locazione, quando ne sia riconosciuta l’efficacia meramente obbligatoria ed il diritto del conduttore sia inteso quale diritto personale, chiunque puo` assumere l’obbligazione di concedere ad altri il godimento della cosa per un certo tempo dietro corrispettivo, senza che la titolarita` di un diritto sulla stessa in cui sia compresa la facolta` di locare si presenti non solo quale requisito di validita`, ma neppure di efficacia del contratto: e dunque occorrera` soltanto verificare se, assunta validamente ed efficacemente l’obbligazione, il locatore vi presti adempimento.
Coloro i quali attribuiscono alla locazione natura di contratto ad effetti reali, confi- gurando il diritto del conduttore come diritto reale di godimento, non possono che trattare la locazione di cosa altrui sulla falsariga della vendita di cosa altrui (Xxxxxxx 1961, 64 ss.). La locazione di cosa altrui, percio`, e` bens`ı valida, giacche´, in generale, il potere di disporre della cosa costituisce semplice presupposto di efficacia del contratto, ma impedisce l’acquisto, da parte del conduttore, del diritto di godimento: essa, tuttavia, produce un effetto obbligatorio in forza del quale il locatore deve procurare il pattuito diritto di godimento al conduttore, in analogia a quanto si verifica nella vendita di cosa altrui.
La medesima soluzione della dottrina tradizionale, in polemica con la tesi che vede nel diritto del conduttore un diritto reale di godimento, e` accolta anche nel quadro della sua ricostruzione quale diritto personale di godimento, pur sempre « mero
CAPITOLO III - LE PARTI 3.4.1
diritto di obbligazione» (Mirabelli 1972, 85), sulla considerazione che « l’invalidita` non ha alcuna giustificazione, in quanto non sussiste interesse ne´ delle parti ne´ generale che la esiga» (Mirabelli 1972, 277). Difatti la locazione
adempie alla funzione sua propria quando assicura al conduttore l’utilizzazione della cosa locata, e tale utilizzazione si attua non con l’attribuzione di un « diritto di godimento» ma solo con l’effettivo godimento o con l’effettiva possibilita` di godi- mento. Quando si pone come oggetto della prestazione del locatore la costituzione di un diritto di godimento e conseguentemente si afferma che tale diritto non viene ad esistenza se il locatore non e` legittimato a costituirlo, si travisa il contenuto econo- mico-sociale della locazione. L’interesse del conduttore e` soddisfatto, invero, non con l’attribuzione di un diritto, ma con la materiale attuabilita` del godimento, e quindi la prestazione consiste nell’attribuzione del godimento, non del diritto
(Mirabelli 1972, 59).
Naturalmente, una volta negata la tesi della realita` e condiviso che il contratto di locazione e` meramente obbligatorio e semplice diritto di obbligazione e` il diritto del conduttore, pure inteso quale diritto personale di godimento, non resta che aderire alle conseguenze che ne vengono tratte con riguardo alla locazione di cosa altrui.
3.4.1. La locazione di cosa altrui nella giurisprudenza
LEGISLAZIONE c.c. 1571
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972
Quanto alla giurisprudenza, anch’essa muove dall’osservazione – rimasta indenne dai reiterati e non mai sopiti attacchi di parte della dottrina – che il contratto di locazione appartiene alla categoria dei contratti ed efficacia obbligatoria (v. Cap. II, Parte I, § 2.7): sicche´, per assumere la veste di locatore, non e` richiesta la titolarita` del potere di disposizione della cosa locata. Ben si comprende, allora, il principio, piu` volte ribadito, secondo cui:
La qualita` di locatore non presuppone necessariamente, attesa la natura personale del rapporto di locazione, quella di proprietario, essendo sufficiente la disponibilita` materiale del bene
(Cass. 1o dicembre 1994, n. 10270, ALC, 1995, 345).
La regola esposta nella massima, si diceva, e` stata ripetuta in piu` occasioni (senza pretesa di completezza, x. Xxxx. 00 aprile 2006, n. 8411, VN, 2006, 798; Cass.
20 aprile 1995, n. 4477, ALC, 1995, 567; RLC, 1996, 71; Cass. 7 maggio 1982,
n. 2852, MGC, 1982; Cass. 21 gennaio 1982, n. 399, MGC, 1982; Cass. 15 gennaio
1982, n. 249, MGC, 1982; Cass. 4 dicembre 1981, n. 6430, MGC, 1981; Cass.
14 febbraio 0000, x. 0000, XXX, 0000, Xxxxxxxxx, x. 000; Cass. 10 dicembre 1979,
n. 6413, MGC, 1979; Cass. 27 aprile 0000, x. 0000, XXX, 0000, Xxxxxxxxx, x. 000;
Cass. 11 luglio 1978, n. 3503, ined.; Cass. 18 marzo 1970, n. 728, ined.; Cass.
30 luglio 1969, n. 2895, ined.; Cass. 26 gennaio 1962, n. 133, ined.). Cos`ı, ad
3.4.1.1 LA LOCAZIONE
esempio, xxx xxx` assumere la veste di locatore in nudo proprietario, quando abbia la materiale disponibilita` della cosa:
Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponi- bilita` di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, puo` validamente concederlo in locazione, sicche´ la relativa legittimazione e` ricono- scibile anche in capo al nudo proprietario del bene, che disponga dello stesso unitamente all’usufruttuario e senza l’opposizione di quest’ultimo
(Cass. 20 aprile 2007, n. 9493, MGC, 2007, 4).
Sicche´ la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata riconosciuta la qualita` di locatore anche al nudo proprietario dell’immobile, che aveva sottoscritto il contratto di locazione insieme all’usufruttuario, nella ragionevole pre- sunzione che la sottoscrizione congiunta del contratto medesimo, con la conseguente consapevolezza dell’usufruttuario che la locazione era stata concessa anche da parte del nudo proprietario, aveva comportato che si sarebbe dovuta identificare, anche in capo a quest’ultimo, una situazione di concreta disponibilita` dell’immobile).
3.4.1.1. La giurisprudenza ed il ladro, il ricettatore, l’usurpatore
LEGISLAZIONE c.c. 1571
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972
Quest’impostazione, secondo cui chiunque abbia la disponibilita` materiale della cosa puo` validamente ed efficacemente stipulare il contratto di locazione, coerentemente applicata nel suo sviluppo logico, rende manifesto – come e` ritenuto dalla prevalente dottrina – che chiunque, anche l’usurpatore, possa rendersi locatore. Nell’ambito dei rapporti tra le parti rimarra` in concreto da verificare – come si vedra` piu` avanti – se il locatore adempia per il tempo convenuto l’obbligazione di far godere assunta con la stipulazione, oppure se la sua qualita` di usurpatore si ripercuota sul rapporto loca- tivo. Altrimenti il contratto sara` stato non soltanto validamente ed efficacemente concluso, ma si sara` anche svolto nel rispetto del modello normativo. Resteranno soltanto impregiudicati
i diritti del proprietario e salva in ogni caso la responsabilita` del locatore, carente di titolo e di poteri, nei confronti sia del proprietario come del conduttore
(Cass. 27 aprile 1979, n. 2455, RGI, 1979, Locazione, n. 116).
Del resto, che il contratto sorga valido ed efficace e tale rimanga sino a quando il conduttore non perda il godimento della cosa locata, pare trovare conferma nella formulazione dell’art. 1585 c.c., il quale obbliga il locatore alla garanzia per molestie non per il fatto in se´ considerato che un terzo pretenda di avere diritti sulla co- sa locata, ma solo se le molestie diminuiscano l’uso o il godimento della medesima. Ed allora, potrebbe apparire ad una prima impressione « eccentrica» la massima che segue:
CAPITOLO III - LE PARTI 3.4.1.1
Chiunque abbia la disponibilita` di fatto di una cosa in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico (esclusi percio` il ladro, il ricettatore, l’usurpatore di immobili eccetera) puo` validamente concederla in locazione, in comodato o costi- tuirvi altro rapporto obbligatorio
(Cass. 17 gennaio 1997, n. 470, RLC, 1997, 55).
Sembra infatti richiedersi, qui, un qualche elemento ulteriore, oltre alla disponibilita` materiale del bene: una sorta di legittimazione negoziale, e` che nozione discussa e, con specifico riguardo al contratto di locazione, in netta prevalenza respinta (Mira- belli 1972, 58 e 182; Xxxxx 1972, 177 ss.; Xxxxxxxxx e Xxxxxxx 1986, 37). Il divario con l’opinione tradizionale appare ancor piu` marcato in questa diversa massima:
Sebbene il contratto di locazione abbia natura personale e prescinda dall’esistenza e titolarita`, in capo al locatore, di un diritto reale sulla cosa, essendo sufficiente che egli ne abbia la disponibilita`, e` tuttavia necessario che tale disponibilita` abbia avuto genesi in un rapporto (o titolo) giuridico che comprenda il potere di trasferirne al conduttore la detenzione o il godimento
(Cass. 11 novembre 1994, n. 9491, RLC, 1996, 71).
Anche qui sembrerebbe apparentemente emergere ancor piu` netto il tema della legittimazione negoziale connesso ad un meccanismo di derivazione costitutiva: il locatore non potrebbe trasferire il godimento della cosa se non in forza della titolarita` di un diritto sulla cosa, reale o obbligatorio, che comprenda la facolta` di locare. Una impostazione, cioe`, del tutto difforme tanto dall’orientamento prevalente della dot- trina, quanto dalla abituale soluzione della giurisprudenza. Continuando a cercare all’indietro nel tempo si rinviene il principio sul quale appare alla lettera modellata la massima per prima menzionata tra quelle « eccentriche» (Cass. 13 luglio 1984,
n. 4119, MGC, 1984). E, ancora apparentemente, la deviazione dell’indirizzo giu- risprudenziale precedentemente esposto sembra ripetuto in un precedente arresto, con la conseguente precisazione che:
Non puo` assumere la qualita` di locatore colui che abbia soltanto la disponibilita` di fatto della cosa stessa
(Cass. 25 agosto 1982, n. 4714, ALC, 1982, 652; AC, 1983, 271).
