CAPITOLO VII
CAPITOLO VII
Concorrenza
SOMMARIO: 1. Nozione. – 2. Quadro generale. – 3. La tutela amministrativa della concorrenza: il cd. public enforcement. – 3.1. Procedimento amministrativo e potere democratico. – 3.2. Rap- porto amministrativo e diritto di difesa. – 3.3. Difesa procedimentale e funzione giusdicente.
– 3.4. Difesa preventiva e discrezionalità tecnica: un binomio inscindibile. – 3.5. Contraddit- torio, materia penale e funzione punitiva. – 3.5.1. Gli spazi di ulteriore potenziamento della tutela giurisdizionale. – 3.6. La matrice punitiva delle sanzioni rafforza la natura piena della giustizia procedimentale. – 3.6.1. Necessità di una connotazione quasi judicial del procedi- mento sanzionatorio. – 3.7. Violazione dei diritti di difesa e invalidità del provvedimento nella stagione del giudizio sul rapporto. – 4. Il private enforcement. – 4.1. Il rapporto di comple- mentarietà con il public enforcement. – 4.2. La necessità di fare acquisire ai soggetti lesi una maggiore consapevolezza delle potenzialità del private enforcement. – 4.3. La difficile coo- perazione tra le autorità nazionali di concorrenza e le Corti. – 4.4. La possibilità per il giudice di chiedere assistenza all’Autorità nella quantificazione del danno. – 4.5. Efficacia vincolante delle decisioni dell’Autorità divenute definitive (articolo7 comma 1). – 5. Conclusioni.
1. Nozione
La tutela della concorrenza (Antitrust) è assicurata dal Trattato comunitario, dal diritto comunitario derivato e dalle leggi nazionali. La concorrenza è presuppo- sto della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost.
Dette leggi mirano a garantire che le imprese si astengano dal porre in essere restrizioni artificiali al libero funzionamento del mercato. In particolare, sono vietati gli accordi tra le imprese che restringono la concorrenza, l’abuso del pote- re dominante da parte di imprese egemoni (abusi volti a escludere i concorrenti: abusi escludenti; o a esercitare un eccessivo potere a svantaggio dei consumatori o a danneggiare gli attori deboli: abusi di sfruttamento); in quanto le concen- trazioni tra imprese dannose per acquirenti e consumatori volte a innescare un eccessivo incremento del potere di mercato. Il diritto antitrust è uno strumento che consente ai protagonisti del processo produttivo - imprese e consumatori
- di agire in condizioni di uguaglianza, realizzando il massimo benessere e la massima utilità, in termini di riduzione di costi, di differenziazione dei prodotti, di migliore allocazione delle risorse. Si mira cioè a un regime competitivo che
Fine generale perseguito
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consenta il massimo accesso al mercato di nuovi competitori, in esplicazione della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost e l’affermazione degli agenti più virtuosi e capaci.
Le leggi americane di
fine ’800
Il modello europeo
Non legge delle imprese ma del mercato
Le prime leggi sono state varate in Canada nel 1889 e negli Stati Uniti nel 1890 con lo Sherman Antitrust Act (Xxxxxxx era un senatore dell’Ohio), poi entrata in vigore concretamente nel 1911.
La tradizione americana ha influenzato profondamente l’Europa. Nel secondo dopo- guerra furono varate legislazioni anti-monopolistiche nei principali Paesi industrializza- ti: in Gemania e Gran Bretagna nel 1948, in Spagna nel 1963, in Francia con una legge riformata nel 1986.
Fu così che nel Trattato di Roma del 1957 furono disciplinate le fattispecie di intesa restrittiva e di abuso di posizione dominante (articoli 101 e seguenti) e, successivamente, con regolamento n. 4064/1989, le concentrazioni.
La normativa europea recata nel Trattato istitutivo del 1957, confermata dopo Li- sbona, ha avuto inizialmente l’obiettivo del rafforzamento del mercato europeo, per poi integrarsi anche con una spiccata dimensione di protezione dei consumatori.
La normativa di protezione della concorrenza, come ribadito a più riprese dalla giurisprudenza europea e nazionale, non è la legge degli imprenditori (qua- le invece è la normativa civilistica sulla concorrenza sleale), ma le legge del mer- cato, in tutte le sue componenti. È una normativa rivolta, cioè, a tutti i soggetti del mercato, ossia a tutti coloro che hanno interesse alla conservazione di un mercato competitivo e conteso. A sostegno della considerazione milita il rilievo che un funzionamento corretto del mercato produce effetti benefici non solo per gli imprenditori virtuosi non sottoposti alla tagliola di barriere d’ingresso e di condotte abusive e discriminatorie, ma anche per i consumatori che ottengono un miglioramento quantitativo, qualitativo ed economico in caso di prodotti e servizi forniti da imprenditori che operino secondo logiche competitive e non siano indotte dal monopolio o dall’oligopolio patologico a pratiche di predatory pricing e di indifferenza al benessere del consumatore. Per non dire dell’interes- se pubblico allo sviluppo dell’economia e del benessere innescato dall’effetto espansionistico di un mercato competitivo.
