LE NUOVE NORME SUL MERCATO DEL LAVORO
Indice
LE NUOVE NORME SUL MERCATO DEL LAVORO
MODULO 1 Elementi di diritto del lavoro
Unità 1
Il diritto del lavoro
Fonti sopranazionali e internazionali La Costituzione
I codici e le leggi speciali Le fonti contrattuali
Unità 2
Il contratto di lavoro subordinato
Il contratto di lavoro a tempo determinato e indeterminato Il contratto di lavoro full-time e part-time
Diritti e doveri dei lavoratori
Art. 18 Statuto dei lavoratori ex Legge 300/1970
MODULO 2 L’Evoluzione del Contratto di lavoro subordinato, il “JOBS ACT”
Unità 1
La legge delega n°183/2014 il “Contratto di lavoro a tutele crescenti” I licenziamenti individuali
I licenziamenti collettivi
Il contratto di ricollocazione
MODULO 3 La riforma delle tipologie contrattuali
Unità 1
Contratto a tempo determinato Apprendistato
Il lavoro somministrato Contratto di lavoro Part-time Lavoro intermittente
Lavoro a progetto Contratti per partite IVA
Contratti con lavoro accessorio Tirocinio Formativo
Distacco del lavoratore Contratto di rete
Unità 2
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Servizi e competenze territoriali in materia di lavoro
MODULO 1 ELEMENTI DI DIRITTO DEL LAVORO
Unità 1
IL DIRITTO DEL LAVORO
Il diritto del lavoro, può essere definito come l'insieme delle norme giuridiche che disciplinano il rapporto di lavoro, ossia la relazione giuridica intercorrente tra il prestatore ed il datore di lavoro.
Distinguiamo le fonti del diritto del lavoro in:
fonti sopranazionali ed internazionali
fonti legislative
fonti contrattuali
usi
LE FONTI SOPRANAZIONALI E INTERNAZIONALI
Si distinguono due livelli di produzione normativa:
1) il primo, relativo alla partecipazione dello Stato italiano alla Comunità internazionale degli Stati (es le convenzioni internazionali)
2) il secondo, afferente invece alla partecipazione dello Stato italiano alle Comunità economiche europee
Con riferimento al primo livello, oltre ai vari trattati internazionali stipulati anche dall'Italia, rivestono fondamentale importanza alcuni atti ad efficacia esterna emanati dall'O.I.L. (Organizzazione internazionale del lavoro), deputata a favorire il progresso delle classi lavoratrici nel mondo).
Con riferimento al secondo livello, va ricordato che, a differenza delle norme del diritto internazionale, quelle del diritto comunitario possono esplicare efficacia immediata e diretta all'interno degli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Tali norme sono quelle contenute:
nei regolamenti comunitari, che, ai sensi dell'art. 189 Trattato C.E.E., hanno portata generale applicandosi a tutto il territorio comunitario ed a tutti i soggetti giuridici comunitari;
nelle direttive comunitarie, che, a norma dell'art. 189 del Trattato istitutivo della C.E.E., vincolano lo Stato membro cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi.
LA COSTITUZIONE
l’art.1
"L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro".
l'art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità;
l'art. 3, che sancisce il principio dell'eguaglianza giuridica e, dunque, implicitamente, il divieto, per il legislatore, di discriminazione fra lavoratori (essendo il principio di eguaglianza non meramente formale, ma sostanziale, saranno chiaramente consentiti trattamenti differenziati in presenza di situazioni diverse);
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l'art. 4, che al comma I statuisce che "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro", tipico diritto sociale, ossia finalizzato all'eliminazione delle disuguaglianze sostanziali; e al comma II sancisce il dovere di svolgere un'attività o una funzione che
contribuiscano al progresso materiale o spirituale delle società, dovere non sanzionabile penalmente stante l'inammissibilità nel nostro ordinamento del lavoro coatto.