Procedendo ancora a ritroso nell’indagine sui repertori, molte altre sono le massime pressappoco dello stesso stampo (Cass. 17 luglio 1973, n. 2093, RFI, 1973, Loca-
zione, n. 21; Cass. 20 dicembre 1972, n. 3645, RFI, 1972, Locazione, n. 15; Cass.
26 giugno 1972, n. 2165, RFI, 1972, Locazione, n. 16; Cass. 17 aprile 1970, n. 1107,
RFI, 1970, Locazione, n. 13; Cass. 22 ottobre 1969, n. 3455, RFI, Locazione, n. 10;
Cass. 5 febbraio 1969, n. 320, RFI, 1969, Locazione, n. 11; Cass. 13 maggio 1968,
n. 1508, RFI, 1968, Locazione, n. 12; Cass. 30 gennaio 1968, n. 306, RFI, 1968,
Locazione, n. 10; Cass. 8 febbraio 1964, n. 297, RFI, 1964, Locazione, n. 29; Cass.
6 dicembre 1963, n. 3098, RFI, 1963, Locazione, n. 33; Cass. 14 settembre 1963,
n. 2614, MFI, 1963, n. 2614; Cass. 6 novembre 1961, n. 2569, RFI, 1961, Locazione,
n. 29; Cass. 1o giugno 1953, n. 1665, RFI, 1953, Locazione, n. 76).
Ebbene, a ben guardare, il contrasto sembra da attribuire essenzialmente ad un
3.4.1.1 LA LOCAZIONE
equivoco, che discende dalle modalita` di formulazione delle massime, le quali so- vente non riflettono gli estremi delle controversie cui attengono: tanto che la dottrina ha ricondotto l’esteriore incoerenza tra il primo gruppo di pronunce « ortodosse» e le altre « eterodosse» al fenomeno delle cosiddette massime « mentitorie», le quali tradiscono il contenuto effettivo delle decisioni da cui sono estratte (Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 79). Per sincerarsi dell’esattezza del rilievo sara` sufficiente esaminare le piu` recenti massime « eterodosse».
In effetti, la prima (Cass. 17 gennaio 1997, n. 470, RLC, 1997, 55) non ha nulla a che vedere con il principio secondo cui chiunque abbia la disponibilita` materiale della cosa puo` legittimamente stipulare il contratto di locazione: in quel caso il conduttore, subita l’intimazione di sfratto per finita locazione da parte dell’acqui- rente della cosa locata, aveva tra l’altro eccepito il difetto di legittimazione ad causam dell’intimante in ragione della nullita` dell’atto d’acquisto. Giunta la controversia in sede di legittimita`, la Suprema Corte ha doppiamente errato: da un lato per aver richiamato un precedente non pertinente, Cass. 13 luglio 1984, n. 4119, MGC, 1984, reso in tema di comodato; dall’altro lato, e xxx` gravemente, per non essersi avveduta che il conduttore convenuto per il rilascio dall’acquirente dell’immobile locato puo` validamente opporgli le eccezioni concernenti la validita` del titolo di acquisto, che costituisce il fatto costitutivo dell’assunzione della qualita` di locatore (Cass. 13 giugno 1994, n. 5724, VN, 1994, I, 1356).
La seconda delle massime « mentitorie» (Cass. 11 novembre 1994, n. 9491, RLC,
1996, 71) tradisce anch’essa il senso della decisione, in questo caso pero` condivisi- bile. La controversia, infatti, verteva non gia` tra le parti del contratto di locazione, bens`ı tra il proprietario della cosa, in tesi detenuta senza titolo, ed il detentore, il quale assumeva di detenere cum titulo in forza di un contratto di locazione stipulato con un terzo: ma questo terzo – ha osservato la Suprema Corte – non aveva, quale appaltatore, il potere di concedere la cosa in locazione. Cio` che veniva in discussione, dunque, nel caso esaminato, non era il rapporto locatore-conduttore, bens`ı l’oppo- nibilita` di quel rapporto al proprietario. Xx appare del tutto ovvio che il conduttore non potesse opporre al proprietario un rapporto di locazione stipulato con un soggetto, l’appaltatore, privo del potere di locare.
La terza massima (Cass. 13 luglio 1984, n. 4119, MGC, 1984) e` stata resa, come accennato, in tema di comodato, e non sembra possa essere assunta a modello, tenuto conto dell’ontologica differenza tra la locazione, contratto consensuale, ed il comodato, contratto reale.
La quarta massima (Cass. 25 agosto 1982, n. 4714, ALC, 1982, 652; AC, 1983,
271) offre ancora un caso in tema di opponibilita` al proprietario di un contratto stipulato inter alios : i proprietari di un immobile lamentavano l’abusiva occupazione del medesimo, mentre il detentore assumeva di averlo avuto in locazione da un soggetto terzo cui, secondo quanto accertato, non spettava il potere di concederlo in locazione. Anche in questo caso il reale senso della decisione e` che
la locazione stipulata da un non legittimato non e` opponibile al legittimato: si tratta di un precetto ovvio, giacche´ mai l’usurpatore di una cosa, che poi viene data in
CAPITOLO III - LE PARTI 3.4.1.2
locazione, puo` impegnare il vero proprietario, rimasto estraneo al contratto. Ma cio` non significa che il contratto di locazione stipulato dall’usurpatore non sia piena- mente valido ed efficace nei rapporti tra lo stesso usurpatore ed il conduttore (Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 80).
Insomma, pare doversi escludere che, accanto all’indirizzo tradizionale secondo cui chiunque abbia la disponibilita` materiale della cosa puo` legittimamente stipulare il contratto di locazione, vi sia un contrastante – e consapevole – indirizzo che esclude dal novero dei potenziali locatori coloro i quali abbiano la disponibilita` materiale della cosa ma manchino di un titolo che li legittimi a trasmetterne il godimento. Viceversa, emerge il punto decisivo cui si accennava nell’introdurre l’esame della locazione di cosa altrui: cioe` che, certa la validita` ed efficacia inter partes del con- tratto, cio` che viene in discorso e` l’opponibilita` di quella locazione al dominus :
Tutte le questioni che si agitano, dunque, in relazione alla validita` della locazione stipulata da locatore non legittimato [...] a null’altro si riducono che a problemi di opponibilita` della locazione al terzo titolare di posizione preminente e di deficienza di attuazione del contratto
(Mirabelli 1972, 278).
Si puo` allora concludere che, se e` vero che la locazione stipulata da un non legitti- mato non puo` incidere nella sfera giuridica del legittimato, e` altrettanto vero che tale locazione, nei rapporti tra il locatore ed il conduttore, ex xxxx’altro valida ed efficace.
3.4.1.2. Corollari giurisprudenziali in tema di locazione di cosa altrui
LEGISLAZIONE c.c. 1571
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
Passando all’esame delle conseguenze pratiche del principio esposto, non v’e` dubbio che il locatore, ancorche´ non proprietario, sia legittimato ad agire per tutte le que- stioni che concernono la costituzione, lo svolgimento e la cessazione del rapporto:
Poiche´, nel rapporto di locazione, si prescinde dalla titolarita` del diritto di proprieta` o di usufrutto del locatore sull’immobile – essendo sufficiente, in relazione all’obbli- gazione principale da lui assunta di consentire al conduttore l’uso ed il godimento dell’immobile stesso, che egli abbia la disponibilita` del bene – spetta allo stesso la legittimazione ad agire per tutte le questioni che concernano la costituzione, lo svolgimento e la cessazione del rapporto
(Cass. 29 aprile 1983, n. 2973, FI, 1983, I, 1861).
Il conduttore, per parte sua, non puo`, valendosi di un’eccezione de iure tertii, contestare la legittimazione del locatore allegando che il locatore non ha mai avuto o ha trasferito ad altri la proprieta` della cosa (v., per varie ipotesi, Cass. 14 aprile 1983, n. 2620, ined.; Cass. 4 dicembre 0000, x. 0000, XXX, 0000, Xxxxxxxxx,
x. 000; Cass. 10 dicembre 0000, x. 0000, XXX, 0000, Xxxxxxxxx, x. 000; Cass.
3.4.1.2 LA LOCAZIONE
14 gennaio 1974, n. 112, RGI, 1974, Locazione, n. 89; Cass. 18 marzo 1970, n. 728,
ined.; Cass. 5 febbraio 1969, n. 380, ined.; Cass. 30 luglio 1969, n. 2895, ined.; Cass. 26 gennaio 1962, n. 133, MFI, 1962). Il contratto di locazione, difatti, come si e` detto, ha
natura personale e prescinde del tutto dall’esistenza e titolarita` nel locatore di un diritto reale sulla cosa. Il conduttore, convenuto per la risoluzione del contratto per inadempimento, non puo` pertanto utilmente opporre al locatore che egli non ha mai avuto o ha perduto la titolarita` della cosa locata
(Cass. 20 aprile 1995, n. 4477, ALC, 1995, 567; RLC, 1996, 71).
L’intimato, cioe`, formulando nel processo l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, puo` esclusivamente dolersi che l’attore non sia il titolare della qualita` di locatore dell’immobile di cui egli ha il godimento, mentre e` del tutto irrilevante l’indagine sul punto se abbia veste di proprietario.
Ne´ contrasta con tale affermazione la gia` ricordata osservazione che
il conduttore, al quale sia stato chiesto il rilascio dell’immobile locato da colui che lo ha acquistato dall’originario locatore, puo` validamente opporre le eccezioni concer- nenti la titolarita` del diritto di proprieta` dell’attore, perche´ l’acquisto di quest’ultimo costituisce il titolo della surrogazione dello stesso nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione (artt. 1599-1602 c.c.) ed il fatto costitutivo, quindi, della qualita` di locatore da lui xxxxxxx, ope legis, per effetto della vendita (Cass. 13 giugno 1994, n. 5724, VN, 1994, I, 1356).
