DOTTORATO DI RICERCA IN
DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO DELL’ARBITRATO INTERNO ED INTERNAZIONALE
XXXIII CICLO
COORDINATORE XXXXX.XX PROF. XXXXXX XXXXXXXXXX
I diritti gli obblighi e le responsabilità degli arbitri derivanti dal contratto di arbitrato
DOTTORANDO TUTOR
DOTT. XXXX D’XXXXX XXXXX.XX XXXX. XXXXXXXXX XXXXXXX
A. A. 2011/2012
INDICE SOMMARIO
CAPITOLO I
IL CONTRATTO DI ARBITRATO:
RICOSTRUZIONE DELLA FATTISPECIE E POSIZIONI DELLA DOTTRINA
Sezione I
1. Libertà di contrarre e contratto di arbitrato 1
2. La qualificazione giuridica dell’arbitrato 4
3. Accordo compromissorio e contratto di arbitrato: la tesi del collegamento negoziale 11
4. L’autonomia del contratto di arbitrato 16
5. Figure affini al contratto di arbitrato 18
Sezione II
1. Il problema qualificativo del rapporto parti-arbitri: la tesi del mandato 25
2. (Segue): rilievi critici. 28
3. Conclusioni sulla applicabilità della tesi del mandato al rapporto parti-arbitri. 32
4. La tesi del contratto di prestazione d’opera intellettuale 34
5. (Segue): esecuzione di prestazione d’opera intellettuale in adempimento di un mandato 37
6. La tipicità del contratto di arbitrato 39
STRUTTURA DEL CONTRATTO DI ARBITRATO: IL RAPPORTO PARTI- ARBITRI
Sezione I
1. La formazione del contratto di arbitrato: posizioni della dottrina 47
2. La complessità soggettiva delle parti: collegialità degli arbitri. 49
3. La parte soggettivamente complessa. 53
4. La nomina degli arbitri ad opera delle parti. 59
5. L’intervento dell’autorità giudiziaria 62
6. La sostituzione degli arbitri. 63
7. La forma del contratto di arbitrato 66
Sezione II
1. La natura indivisibile dell’obbligazione di rendere il lodo 70
2. Le obbligazioni ad attuazione congiunta: species del genus obbligazioni indivisibili. 75
3. La responsabilità dell’arbitro “per fatto proprio” 80
4. La tipicità dei motivi di responsabilità degli arbitri. 82
5. (Segue): obblighi degli arbitri. 85
6. Condizioni di esercizio dell’azione di responsabilità. Sanzioni. 92
Sezione III
1. I diritti degli arbitri: spese e onorari. 95
2. L’anticipazione delle spese. 98
3. La liquidazione del compenso da parte degli arbitri 101
4. Il procedimento di liquidazione giudiziale ex art. 814, secondo comma, c.p.c 102
5. La quantificazione dei compensi: criteri, contenuto del provvedimento, impugnazione. 108
ALTRE IPOTESI DI RESPONSABILITA' DEGLI ARBITRI
Sezione I
1. Il segretario arbitrale: ruolo e funzioni. 114
2. Il rapporto tra le parti del contratto di arbitrato e il segretario arbitrale. Profili generali di responsabilità 116
3. (Segue): la responsabilità per fatto degli ausiliari. 118
4. Il compenso del segretario arbitrale. 122
Sezione II
1. Ammissibilità della consulenza tecnica: le posizioni della dottrina prima della riforma 124
2. La nuova previsione dell’art. 816-ter c.p.c. e la disciplina applicabile al consulente tecnico nell’arbitrato 127
3. Consulenza tecnica e principio del contraddittorio 130
4. Il rapporto tra arbitri e consulente tecnico: profili di responsabilità 134
Sezione III
1. Arbitrato e riservatezza: le nuove tendenze e le recenti evoluzioni 139
2. Riservatezza e trasparenza: le nuove esigenze. 143
3. Arbitrato e riservatezza nell’esperienza italiana: obbligo di riservatezza dell’arbitro 144
Sezione IV
1. Regime fiscale dell’arbitrato: nozioni introduttive 149
2. L’imposta di registro in relazione al procedimento arbitrale 152
3. L’imposta di registro sul lodo rituale 155
4. La responsabilità fiscale degli arbitri in relazione all’imposta di registro 157
6. L’imposta di bollo sugli atti arbitrali e la responsabilità degli arbitri. 161
CAPITOLO IV
L’ARBITRATO AMMINISTRATO: PROFILI CONTRATTUALI E DI RESPONSABILITA’
1. Nozioni introduttive dell’arbitrato amministrato: i precedenti e l’ambito applicativo 164
2. (Segue): arbitrato amministrato e arbitrato regolamentato 167
3. Il rapporto fra parti ed istituzione arbitrale 170
4. La responsabilità dell’istituzione arbitrale 179
5. Il rapporto tra parti ed arbitri. 181
6. Il rapporto tra arbitri ed istituzione 184
7. L’attività dell’istituzione arbitrale 185
8. (Segue): nomina, ricusazione e sostituzione degli arbitri. 188
9. Le spese dell’arbitrato amministrato 190
CAPITOLO I
IL CONTRATTO DI ARBITRATO: RICOSTRUZIONE DELLA FATTISPECIE E POSIZIONI DELLA DOTTRINA
SOMMARIO: 1. Libertà di contrarre e contratto di arbitrato. – 2. La qualificazione giuridica dell’arbitrato. – 3. Accordo compromissorio e contratto di arbitrato: la tesi del collegamento negoziale. – 4. L’autonomia del contratto di arbitrato. – 5. Figure affini al contratto di arbitrato.
1. Libertà di contrarre e contratto di arbitrato.
In particolare, l’ordine giuridico statale riconosce in tale autonomia, non solo un’attività e potestà, creativa, modificativa o estintiva di rapporti giuridici privati disciplinati in anticipo da preesistenti norme giuridiche2, ma anche una fonte creatrice di diritti, attraverso manifestazioni di volontà che si pongono al di fuori dei “tipi” contrattuali ammessi dalla legge, purché dirette al perseguimento di interessi meritevoli di tutela. L’ordinamento, inoltre, anche attraverso adeguate garanzie costituzionali, offre alle manifestazioni di autonomia privata e ai loro effetti idonei mezzi giurisdizionali di tutela.
Dal principio di autonomia deriva, poi, come conseguenza immediata, la possibilità per i privati di percorrere, in relazione ai diritti sorti da manifestazioni di
1 Cfr. X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, in Collana: Università di Camerino, ristampa corretta della II edizione, a cura di X. XXXXX’, Napoli, 2002, p. 46 ss. Nello stesso senso v. X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009, p. 775; M. C. XXXXXX, Il contratto in generale, Milano, 2002, p. 12 ss.; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, ristampa IX edizione, 2002, p. 126; X. XXXXXXXX, voce Contratto. I) In generale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, p. 7; X. XXXXXXXXX, Autonomia privata, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 366 ss.; X. XXXXX, L’autonomia privata, Milano, 1959; X. XXXXXXXXX, Certezza del diritto e autonomia delle parti, Problemi giuridici, Milano, 1959, I, p. 113 ss.; X. XXXXXX, Autonomia privata, Milano, 1957; X. XXXXXXXX, Autonomia pubblica e privata, Scritti giuridici in onore di X. Xxxxxxxxxx, IV, Padova, 1950,
p. 183 ss.
2 Cfr. X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 48.
volontà giuridicamente rilevanti, strade di tutela alternative a quelle predisposte dallo Stato3, che consentono di escludere la giurisdizione ordinaria, di nominare un giudice privato e di determinare le regole processuali e sostanziali che saranno applicate nel corso del procedimento ed al momento del giudizio finale.
Da tali premesse si comprende come all’origine dell’arbitrato vi sia una scelta di libertà4, quale espressione ampia di autonomia, dal momento che l’art. 24 Cost., prevedendo che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, obbliga lo Stato ad apprestare l’organizzazione giudiziaria indispensabile per garantire tale diritto, secondo le modalità previste negli artt. 101 ss. Cost., ma non obbliga il cittadino a farvi ricorso. I privati, come possono decidere di non provvedere alla tutela dei propri diritti, allo stesso modo possono stabilire di tutelarli diversamente e, quindi, senza ricorrere al giudice dello Stato5.
3 Sul punto v. X. XXXXXXXXXX, Istituzioni del processo civile italiano, I, Roma, 1936, p. 60 ss.; X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, III, Milano, 1904, p. 42, secondo il quale “[…] La libertà civile dei singoli soggetti di diritto, che è della essenza dello stato moderno, in quanto si svolge nella sfera delle private convenzioni, garantisce senza dubbio la facoltà di deferire le controversie alla decisione di terzi, o per meglio dire, di convenire che la volontà del terzo sarà accettata dalle parti a risoluzione del loro contrasto”.
4 In tal senso X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, Torino, 2005, p. 4.
5 Cfr. G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, secondo il quale “Il fondamento dell’arbitrato, quindi, dal punto di vista negativo, è nell’art. 24 Cost. e, dal punto di vista positivo, è nell’autonomia privata e nella sfera incolculcabile di tale autonomia”.
6 Sul punto v. G. VERDE, Sul monopolio dello Stato in tema di giurisdizione, in Riv. dir. proc., 2003, p- 371 ss.; ID., Pubblico e privato nel processo arbitrale, in Riv. arb., 2002, p. 633 ss. Per una visione antitetica, cfr. X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, La transazione, II edizione, Napoli, 1975, p. 19, il quale offre una lettura particolare dell’art. 2907 c.c., fondandovi una sorta di monopolio dello Stato nell’attività di cognizione dei diritti; per una confutazione, cfr. X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Padova, 2000, p. 26-28, secondo l’autore, individuare nell’art. 2907 c.c. il principio dell’esclusività giurisdizionale, inteso nel significato dell’appartenenza esclusiva della giurisdizione allo Stato, significa aver dato una lettura frettolosa dell’art. 2907 c.c. “Invero, l’art. 2907 c.c. non si limita a proclamare il principio secondo cui alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria. Innanzi tutto il primo comma dell’art. 2907 c.c. deve essere letto nella sua interezza e tenendo conto che l’affermazione suddetta viene completata dalla locuzione su domanda di parte e, quando la legge lo dispone, anche su istanza del pubblico ministero o d’ufficio. […] Ecco allora che l’interprete non può fermarsi a considerare la frase provvede l’autorità giudiziaria, che, comunque, da sola, non sarebbe idonea a conferire l’attribuzione esclusiva della tutela giurisdizionale all’autorità giudiziaria. Qui, infatti, si parla di provvedere ed il valore semantico di provvedere è procurare ciò che è necessario. […] Ma, inoltre, si parla di provvedere su istanza di parte, sicché l’interprete non può omettere di confrontare e coordinare
La rilevanza dell’autonomia privata si individua, altresì, sul piano dei risultati, in rapporto a quelli realizzabili in sede giurisdizionale, giacché è statuita la parificazione degli effetti finali: infatti, i privati possono ottenere, attraverso la tutela concessa dallo strumento arbitrale, gli stessi effetti di una sentenza pronunciata da un giudice dello Stato.
Il fenomeno arbitrale indicato è naturalmente quello di tipo rituale.
Tuttavia, la libertà esercitabile dai privati, in sede di tutela dei propri diritti, non è vincolata dalla qualità degli effetti raggiungibili, visto che le parti possono stabilire che gli effetti finali del giudizio arbitrale si conservino sul piano dell’autonomia, senza “contaminarsi” di effetti pubblicistici che, oltre ai vantaggi dell’esecutività e della stabilità del giudicato, hanno il difetto di un più penetrante controllo da parte della giurisdizione ordinaria in sede di impugnativa, e, ancora, di un differente rilievo sul piano fiscale8. In tal caso, viene in rilievo la diversa esperienza giuridica dell’arbitrato irrituale.
questo precetto con l’art. 99 del c.p.c. che, statuendo che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente ha codificato quel principio della domanda, consacrato anche nella rubrica dell’articolo. E poiché l’art. 99 c.p.c. va letto come se in esso si statuisse che gli atti giurisdizionali sono normalmente emessi su istanza degli interessati, siano essi il privato che fa valere un diritto, ovvero l’organo pubblico competente, la conclusione cui perviene la dottrina è che l’art. 99 c.p.c. costituisce una ripetizione, anzi un doppione incompleto dell’art. 2907 c.c. Ciò posto è agevole osservare che la funzione del precetto contenuto nell’art. 2907 c.c. non può essere individuata nell’attribuzione del potere e, comunque, non concerne la fase genetica dell’attribuzione di poteri e funzioni […] quanto e piuttosto la fase funzionale di esercizio di questo potere”.
7 Sul punto v. cfr. G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 14-15; X. XXXXXXXXX,
L’arbitrato, cit., p. 5.
8 Cfr. X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 5; X. XXXXX, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, Milano, 1971, p. 165; X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 42 ss.
9 Il primo a parlare di contratto di arbitrato è stato X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, Milano, 1937, p. 101; formula ripresa e così portata all’attenzione della dottrina da X. XXXXXXXXXX, Istituzioni del processo civile italiano, cit., p. 66. Sul punto v. anche S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 2007, p. 58; X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, Commentario, Milano, 1994, p. 70; X. XXXXXX-XXXXXXXXXX, Il
La rilevanza di tale negozio non è mai stata evidenziata dalla dottrina più risalente11, che non distingueva sul piano concettuale la figura del compromesso da quella del contratto di arbitrato. Tuttavia, solo un illustre autore12 avvertì la necessità di operare una riflessione più analitica, separando il concetto di compromesso da quello del rapporto giuridico che si stabilisce, mediante il compromesso e la sua accettazione, fra le parti e gli arbitri.
2. La qualificazione giuridica dell’arbitrato.
Il dibattito concernente la ricostruzione della natura giuridica del fenomeno arbitrale ha dato origine, fina dai primi decenni del secolo scorso, a diverse teorie interpretative.
diritto dell’arbitrato (interno), Padova, 1991, p. 147. Parla di contratto di arbitrato anche X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, Milano, 1958, p. 332.
10 In tal senso v. X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, Milano, 2008, p. 2.
11 X. XXXXXXXXX, Del compromesso e del giudizio arbitrale, II edizione, Torino, 1915, p. 249 ss.; M. AMAR, Dei giudizi arbitrali, II edizione, Torino, 1879, p. 46.
12 X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 57.
13 Sul punto v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 2.
Da una parte vi erano coloro che definivano, senza alcun dubbio, come giudizio il procedimento arbitrale e come giudici14 o come rappresentanti dello Stato15 gli arbitri; dall’altra si ponevano, in completa antitesi, i sostenitori della corrente c.d. contrattualistica, che negavano all’arbitrato qualsiasi contenuto giurisdizionale16. In particolare, si ricorda la posizione degli appartenenti alla corrente c.d. contrattuale pura, che riconducevano l’arbitrato nello schema dell’arbitraggio e che individuavano nel compromesso l’espressione della generica volontà di transigere e nel lodo la determinazione da parte degli arbitri, degli elementi concreti della transazione, sicché dichiaravano il lodo obbligatorio per sé ed in forza del generale principio di obbligatorietà dei contratti, mentre consideravano il decreto del pretore un atto
14 X. XXXX, Dei giudizi arbitrali, cit., p. 36.
15 X. XXXXXXXX, Dei compromessi e lodi stabiliti fra industriali come vincolativi dei loro rapporti, ma non esecutivi nel senso e nelle forme dei giudizi, in Riv. dir. comm., 1905, III, p. II, p. 45.
16 X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935, I, p. 70; ID., L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di dir. proc. civ., Xxxx, 0000, I, p. 49; ID., Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1923, I, p. 108. Secondo l’autore l’arbitrato operava il frazionamento del giudizio: da una parte la preparazione della materia logica, affidata dalle parti agli arbitri, i quali provvedevano senza uso di poteri giurisdizionali; dall’altra il decreto del pretore, che qualificava l’opera degli arbitri contenuta nel lodo, ma senza in alcun modo incidere sulla sua natura di atto privato. Escludeva, quindi, che l’eccezione di compromesso potesse impingere sulla competenza. Riteneva che l’eccezione di compromesso avesse come contenuto “la rinuncia al procedimento di cognizione giudiziaria”. Xxxxx stesso piano si è posta X. XXXXXXX, Natura e regime giuridico della eccezione di compromesso, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, p. 1021 ss., la quale, dopo una serrata critica alle maggiori e ben note teorie fin qui sviluppatesi in ordine alla natura giuridica dell’arbitrato, ne tenta una costruzione privatistica nella quale, posto il parallelismo tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale, in quanto così il giudice ordinario che l’arbitro debbono sostituire alla incertezza oggettiva, risultante dallo scontro delle certezze soggettive in ordine al rapporto controverso; cioè una visione imparziale; definito il compromesso come negozio mediante il quale le parti deferiscono alla decisione di privati una certa situazione sostanziale di cui possono disporre, negozio, dunque, avente ad oggetto la stessa situazione sostanziale identificata e deferita ad arbitri e non le situazioni processuali; descritti l’attività degli arbitri come attività di privati e il lodo come mero giudizio di privati; quale accertamento, cioè, della volontà della legge per il caso concreto, cui la legge e direttamente la legge, senza che intervenga alcuna attività giurisdizionale, conferisce gli effetti della sentenza tosto che il pretore, col suo decreto, abbia constatata la estrinseca regolarità formale del lodo, definisce la eccezione di compromesso: lo strumento per far rilevare la mancanza di interesse ad agire giudizialmente (questo interesse inteso come l’inscindibile fusione di due aspetti: la lesione – affermata – di un diritto e la necessità dell’inderogabile intervento dello Stato al fine della restaurazione dell’ordinamento mediante applicazione della sanzione), perché rispetto ad una certa situazione sostanziale affidata ad arbitri, il procedimento giurisdizionale non si pone più come strumento di tutela necessario. Quasi sullo stesso piano del Chiovenda si pose X. XXXXX, Trattato di diritto processuale civile, Torino, 1966, I, p. 35 ss., il quale finisce per qualificare l’attività del pretore come atto di giurisdizione volontaria; cioè come attività amministrativa. Così anche X. XXXXXX, Aspetti negoziali e aspetti processuali dell’arbitrato, Torino, 1966. Per la dottrina più risalente v., ancora, X. XXXXXX, Considerazioni sul tema degli arbitri e degli arbitraggi, in “Ann. Università di Messina”, VI, 1931-1932,
p. 13; X. XXXXXXXXXXX, La sentenza soggettivamente complessa, in Riv. dir. proc, 1924, I, p. 247; X. XXXXXXX, Gli arbitratori nel diritto privato, in “Ann. Sem Giur. Università di Palermo”, XI, Cortona, 1923, p. 91.
Tuttavia, deve precisarsi che, a fronte di un’evidente affinità di svolgimento tra giudizio arbitrale e processo civile, oltre che in virtù di ragioni di carattere storico e culturale, la dottrina tradizionale prevalente19 tendeva a riconoscere natura giurisdizionale al fenomeno arbitrale.
Secondo la teoria pubblicistica, dall’accordo compromissorio deriverebbero due rapporti: l’uno, avente per oggetto la deroga alla giurisdizione ordinaria, riguarderebbe solo i legami tra le parti; l’altro rileverebbe invece in una sfera di diritto pubblico, col virtuale intervento dello Stato che conferisce alla convenzione posta in essere dai privati
17 X. XXXXX, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Milano, 1931, p. 152 ss. e X. XXXXX, La sentenza civile, Torino, 1906, p. 17, affermarono l’identità di natura fra la transazione e il compromesso. Alla corrente reagì la restante dottrina, rappresentata, in particolare da X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 36 ss.; nello stesso senso v. X. XXXXXXXXX, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Milano, 1971, p. 12, il quale ritiene estraneo all’arbitrato il tema della transazione; R. DE RUGGERO, Istituzioni di diritto civile, III, Milano, 1934, p. 473, il quale pose specialmente in evidenza che, mentre la transazione tronca la lite o impedisce che essa sorga, col compromesso la lite permane, ma alla giurisdizione ordinaria viene sostituito un organo diverso per la sua risoluzione; X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxx e arbitratori, in Riv. dir. proc., 1924, I, p. 125, secondo il quale “[…] la differenza fra transazione e compromesso sta in ciò, che la transazione è l’incrocio di due volontà dominate da un interesse in contrasto, il compromesso è l’accordo di due volontà sospinte da un interesse medesimo. Con ciò non si nega che i compromittenti siano in lite, ma quando nominano gli arbitri, da questo loto contrasto è sorto in entrambi l’identico interesse a far giudicare da un certo arbitro invece che dal giudice ordinario”; X. XXXXXXXXX, Del compromesso e del giudizio arbitrale, cit., p. 13 ss.
18 X. XXXXXXXXX, Xxxx’arbitrato nel diritto processuale civile internazionale, in Riv. dir. civ., 1910, p. 684 ss., secondo il quale il lodo deve considerarsi un atto giurisdizionale in potenza, in quanto capace di divenirlo mediante il decreto del pretore; X. XXXXXXX, L’arbitrato nel diritto processuale internazionale, Palermo, 1908, p. 19 ss., il quale attribuisce tutta la giurisdizione agli arbitri e ritiene il lodo una sentenza di mero accertamento che si trasforma, col decreto del pretore, qualificato come atto di approvazione, cioè, in definitiva, di natura amministrativa, in una sentenza di condanna.
19 X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 13; A. VOCINO, Schema di una teoria della clausola compromissoria, in Foro it., 1932, I, c. 1061, secondo il quale il negozio tra parti ed arbitri sarebbe di natura “pubblicistica”: da esso sorgerebbero effetti di diritto pubblico indipendenti ed estranei alla volontà dei contraenti; X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 76, il quale rilevò che la fonte del potere giurisdizionale è unica sia per gli arbitri che per il giudice ordinario; che agli uni e all’altro il potere giurisdizionale deriva dalla legge; tuttavia, con questa differenza: che al giudice ordinario la legge lo conferisce in quanto organo istituzionalmente destinato al compito specifico dell’esercizio della giurisdizione; agli arbitri, invece, in base al contratto compromissorio.
un’efficacia che non potrebbe in alcun modo derivare dal semplice atto di volontà dei contraenti20.
In altri termini, l’arbitrato rappresenterebbe uno strumento di tutela derivante da una forma particolare di giurisdizione ordinaria, laddove gli “arbitri-pretore” individuerebbero un organo attraverso il quale lo Stato esercita la sua potestà giurisdizionale e nel quale la volontà delle parti concorre alla costituzione del giudice21. La tesi in esame presentava come ulteriore fondamento l’idea che dalla efficacia dell’atto conclusivo del giudizio arbitrale potesse dedursi la qualificazione giuridica dell’arbitrato22. Il decreto di esecutorietà, che assegna al lodo gli effetti di una sentenza, recepirebbe l’attività degli arbitri, conferendo in tal modo natura giurisdizionale
Inoltre, i sostenitori della natura pubblicistica dell’arbitrato richiamavano la teoria dei negozi giuridici processuali24: accordi, attraverso cui le parti dispongono di una situazione processuale25, imprimono cioè una determinata tendenza al processo26.
Secondo autorevole dottrina28, il compromesso sarebbe un evidente esempio di contratto processuale, in quanto, da un lato esso avrebbe un valore di esclusione del giudice ordinario, dall’altro un valore di posizione del giudice privato; in altre parole, la
20 X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 76.
21 X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 13.
22 Sul punto v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 4.
23 X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 11.
24 La categoria, elaborata dagli scrittori tedeschi, fu portata all’attenzione della nostra dottrina da X. XXXXXXXXX, Principi di diritto processuale, cit.
25 X. XXXXXXXXX, Principi di diritto processuale, cit., p. 105.
26 X. XXXXXX, Prozess als Rechtsverhaltnis, p. 62, secondo il quale “[…] attraverso i contratti processuali si formano situazioni processuali, situazioni cioè sottratte alla volontà della singola parte, e che sono dirette ad imprimere una determinata tendenza al processo. Queste situazioni non sono in nessun modo diritti, non sono rapporti giuridici, sono tutt’al più elementi di un presente o di un futuro rapporto. […] Un’azione di accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza di una situazione non è data”, come evidenziato da X. XXXXX, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, cit., p. 48.
27 Cfr. X. XXXXX, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, cit., p. 54 ss., secondo il quale sarebbero esempi di contratti processuali la rinuncia ad appellare una futura sentenza ed il patto di proroga della competenza.
28 X. XXXXX, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, cit., p. 62, secondo l’autore “Per giungere alla processualità del compromesso, bisogna completare l’esclusione del giudice colla posizione di un altro giudice al posto di quello”.
manifestazione del consenso delle parti permetterebbe il realizzarsi di un effetto di surroga della decisione statale da parte di una decisione privata.
Parte della dottrina più risalente30 sollevò rilievi critici particolarmente incisivi nei confronti dei sostenitori della teoria pubblicistica dell’arbitrato, sottolineando la contraddizione che emergeva dall’assunto secondo il quale da un negozio giuridico privato potessero derivare rapporti di diritto pubblico. In realtà, se è privato il negozio giuridico da cui gli arbitri traggono i loro poteri, allora, privata è la loro funzione e di diritto privato sono i rapporti che intercorrono tra essi e le parti.
Come autorevole dottrina31 ha sostenuto, l’intervento del decreto di omologazione, che conferisce efficacia di sentenza al lodo, non determina di per sé un mutamento della natura giuridica dello strumento arbitrale. Le fondamenta dell’arbitrato sono da individuarsi nell’ambito di operatività dell’autonomia privata; infatti, è la libera manifestazione di volontà delle parti a decidere di sottrarre la soluzione di una determinata lite alla competenza della giurisdizione ordinaria32. Il fatto che al lodo sia
29 X. XXXXXX, Schema di una teoria della clausola compromissoria, cit., c. 1006.
30 X. XXXXX, La sentenza civile, cit., p. 40.
31 G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, III edizione, Torino, 2005, p. 118, secondo l’autore “[…] abbiamo posto in rilievo come sia inesatto far derivare a ritroso dall’efficacia dell’atto conclusivo del procedimento la qualificazione giuridica dell’attività esercitata e la posizione, nell’ambito dell’ordinamento, di chi tale attività ha svolta”.
32 Sul punto v. S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 14-15, l’autore definisce l’arbitrato come “esercizio privato di una funzione di giudizio e di giustizia, di generale e pubblica utilità”; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 177 ss., 293 ss.; ID., L’efficacia del lodo arbitrale, in Riv. dir. proc., 1995, p. 12 ss.; ID., voce Arbitrato, I) Arbitrato rituale e irrituale, in Enc. giur. Treccani, II, Roma, 1995, p. 10, l’autore colloca l’arbitrato nello spazio, lasciato alla privata autonomia, di “eterocomposizione” delle controversie; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, Torino, 1997; ID., voce Arbitrato (teoria generale e diritto processuale civile), in Dig. Disc. privatistiche, Sez. civ., I, Torino, 1987, p. 399; ID., I processi arbitrali nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. proc., 1968, p. 459 ss.; X. XXXXXXXXXX, Sull’efficacia e impugnabilità dei lodi dopo la legge di riforma del 9 febbraio 1983, in Foro it., 1984, V, p. 181 ss.; X. XXXXXXX, voce Compromesso, in Noviss. Dig. It., III, Torino, 1959, p. 790.
A sostegno della natura privatistica dell’arbitrato, deve rilevarsi l’opinione di attenta dottrina34, secondo la quale l’arbitrato a cui riservare il “nome” e nel quale individuare il “tipo” dotato di “una disciplina particolare” (arg. ex art. 1322) è l’arbitrato che ha la sua fonte nel compromesso o nella clausola compromissoria (e dunque in atti di autonomia contrattuale) e del quale l’effetto sta nel vincolo che il lodo produce a carico delle parti. Pertanto, l’ipotesi del lodo reso esecutivo mediante decreto pretorile (e quindi parificato – quanto ad esecutività – alla sentenza del giudice) non costituisce deviazione dal tipo, né si risolve in “contaminazione” od aggiunta di elementi idonei alla configurazione di un nuovo tipo; infatti, l’esplicazione dell’autonomia privata si è esaurita nella sequenza che va dalla stipulazione del compromesso o della clausola compromissoria alla pronuncia e sottoscrizione del lodo da parte degli arbitri.
La natura privatistica dell’arbitrato è sostenuta anche dalla giurisprudenza di legittimità; infatti, la Corte di Cassazione, dopo aver costantemente affermato l’appartenenza dell’arbitrato rituale alla sfera pubblicistica della giurisdizione35, con una nota sentenza a Sezioni Unite36, ha mutato il proprio orientamento aderendo alle posizioni della prevalente dottrina.
La Suprema Corte precisa che la natura del dictum arbitrale è quella di “un atto di autonomia privata, i cui effetti di accertamento conseguono ad un giudizio compiuto da un soggetto il cui potere ha fonte nell’investitura conferitagli dalle parti”; pertanto, “si deve escludere che si possa parlare di arbitri come di organi giurisdizionali dello Stato”, e, addirittura, di “organi giurisdizionali”37.
Nel respingere gli argomenti sviluppati dai sostenitori della teoria giurisdizionale dell’arbitrato e del lodo, la Corte ribadisce, in conformità alla pressoché unanime
33 In tal senso v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 6.
34 X. XXXXXXXX, Arbitrato e autonomia contrattuale, in Xxx. xxx., 0000, x. 00-00. Sulla qualificazione contrattuale dell’arbitrato v. anche X. XXXXXXXXXX, Diritto processuale civile, II, padova, 1995, p. 12 ss.; X. XXXXXXXXX, Contratti nell’arbitrato, in Rass. arb., 1990, p. 3 ss.; V. ANDRIOLI, Commento del codice di procedura civile, IV, III edizione, Napoli, 1964, p. 813; X. XXXXXXXX, voce Arbitrato, in Enc. del dir., II, 1958, p. 916.
35 In particolare sulla analogia tra attività arbitrale e attività giurisdizionale x. Xxxx., 00 gennaio 1974, n. 69, in Giur. it., 1975, I, 1, p. 137.
36 Cass., Sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, Pres. Vela, Est. Xxxx, in Riv. arb., 2000, p. 699, con nota di X. XXXXXXXXX, Una svolta attesa in ordine alla “natura” dell’arbitrato, p. 704.
37 Cass., Sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, cit., p. 701.
dottrina38, che il rilievo secondo cui “il lodo, per legge, è dotato di tutti o di taluno degli effetti della sentenza pronunciata dai giudici dello Stato, non è determinante ai fini della soluzione del problema sulla natura dell’arbitrato”39.
La Corte afferma, altresì, che “la concezione sulla natura privata dell’arbitrato porta a qualificare il procedimento arbitrale come ontologicamente alternativo alla giurisdizione statale, una volta che si fonda sul consenso delle parti, e che la decisione proviene da soggetti privati radicalmente carenti di potestà giurisdizionale d’imperio”. “Correlativamente, la devoluzione della controversia ad arbitri si configura quale rinuncia all’azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, nonché quale manifestazione d’una opzione per la soluzione della controversia sul piano privatistico, secondo il dictum di soggetti privati”41.
00 X. XX XXXXX, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 14-15; G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, III edizione, Torino, 2005, p. 118; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 177 ss., 293 ss.; ID., L’efficacia del lodo arbitrale, cit., p. 12 ss.; ID., voce Arbitrato, I) Arbitrato rituale e irrituale, cit., p. 10; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, Torino, 1997; ID., voce Arbitrato (teoria generale e diritto processuale civile), cit., p. 399; ID., I processi arbitrali nell’ordinamento italiano, cit., p. 459 ss.; X. XXXXXXXXXX, Xxxx’efficacia e impugnabilità dei lodi dopo la legge di riforma del 9 febbraio 1983, cit., p. 181 ss.; X. XXXXXXX, voce Compromesso, cit., p. 790.