l'art. 35, che dispone che la Repubblica tutela il lavoro (in tutte le sue forme ed applicazioni), la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori, promuove gli accordi e le organizzazioni internazionali volti ad affermare i diritti dei lavoratori, riconosce la libertà di emigrazione;
l'art. 36, che enuncia il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata e sufficiente nonché il diritto irrinunciabile al riposo settimanale ed alle ferie, ponendo altresì il principio che la durata massima della giornata lavorativa deve essere stabilita con legge
l'art. 37, relativo al lavoro femminile ed al lavoro minorile, che stabilisce, tra l'altro, che alla donna lavoratrice spetta, a parità di lavoro, parità di retribuzione rispetto ai lavoratori maschi
l'art. 38, in cui è prefigurato l'intervento assistenziale nonché quello previdenziale a favore dei lavoratori subordinati "in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria"
l'art. 39, che tratta della libertà sindacale, del sindacato riconosciuto e del contratto collettivo
l'art. 40, a norma del quale "Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano".
I CODICI E LE LEGGI SPECIALI
Il Codice Civile libro V che reca l'intestazione "Del lavoro".
Le leggi speciali volte a tutelare il lavoratore, non solo in quanto contraente debole, ma anche nella sua qualità di soggetto che impegna la propria persona nel rapporto di lavoro, ricavandone un reddito che costituisce, nella maggior parte dei casi, la sua unica fonte di sostentamento.
LE FONTI CONTRATTUALI
Non tutta la disciplina relativa alla materia del lavoro è contenuta nel codice o nelle leggi integratrici o, ancora, nei decreti-legge e nei decreti legislativi emanati dal Governo.
Altra regolamentazione, che si aggiunge a quella generale, può essere rinvenuta:
nel Contratto Collettivo, ovvero il contratto stipulato tra il sindacato dei lavoratori e l'associazione sindacale degli imprenditori, a livello interconfederale, o di categoria, o aziendale, al fine di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro a cui dovranno uniformarsi i singoli contratti individuali;
e nel Contratto Individuale, consistente nell'accordo raggiunto direttamente tra singolo lavoratore e singolo datore.
Unità 2
IL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO
Sono lavoratori dipendenti (altrimenti detti lavoratori subordinati), i lavoratori occupati in una azienda alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro, tenuti a rispettare un orario di lavoro, in cambio di una retribuzione.
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Datore di lavoro può essere anche chi, a norma del codice civile, non è imprenditore commerciale: si pensi al caso del lavoro domestico (datore di lavoro persona fisica ), o a quello del portiere assunto da un condominio o a quello della segretaria assunta da un avvocato od un medico (datore di lavoro libero professionista).
DIRITTI E DOVERI DEI LAVORATORI
I principali diritti dei lavoratori sono:
La retribuzione: la Costituzione stabilisce che deve essere proporzionale alla quantità e qualità del lavoro e sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa;
orario di lavoro: la durata dell'orario normale di lavoro è fissata per legge in un massimo di 40 ore settimanali (tuttavia i CCNL possono prevedere una durata inferiore, ad esempio 38 ore). Le ore di lavoro effettuate in più fino al limite legale di 40 ore saranno considerate lavoro supplementare mentre quelle oltre le 40 ore saranno considerate straordinario. La durata massima della prestazione giornaliera, a seguito della nuova disciplina sull'orario di lavoro, entrata in vigore il 29 aprile 2003, non è più fissata esplicitamente come una volta. Tuttavia, dato che è stabilita la durata minima del riposo giornaliero (che deve essere di almeno 11 ore consecutive ogni 24 ore), si deduce che la prestazione giornaliera non può superare le 13 ore al giorno. Tale disciplina ha anche fissato la durata massima dell'orario di lavoro settimanale, che è stabilita dalla contrattazione collettiva e che, in ogni caso, non può superare la durata media di 48 ore settimanali, comprensive dello straordinario. Lo straordinario deve essere contenuto ed è subordinato all'attuazione di determinate procedure;
riposo settimanale: il lavoratore ha diritto, ogni sette giorni, ad un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive (in pratica dopo 6 giorni di lavoro vi è normalmente un giorno di riposo), di regola coincidente con la domenica, da cumulare con il riposo giornaliero (pari a 11 ore). A seguito di una modifica apportata dal legislatore, dal 25.06.2008 il riposo settimanale è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni (ciò significa che il datore di lavoro ha una maggiore flessibilità nella gestione dei tempi di lavoro, potendo organizzare turni che prevedono lavoro anche per più di 6 giorni consecutivi, purchè nell'ambito di 14 giorni di calendario vi siano 48 ore di riposo) ;