Infatti, nel caso prospettato, cio` che viene in contestazione non e` la proprieta` del bene, ma, come conseguenza di essa, la qualita` di locatore dell’intimante, che, non avendo validamente acquistato l’immobile, neppure e` succeduto nel rapporto di locazione. Nello stesso senso e` da intendere il responso che segue, riguardante il pagamento del canone:
Se nel corso di un rapporto di locazione decede uno dei locatori, gli eredi di esso, per pretendere il pagamento del canone, hanno l’onere di dimostrare la loro legittima- zione, perche´ la modifica soggettiva del contratto, innovando sulle modalita` di adempimento (art. 1362, 2o co., c.c.), determina uno stato di incertezza per il conduttore che il creditore ha l’onere di rimuovere, onde rendere possibile la pre- stazione, in attuazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto; in mancanza dell’assolvimento di tale onere di collaborazione e` giustificato il rifiuto del conduttore di pagare il corrispettivo ai nuovi contitolari del diritto, ed e` invece idonea a costituire la mora accipiendi l’offerta del canone all’originario contitolare del relativo diritto
(Cass. 4 dicembre 1997, n. 12328, ALC, 1998, 198).
Tuttavia, pur ribadendo che il conduttore non puo` resistere all’azione spiegata dal locatore ex contractu, assumendo che questi non ha o ha perso la proprieta` della cosa locata, la Suprema Corte ha avuto occasione di esaminare peculiari casi in cui il principio non poteva trovare applicazione. Nel caso che segue, di fronte all’azione di risoluzione per morosita` promossa dal locatore, il conduttore aveva replicato di aver acquistato l’immobile locato da un terzo, che ne era proprietario, e di aver pagato i
CAPITOLO III - LE PARTI 3.4.2
canoni di affitto all’attore, prima di quella data, quale rappresentante del proprieta- rio. L’attore, al contrario, aveva sostenuto il persistente vigore del contratto di locazione con il convenuto, xxxxxx´ quest’ultimo aveva acquistato l’immobile non da esso locatore, ma da un terzo, proprietario dello stesso ma estraneo al rapporto di locazione:
Quando colui che e` convenuto in giudizio come conduttore per la restituzione della cosa locata assume e dimostra di essere lui il proprietario della stessa, per averla acquistata dall’effettivo precedente proprietario e contesta, nell’attore, la vantata qualita` di locatore, negando che il medesimo avesse mai avuto la facolta` di disporre della cosa, in questo caso il convenuto fa valere un diritto proprio, incompatibile con quello vantato dalla parte attrice: in tale ipotesi, quest’ultima, ai fini dell’azione proposta, non puo` limitarsi ad invocare l’esistenza di un contratto di locazione ed a dedurre la irrilevanza del fatto che il convenuto avesse acquistata la proprieta` dell’immobile dal proprietario non locatore, ma deve dedurre e dimostrare l’esisten- za, oltre che della locazione, di un titolo che gli abbia attribuita la facolta` di disporre della cosa che assume da lui locata, e della quale non e` mai stato, ne e`, proprietario, deve cioe` provare la legittimita` della sua qualita` di locatore. Ne´ il convenuto come conduttore deve, per intanto, restituire la cosa locata, salvo ad esperire, poi, l’azione di revindica, in quanto, invece, egli puo` far valere i diritti che gli derivano dall’ac- quisto della cosa stessa, oltre che in via di azione, anche in via di eccezione, per neutralizzare la domanda di restituzione del bene da parte del preteso locatore (Xxxx. 16 maggio 1964, n. 1195, GC, 1964, I, 2046).
Un’ipotesi anch’essa peculiare, infine, si e` prospettata in un caso in cui il locatore di cosa altrui aveva alienato la medesima al conduttore in pendenza del rapporto di locazione:
Il locatore che non sia anche proprietario del bene locato, ove lo venda al conduttore consapevole di tale situazione del bene, stipula una vendita di cosa altrui, valida a norma dell’art. 1478 c.c., ma conseguentemente non pone in essere un negozio idoneo a determinare un immediato effetto traslativo della proprieta` del bene, cosic- che´ la locazione di esso non si estingue per confusione, ossia per riunione nella stessa persona di due qualita` fra di loro incompatibili: quelle di proprietario e di conduttore del bene locato
(Cass. 4 febbraio 0000, x. 000, XXX, 0000, X, 000; GC, 1980, I, 1084).
Ne segue che nei confronti del conduttore, che non aveva piu` corrisposto il canone, il contratto di locazione poteva essere risolto per inadempimento.
3.4.2. La tutela del conduttore nella locazione di cosa altrui
LEGISLAZIONE c.c. 1571, 1575
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
Una volta stipulato il contratto di locazione di cosa altrui, come tale valido ed efficace, puo` accadere che il locatore non adempia, perche´ impossibilitato, l’obbli-
3.4.2 LA LOCAZIONE
gazione di consegna di cui all’art. 1575, n. 1, c.c., ovvero che il conduttore, dopo la consegna, perda il godimento della cosa locata per fatto del dominus.
Ebbene, se l’impegno contrattuale non viene attuato in quanto l’esercizio della pretesa da parte del terzo proprietario lo rende inattuabile, non v’e` dubbio che la tutela del conduttore debba restare affidata al consueto rimedio della risoluzione per inadempimento, con il conseguente eventuale risarcimento del danno, ai sensi della regola generale posta dall’art. 1453 c.c. (Mirabelli 1972, 277; Xxxxx 1972, 183;
Provera 1980, 90; Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 80).
Cio` indipendentemente dalla conoscenza dell’altruita` della cosa da parte del con- duttore al momento della stipulazione, se non per gli effetti del contenimento del danno nei limiti della prevedibilita` ai sensi dell’art. 1225 c.c. (Xxxxxxxxx 1972, 277), giacche´ tale conoscenza non fa venir meno il connotato di inadempimento della condotta posta in essere dal locatore, il quale viene meno all’osservanza dell’obbli- gazione fondamentale di far godere la cosa locata. Parimenti nulla rileva l’eventualita` che sia il locatore ad ignorare l’altruita` della cosa locata, giacche´ l’inadempimento, secondo l’art. 1218 c.c., e` escluso non gia` dalla buona fede, bens`ı dalla non impu- tabilita` (Xxxxx 1972, 183).
Distinta questione e` se il conduttore che, al momento della stipulazione, abbia ignorato l’altruita` della cosa, della quale venga a conoscenza in costanza di rapporto, possa avvalersi di un qualche rimedio. E` ben comprensibile, infatti, che, pur dinanzi
all’attuale regolarita` di svolgimento del vincolo, altra cosa e` sapere che esso non subira` legittime aggressioni da parte del dominus piuttosto che rimanere esposti allo specifico rischio di una sua eventuale reazione. Ed infatti, la ragione da taluni addotta, nel vigore del c.c. 1865, a sostegno della tesi dell’invalidita` della locazione di cosa altrui stava proprio in cio`, che il conduttore ignaro potesse rimanere comun- que vincolato all’adempimento delle obbligazioni sorgenti dal contratto.
Si e` dunque invocata l’applicazione analogica dell’art. 1479 c.c., posto in tema di vendita di cosa altrui, il quale stabilisce che il compratore in buona fede puo` domandare la risoluzione del contratto (Xxxxxxx 1961, 104 ss.). Ma la tesi non sembra condivisibile, per la gia` evidenziata differenza strutturale tra la vendita, contratto ad efficacia reale, e la locazione, contratto ad efficacia obbligatoria. Il punto e` stato con chiarezza evidenziato:
Nel caso della vendita, infatti, l’effetto normale e tipico e`, secondo la norma generale dell’art. 1376 c.c., il trasferimento immediato e diretto della proprieta` della cosa venduta in dipendenza del perfezionamento stesso del contratto. Chi, dunque, conclude un contratto traslativo quale e` per eccellenza la compravendita, nutre la legittima aspettativa di divenire proprietario del bene nell’attimo stesso in cui vi sia il consenso delle parti legittimamente manifestato. La mancata produzione dell’effetto traslativo rende il venditore inadempiente: risulta, quindi, che la norma dell’art. 1479 c.c. non e` altro che la coerente applicazione alla compravendita dei principi della risoluzione per inadempimento. Tali principi non possono, tuttavia, trovare applicazione nel caso della locazione, perche´ il locatore non e` affatto inadempiente alla sua obbligazioni tipica se, pur privo della legittimazione a disporre, consegna la cosa al conduttore e di fatto gliene assicura il godimento
(Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 82).
CAPITOLO III - LE PARTI 3.4.2
Altri hanno ipotizzato il ricorso all’art. 1461 c.c., che legittima ciascun contraente a sospendere l’esecuzione della prestazione in presenza di un mutamento delle condi- zioni patrimoniali dell’altro contraente che ponga in evidente pericolo il consegui- mento della controprestazione: il rischio che l’interesse contrattuale rimanga pregiu- dicato per iniziativa del dominus potrebbe dunque essere interpretato, secondo quest’impostazione, quale mutamento nel senso voluto dalla norma (Xxxx 1974, 935). La soluzione pero` sembra palesemente forzata, giacche´ la situazione di difetto di legittimazione del locatore non sopravviene alla stipulazione del contratto, ma preesiste ad essa (Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 82).
Va poi verificata l’applicabilita` alla materia dell’art. 1338 c.c., secondo cui la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidita` del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte, e` tenuta a risarcire il danno deter- minato dall’avere quest’ultima confidato incolpevolmente nella validita` del contratto. Neppure questa disposizione sembra utilizzabile, dal momento che, in caso di loca- zione di cosa altrui non si versa in ipotesi di invalidita` del contratto (contra Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 87).
Il rimedio pertinente, allora, e` da ritenere sia soltanto quello della impugnazione per vizio del consenso: dolo o errore secondo i casi (Xxxxxxxxx 1972, 277; Xxxxx 1972, 183 s.). Per quanto attiene all’ipotesi del dolo, l’applicazione dell’art. 1439 c.c. non pare incontrare ostacoli: se il conduttore abbia creduto di prendere in locazione la cosa dal proprietario, ovvero dal titolare di un diritto sulla medesima comprendente la facolta` di locare, in conseguenza dei raggiri posti in essere dall’altro contraente – raggiri che rimangono integrati anche dalla semplice dichiarazione mendace (Xxxxxxxxx e Pado- vini 2001, 83) –, egli potra` pretendere l’annullamento per dolo, trattandosi di dolo determinante (Xxxxx 1972, 183).