39 Cass., Sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, cit., p. 701.
40 In tal senso v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 8, l’autore sottolinea l’importanza della nuova disposizione, introdotta dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, di cui all’art. 824-bis c.p.c., che, stabilendo espressamente che “il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”, fornirebbe nuove ragioni alla tesi giurisdizionale, che si fonda sull’equivalenza degli effetti tra lodo e sentenza.
n. 14234, in Arch. delle locazioni e dei condomini, 2004, p. 742, dal principio, che vede nell’arbitrato un fenomeno riconducibile all’autonomia privata, la Corte ne ha tratto il coerente corollario che “la questione conseguente all’eccezione di compromesso sollevata dinanzi al giudice ordinario […] attiene al merito e non alla competenza, in quanto i rapporti tra i giudici e arbitri non si pongono sul piano della ripartizione del potere giurisdizionale tra i giudici ed il valore della clausola compromissoria consiste proprio nella rinuncia alla giurisdizione ed all’azione giudiziaria”; Cass., Sez. I, 1° febbraio 2001, n. 1403, in Arch. giur., 2001, 1381.
3. Accordo compromissorio e contratto di arbitrato: la tesi del collegamento negoziale.
Una corretta analisi della figura del contratto di arbitrato richiede un approfondimento sul rapporto tra tale negozio e l’accordo compromissorio.
Secondo la dottrina più risalente42, deve evidenziarsi un’intima connessione tra accordo compromissorio e contratto di arbitrato: si tratta di due contratti ben distinti ma nettamente collegati. Da tale assunto deriva la possibilità di applicare, all’analisi in oggetto, gli esiti delle numerose indagini riguardanti il fenomeno del collegamento negoziale43.
Con riferimento al primo profilo, deve tenersi conto del dibattito che si è sviluppato nella dottrina tradizionale45 intorno al ruolo della volontà nel negozio
42 X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, cit., p. 95.
43 Sul punto in diversa prospettiva d’indagine, tiene conto delle conclusioni raggiunte dalla dottrina in materia di collegamento negoziale, E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, Collegamento negoziale e arbitrato, in I collegamenti negoziali e le forme di tutela. Quaderni della rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Milano, 2008, p. 67, l’autrice riflette circa il problema della unità o pluralità di procedimenti arbitrali, in ipotesi di convenzioni arbitrali recate da contratti collegati. “Assai più complessa è la questione se una clausola arbitrale contenuta in un documento possa estendersi a contratti collegati che nulla prevedono in merito”.
44 Cfr. X. XXXXXXXXXX, Negozi giuridici collegati, in Riv. it. sc. giur., 1939, p. 275.
45 Ex multis si richiamano le posizioni che hanno maggiormente inciso nello svilupparsi del dibattito dottrinale: X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 296 ss.; X. XXXXXXX, Il collegamento contrattuale volontario, Roma, 1999; X. XXXXXXXX, I contratti collegati, Milano, 1998;
X. XXXXXXXXXXXX, Il collegamento negoziale, Napoli, 1983; R. CLARIZIA, Collegamento negoziale e vicende della proprietà, Rimini, 1982; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico. Lezioni di storia del diritto italiano, ristampa II edizione, Milano, 1967; X. XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, II edizione, Padova, 1961; X. XXXXXXXX, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1952; ID., voce Contratto collegato, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 48 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, voce Collegamento negoziale, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 375 ss.; F. DI SABATO, Unità e pluralità di negozi (Contributo alla dottrina del collegamento negoziale), in Riv. dir. civ., 1959, I, p. 412 ss.; X. XXXXXXXXX, Collegamento e connessione tra negozi, in Riv. dir. comm., 1955, I, p. 357 ss.; X. XXXXXXXX, Appunti in tema di negozi giuridici collegati, in Giust. civ., 1954, p. 259 ss.; X. XXXXXXX, Compensazioni private e affari di reciprocità, in Studi in on. di X. Xxxxxxxx, 1950; X. XXXXXXX- FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto positivo italiano, Napoli, 1946; X. XXXX, Contratti parasociali, Milano, 1942; X. XXXXXXXXXX, Negozi giuridici collegati, cit.; X. XXXXXXXX, Studi sugli atti giuridici complessi, Pisa, 1939; X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, II edizione, in Riv. dir. comm., 1937, p. 458, nn. 152-156; A. PASSERIN D’ENTREVES, Il negozio giuridico. Saggi di filosofia del diritto, Torino, 1934.
Quindi, partendo dall’assunto secondo il quale “la volontà è determinante degli effetti” del negozio48, si coglie l’importanza dell’indagine volta a ricostruire le intenzioni delle parti contraenti, al fine di stabilire se ricorra un collegamento tra i negozi giuridici considerati.
Come osservato da attenta dottrina49, non esistono negozi giuridici già collegati sotto il profilo strutturale da una disposizione normativa; è solo l’intento dei contraenti a far interferire e provocare una data combinazione di effetti.
Da quanto detto, può dedursi che di per sé il collegamento è un elemento estrinseco, e quindi, estraneo alla struttura dei negozi, che acquista rilevanza solo quando è voluto dalle parti.
La volontà come elemento determinante per la sussistenza di un collegamento negoziale è al centro delle riflessioni elaborate da autorevole dottrina50, secondo la quale affinché il collegamento sia idoneo a produrre effetti “è necessario che ad essi corrisponda, come prius logico, un intento delle parti diretto ad uno scopo empirico corrispondente a quegli effetti stessi”. In altre parole, vi è collegamento negoziale quando le parti intendono perseguire un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un unico negozio ma attraverso una pluralità coordinata di negozi.
Il risultato economico unitario costituisce lo “scopo empirico” che è presente nelle intenzioni delle parti e ne influenza e determina la relativa attività giuridica. Le singole dichiarazioni di volontà sono dirette non solo alla realizzazione degli effetti
46 Sul punto v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 10.
47 X. XXXXXX’, Deposito in funzione di garanzia e inadempimento del depositario, in Foro it., 1937, I, c. 1477.
48 In tal senso X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 125.
49 X. XXXXXX’, Deposito in funzione di garanzia e inadempimento del depositario, cit., c. 1478.
50 X. XXXXXXXXXX, Negozi giuridici collegati, cit., p. 335.
Secondo un diverso orientamento dottrinale52, per risolvere il problema dell’unità o della pluralità di negozi, è opportuno utilizzare un criterio di natura strutturale: in presenza di una fattispecie complessa deve tenersi presente ogni singolo elemento di fatto; pertanto, se ad ognuno di essi la legge attribuisce una determinata qualifica negoziale, è da esse che bisogna partire. Tale metodo di indagine si fonda sull’idea che l’elemento volitivo, per quanto rilevante, non sia mai in grado di modificare le qualifiche previste dalla legge.
In virtù dell’importanza dogmatica di entrambi gli orientamenti precedentemente esposti, i successivi contributi dottrinali hanno cercato di comporre l’apparente conflitto interpretativo.
In proposito, la dottrina, da un lato, non nega l’autonomia strutturale54 dei singoli negozi; dall’altro, reputa fondamentale, nella ricostruzione del fenomeno, l’indagine intorno “all’esistenza di un assetto teleologico ed economico unitario”55.
51 X. XXXXXXXXXX, Negozi giuridici collegati, cit., p. 336, il quale ravvisa il collegamento di negozi in senso proprio in presenza di un elemento obiettivo, che attiene alla funzione che essi esplicano in concreto, cioè uno stretto nesso economico e teleologico tra di essi, ed un elemento subiettivo, che consiste nell’intenzione di coordinare i vari negozi verso uno scopo comune. Anche la giurisprudenza richiede la presenza di un elemento soggettivo, quale intento comune delle parti in ordine al collegamento, ma la necessità di tale elemento è ridimensionata dal riconoscimento che l’intento comune può risultare anche tacitamente: xxx. Xxxx., 00 xxxxxxx 0000, x. 000, xx Xxxx xx., 1997, I, p. 1142.
52 X. XXXX, Contratti parasociali, cit., p. 30 ss.
53 X. XXXX, Contratti parasociali, cit., p. 71, secondo l’autore “talora il rapporto oggettivo fra i più negozi può esser di natura tale, per essere l’uno organicamente e strutturalmente rivoto ad adempiere una funzione verso altro negozio, da render superflua l’indagine di quella volontà”.
54 X. XXXXXXX, Operazione economica e collegamento negoziale, Padova, 1999, p. 100 ss., l’autore procede ad una analitica ricostruzione del dibattito dottrinale, criticando la scelta esclusiva del criterio strutturale.
55 X. XXXXX, Profili del collegamento negoziale, Milano, 1999, p. 180, secondo il quale “I contratti collegati non perdono la loro autonomia sul piano strutturale, perché, diversamente, non vi sarebbe alcuna questione da risolvere, in quanto ci si troverebbe di fronte ad un’unica struttura contrattuale. I contratti collegati o, meglio, ciascun contratto collegato, perde la propria autonomia solo sul piano teleologico ed economico, perché è parte di un disegno negoziale più ampio risultante dal collegamento”.
Seguendo tale impostazione interpretativa, la figura del collegamento assume un duplice rilievo56, a seconda che si guardi al profilo della struttura o a quello della volontà delle parti. Si distingue così tra collegamento genetico e funzionale e tra collegamento volontario e necessario57.
Il collegamento genetico ricorre quando un negozio esercita un’azione vincolativa o meno sulla formazione di altro o di altri negozi58; pertanto, in tal caso, l’influenza che un negozio spiega sull’altro si arresta ed esaurisce nel processo di formazione dei negozi stessi59.
Il collegamento, invece, si definisce funzionale quando l’influenza che un negozio esercita sull’altro viene ad operare sullo svolgimento e sul funzionamento del rapporto, che da tale negozio nasce60. In altre parole, il collegamento in esame risulta dalla unitarietà della funzione perseguita, ossia quando i vari rapporti negoziali posti in essere tendono a realizzare un fine pratico unitario. In tal caso i singoli rapporti perseguono un interesse immediato che è strumentale rispetto all’interesse finale dell’operazione61.
56 Cfr. X. XXXXXXXX, I contratti collegati, cit., p. 19 ss.
57 Entrambe le distinzioni sono ampiamente accolte dall’unanime dottrina: cfr. ex multis X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 821; X. XXXXX, Frode alla legge e collegamento negoziale, Milano, 2006, p. 48; C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000; X. XXXXX, Profili del collegamento negoziale, cit., p. 3 ss.; X. XXXXXXXXX, Collegamento e connessione tra negozi, cit., p. 357; X. XXXX, Contratti parasociali, cit., p. 68. Propone denominazioni alternative F. DI SABATO, Unità e pluralità di negozi (Contributo alla dottrina del collegamento negoziale), cit., p. 412, il quale distingue tra collegamento materiale e collegamento precettivo: nel primo, “l’una situazione di fatto non può esistere senza l’altra; nel secondo caso invece la volontà del collegamento risponde ad un concreto e diretto interesse delle parti”.
58 Cfr. C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 483.
59 X. XXXXXXXXX, Collegamento e connessione tra negozi, cit., p. 367; X. XXXX, Contratti parasociali, cit., p. 68, secondo il quale la rilevanza del collegamento genetico tocca solo la genesi dei due negozi, “non persiste quando questi siano venuti ad esistenza”. In particolare rileva X. XXXXXXXX, voce Contratto collegato, cit., p. 51, come “il collegamento genetico costituisce un fenomeno a sé, in quanto, una volta sorto il secondo contratto, il primo cessa di influenzarlo; sì che vero e proprio collegamento è, in definitivo, il solo collegamento funzionale”.
60 X. XXXXXXXXX, Collegamento e connessione tra negozi, cit., p. 367.
61 In tal senso v. C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 482. Occorre rilevare, inoltre, che in alcune massime giurisprudenziali la nozione di collegamento funzionale è identificata nella stessa interdipendenza dei negozi. Tale nozioni si contrapporrebbe a quella di collegamento occasionale, ravvisabile nella semplice pluralità di contratti scaturenti dallo stesso accordo. Cfr. Cass., 2 luglio 1981,
n. 4291, in Foro it., 1982, I, p. 467: il collegamento deve ritenersi meramente occasionale quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, sono solo casualmente riunite, mantenendo l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sì che la loro unione non influenza, di regola, la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano; il collegamento è, invece, funzionale quando i diversi e distinti negozi, cui le parti diano vita nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale, vengano
In conformità di tale distinzione, parte della dottrina64 ritiene di dover procedere ad un’ulteriore classificazione concettuale, distinguendo in modo rigoroso tra negozi collegati e negozi necessariamente connessi. Rientrerebbero in quest’ultima categoria i contratti legati da un vincolo di accessorietà giuridica: contratti che presuppongono un contratto principale “che serve loro di base”65.
Pertanto, partendo dal concetto di accessorietà giuridica, la dottrina ritiene di poter distinguere tra collegamento unilaterale e collegamento bilaterale66. Nella prima ipotesi, la sorte di un rapporto si ripercuote sull’altro ma non viceversa; nella seconda, la sorte di ciascun rapporto è legata alla sorte dell’altro67.
tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, sì che le vicende dell’uno debbano ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia.
62 X. XXXX, Contratti parasociali, cit., p. 68. Contra X. XXXXXXXXXX, Negozi giuridici collegati, cit.,
p. 334, il quale nega che possa parlarsi di collegamento tra rapporti giuridici: “Se si pone mente che il rapporto è l’effetto e il negozio è la causa deve dedursene che un collegamento dei vari rapporti non può essere che un riflesso del collegamento tra i veri negozi”.
63 A. RAPPAZZO-X. XXXXXXXX, Il collegamento negoziale nella società per azioni, Milano, 2008, p. 20; X. XXXXXXXXXXXX, voce Collegamento negoziale, cit., p. 378, secondo l’autore “si oppongono fattispecie in cui il legame è insito negli stessi negozi, quali oggettivamente sono posti in essere – ed in questo senso dipende dalla loro natura – a quelle in cui i negozi, altrimenti indipendenti l’uno dall’altro, si trovano tuttavia ad essere vincolati in vista della pratica destinazione agli stessi imposta dalle parti”.
64 X. XXXXXXXX, voce Contratto collegato, cit., p. 49.
65 F. FERRARA, Teoria dei contratti, Napoli, 1940, p. 350. Nello stesso senso v. G. OPPO, Contratti parasociali, cit., p. 73.
66 Sul punto v. X. XXXX, Contratti parasociali, cit., p. 73.
67 C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 483; X. XXXXXXXX, voce Contratto collegato, cit., p. 52, secondo l’autore in caso di collegamento bilaterale “la regola fondamentale si riassume nella formula simul stabunt, simul cadent”. Inoltre, l’autore precisa che nel caso di collegamento unilaterale, il vincolo di accessorietà si tradurrebbe in ciò: che i motivi di invalidità o di scioglimento del contratto principale si trasmetterebbero all’accessorio, il quale seguirebbe dunque la stessa sorte; che l’inadempimento del primo solleverebbe dal dare adempimento al secondo. Nel caso di collegamento unilaterale, invece, dato il rapporto di reciproca influenza, l’interdipendenza si risolve, in sostanza, nell’estensione di ogni vicenda di uno dei contratti all’altro. Sul punto v. anche E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, Collegamento negoziale e efficacia della clausola compromissoria: il leasing e le altre storie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, p. 1094.
4. L’autonomia del contratto di arbitrato.
Pertanto, costituendo i negozi in esame l’uno l’indefettibile premessa e l’altro la coerente conseguenza70, è possibile cogliere la ragione sottesa al secondo profilo qualificativo del nesso che lega i negozi medesimi. A fronte del concetto di accessorietà, che viene in rilievo in presenza di un collegamento necessario, può dedursi che il contratto di arbitrato sarebbe accessorio rispetto all’accordo compromissorio. In particolare, si tratterebbe di accessorietà bilaterale; quindi, non solo le vicende del negozio principale si ripercuotono su quello accessorio, ma, in senso contrario, anche il primo subisce l’influenza del secondo.
In proposito, deve precisarsi che dottrina risalente71 aveva sostenuto che la mancata conclusione del contratto con l’arbitro integra gli estremi di una condizione risolutiva del compromesso.
Tuttavia, proseguire lungo tale percorso interpretativo, porterebbe alla conclusione secondo la quale l’accettazione degli arbitri diviene, inevitabilmente, parte dell’accodo compromissorio. Si finirebbe, quindi, con il negare autonomia al rapporto
68 In tal senso v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 16.
69 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 16.
70 Si riprende al riguardo l’efficace concetto dottrinale del nesso di sequenza di X. XXXXX, voce Negozio giuridico, in Noviss. dig. it., volume XI, Torino, s.d. (ma 1968), p. 213, secondo l’autore si ha nesso di sequenza quando “i negozi, pur serbando ciascuno la propria fisionomia, si succedono l’un l’altro in ordine al medesimo scopo, siccome indefettibile premessa e coerente conseguenza”. In tal senso v., anche, X. XXXXXXXX, Studi sugli atti giuridici complessi, cit., p. 49, 55, 63 ss.; X. XXXXXXXXXX, Xxxxxx xxxxxxxxx collegati, cit.
71 X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, cit., 96.
tra parti e arbitri e con il ricadere nelle difficoltà della dottrina tradizionale72 che non manteneva separati e distinti i due negozi.
Al fine di evitare simili conclusioni, si ritiene opportuno ragionare diversamente.
Dalla lettura delle norme relative al capo II del libro IV del codice di procedura civile, si deduce che le vicende riguardanti il rapporto parti-arbitri non incidono in modo diretto sulla volontà espressa di devolvere alla competenza arbitrale la risoluzione di una data controversia. In altri termini, ciò che riguarda il contratto di arbitrato non rileva per l’accordo compromissorio: il legislatore, infatti, con la disciplina della sostituzione, della decadenza e della ricusazione degli arbitri dimostra di voler tutelare l’interesse dei privati di avvalersi dell’arbitrato, rendendo tale scelta indipendente dalle vicende soggettive di coloro che sono chiamati a definire il giudizio.
L’arbitro, quale giudice privato, non svolge un’attività infungibile, intimamente connessa alla persona del soggetto designato73; egli può essere facilmente sostituito, senza che tale eventualità possa incidere negativamente sull’interesse perseguito dall’autonomia privata di avvalersi di uno strumento alternativo di risoluzione dei conflitti74.
In virtù delle riflessioni esposte, è possibile escludere qualsiasi utilità alla tesi del collegamento negoziale sussistente tra accordo compromissorio e contratto di arbitrato.
72 X. XXXX, Dei giudizi arbitrali, cit., p. 190, secondo l’autore all’interprete riesce arduo separare ciò che dalla norma sembra intimamente connesso: “adunque è ragionevole e giusto che, per la mancanza di un arbitro, o di tutti o di un numero qualunque di essi cessi il compromesso”. Cfr., anche, X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, III, cit., p. 190.
73 In tal senso v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 17.
74 X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 463, secondo l’autore “si realizza un sistema informato al principio di conservazione dell’accordo compromissorio e del procedimento arbitrale”. In senso diverso X. XXXXXXX, voce Compromesso, cit., p. 808, secondo l’autore “Il fatto che vengano a mancare uno o più degli arbitri nominati certamente non fa venir meno (cessare o decadere) il compromesso o la clausola. […] Si provvede alla loro sostituzione negli stessi modi in cui si provvede alla nomina […]. Evidentemente questo non è un caso di successione. Il carattere personalissimo dell’ufficio lo esclude in modo perentorio. Però il nuovo arbitro accettante assume in statu et terminis lo stesso posto dell’arbitro cessato, se le parti stesse non lo modifichino convenzionalmente con nuovi accordi col nuovo arbitro e anche con gli arbitri che rimangono investiti dell’incarico e con i quali il nuovo nominato deve entrare il collegio. Se vi sia un procedimento pendente, non risulta che questo si debba ritenere estinto (salvo ricominciarlo da capo), come forse vorrebbe la logica proprio per quell’intuitus personae, che a rigore dovrebbe avere effetto per tutto il processo. Per la sua continuazione bisognerà allora far capo per analogia alle regole che riguardano la sopravvenuta mancanza e sostituzione di un giudice nel processo ordinario di cognizione”.
Come osservato da autorevole dottrina75, il legislatore talvolta costruisce fattispecie di contratto che contengono, tra i propri elementi di fatto, gli effetti prodotti da altri negozi; in questi casi, non si pone un problema di collegamento, ma viene in rilievo la necessità che la situazione iniziale, su cui si innestano gli effetti del negozio, sia interamente venuta ad esistenza.
Il rapporto tra i due negozi si esaurisce nel fatto che il contratto di arbitrato reca tra i suoi presupposti un valido ed efficace accordo compromissorio; quest’ultimo si pone quindi come un elemento fattuale della più ampia fattispecie “contratto di arbitrato”.
Tali rilievi consentono di affermare l’assoluta autonomia del rapporto parti- arbitri rispetto alla convenzione arbitrale, anche se l’analisi delle vicende relative al contratto di arbitrato non può prescindere dalla sussistenza di un valido accordo compromissorio.
5. Figure affini al contratto di arbitrato.
Nel nostro ordinamento sono presenti istituti che è opportuno distinguere dal contratto di arbitrato.
75 Sul punto v. X. XXXX, Introduzione allo studio del diritto privato, IV edizione, Padova, 1990, p. 19-21.
76 In tal senso v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 20.
77 Cfr. G.VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 68, secondo l’ autore, “[…] oggetto del giudizio arbitrale può essere ciò che costituisce oggetto del giudizio statale […], la controversia arbitrale riguarda diritti o rapporti giuridici non diversamente da ciò che forma oggetto di controversia dinanzi al giudica statale”.
Il contratto di arbitraggio78, invece, si basa su rapporti giuridici imperfetti perché privi di un elemento costitutivo, che il legislatore all’art. 1349 c.c. identifica nell’oggetto del contratto lasciato eccezionalmente alla determinazione dell’arbitratore, ovvero come tradizionalmente si afferma vertono su di una controversi economica79.
Tuttavia, la volontà di dismettere i diritti ed obblighi è già contenuta nel contratto perfezionato dalle parti: esse non vogliono ab initio una cognizione di diritti ed obblighi, ma ad essi già abdicano necessariamente, trasformando la controversia da giuridica in economica, con l’incarico all’arbitratore di fissare i contenuti della
78 Per un approfondimento v. X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 33ss.; ID., voce Arbitrato, I) Arbitrato rituale e irrituale, cit., p. 8 ss.; X. XXXXXXX, L’arbitraggio. La perizia contrattuale, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, rassegna coordinata da X. XXXX, 1999, I, p. 145 ss.; X. XXXXXXXXX, Arbitraggio e determinazione dell’oggetto del contratto, Xxxxxxx, 1995; X. XXXXXXXXX, Arbitrato e arbitraggio, in Riv. arb., 1993, p. 583 ss.; X. XXXXXX, In tema di arbitrato, arbitraggio, perizia contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1983, p. 610 ss.;X. XXXXX, Appunti in tema di arbitramento e di arbitrato, in Riv. dir. proc., 1951, II, p. 161 ss. La definizione è accolta anche dalla giurisprudenza, sulla quale v. X. XXXXXXXX, Arbitrato rituale, arbitrato irrituale e arbitraggio, in Riv. arb., 1993, p. 128 (fra le tante v. in particolare Cass., 2 febbraio 1999, n. 858; Cass., 16 maggio 1998, n. 4931).
79 Cass., Sez. un,m 11 febbraio 1987, in Foro it., 1987, I, p. 1047, con nota di BARONE e in Giurispr. it., 1987, I, 1, p. 1804, con nota di XXXXXXX.
80 Sul punto v. X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 20.
81 In tal senso cfr. X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 20. Per un prima elaborazione delle differenze tra arbitrato e arbitraggio v. X. XXXXXXXXXX, Arbitrato estero, in Riv. dir. comm., 1916, I, p. 374; ID., Xxxxxxx e arbitratori, cit., p. 124, secondo l’autore, sia l’arbitratore che l’arbitro eserciterebbero funzioni di giudice, solo che il primo giudicherebbe su controversie di interessi o economiche, mentre il secondo si occuperebbe della decisione di controversie giuridiche. Nello stesso senso v. X. XXXXXXXXX, Xxxxxxx e arbitratori, Gli arbitrati liberi, in Riv. dir. proc., 1929, I, p. 315, l’autore, muovendo dalla distinzione tra controversie giuridiche e controversie economiche, afferma che le prime sono decise dall’arbitro e le ultime dall’arbitratore, precisando che l’attività di questo avrebbe natura costitutiva siccome dichiarazione di volontà integrativa di un negozio giuridico non ancora definito. Contra X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., p. 69, l’autore distingue le due figure sostenendo che, mentre l’arbitro conosce di un rapporto litigioso come ne conoscerebbe il giudice, l’arbitratore “è chiamato a determinare in un rapporto giuridico per sé pacifico un elemento non definito dalle parti; […] l’arbitrator, dunque, non dichiara diritti esistenti, non sostituisce il processo, ma completa rapporti giuridici, il che non ha importanza che per il diritto sostanziale”.
disposizione determinati per relationem e il vincolo tra di esse non discende dal dictum dell’arbitratore, ma dalla loro stessa volontà82.
Con riferimento alla natura giuridica della pronuncia dell’arbitratore, è possibile riscontrare in dottrina la presenza di diversi orientamenti.
Secondo un primo indirizzo83, fermo il principio per cui il dictum dell’arbitratore opera esclusivamente sul piano negoziale e vale immediatamente tra le parti contraenti come se costituisse il contenuto di una convenzione tra le parti stesse, la dichiarazione del terzo nell’arbitraggio va qualificato come negozio giuridico. Ciò in quanto l’arbitratore, completando il contenuto negoziale di un contratto inter alios mediante la determinazione dell’elemento lasciato indefinito dai contraenti, pone in essere un altro negozio giuridico, avente carattere ausiliario, o solutivo, rispetto al negozio contenente la relatio e natura costitutiva per gli effetti che produce direttamente nella sfera giuridica altrui.
Secondo un altro orientamento dottrinale, si tende a costruire la pronuncia dell’arbitratore come atto non negoziale, non essendo riconoscibile come manifestazione del potere di autoregolamentazione e, pertanto, fuori dalla sfera operativa dell’autonomia privata.
Nell’ambito di questa corrente di pensiero, pregevole è la soluzione secondo cui la determinazione del terzo è un tipico atto giuridico, qualificabile atto di arbitraggio, ossia un autonomo atto giuridico che si caratterizza come atto avente ad oggetto la
82 Cfr. XXXXXXX, voce Arbitraggio, in Noviss. Dig. it., 1957, p. 829, secondo l’autore, l’arbitratore non risolve una controversia, ma fissa un elemento del contratto, fornendo il risultato della propria attività che si inserisce nel contratto automaticamente come se provenisse da un accordo degli stessi contraenti. L’arbitraggio, prosegue l’autore, rappresenta uno di quei casi in cui la determinazione del contenuto volitivo del negozio avviene in maniera indiretta e mediata, attraverso il rinvio ad una fonte esterna di determinazione o per relationem.
83 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 298, l’autore qualifica la pronuncia del terzo come negozio di secondo grado; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, La determinazione dell’onorato di un lascito e l’arbitrio del terzo, in Riv. dir. priv., 1932, I, p. 293; X. XXXXXXXXX, Arbitri e arbitratori, Gli arbitrati liberi, cit., p. 314. In senso conforme, con riferimento alla pronuncia del terzo parlano di “determinazione volitiva “ di “carattere costitutivo”, pur se limitata dall’obbligo dell’arbitratore di conformarsi al canone dell’equità X. XXXXXXXX, voce Arbitrato, cit., p. 953; o invocano a favore della loro tesi la circostanza che l’atto del terzo può essere impugnato per i vizi che rendono impugnabile il negozio giuridico, oltreché per la mancanza di capacità di intendere e di volere dell’arbitratore X. XXXXXXX, Il contratto, I, in Trattato di dir. civ. comm., diretto da Xxxx e Messineo, Milano, 1987, p. 208. In giurisprudenza, x. Xxxx., 00 settembre 1963, n. 2492, in Mass. Giust. civ., 1963; Cass., 12 ottobre 1960, n. 2665, ivi, 1960; Cass., 25 giugno 1958, n. 2254, ivi, 1958; Cass., 12 luglio 1951, n. 1930, ivi,
1951.
determinazione di un altrui contratto84. Non avrebbe natura negoziale in quanto l’arbitratore non esprime una volontà negoziale in ordine alla costituzione, estinzione o modifica di un rapporto giuridico, ma si limita a determinare un elemento di un contratto altrui. Non dovrebbe intendersi neppure come un mero fatto perché si tratterebbe, non di un qualsiasi dato obiettivo esterno, ma di un apposito atto del terzo, avente per specifico oggetto la determinazione di un elemento del contratto e, come tale, suscettibile di essere impugnato ove il terzo violi gli obblighi inerenti al suo incarico85.
Da quanto detto, discende che, se l’arbitrato appartiene al diritto processuale, perché coincide con una cognizione su diritti nascenti da rapporti perfetti, mediante l’applicazione di regole giuridiche oggettive di stretto diritto ed equità, l’arbitraggio appartiene al diritto sostanziale86 ed è un eccezionale strumento ammesso in quell’ambito per esplicitare l’oggetto di un contratto rimasto inespresso, a cui l’arbitratore può giungere anche, se autorizzato, mediante il suo mero arbitrio, con il solo limite della malafede (art. 1349, secondo comma, c.c.), nel caso eccezionale abbia ispirato la sua determinazione al solo intento di nuocere ad una parte.
Quando invece l’oggetto del contratto è determinato con equo apprezzamento, e non con l’equità dell’arbitro, che è norma giuridica obiettiva non meno di quella
84 C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 331; X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, 1970, p. 390, secondo l’autore, il dictum dell’arbitratore, per le sue peculiarità, non può essere ricondotto a nessuna delle altre figure note e deve piuttosto essere qualificata come un atto giuridico di arbitramento, che si collega al contratto, sul quale va ad incidere, in dipendenza del patto di arbitramento. E’ da escludersi che si tratti di dichiarazione negoziale o di scienza, deve piuttosto considerarsi atto costituente espressione della volontà e libertà di chi lo emette, in funzione non già della sua autonomia dispositiva, ma di quella di altri soggetti interessati; X. XXXXXXXXX, L’atto non negoziale nel diritto privato italiano, Napoli, 1955, p. 370, secondo il quale, il dictum del terzo si caratterizza per gli effetti che produce sul rapporto intercorrente tra altri soggetti e per essere stato compiuto in adempimento di un accordo assunto proprio perché l’atto fosse compiuto e si inserisse in quel rapporto; esso sarebbe da considerare atto per quanto riguarda l’adempimento dell’obbligo assunto dal terzo, fatto, per quanto riguarda i rapporti tra i soggetti interessati. Più radicalmente X. XXXX, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano, 1967, p. 244, il quale sostiene che la pronuncia dell’arbitratore non viene in rilievo come attività dell’uomo, ma come “evento idoneo a raggiungere uno scopo”; non rileva l’indole volitiva o conoscitiva di esso, venendo considerato come mero fatto; in senso conforme X. XXXXX, Appunti in tema di arbitramento e di arbitrato, cit., p. 161.
85 Sul punto v. X. XXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 251, secondo l’autore, l’arbitratore è “un mandatario, cioè un privato che, senza concorrere alla formazione della volontà negoziale, esplica un’attività tecnica e professionale in esecuzione dell’incarico ricevuto dalle parti le quali si obbligano ad accettarla non in quanto proveniente da esso, sibbene per l’accordo tra esse corso di accogliere quanto sarà stabilito dal terzo come se lo avessero esse stesse stabilito”.