ferie e festività: sono stabilite dalla legge e dai CCNL. In ogni caso per legge a ciascun lavoratore deve essere garantito un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a 4 settimane. Tale periodo va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, entro il 31.12 dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione, salvo periodi di differimento più ampi previsti dalla contrattazione collettiva. I contratti collettivi possono stabilire periodi di ferie più lunghi. Il periodo minimo di quattro settimane, salvo casi particolari espressamente previsti (ad esempio, ferie residue per cessazione del rapporto di lavoro nel corso dell'anno oppure nei contratti di lavoro a tempo determinato di durata inferiore all'anno), non può essere monetizzato (ossia retribuito con un controvalore in cambio della rinuncia del lavoratore a fruire delle stesse) in quanto vige il principio dell'effettività del loro godimento per un reintegro delle energie psicofisiche del lavoratore. Normalmente le ferie vengono fissate ad inizio anno con la predisposizione del piano ferie che deve essere approvato dal datore di lavoro (in ogni caso la concessione delle ferie, che cercherà di tener conto delle esigenze del lavoratore contemperandole con quelle aziendali, rientra nel potere organizzativo del datore di lavoro);
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congedo matrimoniale: tutti i lavoratori dipendenti hanno diritto, in occasione di matrimonio avente validità civile, ad un congedo retribuito, la cui durata generalmente è stabilita in 15 giorni (di calendario). Il godimento di tale periodo di norma inizia in occasione del matrimonio. Il congedo spetta anche agli apprendisti. Ricordiamo che il licenziamento della lavoratrice per matrimonio (intendendosi per tale quello intimato nel
periodo che decorre dalla richiesta delle pubblicazioni fino ad un anno dopo l'avvenuta celebrazione) è nullo;
maternità/paternità: il Testo unico per la tutela ed il sostegno della maternità e paternità (D.Lgs. n. 151/2001) prevede varie forme di tutela in materia che vanno dal divieto, in via generale, di licenziamento della lavoratrice madre dall'inizio della gestazione fino al compimento di un anno del bambino (e, in certi casi, del padre lavoratore) alla garanzia di un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, di uno facoltativo a discrezione della lavoratrice, di una serie di permessi retribuiti e/o non retribuiti per l'assistenza e la cura del bambino (con particolare attenzione ai figli portatori di handicap). Una protezione analoga a quella prevista per la maternità naturale viene sancita in caso di adozione e di affidamento;
diritto allo studio: se un lavoratore segue corsi scolastici ha diritto ad effettuare turni e orari di lavoro particolari e godere di permessi per frequentare tali corsi;
malattie ed infortuni sul lavoro/malattie professionali: in caso di malattia o infortunio sul lavoro/malattie professionali viene garantita la conservazione del posto di lavoro per il tempo stabilito dai CCNL (cosiddetto periodo di comporto). Nel caso di malattia il lavoratore ha diritto a ricevere la retribuzione, o un'indennità, nella misura e per il tempo determinati dalla legge, con eventuale integrazione del datore di lavoro stabilita dai contratti collettivi. Vi sono, infatti, casi in cui l'onere retributivo è totalmente a carico del datore di lavoro (malattia non indennizzata dall'Inps), altri (ad esempio operai del settore industria) in cui l'Inps, a partire dal quarto giorno, eroga un'indennità di malattia, che viene generalmente integrata dal datore di lavoro in base a quanto previsto dai CCNL, fino ad un determinato importo, che può essere una quota o il 100% della normale retribuzione. Nel caso di infortunio o malattia professionale, i primi quattro giorni (comprensivi del giorno stesso di infortunio) sono retribuiti dal datore di lavoro, mentre a decorrere del quarto giorno successivo a quello in cui è accaduto l'infortunio/malattia professionale e sino alla guarigione clinica (in questo differenziandosi dall'indennità di malattia Inps che spetta fino ad un massimo di 180 giorni in un anno solare), a carico dell'INAIL (con eventuale integrazione da parte del datore di lavoro nella misura stabilita dalla legge o dai contratti collettivi);
sicurezza sul lavoro: il datore di lavoro deve attuare le misure necessarie a tutelare la salute e l'integrità fisica del lavoratore, nel rispetto di quanto previsto dal Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. n. 81/2008, integrato e corretto dal D.Lgs. n. 106/2009).