Piu` complesso e` il caso che il locatore non abbia dichiarato di locare in qualita` di proprietario od in altra idonea: il problema, in quest’ipotesi, attiene all’annullamento per errore, giacche´, secondo alcuni, l’ignoranza dell’altruita` della cosa non potrebbe essere configurata quale errore essenziale, ai sensi dell’art. 1429 c.c., non cadendo sulla natura o sull’oggetto del contratto (Provera 1980, 90). Viceversa, altri ritengono appunto trattarsi di error in natura, ex art. 1429, n. 1, c.c.,
in quanto la locazione di cosa di cui il locatore possa disporre e` un contratto di natura diversa dalla locazione aleatoria a non domino
(Xxxxx 1972, 184).
La soluzione lascia perplessi, giacche´ la stipulazione del contratto di locazione non richiede, come si e` avuto modo di ripetere, che il locatore sia proprietario della cosa locata: sicche´ la titolarita` di tale qualita` –o di altra che conferisca la facolta` di locare – non incide sull’atteggiarsi del contratto.
Xxxxxxxxx, puo` convenirsi, sebbene utilizzando lo strumento dell’interpretazione estensiva, sulla qualificazione dell’errore in discorso quale error in adiecto :
L’« oggetto del contratto» deve qui intendersi, certamente, in senso diverso da quello di « cosa che formano oggetto del contratto», perche´ l’errore sull’identita` o sulle qualita` della prestazione e` gia` preso in considerazione dal numero due dell’art. 1429 c.c.
3.5 LA LOCAZIONE
Pertanto, in riferimento all’« oggetto» contenuto nel numero uno dell’art. 1429 c.c. non sta a significare la res di cui con il contratto si dispone
(Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 86).
Ma, a ben vedere, la disciplina dettata dall’art. 1429 c.c. offre un’ipotesi di annul- lamento per errore assai piu` confacente, laddove menziona, al n. 3, « le qualita` della persona dell’altro contraente»:
Per qualita` della persona deve intendersi tutto cio` che di una persona puo` essere affermato, e poi verificato, in un giudizio di corrispondenza alla realta`, ossia in termini di vero/non vero; ovviamente l’oggetto del giudizio di verita` deve altres`ı avere, nella vita degli scambi, una rilevanza [...] ora, com’e` ovvio, non c’e` qualita` che abbia piu` rilevanza giuridica di quella di essere o non essere proprietario
(Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 87).
Il conduttore, dunque, puo` senz’altro trovare nell’art. 1429, n. 3, c.c., l’idoneo strumento di tutela in caso di errore semplice, non determinato dai raggiri della controparte.
3.5. Il proprietario
LEGISLAZIONE c.c. 1571
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
L’esame della locazione di cosa altrui ha consentito di evidenziare due importanti aspetti.
Da un lato, e` emerso che per la valida ed efficace stipulazione del contratto di locazione non occorre che il locatore abbia la proprieta` della cosa locata, ovvero sia su di essa titolare di un diritto che comprenda la facolta` di locarla: e` dunque errato discorrere, in tal senso, di legittimazione a locare, intesa quale requisito di validita` od anche soltanto di efficacia del contratto.
Dall’altro lato, si e` chiarito che per il conduttore non e` indifferente prendere la cosa
in locazione da un soggetto che sia oppure non sia titolare di un diritto che com- prenda la facolta` di locarla: solo in quest’ultimo caso, a differenza del primo, egli sara` esposto al rischio di fondate interferenze da parte del dominus.
Ed allora, puo` utilizzarsi l’espressione « legittimazione a locare» – e lo si e` gia` fatto – in senso atecnico, per distinguere le ipotesi di titolarita`, da parte del locatore, di un diritto che comprenda la facolta` di locare da quelle in cui il locatore, pur potendo validamente ed efficacemente stipulare, non ponga pero` il conduttore al riparo delle iniziative del dominus.
In questa disamina viene intuitivamente in discussione, per prima, la figura del proprietario. Questi puo` godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, ai sensi dell’art. 832 c.c. E, nell’esercizio del dominio, puo` senz’altro concedere il godimento ad altri della medesima, s`ı da ricavarne i frutti civili, tra i quali l’art. 820 c.c. annovera proprio « il corrispettivo delle locazioni».
CAPITOLO III - LE PARTI 3.5.1
Xxx` detto, occorre evidenziare le ipotesi in cui lo stesso proprietario non e` legittimato a locare, nel senso anzidetto. Procedendo ad una sintetica elencazione, si puo` dire che il proprietario difetta di « legittimazione a locare»:
(a) quando sulla cosa concorre un diritto di superficie, enfiteusi, usufrutto, poiche´ in tal caso la « legittimazione a locare» spetta al titolare del diritto reale di godimento; (b) quando sulla cosa concorre un diritto di uso o di abitazione, poiche´ in tal caso il godimento della cosa spetta all’usuario o all’abitator, ancorche´ questi ultimi a loro volta, non siano legittimati a locare;
(c ) quando sulla cosa concorra un diritto di servitu`: in questo caso il difetto di
« legittimazione a locare» e` limitato, nel senso che il proprietario puo` concedere la cosa in locazione, ma solo imponendo al conduttore di rispettare la servitu`;
(d ) quando la cosa sia oggetto di espropriazione forzata immobiliare: in tal caso – che si e` esaminato in precedenza al § 3.3.8 – il difetto di legittimazione discende dal combinato disposto degli artt. 560, 2o co., c.p.c. e 2923 c.c.
3.5.1. La « legittimazione a locare» del proprietario ed il divieto convenzionale di locare
LEGISLAZIONE c.c. 1379
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
Il tema del difetto di « legittimazione a locare» del proprietario – nel senso atecnico che si e` detto – deve essere ulteriormente affrontato in riferimento al tema del divieto convenzionale di locare eventualmente assunto da quest’ultimo.
Il divieto si presenta sovente contenuto nei regolamenti di condominio, sia come divieto assoluto di locare, sia come divieto di locare a determinati usi e, risolvendosi in una limitazione del diritto di proprieta` di ciascun condomino, puo` derivare esclu- sivamente da un regolamento contrattuale, come tale impegnativo per tutti i con- traenti, giacche´, altrimenti, opera il principio stabilito dall’art. 1138 c.c., secondo cui:
Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino quale risulta dagli atti di acquisto o dalle convenzioni
(art. 1138 c.c.).
Viceversa, qualora il divieto sia contenuto in un regolamento contrattuale, il condo- mino ex xxxx’altro tenuto ad osservarlo, mentre sorge il diverso e piu` impegnativo problema della sua operativita` nei confronti del conduttore al quale il condomino abbia concesso in locazione la cosa in violazione del divieto.
In proposito, un decisivo argomento si trae dall’art. 1379 c.c., il quale stabilisce che
« il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti». Sicche´, ove si consideri che la norma e` espressione di un principio di portata generale, applicabile ad ogni vincolo di destinazione che comporti una incisiva limitazione del diritto di proprieta` (Cass. 17 novembre 1999, n. 12769, RN, 2000, 369; Cass. 11 aprile 1990,
n. 3082, RDCo, 1992, II, 485), si puo` senz’altro affermare che:
3.5.1 LA LOCAZIONE
Il divieto di locazione ha valore solo inter partes : in caso di violazione del divieto la parte che di esso beneficiava potra` domandare il risarcimento del danno, conside- rando inadempiente la controparte che la proibizione aveva accettato, ma nulla puo` fare contro il terzo che fruisce degli effetti di un atto posto in essere in contrasto con il divieto. Ne consegue che il beneficiario di un divieto di locare non puo` agire direttamente nei confronti del conduttore, per far valere contro di lui un preteso difetto di legittimazione del proprietario locatore. Nel caso in esame, infatti, il divieto di locare non fa venir meno in assoluto la legittimazione del proprietario, ma gli impone soltanto, sul piano obbligatorio, di non farne uso
(Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 94).
Secondo questa impostazione, dal momento che il divieto convenzionale di locare ha efficacia soltanto obbligatoria, la tutela del condominio nei confronti del condomino resta affidata all’azione di risarcimento danni (Provera 1980, 86 e 95). Occorre pero` anche considerare che, secondo la giurisprudenza, divieti quali quello menzionato, ove contenuti in un regolamento contrattuale, assumono il rilievo di oneri reali ovvero di servitu` reciproche: e da cio` discende il difetto di « legittimazione a locare» del condomino assoggettato al divieto, nei termini cui si e` accennato nel precedente paragrafo per l’ipotesi della proprieta` gravata da servitu`. In tal senso, dunque, si afferma che:
Nel caso di violazione del divieto contenuto in un regolamento condominiale con- trattuale di destinare i singoli locali di proprieta` esclusiva dell’edificio condominiale a determinati usi (nella specie: divieto di esercitare attivita` commerciale) il condominio puo` richiedere anche nei diretti confronti del conduttore del locale di proprieta` esclusiva la cessazione della destinazione abusiva
(Cass. 21 marzo 1994, n. 2683, MGC, 1994, 354).