86 Cfr. X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., p. 69; G. SCIZZEROTTO,
Dell’arbitrato, cit., p. 249 ss.
L’autonomia della perizia contrattuale è evidente quando il terzo viene richiesto di fornire alle parti, che gli hanno conferito l’incarico, alcuni dati tecnici, non per
87 Cfr. X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 21.
88 Per un approfondimento v. X. XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, Bari, 1998, p. 28; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell’arbitrato, Napoli, 1997, p. 9; X. XXXXXXXXX, Arbitraggio e determinazione dell’oggetto del contratto, cit., p. 279; X. XXXXXX, L’arbitraggio, Napoli, 1992, p. 217- 220; X. XXXXXX XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato (interno), cit., p. 12; X. XXXXX, voce Arbitrato, I) Arbitrato rituale e irrituale, cit., p. 38; A. CATRICALA’, voce Arbitraggio, in Enc. giur., 1988, p. 1; C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 333; X. XXXX, Compendio del nuovo diritto privato, Torino, 1985, p. 108; X. XXXXXX, In tema di arbitrato, arbitraggio, perizia contrattuale, cit., p. 610; X. XXXXXXXXX, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile, IV, tomo II, Torino, 1980, p. 183; G. SCIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., p. 278; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato nel sistema del processo civile, cit., p. 105; ID., Perizia contrattuale, arbitrato irrituale e arbitraggio, in Foro pad., 1953, p. 405; X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale, cit., p. 385; ; X. XXXXXXXX, voce Arbitrato, cit., p. 955; X. XXXXXXX, Gli arbitratori nel diritto privato, cit., p. 108 e 119.
89 X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale, cit., p. 385; X. XXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit.,
p. 264; X. XXXXXXXX, voce Arbitrato, cit., p. 955, secondo l’autore, il terzo incaricato è persona scelta per la sua specifica competenza e che ad esso si richiede di formulare un apprezzamento di fatto, da effettuarsi, non mediante una valutazione discrezionale, ma attraverso l’applicazione delle comuni regole tecniche, alle quali l’indagine deve essere strettamente vincolata. Individua nella pronuncia del terzo i caratteri della dichiarazione di scienza X. XXXXXXXXX, Arbitraggio e determinazione dell’oggetto del contratto, cit., p. 281.
90 Cfr. X. XXXXXXXXX, Arbitraggio e determinazione dell’oggetto del contratto, cit., p. 282.
vincolarsi preventivamente a tale dictum ed assumerlo come contenuto della loro volontà negoziale, bensì a livello meramente consultivo con la conseguente possibilità di valutarlo liberamente e di disattenderlo. In tal caso, infatti, è evidente che si tratti di una semplice perizia, situazione del tutto estranea all’area di esperienza dell’arbitrato (e figure confinanti)91.
Secondo autorevole dottrina93, benché l’eventuale vincolatività del responso del terzo-perito costituisca un elemento comune all’arbitrato irrituale e all’arbitraggio, tuttavia la perizia contrattuale si distingue da questi istituti “per la natura e la qualità dei poteri conferiti al terzo”. L’attività dell’esperto è, infatti, circoscritta ad una indagine esclusivamente tecnica, dalla quale esulano quelle determinazioni volitive e discrezionali che caratterizzano l’attività svolta dagli arbitri liberi nell’arbitrato irrituale e dagli arbitratori nell’arbitraggio. I contraenti si limitano a chiedere al perito un giudizio su cose o questioni che essi ignorano e di cui egli invece ha una specifica competenza. La determinazione dell’elemento contrattuale, che le parti non sono in grado di precisare, avviene attraverso una mera dichiarazione di scienza diversamente da ciò che accade nell’arbitrato irrituale e nell’arbitraggio.
91 In tal senso X. XXXXXX, In tema di arbitrato, arbitraggio, perizia contrattuale, cit., p. 613; X. XXXXXXXXX, Arbitraggio e determinazione dell’oggetto del contratto, cit., p. 282; X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale, cit., p. 385; X. XXXX, In tema di arbitrato irrituale, in Giur. compl. Xxxx. civ., 1949, I, p. 67, secondo l’autore, se il terzo deve limitarsi ad emettere dei suggerimenti tecnici che le parti sono libere di accettare o meno, si avrà nient’altro che un “parere”, pronunciato dal terzo in esecuzione di un contratto d’opera professionale.
00 Xxx. X. XXXXXX, Xx tema di arbitrato, arbitraggio, perizia contrattuale, cit., p.613.
93 X. XXXXXXXX, voce Arbitrato, cit., p. 955. In senso conforme A. CATRICALA’, voce Arbitraggio, cit., p. 2; X. XXXXXXX, voce Arbitrato irrituale, in Noviss. Dig. it., Appendice, Torino, 1980, p. 366, secondo l’autore, la perizia contrattuale, quale accertamento di fatto basato sulla specifica esperienza tecnica del terzo-perito, si distingue dall’arbitrato irrituale perché manca la controversia e dall’arbitraggio perché non si deve completare un contratto. Nel senso dell’autonomia della perizia contrattuale, in giurisprudenza, x. Xxxx., 00 novembre 1982, n. 6162, in Mass. Giust. civ., 1982; Cass., 22 ottobre 1981,
n. 5544, in Mass. Giust. civ., 1981; Cass., 29 gennaio 1981, n. 699, in Mass. Giust. civ., 1981; Cass., 6 giugno 1975, n. 2272, in Mass. Giust. civ., 1975; Cass., 20 marzo 1970, n. 854, in Mass. Giust. civ., 1970; Cass., 22 agosto 1966, n. 2268, in Mass. Giust. civ., 1966.
Altra parte della dottrina94, in contrapposizione alla tesi che si fonda sull’autonomia della perizia contrattuale, ritiene che tale figura non è da considerarsi un istituto a sé stante, rientrando essa o nell’arbitraggio o nell’arbitrato irrituale a seconda che l’incarico consista nella determinazione di un elemento del negozio giuridico non ancora perfetto oppure nella composizione in forma negoziale di una controversia nascente da un rapporto giuridico già perfetto. In altri termini, la specifica competenza tecnica del terzo non può in alcun modo condizionare la particolare natura dell’istituto al quale si vuole fare riferimento, perché appare logico che debba possederla anche l’arbitratore.
94 X. XXXXXXXXX, Arbitraggio e determinazione dell’oggetto del contratto, cit., p. 284; X. XXXXXX,
L’arbitraggio, cit., 220; X. XXXXXX-XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato (interno), cit., p. 12;
C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 331; X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale, cit., p. 385. Contra X. XXXXXXXXX, L’arbitrato nel sistema del processo civile, cit., p. 106, secondo l’autore, deve ritenersi che accanto agli istituti dell’arbitrato rituale, dell’arbitrato libero e dell’arbitraggio non vi sia posto per il quarto istituto della perizia contrattuale; X. XXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 281-282, secondo l’autore, non vi sono ragioni, ma soprattutto non esistono elementi che consentano la costruzione di un istituto a sé stante che, con il nome di perizia contrattuale, possa essere utilmente collocato accanto all’arbitrato improprio e all’arbitraggio; al contrario, tutte le ipotesi di perizia contrattuale sono riconducibili o sotto la figura dell’arbitraggio o sotto quella dell’arbitrato improprio.
SOMMARIO: 1. Il problema qualificativo del rapporto parti-arbitri: la tesi del mandato. – 2. (Segue): rilievi critici. – 3. Conclusioni sulla applicabilità della tesi del mandato al rapporto parti-arbitri. – 4. La tesi del contratto di prestazione d’opera intellettuale. – 5. (Segue): esecuzione di prestazione d’opera intellettuale in adempimento di un mandato. – 6. La tipicità del contratto di arbitrato.
1. Il problema qualificativo del rapporto parti-arbitri: la tesi del mandato.
Dopo aver chiarito che il rapporto parti-arbitri è di natura contrattuale, è necessario individuare la qualificazione giuridica di tale rapporto e stabilire quale sia la disciplina applicabile.
In proposito, sono emersi in dottrina diverse ipotesi interpretative: secondo un primo orientamento il rapporto in esame integrerebbe gli estremi di un contratto di mandato95; altra corrente di pensiero riconduce il legame parti-arbitri alla figura della locatio operis96; infine, la ricostruzione prevalente opta per la tipicità del contratto97.
95 X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 97, secondo il quale “Esaminato nelle relazioni con il contratto di arbitrato, il contratto di mandato agli arbitri deve ora essere esaminato in sé. In tale prospettiva è il contratto con il quale uno o più soggetti si obbligano a compiere per conto di due o più parti un particolare atto giuridico: il giudizio su di una controversia giuridica. E’ pertanto un contratto tipico che costituisce un rapporto giuridico patrimoniale, in quanto specificazione del contratto di mandato”; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 177 ss.; X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 57.
00 X. XX XXXXX, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 70; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 118; X. XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, cit., p. 61; X. XXXXXXXXX, voce Arbitrato (Teoria generale e Diritto processuale civile), cit., p. 398; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato nel sistema del processo civile, cit., p. 401; X. XXXXX, Collegialità degli arbitri e responsabilità per inadempimento, in Riv. dir. proc., 1961, p. 240 ss., secondo l’autore, “Si dichiara subito la preferenza per un inquadramento privatistico dei rapporti fra le parti e l’arbitro, che, precisamente, faccia capo allo schema del contratto di prestazione di lavoro intellettuale”; ID., Diritto dell’arbitrato, cit., p. 143; X. XXXXX, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, cit., p. 17, secondo l‘autore, “[…] se si prende in considerazione attentissima la struttura dell’intero rapporto arbitrale, si noterà subito come tra le parti compromittenti e il terzo corra un rapporto di diritto materiale – il receptum – il quale è indubbiamente espressione di un obbligo del terzo a compiere una determinata prestazione, e di un corrispondente diritto delle parti all’adempimento di quell’obbligo. Il diritto privato spiega esaurientemente questo fenomeno, che è del tutto analogo ad altre figure pacificamente riconosciute, e in genere alla locazione delle opere”. In giurisprudenza x. Xxxx., 00 novembre 1999, n. 13174, in Rep. Giur. it., voce Arbitrato – arbitri, 1999, n. 118, sulla natura del contratto parti-arbitri come contratto d’opera intellettuale.
97 G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 70 ss.; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 183 ss., parla di “ufficio” di natura privatistica; X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX- FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 70; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 46; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 49, secondo il quale è preferibile parlare tout court di “convenzione per nomina di arbitro” onde evitare equivoci circa l’intero
I sostenitori della tesi del mandato partono dal presupposto che il mandato, oltre che atto di una parte nel proprio interesse, possa anche considerarsi come “atto collettivo di tutte le parti compromittenti nell’interesse comune”98: l’interesse comune sarebbe rappresentato dalla risoluzione della controversia.
Gli arbitri, una volta accettato l’incarico ad essi conferito, assumerebbero la veste di mandatari delle parti99; in particolare, giacché sono nominati insieme, sarebbero mandatari revocabili solo congiuntamente, per “comune consenso dei mandanti”100.
Tuttavia, deve precisarsi che, nei confronti della tesi del mandato, sono state sollevate perplessità e obiezioni anche prima che si avvertisse la necessità di distinguere tra accordo compromissorio e rapporto parti-arbitri. Infatti, la non riconducibilità della
processo; X. XXXXXXXXX, Contratti nell’arbitrato, cit., p. 9; X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, cit., p. 100.
98 X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 57.
99 La qualificazione del rapporto parti-arbitri in termini di mandato collettivo ha trovato adesione presso la giurisprudenza di legittimità più risalente, ove è rimasta per lungo tempo pacificamente accolta e priva di obiezioni. Cfr., ex multis, Cass., 9 gennaio 1955, n. 1324, in Foro it. Mass., 1955, p. 284; Cass., 14 gennaio 1949, n. 10, in Giur. compl. Cass. civ., 1949, I, p. 55. Nella giurisprudenza di merito, v. App. Milano, 16 aprile 1954, in Giur. it., 1954, I, p. 2, c. 780; App. Firenze, 18 febbraio 1953, in Foro it. Rep.,
1953, voce Arbitrato rituale, n. 7, p. 175.
100 In tal senso X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 58-59, secondo l’autore, vi sono profili del rapporto tra parti ed arbitri estranei o confliggenti con natura giuridica e disciplina del mandato, il che, tuttavia, non “fa ostacolo alla esattezza della costruzione; purché si intenda bene che gli arbitri sono mandatari di tutte le parti, indivisibilmente, e che l’oggetto del mandato è la definizione del litigio, interesse comune dei mandanti”.
101 X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 117, il quale, in luogo di contratto di arbitrato, assegna al rapporto parti-arbitri il nomen iuris di “contratto di mandato agli arbitri”. Sul punto v. anche X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 397; X. XXXXXXX, Arbitri, in AA. VV., Dizionario dell’arbitrato, Torino, 1997, p. 148.
102 X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 117 ss., secondo l’autore, “[…] il mandato agli arbitri è di natura collettiva (avendo ad oggetto un affare di interesse comune) ed è conferito anche nell’interesse del mandatario, discendendone l’applicazione degli artt. 1726 e 1723, secondo comma, c.c.”.
figura degli arbitri in quella di mandatari, aveva suscitato riserve nei confronti dell’orientamento che assimilava il compromesso al mandato.
Innanzitutto, secondo parte della dottrina103, non si comprenderebbe la ragione per cui il singolo compromittente non potrebbe revocare il mandato o modificare i contenuti dell’accordo. Inoltre, vista l’importanza fondamentale che il legame fiduciario assume nel rapporto di mandato tra le parti, il gerito deve essere libero di mutare il proprio intendimento, nell’eventuale ipotesi in cui la fiducia si alteri o, addirittura, venga meno104. Pertanto, lasciare ad un soggetto non più ritenuto idoneo la gestione dei propri affari, rappresenterebbe un’evidente contraddizione con l’essenza tipica del negozio di mandato.
La citata dottrina, inoltre, precisa che l’arbitro non agisce in nome o come rappresentante della parte; né l’individuazione dell’oggetto del giudizio implicherebbe anche indicazioni concernenti le modalità di risoluzione della controversia105. L’attività degli arbitri si fonda sul principio della libertà di giudizio; la loro decisione, infatti, dipende esclusivamente dal libero convincimento che in essi si determina durante lo svolgimento dell’iter procedimentale.
Altra parte della dottrina106, ha ritenuto tali obiezioni superabili mediante l’impiego dei principi generali che regolano il contratto di mandato. In proposito, si è precisato che: a) la irrevocabilità del mandato da parte del singolo compromittente deriva dalla natura collettiva dell’incarico; b) il mandatario può anche non spendere il
103 X. XXXX, Dei giudizi arbitrali, cit., p. 46.
104 Cfr. X. XXXXX, Dell’estinzione del mandato, in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e
X. Xxxxxx, continuato da X. Xxxxxxx, Bologna-Roma, 1994, p. 54; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxx (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, XIX, Roma, 1990, p. 10; X. XXXXXXXX, Il mandato e la commissione, in Tratt. di dir. priv., diretto da X. Xxxxxxxx, XXX, Xxxxxx, 0000, p. 154; X. XXXXXXXXX, Rapporti di durata e recesso ad nutum, Milano, 1965, p. 121; X. XXXXXXXX’, voce Mandato, in Noviss. Dig. it., X, 1968, p. 132, il quale chiaramente afferma “Essensdo oggetto del mandato la trattazione degli affari altrui, il dominus dell’affare deve aver la facoltà di arrestare l’esecuzione del mandato se non lo ritenga più conforme ai suoi interessi o, se per una qualsiasi causa, non abbia più fiducia nell’opera del mandatario”. In senso difforme x. X. XXXXXXX, voce Mandato (dir. priv.), in Enc. dir., XXV, 1975, p. 365-366, secondo l’autore, “[…] errerebbe chi ritenesse che la facoltà di porre termine al rapporto, attribuita al mandante, sia giustificabile in relazione alla fiducia. L’elemento fiduciario, benché genericamente presente nel rapporto di mandato, non è idoneo a spiegarne la revocabilità, non foss’altro perché alla revoca il mandante può far ricorso anche quando non sia venuta meno la fiducia riposta nella persona del mandatario”.
105 M. AMAR, Dei giudizi arbitrali, cit., p. 46.
106 X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 177.
nome del mandante; c) le istruzioni date di norma al mandatario potrebbero, nel caso degli arbitri, riguardare il criterio di soluzione della controversia o il modus procedendi. Nonostante il superamento delle perplessità sollevate dalla dottrina più risalente,
è evidente la sussistenza di diverse difficoltà, viste le peculiarità dell’arbitrato, nel ricondurre l’attività degli arbitri ad altre figure tipiche presenti nel nostro ordinamento.
2. (Segue): rilievi critici.
Secondo parte della dottrina107, per dimostrare la non riconducibilità del rapporto tra parti ed arbitri nello schema tipico del mandato, dovrebbe farsi leva sull’esame degli elementi strutturali di tale negozio.
Dal primo profilo, emerge che il mandatario non ha la mera facoltà, ma propriamente l’obbligo di compiere l’atto o gli atti giuridici: la sua è un’attività “dovuta”. Dal secondo profilo, ciò che rileva è la cura dell’interesse altrui, cioè la necessità che il compimento dell’attività, da parte del mandatario, sia proprio “per
107 X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, Milano, 2008, p. 26, secondo l’autore “Maggiore fondatezza sembrano rivestire i rilievi critici, che muovono dall’esame di elementi strutturali del contratto di mandato”.
108 Sul punto, cfr. X. XXXXXXXXX, Del mandato, cit., IV, tomo III, p. 5 e 17 ss.; X. XXXXXXXXX, Il mandato, la commissione, la spedizione, II rist. inv., in Tratt. di dir. civ., diretto da X. Xxxxxxxx, VIII, tomo I, Torino, 1952, p. 4, secondo l’autore, il mandatario svolge un’attività qualificata, i cui effetti ricadono nella sfera giuridica di una “persona diversa dall’agente”.
109 X. X’XXXXXXXXXX, La cooperazione del mandante nel rapporto di gestione, Milano, 2002, p. 61 ss.; X. XXXXXXXX’, voce Mandato, cit., p. 108, due elementi “concorrono ad identificare l’istituto del mandato, uno riflette l’oggetto del medesimo, cioè la prestazione che deve avere carattere negoziale; l’altro, invece, riguarda i soggetti, o meglio la relazione che deve intercorrere tra di essi”.
conto” del mandante. In tal modo, l’attività del mandatario è necessariamente strumentale rispetto all’interesse del mandante: mira ad attuarlo.
Con riferimento all’oggetto dell’attività del mandatario, il dibattito dottrinale ha subito l’influenza delle varie riflessioni emerse sul tema della classificazione di fatti e atti giuridici110; in particolare, nel caso del mandato, il problema riguardava la natura della prestazione del mandatario, ovvero il significato da attribuire all’espressione “atti giuridici”.
L’ambito dell’attività del mandatario non sarebbe limitato alla sola conclusione di negozi giuridici, ma ricomprenderebbe anche il compimento di qualsiasi atto giuridico; infatti, se la lettera della norma parla di atti giuridici, non vi sarebbe ragione di ridurre l’incarico alla esclusiva stipulazione di contratti.
110 Sul punto v. X. XXXXXXXXX-X. XXXXXX, I fatti giuridici, ristampa a cura di X. Xxxx, Milano, 1996, p. 12 ss.
111 X. XXXXXXXXX, Il mandato, la commissione, la spedizione, cit., p. 6-7, secondo l’autore, “[…] l’attività del mandatario non deve necessariamente consistere nel compimento di negozi giuridici; può consistere anche nel compimento di atti giuridici a-negoziali (atti giuridici in senso stretto)”. In giurisprudenza x. Xxxx., 8 giugno 1954, n. 1908; App. Roma, 17 maggio 1956, in Mass. Giust. civ., 1956,
p. 54, voce mandato; vedi anche Relazione al Codice Civile, n. 712.
112 X. XXXXXXXXX, Il rapporto di gestione sottostante alla rappresentanza, in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965, p. 195, secondo il quale, il mandatario “tratta e conclude affari del principale, pone a servizio di lui la propria volontà, emettendo dichiarazione negoziali per conto e nell’interesse di esso”; X. XXXXXX, L’appalto, in Tratt. di dir. civ., diretto da X. Xxxxxxxx, VII, tomo III, Torino, 1946, p. 28; F. XXXXXXX xx., Gli imprenditori e le società, Milano, 1943, p. 60. In senso parzialmente difforme x. X. XXXXXXX, voce Mandato (dir. priv.), cit., p. 339, secondo l’autore, “[…] oggetto del mandato è l’attività (del mandatario), non anche l’atto (o il negozio) giuridico in cui essa si concretizza, né il suo risultato. Se, per esempio, si tratti di mandato ad acquistare, oggetto del mandato sarà il compimento dell’atto idoneo a far conseguire (in capo al mandante) la proprietà della cosa, cioè l’esercizio della necessaria attività, e non l’atto di acquisto, né tutti gli altri (preparatori, dipendenti, ecc.) che ad esso sono relativi. In tal senso, pertanto, occorre distinguere tra il compimento dell’atto (o del negozio) e l’atto vero e proprio. Quest’ultimo costituisce lo strumento giuridico necessario per il conseguimento del risultato prefissosi dal mandante e, come tale, resta al di fuori della struttura del contratto di mandato: non
La natura negoziale degli atti posti in essere dal gerente si fonda sul necessario esercizio della volontà del mandatario113, divenendo, in tal modo, elemento tipico del contratto di mandato114.
La natura negoziale dell’attività posta in essere dal mandatario consente di approfondire il secondo dei profili che vengono in rilievo nella struttura del mandato: il vincolo che lega le parti del contratto.
Secondo autorevole dottrina115, il rapporto tra mandante e mandatario potrebbe qualificarsi come rapporto di gestione: il primo, attraverso la conclusione del contratto di mandato, si assicura il compimento di una certa attività da parte del secondo, che abbia ad oggetto la trattazione e la conclusione di uno o più negozi giuridici con terze persone, nell’interesse del “principale” che ha conferito l’incarico.
La natura gestoria dell’incarico conferito al mandatario sembra prescindere dall’attribuzione del potere rappresentativo mediante procura116; infatti, si ha rapporto di gestione sia nel caso in cui il mandatario debba agire in nome del mandante (c.d.
costituisce, in ogni caso, oggetto del mandato, che è invero propriamente il compimento dell’atto, cioè il
facere del mandatario”.
113 X. XXXXXXX, La teoria del negozio giuridico a cento anni dal BGB, in Riv. dir. civ., 1998, I, p. 578: “Il negozio – come si è spiegato – esprime la sintesi organizzativa e la costante assiologica modale propria del processo di realizzazione di una intera classe di interessi umani”. In particolare v. X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 125, secondo l’autore, “[…] il negozio è un atto e, come tale, appartiene alla categoria dei fatti giuridici. Ciò vale a stabilire che anche qui, per la produzione di effetti giuridici, è necessaria un’attività, un’azione materiale: non basta uno stato d’animo o psicologico, in particolare il cosiddetto interno volere. Questo deve tradursi in azione. La volontà è però determinante degli effetti: e qui sta la caratteristica propria del negozio. Non solo l’azione è voluta come negli atti giuridici in senso stretto, ma l’azione è espressione di una volontà diretta a uno scopo e come tale è giuridicamente rilevante. Il negozio giuridico consta, pertanto, di questi due elementi: l’uno esterno, che è l’atto, e l’altro interno, che è la volontà”. In tal senso v. anche X. XXXXXXXXX, voce Animus, in Enc. dir., II, Milano, 1958, p. 437 ss.; ID., La volontà elemento essenziale del negozio giuridico, Diritto civile, Milano, 1951, p. 63 ss.; E. ONDEI, La volontà nei contratti, in Foro pad., 1949, III, p. 17 ss.
114 In tal senso anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione, soprattutto nel distinguere tra mandato e locazione di opere: contratti che, “pur avendo in comune entrambi un facere, si diversificano in relazione al rispettivo oggetto: che nel primo caso è rappresentato da un’attività qualificata di conclusione di negozi giuridici per conto e nell’interesse del mandante, e nel secondo da un’attività di cooperazione estranea alla sfera negoziale”, Cass., Sez. III, 26 ottobre 2004, n. 20739, in Giust. civ., 2005, I, p. 2075.
115 X. XXXXXXXXX, Il rapporto di gestione sottostante alla rappresentanza, cit., p. 160.
116 Sul punto v. C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 86-87, secondo l’autore, bisogna distinguere tra potere rappresentativo e rapporto gestorio: “Sebbene sia teoricamente possibile che il soggetto si limiti ad attribuire il potere rappresentativo, è normale che la procura si accompagni ad un rapporto di mandato o ad altro rapporto gestorio in base al quale il rappresentante è obbligato a compiere un’attività di gestione per conto del rappresentato. Accanto alla procura, che è un negozio unilaterale, distingueremo quindi il contratto in base al quale il procuratore s’impegna a compiere una certa attività per conto del rappresentato. Tipico contratto di gestione che si accompagna alla procura è il mandato”.
contemplatio domini), sia nell’ipotesi in cui l’accordo non venga portato a conoscenza dei terzi117.
E’ stato, altresì, precisato, con riferimento alla cooperazione esterna, che il mandatario proprio perché agisce per conto del mandante, si pone in una posizione particolare: nell’economia del rapporto di mandato, nonostante non occupi il posto del gerito, è, tuttavia, tenuto ad espletare la sua attività come se fosse lo stesso mandante. In
117 E’ sorta in dottrina una polemica intorno al problema dell’autonomia della rappresentanza nei confronti del sottostante negozio di gestione. La dottrina maggioritari propende, ormai pacificamente, per la soluzione positiva. Chiaramente X. XXXXXXX, I contratti speciali. Il mandato, la commissione, la spedizione, in Tratt. dir. civ., diretto da Xxxxxxx, XIV, Torino, 2007, p. 18: “Alcuni punti sono pacifici; di regola procura e mandato sono atti distinti e scindibili; ed infatti la diversa struttura, unilaterale nella procura, contrattuale nel mandato, la diversità di effetti, attributiva di poteri la prima, fonte di obblighi il secondo, la diversità di funzione, attinente la procura al lato “esterno”, in quanto concerne i terzi, mentre il mandato disciplina il rapporto interno, fa sì che si possa avere procura con mandato, procura senza mandato (in quanto il rapporto interno sia disciplinato da un diverso contratto, di lavoro, di società, ecc.), mandato senza procura”. Di avviso contrario X. XXXXXXXXX, Il rapporto di gestione sottostante alla rappresentanza, cit., p. 160 ss. Xxxxxx ricostruzione del pensiero del Xxxxxxxxx è in X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx: il mandato e la rappresentanza indiretta, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 623 ss., l’autore ricorda che, secondo il “maestro” Xxxxxxxxx, “[…] la rappresentanza sorge dalla combinazione del rapporto di gestione, cioè dall’incarico, e dall’alienità del negozio gerito, come si diceva, dalla cura dell’interesse altrui da parte dell’incaricato, del mandatario, esteriorizzatra con l’agire in nome altrui (la contemplatio domini), tagliando fuori dal discorso la procura che viene considerata una superfetazione”.
118 X. XXXXXXXXX, Il rapporto di gestione sottostante alla rappresentanza, cit., p. 167.
119 X. XXXXXXXXX, Il rapporto di gestione sottostante alla rappresentanza, cit., p. 166.
120 X. XXXXXXXXX, Il rapporto di gestione sottostante alla rappresentanza, cit., p. 168, secondo l’autore, rapporto di gestione vero e proprio si ha solo quando l’attività dell’agente sia “un mezzo rivolto al fine di concludere affari con i terzi”: esso riposa e si fonda solo su fatti di cooperazione esterna.
Il contratto di mandato, dunque, rappresenterebbe un fatto di cooperazione esterna123; tale negozio è la fonte da cui ha origine un rapporto di gestione124 tra mandante e mandatario, che rende quest’ultimo un “alter ego del principale”125.
3. Conclusioni sulla applicabilità della tesi del mandato al rapporto parti- arbitri.
Le considerazioni esposte, sull’elaborazione concettuale del contratto di mandato, inducono a ritenere problematica la riconduzione del rapporto parti-arbitri nello schema tipico considerato.
In particolare, la dottrina ha precisato che gli arbitri sono obbligati non già a comporre una lite, ma a decidere una controversia126; essi realizzano una prestazione
121 Cfr. X. XXXXXXX, voce Mandato (dir. priv.), cit., p. 324-325, il quale ritiene che “[…] tra l’attività del mandatario e l’intento del mandante deve sussistere una perfetta rispondenza, non potendosi altrimenti giustificare l’attribuzione dei risultati di tale attività in capo al mandante”.
122 Cfr. X. XXXXXXX, voce Mandato (dir. priv.), cit., p. 324-325, l’autore aggiunge altresì che la natura sostitutiva dell’attività del mandatario serve anche “per delineare un altro elemento che ha un suo peso nell’economia del rapporto di mandato: quello riguardante la necessità che il mandatario, nel compiere gli atti giuridici, abbia la volontà di compierli proprio per conto ed in sostituzione del mandante”; X. XXXXXXXXX, Il mandato, la commissione, la spedizione, cit., p. 75 ss.
123 In tal senso v. X. XXXXXXXXX, Il mandato, la commissione, la spedizione, cit., p. 10, che assegna all’attività del mandatario la qualifica di “attività di cooperazione esterna”.
124 X. XXXXXXXX; Controllo e gestione: il potere del mandante di impartire istruzioni, in Rass. Dir. civ., 2003, p. 665.
125 X. XXXXXXXXX, Il rapporto di gestione sottostante alla rappresentanza, cit., p. 169.
L’arbitro non collabora con il committente, ma semplicemente si impegna a fornirgli il substrato logico di una decisione, ovvero il contenuto materiale di un comando129. Potrebbe parlarsi, utilizzando un’espressione diffusa in dottrina130, di cooperazione materiale e non giuridica; anche se nelle funzioni arbitrali si combinano profili diversi che rendono assolutamente peculiare l’attività che gli arbitri sono chiamati a svolgere.
Infine, può cogliersi un ulteriore elemento ostativo alla qualificazione giuridica del rapporto parti-arbitri in termini di mandato: mentre il mandatario sostituisce il mandante nel compimento di un’attività che il gerito potrebbe svolgere autonomamente,
126 X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 211, 326, 328 e 390, “Si oppone alla tesi del mandato, inoltre, l’osservazione che gli arbitri non ricevono dai compromittenti un incarico ad negotia gerenda e tanto meno di operare in nome e per conto di essi sia pure congiuntamente. Invero, le parti affidano agli arbitri la decisione di una loro controversia ed essi debbono decidere, per l aimparzialità ed obiettività che deve informare anche il loro operato come quello dei giudici ordinari, astraendo dall’una e dall’altra parte. Xxxxxxx decidere, cioè, come si suol dire, unicamente secundum alligata et probata”; X. XXXXXXX, Diritto processuale civile, III, Milano, 1954, p. 458; X. XXXXXXXXXX, Istituzioni del processo civile italiano, cit., p. 6; Così anche X. XXXXXXX, Il mandato ad arbitrare. La capacità degli arbitri. La responsabilità degli arbitri, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 494.
127 G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 117.
128 Sul punto v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 31; X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, cit., p. 102, il quale afferma che : “Gli arbitri […] quando decidono la controversia, non compiono un affare, e nemmeno agiscono per conto delle parti che li hanno nominati. Essi non si sostituiscono alle parti per comporre una lite, ma agiscono in modo autonomo e in piena libertà”.