attività sindacale: il lavoratore ha diritto di aderire ad associazioni sindacali, di manifestare il proprio pensiero e di svolgere attività sindacale;
sciopero: è un diritto, la retribuzione viene sospesa durante il periodo di sciopero;
richiamo alle armi: per i lavoratori dipendenti che vengono richiamati alle armi è prevista la conservazione del posto di lavoro e la corresponsione di una indennità da parte dell'Inps (si ricorda che dal 2005 il servizio di leva obbligatorio è stato sospeso ed è stato sostituito con un servizio professionale e volontario);
parità uomo – donna: alla donna lavoratrice spettano gli stessi diritti che spettano al lavoratore uomo (su questo esiste un apposito codice delle pari opportunità tra uomo e donna, contenuto nel D.Lgs. del 11 aprile 2006, n. 198).
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L'attuale livello di garanzia dei lavoratori è frutto di un percorso che ha visto una graduale conquista di diritti. A tale percorso ha contribuito in maniera fondamentale la capacità dei
lavoratori di rappresentare collettivamente - attraverso la costituzione di sindacati - le proprie esigenze. I sindacati svolgono tuttora un ruolo fondamentale nel promuovere e tutelare gli interessi dei lavoratori, compito che realizzano attraverso la stipula dei contratti collettivi e con servizi di assistenza individuale ai lavoratori. Il ruolo fondamentale giocato dal sindacato trova riconoscimento anche nella Costituzione che stabilisce come in Italia l'organizzazione sindacale sia libera; questo significa che chiunque può aderire o meno a un'organizzazione sindacale e che qualsiasi organizzazione sindacale può agire per la tutela degli interessi dei lavoratori che l'hanno costituita.
Nella legislazione è possibile trovare conferma al percorso di affermazione dei diritti a cui si è accennato. La legge n. 300/70, nota come Statuto dei lavoratori, costituisce un punto di riferimento essenziale in quanto definisce il quadro generale delle tutele. Ad essa si affiancano altre norme di garanzia universale (es. legge sulla tutela del lavoro minorile, testo unico sulla maternità, testo unico sulla sicurezza sul lavoro ecc.) e molte altre di contenuto più specifico che regolamentano particolari aspetti inerenti il lavoro (es. norme sul collocamento, sull'orario di lavoro ecc.).
Per quanto riguarda i doveri del lavoratore è richiesta, nell’espletamento delle sue mansioni:
la diligenza a seconda dalla natura delle prestazioni da svolgere e consiste nell’osservare le direttive dell’imprenditore e dei propri superiori;
l’obbligo di fedeltà (Patto di non concorrenza): il dipendente non può trattare affari in concorrenza con il suo datore di lavoro, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e alla produzione aziendale, o farne uso in maniera da recare danno all’azienda stessa. In caso di violazione degli obblighi di diligenza e di fedeltà da parte del lavoratore, il datore di lavoro può comminargli sanzioni disciplinari, che vanno dalla multa alla sospensione dal lavoro fino al licenziamento. Ciò vale naturalmente solo finché quel determinato rapporto di lavoro continua. Nel momento in cui il rapporto viene a cessare, il divieto di concorrenza viene anch’esso meno e il dipendente è naturalmente libero di cercarsi un altro lavoro e di trovarlo presso la concorrenza. Xxxx è normale che ciò avvenga, soprattutto quando il lavoratore è in possesso di specializzazioni tali da far sì che le sue capacità e le sue conoscenze siano richieste soprattutto da aziende che operano nello stesso settore economico del precedente datore di lavoro.
Il datore di lavoro è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente tutti i collaboratori della stessa. Gli è riconosciuto un potere disciplinare .