Per questa ragione anche i consumatori sono legittimati a rivolgersi al giu- dice ordinario per il danno da comportamenti e intese violativi della norma- tiva antitrust1 e a contestare anche attraverso gli organismi associativi, atti, omissioni e comportamenti dell’Autorità che non ne proteggano adeguata- mente le ragioni.
Va aggiunto che il diritto antitrust non è posto a tutela del diritto oggetti- vo di iniziativa economica ma anche, in modo diretto, degli interessi soggettivi dei singoli operatori. Per questa ragione le imprese lese da un provvedimento
1 Cass., sezioni unite 2207/2005.
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xxxxxxxxxxx e non adeguato sul piano sanzionatorio dell’autorità possono agire davanti al giudice amministrativo per fare valere la violazione della loro sfera di interesse.
Il carattere primario del valore concorrenziale è alla base della sua qualifica- zione come materia trasversale di competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 1, lettera e), Cost. e della prevista legittimazione dell’Autorità Antitrust a impugnare, ex art. 21, comma 1-bis, della legge 287/1990, i provvedimenti di altre amministrazioni lesivi degli interessi relativi alla concorrenza e del merca- to, in relazione alla ritenuta inopportunità della delega completa della protezione di tali beni essenziali all’iniziativa dei singoli consociati.
2. Quadro generale
Sul piano europeo, come detto, gli articoli 101 e 102 del Trattato vietano, rispet- tivamente, le intese anti-concorrenziali e l’abuso di posizione dominante.
Sul piano interno la legge 10 ottobre 1990, n. 287 contiene norme dal con- tenuto analogo che recano divieti assimilabili a quelli comunitari, per la tutela nazionale della concorrenza e del mercato.
Il rapporto tra le due normative è definito dall’articolo 1 della legge 287, secon- do cui la legge nazionale si amplia a intese e abusi che incidono sul territorio statale (con conseguente radicarsi della competenza dell’Autorità Antitrust ossia l’autorità garante della concorrenza e del mercato), mentre la disciplina europea si applica a comportamenti che incidono nel territorio europeo, valicando confini nazionali (con competenza delle autorità europee e, soprattutto, della Commissione europea). Sul versante nazionale, il public enforcement è assicurato da provvedimenti sanzionatori dell’Autorità Antitrust, impugnabili davanti al giudice amministra- tivo in sede di giurisdizione esclusiva (articolo 133, comma 1, lettera L, c.p.a.). Sono vietate e sanzionate dagli atti dell’Autorità nazionale le seguenti condotte:
a) le intese restrittive della concorrenza (articolo 2), da distinguere tra “intese per oggetto” e “intese per effetto”, a seconda che esse abbiano un oggetto di per sé vietato o che sia necessario verificare in concreto gli effetti causati nel mercato;
b) le pratiche concordate (articolo 2), che si distinguono dagli accordi in quanto si realizza in esse una forma di coordinamento fra imprese senza arrivare all’at- tuazione di un accordo, in modo da sostituire una consapevole collaborazione ai rischi della concorrenza;
c) l’abuso di posizione dominante (articolo 3), ossia lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante nel mercato interno, al fine di realizzare profitti sovra-competitivi (abuso di sfruttamento) o l’estromissione dei concorrenti, con l’aumento dei costi di ingresso sul mercato o la preclusione di sbocchi e approv- vigionamenti con intenti monopolistici (abusi di esclusione).
L’Autorità gode di un’ampia discrezionalità tecnica nell’individuazione degli elementi costitutivi degli illeciti, caratterizzati dall’applicazione di norme in-
Art. 117, comma 1, lett. e), Cost. e art. 21-bis L. 287/1990
Rapporto
tra normativa nazionale
ed europea
Public enforcement
Le condotte sanzionate
Ampia discreziona- lità spettante all’Autorità
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Private enforcement
Il potere trasparente è democratico
complete di carattere specialistico. Spiccata si presenta questa discrezionalità anche nella verifica del mercato rilevante (ossia l’ambito merceologico e terri- toriale nel quale si manifesta in modo lesivo e dannoso la condotta incriminata), che nell’intesa è successiva alla verifica dell’accordo, mentre nell’abuso è uno dei presupposti dell’infrazione.