Nella motivazione, infatti, la Suprema Corte pone in evidenza che il divieto con- venzionale di locare – o, nel caso esaminato, il limite imposto alla destinazione tipologica della cosa locata – si traduce in un vero e proprio gravame sulla proprieta` del condomino:
Le limitazioni all’uso delle unita` immobiliari in proprieta` esclusiva, derivanti dal regolamento contrattuale di condominio, in quanto costituiscono oneri reali o ser- vitu` reciproche (Cass. 30 luglio 1990, n. 7003; Cass. 7 marzo 1983, n. 1681; Cass. 17 novembre 1979, n. 5885) afferiscono immediatamente alla cosa e riguardano, ad un tempo, il proprietario ed il conduttore. Secondo la giurisprudenza, il proprietario dell’unita` immobiliare deve osservare le disposizioni del regolamento contrattuale di condominio, che limitano il suo diritto di proprieta` esclusiva. Tali limitazioni pos- sono consistere nel divieto di dare alle singole unita` immobiliari del condominio una o piu` destinazioni possibili, sicche´, nel caso di violazione, il condominio puo` chie- dere nei confronti del proprietario la cessazione della attivita` abusiva (Cass. 6 dicem- bre 1984, n. 6397). Nel caso di violazione di una clausola del regolamento di condominio, che stabilisca il divieto di destinazione dei singoli locali a determinati usi, il condominio puo` richiedere nei diretti confronti del conduttore la cessazione della destinazione abusiva
(Cass. 21 marzo 1994, n. 2683, MGC, 1994, 354).
CAPITOLO III - LE PARTI 3.5.1
In altre pronunce, invece, la soggezione del conduttore al divieto convenzionale di locare pare trovare argomento nel rilievo che egli non puo` trovarsi, rispetto al condominio, in posizione diversa da quella del condomino-locatore (Cass. 6 dicem- bre 1984, n. 6397, RGE, 1985, I, 436; ALC, 1985, 269; AC, 1985, 1008; Cass.
27 gennaio 1997, n. 825, ALC, 1997). La piu` recente delle decisioni e` sintetizzata in una massima che riproduce alla lettera quella estratta dalla piu` antica:
Nel caso di violazione di disposizioni legittimamente contenute nel regolamento condominiale che stabiliscano il divieto di destinare i singoli locali dell’edificio a determinati usi, il condominio puo` chiedere nei diretti confronti del conduttore di un appartamento del fabbricato condominiale la cessazione della destinazione abu- siva e l’osservanza in forma specifica delle istituite limitazioni, in quanto il con- duttore non puo` trovarsi, rispetto al condominio, in posizione diversa da quella del condomino suo locatore, e cio` alla unica condizione che sia approvata l’operativita` della clausola limitativa, o, in altri termini, la sua opponibilita` al condomino locatore
(Cass. 27 gennaio 1997, n. 825, ALC, 1997, 431).
Ebbene, la massima trascritta ben puo` essere inquadrata nel deprecabile fenomeno, altrove ricordato (v. § 3.4.1.1), delle « massime mentitorie». Difatti, nella vicenda esaminata, il condominio aveva agito in giudizio nei confronti tanto del condomino- locatore quanto del conduttore, lamentando l’adibizione dell’immobile ad uso vie- tato dal regolamento condominiale. Il conduttore si era difeso negando, appunto, di essere tenuto all’osservanza del regolamento, il che il Tribunale, in primo grado, aveva pienamente riconosciuto, accogliendo la domanda del condominio esclusiva- mente nei confronti del condomino-locatore. Il giudice di appello, ferma quella statuizione, aveva accolto la domanda di manleva spiegata dal condomino-locatore nei confronti del conduttore. Proposto ricorso per cassazione da quest’ultimo, la Suprema Corte, dopo aver citato la massima che precede, ha proseguito:
Precisato cio`, la corte d’appello osserva essere destinatario della norma del regola- mento condominiale il solo condomino e non anche il conduttore, il quale non risponde della violazione della norma regolamentare se non nell’ambito del contratto di locazione, giacche´ l’obbligo di rispettare il regolamento viene assunto soltanto verso il locatore e non anche nei confronti degli altri condomini. Pertanto, F.M. [il conduttore: n.d.a.] non poteva considerarsi tenuto nei confronti del condominio; certamente doveva considerarsi tenuto nei confronti del locatore X., avendo il con- duttore accettato, con il contratto di locazione [...], di osservare il regolamento di condominio, secondo cui i locali potevano essere concessi per il solo uso di studio professionale
(Cass. 27 gennaio 1997, n. 825, ALC, 1997, 431).
Insomma, la Suprema Corte ha fatto propria, alla lettera, una massima in cui e` affermato il principio che il condominio puo` agire direttamente nei confronti del conduttore per confermare una sentenza che aveva al contrario negato la soggezione del conduttore all’iniziativa giudiziale del condominio.
Ma, al di la` della non pertinenza della massima, preme sottolineare che essa esprime
3.5.1 LA LOCAZIONE
un principio fortemente discutibile, se non palesemente errato. Nell’affermazione che « il conduttore non puo` trovarsi, rispetto al condominio, in posizione diversa da quella del condomino suo locatore» (Xxxx. 6 dicembre 0000, x. 0000, XXX, 0000, X, 000; ALC, 1985, 269; AC, 1985, 1008; Cass. 21 settembre 1988, n. 5189, ALC,
1989, 55; Cass. 27 gennaio 0000, x. 000, XXX, 0000; Trib. Milano 6 febbraio
1992, ALC, 1992, 619; Trib. Milano 16 settembre 1993, ALC, 1994, 603) si cela l’idea che l’acquisto della qualita` di conduttore obbedisca ad un meccanismo di derivazione costitutiva che, invece, e` escluso dalla dottrina e negato dalla stessa giurisprudenza, come si e` chiarito nell’affrontare il tema della locazione di cosa altrui: dire che il conduttore e` soggetto al medesimo divieto convenzionale di locare gra- vante sul condomino-locatore e` affermazione altrettanto errata di quella che volesse negare la qualita` di conduttore a colui che abbia preso la cosa in locazione da chi ne aveva soltanto la materiale disponibilita`.
Nondimeno, la medesima erronea affermazione si trova incidentalmente ripetuta in una pronuncia con la quale la Suprema Corte ha affermato che la soggezione del conduttore al divieto di adibire l’immobile ad un determinato uso, stabilito nel regolamento condominiale, non esclude, in caso di violazione del divieto da parte del conduttore, la responsabilita` del condomino-locatore, ove questi non abbia esercitato l’azione di risoluzione del contratto per la mutata destinazione del bene:
Le norme dei regolamenti condominiali che, a tutela dei coesistenti diritti degli altri condomini, pongono limiti all’uso che il condomino possa fare delle unita` immo- biliari di sua esclusiva proprieta` hanno come principali destinatari i singoli condo- mini, quali proprietari degli immobili cui detti limiti, aventi natura reale, ineri- scono. Sicche´, se e` vero che, in caso di locazione di un bene di esclusiva proprieta` di un condomino, il conduttore e` tenuto all’osservanza di quelle norme regolamentari, poiche´ egli, detenendo il bene a nome del condomino-locatore, non puo` trovarsi in una posizione giuridica diversa da quella del condomino-locatore, non e`, pero`, men vero che, per cio` stesso, non viene meno la responsabilita` del condomino verso il condominio per l’eventuale inosservanza delle norme regolamentari da parte del conduttore. Il condomino, siccome principale destinatario delle norme regolamen- tari, si pone nei confronti della collettivita` dei condomini, non solo come respon- sabile delle sue dirette violazioni di quelle norme, ma anche come responsabile delle violazioni connesse dal conduttore del suo bene, se ed in quanto agevolate da sua culpa in eligendo o da sua culpa in vigilando o, comunque, dall’omissione di tutto quanto sia esigibile da lui, quale proprietario-locatore, « per far cessare lo stato antigiuridico, vale a dire porre termine al rapporto locativo» o, « quanto meno, condizionarlo al rigoroso rispetto delle violate prescrizioni condominiali» (Xxxx. 15 marzo 1973, n. 750). La responsabilita` del proprietario-locatore verso il condo- minio, indubbiamente di natura contrattuale in considerazione della natura delle norme regolamentari violate, e` certamente una responsabilita` personale, trovando un limite nel fondamentale principio, che informa la norma posta dall’art. 1218 c.c., della inimputabilita` al debitore della causa di inadempimento attribuibile esclusivamente a fatto del terzo. Pur tuttavia, quando, come nel caso in esame, il terzo sia, a sua volta, vincolato da un obbligo contrattuale assunto nei confronti del
CAPITOLO III - LE PARTI 3.5.1
debitore, questi, xxxxxx´ possa dirsi adempiente agli obblighi assunti verso il con- dominio, e` tenuto, non solo a trasferire sul terzo conduttore quegli obblighi, ma anche a prevenire la violazione di esse da parte del conduttore, a vigilare sulla condotta dello stesso ed a sanzionarne le violazioni mediante la cessazione del rapporto
(Cass. 29 agosto 1997, n. 8239, GI, 1998, 1340; ALC, 1997, 986).
Una sensibile confusione di nozioni emerge anche nella decisione che segue, con cui la Suprema Corte ha ritenuto di desumere la soggezione del conduttore al regola- mento condominiale dall’osservazione – la cui pertinenza non sembra evidente – che il condomino-locatore mantiene tramite lui il possesso della cosa:
Non e` esatto [...] che un condominio non possa agire contro il conduttore di altre unita` immobiliari per l’uso da questi fatto delle cose comuni (di cui ha la detenzione qualificata derivantegli dalla posizione di avente causa dal suo locatore) non confor- me ai principi di cui all’art. 1102 c.c. o, in ipotesi, al regolamento condominiale. Basti pensare che il proprietario « possiede» a mezzo del conduttore, per cui potreb- be, attraverso il potere di fatto esercitato da questi, mutare il titolo del « suo» possesso in danno degli altri condomini, conseguentemente legittimati a far cessare l’esercizio del potere di fatto del conduttore, loro pregiudizievole
(Cass. 6 aprile 1991, n. 3600, ALC, 1991, 533; RGE, 1992, I, 309).
Ribadito che il divieto convenzionale di locare opera invece esclusivamente inter partes, salvo non si risolva in una servitu`, e cos`ı in una limitazione della « legittima- zione a locare», occorre aggiungere che la prova dell’operativita` del divieto grava sul condominio che lo invoca:
Colui il quale, agendo nei confronti del conduttore di un immobile sito in edificio condominiale, ponga a fondamento della domanda la pretesa violazione di una norma del regolamento del condominio, ha l’onere di fornire la prova dell’opera- tivita` della norma stessa. Conseguentemente il conduttore-convenuto legittima- mente puo` rilevare, nelle sue difese, la mancata approvazione del regolamento che, quale condizione costitutiva dell’esperita azione, deve essere considerata dal giudice d’ufficio
(Cass. 7 agosto 1982, n. 4444, ALC, 1983, 396; Cass. 21 settembre 1988, n. 5189, ALC,
1989, 55).