129 X. XXXXX, Collegialità degli arbitri e responsabilità per inadempimento, cit., p. 248.
130 X. XXXXXXXX, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1947, p. 550; ID., Efficacia del chirografo d’avaria nel tempo, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 000. In particolare, X. XXXXXXXXX, Il mandato, la commissione, la spedizione, cit., p. 10 e X. XXXXXXXXX, Il rapporto di gestione sottostante alla rappresentanza, cit., p. 168, pongono in rilievo che la “cooperazione giuridica” è sempre “esterna”, cioè rivolta ai terzi.
agli arbitri, invece, è conferito un incarico cui le parti non possono provvedere da sé: la decisione della controversia.
4. La tesi del contratto di prestazione d’opera intellettuale.
La dottrina più risalente132 aveva già individuato, nel rapporto in esame, la sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge per la figura della locatio operis: gli arbitri, in virtù dell’incarico ad essi conferito, si obbligano ad esercitare un’attività materiale, quale risultante di una “somma di (plurime) energie”; tuttavia, tale attività non è dotata di autonoma rilevanza, in quanto, è un elemento strumentale al raggiungimento di un determinato effetto: la decisione del giudizio mediante la pronuncia del lodo. I compromettenti, dal canto loro, con il perfezionarsi del contratto assumono l’obbligo di corrispondere un compenso agli arbitri per l’opera prestata.
Tale orientamento, secondo parte della dottrina133, si chiarisce ulteriormente attraverso il richiamo alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato.
Nei rapporti obbligatori, in genere, l’utilità, o il risultato dovuto dal debitore, rappresenta il bene assicurato dal diritto di credito, in cui la relazione tra soggetto attivo e passivo è diretta al soddisfacimento della pretesa creditoria.
Tuttavia, non sempre tale interesse è direttamente dedotto in obbligazione; in talune fattispecie, la tutela giuridica, cioè la misura del “dover avere” del creditore, è
131 Così, tra i primi, X. XXXXX, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, cit., p. 17, che definiva il rapporto parti-arbitri come rapporto di diritto materiale – il “receptum” – analogo ad altre figure pacificamente riconosciute, e in genere, alla locatio operis. Sul punto v., anche, S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 70; X. XXXXXXXXX, voce Arbitrato (Teoria generale e Diritto processuale civile), cit., p. 398.
132 Cfr. I. LA LUMIA, Sui rapporti tra compromettenti e arbitri, in Dir. comm., 1912, I, p. 329, che individua i requisiti della locatio operis nel rapporto parti-arbitri: “[…] uno dei contraenti, l’arbitro, si obbliga a prestare una somma di energie, che, però, non è da considerarsi a sé, astraendo da qualsiasi effetto, bensì è dedotta come mezzo a un effetto dato, la pronunzia del lodo, e gli altri, i compromettenti, corrispondono una mercede”.
133 X. XXXXX, Collegialità degli arbitri e responsabilità per inadempimento, cit., p. 254.
Da tale assunto deriva la distinzione tra obbligazioni di risultato, il cui adempimento mediante la condotta dell’obbligato realizza, con piena soddisfazione, il fine economico avuto di mira dal creditore; e obbligazioni di mezzi, ove l’attività strumentale assume un valore di scopo, di risultato dovuto, individuando il momento finale della prestazione obbligatoria135. Nel primo caso, prevale l’utilità perseguita e ottenuta dal creditore; nel secondo, invece, il comportamento tenuto dal debitore.
Secondo autorevole dottrina136, nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, il professionista si obbliga al compimento di una determinata opera; pertanto, ciò che viene in rilievo è la condotta del debitore, che rappresenta il vero oggetto del contratto e dell’obbligazione.
Il carattere di prevalenza del comportamento rispetto al risultato costituirebbe la peculiarità tipica dell’obbligazione che grava sugli arbitri137; quindi, ai fini dell’adempimento, è determinante non la correttezza della decisione assunta dai membri del collegio, ma il fatto che, attraverso lo svolgersi delle fasi procedimentali, si addivenga alla confezione del lodo138.
134 X. XXXXXXX, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi (Studio critico), in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 188-189; ma la relatività del concetto di “risultato” era stata già posta in evidenza dal TUNC, Distinzione delle obbligazioni di risultato e delle obbligazioni di diligenza, in Nuova Riv. dir. comm., 1947-48, p. 129. Sulla distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato v. anche le considerazioni di X. XXXXXXXXXX, L’inadempimento, Milano, 1959, p.227, secondo l’autore, tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato non si ha una differenza di qualità ma di proporzione fra il comportamento dovuto e il risultato. Il “comportamento” del debitore è sempre in obligatione e, anzi, ne costituisce l’elemento individuatore; ma anche il “risultato” è sempre necessario, indicando la direzione della prestazione verso il soddisfacimento di un interesse del creditore. Varia la proporzione dei due elementi, cosicché vi sono rapporti in cui il “comportamento” prevale rispetto al “risultato” e viceversa.
135 X. XXXXXXX, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi (Studio critico), cit., p. 192.
136 Cfr. X. XXXXXXXX, L’opera intellettuale: obbligazioni e responsabilità professionali, Padova, 1995,
p. 99; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, voce Professioni intellettuali, in Xxxxxx. xxx. xx., XXX, Xxxxxx, 0000,
x. 00: “Nelle professioni intellettuali non si può dire che il risultato si identifichi con lo stesso comportamento, ma può e deve essere tenuto distinto da questo”.
137 X. XXXXX, Collegialità degli arbitri e responsabilità per inadempimento, cit., p. 256.
138 Sul punto v. S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 70; X. XXXXXXXXX, voce Arbitrato (Teoria generale e Diritto processuale civile), cit., p. 398, secondo l’autore, con l’accettazione, gli arbitri assumono l’obbligo di compiere un opus di natura intellettuale, di prestare i mezzi necessari per
Il rapporto tra decisione della controversia da parte dell’arbitro e attività intellettuale del professionista è ricostruito come di species a genus: l’attività dell’arbitro sarebbe un elemento del più ampio insieme “prestazione d’opera intellettuale”139. La correttezza di tale ipotesi interpretativa si fonda sulla necessità di verificare se l’incarico svolto dall’arbitro contenga in sé tutti gli elementi della locatio operis; e, in caso di esito positivo, se contenga o meno profili ulteriori.
Con riferimento al primo profilo, è evidente la differenza con la disciplina dell’arbitrato, in quanto, il codice di procedura civile non stabilisce requisiti soggettivi per gli arbitri e non si basa sull’elemento della professionalità per individuare coloro che possono ricoprire l’ufficio arbitrale.
Vi è difformità anche per quanto concerne l’oggetto della prestazione: decidere una controversia è ben diverso dal rendere una prestazione intellettuale.
In particolare, non si riscontra nell’attività dell’arbitro il carattere dell’infungibilità141, quale elemento decisivo142 del contratto di prestazione d’opera intellettuale, che rende insostituibile la persona del professionista143.
decidere la controversia; una volta investiti dell’incarico, “s’istituisce fra gli stessi e le parti una locatio operis”.
139 In tal senso, confutando la tesi del contratto di prestazione d’opera intellettuale, v. S, XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 34-35.
140 Cfr., X. XXXXXXX, Autonomia contrattuale, professioni e concorrenza, Padova, 2003, p. 16;
X. XXXXXX, Il contratto di consulenza, Padova, 2003, p. 16, ove discrezionalità e infungibilità della prestazione sono tratte a fondamento della distinzione tra professione intellettuale e attività d’impresa.
141 Cfr., X. XXXXXXXX, L’opera intellettuale: obbligazioni e responsabilità professionali, cit., p. 82.
142 In tal senso v. X. XXXX-XXXXXXXXXXX, Lavoro autonomo, in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, II edizione, Bologna-Roma, 1969, p. 223; X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, voce Professioni intellettuali, cit., p. 25.
143 Usa la nota dell’infungibilità per rammentare le difficoltà incontrate, nel nostro ordinamento, dalla figura della società tra professionisti, X. XXXXXX, L’esercizio associato della professione intellettuale tra presente e futuro: le prospettive di una riforma, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 000. Cfr., anche, X. XXXXXXXXXX, Professione intellettuale, impresa e concorrenza nel dialogo diritto interno-diritto comunitario: premesse per uno studio, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 000; X. XXXX, Antitrust e professioni intellettuali, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 000; X. XXXXXXX, Professioni intellettuali, impresa, società, in Contratto e impresa, 1992, p. 7. Parla di infungibilità come “aspetto saliente” della obbligazione del professionista il XXXXXXXX, voce Professioni intellettuali, in Enc. dir., XXXVI, Milano, 1987, p. 1074. Nello stesso senso v., anche, X. XXXXXXXXXXX, Lavoro autonomo dei professionisti, principio di eguaglianza e interessi privilegiati, in Rass. dir. civ., 1990, p. 609.
5. (Segue): esecuzione di prestazione d’opera intellettuale in adempimento di un mandato.
Nel tentativo di conciliare le opposte tesi del mandato e del contratto di prestazione d’opera intellettuale, autorevole dottrina ha elaborato una soluzione intermedia per qualificare correttamente il contratto di arbitrato.
Sembra che non sia sufficientemente percepito come mandato e locatio operis non siano figure eterogenee e non associabili, e come siano costantemente combinate tra loro. Tale combinazione sarebbe visibile, sia pur vagamente, all’interno del codice civile, in particolare, nei due capi del titolo III del V libro, in virtù del richiamo dell’art. 2222 c.c. alle disposizioni del libro IV e dell’art. 2230 x.x. xxxx xxxxxxxxxxxx xxx xxxx xxxxxxxxxx000.
Nelle premesse metodologiche dell’indicata dottrina, si coglie il principio secondo cui la scelta di una figura non impedisce di richiamare e combinare con essa
144 X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, cit., p. 102.
145 Così, X. XXXXXXX, voce Compromesso, cit., p. 790; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato nel sistema del processo civile, cit., p. 253, l’autore qualifica il rapporto parti-arbitri in termini di contratto misto di mandato e locazione d’opera. Per un approfondimento di tale orientamento, v. X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 180, l’autore “per far progredire la ricerca diretta ad individuare e qualificare il rapporto parti-arbitri”, ricorre al concetto di “ufficio privato”; gli arbitri sarebbero, cioè, titolari di un ufficio di diritto privato, in quanto, si trovano in posizione di supremazia rispetto alle parti, di cui curano l’interesse alla definizione della controversia. Essi, inoltre, come ogni soggetto, cui la legge assegna una particolare “funzione”, vantano nei confronti dei litiganti pretese e prestazioni, obblighi e potestà. Secondo l’autore, inoltre, a fondamento di tale tesi potrebbero richiamarsi le norme del codice di procedura civile che parlano di nomina (artt. 809-811 c.p.c.) e di funzioni (art. 813-bis c.p.c.) degli arbitri, mentre “non si sono mai usati i termini di mandato, né tanto meno di procura”.
Il risultato dell’attività degli arbitri, però, non consiste in un “opus-cosa”, da consegnare o da rendere disponibile alle parti, né in un “opus-servigio”, di esclusivo contenuto economico; il risultato finale deve consistere in un atto giuridico, sebbene sui generis148.
Di conseguenza, è possibile giungere alla conclusione che, con l’assunzione dell’incarico, gli arbitri si impegnano ad eseguire una prestazione di lavoro intellettuale, che si traduce nell’adempimento di un mandato149. Ciò implica che al rapporto parti- arbitri si debbano applicare, come implicitamente risulta dalle disposizioni del codice di procedura civile, le regole del contratto d’opera, concluso a scopo e ad uso di esecuzione di un mandato.
L’esposto orientamento sembra ricollegarsi alla ricostruzione del rapporto parti- arbitri che si fonda sulla natura congiuntiva dell’incarico150 e che si giustifica in virtù del richiamo alla disciplina del mandato151; dovendosi, poi, motivare il riferimento al
146 Sul punto v., anche, X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., 38.
147 X. XXXXXXX, voce Compromesso, cit., p. 790.
148 X. XXXXXXX, voce Compromesso, cit., p. 790.
149 X. XXXXXXX, voce Compromesso, cit., p. 790. Nello stesso senso v., anche, X. XXXXX, Natura giuridica e conseguenze del rifiuto di esecuzione della sentenza arbitrale, in Foro it., 1960, I, c. 997, secondo l’autore, “Che la formazione del lodo arbitrale sia una prestazione d’opera intellettuale non mi par dubbio, ma questo è un aspetto generico del contenuto del contratto di compromesso. Il contenuto specifico parmi quello del mandato con il quale le parti affidano agli arbitri la formazione di un atto giuridico (il lodo arbitrale) destinato ad avere l’efficacia della sentenza a seguito di un atto successivo dell’autorità giudiziaria”.
150 X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 58; M. AMAR, Dei giudizi arbitrali, cit., p. 46; X. XXXXXXXXX, Del compromesso e del giudizio arbitrale, cit., p. 245.
151 X. XXXXXXX, voce Compromesso, cit., p. 790, secondo l’autore, il mandato, conferito a più soggetti obbligati ad operare insieme, sarebbe l’unica figura tipica in grado di spiegare alcune note distintive e caratterizzanti della prestazione degli arbitri: “[…] congiuntivo infatti è necessariamente il conferimento e congiuntiva è la corrispondente accettazione, congiuntivi i doveri che gli arbitri assumono […] e solo
Tuttavia, tale percorso interpretativo, nonostante evidenzi le varie difficoltà di ricondurre la prestazione degli arbitri nello schema di un solo contratto tipico, ricade nelle stesse perplessità e rilievi critici, già sviluppati in tema di mandato e prestazione d’opera intellettuale. In altri termini, la combinazione dei contratti di mandato e locatio operis non riesce a chiarire e a cogliere tutte le peculiarità caratterizzanti la complessa attività esercitata dagli arbitri.
6. La tipicità del contratto di arbitrato.
I vari tentativi emersi in dottrina di qualificare il contratto di arbitrato con le figure tipiche del mandato, della locatio operis, o addirittura con un contratto quale combinazione di tali negozi, sono risultati del tutto insoddisfacenti153.
Elemento comune ai vari orientamenti è il convincimento secondo cui la natura delle funzioni arbitrali, e il ruolo da essi ricoperto all’interno del nostro ordinamento, siano decisamente singolari, oltreché notevolmente difficili da qualificare.
congiuntiva può essere la revoca dell’incarico e solo diretta congiuntamente alle parti la rinuncia (arg. dell’art. 1726 c.c.).
152 Sul punto v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., 39.
153 Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 332, chiaramente l’autore precisa che “le difficoltà incontrate dalla dottrina nella ricerca di definire il rapporto parti-arbitri trova la sua ragione nell’aver essa insistito nel tentativo di inquadrare il rapporto medesimo nello schema di qualcuno dei contratti tipici che con esso hanno qualche somiglianza”.
154 Cfr. X. XXXXX, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, p. 800, l’autore precisa che l’esigenza classificatoria “determina una sorta di finalismo nella qualificazione del contratto”.
La dottrina più risalente155, in virtù delle peculiarità proprie dell’attività degli arbitri, aveva qualificato il vincolo tra litiganti e giudici privati quale “contratto sui generis”.
Sulla base di tale intuizione, la dottrina più recente ha continuato sempre più a far leva sulla particolare natura della prestazione esercitata dagli arbitri, arrivando a cogliere una “tipicità” di tale prestazione, in quanto, non assimilabile ad altri obblighi derivanti da altre fattispecie nominate156. In altri termini, il negozio concluso tra le parti e gli arbitri avrebbe una propria tipicità sostanziale, che è fissata dalle norme del codice di procedura civile (in particolare dagli artt. 813, 814, 826 n. 4 c.p.c.) che regolano lo svolgimento e l’attuazione del giudizio arbitrale157.
Dal carattere tipico del contratto di arbitrato deriva l’autonomia di tale fattispecie e la sua non riconducibilità entro i confini delle altre figure presenti nel codice civile158. Tale conclusione consente, altresì, di risolvere il problema relativo all’individuazione della disciplina applicabile al contratto di arbitrato: fonte primaria di disciplina sarebbe il codice di procedura civile, cui dovrebbero aggiungersi, in caso di
155 X. XXXX, Dei giudizi arbitrali, cit., p. 46; X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, cit., p. 101, il quale chiaramente aveva sostenuto che “il contratto fra le parti e gli arbitri, al quale, se si vuole dare un nome, non può darsi altro se non quello di contratto di arbitrato”.; cfr., anche, X. XXXXXXXXXX, Istituzioni del processo civile italiano, cit., p. 66.
156 Sul punto v. G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 70 ss.; ID., Diritto dell’arbitrato, cit., p. 117, l’autore riflette sulle varie ricostruzioni del rapporto part-arbitri e così si esprime: “[…] la scelta sembra ulteriormente definirsi: o pensare a un negozio misto, che raccolga pro parte la disciplina del mandato e quella della locatio operis ovvero pensare ad un contratto dotato di propria individualità e disciplinato nei suoi aspetti essenziali dal codice di procedura. Dovendo scegliere, optiamo per la seconda soluzione, anche perché quando si parla di contratto misto si aprono più che risolversi problemi, essendo sempre incerto quale sia la disciplina da applicare alle singole situazioni”; ID., La posizione dell’arbitro dopo l’ultima riforma, in Riv. arb., 1997, p. 474. Xxxxxxx, altresì, di un tipo contrattuale a sé stante: X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, V ristampa, Bologna, 2007, p. 249; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 44 ss.; X. XXXXXXXX, Legge 5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di XXXXXX-LUZZATTO-RICCI, in Nuove leggi civ. comm., Padova, 1995, p. 55; X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina
dell’arbitrato, cit., p. 68 ss.; X. XXXXXXXXX, Contratti nell’arbitrato, cit., p. 9.
157 X. XXXXXXXXX, Contratti nell’arbitrato, cit., p. 9. Così, anche, X. XXXXXXX, Il mandato ad arbitrare. La capacità degli arbitri. La responsabilità degli arbitri, cit., p. 495.
158 La dottrina più recente, viste le difficoltà interpretative nella ricostruzione del contratto di arbitrato, ha deciso di evidenziare le note caratterizzanti il contratto, concludendo per la tipicità dello stesso. In tal senso v. X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 70, secondo il quale, “la commistione tra il versante processuale e quello sostanziale è indissolubile, ed il primo impone le proprie ragioni al secondo accentuando la tipicità del contratto”.
Tuttavia, altra parte della dottrina160, partendo dalla tipicità del contratto di arbitrato, ritiene opportuno seguire un diverso metodo d’indagine, avvertendo l’esigenza di approfondire ulteriori profili che riguardano, da un lato, la nozione di “tipo”, dall’altro, la ricostruzione della fattispecie “contratto di arbitrato”, in virtù della sua tipicità, al fine di individuarne la disciplina applicabile.
159 X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 249.
160 Per un’analitica ricostruzione del concetto di “tipo” contrattuale e la conseguente ricostruzione della fattispecie “contratto di arbitrato”, v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 47-99, secondo l’autore, propendere per la tipicità del contratto di arbitrato è una soluzione che “se da un lato supera le censure mosse alle altre ipotesi ricostruttive, dall’altro mette tuttavia capo a nuovi e diversi problemi. Proprio dalla rassegna di indagini intorno al tipo negoziale emerge come i contorni della nozione difficilmente siano determinabili in maniera precisa e rigorosa. La via della tipicità, in altri termini, più che un punto di arrivo, sembra una feconda intuizione, che merita chiarimenti e precisazioni; intuizioni, da cui muove verso la ricostruzione della fattispecie contratto d’arbitrato, per determinare così la disciplina applicabile”.
161 X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 74. Sul punto v., anche, AA. VV., Dieci lezioni introduttive a un xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 22-23: “Elementi di struttura della norma sono, dunque, la fattispecie (A) e l’effetto (B). Alla correlazione logica che la norma stabilisce tra questi due termini assegniamo, stipulativamente, il nome di rapporto di causalità giuridica”; N. IRTI, Rilevanza giuridica, in Norme e fatti, Milano, 1984, p. 33, secondo l’autore, la fattispecie è sempre creata arbitrariamente dal legislatore, che ne sceglie e combina i caratteri, in vista della produzione dell’effetto: “[…] il concetto dell’antecedens non obbedisce ad un criterio esterno […], ma ad un criterio interno di adeguazione teleologica.
162 Così, X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 74.
163 Così, X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 75, il quale richiama le più risalenti posizioni di A. E. CAMMARATA, Il significato e la funzione del fatto nell’esperienza giuridica, in Formalismo e sapere giuridico, Milano, 1963, p. 253, secondo il quale, il legislatore individua le
Secondo l’orientamento tradizionale164, l’analisi dell’effetto impone di scomporre il tipo di azione descritto dalla norma, al fine di ricavarne i termini, che ne compongono e costituiscono la struttura. L’azione, valutata analiticamente, si compone dei seguenti elementi: un soggetto che agisce; un comportamento, quale mezzo, veicolo dell’azione; l’oggetto su cui incide il comportamento.
Le parti, nell’esercizio della propria autonomia contrattuale, mediante un accordo si obbligano a nominare i giudici privati, i quali, a loro volta, dovranno accettare l’incarico ad essi conferito: solo così sarà possibile addivenire alla decisione della controversia166. L’accettazione costituisce gli arbitri chiamati a decidere la lite167 (arg. ex art. 806 c.p.c.).
esigenze di relazione e le finalità meritevoli di tutela attraverso lo strumento tecnico dell’effetto: i bisogni della società si traducono nel “sorgere o estinguersi di una figura di qualificazione giuridica”; T. XXXXXXX, Introduzione alle scienze giuridiche, III ristampa, Padova, 1967, p. 55-56, secondo l’autore, “l’effetto giuridico, cioè il contenuto della valutazione, costituisce, quindi, ciò che caratterizza un fatto, come fatto giuridicamente rilevante”; X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, cit., p. 230, secondo l’autore, essendo la fattispecie funzionale e relativa alla conseguenza, l’analisi deve dirigersi prima verso di essa per poi risalire agli elementi, necessari e indeclinabili al suo verificarsi.
164 N. IRTI, Sul concetto di titolarità, in Norme e fatti, cit., 77: X. XXXXXX, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, p. 19, secondo l’autore, “La conseguenza giuridica si concreta in un avvenimento, e questo si svolge in rapporto ad una serie di persone e di cose […], vi sono in esso degli elementi che preesistevano al suo prodursi: e sono appunto gli elementi di carattere reale e personale rispetto a cui l’evento si svolge”.
165 Cfr., L. BARBARESCHI, Gli arbitrati, cit., p. 96. Nello stesso senso v. X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 68-69: “l’accettazione dell’arbitro unico o di tutti i membri del collegio dà luogo alla costituzione dell’organo arbitrale”.
166 Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 317-318, secondo l’autore, elemento costitutivo dell’organo e del giudizio arbitrale è l’accettazione dell’incarico da parte degli arbitri: “[…] la nomina degli arbitri non importa ancora la costituzione del giudice arbitrale. E’ nel giudizio ordinario che è sufficiente indicare il giudice – nell’atto di citazione – perché si possa dire habemus judicem. Il che per l’ovvia ragione che il giudice statuale esiste già e perché questi, come organo dello Stato, anzi, come organo attraverso il quale lo Stato esercita il suo potere esclusivo di giurisdizione, non può rifiutarsi di rendere giustizia essendo quello di rendere giustizia il suo compito istituzionale. Nel giudizio arbitrale, al contrario, venendo, determinate persone, chiamate a fungere da arbitri […], è necessario, affinché esse acquistino la qualità di arbitri […], che le persone medesime diano il loro benestare; cioè accettino l’incarico. Avvenuta che sia l’accettazione, esiste il giudice arbitrale. […] Non si può parlare di instaurazione di un giudizio prima che esista il giudice. […] l’accettazione degli arbitri è necessario elemento alla costituzione del giudizio”.
Da tale assunto sono ricavabili, seguendo l’insegnamento tradizionale168, gli elementi strutturali dell’effetto derivante dal contratto di arbitrato: la classe di soggetti (gli arbitri); il comportamento dovuto (il decidere); l’oggetto, su cui inciderà il comportamento (la controversia)169.
In particolare, si precisa che il “decidere da arbitri”170, su cui si fonda l’unicità del contratto di arbitrato, significa emettere un lodo, seguendo le particolari direttive impartite dai litiganti171. Il lodo diventa strumento di decisione, che, a sua volta, non è semplice attività intellettuale, ma è atto dall’evidente contenuto volitivo, che obbliga ad esprimere una preferenza per una delle due tesi prospettate dalle parti in conflitto172.
Completata l’analitica scomposizione dell’effetto (quale schema di azione tratto dall’esame di proposizioni normative174), si deduce che gli elementi costitutivi della fattispecie “contratto di arbitrato” sono: la sussistenza di un accordo tra le parti, volto a devolvere a giudici privati la soluzione della controversia; la designazione dei soggetti incaricati della decisione e l’indicazione dei termini della lite.
167 Cfr. G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 140.
169 X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 84.
170 In tal senso v. X. XXXXX, Disegno sistematico dell’ arbitrato, cit., p. 221.
171 X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 328.
000 X. XXXX, Xx salvagente della forma, Bari, 2007, p. 119, l’autore ritiene che “la decisione sia sempre una scelta, un atto selettivo”; ID., Xxxxxx e decisione, in Riv. dir. proc., 2001, I, p. 64; N. SOLDATI, L’atto decisorio nel procedimento arbitrale, in Contratto e impresa, 2002, p. 748.
173 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 88 e 91, secondo l’autore, “[…] l’effetto tipico del nostro negozio” - contratto di arbitrato – è “nella costituzione di un giudice, il quale è chiamato a decidere; a svolgere un’attività, volta a dare nuovo assetto ai rapporti giuridici tra le parti in lite. L’effetto del contratto di arbitrato, al pari di ogni altro, si risolve in un cambiamento di realtà giuridica”, con tali considerazioni l’autore riprende X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, cit., p. 229, secondo il quale, “il mutamento, cioè la situazione finale diversa dalla situazione iniziale, prende il nome di effetto giuridico”.
174 X. XXXX, Sul concetto di titolarità, in Xxxxx e fatti, cit., 77: X. XXXXXX, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., p. 19.
Questi rilievi si fondano sugli insegnamenti di autorevole dottrina177, la quale riassume lo svolgersi della vita giuridica avvalendosi dello schema triadico “situazione iniziale – azione – situazione finale”.
Applicando tale schema alla fattispecie arbitrale, si giunge ai seguenti risultati: la situazione iniziale prevede un accordo delle parti a devolvere la controversia alla cognizione di giudici privati; la situazione finale (o effetto tipico del contratto di arbitrato) consiste nel determinare le persone degli arbitri, su cui grava l’obbligo di decidere la controversia; il termine medio (rectius: azione) è costituito dal contratto di arbitrato, il quale dirige l’effetto verso quegli arbitri e quella lite178, cioè, sceglie i termini in virtù dei quali l’effetto diviene concreta e storica realtà179.
Deve aggiungersi, inoltre, che, in generale, il negozio giuridico richiama e definisce i termini della situazione iniziale attraverso il proprio oggetto.
Infatti, secondo l’orientamento prevalente in dottrina180, l’oggetto del negozio consiste in un semplice descrivere, nella rappresentazione programmatica del termine
175 AA. VV., Dieci lezioni introduttive a un xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxx, xxx., x. 00: “Nella parte ipotetica la norma giuridica descrive un fatto, che può accadere come può non accadere: non un fatto reale, ma un fatto eventuale: non “specie di un fatto”, ma “specie di un fatto eventuale”.
176 N. IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., p. 122: “Il congegno normativo non è in grado di porgere il sostrato dell’effetto, ma di descriverlo e configurarlo astrattamente; quel sostrato può essere desunto solo dalle situazioni giuridiche passate, che costituiscono, con le situazioni giuridiche future, l’intera e reale continuità del diritto”.
177 X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, cit., p. 231.
178 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 94.
179 Cfr. X. XXXX, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., p. 125.
180 In particolare v. C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 321: “Su un piano concreto la questione si riduce semplicemente ad accertare in quale significato o in quali significati è usato il termine oggetto. Ora, con riferimento alla disciplina legislativa del contratto il termine non si limita a designare singoli dati reali, o ideali sui quali incide il contratto ma l’intera operazione voluta dalle parti, che, appunto costituisce il contenuto dell’accordo”; N. IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., p. 141; ID., voce Oggetto del negozio giuridico, in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965, p. 204- 205; X. XXXXXXXXX, L’individuazione dei beni immobili, Napoli, 1960, p. 105 ss. In senso conforme v.
esterno, che le parti designano come punto d’incidenza dell’effetto. L’oggetto della dichiarazione negoziale è il contenuto, ossia l’insieme delle clausole disposte dalle parti181, che indicano il sostrato materiale, su cui inciderà la conseguenza giuridica182.
X. XXXXX, Il contenuto del contratto, in SACCO-DE NOVA, Il contratto, in Tr. dir. civ., diretto da X. Xxxxx, III edizione, tomo II, Torino, 2004, p. 6: “Questa nozione di oggetto, o contenuto, inteso come regolamento adottato dalle parti si adatta bene alla correlazione tra regolamento, prestazione e cosa”.
181 X. XXXX, voce Oggetto del negozio giuridico, cit., p. 204-205.
182 Segue un diverso ragionamento X. XXXXX, L’oggetto della transazione, Milano, 1999, p. 161, il quale, pur condividendo che l’oggetto rappresenti sempre un termine esterno al contratto, nega la nozione unitaria del concetto: “Pertanto la nostra conclusione può ora sembrare addirittura scontata: l’oggetto varia al variare degli effetti contrattuali programmati dalla volontà delle parti. E dunque si potrà parlare di un oggetto dei contratti obbligatori diverso dall’oggetto dei contratti dispositivi e tra questi ultimi di un oggetto ulteriormente differenziato a seconda che si considerino i contratti con effetti reali o i contratti regolamentari e modificativi di un preesistente rapporto giuridico”.
183 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 96.
184 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 96.
185 X. XXXXXXXXX, Il problema delle definizioni nel codice civile, Milano, 1977, p. 114.
186 X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 139, l’autore chiarisce che, con riferimento al rapporto tra disciplina del contratto in generale e norme dettate per i singoli contratti tipici, si confrontano due orientamenti. Secondo una prima tesi vi sarebbe piena autonomia e indipendenza delle
figure nominate rispetto a quella di genere; si richiamano le considerazioni di X. XX XXXX, Sul rapporto tra disciplina generale dei contratti e disciplina dei singoli contratti, in Contr. impr., 1988, p. 328-329, secondo il quale, “[…] in alcuni casi la disciplina particolare del singolo contratto esclude espressamente l’applicazione della disciplina generale […], in altri casi, il rapporto non è di antitesi, ma è comunque di esclusione”; in altri termini, le norme generali svolgerebbero solo una funzione “sussidiaria e residuale”. Secondo una diversa ricostruzione, tra norme generali e tipiche deve esservi coesistenza e combinazione; le prime devono applicarsi ad ogni singolo contratto non in antitesi, ma in concorso con le norme particolari: sul punto si richiama X. XXXXXXXX, Sul rapporto sistematico fra gli artt. 1321-1469 e gli art.. 1470-1986 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, p. 18. L’autore (X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 137) aderisce a quest’ultimo orientamento, precisando che, nei rapporti tra sistemi normativi, “dove il più comprende il meno, il legame è sempre di genere a specie” […]. “La eccezionalità degli effetti non toglie che le figure di specie appartengano sempre al genere contratto; e che, dunque, la disciplina generale concorra e si combini con le norme tipiche”.
CAPITOLO II
STRUTTURA DEL CONTRATTO DI ARBITRATO: IL RAPPORTO PARTI-ARBITRI
SOMMARIO: 1. La formazione del contratto di arbitrato: posizioni della dottrina. – 2. La complessità soggettiva delle parti: collegialità degli arbitri. – 3. La parte soggettivamente complessa. – 4. La nomina degli arbitri ad opera delle parti. – 5. L’intervento dell’autorità giudiziaria. – 6. La sostituzione degli arbitri. – 7. La forma del contratto di arbitrato.