I provvedimenti amministrativi dell’Autorità sono impugnabili innanzi al giudi- ce amministrativo esclusivo (articolo 133, comma, 1 lettera L) che ha giurisdizione di merito ai fini della misura della sanzione pecuniaria (articoli 000 xxx, xx combi- nazione con gli artt. 31 della legge n. 287/1990 e 11 della legge n. 689/1981).
I singoli privati danneggiati da condotte illegittime possono agire davanti al giu- dice ordinario per ottenere tutela risarcitoria o specifica. Ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 3/2017 il giudice ordinario è tuttavia vincolato dal definitivo ac- certamento operato dall’Autorità con provvedimento non impugnato o confermato dal giudice amministrativo. Al giudice ordinario compete anche la giurisdizione sulla nullità delle intese antitrust (art.33, legge n. 287/1990, che stabilisce la compe- tenza, sia per il risarcimento che per la nullità, del Tribunale competente per territo- rio presso cui è istituita la sezione specializzata di cui all’art. 1, D.Lgs. n. 168/2003).
Vedi, sul punto, parr. 4 e seguenti.
3. La tutela amministrativa della concorrenza: il cd. public enforcement
Tanto detto in merito ai profili generali della materia e al quadro normativo di riferimento, si passerà ora ad esaminare la disciplina della tutela pubblicistica (public enforcement) della concorrenza attraverso i poteri amministrativi eserci- tati dall’Autorità per la Tutela della Concorrenza e del Mercato e il conseguente sindacato del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
In seguito si affronterà la tutela civilistica dei valori concorrenziali, assicurata davanti al giudice civile attraverso il cd. private enforcement.
3.1. Procedimento amministrativo e potere democratico
Parlare di potere amministrativo significa parlare, essenzialmente di procedimento.
È noto l’insegnamento di Xxxxxxxx Xxxxxx secondo cui un potere trasparente è solo per questo democratico, mentre un potere invisibile è solo per questo autoritario. Un’at- tività amministrativa ispirata al principio di controllabilità è espressione di un public power vicino al cittadino, come tale democraticamente legittimo e legittimato. Si può dire, con Xxxxxxx, che la lingua del potere, troppo spesso abituata a nascondere, deve invece spiegare al cittadino il significato del suo dipanarsi; e, con Xxxxxxx Xxxxxx, che la chiarezza è la premessa indispensabile dell’onestà. Il diritto deve essere al servizio dei cittadini, strumento del mestiere del vivere, luogo dell’uomo, non sfera riservata a un potere impenenetrabile e autoreferenziale (RODOTÀ).
Fattore essenziale della trasparency è la democrazia procedimentale, ossia l’elabora-
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zione di un procedimento che ripudi i canoni ottocenteschi di imperscrutabilità e segre- tezza, per consentire ai soggetti interessati, a titolo pretensivo e oppositivo, di prendere parte alla procedura fornendo i propri apporti e facendo valere i propri punti di vista.
Solo un potere procedimentalizzato è, quindi, un potere democratico.
Il procedimento presenta così una dimensione bi-funzionale, di garanzia dei diritti e degli interessi dei cittadini da un lato; di regolazione, dall’altro, del potere al fine di garantire l’efficacia e l’effettività dell’azione amministrativa2. Cosicché si è verificata, nei rapporti cittadino-Stato, “una vera e propria rivoluzione copernicana, portando a considerare il rapporto governanti-governati non più ex parte principis, bensì ex parte populi, cioè dal punto di vista dei singoli che di essa debbono avvantaggiarsi, cioè nell’ottica del cittadino cui dovrebbero sempre essere riconosciute pretese a titolo indi- viduale nei confronti dello Stato-amministrazione”3.
Ulteriore impulso alla centralità del procedimento è la spinta a una unificazione eu- ropea secondo “model rules” uniforms.
3.2. Rapporto amministrativo e diritto di difesa
Alla tradizionale nozione formale di procedimento come fattispecie a formazio- ne progressiva si affianca così la c.d. concezione funzionale del procedimento, la quale, ridimensionando l’importanza del provvedimento amministrativo propria di una superata visione atto-centrica del pouvoir administratif, valorizza il ruolo della procedure quale modalità di esercizio del potere pubblico, ossia forma del- la funzione amministrativa aperta alla partecipazione del privato e sensibile alla sirene della condivisione. La proceduralizzazione della potestà di cura concreta degli interessi pubblici rappresenta fattore di coordinamento e composizione di opposti interessi pubblici e privati, in un quadro relazionale imperniato sul con- cetto di rapporto giuridico amministrativo.
Se, per usare una metafora, il potere (in astratto) è una fonte che sprigiona energia giuridica, quest’ultima viene incanalata e guidata in sequenze procedi- mentali tipiche.
Il procedimento, “storia causale dell’atto”, è “la manifestazione sensibile del- la funzione”, la forma esterna del potere colta nel suo momento dinamico.