Quanto ai rapporti tra il condomino-locatore ed il conduttore, un giudice di merito ha avuto occasione di chiarire che la clausola di un contratto di locazione che richiami la disposizione del regolamento condominiale comportante il divieto di adibire ad un certo uso l’unita` immobiliare non ha natura vessatoria e pertanto non deve espressamente essere approvata e sottoscritta ex artt. 1341 e 1342 c.c. (Trib. Milano 6 febbraio 1992, ALC, 1992, 619).
Ed infine, merita ricordare che il vincolo contrattuale che impone di conservare all’appartamento di proprieta` del singolo l’originaria destinazione – nel caso esa- minato quella di alloggio del portiere – e`, secondo una pronuncia, soggetto a prescrizione estintiva per mancato esercizio (App. Genova 4 ottobre 1989, NGCC, 1991, I, 24).
3.5.2 LA LOCAZIONE
3.5.2. Il proprietario non locatore
LEGISLAZIONE c.c. 1571
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972
Nell’esaminare il tema della locazione di cosa altrui si e` gia` sottolineato che la sua peculiarita` sta nell’inopponibilita` al dominus, il quale e` percio` legittimato ad intra- prendere nei confronti del conduttore le azioni reali dirette a recuperare la disponi- bilita` della cosa locata. Il che gli consente, inoltre, di interferire con le iniziative giudiziarie intraprese dal locatore di cosa altrui. Ad esempio:
Qualora il locatore di cosa altrui agisca contro il conduttore per conseguire, attra- verso lo sfratto, la restituzione del bene, al proprietario, in quanto titolare del diritto di possedere e godere il bene medesimo in via esclusiva, deve riconoscersi la facolta` non solo di fare opposizione di terzo, ai sensi dell’art. 404 c.p.c., avverso la sentenza che provvedendo su detta domanda pregiudichi il suo diritto, ma anche di parteci- pare al procedimento in corso con intervento autonomo ad excludendum, ai sensi dell’art. 105, 1o co., c.p.c., per ottenere nei confronti di entrambi i contendenti una pronuncia che gli riconosca l’indicato diritto
(Cass. 22 settembre 1978, n. 4255, ined.).
Viceversa, il proprietario non locatore, essendo terzo rispetto al contratto, non e` titolare delle azioni che da esso sorgono. La natura personale del rapporto di loca- zione, infatti,
comporta che, per tutte le controversie relative al rapporto stesso [...] la legitimatio ad causam va riconosciuta esclusivamente al locatore medesimo, ancorche´ persona di- versa dal proprietario. Ne consegue l’improponibilita` della [...] domanda [...] avan- zata dal proprietario non locatore nei confronti del conduttore
(Cass. 26 giugno 1982, n. 3856, ined.).
Puo` ribadirsi, dunque, in linea generale, che
nelle controversie relative al rapporto di locazione [...] l’indagine sulla legittimazione attiva attiene, non alla qualita` di proprietario del bene, ma a quella di locatore, che non deve necessariamente identificarsi con la persona del proprietario
(Cass. 17 gennaio 1983, n. 358, GI, 1983, I, 1, 888).
Diverso, naturalmente, e` il caso che il proprietario della cosa, pur non avendo stipulato il contratto di locazione, rivesta comunque il ruolo di locatore, o per averlo acquistato ab origine o nel corso del rapporto. E`, cioe`, titolare dei diritti sorti
dal contratto il comproprietario che non abbia personalmente stipulato il contratto
– come si vedra` tra breve – ovvero l’acquirente della cosa locata, quale successore a titolo particolare nel rapporto, ai sensi degli artt. 1599 ss. c.c.
Particolare, poi, e` la situazione del proprietario che abbia conferito ad un terzo il mandato senza rappresentanza a concedere un suo immobile in locazione. In tal caso, la qualita` di locatore compete al rappresentante, ai sensi del principio sancito dall’art. 1705, 1o co., c.c. Tuttavia il proprietario non locatore puo`, in questo caso, acquistare
CAPITOLO III - LE PARTI 3.5.2
la veste di parte del contratto ai sensi del 2o co. della stessa disposizione. Difatti, l’espressione « diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato», contenuta nell’art. 1705, 2o co., c.c.,
deve intendersi riferita a qualsivoglia categoria di diritti derivanti da un rapporto obbligatorio posto in essere dal mandatario nell’interesse del mandante
(Cass. 4 giugno 1980, n. 3626, ined.),
tanto da consentirgli l’azione di rilascio. E` stato dunque affermato, e successivamente ribadito (Cass. 22 aprile 1995, n. 4587, MGC, 1995, 904), che:
Il proprietario di un immobile locato ad un terzo da un suo mandatario senza rappresentanza puo`, nel revocare il mandato, e sostituendosi al mandatario, esercitare ex art. 1705, 2o co., c.c., ogni diritto di credito derivante dal rapporto obbligatorio posto in essere e quindi anche il diritto a ricevere il pagamento dei canoni diretta- mente da parte del conduttore ed e` legittimato ad agire in giudizio nei confronti di costui per la realizzazione di tale diritto
(Cass. 19 febbraio 1993, n. 2029, RGE, 1994, I, 60; ALC, 1993, 518).
Sviluppando ancora il medesimo tema della locazione stipulata dal mandatario senza rappresentanza, occorre ricordare che nel periodo vincolistico (v. Cap. I, § 1.3.1) il locatore poteva sottrarre il rapporto locativo al regime di xxxxxxx, in alcune ipotesi individuate dalla legge, adducendo la necessita` di disporre dell’immobile per desti- narlo al proprio uso (art. 4, l. 23 maggio 1950, n. 253). Poteva accadere, allora, che, essendo stata stipulata la locazione dal mandatario senza rappresentanza, il proprie- tario-mandante intendesse far cessare la proroga per necessita` propria e non del mandatario-locatore: sicche´ sorgeva il quesito dei limiti entro cui il proprietario non locatore potesse far valere ragioni proprie a giustificazione della pretesa. Anche oggi un analogo quesito puo` porsi nel caso del diniego di rinnovazione alla prima scadenza (artt. 28 e 29 l. eq. can.; art. 3 l. loc. ab.) addotto dal proprietario non locatore.
Il fenomeno evidenziato esorbita dal ristretto l’ambito della questione esaminata dalla Suprema Corte e possiede un piu` generale interesse pratico. Accade infatti frequentemente, nell’ambito dei rapporti familiari, che l’immobile venga locato in nome proprio da un congiunto dell’effettivo proprietario. In tal caso ci si puo` trovare dinanzi ad un contratto stipulato da un soggetto che abbia agito sulla base di un
mandato fiduciario ricevuto dal proprietario del bene, cos`ı diretta ed esclusiva, la qualita` di locatore.
Di qui l’utilita` di rammentare il responso che segue:
da acquistare, in via
Nell’ipotesi di contratto di locazione di un immobile stipulato in nome proprio dal mandatario, su incarico fiduciario del proprietario del bene, quest’ultimo – ai fini della legittimazione all’azione di opposizione alla proroga legale della locazione ex art. 4 l. n. 253 del 1950, la quale postula la qualita` di parte del rapporto locativo e la titolarita` di un diritto attuale al godimento dell’immobile – come non puo` invocare e giovarsi degli effetti propri della rappresentanza per difetto di contemplatio domini, cos`ı non puo` sostituirsi all’ex mandatario (parte formale del contratto) nella posizio-
3.6 LA LOCAZIONE
ne di locatore, ove non abbia proceduto mediante la revoca anche tacita del mandato fiduciario all’assunzione della gestione diretta del rapporto di locazione
(Cass. 5 dicembre 1985, n. 6098, ined.).
Al contrario, con la revoca del mandato fiduciario e la gestione diretta del rapporto, assentita dal conduttore, il proprietario non locatore puo` conseguire,
oltre la ratifica degli atti compiuti dal mandatario senza rappresentanza, relativamen- te agli effetti pregressi di essi, anche la sostituzione all’ex mandatario, parte formale del contratto, nella posizione di locatore. Ne´ l’operativita` di siffatta modificazione soggettiva richiede che sia espressa in forma scritta la revoca del mandato, ravvisabile, ai sensi dell’art. 1724 c.c., allorquando il mandante provveda egli stesso alla cura del negozio in precedenza affidato al mandatario, ovvero l’assenso del conduttore, che ben puo` desumersi da un suo comportamento univocamente concludente
(Cass. 28 febbraio 1983, n. 1508, ined.).
Si puo` dunque dire che, se nel corso della locazione il proprietario ha assunto direttamente la gestione del rapporto, riscuotendo i canoni, rilasciando ricevute, inviando disdette e quant’altro, tale condotta assume il rilievo di revoca del mandato fiduciario originariamente conferito, con la conseguenza che, in mancanza di oppo- sizione da parte del conduttore, il quale abbia implicitamente accettato tale muta- mento, il proprietario medesimo, non solo ratifica gli atti precedentemente compiuti dal mandatario senza rappresentanza, ma si sostituisce all’ex mandatario, assumendo egli stesso le vesti del locatore.
3.6. Il comproprietario locatore e l’amministrazione della comunione
LEGISLAZIONE c.c. 1103, 1105
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxx 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
Nell’esaminare l’argomento della locazione di cosa appartenente a piu` persone in comunione pro indiviso occorre dire, in primo luogo, che:
Ciascun partecipante puo` disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota
(art. 1103, 1o co., c.c.),
dunque puo` locare la quota (da ult. Cass. 11 gennaio 2001, n. 330, RLC, 2002, 172).