Gli obblighi e i diritti del datore di lavoro sono speculari a quelli del lavoratore. Il principale obbligo del datore di lavoro consiste naturalmente nel corrispondere le retribuzioni dovute al lavoratore. L’imprenditore è tenuto a porre in essere tutte le misure che possano garantire l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. La legislazione relativa alla sicurezza del lavoro prevede una serie di misure e adempimenti che il datore di lavoro deve adottare a garanzia della sicurezza e della salute dei lavoratori. Il datore di lavoro deve inoltre provvedere al versamento delle contribuzioni relative alle forme di previdenza e assistenza previste obbligatoriamente dalla legge
ART. 18 STATUTO DEI LAVORATORI EX LEGGE 300/1970
si applica solo alle aziende con almeno 15 dipendenti e afferma che il licenziamento è valido solo se avviene per giusta causa o giustificato motivo.
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In assenza di questi presupposti, il lavoratore può fare ricorso.
Prima della Riforma del lavoro del 2012, il giudice - una volta riconosciuta l'illegittimità dell'atto di licenziamento - era obbligato ad ordinare la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e il risarcimento degli stipendi non percepiti, oltre che il mantenimento del medesimo posto che occupava prima del licenziamento. In alternativa, il dipendente poteva accettare un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultimo stipendio, o un'indennità crescente con l'anzianità di servizio.
La legge di riforma n. 92 del 2012 ( Legge Fornero) ha modificato il testo dell'articolo 18 distinguendo tra tre tipi di licenziamento: discriminatorio, disciplinare ed economico.
È discriminatorio il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa; dall'appartenenza ad un sindacato a dalla partecipazione a scioperi ed altre attività sindacali; dal sesso, dall'età, dall'appartenenza etnica o dall'orientamento sessuale.
In caso di licenziamento discriminatorio, come avveniva con la precedente normativa, l'atto viene dichiarato nullo ed applicata la sanzione massima:reintegrazione (o "reintegro") con risarcimento integrale (pari a tutte le mensilità perdute ed ai contributi non versati).
Le stesse regole si applicano in caso di licenziamento orale (cioè comunicato solo verbalmente), o quando il licenziamento è avvenuto in concomitanza col matrimonio, con la maternità o la paternità.
Il Licenziamento disciplinare è il licenziamento motivato dal comportamento del lavoratore. Può essere per "giusta causa" - cioè quando si verifica una circostanza così grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro - o per "giustificato motivo soggettivo", cioè in caso di notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore.
Il giudice può ritenere che non ci siano gli estremi per il licenziamento per due motivi: perché il fatto non sussiste; oppure perché il fatto può essere punito con una sanzione di altro tipo. Però può decidere se applicare, come sanzione, la reintegrazione con risarcimento limitato nel massimo di 12 mensilità, oppure il pagamento di un'indennità risarcitoria, tra le 12 e le 24 mensilità, senza versamento contributivo.
Il Licenziamento economico è quello motivato da "giustificato motivo oggettivo", cioè da ragioni inerenti "l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa". Ad esempio, quando una nuova modalità produttiva o una contrazione del mercato impongono all'azienda di ridurre il numero di addetti ad una certa mansione.
Se il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, può condannare l'azienda al pagamento di un'indennità risarcitoria in misura ridotta, da 12 a 24 mensilità, tenendo conto dell'anzianità del lavoratore e delle dimensioni dell'azienda stessa, oltre che del comportamento delle parti.
Se però ritiene che l'atto è "manifestamente infondato", applica la stessa disciplina della reintegrazione dovuta per il licenziamento disciplinare.
IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO E DETERMINATO
Il rapporto di lavoro dipendente può essere:
Tempo indeterminato, se nel contratto di lavoro stipulato non è previsto un termine di cessazione;
Tempo determinato o a termine, se il datore di lavoro e il lavoratore stabiliscono che il rapporto di lavoro duri fino ad una data stabilita.