Si è parlato, con qualche dose di retorica, di eclissi dell’atto amministrativo, per evidenziare, in modo plastico, che il vero luogo di esercizio del potere è il procedimento amministrativo, ossia il potere nel suo farsi, mentre il provvedi- mento degrada a mero riepilogo statico delle valutazioni e delle acquisizioni già operate nel corso dell’iter procedimentale.
Il procedimento assolve, in questo quadro, a una pluralità di funzioni, tra le quali spiccano quelle di consentire il controllo del giudice sull’esercizio del pote-
La dimensione bi-funzionale del procedi- mento
Le model rules
Il procedimento è la forma dinamica
del potere
2 Cosi X. XXXXXXXXXX, Il cittadino e la trasformazione dello Stato, in Economia e diritto del terzia- rio, 1990, n. 3.
3 X. XXXXXXXXXX, ivi.
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re - sulla base di una legalità procedurale, che si affianca a quella sostanziale - di assicurare il coordinamento tra amministrazioni, di dar voce a tutti gli interessi incisi direttamente o indirettamente dal provvedimento e di garantire il confronto secondo gli schemi di diritto naturale dell’audi et alteram partem e del model- lo anglosassone del due process of law, assicurando un contraddittorio verticale (rapporto tra p.a. e destinatario del potere) e orizzontale (rapporto tra P.A. e due o più privati portatori di interessi contrapposti), paritario e non paritario4.
Più in radice, il procedimento funge da fonte di legittimazione del potere e di promozione della democraticità dell’ordinamento amministrativo. Si è osserva- to in dottrina, a proposito degli implied powers delle autorità indipendenti, che la ferita alla legalità sostanziale è lenita dal rafforzamento del canone di legalità procedurale. Il procedimento, aperto alla partecipazione di tutti i soggetti inte- ressati secondo il modello del notice and comment, diventa allora la sede nella quale si procede a individuare e precisare la regola per il caso concreto – che la legge lascia in qualche modo indeterminata – da porre come contenuto del prov- vedimento. La democrazia procedimentale completa così, anche se non soppian- ta, la democrazia rappresentativa, in quanto il vincolo procedurale integra il comando della norma legislativa.
Condivisione del potere e nuova nozione di interesse legittimo
In questo quadro, la procedimentalizzazione e la condivisione del potere am- ministrativo esaltano il nuovo concetto relazionale del potere pubblicistico e dell’interesse legittimo che vi si contrappone. L’interesse legittimo è oggi inteso come situazione direttamente tutelata nella cui architettura assume un rilievo centrale il bene della vita da conseguire (interesse legittimo pretensivo) o da difendere (interesse legittimo oppositivo). Si tratta, per la precisione, di una po- sizione che si sostanzia in un coacervo di poteri e facoltà volti a condizionare, in sede procedimentale prima ancora che processuale, il potere amministrativo, al fine di consentire il conseguimento o di assicurare la difesa di un bene della vita. È, quindi, una posizione sostanziale, equiparata dalla Costituzione al diritto soggettivo (art. 24), che va traguardata non più solo e tanto nella prospettiva dei poteri attribuiti agli apparati pubblici, ma dall’angolo visuale dei diritti di libertà
del cittadino5.
La norma che disciplina il potere amministrativo, lungi dall’essere finalizzata al solo interesse pubblico, assolve alla doppia ed equiordinata funzione di tutela- re l’interesse pubblico (così da consentirne la cura in concreto da parte dell’am- ministrazione, anche a costo del sacrificio di interessi privati) e di proteggere l’interesse del privato (che mira ad acquistare o conservare un’utilità finale o
4 È paritario nei procedimenti i concorsuali, per esempio; è non paritario nei procedimenti sanzio- natori, nel senso che il denunciante non gode di una tutela identica a quella garantita al soggetto esposto al rischio della sanzione. In questo secondo caso il contraddittorio orizzontale non è pa- ritetico.
5 Così, X. XXXXXXX, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2017, 131.
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bene della vita). L’interesse pubblico non assorbe quello privato, né quest’ultimo il primo.
L’interesse legittimo, assimilabile ad un diritto pubblico soggettivo, è allo- ra tassello di un mosaico imperniato su una relazione giuridica intersoggettiva, qualificabile come rapporto giuridico amministrativo, in cui si fronteggiano il potere pubblico di cura dell’interesse pubblico (descrittivamente equiparabile a un diritto potestativo, in ragione della possibilità di modificare unilateralmente l’altrui sfera giuridica) e la libertà del titolare dell’interesse legittimo di scegliere le forme procedimentali, oltre che processuali, di tutela del suo interesse indivi- duale. Si supera, in tal guisa, l’idea di un diritto amministrativo come strumento del potere volto a regolare una “macchina dell’obbedienza” e si abbraccia un approccio democratico al problema del public power.