1. La formazione del contratto di arbitrato: posizioni della dottrina.
L’analisi delle norme che regolano la formazione del contratto di arbitrato dimostra l’evidente tipicità di tale fattispecie negoziale; infatti, le disposizioni introdotte dal legislatore si giustificano solo in virtù delle caratteristiche particolari del negozio concluso tra parti ed arbitri.
Parte della dottrina187, a sostegno della singolarità del contratto di arbitrato, evidenzia l’impossibilità di procedere ad una interpretazione degli artt. 809 e 810 c.p.c. secondo i modelli tradizionali di conclusione del contratto, fondando le ragioni di tali difficoltà ermeneutiche su un duplice profilo: pluralità dei soggetti e intervento eventuale dell’autorità giudiziaria.
La pluralità dei soggetti, che compongono le singole parti del contratto, è stata spiegata attraverso il richiamo alla figura del mandato, conferito da più mandanti ad un gruppo di mandatari, chiamati ad agire insieme188. La natura congiuntiva dell’incarico incide sul piano della formazione del contratto, qualificando compromittenti ed arbitri
187 Piena consapevolezza delle problematiche concernenti la formazione del contratto di arbitrato si ritrova nelle considerazioni di X. XXXXXXXXX, Contratti nell’arbitrato, cit., p. 6: “Nella fase di formazione il contratto di arbitrato presenta delle peculiarità, che vanno sottolineate”.
188 X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 117; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 397;
X. XXXXXXX, Arbitri, cit., p. 148; X. XXXXXXXXX, La scelta degli arbitri e la costituzione del collegio arbitrale: deontologia e prassi, in Riv. arb., 1992, p. 801; X. XXXXXXX, voce Compromesso, cit., p. 790;
X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 58.
Tesi di dottorato “I diritti gli obblighi e le responsabilità degli arbitri derivanti dal contratto di arbitrato” di Xxxx D’Xxxxx, discussa presso l’Università Xxxxx Xxxxx Xxxxx.
Non riproducibile, in tutto o in parte, se non con il consenso scritto dell’autore.
Alcuni autori, al fine di risolvere le problematiche relative al processo di formazione del contratto di arbitrato, hanno sottolineato l’incidenza del regime processuale sullo svolgimento del rapporto negoziale190, affermando la necessità di distinguere tra effetti sostanziali e processuali del contratto, a seconda che si faccia riferimento, rispettivamente, al rapporto part-arbitri oppure all’assunzione della funzione da parte del soggetto nominato191.
Seguendo tale orientamento, si ritiene che la disciplina tipica del contratto di arbitrato implichi una deroga al principio della conoscenza di cui all’art. 1326 c.c.192, poiché il secondo comma dell’art. 820 c.p.c. sancisce l’idoneità dell’accettazione da parte degli incaricati a produrre effetti immediatamente, facendo da essa decorrere il termine per la pronuncia del lodo; pertanto, la conclusione del contratto di arbitrato avverrebbe con la semplice accettazione degli arbitri, non con la conoscenza che di essa abbiano le parti193.
Tuttavia, parte della dottrina194, facendo leva sul dualismo tra effetti processuali e sostanziali derivanti dal contratto di arbitrato, distingue ulteriormente tra contratto con l’arbitro e costituzione dell’intero collegio arbitrale: per il perfezionarsi del primo sarebbe sufficiente la manifestazione di volontà del singolo arbitro; per la formazione del secondo occorre l’accettazione di tutti. In altri termini, le parti del contratto
189 X. XXXXXXXXX, Contratti nell’arbitrato, cit., p. 6.
190 X. XXXXXXXXX, Contratti nell’arbitrato, cit., p. 8.
191 X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 252;
X. XXXXXXXX, Legge 5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di XXXXXX-LUZZATTO-RICCI, cit., p. 60.
192 Cfr. X. XXXXXXXXX, Contratti nell’arbitrato, cit., p. 8. In senso conforme v. G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 139: “ A noi sembra che il contratto parti-arbitri è da ritenere concluso nel momento in cui tutti gli arbitri hanno accettato la nomina, perché è da quel momento che inizia per legge l’esecuzione dell’incarico (arg. dal comb. disp. artt. 820, primo comma, c.p.c. e 1327, primo comma, c.c.). Di conseguenza, in quel momento (ma non prima) il contratto è da ritenere concluso e la nomina non è più revocabile da chi l’ha effettuata”. In senso contrario X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 116; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 397; X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI- MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 70, secondo cui: “non occorre esagerare la tipicità del contratto di arbitrato previsto dal c.p.c. fino al punto di desumere dal combinato disposto degli artt. 813 e 820, una deroga al generale principio ex art. 1326 c.c.”.
000 Xxx. X XXXXXXX xx XXXXXXXXXX, Xx contratto di arbitrato, cit., p. 146.
194 X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 70.
sarebbero vincolate dal momento del consenso del singolo giudice, mentre, il termine per la pronuncia del lodo decorrerebbe dall’accettazione di tutti i componenti del collegio.
2. La complessità soggettiva delle parti: collegialità degli arbitri.
Parte della dottrina196 ritiene che la tesi, secondo la quale nella formazione del contratto di arbitrato il momento determinante sia quello della costituzione del collegio, si fondi sull’idea che l’organo collegiale sia un soggetto diverso dai singoli membri; nuova persona o soggetto di diritto197, che si pone in una dimensione diversa da quella dei propri componenti.
Il concetto di collegialità è stato autorevolmente definito come “la preposizione di una pluralità di persone fisiche che hanno ricevuto un’investitura a comporre un’unità organizzativa che è il collegium e sono in essa incardinate”198.
195 Sul punto v. X XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 147, secondo cui: “La tesi non appare convincente: problematico appare codesto separare e dividere. […] Non si danno due contratti, ma uno, la cui genesi va illustrata e spiegata dall’angolo di visuale del diritto privato”.
196 X XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 147.
197 Si richiama l’idea secondo la quale devono tenersi uniti i concetti di soggettività e personalità giuridica. Soggetto di diritto o persona nient’altro vuol dire che astratta capacità di diventare destinatari di situazioni giuridiche soggettive: capacità che sta prima ed è indipendente dal verificarsi del fatto concreto, dal quale discende la successiva titolarità di diritti ed obblighi. Cfr. X. XXXX, Sul concetto di titolarità, in Norme e fatti, cit., p. 76 ss. Espressamente X. XXXXXX, voce Capacità, in Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Milano, 1997-2010, p. 248-251: “L’errore di queste – e di altri simili
– concezioni sta nel considerare, volta a volta, la soggettività giuridica o la capacità giuridica come posizioni specifiche del soggetto […]. Il medesimo errore di prospettiva che si è qui denunciato ha condotto […] a d introdurre la distinzione tra soggettività giuridica e personalità giuridica”. Codesta astratta capacità di imputazione o è, o non è: non sembrano possibili compromessi o mediazioni logiche, che immaginano “graduazioni” della soggettività o, ancora, ipotesi di soggettività “relativa”. In questo senso v. X. XXXXXXXX, voce capacità, in Noviss. dig. it., II, Torino, 1958, p. 874; X. XXXXXXXXXX, Personalità giuridica e autonomia patrimoniale nella società e nella comunione, in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 122. Più di recente, AA. VV., Dieci lezioni introduttive a un corso di diritto privato, cit., p. 242.
198 M. S. XXXXXXXX, Diritto amministrativo, Milano, 1970, p. 263. In senso conforme G. B. VERBARI, voce Organi collegiali, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 60: “In prima approssimazione, l’organo
Da tali premesse, si spiega il convincimento che vede nella costituzione del collegio arbitrale il momento della conclusione del contratto di arbitrato. Qualificare il collegio “persona” significa individuare un centro autonomo di imputazione di diritti ed obblighi, in cui si fonde la volontà dei singoli membri, con l’inevitabile conseguenza che è l’organo-persona a divenire “parte” del contratto.
La tesi della personificazione del collegio ha anche affrontato il tema della imputazione dell’atto collegiale.
Le dichiarazioni dei singoli membri rappresentano gli elementi di fatto che concorrono alla formazione della fattispecie, senza che possano assumere autonoma rilevanza a prescindere da essa201. Se l’organo collegiale individua un unico soggetto,
collegiale può essere concettualizzato come un’organizzazione titolare di potestà definite, composta da più unità organizzative (i componenti del collegio)”.
199 X. XXXXXXX, Il principio di maggioranza nelle società personali, Padova, 1960, p. 29; X. XXXXX, Gli atti collegiali. Principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimento alle assemblee private, Roma, 1920, p. 188.
200 Cfr. X. XXXXXXX, Il principio di maggioranza nelle società personali, cit., p. 235: “Lo stesso dettato legislativo consente di superare una delle obiezioni che sono state mosse alla concezione organica della personalità giuridica: quella di coloro ai quali è parso di poter osservare che qualsiasi collettività potrebbe adottare, per le proprie deliberazioni, il metodo collegiale; e, cionondimeno, essa non acquisterebbe, per ciò solo, gli attributi della personalità. In realtà, la legge riconosce tali attributi a quelle collettività in cui, per la natura cogente delle norme che lo prevedono, sussiste che la garanzia che il metodo collegiale sarà osservato”; ID., Repliche in tema di società personali, principio di maggioranza e collegialità, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 000. In senso conforme, G. S. XXXX, Xxxxx volontà collettiva in diritto privato, Milano, 1967, p. 140.
201 Cfr. X. XXXXXXXXX, La collegialità nella teoria dell’organizzazione, Milano, 1968; X. XXXXXXXX, I collegi amministrativi, Napoli, 1962, p. 61: “[…] se si ammette, come noi riteniamo, che è il collegio non è la somma delle persone che lo compongono, ma è un’unità a sé che non è astratta, bensì concreta e attuale […] si deve riconoscere che il collegio stesso è qualcosa di diverso dai singoli componenti”.
Pertanto, le caratteristiche dell’atto collegiale, risiedono nella fusione delle volontà e nel rispetto delle fasi procedimentali; in altre parole, come sostenuto da autorevole dottrina203, la genesi dell’atto collegiale è nel procedimento, il cui esito è nella imputazione dell’atto al nuovo soggetto.
La personificazione del collegio, quindi, rende l’attività dei singoli membri funzionale alla manifestazione di volontà del “soggetto collegio”, che attraverso la deliberazione collegiale assorbe le dichiarazioni dei singoli componenti.
Tuttavia, la necessità del binomio collegio-soggetto personificato ha suscitato alcune riserve e perplessità, in quanto, non sembra ragionevole limitare l’ambito applicativo del metodo collegiale entro i confini delle sole collettività personificate204. In realtà, il procedimento collegiale appare come lo strumento generale predisposto dal legislatore per disciplinare il fenomeno della complessità soggettiva; infatti, la collegialità viene in rilievo sia in presenza di collettività non personificate, sia quando l’organo è considerato dalla legge soggetto di diritto205.
202 Sul punto v. X. XXXXXX, Introduzione allo studio del procedimento giuridico nel diritto privato, Milano, 1961, p. 7 ss., ove, criticato il metodo di valutazione atomistica delle singole fattispecie, si argomenta in favore di concorso, continuità e sequenza tra atti, negozi e situazioni giuridiche. Il tema è stato, di recente, riletto da X. XXXXXXXXXXX, La concezione procedimentale del diritto di Xxxxxxxxx Xxxxxx, in Rass. dir. civ., 2006, p. 425.
203 X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, p. 211-212. Quando la combinazione di più dichiarazioni concorre “ a formare una dichiarazione di volontà imputabile a un soggetto distinto dagli agenti e a tutela di un interesse di quel soggetto […] si ha la figura dell’atto collegiale in senso proprio, nel quale si fondono le dichiarazioni dei singoli che agiscono come componenti dell’organo collegiale di una persona giuridica, cui l’atto viene così imputato”. Sul punto v., anche, X. XXXXXXX, Gli atti plurisoggettivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, p. 1241; X. XXXXXX, voce Capacità, in Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, cit., p. 291, secondo cui, la personificazione del collegio “rende alieno l’atto rispetto al suo autore permettendo che l’atto sia attribuito ad un soggetto diverso: con tutti gli effetti che l’atto porta con sé, sia diretti che indiretti, sia immediati che riflessi”.
204 Cfr. . X XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 154.
205 X. XXXXXXXX, Collegialità e maggioranza nelle società di persone, Napoli, 1955, p. 3.
206 Relativamente all’atto collegiale, la cui precisa identità la dottrina ha tratto nell’ambito della classificazione di atti “complessi”, si esercitarono già i primi autori del secolo scorso: X. XXXXXX, Atto complesso, approvazione, autorizzazione, in Arch. giur., 1903, p. 3; X. XXXXXX, L’atto complesso nel diritto pubblico, in Studi giuridici dedicati e offerti a Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, III, Torino, 1898, p. 555. La
Sulla base di tali premesse, parte della dottrina208 sottolinea che la collegialità è un modo di essere dell’atto: sono le norme di organizzazione, e non la personificazione del gruppo in soggetto, a tutelare la minoranza. Norma di organizzazione fondamentale è il principio maggioritario, con il quale si giunge alla decisione nonostante l’eventuale dissenso di alcuni membri del gruppo.
Gli atti dei singoli restano tali e non confluiscono nell’atto collegiale, che si imputa a tutti, salva la possibilità di registrare il dissenso di alcuni209. Il legislatore, attraverso il criterio maggioritario, individua un metodo di formazione dell’atto che preservi l’importanza dell’opinione di minoranza.
In ogni ipotesi in cui la legge non elevi il gruppo a soggetto di diritto, come nel caso del collegio arbitrale, i singoli componenti non perdono la propria autonomia ed individualità: pertanto, l’attività degli arbitri, prodromica all’emanazione della decisione del giudizio, è di per sé rilevante e confluisce nell’atto finale (il lodo), che è imputato ad ognuno di essi singolarmente.
ricerca si sviluppò ulteriormente grazie alla sistemazione del CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, cit., p. 349 ss., il quale fece dell’atto complesso il genere, all’interno del quale si racchiudono le varie specie dell’atto collettivo e dell’atto composto: specie ulteriore dell’atto collettivo è l’atto concorsuale, il quale può a sua volta distinguersi in atto collegiale e accordo. Si basa su tale classificazione X. XXXXXXXXX, Xxxx complessi, in Noviss. dig. it., I, 2, Torino, s.d. (ma 1957), p. 1501. Cfr., anche, X. XXXXXXXXX, Glossario, voce Atto collettivo, collegiale, complesso, in Tratt. dir. priv., a cura di Xxxxxx e Zatti, Milano, 1994, p. 42.
207 X. XXXXXXXX, Collegialità e maggioranza nelle società di persone, cit., p. 41.
208 Cfr. X. XXXXXXXX, Collegialità e maggioranza nelle società di persone, cit., p. 41.
209 Cfr. . X XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 157.
210 In particolare v. X. XXXXXXXX, Collegialità e maggioranza nelle società di persone, cit., p. 24, il quale chiaramente precisa che: “l’osservanza del modo o procedimento, predisposto per la formazione dell’atto, fa entrare in funzione la norma di imputazione, che attribuisce il risultato dell’attività collegiale alla persona giuridica ovvero alla collettività non personificata”. In senso conforme v. M. S. XXXXXXXX, Accertamenti amministrativi e decisioni amministrative, in Foro it., 1952, IV, c. 176; ID., Decisioni e deliberazioni amministrative, in Foro amm., 1946, I, 1, c. 154. Cfr., con specifico riferimento al problema dell’imputazione degli atti alla persona giuridica, F. X’XXXXXXXXXX, Persone giuridiche e analisi del linguaggio, Padova, 1989, p. 70 ss., ove si conclude che, per decidere intorno all’imputazione, sempre è necessario muovere dalle norme di organizzazione, che distribuiscono e frammentano poteri e facoltà all’interno del gruppo.
Seguendo tale impostazione, la dottrina ha spiegato le ragioni sottese alla disciplina di cui all’art. 823 c.p.c., qualificandola come norma di organizzazione che integra il procedimento della collegialità e definisce le regole per l’emanazione del lodo211. Tale disposizione stabilisce che il lodo sia “deliberato a maggioranza di voti con la partecipazione di tutti gli arbitri” (primo comma) e che “la sottoscrizione della maggioranza degli arbitri è sufficiente, se accompagnata dalla dichiarazione che esso è stato deliberato alla presenza di tutti e che gli altri non hanno potuto o voluto sottoscriverlo” (secondo comma, n. 7).
Gli arbitri sono chiamati alla formazione di un atto complesso213, senza che si postuli la genesi di un nuovo soggetto di diritto: ciò che rileva è solo l’organizzazione della collettività. Ad ogni arbitro sono singolarmente riconducibili diritti ed obblighi distinti: ognuno è titolare, in piena autonomia, di situazioni giuridiche soggettive. Da tali conclusioni discende che l’insieme degli arbitri non costituisce un’unica parte del contratto di arbitrato214.
3. La parte soggettivamente complessa.
Si è già avuto modo di notare come il contratto di arbitrato sia un negozio con parti soggettivamente complesse, precisando che la tesi fondata sull’estensione
211 Così X. XXXXX, Collegialità degli arbitri e responsabilità per inadempimento, cit., p. 242-243. In senso conforme X. XXXXXXXX, Collegialità e maggioranza nelle società di persone, cit., p. 35 e 37.
000 Xxx. X XXXXXXX xx XXXXXXXXXX, Xx contratto di arbitrato, cit., p. 160.
213 Sempre attuali le riflessioni del CALAMANDREI, La sentenza soggettivamente complessa, cit., p. 213, il quale nega però autonoma rilevanza alle manifestazioni di volontà dei giudici, chiamati a rendere una sentenza collegiale. Altre e diverse le conclusioni rassegnate dall’autore sulla sentenza complessa, che egli costituisce a figura autonoma e distinta.
214 Così X XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 160.
analogica delle norme dettate per il mandato collettivo è da escludere, poiché è una soluzione che, richiamando altre figure caratterizzate da una pluralità di soggetti, non affronta il problema della complessità soggettiva.
Secondo la dottrina tradizionale215, la nozione di parte del contratto risiede nel concetto di centro di interessi: ciò che rileva non è il numero dei soggetti contraenti, ma piuttosto il numero degli interessi che trova composizione nell’operazione negoziale. La parte quindi rimane unica anche se essa comprende più persone.
Tale concezione è stata approfondita dalla dottrina che si è occupata, in particolare, del contratto plurilaterale216: tale figura negoziale si caratterizza per la presenza di più centri di interessi, mentre non devono considerarsi contratti plurilaterali i contratti cui partecipa una pluralità di persone riconducibili a due contrapposti centri di interesse217.
La parte complessa, quindi, contiene un duplice profilo: interno ed esterno; nel primo caso, vengono in rilievo le vicende dei soggetti che compongono la parte; nel secondo, la manifestazione di volontà espressa dal centro di interessi nel suo complesso219. Ai fini della conclusione del contratto, deve aversi riguardo soltanto al
215 Cfr. G. B. XXXXX, voce Parte del negozio, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 901; X. XXXXXXXX, Il negozio giuridico plurilaterale, Milano, 1927, p. 11: non esiste identità necessaria e costante tra la nozione di soggetto giuridico e la nozione di parte contrattuale. “Parte” significa centro di interessi.
216 X. XXXXXXXXX, Contratto plurilaterale e negozio plurilaterale, in Foro Lomb., 1932, p. 439; ID., Il contratto plurilaterale, in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, p. 97; ID., Notarelle critiche in tema di contratti plurilaterali, ivi, p. 157; ID., Contratto plurilaterale; comunione di interessi; società di due soci; morte di un socio in una società personale di due soci, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955, p. 325; X. XXXXXXX, Il contratto di società commerciale, Milano, 1937. V. inoltre, in particolare,
X. XXXXXXXX, Il negozio giuridico plurilaterale, cit., p. 139.
217 Cfr. X. XXXXXXXX, Il negozio giuridico plurilaterale, cit., p. 11.
218 Cfr. X. XXXXXXX, voce Comunione, in Dig. disc. priv., III, Torino, 1988, p. 171; G. OSTI, voce Contratto, in Noviss. dig. it., IV, Torino, 1959, p. 473, secondo l’autore, i membri della parte complessa “assumono nell’atto una posizione unica ed identica a quella che assumerebbe un soggetto solo, perché unico è l’interesse che essi tendono a realizzare”. Nell’ipotesi di più membri, l’accento non cade sul numero di soggetti, ma sul motivo, che li accomuna e tiene insieme: “nel contratto, i più soggetti costituiscono una parte sostanzialmente unica […]. E le loro dichiarazioni […] possono considerarsi, da un punto di vista giuridico, come un’unica dichiarazione di volontà”.
219 X. XXXXXXXXX XXXX-X. XXXXXXXX-U. BRECCIA-X. XXXXXX, Diritto civile, 1.2, Torino, 1987, p.
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profilo esterno: una è la dichiarazione di volontà della parte, perché unico è l’interesse che essa manifesta.
Tuttavia, secondo una diversa ricostruzione del concetto di parte, la rilevanza dell’interesse sarebbe solo secondaria ed eventuale, trattandosi di un elemento che resta al di fuori della struttura del negozio, concluso tra più persone. Le molteplici dichiarazioni di volontà non si fondono e unificano fino a diventare una: esse conservano la propria individualità ed autonomia221; ogni dichiarazione è riconducibile ed imputabile al soggetto dal quale proviene222.
In realtà, l’analiticità dell’indagine porta a distinguere le ipotesi in cui la rilevanza dell’interesse, di cui sono portatori molteplici soggetti, è oggetto della qualificazione normativa; e situazioni in cui, invece, il legislatore non mostra interesse nei confronti dei rapporti che intercorrono tra i componenti della parte complessa224. Solo nelle fattispecie che evidenziano le ragioni che inducono più persone ad omogenee manifestazioni di volontà, può parlarsi di centro autonomo di imputazione (ad esempio come nel caso dell’art. 1726 c.c.: nel mandato collettivo la revoca è efficace solo qualora sia fatta da tutti i mandanti). Se non assume alcuna rilevanza l’eventuale
220 G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 140.
221 X. XXXXX, Il contenuto del contratto, in SACCO-DE NOVA, Il contratto, cit., p. 77, l’autore, con tono critico, sottolinea l’esistenza del “vezzo di vedere l’unità là dove le dichiarazioni sono multiple”.
222 C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p.54: “Se si ha riguardo alla disciplina del contratto deve tuttavia rilevarsi che essa fa riferimento ai soggetti che costituiscono e assumono il rapporto contrattuale e non ad un astratto centro di interessi che non è come tale destinatario di imputazioni giuridiche”.
223 X. XXXXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, II edizione, I, Milano, 1948, p. 25.
224 Sul punto v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 163-164.
E’ opportuno, quindi, distinguere la conclusione dell’unico contratto, dai diversi soggetti che, dal momento del perfezionarsi del negozio, diventano titolari di diritti ed obblighi. Tale molteplicità è rappresentata da plurime dichiarazioni autonome dirette a stipulare lo stesso contratto, che diviene, pertanto, punto di convergenza delle varie manifestazioni di volontà.
Le considerazioni esposte inducono ad approfondire il tema della parte soggettivamente complessa, sia con riferimento alle vicende di proposta e accettazione, emesse dai singoli membri della parte; sia con riferimento al momento conclusivo del negozio.
In proposito, è possibile individuare, nell’ambito della dottrina che ha approfondito gli studi relativi al contratto plurilaterale, due diversi orientamenti.
Secondo una prima ricostruzione, il momento conclusivo del negozio coinciderebbe con la conoscenza dell’accettazione da parte, non solo del proponente, ma anche di tutti gli altri oblati226. La revocabilità di atti prenegoziali227 sarebbe dunque consentita fino al momento in cui l’ultima accettazione non sia giunta a conoscenza del proponente.
Secondo una diversa tesi, occorre partire dalla seguente distinzione: altro è il concludere, che di necessità coincide con la conoscenza dell’ultima accettazione; altro
225 S. D’XXXXXX, La parte soggettivamente complessa. Profili di disciplina, Milano, 2002, p. 130, secondo l’autore, “dal contratto con parte complessa, che svolga una efficacia costitutiva di rapporti obbligatori, deriva una pluralità di rapporti giuridici”.
226 X. XXXXXXXX, voce Contratto plurilaterale, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 158, secondo il quale “la singola dichiarazione di accettazione va diretta non soltanto al proponente, ma anche agli altri oblati”.
X. XXXXXXXXX, Dei contratti in generale, cit., p. 45, secondo l’autore, infatti, la proposta e l’accettazione non sono negozi giuridici, ma negozio è il contratto che entrambe le comprende; come porzioni di un negozio, diventano impegnative nel momento in cui il negozio è concluso; prima di tale momento, essendo atti giuridici, producono soltanto gli effetti previsti dalla legge. In senso conforme, cfr.
X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 209, secondo cui, la volontà ancora in movimento, è diretta a produrre un effetto provvisorio, che si esaurisce nella predisposizione del negozio. Contra C. M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 221-222, secondo l’autore, “[…] il problema della natura giuridica della proposta e dell’accettazione non può prescindere da un primo rilievo di fondo, e cioè che esse sono le manifestazioni di consenso costitutive del contratto. Mediante la proposta e l’accettazione le parti esprimono la loro adesione al programma contrattuale manifestando l’intento di costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. Anche anteriormente alla conclusione del contratto la proposta e l’accettazione non sono atti di diversa natura, ma sono dichiarazioni che integrano il contratto in formazione: sono quindi dichiarazioni contrattuali”.
le vicende delle singole accettazioni, che, di volta in volta, si incontrano con la proposta. Nel momento in cui siano intervenute la proposta ed un’accettazione, il proponente ha diritto di confidare definitivamente nell’accettazione ricevuta, così come l’accettante ha diritto di confidare nella proposta228. Raggiunto l’accordo tra due soggetti, né il primo potrebbe sottrarsi per non essersi perfezionato il contratto, mancando ancora l’ultima accettazione; né il secondo, per la medesima ragione, potrebbe revocare il consenso229.
Estendendo tale orientamento ai contratti con parti soggettivamente complesse, è possibile concludere nel senso che proposta e accettazione dei membri della parte seguono l’ordinaria disciplina di cui all’art. 1328 c.c.230 Non verrebbe, quindi, in rilievo una revocabilità unilaterale, che tenga conto dell’incrocio tra dichiarazioni di soggetti della stessa parte, ma un regime incentrato sulla analitica considerazione di ogni manifestazione di volontà231.
Il merito di tale ricostruzione risiede nella considerazione rigorosamente analitica del fenomeno della plurisoggettività; infatti, tralasciando l’idea relativa alla nascita di nuovi centri di interesse, si afferma espressamente l’autonomia e l’indipendenza delle singole dichiarazioni, tutte astrattamente idonee alla produzione di effetti.
Tuttavia, è necessario approfondire l’ipotesi della pluralità di dichiarazioni che si raccoglie intorno ad un unico contratto: in tal caso, non vi sarebbe una pluralità di fatti costitutivi, ma un unico fatto complesso. Il criterio fondante di tale unicità sarebbe
228 X. XXXXX, La conclusione dell’accordo, in I contratti in generale, Xxxxx. dei contratti, diretto da X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, tomo I, Torino, 1999, p. 171.
229 X. XXXXX, La conclusione dell’accordo, in I contratti in generale, Xxxxx. dei contratti, diretto da X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, cit., p. 171, secondo l’autore, nulla vieta che, in attesa della decisione degli altri, “il proponente e l’accettante possono, d’accordo tra loro, procedere alla revoca nei rapporti interni, e insieme provvedere alla revoca della proposta nei confronti degli oblati che non si sono ancora pronunciati”.
230 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 167.
231 X. X’XXXXXX, La parte soggettivamente complessa, cit., p. 173, secondo l’autore, “si deve riconoscere al singolo membro la tutela che il legislatore assegna alla parte nei confronti dell’altra parte”.
rappresentato dalla unicità del testo232: l’identità delle dichiarazioni, pur non escludendo la loro autonomia, induce a concludere per la singolarità del fatto costitutivo233.
Come opportunamente osservato in dottrina, è possibile spingere il profilo dell’autonomia delle singole dichiarazioni verso un più elevato grado di elaborazione concettuale: dalla molteplicità delle dichiarazioni potrebbe dedursi una pluralità di fatti costitutivi, dai quali discenderebbero più rapporti234. Seguendo tale impostazione, può sostenersi che, indipendentemente dall’identità del testo, l’autonomia delle dichiarazioni costituisce fonte di più contratti, ognuno distinto ed autonomo dall’altro.
Più soggetti individuano i destinatari degli effetti derivanti dal contratto di arbitrato, dal quale, quindi, si generano plurimi rapporti giuridici.
Con riferimento al profilo strutturale della fattispecie, si ricava un ulteriore corollario: nel rapporto parti-arbitri verrebbe in rilievo non un singolo contratto di
232 S. D’XXXXXX, La parte soggettivamente complessa, cit., p. 131, secondo cui, “ogni soggetto che prende una decisione, se si vuole, che compie una dichiarazione (membro di una parte complessa o di una parte semplice), reputa che il testo del contratto sia idoneo a rappresentare il risultato che si è prefisso e il sacrificio che ha inteso accettare. L’unicità del testo combina in unità la pluralità di decisioni”. In senso conforme v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 168.
233 Si esprime in termini differenti X. XXXXXX, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, Padova, 1973, p. 131, per il quale il dubbio intorno alla singolarità o pluralità di negozi si scioglie interpretando il testo contrattuale e determinando “l’intero corpo precettivo di vantaggi, obblighi e rischi che costituiscono il regolamento al quale le parti hanno affidato i propri interessi”. Sul punto v., anche, X. XXXXXXXXXXX, Complessità del procedimento di formazione del consenso e unità del negozio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, p. 1364.
234 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 168.
235 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 169.
236 Sul punto v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 169, secondo l’autore, “[…] da un lato, i litiganti hanno ampia facoltà di agire individualmente, anche in dissenso tra loro; dall’altro, gli arbitri costituiti in collegio non sono considerati un’unità inseparabile né scindibile”.
Da tali conclusioni ne consegue un’indicazione di metodo: bisogna mantenere su piani assolutamente distinti le modalità di nomina dei membri del collegio arbitrale, di cui le parti possono liberamente disporre, dalla ricostruzione della struttura del contratto di arbitrato, che si presenta identica alle altre fattispecie negoziali tipiche. La varietà delle modalità conclusive dei contratti non impedisce di considerare unitariamente il fenomeno negoziale emergente nell’arbitrato.
4. La nomina degli arbitri ad opera delle parti.
La lettura degli artt. 809 e 810 c.p.c. sembra confermare le conclusioni raggiunte sulla complessità soggettiva delle parti del contratto di arbitrato. Le norme in esame tutelano interessi differenti: infatti, da un lato, intervengono a salvaguardare la scelta di devolvere alla competenza arbitrale il compito di decidere e risolvere la controversia, dall’altro, stabiliscono dei limiti per quanto riguarda la forma e le modalità di nomina degli arbitri.
La dottrina tradizionale ha evidenziato che il criterio di partenza, nella disciplina concernente la nomina degli arbitri, è quello della concorrente, paritaria e libera volontà delle parti238. Non è ammissibile, cioè, che la nomina del giudice arbitrale possa essere rimessa ad uno solo dei contraenti; tutti devono cooperare a tale nomina239.
La scelta del procedimento di designazione è rimessa alla più ampia facoltà delle parti: fermo il principio di cui all’art. 809, primo comma, c.p.c., secondo cui gli arbitri devono essere in numero dispari240, i meccanismi di nomina, che si concretano in atti a
237Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 170.