IL CONTRATTO FULL TIME O PART TIME
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Con riferimento alle modalità temporale di svolgimento della prestazione di lavoro dipendente si parla di:
Lavoro "Full Time" cioè a Tempo Pieno: in esso la durata complessiva (giornaliera, settimanale o mensile) della prestazione lavorativa richiesta coincide con quella stabilita dal contratto collettivo nazionale relativo alla categoria di lavoratori considerata (ad esempio, 40 ore settimanali);
Lavoro “Part Time” cioè Tempo Parziale: in esso la durata complessiva (giornaliera, settimanale o mensile) della prestazione lavorativa richiesta è ridotta con quella stabilita dal contratto collettivo nazionale relativo alla categoria di lavoratori considerata (ed esempio, in un contratto part-time orizzontale al 50%, il lavoratore effettua 20 ore settimanali in luogo delle 40 ore previste per il tempo pieno). Il lavoro part-time può, inoltre, essere di tipo orizzontale (la prestazione avviene per un numero di giornate mensili pari a quello dei lavoratori cosiddetti "a tempo pieno" ma in misura ridotta), ovvero di tipo verticale (la prestazione viene effettuata in un numero di giornate e/o di settimane inferiori a quello contrattualmente previsto, ma per l'intera durata giornaliera e/o settimanale).
MODULO 2 L’EVOLUZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO, IL “JOBS ACT”
Unità 1
CONTRATTO DI LAVORO A TUTELE CRESCENTI
La Legge delega n°183 del 10 dicembre 2014 e i Decreti legislativi di attuazione, intervengono in diversi ambiti del sistema giuridico del lavoro: dalle tutele a sostegno dei soggetti che hanno perso il lavoro e sono in cerca di occupazione, alla semplificazione del mercato del, lavoro, alla riscrittura delle sanzioni in tema di licenziamento illegittimo fino al rafforzamento delle misure a sostegno della maternità e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
La riforma si applica soltanto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto attuativo che vengono licenziati senza un legittimo motivo.
L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, fa ancora parte del nostro ordinamento giuridico, infatti non è l’art. 18 ad essere stato abrogato ma il contratto a tempo indeterminato ad essere stato modificato. L’art. 18 resta applicabile ai soli lavoratori con contratto a tempo indeterminato attivi alla data del 6 marzo 2015 e fino alla cessazione dello stesso contratto.
Nulla vieta alle parti stipulanti un contratto di lavoro individuale dopo il 6 marzo 2015, di accordarsi per un estensione integrale dell’art. 18.
I destinatari del nuovo contratto sono:
i rapporti di lavoro a tempo indeterminato avviati a partire dal 7 marzo 2015;
i contratti di lavoro a tempo determinato che siano convertiti a tempo indeterminato dopo il 6 marzo 2015;
i contratti di apprendistato che proseguono con contratto a tempo indeterminato dopo il 6 marzo 2015.
LICENZIAMENTI INDIVIDUALI
Per le aziende che superano i 15 dipendenti, il contratto a tutele crescenti, prevede: l’eliminazione della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo.
Il giudice, nei casi in cui viene accertato che il licenziamento è illegittimo:
dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento;
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condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.
Nelle ipotesi di licenziamento per Giustificato motivo soggettivo o Giusta Causa in
cui sia “direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore”, il Giudice:
annulla il licenziamento;
condanna il datore di lavoro alla reintegrazione;
condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento al giorno della reintegrazione nella misura massima di 12 mensilità;
condanna il datore di lavoro al versamento di tutti i contributi previdenziali dalla data del licenziamento alla data della reintegrazione.
Il lavoratore, in ragione della reintegrazione può richiedere la corresponsione dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, pari a 15 mensilità. Tale indennità non è soggetta a contributi previdenziali.
Nel caso dei licenziamenti per Giustificato motivo oggettivo la norma modifica notevolmente le “vecchie” disposizioni introdotte dalla Legge Fornero. In quest’ultima, infatti, era prevista ancora l’ipotesi di reintegrazione a fronte di un licenziamento economico. Pertanto, nei confronti dei nuovi assunti, il licenziamento economico non comporta più il ritorno in Azienda del lavoratore.