In questa prospettiva, l’interesse legittimo ingloba una dimensione passiva (situazio- ne di soggezione, rispetto a una produzione di effetti) e una dimensione attiva (pretesa, principalmente azionabile con facoltà procedimentali, a un esercizio corretto del potere ai fini della tutela del bene della vita).
Se il potere amministrativo è essenzialmente procedimentale e relazionale, la difesa dell’interesse legittimo si sostanzia principalmente nell’esercizio delle pretese parteci- pative o diritti difensivi- evincibili dai principi costituzionali ed europei e regolati dalla legge n. 241/1990 e dalle normative di settore, qualificabili come tecniche di tutela pre- ventiva volte a evitare l’adozione di un provvedimento lesivo o a limitarne la portata pregiudizievole. I diritti di partecipazione - quali, in materia antitrust, quelli alla comu- nicazione dell’avvio dell’istruttoria, alla puntuale contestazione degli addebiti, alla co- municazione delle risultanze dell’istruttoria, all’audizione, all’accesso, alla produzione di memorie e documenti e all’esame dei contributi procedimentali - pur non essendo posizioni sostanziali autonome rispetto all’interesse legittimo, garantiscono una tutela ante causam del bene della vita, per definizione più effettiva e satisfattoria rispetto alla reazione patologica in sede processuale a fronte dell’avvenuta adozione del provvedi- mento lesivo.
3.3. Difesa procedimentale e funzione giusdicente
La centralità del momento procedimentale di difesa dei beni della vita sottoposti alla clava del potere amministrativo assume un significato speciale per l’Au- torità Garante della Concorrenza e del Mercato e, in generale, per le autorità indipendenti.
Dette autorità sono il frutto della fuga dall’amministrazione centrale di tipo tradi- zionale. La creazione di organismi caratterizzati dalla sottrazione all’indirizzo politico governativo e dall’equidistanza rispetto agli interessi privati ha consentito all’Italia di adeguarsi, solo negli ultimi trent’anni, a esigenze di modernizzazione e di garanzia che, già alla fine del XIX secolo (l’Interstate Commerce Commission del 1887), avevano
Dimensione attiva e passiva dell’interesse legittimo
Il ruolo
delle Autorità Indipendenti
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portato, negli Stati Uniti, alla nascita di organismi e boards indipendenti, dotati di poteri quasi giudiziali (indipendent regulatory agencies).
Le peculiarità funzionale e strutturali delle Autorità Indipendenti
La funzione giusdicente
Neutralità, non solo imparzialità
È noto che le autorità indipendenti danno vita a un mondo vario, che sfugge a ogni tentativo di definizione unitaria. Si è parlato, in modo plastico, di arcipe- lago, a significare le corpose diversità tra singole authorities quanto a tasso di indipendenza, ambito di operatività, tipologie di funzioni, latitudine dei poteri.
Un duplice tratto unificante è tuttavia ravvisabile nelle peculiari e immanca- bili incarnazioni di questo modello amministrativo di derivazione anglosassone: il profilo soggettivo dell’indipendenza dal potere politico e dall’apparato gover- nativo; l’aspetto oggettivo di una funzione neutrale, caratterizzata dall’esercizio di discrezionalità tecnica.
Soffermandosi su quest’ultimo aspetto, è utile osservare che le funzioni autoritative delle Autorità si affrancano dalle tradizionali categorie ammi- nistrativistiche. Infatti, il Garante esplica una funzione giusdicente sostan- zialmente paragiurisdizionale, di garanzia dell’applicazione della legge nel settore di riferimento, dettando le regole (in applicazione delle norme prima- rie), risolvendo i conflitti, vigi lando sugli operatori e sanzionando le inosser- vanze. La funzione giusdicente, in quanto più estesa rispetto a quella schiet- tamente giurisdizionale, si concreta in un concetto ampio di attuazione della legge, comprensivo del regolare (in applicazione della norma primaria) e del decidere. Le Autorità non sono, cioè, chiamate alla cura, con scelte di valore amministrativamente discrezionali, di interessi pubblici di loro pertinenza, ma dirimono, in via preventiva, potenziali conflitti tra interessi collettivi, dif- fusi, categoriali e individuali, stabilendo le regole di disciplina di settore, per poi eventualmente ricorrere all’utilizzo di poteri correttivi e sanzionatori, ido- nei a ricondurre l’attività dei singoli e dei gruppi nei binari della correttezza e della legalità.