238 X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 335; cfr. anche X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 359.
239 Così X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 336. In tal senso v., anche, X. XXXXXXXX Commento del codice di procedura civile, cit., p. 797; P. X’XXXXXXX, Commento al codice di procedura civile, Torino, 1957, p. 278; X. XXXXXXX, Diritto processuale civile, cit., p. 456.
240 Sulle ragioni che impongono il numero dispari del collegio arbitrale, v. V. ANDRIOLI Commento del codice di procedura civile, cit., p. 794; X. XXXXXXX, voce Compromesso, cit., p. 820 ss. Si tratta, in sostanza, di predisporre un meccanismo che garantisca sempre la formazione della maggioranza. Pertanto,
contenuto prevalentemente esecutivo, sono i più vari241. Le modalità di nomina elaborate dalla prassi risultano più precise ed efficaci rispetto alle astratte previsioni normative242.
Questa seconda alternativa consente di avvalersi di un modello di designazione degli arbitri volto a colmare lacune o insufficienze della nomina compiuta dalle parti244. Pertanto, se le parti non raggiungano un accordo sul numero degli arbitri, o se optino per un numero pari di giudici privati; se non provvedano ad indicare le modalità della nomina; se il terzo, a cui era affidata la designazione disattenda l’incarico conferitogli; interviene sempre, in via integrativa e suppletiva, la disciplina di cui all’art. 810,
essendo alla base della prescrizione una ragione d’interesse generale, essa non è derogabile con l’accordo compromissorio. Si ritiene che la sua inosservanza comporta nullità del procedimento e del lodo ai sensi dell’art. 829, n. 2, c.p.c., e non del patto, così che qualora fosse investito un collegio con numero pari di componenti e, ciò nonostante, fosse raggiunta la maggioranza (es., 3 a 1) o l’unanimità (es., 2 a 0), qualora le parti nono avessero sollevato la relativa eccezione, la nullità sarebbe sanata, sul punto v. X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 368 ss.
241 G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 67 ss.; ID., Diritto dell’arbitrato, cit., p. 120;
X. XXXXXX, Alcune riflessioni sulla natura del termine di venti giorni per la nomina del secondo arbitro ai sensi dell’art. 810, comma 1° c.p.c., nota a Cass., 2 dicembre 2005, n. 26257, in Corr. giur., 2006, p. 1555; ID., La litispendenza arbitrale prima e dopo la novella del 1994: rapporto processuale e rapporto negoziale parti-arbitri, nota a Cass., 21 luglio 2004, ivi, 2005, p. 655 ss.; X. XXXXXXX, Il mandato ad arbitrare. La capacità degli arbitri. La responsabilità degli arbitri, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 450; X. XXXXXXX, Nomina e numero, in Dizionario dell’arbitrato, con prefazione di Xxxx, Torino, 1997, p. 107.
000 X. XX XXXXX, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 64.
243 X. XXXXXXXX, Commento del codice di procedura civile, cit., 797, l’autore individua tre “metodi” di designazione: “ogni parte sceglie un arbitro; gli arbitri sono scelti d’accordo da tutte le parti; le parti rimettono, d’accordo, la nomina dell’arbitro o degli arbitri a un terzo, che può essere anche l’autorità giudiziaria”.
244 Sul punto v. X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 380 ss., l’autore procede ad un’ampia rassegna di fattispecie in cui la nomina è compiuta con il concorso dell’Autorità Giudiziaria.
secondo xxxxx, c.p.c., che consente in ogni caso la costituzione dell’organo giudicante245.
Al fine di risolvere tali difficoltà, è possibile richiamare le conclusioni raggiunte in tema di parte soggettivamente complessa. Le dichiarazioni dei singoli membri sono dotate di autonoma rilevanza, in quanto risultano, di per sé, astrattamente idonee alla produzione di effetti giuridici; non vi è alcuna necessità di distinguere la conclusione del contratto con il singolo arbitro dalla costituzione dell’intero collegio, né di attribuire alla accettazione del singolo giudice rilevanza meramente interna. Gli atti di natura prenegoziale, che intercorrono tra la parte ed il proprio arbitro, sono disciplinati dall’art. 1328 c.c.: l’accettazione è idonea a costituire il vincolo e, quindi, a concludere il singolo contratto di arbitrato.
245 X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 35.
246 G. DE NOVA, Disciplina legale dell’arbitrato e autonomia privata, in Riv. arb., 2006, p. 426, l’autore osserva che “in oggi, il meccanismo di nomina degli arbitri funge anche da stipulazione del contratto di arbitrato, che dunque di regola non è oggetto di separata manifestazione di autonomia contrattuale. Ma, in astratto, nulla vieta che lo sia, e lo sia con la previsione di deroghe alla disciplina legale”.
247 Seguendo tale impostazione, appare superfluo immaginare che “non appena l’arbitro di parte abbia accettato la nomina, si perfeziona un rapporto trilatero, cioè fra l’arbitro stesso e le parti” (X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 34). Con la singola accettazione non sorge un “rapporto trilatero”, ma un legame tra la parte e l’arbitro.
5. L’intervento dell’autorità giudiziaria.
Eventuali mancanze sorte nel procedimento di nomina degli arbitri, consentono l’applicazione del secondo comma dell’art. 810 c.p.c., e quindi, l’intervento del presidente del tribunale, adito con ricorso della parte adempiente. Tale intervento è reso nell’ambito di un’attività giurisdizionale sostitutiva248 di quella negoziale venuta a mancare ed è diretto al fine di rendere possibile che la convenzione arbitrale produca comunque effetti, senza che la volontà unilaterale di una delle parti possa paralizzarla249. Tuttavia, tale attività sostitutiva non è sufficiente ai fini della conclusione del contratto di arbitrato, che si perfeziona sempre con l’accettazione; essa è solo destinata a sopperire alla mancanza di una delle parti che abbia disatteso l’accordo raggiunto con l’altra parte250.
La prevalente dottrina nel qualificare l’intervento dell’autorità giudiziaria ex art. 810, secondo comma, c.p.c., è giunta alla conclusione che si tratti di un’attività di volontaria giurisdizione251; l’atto di nomina, in tal caso, sostituirebbe il mancato intervento della designazione privata: verrebbe dunque in rilievo un agire per conto di terzi, un’appartenenza di poteri destinati alla tutela di interessi altrui252.
Parte della dottrina, approfondendo i rilievi sull’intervento del presidente del tribunale, ha ulteriormente precisato che si tratterebbe “di un’attività integrativa e sostitutiva di quella delle parti, della integrazione, cioè, di uno degli elementi del
248 V. per tutti LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 52 ss.; G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 129; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 106 ss.; X. XXXXXXX, Il mandato ad arbitrare. La capacità degli arbitri. La responsabilità degli arbitri, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 467 ss.; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 39 e 46; X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 34 ss.; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 40 ss.
249 Cfr. G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 129.
250 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 174.
251 X. XXXXXX XXXXXXXXXX, Diritto dell’arbitrato, V edizione, Padova, 2006, p. 482; G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 129; X. XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, cit., p. 58; X. XXXXX, voce Arbitrato, I) Arbitrato rituale e irrituale, cit., p. 11; X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI- MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 45; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 41; X. XXXXX, Commentario al codice di procedura civile, cit., p. 337; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato nel sistema del processo civile, cit., p. 423; V. ANDRIOLI, Commento del codice di procedura civile, cit., p. 806; X. XXXXXXX, voce Compromesso, cit., p. 803; G. SCIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., p. 337; X. XXXXXXX, A proposito di non impugnabilità di provvedimento presidenziale di nomina di arbitro, in Giur. it., 1956, I, 2, c. 1082; X. XXXXX, Note sui provvedimenti non impugnabili nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1954, p. 22; X. XXXXX, Alcune questioni in materia di arbitrato, in Giur. it., 1951, I, 2, c. 617.
252 X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, cit., p. 186.
La fattispecie di cui all’art. 810, secondo xxxxx, c.p.c., dovrebbe, quindi, ricondursi nell’ambito delle figure tipiche254 in cui le parti affidano ad un terzo la determinazione di elementi del contratto255: terzo, in senso lato, potrebbe definirsi anche il giudice, il quale in questi casi è chiamato a porre rimedio all’insufficienza del soggetto originariamente designato.
Nell’ipotesi, invece, prevista dall’art. 810 c.p.c., l’attività del terzo si colloca prima e al di fuori del contratto: egli non ha compiti integrativi, ma con il suo intervento rende possibile la stessa conclusione del negozio. Non si determina un elemento del contratto, bensì si indica ad una parte l’identità del soggetto con cui raggiungere l’accordo. Da ciò si deduce un ulteriore elemento della tipicità del contratto di arbitrato, che dimostra, vista la singolare natura dell’attività arbitrale, l’assoluta irrilevanza dell’identità soggettiva di colui che è investito della decisione della controversia.
6. La sostituzione degli arbitri.
La disciplina relativa alla sostituzione degli arbitri, di cui all’art. 811 c.p.c., trova il suo fondamento proprio nell’irrilevanza soggettiva dei membri dell’organo
253 X. XXXXXXXXX, Determinazione delle spese e dell’onorario degli arbitri e “ius postulandi”, in Giur. it., 1968, I, 1, c. 356.
254 Paradigma di queste figure è l’arbitratore. Cfr.: X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 174-175; ID., Note sul contratto di arbitraggio, in Riv. arb., 2006, p. 705; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 33ss.; ID., voce Arbitrato, I) Arbitrato rituale e irrituale, cit., p. 8 ss.; A DIMUNDO, L’arbitraggio. La perizia contrattuale, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 145 ss.; X. XXXXXXXXX, Arbitraggio e determinazione dell’oggetto del contratto, cit.; X. XXXXXXXXX, Arbitrato e arbitraggio, in Xxx. xxx., xxx., x. 000 ss.; X. XXXXXX, L’arbitraggio, cit., p. 100 ss.; X. XXXXXX, In tema di arbitrato, arbitraggio, perizia contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., cit., p. 610 ss.; X. XXXXX, Appunti in tema di arbitramento e di arbitrato, in Riv. dir. proc., cit., p. 161 ss.
255 Sul punto v., in particolare, X. XXXXXXX, Gli atti con funzione transattiva, Milano, 2002, p. 684 ss.
256 X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 175.
arbitrale257. La scelta del legislatore, con la previsione degli artt. 810 e 811 c.p.c., ha come obiettivo principale quello di garantire la costituzione o la ricostituzione del collegio258, salvaguardando la volontà dei privati di servirsi dello strumento arbitrale di tutela, indipendentemente dall’identità degli arbitri259.
L’art. 811 c.p.c. non stabilisce espressamente quali siano le ipotesi o le ragioni che possano giustificare la sostituzione degli arbitri260; l’utilizzo dell’espressione “qualsiasi motivo” dimostra, quindi, la volontà legislativa di tutelare l’operatività del giudizio privato, a prescindere dalle singole contingenze che possano impedire l’iter del procedimento arbitrale261.
Secondo parte della dottrina, il fenomeno della sostituzione degli arbitri, da un punto di vista strutturale, sembrerebbe rientrare nel concetto di successione nel diritto262. In proposito, si osserva che il fenomeno della successione riguarda il problema della titolarità dell’obbligo derivante dal rapporto contrattuale originario, dal momento che il mutamento riguarda solo il soggetto al quale l’obbligo dovrà imputarsi263.
257 Utili motivi di riflessione sul tema in X. XXXX, La sostituzione nella rappresentanza e nel mandato, in
Riv. dir. civ., 1992, I, p. 481.
258 Cfr. X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 229;
X. XXXXXXXXX, La sostituzione dell’arbitro, in Riv. arb., 1993, p. 193.
259 G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 149, secondo l’autore, “[…] la sorte del procedimento arbitrale non può dipendere dalle vicende che attengono al rapporto parti-giudice […], la convenzione di arbitrato funziona come investitura permanente dell’organo giudicante, a prescindere dalle persone che compongono quest’ultimo”.
260 Sul punto v. X. XXXXXXXXXXX, voce Sostituzione, in Diz. dell’arbitrato, con prefazione di Xxxx, cit.,
p. 120, l’autore nota come “l’utilizzo, da parte del legislatore, di una formula generica, richiede l’opera dell’interprete si affianchi a quella del primo, specificando il comando normativo”.
261 Un analitico tentativo di classificazione delle ragioni, che possono determinare la sostituzione, è in X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 155-156. L’autrice distingue tra motivi “ a contenuto oggettivo, quali ad esempio, morte, espatrio […] o accoglimento dell’istanza di ricusazione”; e ragioni “basate sulla volontà degli arbitri o dalle parti”.
262 Così X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 177 ss.; cfr., X. XXXXXXXX, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006, IV edizione, p. 2: “La successione designa così il subentrare d’un soggetto (successore o avente causa) ad un altro (autore o xxxxx causa) in un rapporto, che permane obiettivamente identico, invariato nel suo profilo oggettivo, sicché può affermarsi, altresì, che v’è continuazione nel soggetto subentrante nella posizione del titolare originario”.
263 X. XXXX, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., p.107. Diversamente X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, cit., p. 189, che si richiama alla figura della qualificazione successiva tra rapporti: “Affinché un rapporto si trasferisca o si trasmetta e così sia oggetto di successione, deve essere prima esistito in capo ad un altro soggetto un altro rapporto, il quale, senza la diversità del soggetto, sarebbe in tutto quel medesimo, che esiste poi in capo al secondo soggetto”.
In altri termini, il “nuovo” arbitro succederà nell’obbligo che faceva capo al precedente, egli prosegue nella funzione di giudizio dell’arbitro venuto, per qualsiasi ragione, a mancare264. Xxxx affermarsi con rigore che, nel fenomeno in esame, non viene in rilievo l’estinzione del precedente e la nascita di un nuovo obbligo in capo all’arbitro subentrato; bensì la perdita e l’acquisto dell’obbligo originario, che circola da uno ad un altro soggetto265.
Seguendo tale impostazione, può comprendersi la lettera dell’art. 820, terzo comma, lett. d, c.p.c., che, nel caso di variazioni nella composizione del collegio, stabilisce la proroga del termine per la pronuncia del lodo: non la decorrenza di un nuovo termine, bensì modificazione di quello originario.
E’ stato, altresì, osservato che non sarebbe corretto giustificare l’inammissibilità della sostituzione, facendo leva sulla identità dell’arbitro quale aspetto decisivo nel preferire lo strumento arbitrale per la risoluzione di una data controversia267; o, ancora, ipotizzare una presunzione di sostituibilità, salva la prova contraria del valore essenziale della scelta di quel determinato arbitro268.
Obiettivo primario del legislatore è quello di proteggere la volontà manifestata dai privati di devolvere la decisione della lite agli arbitri, rendendo tale attività indipendente dalle persone incaricate di provvedervi269. Infatti, le parti scelgono non tanto di affidare la soluzione ad un determinato soggetto, quanto, ben più radicalmente, di derogare alla competenza della giurisdizione ordinaria270.
264 X. XXXXXXXXX, La sostituzione dell’arbitro, cit., p. 203.
265 X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 178.
266 X. XXXXXXXXX, La sostituzione dell’arbitro, cit., p. 203.
267 Così, invece, X. XXXXXXXX, Commento del codice di procedura civile, cit., p. 807.
268 In tal senso si esprime X. XXXXXXXXX, La sostituzione dell’arbitro, cit., p. 202, il quale argomenta tale tesi muovendo dalla natura derogabile dell’art. 811 c.p.c.
269 X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 180.
000 X. X. XXXXXXX, Xx tema di sostituzione di arbitro, in Riv. dir. proc. civ., 1957, II, p. 461, secondo l’autore, “la riserva per il caso della nomina fatta intuitu personae, che riecheggia motivi del passato, sembra difficilmente sostenibile di fronte ad un testo legislativo che non fa distinzioni e che non lascia all’interprete alcun margine per introdurne arbitrariamente”.
7. La forma del contratto di arbitrato.
Con riferimento ai requisiti formali, l’accettazione degli arbitri è regolata dall’art. 813, primo comma, c.p.c., secondo cui essa “deve essere data per iscritto e può risultare dalla sottoscrizione del compromesso o del verbale della prima riunione”. Il suo precedente storico risiede nell’art. 13 c.p.c. del 1865, il quale disponeva che “l’accettazione degli arbitri deve essere fatta per iscritto” e che risultava sufficiente a questo effetto “la sottoscrizione dei medesimi all’atto di nomina”.
Le questioni che si agitano sulla norma vigente sono simili a quelle che si dibattevano durante la vigenza del codice del 1865271. La dottrina più risalente272, infatti, nonostante la mancanza di un’espressa sanzione di nullità per l’ipotesi di accettazione resa in forma non scritta, era orientata a ritenere nulla l’accettazione in forma diversa da quella prescritta dalla norma, anche se non reputava necessaria una forma speciale. In altri termini, si individuava nella disposizione un requisito di forma ad substantiam, attraverso il rinvio alla forma richiesta per l’accordo arbitrale.
Relativamente al profilo in esame, parte della dottrina più recente tende ad escludere che la questione relativa alla forma dell’accettazione possa essere risolta rinviando alle norme di cui agli artt. 807-808 c.p.c.273 Accordo compromissorio e contratto di arbitrato, secondo tale tesi, pur rappresentando due momenti strettamente legati tra loro, hanno funzioni diverse e si riferiscono a contratti distinti sia sotto il profilo soggettivo, che sotto il profilo oggettivo; il momento dell’accettazione resta quindi esterno ed autonomo, rispetto al contratto di deroga, alla competenza del giudice ordinario274.
271 Per un’ampia ricostruzione del dibattito, v. X. XXXXXXX, Il mandato ad arbitrare. La capacità degli arbitri. La responsabilità degli arbitri, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 488.
272 X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, cit., p. 100; X. XXXXXXXXX, Del compromesso e del giudizio arbitrale, cit., p. 1249 ss.
273 X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 250. 274 X. XXXXXXX, Sub art. 813, in Codice di procedura civile commentato, a cura di Xxxxxxx e Luiso, II, Milano, 2007, p. 5801; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 397; X. XXXXXXXX, Xxxxxx
5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di XXXXXX-LUZZATTO-RICCI, cit., p. 56; X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 71. In giurisprudenza v., Cass., 9 marzo 1982, n. 1519, in Mass. Foro it., 1982, c. 315, che ne ricava l’affermazione secondo cui chi eccepisce l’incompetenza del giudice ordinario non deve dare nessuna prova dell’accettazione dell’arbitro.
Basandosi su tali premesse, la citata dottrina esclude la necessità di una forma solenne275, ritenendo che, secondo la disciplina attualmente vigente, la forma scritta sia richiesta solo ad probationem276 e forse solo con riferimento al rapporto intercorrente fra le parti e gli arbitri, dovendosi invece, la mancanza della forma scritta, configurare rispetto al procedimento come una mera irregolarità “sempre sanabile ad opera degli arbitri e senza conseguenze sul decorso del termine”277.
Altra parte della dottrina, invece, non ritiene tale ricostruzione convincente e persuasiva, osservando che l’art. 813 c.p.c. prescriva uno specifico requisito formale, a pena di nullità278: la dichiarazione degli arbitri, con cui manifestare il proprio consenso per l’accettazione dell’incarico, deve esprimersi in forma scritta.
Patendo dalla lettera dell’art. 1325 c.c. (che, nell’indicare i requisiti del contratto, menziona bensì la forma, ma solo “quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità), è possibile distinguere due classi di negozi: l’una composta da tre requisiti – accordo, causa, oggetto; l’altra, da quattro – accordo, causa, oggetto e forma279. Nella prima ipotesi (c.d. “fattispecie debole”), il profilo formale non ha alcuna
275 X. XXXXX, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano, 1959, p. 265, l’autore ritiene che per “l’accettazione non occorrano formule rigorose”, ma che basti la redazione di un verbale in cui si dia atto della nomina degli arbitri e questi appongano la firma; ritiene inoltre legittimo che essa avvenga in un momento successivo all’inizio delle operazioni arbitrali, con efficacia di ratifica. In giurisprudenza v., Cass., 29 agosto 1997, n. 8177, in Rep. Foro. it., 1997, voce Arbitrato, n. 176.
276 X. XXXXX, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 138, secondo l’autore, “non si deve confondere questo requisito con quello analogo previsto per la convenzione di arbitrato dagli artt. 807, primo comma, e 808, xxxxx xxxxx, c.p.c. Xxxxxxx, infatti, già posto in rilievo che la nomina degli arbitri è indipendente dal negozio compromissorio ed è legata a quest’ultimo da un mero vincolo strumentale. Ciò ci induce a ritenere che si tratti di requisito formale non previsto a pena di nullità, ma posto in funzione di determinare con certezza il dies a quo del termine per la decisione”; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 398; X. XXXXXXXX, Legge 5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di XXXXXX-LUZZATTO- RICCI, cit., p. 55 ss.
277 X. XXXXXXXX, Legge 5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di XXXXXX-LUZZATTO-RICCI, cit., p. 59, secondo il quale così si eviterebbe di favorire ingiustamente gli arbitri cui non è stato imposto un termine.
278 X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 181-182; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 115; S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 70; X. XXXXXXX, Arbitri, in AA. VV., Dizionario dell’arbitrato, cit., p. 150; già in precedenza, X. XXXXX, Commentario al codice di procedura civile, cit., p. 265; X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 322, per il quale l’accettazione deve essere precedente all’inizio del procedimento pena la sua “assoluta nullità o meglio inesistenza” (p. 325). In senso conforme x. X. XXXXXXXX, Commento del codice di procedura civile, cit.,
p. 811, l’autore, in particolare, conclude ammettendo la possibilità che la nullità possa essere sanata dalla sottoscrizione del lodo, per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c. (p. 812). In giurisprudenza v., Cass., 22 febbraio 1961, n. 409, in Giur. it., I, 1, c. 741, con nota contraria di XXXXXX, Xxxxx note in tema di accettazione degli arbitri.
279 X. XXXX, Studi sul formalismo negoziale, Padova, 1997.
Secondo tale orientamento, il problema dell’accertamento di negozio “debole” non si risolve attraverso un’indagine sulla forma, che in tal caso non è considerata dal diritto, bensì sull’accordo, o più precisamente, sul modo in cui l’accordo si manifesta e si rende percepibile281. “Altro è la necessità dell’esternare – necessità, implicita in qualunque tipo di accordo; altro, la necessità giuridica della forma, che emerge soltanto nei contratti a struttura forte”282. Ne deriva il seguente corollario: se la forma è, nelle fattispecie forti, elemento essenziale, requisito di rilevanza dell’atto, allora essa dovrà sempre considerarsi prescritta a pena di nullità283.
La tesi in esame si ricollega quindi non alla distinzione tra negozi a forma libera o vincolata, ma a quella tra negozi formali284 – e negozi amorfi – per i quali sarà sufficiente la presenza di accordo, causa ed oggetto.
Il contratto di arbitrato dunque è fattispecie a struttura forte285, cioè, un negozio formale, in relazione al quale la forma scritta è richiesta in modo inderogabile286. Pertanto, l’inosservanza della forma scritta determinerà l’invalidità del negozio, un’accettazione orale, o per fatti concludenti, sarebbe nulla287.
280 N. IRTI, Strutture forti e strutture deboli, in Studi sul formalismo negoziale, cit., p. 145, secondo l’autore: “Le due strutture sono autonome e complete. Ciascuna vive in base alla propria legge di composizione. Quando il singolo e concreto contratto è chiamato a soddisfare una struttura debole […] qui non vi è un problema giuridico di forma. Quando, invece, la descrizione legislativa è forte […] qui (e soltanto qui) vi è un problema giuridico di forma”.
281 X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 181.
282 N. IRTI, Strutture forti e strutture deboli, in Studi sul formalismo negoziale, cit., p. 146.
283 Sul punto v. G. OSTI, voce Forma (negli atti), in Diz. pr. dir. priv., III, I, Milano, 1923, p. 207, secondo il quale: “L’interpretazione più naturale di una disposizione relativa alla forma di un negozio porti a considerare tale forma come essenziale”.
284 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 280.
285 X. XXXXXXX, voce Accettazione, in Diz. dell’arbitrato, cit., p. 150.
286 X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 321-322, il quale trae a sostegno della tesi un argomento di natura letterale: “L’art. 813 c.p.c. stabilisce che l’accettazione “deve” essere data per iscritto. Ora, il verbo dovere implica, per se stesso, un obbligo, obbligo che assume il suo valore pieno quando dettato dalla legge e che si spiega con una semplicissima considerazione. Se la forma scritta non fosse richiesta in modo inderogabile, non si vede perché il legislatore si sarebbe dato la pena di dettare una norma ad hoc”. 287 Su questa linea G. DE NOVA, Disciplina legale dell’arbitrato e autonomia privata, cit., p. 427, ove espressamente si afferma l’inderogabilità dell’art. 813 c.p.c.
E’ evidente, infatti, che, da un lato, il presupposto necessario è l’impugnazione del lodo ex art. 829, n. 2, c.p.c., che richiede la preventiva eccezione di parte nel xxxxx xxx xxxxxxxx xxxxxxxxx000, dall’altro, nel normale svolgimento della procedura, a cominciare dal verbale di costituzione, vi sono diverse occasioni in cui viene emanato un documento nel quale è facile identificare un’accettazione.
Non bisogna dimenticare, infatti, che punto centrale della discussione non è l’eventuale assenza dell’accettazione, ma il modo in cui l’accettazione si sia formalizzata290. Nell’ipotesi di sostanziale mancanza dell’accettazione da parte dell’arbitro ci troveremmo dinanzi ad una totale nullità-inesistenza dell’investitura, che non è immaginabile là dove lo svolgimento della procedura sia palese manifestazione quanto meno di un’accettazione tacita291.
288 X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 251. 289 E come precisato da X. XXXXXXXX, Commento del codice di procedura civile, cit., p. 812, in un brano spesso richiamato dalla dottrina, “[..] di fronte alla quale eccezione, gli arbitri, sollecitati dal pericolo di più non conseguire gli onorari, si affretteranno a sottoscrivere in bella e debita forma”.
290 X. XXXXXXXX, Legge 5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di XXXXXX-LUZZATTO-RICCI, cit., nota 6, p. 56.
291 X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 252.
SOMMARIO: 1. La natura indivisibile dell’obbligazione di rendere il lodo. – 2. Le obbligazioni ad attuazione congiunta: species del genus obbligazioni indivisibili. – 3. La responsabilità dell’arbitro “per fatto proprio”. – 4. La tipicità dei motivi di responsabilità degli arbitri. – 5. (Segue): obblighi degli arbitri. – 6. Condizioni di esercizio dell’azione di responsabilità. Sanzioni.
1. La natura indivisibile dell’obbligazione di rendere il lodo.
L’obbligo principale degli arbitri, derivante dal perfezionarsi del contratto di arbitrato, è quello di pronunciare il lodo entro un certo termine292. Su tale assunto sembra basarsi la disciplina concernente le responsabilità e i diritti degli arbitri, di cui, rispettivamente, agli artt. 813-ter e 814 c.p.c.
Secondo l’opinione di attenta dottrina, la confezione del lodo rappresenterebbe un’obbligazione di natura indivisibile: i membri dell’organo giudicante sono obbligati, nei confronti delle parti compromittenti, ad eseguire una prestazione indivisibile293. In proposito, si precisa che dall’indivisibilità della prestazione arbitrale discendono conseguenze significative in tema di responsabilità degli arbitri.
Infatti, diretta conseguenza della natura indivisibile dell’obbligazione di rendere il lodo, è il corollario del vincolo solidale: gli arbitri, vincolati congiuntamente all’esecuzione della prestazione, sarebbero titolari di un’obbligazione in solido verso le
292 G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 141, l’autore chiaramente parla di un’obbligazione principale, quella di rendere il lodo, e di obbligazioni implicite o strumentali: “L’obbligo degli arbitri è quello di rendere il lodo nel termine stabilito dalle parti o dalla legge. Implicite in tale obbligo sono prestazioni strumentali, quali quelle di non rinunciare all’incarico senza giustificato motivo o non omettere o ritardare il compimento di atti relativi alle loro funzioni (arg. ex art. 813, secondo e terzo comma, c.p.c.)”; X. XXXXXXX, Gli arbitri. Mandato, responsabilità e funzioni, Milano, 2001, p. 129, secondo l’autore: “Con l’accettazione dell’incarico, gli arbitri si impegnano a compiere quel complesso di attività di indagine e di studio, giuridico ed intellettuale, che attraverso la loro scienza e conoscenza li porta alla formulazione del lodo. L’obbligo principale degli arbitri è quindi quello di pronunciare il lodo entro il termine previsto dalla legge o dalle parti”; X. XXXXXXX, Il mandato ad arbitrare. La capacità degli arbitri. La responsabilità degli arbitri, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 497; X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX-FAZZALARI- MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 73.
293 X. XXXXXXXX, Commento del codice di procedura civile, cit., p. 816. Così, anche, X. XXXXXXXXX,
Contratti nell’arbitrato, cit., p. 13.
parti294. Quindi, nel caso in cui l’impossibilità di pronunciare la decisione della controversia, nei termini previsti, sia dovuta al fatto di un arbitro, anche gli altri membri dell’organo arbitrale sarebbero responsabili nei confronti dei litiganti.
In proposito, si rende necessario chiarire e precisare il concetto di indivisibilità.
Secondo l’art. 1316 c.c., l’obbligazione è indivisibile “quando la prestazione ha per oggetto una cosa o un fatto che non è suscettibile di divisione per sua natura o per il modo in cui è stato considerato dalle parti contraenti”.
La dottrina tradizionale ha osservato che divisibilità o indivisibilità dell’obbligazione vanno identificate nella divisibilità o indivisibilità dell’oggetto della prestazione, cioè della cosa o del fatto dovuto296. Il riferimento all’oggetto della prestazione consente di individuare l’elemento maggiormente rilevante, ai fini del predicato di indivisibilità, non nel comportamento dovuto, bensì nell’oggetto cui si rivolge il comportamento stesso. In proposito, viene in rilievo la distinzione tra contenuto e oggetto della prestazione: con l’uno si individua (in senso stretto) il comportamento obbligatorio; con l’altro si intende (in senso stretto) il risultato da realizzare, ossia l’oggetto del diritto di credito297.
294 X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 272;
X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 122; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 305.
295 X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 185.
296 X. XXXXXX, voce Obbligazione divisibile e indivisibile, in Noviss. dig. it., XI, s.d., Torino, p. 636, secondo l’autore: “Divisibilità e indivisibilità dell’oggetto della prestazione sono – per le norme da cui vanno desunte le nozioni di divisibilità e d’indivisibilità delle cose e per la loro estensibilità ai fatti – la possibilità e l’impossibilità di frazionamento dell’oggetto stesso, cioè della cosa o del fatto, in parti”. Sul punto v., anche, X. XXXXXXXXXX, voce Obbligazione solidale e parziaria, in Noviss. dig. it., XI, Torino, s.d., p. 675.
297 X. XXXXXXX, L’oggetto dell’obbligazione, in Jus, 1952, p. 177, nota 2. Sul punto v., anche, X. XXXXXX, voce Obbligazione divisibile e indivisibile, cit., p. 638, secondo l’autore, “l’oggetto della prestazione, cosa o fatto, è ciò a cui tende l’interesse del creditore, è il bene (in senso lato) che soddisfa quell’interesse, mentre la prestazione, contenuto dell’obbligo, è il mezzo che (normalmente) consente il
La natura indivisibile dell’obbligazione ricorre ogni qualvolta il relativo oggetto sia impossibile da frazionare o dividere in parti, dotate di esistenza autonoma ed idonee a soddisfare parzialmente il creditore298. Pertanto, l’indivisibilità dell’obbligazione, in virtù di tali peculiari caratteristiche del suo oggetto, implica necessariamente che l’adempimento venga realizzato in un’unica soluzione; in altri termini, l’interesse creditorio risiede nell’adempimento dell’intero.