Quanto alla disciplina dell’amministrazione della comunione, l’art. 1105 c.c. stabili- sce che:
Tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune
(art. 1105, 1o co., c.c.),
ponendo, per l’amministrazione ordinaria, la regola della deliberazione maggioritaria:
CAPITOLO III - LE PARTI 3.6
Per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente
(art. 1105, 1o co., c.c.).
Con il riferirsi alle « deliberazioni della maggioranza», dunque, il codice civile stabi- lisce una procedura collegiale da utilizzarsi al fine dell’amministrazione della cosa comune: cio` vuol dire che il comproprietario maggioritario, ovvero quei partecipanti alla comunione che raggiungono la maggioranza delle quote, non possono compiere atti di amministrazione senza che i rimanenti comproprietari abbiano potuto nep- pure interloquire. E, per la validita` delle deliberazioni della maggioranza, e` richiesto che tutti i partecipanti alla comunione siano stati convocati e preventivamente informati della materia della deliberazione (art. 1105, 3o co., c.c.).
Per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sempre che non risultino pregiu- dizievoli all’interesse di alcuno dei partecipanti, e` invece stabilita la maggioranza dei due terzi (art. 1108, 2o co., c.c.), ma la locazione ultranovennale e` equipara- ta agli atti di disposizione e richiede « il consenso di tutti i partecipanti» (art. 1108, 3o co., c.c.).
Sicche´, una volta rammentato che tra locazione ultranovennale e locazione eccedente l’ordinaria amministrazione non vi e` un rapporto biunivoco, nel senso che possono darsi locazioni infranovennali di amministrazione straordinaria (v. § 3.3.1), occorre ammettere tre distinte tipologie locatizie assoggettate a distinti quorum deliberativi: quelle di amministrazione ordinaria, per le quali e` richiesta la maggioranza semplice dei partecipanti alla comunione, calcolata secondo il valore delle quote; quelle in- franovennali di amministrazione straordinaria, per le quali e` richiesta la maggioranza dei due terzi; quelle ultranovennali, per le quali e` richiesta l’unanimita`.
I comproprietari dissenzienti, per parte loro, godono del regime delle impugnative disciplinato dall’art. 1109 c.c.
Nel quadro dell’amministrazione della cosa comune posta in essere dalla comunione mediante il sistema deliberativo delineato dalla legge, la locazione sembra costituire, in generale, destinazione d’uso residuale:
L’uso indiretto della cosa comune, mediante locazione, puo` essere disposto con deliberazione a maggioranza dei partecipanti alla comunione (od, in mancanza, dal giudice, cui ciascuno di questi puo` ricorrere) soltanto quando non sia possibile l’uso diretto dello stesso bene per tutti i partecipanti alla comunione, proporzional- mente alla loro quota, promiscuamente ovvero con sistema di turni temporali o frazionamento degli spazi. Di conseguenza, in mancanza di tali condizioni e` nulla la delibera assembleare che a semplice maggioranza dispone l’uso indiretto della cosa in comunione
(Cass. 22 novembre 1984, n. 6010, ined.).
Puo` tuttavia darsi il caso – ed e` il tema centrale che qui interessa esaminare – che la cosa comune sia concessa in locazione dal singolo comproprietario, non dalla comu- nione previa deliberazione: dunque che il singolo comproprietario assuma la veste di locatore dell’intero. Il che pone il problema della validita` ed efficacia del contratto e
3.6.1 LA LOCAZIONE
degli eventuali rimedi spettanti agli altri comproprietari sia nei confronti del com- proprietario che abbia locato, sia nei confronti del conduttore.
Ebbene, utilizzando le riflessioni finora svolte in tema di « legittimazione a locare» e di locazione di cosa altrui, la locazione stipulata dal comproprietario – non dalla comunione all’esito della deliberazione – parrebbe da inquadrare appunto in que- st’ultimo fenomeno (v. §§ 3.4 ss.): essa, in particolare, sembrerebbe da intendere quale locazione di cosa parzialmente altrui, come tale efficace inter partes, ma inop- ponibile agli altri comproprietari non partecipi della stipulazione (v., p. es., Xxxxx 1972, 192). Questi ultimi, percio`, oltre ad agire per i danni nei confronti del comproprietario locatore, dovrebbero poter rivendicare la cosa nei confronti del con- duttore.
Ben diversa, pero`, e` l’opinione della giurisprudenza.
3.6.1. La costruzione giurisprudenziale del mandato presunto o tacito
LEGISLAZIONE c.c. 1103, 1105
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxx 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
La Suprema Corte afferma costantemente che il singolo comproprietario puo` pro- cedere alla locazione della cosa comune anche senza l’espresso consenso degli altri comproprietari – pure in difetto, cioe`, della previa deliberazione –, agendo nell’in- teresse di tutti in forza di un mandato inteso quale mandato presunto ovvero quale mandato tacito.
Per quanto le due figure finiscano per sfumare l’una nell’altra, esse possono distin- guersi perche´ il mandato presunto sorgerebbe, secondo l’id quod prerumque accidit, della stessa situazione di comunione, mentre il mandato tacito troverebbe fonda- mento sull’inerzia, il disinteresse, in definitiva il silenzio degli altri comproprietari. Seguendo la prima impostazione, la Suprema Corte – in una delle tante pronunce di analogo tenore, recentemente ribadita da Xxxx. 3 marzo 2010, n. 5077, ined., Cass. 18 luglio 2008, n. 19929, VN, 2008, 1432; CorG, 2008, 1543; GC, 2008, I, 2737;
FI, 2009, I, 1167 – ribadisce, riguardo agli immobili oggetto di comunione,
il principio della concorrenza – in difetto di prove contraria – di pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, sulla base della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri
(Cass. 29 agosto 1995, n. 9113, GC, 1995, I, 2818).
Seguendo la seconda impostazione, la giurisprudenza di legittimita` – anche in questo caso ex plurimis – sostiene che il principio per cui il singolo comproprietario e` legittimato a dare in locazione la cosa comune
e` fondato sull’essenziale presupposto che non esista dissenso con gli altri comparte- cipanti alla comunione, trovando cos`ı la sua ragion d’essere nella presunzione di consenso insita nel comportamento passivo dei comproprietari in relazione ad un atto di ordinaria amministrazione della cosa comune, effettuato dal comproprietario
CAPITOLO III - LE PARTI 3.6.1
resosi attivo a tutela dei comuni interessi e cos`ı venuto ad assumere la figura del tacito mandatario
(Cass. 19 aprile 1991, n. 4261, RaEquoC, 1992, 59).
Che il mandato sia presunto o tacito, la Suprema Corte sembra comunque ritenere che tutti i comproprietari divengano parte del contratto di locazione stipulato, quale mandatario presunto o tacito, da uno solo di essi. Sicche´, se uno dei compro- prietari ha stipulato il contratto di locazione, un altro di essi puo` esigere l’adempi- mento delle obbligazioni contrattuali oppure essere chiamato a rispondere delle medesime, ovvero intraprendere le iniziative giudiziarie di volta in volta confacenti, salvo non consti il dissenso della rimanente maggioritaria compagine.
Cos`ı, ad esempio, per quanto attiene alla gestione del rapporto locativo, un com- proprietario diverso da quello che ha stipulato il contratto puo` intimare disdetta (Cass. 19 settembre 2001, n. 11806, MGC, 2001, 1681; Cass. 29 agosto 1995,
n. 9113, GC, 1995, I, 2818; Pret. Cagliari 10 marzo 1993, XXXxxxx, 0000, 620), ovvero, dall’opposto versante, puo` essere dal conduttore chiamato a rispondere del pagamento dell’indennita` per la perdita dell’avviamento commerciale (Cass. 19 aprile 1996, n. 3725, RGE, 1996, I, 911).
Molteplici le pronunce secondo cui ciascun comproprietario – abbia o non abbia egli stesso stipulato il contratto – e` legittimato ad agire in giudizio per il rilascio della cosa locata, trattandosi di atto di amministrazione ordinaria, sia per finita locazione, sia per essersi risolto il contratto per inadempimento, sia per recesso del locatore, od altro, senza che il conduttore possa lamentare la non integrita` del contraddittorio, a meno che i rimanenti condomini non dissentano dall’iniziativa intrapresa (tra le altre Cass. 31 gennaio 2008, n. 2399, FI, 2009, I, 1167; Cass. 5 novembre 1999,
n. 12327, RN, 2000, 475; Cass. 10 agosto 1999, n. 8550, ALC, 1999, 929; Cass.
13 luglio 1999, n. 7416, MGC 1999, 1630; Cass. 29 agosto 1995, n. 9113, GC, 1995,
I, 2818; Cass. 5 aprile 1995, n. 4005, MGC, 1995, 775; Cass. 26 marzo 1983,
n. 2158, ined.). Va, cioe`, secondo la Suprema Corte, tenuto fermo il principio che
ciascuno dei comproprietari, nella presunzione iuris tantum di un consenso degli altri, risulta legittimato ad agire per la cessazione del contratto attinente al godimento dell’immobile oggetto di comunione
(Cass. 28 ottobre 1993, n. 10732, GC, 1994, I, 1939).
E dunque, nel caso d’immobile in comproprieta` ceduto in locazione, ciascun com- proprietario puo` agire per la risoluzione del contratto,
presumendosi il consenso di tutti all’iniziativa volta alla tutela di interessi comuni, salvo che si deduca e si dimostri, a superamento di tale presunzione, il dissenso della maggioranza dei contitolari, nel qual caso e` necessario il preventivo intervento dell’autorita` giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 x.x.
(Xxxx. 00 xxxxxxx 0000, x. 0000, XX, 2009, I, 1167).
Parimenti, riguardo alle diverse ipotesi normative succedutesi nel corso del tempo con le quali e` stato riconosciuto al locatore il diritto potestativo di far cessare il rapporto locativo per destinare l’immobile locato alla soddisfazione di un’esigenza
3.6.1 LA LOCAZIONE
propria – si pensi alle varie disposizioni in tema di recesso per necessita` e di diniego di rinnovazione alla prima scadenza –, sono numerose le pronunce le quali affermano non soltanto che il comproprietario puo` individualmente agire contro il conduttore, ma, soprattutto, che puo` porre un’esigenza esclusivamente propria a fondamento della domanda diretta a provocare la cessazione del rapporto locativo, poiche´ l’esi- genza di uno soltanto (o di alcuni) dei locatori dell’immobile si identifica con quella della parte locatrice complessivamente considerata (Cass. 18 gennaio 2002, n. 537, RLC, 2002, 163; Cass. 19 settembre 2001, n. 11806, MGC, 2001, 1681; Cass.