L’emancipazione dal concetto costituzionale classico di pubblica ammini- strazione, con il varo di amministrazioni non soggette al potere esecutivo ma solo alla legge, risulta addirittura palpabile: buona parte delle funzioni delle in- dependent commissions, pur se autoritative, lungi dal concretarsi nella pondera- zione comparativa degli interessi pubblici e privati, si incentra, infatti, nell’ap- plicazione della legge, ancorché essa non consista nella meccanica traduzione della volontà astratta del Legislatore, ma nella valutazione dei presupposti della fattispecie astratta, in base ai precetti tecnici richiamati dal Legislatore e suscet- tibili di vario apprezzamento.
Non si può, allora, non concordare con quanti hanno autorevolmente sotto- lineato che la particolare posizione di indipendenza delle Autorità le rende del tutto eccentriche rispetto al paradigma costituzionale, grazie all’ispirazione di detta funzione tutoria al modello della neutralità più che al classico principio di imparzialità cristallizzato dall’art. 97 della Carta fondamentale.
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I due termini, pur se simili e spesso adoperati in modo promiscuo, sono indi- cativi di concetti diversi.
L’‘imparzialità’ esprime l’esigenza che l’amministrazione, agendo per il per- seguimento dell’interesse pubblico primario che costituisce il dato teleologico di fondo, si comporti nei confronti dei destinatari dell’agere amministrativo senza innescare discriminazioni arbitrarie. Il canone costituzionale di lealtà ed equità comportamentale impone, cioè, che l’operatore pubblico, a patto di non scanto- nare dalla stella polare dell’ottimale perseguimento dell’interesse pubblico, si comporti equamente nell’apprezzamento degli altri interessi, pubblici e privati, in gioco, evitando sacrifici non imposti dall’interesse pubblico primario medesi- mo. L’imparzialità non significa, perciò, disinteresse e indifferenza, bensì equità di condotta, sulla premessa del carattere interessato dell’azione amministrativa, volta alla cura di interessi pubblici concreti. La ‘neutralità’, per converso, in- dica, come accennato, indifferenza dell’Amministrazione indipendente rispetto ai protagonisti degli interessi confliggenti da comporre, il suo essere terza e, quindi, giusdicente nell’agone in cui si scontrano i protagonisti del “giuoco” da regolare. Di qui, la veste di arbitro o, in certi settori, di magistrato economico, non condizionato politicamente da un vincolo di preferenza nella regolazione degli interessi, tutti sullo stesso piano, ivi compresi quelli pubblici, rispetto all’e- sigenza cogente del rispetto della legge.
Il pensiero di Xxxxxxxx Xxxxxxxx, al quale si deve l’analisi forse più compiuta del pouvoir neutre modèrateur, ha da tempo messo in luce che non tutti gli apparati pubblici devono mantenere un collegamento stretto con il circuito politico amministrativo che risente spesso delle logiche di breve periodo dei cicli elettorali, in quanto la gestione di diritti fondamentali e la regolazione di mercati nevralgici richiedono una rafforzata au- tonomia di giudizio. Di qui la necessità di battezzare agenzie indipendenti per assicurare il keeping out of politics e, quindi, un riparo efficace dalla corruzione e dalle frodi grazie a processi decisionali fondati sull’esperienza tecnica e sulla neutralità6. Il primato della tecnica neutrale di soluzione dei problemi sociali è ben messo in evidenza dal motto “there is not a democrat or republican way to pave a road”. Le pulsioni politiche e le passioni partigiane rischiano di compromettere il primato della tecnica e il bisogno della buona amministrazione. Non è un caso se l’Interstate Commerce Commission del 1887 fu denominata the poor man’s court.
Se l’azione delle autorità assume un significato paragiurisdizionale, non può che attribuirsi un significato particolare alla partecipazione a vario titolo dei privati interessati e, soprattutto, alle istanze difensive del soggetto che rischia di essere inciso negativamente all’esito della procedura. Nell’azione delle au- torità indipendenti si invera la nota osservazione di Xxxxxx secondo cui due sole
Pouvoir neutre moderateur
6 Xxxx X. XXXXXXX in G.P. XXXXXXX - X. XXXXXXX (a cura di), Le autorità amministrative indipendenti,
in Trattato di diritto amministrativo (a cura di X. XXXXXXXXXXX), Padova, 2010, 4.