La prevalente dottrina ha individuato l’elemento distintivo delle due categorie di obbligazioni nel seguente criterio: il predicato dell’indivisibilità riguarda l’essenza della prestazione dovuta; il profilo della solidarietà, invece, si ricollega alle modalità attuative del rapporto300. Nel primo caso, viene in rilievo una peculiarità specifica della prestazione; nel secondo, il vincolo che lega i debitori ai fini dell’adempimento.
Nonostante il rinvio legislativo di cui all’art. 1317 c.c., il concetto di indivisibilità non può essere sovrapposto o confuso con quello di solidarietà; si tratta, infatti, di figure distinte che esprimono esigenze differenti301. In proposito, si sottolinea come un ulteriore profilo di distinzione tra indivisibilità e solidarietà vada riconosciuto non nel diverso “carattere” di esse, bensì nei diversi referenti materiali dell'obbligo di
conseguimento del bene e perciò la realizzazione dell’interesse”. In termini diversi X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, I. Prelegomeni: funzione economico-sociale dei rapporti di obbligazione, Milano, 1953, p. 39: “Nella prestazione si può distinguere un momento soggettivo, che attiene al contegno di cooperazione richiesto dal debitore, ed un momento oggettivo che attiene alla utilità che la prestazione è chiamata ad apportare al creditore”.
298 X. XXXXXX, voce Obbligazione divisibile e indivisibile, cit., p. 647: “Non essendo possibile che le porzioni del fatto vengano ad esistenza nello stesso tempo e mancando, perciò, quel presupposto della divisibilità che è la contemporaneità delle parti, si deve senz’altro concludere per l’indivisibilità”.
299 X. XX XXXX, voce Obbligazioni solidali e indivisibili, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1979, p. 304, l’autore sottolinea come “sul rapporto tra obbligazione solidale e obbligazione indivisibile non regna assoluta chiarezza”, in virtù “anche di un certo ermetismo legislativo che si è limitato ad estendere alle obbligazioni indivisibili le norme relative a quelle solidali, in quanto applicabili (art. 1317 c.c.)”.
300 F. D. XXXXXXXX, voce Obbligazioni soggettivamente complesse, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1979,
p. 340, secondo l’autore: “[…] le due figure in questione non debbono porsi sullo stesso piano di valutazione (per ricercarne gli eventuali elementi di contrapposizione), ma vanno ricollegate a due distinti ordini di valutazione delle obbligazioni soggettivamente complesse: il primo, avente come punto di riferimento la natura della prestazione; il secondo, avente come punto di riferimento il modo di attuazione del rapporto”; cfr., pure, ID., L’obbligazione soggettivamente complessa (profili sistematici), Milano, 1974; X. XXXXXX, Delle obbligazioni (obbligazioni alternative - obbligazioni in solido - obbligazioni divisibili e indivisibili), in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Libro IV, Delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1963, p. 354.
301 F. D. XXXXXXXX, voce Obbligazioni soggettivamente complesse, cit., p. 341.
adempiere “per la totalità”302. Nell’obbligazione indivisibile, tale obbligo trova il suo referente nella natura intrinseca della prestazione, nell'obbligazione solidale, per contrapposto, quel referente va ricercato nel particolare modo di disporsi dei vari interessi debitorii e creditorii. Sicché saranno pur sempre questi diversi referenti (economico-materiali) a dare ragione e spiegazione della diversa “forma” di solidarietà rispetto a quella di indivisibilità303.
302 A. DI MAJO, voce Obbligazioni solidali e indivisibili, cit., p. 304-305.
303 X. XX XXXX, voce Obbligazioni solidali e indivisibili, cit., p. 305, l’autore sviluppa anche una riflessione che guarda al rapporto solidarietà-indivisibilità da una visuale più ampia e generale: “Mentre infatti il vincolo di solidarietà tende a porsi come forma di mediazione più complessiva di un conflitto di interessi che non riguarda soltanto l’oggetto della prestazione, il principio di indivisibilità è massimamente espressione di esigenza che si puntualizza in ordine a tale oggetto”.
304 X. XX XXXX, voce Obbligazioni solidali e indivisibili, cit., p. 301; X. XXXXXX, Delle obbligazioni (obbligazioni alternative - obbligazioni in solido - obbligazioni divisibili e indivisibili), in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Libro IV, Delle obbligazioni, cit., p. 130; X. XXXXXXXXXX, voce Obbligazione solidale e parziaria, cit., p. 675, secondo l’autore: “L’obbligazione può presentarsi, dal punto di vista subiettivo, complessa, nel senso che più debitori o creditori (o, insieme, più debitori e più creditori) partecipano al rapporto”. Per un approfondimento sulle ricostruzioni dottrinali inerenti la natura delle obbligazioni soggettivamente complesse v. F. D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa (profili sistematici), cit., p. 26, all’obbligazione soggettivamente complessa mai è stata attribuita una propria fisionomia strutturale, giacche´ anzi essa partecipava volta a volta delle diverse strutture tipiche dei vincoli parziari, solidali o indivisibili. Elencati i tre presupposti costitutivi della figura — pluralismo soggettivo, idem debitum, eadem causa obligandi — infatti, i vari contributi vengono poi a specificarli trattando delle obbligazioni solidali, e lasciano definitivamente da parte l’obbligazione soggettivamente complessa (per alcuni esempi di questo modus procedendi v. X. XXXXXX, Delle obbligazioni (obbligazioni alternative - obbligazioni in solido - obbligazioni divisibili e indivisibili), in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Libro IV, Delle obbligazioni, cit., p. 130 e p. 134 ss.; X. XXXXXXX, La responsabilità solidale. Profili delle obbligazioni solidali risarcitorie, Milano, 1993, p. 4 e 16 ss.; C. M. XXXXXX, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1993, p. 703 ss.). È dunque con un certo grado di astrazione che si può parlare di una concezione strutturalmente pluralistica dell’obbligazione soggettivamente complessa — in realtà, la dicotomia tra tesi unitarie e plurime andò sviluppandosi in relazione all’obbligazione solidale —; astrazione comunque supportata dal fatto che chi parla di obbligazione soggettivamente complessa, senza configurarla come autonoma categoria obbligatoria, vi ricomprende poi species di rapporti (quelli solidali, parziari ed indivisibili) ritenuti quasi sempre a struttura pluralistica.
Per la tesi pluralistica delle obbligazioni solidali v. C. M. XXXXXX, Diritto civile, IV, L’obbligazione, cit., p. 699 ss.; G. F. CAMPOBASSO, Coobbligazione cambiaria e solidarietà diseguale, Napoli, 1974,
p. 228 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Solidarietà di interessi e di obbligazioni, Padova, 1974, p. 181 ss. X. XXXXXX, Delle obbligazioni (obbligazioni alternative - obbligazioni in solido - obbligazioni divisibili e indivisibili), in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Libro IV, Delle obbligazioni, cit., p. 147 ss.; X. XXXXXX, L’obbligazione solidale, Milano, 1959, p. 38 ss.; A.
forma tipica di attuazione dell’obbligazione indivisibile soggettivamente complessa: se più debitori sono tenuti ad una prestazione inscindibile, uno di essi può essere chiamato all’adempimento, salvo il diritto di rivalersi nei confronti degli altri.
Il legame logico che intercorre tra obbligazioni indivisibili e solidali risiede nel particolare rapporto che può eventualmente emergere tra l’oggetto e le modalità attuative della prestazione: qualora, infatti, non sia possibile separare o dividere il primo, in presenza di una pluralità di debitori, le seconde integreranno gli estremi del vincolo solidale305. In tali circostanze, il singolo debitore, a fronte dell’indivisibilità della prestazione, non potrà procedere ad una esecuzione parziale della stessa; pertanto, così come nelle obbligazioni solidali, il singolo potrà essere chiamato ad adempiere l’intero, salva poi la possibilità di rivalsa nei confronti degli altri debitori306.
Chiariti i concetti di indivisibilità e solidarietà, nonché i rapporti tra le due categorie di obbligazioni, è possibile comprendere le ragioni in virtù delle quali possa profilarsi una responsabilità solidale degli arbitri. Il lodo rappresenterebbe l’elemento determinante che consente di qualificare la natura della prestazione, gravante sui
XXXXXXXXX, Solidarietà del fideiussore e suo debito non pecuniario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1959, p. 1332 e 1345; X. XXXXX, Le obbligazioni. Concetto. Obbligazioni naturali, solidali, divisibili e indivisibili, Milano, 1951, p. 221 ss.; X. XXXXXXXXXX, voce Obbligazione solidale e parziaria, cit., p. 667.
Per la tesi unitaria: v. X. XXXXXXX, Contributo ad una teoria generale dell’accrescimento, Milano, 1956, p. 32; X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni con riguardo al nuovo codice civile, I, Napoli, 1950, p. 326 ss. e 333 ss.
Sull’unitarietà strutturale delle obbligazioni indivisibili: v. X. XXXXXX, Delle obbligazioni (obbligazioni alternative - obbligazioni in solido - obbligazioni divisibili e indivisibili), in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Libro IV, Delle obbligazioni, cit., p. 354; X. XXXXXX, Sulla revoca dell’atto fraudolento e in generale sulla conservazione della garanzia nella solidarietà passiva, in Riv. dir. comm., 1955, I, p. 398 e 400. Prevalente è però la tesi pluralista: v. C. M. BIANCA, Diritto civile, IV, L’obbligazione, cit., p. 759; X. XXXXX, Le obbligazioni. Concetto. Obbligazioni naturali, solidali, divisibili e indivisibili, cit., p. 284; X. XXXXXXX, La teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1948, I, p. 159-160.
305 Sul punto v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 188.
306 X. XXXXXXXXXX, voce Obbligazione solidale e parziaria, cit., p. 676, l’autore chiaramente precisa che: “La indivisibilità della prestazione importa che essa non può essere prestata pro parte dal singolo debitore”. Sulla ratio della disciplina della solidarietà applicabile alle obbligazioni indivisibili v. X. XXXXXX, voce Obbligazione divisibile e indivisibile, cit., p. 652, il quale osserva che: “la ragione per cui ciascun debitore deve eseguire e ciascun creditore può chiedere l’intera prestazione indivisibile va identificata non in un’esigenza di rafforzare la probabilità di conseguire la prestazione (funzione della solidarietà passiva) o di facilitare, nell’interesse dei creditori, l’esazione del credito ed anche, nell’interesse del debitore, il pagamento (funzione della solidarietà attiva), bensì nell’esigenza di assicurare l’unità della prestazione data l’inidoneità del suo oggetto ad essere frazionato in parti (funzione dell’indivisibilità, rispetto alla quale è indifferente che la pluralità di soggetti attenga alla posizione attiva o/e a quella passiva del rapporto)”.
Dalla natura indivisibile dell’obbligazione di rendere il lodo entro un certo termine, discendono conseguenze rilevanti sul piano dell’adempimento. Gli arbitri, infatti, in quanto titolari di un’obbligazione soggettivamente complessa, sarebbero debitori in xxxxxx000; di conseguenza, dalla impossibilità di adempiere alla prestazione per causa imputabile ad uno dei membri del collegio, deriverebbe per gli altri, ai sensi dell’art. 1307 c.c., l’obbligo di corrispondere il valore della prestazione dovuta309.
2. Le obbligazioni ad attuazione congiunta: species del genus obbligazioni indivisibili.
307 X. XXXXXX, voce Obbligazione divisibile e indivisibile, cit., nota 1, p. 646.
308 Così X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 189.
309 Sviluppa tale ricostruzione interpretativa, X. XXXXXXX, Arbitri e responsabilità civile, in Riv. arb., 2006, p. 747, il quale distingue tra valore della prestazione dovuta, per cui vige il vincolo di solidarietà, e risarcimento del danno, che graverebbe solo sull’arbitro inadempiente: “Essendo l’obbligazione di pronunciare il lodo comunque indivisibile e in quanto tale tendenzialmente attratta nella disciplina della solidarietà, sarebbe tornata applicabile la regola che, tolto il valore della prestazione dovuta, almeno il risarcimento del danno è sempre a carico del solo condebitore inadempiente”. In tal senso v., anche, X. XXXXX, Natura giuridica e conseguenze del rifiuto di esecuzione della sentenza arbitrale, cit., p. 1001, secondo il quale: “gli arbitri immuni, privati del compenso a carico delle parti, possono riversare sul colpevole o sui colpevoli l’onere di questo loro legittimo lucro cessante (in genere questo dovrebbe avvenire in caso di più mandatari di cui solo alcuni fra essi avesse la responsabilità dell’affare non concluso efficacemente)”. In giurisprudenza, cfr., Cass., 19 maggio 2004, n. 9458, in Giust. civ., 2005, I,
p. 2459, con xxxxxx nota di commento di X. X’XXXXXX, Revirement della Corte di Cassazione in tema di obbligazioni dei promittenti alienanti (e dei promissari acquirenti).
310 F. D. BUSNELLI, voce Obbligazioni soggettivamente complesse, cit., p. 331-332, secondo l’autore: “In sostanza, tra indivisibilità e solidarietà non corre allora un rapporto di tendenziale autonomia, ma, piuttosto, di possibile complementarità. Senonché giova aggiungere subito che tale complementarità non
Da tali premesse discende che non sempre l’indivisibilità della prestazione è tale da comportare le conseguenze della solidarietà. Questa peculiarità viene in rilievo nella categoria delle obbligazioni ad attuazione congiunta311. In via generale può affermarsi che le obbligazioni ad attuazione congiunta sono quelle che devono essere adempiute congiuntamente dalla pluralità dei debitori, se osservate dal lato passivo, ovvero che devono essere attuate nei confronti della pluralità dei creditori congiuntamente, se la fattispecie obbligatoria in esame rilevi nel lato attivo del rapporto312.
In proposito, si osserva che il profilo dell’indivisibilità assume un rilievo particolare: non è tanto l’oggetto della prestazione ad escludere la possibilità di divisioni o frazionamenti, quanto è determinante che tutti i debitori concorrano congiuntamente nell’adempimento314. Il creditore, pertanto, non può, come nel caso tipico dell’obbligazione indivisibile, chiedere al singolo obbligato l’adempimento della prestazione inscindibile315.
è una regola assoluta, dal momento che ben possono configurarsi ipotesi di obbligazioni indivisibili con pluralità di soggetti, alle quali non corrisponda un'attuazione solidale. Proprio così si giustifica, a nostro avviso, la riserva (“in quanto applicabili”) posta dall'art. 1317, circa la estensibilità alle obbligazioni indivisibili delle norme dettate in tema di solidarietà. Siffatta riserva, quindi, andrebbe intesa non tanto nel senso della possibilità di rinvenire qualche singola disposizione in materia di solidarietà che non si concilierebbe con il cosiddetto regime puro della indivisibilità, quanto piuttosto nel senso, più generale, di dare atto che non sempre la indivisibilità della prestazione è tale da comportare le conseguenze della solidarietà”.
311 F. D. XXXXXXXX, voce Obbligazioni soggettivamente complesse, cit., p. 332; di obbligazioni collettive o connesse parla, invece, X. XXXXXXXXXX, voce Obbligazione solidale e parziaria, cit., p. 677.
312 Cfr. X. XXXXXXX, Le obbligazioni ad attuazione congiunta, in Riv. dir. civ., 1989, I, p. 455 e nota 1: l’autrice usa i termini “obbligazione collettiva” ed “obbligazione ad attuazione congiunta” in modo promiscuo. “Entrambi appaiono, infatti, idonei ad individuare profili caratteristici della figura in esame: il primo evidenzia la pluralità soggettiva ed il secondo la particolarità del momento esecutivo”.
000 X. XXXXXXX, Xx obbligazioni ad attuazione congiunta, cit., p. 456.
314 X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 190, secondo l’autore, nelle obbligazioni ad attuazione congiunta il carattere dell’inscindibilità consiste nella “indeclinabile e congiuntiva presenza di tutti i debitori”.
315 X. XXXXXXX, La teoria generale delle obbligazioni, II edizione, Milano, 1963, p. 197, l’autore precisa che nelle obbligazioni ad attuazione congiunta l’indivisibilità che rileva “non è l’indivisibilità nel senso di
Tra le prestazioni dei singoli debitori e l’adempimento congiunto da parte di tutti i soggetti obbligati emergerebbe una differenza di natura qualitativa316: il risultato finale, derivante dall’esecuzione collettiva, non rappresenterebbe la semplice somma delle attività di ogni debitore, ma qualcosa di diverso. La combinazione tra l’attività prestata da ogni soggetto passivo e quella degli altri determina un esito che non potrebbe mai realizzarsi con la sola prestazione di ogni debitore. La soddisfazione dell’interesse creditorio, dunque, dipende dal valore aggiunto che emerge dalla fusione delle singole prestazioni317.
In realtà, queste ultime non sarebbero delle prestazioni in senso stretto, ma piuttosto le attività necessarie a realizzare l’unica prestazione dedotta in obbligazione o, per usare un’efficace formula dottrinale318, i “fattori concomitanti della prestazione” che perdono la propria autonoma rilevanza con il realizzarsi di essa319.
La ricostruzione della fattispecie “obbligazioni ad attuazione congiunta”, come species rientrante nella più ampia categoria delle obbligazioni soggettivamente complesse, richiede, oltre alla presenza di una pluralità di soggetti che concorrono a formare il lato attivo o passivo del rapporto (od entrambi), la sussistenza di altri due elementi: l’eadem res debita (o idem debitum), ovvero l’unicità della prestazione necessaria al soddisfacimento dell’interesse creditorio, e la eadem causa obligandi, cioè la sussistenza di un’unica fonte del rapporto obbligatorio320.
Dalla presenza di tali elementi, sorgerebbe per la pluralità dei debitori una situazione di “condebito”, ossia una comunione di situazioni relative; comunione che si
cui discorre la legge, che autorizza cioè il creditore a pretendere la prestazione da uno solo”. Chiaramente
X. XXXXXXX, Le obbligazioni ad attuazione congiunta, cit., p. 461: “Vi sono, infatti, casi di obbligazione in cui, senza bisogno di alcuna previsione legislativa o convenzionale, l’attuazione congiunta si pone come unico e necessario modo di adempimento. Ciò accade nei classici casi dell’orchestra o della compagnia di attori: è sufficientemente palese che la prestazione tipica del complesso musicale non può essere eseguita, per sua intrinseca natura, se non da tutti i musicisti congiuntamente”.
316 F. D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa (profili sistematici), cit., p. 14 ss.; XXXXXXXXX, Solidarietà del fideiussore e suo debito non pecuniario, cit., p. 1331.
317 Così X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 190.
318 MATTEUCCI, Solidarietà del fideiussore e suo debito non pecuniario, cit., p. 1331.
000 X. XXXXXXX, Xx obbligazioni ad attuazione congiunta, cit., p. 457; F. D. XXXXXXXX, voce
Obbligazioni soggettivamente complesse, cit., p. 332.
320 Pluralità di debitori, eadem res debita ed eadem causa obligandi sono i tre elementi, la cui simultanea presenza è presupposto necessario e indeclinabile per l’esistenza di un’obbligazione soggettivamente complessa: cfr., F. D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa (profili sistematici), cit., passim. In senso conforme X. XXXXXXX, Le obbligazioni ad attuazione congiunta, cit., p. 463-465.
La particolare natura ed intensità del vincolo obbligatorio dissolverebbe l’autonoma rilevanza dei singoli soggetti obbligati per costituire una soggettività nuova e piena, cui imputare la titolarità del rapporto322. L’eventuale inadempimento, dunque, sarebbe del “gruppo”: una responsabilità comune che non lascerebbe spazio alla “altruità del fatto”, da cui deriva l’inadempimento stesso323. In altri termini, sarebbe del tutto irrilevante che l’impossibilità della prestazione derivi da fatto imputabile ad un membro del gruppo; infatti, l’attività del singolo, essendo semplice “fattore concomitante” dell’unica prestazione, non avrebbe una propria ed autonoma rilevanza324.
Tuttavia, l’estendere la disciplina della solidarietà alle obbligazioni ad attuazione congiunta, solleva delle perplessità326; infatti, ipotizzare una responsabilità comune di
321 Così F. D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa (profili sistematici), cit., passim.
322 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 191.
323 X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 191. Chiaro e argomentato dissenso in X. XXXXXXX, La responsabilità solidale. Profili delle obbligazioni solidali risarcitorie, cit., p. 332.
324 Sviluppa analiticamente questa linea di pensiero, sulla base delle riflessioni elaborate dal Busnelli, X. XXXXX, L’estinzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione nell’obbligazione soggettivamente complessa, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 00: “In particolare, l’impossibilità di uno fa sì che gli eventuali contributi degli altri siano inutili, approdando essi ad un risultato diverso da quello dedotto in rapporto. L’idem debitum originariamente concordato dovrà dirsi impossibile: nello schema dell’attuazione congiunta l’impraticabilità dell’unica relazione attuativa refluisce sul vincolo obbligatorio determinandone l’inattuazione, posto che rimane inconfigurabile un’altra relazione alternativamente deputata a prestare l’idem debitum. Esso sarà perciò impossibile per una causa non imputabile al gruppo debitorio, con conseguente estinzione dell’o. s. c. ai sensi dell’art. 1256 c.c.”.
325 Cfr. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 192.
326 Sul punto v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 192.
tutti i soggetti obbligati per un fatto chiaramente imputabile al singolo debitore, sembra avallare la tesi, precedentemente analizzata e criticata327, della collegialità dei componenti l’organo arbitrale. Non è sembrata convincente l’idea che il collegio arbitrale sia costituito dalla legge quale soggetto di diritto, dotato di una rilevanza autonoma, rispetto alla quale i singoli arbitri si dissolvono nella nuova persona giuridica. Essi, al contrario, mantengono la propria individualità e restano soggetti autonomi, ai quali si imputano diritti ed obblighi, derivanti dai contratti di arbitrato328.
Il principale rilievo critico riguarda il concetto di solidarietà, che deriva dal binomio obbligazioni ad attuazione congiunta-disciplina della solidarietà.
Infatti, come opportunamente rilevato in dottrina, l’opinione secondo la quale dalla contemporanea presenza di più debitori, eadem res debita e eadem causa obligandi, derivi, quale effetto automatico, il vincolo solidale, è alquanto riduttiva329.
L’essenza della solidarietà si fonderebbe su un altro profilo: “la struttura dell’obbligazione solidale presenta quale elemento necessario e sufficiente l’equivalenza delle prestazioni”330. L’unicità della fonte del rapporto obbligatorio non è determinante ai fini della sussistenza di un’obbligazione solidale: l’elemento su cui si fonda la solidarietà è, secondo la costruzione normativa, il concetto di “medesima prestazione”. E’ la fungibilità delle prestazioni, cui più debitori sono tenuti, o meglio la loro idoneità ad essere adempiute da un solo debitore per tutti, a giustificare la nascita del vincolo solidale331. In altri termini, ciò che rileva, ai fini dell’applicabilità dell’art. 1294 c.c., non è la situazione di condebito, ma l’efficacia estintiva generale dell’adempimento di uno solo dei debitori332.
327 V., supra, Sez. I, § 1-2.
328 V., supra, Sez. I, § 3.
000 Xxx. X. XXXXXXX xx XXXXXXXXXX, Xx contratto di arbitrato, cit., p. 193, secondo l’autore: “Problematico appare, in primo luogo, codesto tenere insieme attuazione congiunta dell’obbligazione e regime della solidarietà: note della prestazione e modo di attuazione del vincolo non sembrano complementari”.
330 X. XXXXXXX, La responsabilità solidale. Profili delle obbligazioni solidali risarcitorie, cit., p. 83.
331 X. XXXXXXXXXX, voce Obbligazione solidale e parziaria, cit., p. 677, il quale afferma con chiarezza che: “La infungibilità delle prestazioni, cui più debitori sono tenuti, o meglio la loro inettitudine ad essere adempiute da un solo debitore per tutti, produce taluni notevoli riflessi. Il principale di essi è costituito, a nostro avviso, dalla inapplicabilità dell’art. 1294 c.c., che sancisce la presunzione di solidarietà. Tale presunzione, a nostro avviso, si applica solo nella ipotesi in cui tutte le prestazioni dei vari debitori hanno l’attitudine ad essere adempiute da ciascuno di essi”.
332 Così X. XXXXXXX, La responsabilità solidale. Profili delle obbligazioni solidali risarcitorie, cit., p. 75.
3. La responsabilità dell’arbitro “per fatto proprio”.
Come si è già avuto modo di chiarire334, non è persuasivo ritenere che il gruppo dei debitori-arbitri sia dotato di una piena ed autonoma soggettività giuridica; nella fattispecie “contratto di arbitrato”, trattandosi di un negozio con parti complesse, non viene a costituirsi un solo rapporto giuridico, imputabile ad un unico centro di interessi, ma tanti rapporti giuridici quanti sono i soggetti che compongono la parte complessa.
Tale impostazione può applicarsi anche con riferimento alla fattispecie delle obbligazioni indivisibili ad attuazione congiunta. Centro di imputazione dei comportamenti sono i singoli debitori, ognuno di essi è tenuto ad eseguire una determinata condotta qualificata come doverosa dalla norma. Profilo centrale del rapporto obbligatorio in esame non è un contegno imputabile al gruppo dei soggetti passivi, ma una pluralità di riferimenti soggettivi335 a cui si collegano altrettanti vincoli derivanti dalla conclusione di più contratti di arbitrato336.
333 X. XXXXXXXXXX, voce Obbligazione solidale e parziaria, cit., p. 677, secondo l’autore: “Ove si ponga mente al tipico effetto delle obbligazioni connesse, e cioè che esse debbano essere coevamente adempiute dai vari debitori (o dai vari creditori), si scopre la differenza esistente con l’effetto tipico delle obbligazioni solidali, in cui invece uno solo dei debitori è tenuto ad adempiere l’intero (o uno solo dei creditori ha il potere di pretendere l’intero)”.
334 V., supra, Sez. I, § 3.
335 Di molteplicità di prestazioni parla X. XXXXXX, Delle obbligazioni (obbligazioni alternative - obbligazioni in solido - obbligazioni divisibili e indivisibili), in Commentario del codice civile a cura di
X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Libro IV, Delle obbligazioni, cit., p. 137.
336 Cfr. X. XXXXXXXXXX, voce Obbligazione solidale e parziaria, cit., p. 677. Nello stesso senso si pongono le riflessioni elaborate, con varietà di argomentazioni, dalla prevalente dottrina processualistica, indagando i riflessi, spiegati dalla pluralità di soggetti obbligati sullo svolgimento del giudizio: X. XXXXXXXX, Il processo litisconsortile – struttura e poteri delle parti, Milano, 1993, p. 497; X. XXXXX, Appunti sul litisconsorzio necessario, in Xxx. xxx. xxxx. xxx., 0000, x. 00; X. XXXXXXXXXX, Sistema di diritto processuale civile italiano. I. Funzione e composizione del processo, Padova, 1936, p. 950; E.
Considerare l’organo arbitrale come un autonomo centro di imputazione, è una tesi interpretativa che non ha alcun fondamento normativo. Dalla collegialità non discende automaticamente la nascita di un nuovo soggetto di diritto: il metodo collegiale è solo uno strumento predisposto dal legislatore, al fine di regolamentare il procedimento mediante il quale una pluralità di soggetti devono compiere congiuntamente una determinata attività.
Pertanto, la costituzione in collegio non dissolve gli obblighi dei singoli arbitri337; essi sono sempre responsabili, ai sensi dell’art. 813-ter, ultimo comma, c.p.c., “per il fatto proprio”338. Tale principio è utile nel far emergere un’indicazione di metodo: non bisogna confondere il profilo della necessità di un’attuazione congiunta della prestazione, che concerne il procedimento di formazione dell’atto, con quello degli obblighi che gravano sui singoli arbitri, che riguardano invece le autonome posizioni giuridiche dei soggetti.
XXXXXXX, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1935, p. 50; X. XXXXXXX, Il giudizio civile con pluralità di parti, Milano, 1911, p. 206.
337 Così X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 196.
338 X. XXXXXXX, Arbitri e responsabilità civile, cit., p. 750-751, secondo l’autore, la disposizione, di cui all’ultimo comma dell’art. 813-ter c.p.c., “[…] se non può innovare nel regime di responsabilità degli arbitri che hanno comunque operato congiuntamente, introducendo una stabile eccezione alla regola di solidarietà altrimenti cogente tra più mandatari (artt. 1716, secondo xxxxx, e 1294 c.c.), viceversa non determina un decisivo cambiamento in caso di azione disgiunta. Che “ciascun arbitro risponde solo del fatto proprio”, difatti, sarebbe tornato naturalmente applicabile nella tipica obbligazione degli arbitri, benché ivi non ricorra la nozione di solidarietà (art. 1292 c.c.), dal momento che “ciascuno [non] può essere costretto all’adempimento per la totalità”; e tuttavia, essendo l’obbligazione di pronunciare il lodo comunque indivisibile e in quanto tale tendenzialmente attratta alla disciplina della solidarietà, sarebbe allora tornata applicabile la regola che, tolto, “il valore della prestazione dovuta”, almeno “il risarcimento del danno ulteriore [è sempre a carico del solo] condebitore inadempient[e]” (art. 1307 c.c.): regola propria delle obbligazioni solidali per il caso che “l’adempimento dell’obbligazione è divenuto impossibile per causa imputabile a uno o più condebitori”.
339 X. XXXXXXX, La responsabilità solidale. Profili delle obbligazioni solidali risarcitorie, cit., p. 337, secondo l’autore: “la prestazione di equivalente dei debitori incolpevoli trova causa, non già nella situazione di condebito, bensì nel regime solidale dell’attuazione”.
Nel caso in cui la prestazione di pronunciare il lodo entro un dato termine diventi impossibile per fatto di un arbitro, gli altri membri del collegio non potrebbero reputarsi responsabili in solido; di conseguenza, escludendosi l’applicabilità della disciplina della solidarietà, torna applicabile il principio ordinario, proprio di qualunque rapporto obbligatorio: l’impossibilità non imputabile estingue la prestazione340. L’eventuale inadempimento non è imputabile al collegio341, può solo addebitarsi la responsabilità al singolo arbitro autore di un contegno negligente342.
Tali riflessioni chiariscono la scelta del legislatore di prevedere all’art. 813-ter
c.p.c. una disposizione che – oltre a contenere la già indicata formula “responsabilità per fatto proprio” – nell’indicare le singole ipotesi di responsabilità, declina la persona dell’arbitro al singolare343. Responsabile “dei danni cagionati alle parti” (primo comma) è il singolo arbitro; l’obbligo è dell’arbitro, non del gruppo; ogni singolo membro del collegio è chiamato, individualmente, a tenere il contegno dovuto.
4. La tipicità dei motivi di responsabilità degli arbitri.
La legge delega 14 maggio 2005, n. 80344, da cui ha preso vita il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, all’art. 1, terzo comma, lett. b), poneva tra le proprie finalità quella di stabilire “una disciplina unitaria e completa della responsabilità degli arbitri, anche tipizzando le relative fattispecie”345.
340 In tal senso v. X. X’XXXXXX, La parte soggettivamente complessa. Profili di disciplina, cit., nota 8, p. 324.
341 Su questa linea Cass., 22 ottobre 1959, n. 3207, in Foro it., 1960, I, c. 623 e in Giust. civ., 1960, I, p. 310, ove si argomenta nel senso di una responsabilità dei coarbitri, per aver omesso di segnalare alle parti l’inadempimento di uno di essi. Contra v. V. ANDRIOLI, Commento del codice di procedura civile, cit.,
p. 816, secondo l’autore: “Proprio perché gli arbitri costituiscono un collegio, che è tenuto, nei confronti delle parti, ad una prestazione indivisibile, non basta, al fine di porre in essere la causa non imputabile, dimostrare che l’inadempimento è personalmente imputabile ad altro arbitro, ma è indispensabile provare di aver fatto il necessario per rendere possibile il collegiale adempimento”.