Nulla cambia per i licenziamenti discriminatori (discriminazione politica, religiosa,
di razza, di sesso..), quelli nulli (per matrimonio o gravidanza..) e quelli intimati in forma orale. In Giudice in questi casi:
ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro;
ordina al datore di lavoro il risarcimento in favore del lavoratore nella misura delle mensilità perdute, calcolate dalla data di licenziamento alla data di effettiva reintegrazione con il minimo di 5 m.tà;
ordina al datore di lavoro il versamento di tutti i contributi previdenziali dalla data del licenziamento alla data della reintegrazione.
A seguito dell’ordine di reintegrazione il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro 30 giorni.
Il lavoratore, in ragione della reintegrazione può richiedere la corresponsione dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, pari a 15 mensilità. Tale indennità non è soggetta a contributi previdenziali.
Nessuna modifica è stata apportata alle norme attuali nella ipotesi di Revoca del licenziamento
avvenuta nel termine di 15 giorni dalla impugnazione.
In questo caso il rapporto di lavoro viene ripristinato senza soluzione di continuità, con conseguente diritto del lavoratore alla corresponsione della retribuzione maturata nel periodo precedente la revoca, senza applicazione del regime sanzionatorio previsto dal decreto.
Viene introdotta una nuova possibilità di Conciliazione consistente nella offerta di una somma di danaro esente da contribuzione fiscale e contributiva.
Il decreto attuativo introduce, per i soli lavoratori assunti dopo la sua entrata in vigore, una procedura di conciliazione facoltativa che sostituirà quella preventiva prevista presso le DTL(Direzioni territoriali del lavoro) ed introdotta nel 2012 dalla Legge Fornero (L.92/2012).
Il datore di lavoro, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni), può offrire al lavoratore, in sede di conciliazione (in DTL/sindacale/o presso una commissione di certificazione), un assegno circolare di importo pari a 1 mese di retribuzione per ogni anno di servizio (min. 2 max 18 m.tà). Se il lavoratore accetta, il rapporto di lavoro è estinto con rinuncia all'impugnazione.
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La nuova procedura facoltativa, invece, può essere applicata in tutti i casi di licenziamento ed anche dalle Aziende con meno di 15 dipendenti.
Scopo della nuova procedura facoltativa, che prevede addirittura l’obbligo della consegna da parte del datore di lavoro al lavoratore di un assegno circolare, è dunque quella di prevenire il rischio di causa. L’accettazione della somma di danaro, infatti, comporta la decadenza del lavoratore dal diritto di impugnare il licenziamento.
Per le aziende fino a 15 dipendenti, in caso di illegittimità del licenziamento per Giustificato motivo oggettivo, Giustificato motivo soggettivo, Giusta causa o per vizi di procedura, si applicano i medesimi regimi sanzionatori di cui ai punti che precedono, ma con indennità dimezzate e in ogni caso nel limite massimo di 6 mensilità di retribuzione. Esclusa in ogni caso la reintegrazione in caso di licenziamento disciplinare.
LICENZIAMENTI COLLETTIVI
Il Governo ha inteso uniformare la disciplina dei licenziamenti individuali e quella dei licenziamenti collettivi previsti dalla L.223/1991. Conseguentemente, per i lavoratori assunti in regime di contratto a tutele crescenti, troveranno applicazione le norme sopra citate che prevedono esclusivamente l’indennizzo risarcitorio da 4 a 24 mensilità, salvo, ovviamente il caso di licenziamento intimato oralmente, che continua ad essere sanzionato con la reintegrazione ed il risarcimento del danno.
Le nuove disposizioni modificano notevolmente il regime sanzionatorio ma non modificano minimamente le procedure da seguire in caso di licenziamenti collettivi (che interessano almeno 5 persone nell’arco di 120 gg), che continuano a prevedere sia un passaggio sindacale (esame congiunto) e, nel caso, uno successivo presso la Regione o il Ministero.