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sono le funzioni di base dello Stato: la creazione e l’applicazione delle norme7. Il principio di separazione dei poteri si affievolisce in quanto anche le autori- tà di garanzia, come i giudici, sono chiamate a un’applicazione neutrale della legge attraverso un procedimento sostanzialmente giurisdizionale che, secon- do meccanismi più incisivi e rigorosi di quelli dipinti dalla legge 241/90, deve coinvolgere come protagonisti i soggetti nella cui sfera giuridica sono destinati a operare i risultati dell’azione giustiziale. Riprendendo le considerazioni svolte in precedenza sul valore democratico della partecipazione procedimentale, si può aggiungere che questo fattore di compensazione democratica assume par- ticolare rilievo per le Authorities, estranee, per la loro peculiare collocazione istituzionale e per l’essenza della funzione assolta, al circuito democratico rap- presentativo basato sull’indiretta investitura elettorale di cui all’articolo 95 della Carta Fondamentale. L’intervento attivo dei soggetti interessati nello svolgersi dinamico della funzione diventa, infatti, il fattore di vera legittimazione del pu- blic power: legittimazione che proviene dal basso, e non dall’alto, poiché non è il popolo sovrano che opera secondo un sistema di rappresentanza a riconoscere l’autorità, ma lo fanno i privati e gli operatoti a vario titolo coinvolti dall’azione amministrativa8.
L’assenza della ponderazione di interessi
3.4. Difesa preventiva e discrezionalità tecnica: un binomio inscindibile
L’importanza della difesa procedimentale brilla di una luce ancora più intensa se consideriamo che l’azione dell’autorità antitrust, nel quadro generale delle autorità indipendenti, è caratterizzata da una rincarata discrezionalità tecnica finalizzata all’applicazione della norma, con la soluzione dei problemi che si pongono per la decodificazione e l’attuazione di “leges artis” che si atteggiano a concetti giuridici indeterminati.
È noto che il giudizio di discrezionalità tecnica inerisce a una “disciplina non esatta”, caratterizzata dalla possibile, fisiologica opinabilità del risultato. Si trat- ta di una valutazione distinta dalla discrezionalità amministrativa: “malgrado il carattere fortemente valutativo che possiedono siffatti giudizi, essi rimangono nell’ambito dell’apprezzamento tecnico, e non debordano nella potestà discre- zionale: abbiamo sempre dei giudizi tecnici, giuridicamente distinti dai giudizi di opportunità e dal momento decisionale” (M.S. XXXXXXXX).
La discrezionalità tecnica è caratterizzata dal perimetro dell’unicità dell’in- teresse: la valutazione dell’amministrazione secondo canoni scientifici e tecnici
7 X. XXXXXX, General theory of law and State, Harvard, 1945, 269 e segg.
8 Così Cons. Stato, commissione speciale, parere 1° aprile 2016, n. 855; 2 agosto 2016, n. 1767, sui poteri impliciti dell’ANAC alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, cfr. anche parere 14 settembre 2016, n. 1920, sul potere dell’ANAC di adottare un regolamento volto a disciplinare la procedura relativa all’emissione dei pareri di precontenzioso di cui all’articolo 211, comma 1, c.p.a.
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esclude la presa in considerazione e la comparazione con altri interessi in modo di individuare la soluzione più conveniente. La scelta di convenienza è già fatta a monte, dalla legge, e all’amministrazione resta solo di rilevare le cose e mo- dularvi adeguatamente l’intensità del proprio intervento specialistico. L’ammi- nistrazione preposta alla tutela dell’interesse primario regolato dalla legge non deve prendere in considerazione e calcolare gli altri interessi toccati, quale ne sia la natura o la meritevolezza, la convergenza o il conflitto. Non le compete, altrimenti il suo non sarebbe più un giudizio tecnico ma un esercizio di discre- zionalità amministrativa, quando la sua struttura organizzativa e le sue profes- sionalità non sono finalizzate a quello. Essa si deve muovere unidirezionalmente, come lungo una monorotaia, dove, una volta rilevata la situazione in fatto, deve contenersi a calibrare - in base a regole e cognizioni di scienze e arti - l’inten- sità e l’adeguatezza delle misure da assumere per intervenire in congrua cura dell’interesse affidatole. Non deve cioè uscire dalla monorotaia, deve valutare in concreto dove sensatamente arrivarvi per evitare che l’interesse affidatole sia compromesso o messo in pericolo. È fuori dal compito degli organi tecnici la comparazione e valutazione, diretta o indiretta – vale a dire, la commisurazione con altri interessi, pubblici o privati.
La particolarità delle “tecniche” da spendere in taluni di questi settori (si pensi ai provvedimenti finalizzati alla tutela di beni di interesse culturale o paesaggistico) è un marcato carattere di “scienza non esatta” o “non scienza in senso tecnico” delle co- noscenze specialistiche. Più in particolare, a usare una terminologia oggi in voga per quanto non universalmente condivisa, non si tratta di hard sciences dai dati sperimen- tali, oggettivamente quantificabili, controllabili e ripetibili com’è invece per la fisica, la chimica e altre scienze naturali o formali; ma di soft sciences, com’è appunto delle “discipline non esatte”. Mentre nel campo delle hard sciences l’opinabilità è per sua natura contenuta (anche se non si arriva all’assenza di opinabilità, come invece nel caso delle misurazioni da accertamento tecnico) e i risultati della valutazione sono conse- guenti e vincolanti, nel campo delle soft sciences l’opinabilità, anche ampia, rappresenta un’eventualità naturale e fisiologica e il risultato delle ricognizioni e delle valutazioni è normalmente discutibile.