342 X. XXXXXXXXX, Contratti nell’arbitrato, cit., p. 13, il quale afferma che non vi è modo di “ritenere sussistente l’inadempimento di tutti, ma di addebitarne la responsabilità al solo arbitro negligente”.
343 Così X. XXXXXXX di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 197.
344 Sulla legge di delega v. E. F. XXXXX, La delega sull’arbitrato, in Riv. dir. proc., 2005, p. 951 ss.; X. XXXXX, Xxxxxx sulla delega in tema di arbitrato: riaffermazione della natura privatistica dell’istituto, in Riv. dir. proc., 2005, p. 963 ss.
345 Sul punto v. X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 262, secondo l’autrice, con riferimento alla tipizzazione delle ipotesi di responsabilità degli arbitri, “lo
Come osservato in dottrina, il quadro normativo, che deriva dalla lettera dell’art. 813-ter c.p.c.346, esprime un tentativo da parte del legislatore di salvaguardare la serenità di giudizio degli arbitri, pur determinandone i comportamenti sanzionabili, disciplinando l’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti e le conseguenze che ne possono derivare sul piano economico347.
E’ costantemente emersa, inoltre, l’idea che vi fosse un’intensa connessione tra la qualificazione del contratto, nonché delle prestazioni derivanti da esso, e l’eventuale
scopo sembra essere stato raggiunto con il nuovo testo dell’art. 813-ter, che solo in parte riprende il contenuto del previgente comma 2° dell’art. 813”; X. XXXXXXX, Arbitri e responsabilità civile, cit., p. 745.
346 Il testo dell’articolo è rimasto immutato sin dalla sua prima adozione presso il Ministero della giustizia in data 28 giugno 2005: l’osservazione è consentita dalla pubblicazione in Arbitrato notizie del 26 luglio 2005 dell’inserto contenente le “Osservazioni e raccomandazioni dell’A.I.A. in merito alla legge 14 maggio 2005, n. 80”, redatte “sulla base delle risultanze della riunione della Commissione presieduta dal prof. Avv. Xxxxxxx Xxxxx” e nelle quali il testo preso a riferimento è esattamente conforme a quello divenuto poi legge vigente. Il testo è andato soggetto alla approvazione del Consiglio dei ministri il 15 luglio 2005 (in sede preliminare) e il 22 dicembre 2005 (in via definitiva). In occasione della prima deliberazione, come può leggersi anche in xxx.xxxxxxxxx.xx/xxx_xxxxx/xxxxxxxxxx_xxxxxxxxx.xxx, esso è stato accompagnato da una Relazione che sul punto recita: “Viene quindi tracciato un quadro relativo alla responsabilità dell’arbitro, incentrato su condotte dolose o gravemente colpose produttive di danno, e munito di una clausola di riserva che limita la responsabilità per dolo o colpa grave ai sensi della legge sulla responsabilità dei magistrati (art. 2, legge 13 aprile 1988, n. 117). Sono inoltre previsti limiti specifici per evitare che la proposizione dell’azione di responsabilità sia piegata a fini indebiti, sia in pendenze del giudizio che dopo la pronunzia del lodo (art. 813-ter).
347 Così X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 262- 263.
348 G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 81; ID., Diritto dell’arbitrato, cit., p. 143, secondo l’autore, la disciplina della responsabilità degli arbitri deve essere tendenzialmente tratta dalle norme contenute nel codice di procedura civile; X. XXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato, in Il nuovo processo civile, a cura di Xxxxxxxxx, Milano, 2006, p. 69; X. XXXXXXXXX, in XXXXXXXXX- FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, Commentario, cit., p. 73; X. XXXXXXXX, Commento del codice di procedura civile, cit., p. 815; X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., p. 393, secondo il quale, l’art. 813, secondo comma, c.p.c. (ante riforma), “in definitiva, contiene l’indicazione tassativa delle ipotesi di responsabilità per colpa degli arbitri”. In senso contrario v. X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 303; X. XXXXXXX, Diritto processuale civile, cit., p. 458, per il quale “l’art. 813 non costituisce un limite, ma fornisce soltanto una menzione esemplificativa”.
inadempimento da parte degli arbitri349. Tuttavia, gli orientamenti interpretativi a sostegno delle tesi del mandato e della prestazione d’opera intellettuale erano più utili per la determinazione del grado di diligenza, richiesto per l’adempimento della prestazione dovuta dagli arbitri, che per l’inquadramento di altre fattispecie, in cui i membri del collegio erano chiamati a risarcire i danni350. Da un lato, veniva in rilievo la disciplina di cui all’art. 1710 c.c., che prescrive al mandatario di assumere un contegno ispirato alla diligenza del buon padre di famiglia351; dall’altro, la lettera dell’art. 2236 c.c., che ritiene responsabile il prestatore d’opera intellettuale, chiamato a risolvere problemi tecnici di particolare difficoltà, solo per dolo o colpa grave352.
In realtà, la nuova disciplina contenuta nell’art. 813-ter c.p.c., pur facendo propri taluni risultati emersi nelle posizioni della dottrina tradizionale, sembra aver posto fine al dibattito precedente sulla tassatività o meno delle ipotesi di responsabilità degli arbitri353. Il legislatore ha scelto di chiarire e precisare i contorni della responsabilità, rendendo superfluo e svuotando di significato ogni confronto sul problema relativo al carattere esclusivo della norma in esame354. Secondo l’attuale quadro normativo, l’unico
349 Chiaramente X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 263: “La configurazione che viene data al rapporto parti-arbitri ed alla funzione di questi ultimi determina conseguenze molto diverse sul piano della responsabilità”. Cfr., pure, G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 81; ID., Diritto dell’arbitrato, cit., p. 143.
350 Sul punto v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 198.
351 X. XXXXXXXXX, L’arbitrato, cit., p. 120, secondo l’autore: “Una volta perfezionato il mandato, ne scaturisce un vincolo obbligatorio, in forza del quale, con la diligenza del mandatario (art. 1710, primo comma, c.c.), gli arbitri devono entro un termine preciso perfezionare l’atto giuridico, ottenendo un corrispettivo (essendo il mandato normalmente, e salvo volontà espressa contraria, oneroso, artt. 1709 c.c. e 814, primo comma, c.p.c.)”.
352 X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 300; G. VERDE, Collegialità degli arbitri e responsabilità per inadempimento, cit., p. 255; X. XXXXX, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, cit., p.
33. In giurisprudenza v., in particolare, Cass., Sez. I, 4 aprile 1990, n. 2800, in Giust. civ., 1990, I, p. 2365 e in Riv. arb., 1991, p. 87, la Corte, nel suo argomentare, dimostra lucida consapevolezza del dibattito; infatti, muove dalla qualificazione del contratto di arbitrato in termini di prestazione d’opera intellettuale, rilevando, rispetto alla fattispecie tipica, una duplice peculiarità: “il carattere normalmente episodico (e non professionale) dell’attività degli arbitri e la natura sostanzialmente giustiziale della medesima”. Secondo i giudici di legittimità, tali peculiarità inciderebbero sulla disciplina del contratto: dalla prima deriverebbe che, per gli arbitri, la diligenza deve misurarsi sull’ordinario criterio del “buon padre di famiglia”; dalla seconda, che essi non sono chiamati a rispondere, “se non in caso di dolo o colpa grave, per i danni che conseguono dalla loro attività propriamente giustiziale”.
353 In tal senso v. X. XXXXXXX di XXXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, cit., p. 199-200; X. XXXXXXXXXXX ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 264.
354 Secondo X. XXXXXXX, Arbitri e responsabilità civile, cit., p. 747 ss.: “Il primo degli obiettivi che il Legislatore appare essersi prefisso, allora, è la creazione di un’unica fonte di disciplina, esaustiva pur
5. (Segue): obblighi degli arbitri.
Si è già affermato che l’obbligo principale degli arbitri, derivante dal contratto di arbitrato, è quello di pronunciare il lodo entro un determinato termine356; tuttavia, è necessario procedere ad ulteriori precisazioni.
L’art. 813-ter c.p.c. individua due ipotesi di responsabilità, così richiamando la disciplina previgente357: l’una espressamente stabilisce che è responsabile l’arbitro che ometta o impedisca la decisione nel termine (primo comma, n. 2); l’altra sanziona il giudice privato che immotivatamente rinunci o si renda colpevole di omissione o ritardo nell’adempimento dell’incarico conferitogli (primo comma, n. 1). La prima ipotesi farebbe riferimento esclusivamente all’esito dell’attività svolta dagli arbitri, prescrivendo il raggiungimento di un determinato risultato; la seconda, invece, evidenzierebbe le prestazioni strumentali al perseguimento del risultato medesimo358.
Con riferimento alla rinuncia all’incarico, si è stabilita l’inammissibilità del recesso ingiustificato, in quanto ciò impedirebbe di pervenire alla decisione della controversia359. In proposito, deve osservarsi che la generica indicazione contenuta nella
quando non autosufficiente, come rivela il ricorso alla tecnica del rinvio selettivo a luoghi normativi alieni dal codice di rito”.
355 Chiaramente X. XXXXX, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 145, secondo cui: “[…] la disciplina della responsabilità degli arbitri deve essere tendenzialmente tratta dalle norme contenute nel codice di procedura”; X. XXXXXXX, Arbitri e responsabilità civile, cit., p. 747, il quale, nel richiamare le riflessioni di Verde, supra riportate, precisa: “niente più che tendenzialmente, dunque”.
356 V., supra, Sez. II, § 1.
357 P. L. NELA, Le recenti riforme del processo civile, commentario diretto da Xxxxxxxxx, Bologna, 2007,
p. 1683, l’autore precisa che: “Prima della riforma, la responsabilità degli arbitri si atteggiava, in base all’art. 813, secondo e terzo comma, in due direzioni. Da un lato, ai sensi del secondo comma, gli arbitri rispondevano dei danni in due casi, di lodo annullato perché reso fuori termine, ovvero di rinuncia all’incarico senza giustificato motivo. Dall’altro lato, secondo il terzo comma, l’arbitro che avesse omesso o ritardato un atto relativo alle sue funzioni doveva essere sostituito; ma anche in questo caso non era da escludere la possibilità di una condanna per danni”.
358 G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 141: “L’obbligo degli arbitri è quello di rendere il lodo nel termine stabilito dalle parti o dalla legge. Implicite in tale obbligo sono prestazioni strumentali, quali quelle di non rinunciare all’incarico senza giustificato motivo o non omettere o ritardare il compimento di atti relativi alle loro funzioni”; A. DIMUNDO, Il mandato ad arbitrare. La capacità degli arbitri. La responsabilità degli arbitri, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 498.
359 S. MARULLO di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 201.
In primo luogo, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere giustificato motivo di rinuncia il sopravvenire di situazioni che imporrebbero ad un giudice di astenersi361 o che comunque renderebbero legittima una richiesta di ricusazione proveniente dalle parti362, con la precisazione che tale situazione deve essersi configurata indipendentemente dalla volontà del soggetto363. Non sarebbe possibile, infatti, considerare giustificata la rinuncia di chi, nel corso del procedimento arbitrale, decida di accettare un’offerta più conveniente per un’attività professionale propostagli da una delle parti litiganti364. Non vi sono dubbi anche per quanto riguarda un possibile motivo di salute, purché anche in tal caso non sia già conosciuto al momento dell’accettazione dell’incarico365.
Altra ipotesi di legittima rinuncia è quella prevista dall’art. 816-sexies c.p.c., a norma del quale, se una parte viene a mancare, gli arbitri possono assumere le misure idonee per consentire il rispetto del contraddittorio per la prosecuzione del giudizio. Se
360 C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 264;
A. DIMUNDO, Il mandato ad arbitrare. La capacità degli arbitri. La responsabilità degli arbitri, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 498; G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., p. 396, l’autore prova ad indicare un criterio di massima, per delimitare i confini di un concetto labile come quello del “giusto motivo” di rinuncia all’incarico, sostenendo che: “La verità è che anche il “giusto motivo” non può essere individuato che in riferimento alla natura dell’ufficio che l’arbitro si impegna ad esercitare”.
361 C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 264. Per V. ANDRIOLI, Commento del codice di procedura civile, cit., p. 817, diverso è il problema se essi siano tenuti ad astenersi o a dichiarare gli eventuali motivi di ricusazione.
362 Cass., 9 marzo 2004, n. 4756, in Giust. civ., 2005, p. 835, con nota di G. CONSOLO, Rinuncia dell’arbitro di parte: una singolare decisione di merito, ma con rinvio, della S. c..
363 C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 265; Cass., 9 marzo 2004, n. 4756, cit., con nota di G. CONSOLO, cit., ravvisa un giustificato motivo di rinuncia in una sorta di “emarginazione” di un arbitro che non viene posto nelle condizioni di partecipare al giudizio ed alla deliberazione del lodo all’interno del collegio.
364 C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., nota 361, p. 405, espressamente “ ma devono escludersi, a mio avviso, tutti quegli incarichi di natura privata e anche pubblica che l’arbitro sia libero di accettare o di rifiutare”.
365 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., p. 265.
Dalla lettera dell’art. 816-septies c.p.c., inoltre, si deduce un’ulteriore legittima rinuncia degli arbitri all’incarico, in caso di mancata corresponsione degli anticipi richiesti sia sulle spese che sui compensi367.
Parte della dottrina sostiene che anche l’allargamento del thema decidendum, seppur con l’accordo di entrambe le parti, possa essere considerato valido motivo di rifiuto368; del pari è giustificato il recesso degli arbitri, nel caso in cui le parti rifiutino una proroga del termine qualora sia richiesta dai membri del collegio per causa loro non imputabile369.
366 Così C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 265.
367 G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 83; C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 404; P. BERNARDINI, Il diritto dell’arbitrato, cit., p. 65.
368 C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 265;
C. CECCHELLA, L’arbitrato, cit., p. 128; C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 404.
369 In particolare il problema si è posto in sede di arbitrato irrituale a causa di giustificato ritardo nel deposito di una consulenza tecnica d’ufficio, Cass., 7 dicembre 1996, n. 10923, in Riv. arb., 1997, p. 335 ss., con nota adesiva di G. FABBRINI TOMBARI, Arbitrato irrituale: ritardo nel deposito di una consulenza tecnica e responsabilità degli arbitri.
370 C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 266;
L. DITTRICH, Legge 5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di TARZIA-LUZZATTO-RICCI, cit., p. 492; G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., p. 395; E. CODOVILLA, Del compromesso e del giudizio arbitrale, cit., p. 261.
371 Distingue tra obbligo di rendere il lodo e obbligo di decidere nel termine G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., p. 393: “Ad essi [gli arbitri] incombe, cioè, l’onere di svolgere tutte quelle attività di indagine, di studio o di coordinazione, di attività a carattere tecnico, giuridico e intellettuale che, attraverso la loro scienza e coscienza, li porta alla formulazione del lodo. […] Ma il vero sostanziale obbligo degli arbitri si concreta in quello di pronunciare il lodo. […] Il secondo obbligo che loro incombe è quello di pronunciare entro il termine stabilito dalle parti nel contratto compromissorio o nell’atto successivo col quale l’abbiano prorogato o, in mancanza, entro il termine fissato dalla legge all’art. 820
c.p.c. L’osservanza del termine, infatti, è essenziale alla validità della sentenza arbitrale”.
Si tratta di un termine non essenziale372, di cui le parti possono disporre, in quanto la tardività della pronuncia acquista rilevanza solo se eccepita prima della deliberazione da parte del collegio. L’art. 820 c.p.c. conferma la natura disponibile del termine per la pronuncia del lodo, dal momento che stabilisce: che il termine possa essere prorogato non solo per volontà delle parti stesse, ma anche dall’autorità giudiziaria, dietro istanza motivata di una di esse o degli arbitri; che, salva una contraria volontà dei litiganti, il termine è comunque prorogato al verificarsi di fatti, indicati dall’ultimo comma dell’articolo.
Più problematica è, invece, la lettura dell’art. 821 c.p.c., che ha la funzione di precisare il concetto di “lodo”, su cui parametrare l’adempimento del principale obbligo che grava sugli arbitri. Il dubbio che emerge dalla norma in esame è se gli arbitri, entro il termine, debbano confezionare un lodo completo o se sia sufficiente sottoscrivere il semplice dispositivo. Il tenore letterale della disposizione sembra propendere per quest’ultima soluzione.
Tuttavia, dalla disciplina complessiva dell’arbitrato sembra potersi accogliere un concetto di lodo unitario ed omogeneo: il lodo è l’atto che contiene gli elementi previsti dall’art. 823 c.p.c.373. Tale disposizione esprime un evidente carattere imperativo, in quanto la formula utilizzata dal legislatore, nel riferirsi al contenuto del lodo, è “deve contenere”.
Da tali considerazioni ne consegue che non è sufficiente, entro la scadenza prevista, raggiungere un generico accordo, che venga successivamente tradotto nella
372 Sono ricorrenti in dottrina affermazioni come quella secondo la quale il termine “non costituisce elemento essenziale del patto compromissorio” ed è lasciato “nella piena disponibilità delle parti” (C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 6) o quella secondo la quale la possibilità che le parti hanno di prevedere un termine diverso da quello di legge o “di prolungare ad libitum il termine di pronuncia del lodo” rappresentano “ulteriore conferma della natura contrattuale dell’arbitrato” (E. FADDA, P. IASIELLO, Il lodo arbitrale, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 776).
373 Considera rilevante, ai fini dell’adempimento, un lodo composto di tutti i suoi elementi A. BRIGUGLIO, in BRIGUGLIO-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, Commentario, cit., p. 74, secondo l’autore, “inadempimento degli arbitri vi è […] per la mancata emanazione di un lodo munito di tutti i requisiti che lo rendono formalmente tale”. Così, anche, N. RASCIO, La decisione, in Diritto dell’arbitrato, a cura di G. Verde, cit., p. 367; C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 296, il quale parla di “lodo che decide la controversia”; L. VASSELLI, Termine per la pronuncia del lodo arbitrale rituale e responsabilità degli arbitri, in Quad. giurispr. imp., 1991, p. 31. Contra E. GARBAGNATI, Intorno al termine per il deposito del lodo arbitrale, in Foro pad., 1951, III, c. 74, secondo il quale “la pronuncia del lodo si identifica concettualmente con la sottoscrizione del documento scritto del dispositivo deliberato dagli arbitri”.
Nell’individuare le ipotesi di responsabilità, l’art. 813-ter c.p.c. non si riferisce soltanto al profilo oggettivo, cioè ai fatti che determinano l’inadempimento, ma anche al grado di diligenza richiesto agli arbitri, ossia allo stato soggettivo e psicologico su cui misurare il comportamento dei membri del collegio.
La disposizione, nel fornire tali precisazioni sul profilo soggettivo delle condotte arbitrali, delinea più chiaramente i contorni della figura di responsabilità, di cui al secondo comma: la norma stabilisce che, “fuori dai precedenti casi, gli arbitri rispondono esclusivamente per dolo o colpa grave entro i limiti previsti dall’art. 2, commi 2 e 3, della legge 13 aprile 1988, n. 117”, disciplina relativa alla responsabilità dei magistrati.
Già in passato ci si era interrogati sulla possibilità di applicare agli arbitri le norme in materia di responsabilità civile dei magistrati376, ma l’orientamento prevalente propendeva per la soluzione negativa377, ora sottolineando la natura privatistica dell’attività dell’arbitro378, ora invece evidenziando come tale normativa apparisse “indissolubilmente incardinata sul concetto di immedesimazione organica del giudice in un ufficio pubblico”379.
374 S. MARULLO di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 202.
375 Reputa la norma derogabile, G. DE NOVA, Disciplina legale dell’arbitrato e autonomia privata, cit.,
p. 426: “Così l’art. 813-ter sulla responsabilità degli arbitri. Nulla vieta, a mio parere, che il contratto di arbitrato, in deroga all’art. 813-ter, dica ad esempio applicabile l’art. 2236 c.c., e così consenta la responsabilità per colpa semplice là dove la prestazione non implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà”.
376 Si vedano le pur risalenti considerazioni di F. CARNELUTTI, Sulla responsabilità degli arbitri, nota a Appello Bologna, 26 febbraio 1925, in Riv. dir. proc., 1925, p. 336 ss. Favorevole ovviamente all’estensione dei principi di responsabilità dei giudici agli arbitri sono quegli autori che tendono alla giurisdizionalizzazione della figura dell’arbitro. Per tutti v. G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., p. 394; Cass., 27 marzo 1965, n. 536, in Foro it., 1965, I, c. 1223.
377 S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 2004, p. 73.
378 G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 143.
379 L. DITTRICH, Legge 5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di TARZIA-LUZZATTO-RICCI, cit., p. 63.
La norma prosegue con il terzo comma, stabilendo che “costituiscono colpa grave: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà di persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione”.
Escludendo, per ovvi motivi, l’applicabilità della lett. d), se ne può dedurre è che le uniche ipotesi contestabili a titolo di colpa grave sono la violazione di legge e l’errore di fatto revocatorio382. Considerato però che tale errore non può essere motivo di impugnazione del lodo383, elemento essenziale, perché ne possa derivare la responsabilità, si conferma solo la revisione di un errore “gravissimo di diritto”384. Ed anche in questo caso l’impugnabilità del lodo, e quindi l’azione di responsabilità, è
380 C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 269. Sul punto v., anche, C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 302, secondo l’autore, è possibile postulare la sussistenza del seguente principio generale: “[…] chi è chiamato a giudicare e decidere una controversia può essere responsabile (diretto o in sede di rivalsa) non solo per dolo, ma anche per colpa grave. L’attività di giudizio, quindi, non è immune da responsabilità per colpa; pur tuttavia la speciale difficoltà del giudizio e la possibilità dell’errore, riconosciuti in ogni ordinamento con l’approntamento del sistema delle impugnazioni, impongono di restringere la responsabilità per chi è chiamato a giudicare e decidere una controversia, così come per il prestatore d’opera intellettuale, la cui prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, al caso di colpa grave”.
381 A. BRIGUGLIO, La responsabilità dell’arbitro al bivio fra responsabilità professionale e responsabilità del giudice, in Giust. civ., 2006, p. 57.
382 Sul punto v. C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 269.
383 M. BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, in Il nuovo processo civile, cit., p. 70.
384 P. L. NELA, Le recenti riforme del processo civile, commentario diretto da Chiarloni, cit., p. 1686.
possibile solo se le parti l’hanno espressamente prevista per violazione delle regole di diritto385.
Il rinvio alla disciplina sulla responsabilità dei magistrati sembra affrontare e risolvere “il problema della esistenza o meno per l’arbitro di un obbligo di ben giudicare”386; se, in altri termini, egli sia chiamato a rispondere della correttezza della decisione adottata per la soluzione della controversia387.
Tale impressione si giustifica in virtù del fatto che la norma, da un lato definisce il concetto di colpa grave, ritagliandolo sulla specifica attività del giudicare; dall’altro, esclude la responsabilità nell’interpretazione di norme di diritto o valutazione di fatti e prove.
In proposito, parte della dottrina sottolinea che, pur non riscontrandosi nella lettera della legge un obbligo per gli arbitri di ben giudicare, è comunque per essi stabilito un criterio di giudizio nell’art. 822 c.p.c., da osservare con riferimento alle norme di diritto, “salvo che le parti li (gli arbitri) abbiano autorizzati a pronunciare secondo equità”. In altri termini, esisterebbe un obbligo per gli arbitri di giudicare secundum jus o secundum aequitatem e in definitiva di ben giudicare, tanto è vero che l’inosservanza di questo obbligo vizierebbe il lodo da essi pronunciato e ne giustificherebbe l’impugnazione e l’annullamento388. Tuttavia, l’inosservanza di quest’obbligo, la violazione del modus procedendi e del modus judicandi, e lo stesso annullamento del lodo non determinano in ogni caso la responsabilità degli arbitri389.
385 M. BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, in Il nuovo processo civile, cit., p. 69, sottolinea come resti sempre salva l’annullabilità per violazione di norme di ordine pubblico.
386 C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 304.
387 Cfr. S. MARULLO di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 204.
388 Così C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 304. In senso conforme v. F. CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, cit., p. 68. Contra G. MIRABELLI-D. GIACOBBE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 46, secondo i quali “non è obbligo degli arbitri emettere un lodo logico, serio, concludente”.
389 C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 305; R. VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del processo civile, cit., p. 448 ss., ed ivi, in particolare, nota 152; V. ANDRIOLI, Commento del codice di procedura civile, cit., p. 814.
390 N. IRTI, Teoria generale del diritto e problema del mercato, in L’ordine giuridico del mercato, III edizione, Bari, 2004, p. 72, l’autore afferma che: “Norma e giudizio si tengono per reciproca e logica implicazione: l’una è sempre criterio di decisione del caso concreto (il quale è ridotto e classificato in uno schema tipico); l’altro non può concepirsi senza una stregua valutativa”.
sussistente, in capo agli arbitri, un obbligo di ben giudicare. Il giudice, infatti, trae il criterio di risoluzione del caso a lui prospettato dal generale sistema di proposizioni normative, predisposto dal legislatore391: la decisione, pur dovendo rispondere a criteri tecnici che individuano le possibili alternative da seguire, richiede pur sempre una scelta di volontà392. Pertanto, la rispondenza per danni non si misura sulla correttezza della decisione; bensì sulla negligenza della condotta, che ha condotto gli arbitri alla decisione medesima.
6. Condizioni di esercizio dell’azione di responsabilità. Sanzioni.
Le previsioni contenute nel terzo e quarto comma, dell’art. 813-ter, c.p.c., sono poste allo scopo di disciplinare l’esercizio dell’azione di responsabilità, in modo tale che questa non possa essere utilizzata per finalità distorte o strumentali, quali ingiuste tecniche di pressione nei confronti degli arbitri393.
Da tali premesse, deriva la previsione secondo la quale solo un’azione basata sull’intervenuta decadenza dell’arbitro o sulla rinuncia ritenuta priva di giustificato motivo può essere proposta in pendenza del giudizio arbitrale394. La motivazione sottesa a tale disciplina è evidente: l’arbitro è, in ogni caso, già fuori dalla procedura, quindi l’azione non incide sul suo giudizio395.
In tutti gli altri casi, l’azione di responsabilità può essere proposta solo dopo l’intervenuto accoglimento dell’impugnazione e solo per i motivi per cui
391 Sul punto v. le brillanti riflessioni di M. PESCATORE, La logica del diritto, I, Torino, 1863, p. 48: “La forma del diritto è un regola certa: la sua ragione è quel processo logico, che pone un principio e ne deduce le conseguenze”.
392 S. MARULLO di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 205.
393 P. L. NELA, Le recenti riforme del processo civile, commentario diretto da Chiarloni, cit., p. 1687, secondo il quale, la limitazione di cui all’art. 813-ter c.p.c. “si giustifica con l’esigenza di evitare condizionamenti agli arbitri, di qualunque natura ed origine”; C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 270; G. BOZZI, Codice di procedura civile ipertestuale (Commentario con banca dati di giurisprudenza e legislazione), prima ristampa a cura di Comoglio e Vaccarella, Torino, 2006, p. 3046.
394 Così C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 270.
395 P. L. NELA, Le recenti riforme del processo civile, commentario diretto da Chiarloni, cit., p. 1687, l’autore precisa che “l’esclusione del caso previsto dal primo comma, n.1, pensato con riferimento all’arbitro decaduto o rinunciatario, risale al fatto che in questo caso l’arbitro contro cui l’azione di responsabilità è proposta ha cessato l’ufficio, e quindi l’azione non interferisce nel suo giudizio”.
l’impugnazione è stata accolta396. In altri termini, perché possa sorgere questione sulla responsabilità occorre che il lodo sia stato impugnato con successo, per quelle stesse ragioni che fondano l’asserita responsabilità degli arbitri397. E’ necessario, altresì, che la sentenza sia anche passata in giudicato398.
Con riferimento all’entità del risarcimento, il legislatore si è preoccupato di individuare dei limiti entro i quali gli arbitri possono essere condannati, qualora la violazione non si basasse sul dolo399. Si ritiene che tale previsione sia dovuta al fatto che, al contrario di quanto avviene per i magistrati, per i quali è lo Stato a rispondere della condanna, qui l’arbitro ne risponde personalmente400.
Il sesto comma dell’art. 813-ter c.p.c. stabilisce che qualora venga accertata la responsabilità dell’arbitro, il corrispettivo e il rimborso delle spese non gli sono dovuti per intero o in proporzione alla eventuale dichiarata nullità parziale del lodo402. La generalizzazione di tale principio a tutte le ipotesi di responsabilità suscita nuovamente perplessità in chi, già prima della riforma, riteneva che il compenso “non è subordinato alla sorte del giudizio di impugnazione e va corrisposto come mero corrispettivo per
396 C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 270. 397 P. L. NELA, Le recenti riforme del processo civile, commentario diretto da Chiarloni, cit., p. 1687.
398 Cfr. sul punto le perplessità manifestate da G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 81, secondo il quale: “La ratio della disposizione è quella di evitare che, pendente l’impugnazione arbitrale, se ne possa compromettere l’iter, mettendo sotto processo l’arbitro o gli arbitri (espediente a cui la parte potrebbe fare ricorso quante volte avesse sentore che l’esito del giudizio potrebbe non esserle favorevole). Ma ciò giustifica che si attenda la conclusione del procedimento, non che si aspetti il passaggio in giudicato della decisione sulla impugnazione per nullità. Questa parte della disposizione si giustificherebbe se la norma fosse da intendere nel senso che la nullità del lodo non è in sé e per sé causativa di danno quando comunque i giudici statali hanno potuto decidere il merito della controversia, così correggendo gli errori degli arbitri”.
399 AA. VV., Dell’arbitrato, in Codice di procedura civile commentato, commentario diretto da Consolo, Milano, 2010, p. 1748.
400 A. BRIGUGLIO, La responsabilità dell’arbitro al bivio fra responsabilità professionale e responsabilità del giudice, cit., p. 59.
401 AA. VV., Dell’arbitrato, in Codice di procedura civile commentato, commentario diretto da Consolo, cit., p. 1748; C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 270; F. P. LUISO, Diritto processuale civile, IV edizione, IV, Milano, 2007, p. 392, F. AULETTA, Arbitri e responsabilità civile, cit., p. 757.
402 AA. VV., Arbitrato, ADR, conciliazione, diretto da M. RUBINO SAMMARTANO, Bologna, 2009, p. 784; P. L. NELA, Le recenti riforme del processo civile, commentario diretto da Chiarloni, cit., p. 1689.
l’opera svolta”403; il diritto al rimborso delle spese ed all’onorario, pertanto, sussisterebbe a prescindere dall’esito delle impugnazioni e la responsabilità dell’arbitro potrebbe, al più portare a compensazioni404.
403 G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 142.
404 G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 82, l’autore precisa che: “Non bisogna, poi, confondere il problema della responsabilità con quello del diritto al compenso. Secondo l’art. 814 gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese e all’onorario “per l’opera prestata”, e quindi indipendentemente dall’esito delle impugnazioni proposte avverso il lodo. Piuttosto, una prestazione professionalmente non corretta può essere valutata ai fini della quantificazione dei compensi e, quando ci sia responsabilità degli arbitri, può portare a compensazioni”.
405 G. RAMPAZZI, in AA. VV., Commentario al codice di procedura civile, diretto da CARPI- TARUFFO, Padova, 2009, p. 2528.