3 luglio 1989, n. 3175, ined.; Cass. 3 luglio 1989, n. 3174, RaEquoC, 1991, 28;
Cass. 21 gennaio 1989, n. 350, ined.; Cass. 7 febbraio 1987, n. 1309, FI, 1988,
I, 2370; Cass. 29 novembre 1986, n. 7073, ined.; Cass. 28 maggio 1986, n. 3585,
ined., Cass. 20 maggio 1986, n. 3348, RaEquoC, 1986, 250; Cass. 22 febbraio 1985,
n. 1582, ALC, 1985, 472; Cass. 17 gennaio 1983, n. 357, ALC, 1983, 64; AC, 1983,
724, in diverse ipotesi di recesso per necessita` sia dalla locazione abitativa che non abitativa; Cass. 22 maggio 1997, n. 4568, MGC, 1997, 818, in caso di diniego di rinnovazione alla prima scadenza ex artt. 28 e 29 l. eq. can.).
Se, invece, l’esistenza di un mandato presunto o tacito sia smentito dalla volonta` manifestata dagli altri comproprietari e, cioe`, vi sia contrasto tra maggioranza e minoranza, prevale la volonta` della maggioranza, secondo la regola stabilita dall’art. 1105 c.c.
Qualora, poi, si versi in ipotesi di comunione pro parte dimidia, il meccanismo di prevalenza della volonta` della maggioranza diviene inapplicabile ed e` necessario, prima di intraprendere l’azione giudiziaria, il ricorso al Tribunale, ai sensi dello stesso art. 1105 c.c. Cio` perche´
tale dissenso pone in evidenza un contrasto d’interesse fra i comproprietari che non puo` essere risolto, in presenza di uguaglianza delle rispettive quote, con il debito criterio della maggioranza economica secondo i principi vigenti in materia di ammi- nistrazione della cosa comune (art. 1105, 2o co., c.c.), bens`ı comporta di necessita` l’intervento dell’autorita` giudiziaria come previsto dall’ultimo comma del cit. art. 1105, da questo demandandosi al giudice di redimere [...] i conflitti tra condomini in ordine alla opportunita` e necessita` di determinati atti di amministrazione della cosa comune – ed atto di tal genere e` l’esperimento di azione giudiziaria contro il terzo conduttore dell’immobile comune – con la nomina, se del caso, di un ammi- nistratore
(Cass. 19 aprile 1991, n. 4261, RaEquoC, 1992, 59).
E` quindi da escludere, secondo la Suprema Corte, che il singolo comproprietario possa agire per il rilascio quando consti l’esistenza di un contrasto nell’ambito della comunione rispetto all’azione giudiziaria, venendo in tal caso meno la presunzione che l’uno agisca nell’interesse di tutti. Ed in un simile caso,
la mancanza di legittimazione ad agire del singolo comunista in caso di contrasto manifestato dagli altri partecipanti alla comunione, dipende da ragioni non gia` di carattere processuale, ma bens`ı di ordine sostanziale in quanto il potere giuridico di ogni condomino di proporre qualsiasi azione relativa alla gestione ordinaria della cosa
CAPITOLO III - LE PARTI 3.6.1
comune trae origine dal diritto che ciascun compartecipe ha di concorrere all’am- ministrazione della cosa stessa (art. 1105, 1o co., c.c.), ma incontra il suo limite nell’obbligo di rispettare la volonta` della maggioranza, con la conseguenza che, ove questa non possa essere raggiunta, nessuno dei condomini puo` ritenersi autorizzato a proporre azioni giudiziarie di qualsiasi natura tendenti a porre in esercizio il cennato potere di amministrazione
(Cass. 26 febbraio 1992, n. 2363, ined.).
Anche di recente e` stato ribadito che:
Con riguardo alle domande di risoluzione del contratto di locazione e di condanna del conduttore al pagamento dei canoni, deve essere negata la legittimazione (attiva) del comproprietario del bene locato pro parte dimidia, ove risulti l’espressa volonta` contraria degli altri comproprietari (e sempre che il conflitto, non superabile con il criterio della maggioranza economica, non venga composto in sede giudiziale, a norma dell’art. 1105 c.c.), considerato che, in detta situazione, resta superata la presunzione che il singolo comunista agisca con il consenso degli altri, e, quindi, cade il presupposto per il riconoscimento della sua abilitazione a compiere atti di utile gestione rientranti nell’ordinaria amministrazione della cosa comune
(Cass. 13 gennaio 2009, n. 480, GDir, 2009, 11, 53).
Occorre, quindi, interrogarsi, sui rimedi spettanti ai comproprietari dissenzienti che, in mancanza di una preventiva deliberazione, non abbiano stipulato la locazio- ne: in particolare, va scrutinata la sorte della locazione conclusa dal comproprietario non soltanto in violazione delle previste regole procedurali, ma anche in contrasto con la volonta` maggioritaria degli altri comproprietari.
Secondo la Suprema Corte, il vincolo contrattuale rimarrebbe del tutto indenne, ed i comproprietari maggioritari non potrebbero in alcun modo agire nei confronti del conduttore facendo valere il proprio diritto dominicale sulla cosa locata:
La locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari sorge validamente e svolge i suoi effetti contrattuali, anche se il locatore abbia violato i limiti dei poteri di amministrazione a lui spettanti a norma degli artt. 1105 e 1108 c.c. – attraverso la stipula di una locazione ultranovennale senza il consenso degli altri comproprietari –, senza che agli altri partecipanti, che gli hanno lasciato la completa disponibilita` della cosa, possa competere azione di xxxxxxxx, e tantomeno di revindica, nei confronti del conduttore, salvo il diritto al risarcimento dei danni verso il condomino-locatore, ove la sua attivita` risulti pregiudizievole agli interessi della comunione
(Cass. 9 novembre 1982, n. 5890, ined.).
La pronuncia non e` isolata. Essa e` stata infatti ribadita nel caso di una locazione, stipulata da un comproprietario per un quarto, alla quale i rimanenti comproprietari si erano opposti, giungendo alla stipulazione di un nuovo contratto con il medesimo conduttore: il quale, con il riconoscimento della validita` ed efficacia del primo contratto, si e` visto condannare al risarcimento del danno ex art. 1591 c.c. nei confronti del primo locatore (Xxxx. 26 maggio 1992, n. 6292, ined.).
La situazione muta, pero`, se la maggioranza abbia esternato il proprio dissenso, rendendolo noto al comproprietario che intende locare ed eventualmente anche
3.6.2 LA LOCAZIONE
all’aspirante conduttore. In tal caso la locazione e` invalida, ed i contraenti possono essere chiamati a rispondere dei danni:
In tema di comunione, qualora la maggioranza dei comunisti – appresa l’intenzione della minoranza o di uno di essi di cedere in locazione (o in affitto agrario) ad un terzo la cosa comune, ovvero l’avvenuta stipulazione del contratto – si opponga, rispettivamente, alla conclusione del contratto o all’esecuzione del rapporto locativo, al terzo, cui venga comunicato tale dissenso, resta preclusa la possibilita` di pretendere quella conclusione o esecuzione, con la conseguenza che il contratto, stipulato nonostante tale consapevolezza, e` invalido per carenza di potere, o di valida volonta`, della parte concedente di disporre per l’intero. Inoltre, la comunicazione del detto dissenso non solo alla minoranza, ma anche al terzo conduttore (o affittuario), determina la consapevolezza, in quest’ultimo, della mancanza di legittimazione alla stipula dell’atto da parte della minoranza e, quindi, il concorso, in malafede, nel- l’abuso del diritto nell’amministrazione del bene comune e cio` costituisce fatto illecito generatore del danno di cui e`, pertanto, corresponsabile in solido il condut- tore (o affittuario) che ha concorso e cooperato nella conclusione del contratto (Xxxx. 4 giugno 2008, n. 14759, MGC, 2008, 6, 864).
3.6.2. Limiti della costruzione giurisprudenziale
LEGISLAZIONE c.c. 1103, 1105
BIBLIOGRAFIA Mirabelli 1972 - Xxxxx 1972 - Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001
La qualificazione del comproprietario che abbia concesso in locazione l’immobile senza la previa deliberazione prevista dalla disciplina della comunione quale manda- tario presunto o tacito dei rimanenti comproprietari desta molte perplessita`. Ed altrettante ne suscita l’esclusione di ogni rimedio azionabile dagli altri comproprietari nei confronti del conduttore.
Quanto al primo aspetto, con l’espressione « mandato presunto» non si fa altro che riconoscere che nessun mandato e` stato conferito (Provera 1980, 100). E la confi- gurazione di un « mandato tacito», nel senso in cui la giurisprudenza lo intende, appare in contrasto con i principi generali dell’ordinamento. Nel discorrere di
« mandato tacito», infatti, la Suprema Corte non intende affatto riferirsi ad un mandato conferito per fatti concludenti, bens`ı ad un mandato desumibile dal silenzio serbato dagli altri comproprietari. Ma nel silenzio – replica agevolmente la dottrina – non e` mai contenuta
alcuna tacita manifestazione di volonta`, perche´ si tratta di comportamento equivoco per definizione. Non deve dimenticarsi che e` assolutamente falso, sul piano del diritto, il detto comune « chi tace acconsente»; anzi, per affermare l’inespressivita` del silenzio, gli antichi dicevano che « qui tacet neque fateri neque negari videtur » (chi tace ne´ afferma ne´ nega). Chi rimane inerte non tiene un comportamento conclu- dente e, quindi, di lui non puo` dirsi che abbia tacitamente compiuto un atto giuridico
(Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx 2001, 103).