Non basta: tra le stesse discipline non esatte ve ne sono alcune i cui risultati, ex post, possono offrire un’effettiva dimostrazione della bontà, o della non bontà, della valutazione tecnica a suo tempo compiuta (si pensi ai giudizi sanitari, agronomici, concorsuali, economici o anticoncorrenziali); e altre come per le discipline umani- stiche e le c.d. scienze sociali dov’è del tutto normale che, anche dopo, l’assunto seguito resti comunque non dimostrabile e oggettivamente non da tutti condivisibile nei risultati.
Questo elemento, che è nella natura delle cose e perciò insopprimibile, accentua la rammentata caratteristica di opinabilità – cioè di assenza di certezze oggettive e di sicurezze anticipate – della singola valutazione specialistica che in varia misura resta intrinseca a qualsivoglia valutazione tecnica: la quale valutazione permane dunque ine- vitabilmente soggettiva, personale e infine discutibile. Se non fosse così, quella stessa
Carattere di scienza non esatta
300 Concorrenza
valutazione non potrebbe esistere e tutto si ridurrebbe a stima dell’opportunità: il che proverebbe troppo.
Le soft sciences accentuano la centralità delle difesa
procedimentale
Il sindacato di ragionevolzza del giudice amminstrativo
La natura inesatta della scienza applicata e il margine di opinabilità insoppri- mibile del giudizio valutativo incidono sul tipo di sindacato giurisdizionale e, per l’effetto, sulla rilevanza della difesa procedimentale. È noto che la giurispru- denza ha abbandonato il criterio del sindacato meramente formale ed estrinseco sull’esercizio della discrezionalità tecnica ed è pervenuta, a partire dalla storica Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. n. 601, alla tesi della sua piena sindacabilità intrinseca secondo il parametro non del profano ma dello specialista, attraverso il pieno accesso al fatto e il completo controllo dell’attendibilità e della correttez- za della valutazione tecnica sul piano metodologico, operativo, procedimentale, teleologico e sostanziale. Nondimeno si salvaguarda, in ossequio al principio di separazione dei poteri e al corollario della riserva della funzione amministrativa, il margine di opinabilità della valutazione, vedendovi un’espressione del meri- to amministrativo e perciò considerandolo insindacabile perché non altrimenti sovrapponibile che da una diversa e opposta opinabilità. L’opinabilità è infatti, come si è detto, una fisiologica caratteristica delle alternative tecniche.
Resta invece sottoposto al sindacato pieno del giudice amministrativo il caso della valutazione tecnica che esuli dall’opinabilità. Questo superamento, occor- re precisare, dev’essere complessivo e non secondario rispetto al bene: occorre cioè che “la sommatoria delle lacune individuate risulti di tale pregnanza da compromettere nel suo complesso l’attendibilità del giudizio espresso dall’or- gano competente”9.
Qual è allora in concreto il limite di accettabilità dell’opinabilità?
La risposta va ricercata negli spazi del superamento logico di ogni plausibi- lità tecnica.
L’esame della giurisprudenza rileva che il sindacato giurisdizionale supera gli stessi margini dell’opinabilità mediante il riscontro del superamento dei pa- rametri generali di congruenza, proporzionalità e ragionevolezza: questi sono utilizzati per censurare un uso su basi tecniche del potere che in realtà fuoriesce dalle ragioni per cui il potere stesso è dato dalla legge; casi in cui l’opinabilità cessa di essere tale o di essere assistita dall’immunità ed entra nello spazio cor- rezionale del sindacato del giudice amministrativo. È fondamentale la ragione- volezza, che deriva da ratio, cioè rapporto, misura; e congruo da cum gruere, incontrare, corrispondere, allinearsi: in entrambi i casi si evoca un giusto e pro- porzionato rapporto tra due termini10.
9 Cons. Stato, VI, 30 giugno 2011, n. 3894; 13 settembre 2012, n. 4872.
10 V. ad es. Cons. Stato, VI, 3 luglio 2012, n. 3893, cit. sul sistema dei laghi di Mantova, che evi- denzia che la proporzionalità è “connessa alla ragionevolezza, e questa si specifica nel consegui- mento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta e sufficiente funzionalità dell’esercizio del potere di vincolo”; Cons. Stato, VI, 27 dicembre 2013, n. 6241, 3 luglio 2014, n. 3355, en-