IL CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE
La nuova misura introdotta dal decreto prevede che ai beneficiari sia assegnato dallo Stato un voucher, ossia un assegno, con il quale i disoccupati potranno recarsi presso un’agenzia del lavoro (privata) o un altro soggetto riconosciuto e accreditato per richiedere e sottoscrivere un intervento di assistenza nella ricerca di un nuovo lavoro. Solo quando l’agenzia avrà effettivamente ricollocato il disoccupato, ovvero gli avrà trovato un nuovo lavoro, il disoccupato consegnerà all’agenzia il voucher che dovrebbe fungere da compenso per l’operazione svolta.
Il Decreto attuativo prevede che potranno accedere al voucher di ricollocazione: Lavoratori licenziati illegittimamente per licenziamento collettivo;
Lavoratori licenziati illegittimamente per giustificato motivo oggettivo;
tutte le persone in stato di disoccupazione (ai sensi della lettera c, comma 2, articolo 1, D. Lgs 181/2000);
Per accedere al voucher, l’interessato dovrà seguire il seguente percorso:
recarsi in un Centro per l’Impiego e definire, con il personale, il proprio profilo personale di occupabilità che individua il livello di occupabilità del disoccupato stesso;
Maggiore sarà l’occupabilità del lavoratore e minore sarà il voucher, dal momento che la ricerca del lavoro sarà più semplice; viceversa, minore sarà l’occupabilità del lavoratore e maggiore l’importo dell’assegno, dal momento che la ricerca del lavoro richiederà un’azione più impegnativa (all’atto pratico un assegno «medio» di ricollocazione potrebbe aggirarsi intorno ai 1.500 euro, aumentabile anche a 3000-4000 euro nei casi più complicati);
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Una volta individuata la dote individuale di ricollocazione, ovvero l’importo dell’assegno che sarà successivamente erogato dallo Stato o dalle Regioni, il disoccupato potrà recarsi, a propria scelta, o presso una struttura pubblica (ad esempio un Centro per l’impiego) o presso una struttura privata, come un’agenzia per il lavoro accreditata per richiedere e ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro;
L’istituzione o agenzia del lavoro che si occuperà della ricollocazione del soggetto dovrà assegnare al lavoratore un tutor o un job advisor, che lo seguirà nel percorso approntato per ottenere un nuovo impiego. Solo quanto il lavoratore troverà effettivamente una nuova occupazione l’agenzia sarà remunerata dallo Stato o dalla Regione, con il voucher ottenuto. In altri termini l’assegno in mano all’Agenzia del lavoro diventerà pagabile solo quando sarà avvenuto l’effettivo ricollocamento del lavoratore e non per l’attività che l’agenzia dovrà comunque svolgere a sostegno del soggetto disoccupato;
Il lavoratore disoccupato decade dalla dote, ossia dalla possibilità di vedersi assegnato il voucher da spendere in un’agenzia del lavoro, se non partecipa alle iniziative di ricerca del lavoro proposte dall’agenzia, se non partecipa a corsi e seminari di riqualificazione professionale e se, comunque, non accetta le proposte del soggetto accreditato all’attività di ricollocazione;
E’ prevista la decadenza dal voucher anche nel caso in cui si rifiuti, senza motivo giustificato, una congrua offerta di lavoro a tempo pieno e indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo; Ultimo caso di decadenza dal voucher di disoccupazione è la perdita dello stato di disocupazione (ad esempio nel caso in cui il soggetto trovi e ottenga, per propria iniziativa personale un nuovo contratto di lavoro).
MODULO 3 LA RIFORMA DELLE TIPOLOGIE CONTRATTUALI
Unità 1
Il Testo Unico sulle tipologie contrattuali Decreto legislativo 15 giugno 2015 n° 81 ha previsto modifiche alle tipologie contrattuali esistenti e nuove forme contrattuali
IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO
è un contratto di lavoro subordinato, nel quale esiste un tempo ben preciso di durata del contratto con una data che indica la fine del rapporto.
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Una novità di primo piano è quella dell’eliminazione dell’obbligo di specificare la causale, vale a dire la motivazione che giustifica l’apposizione del termine: il datore di lavoro, in virtù della nuova disciplina legislativa, non deve più indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo hanno indotto ad utilizzare la forma contrattuale a tempo determinato. Si parla, quindi, di contratto a termine acausale, che può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a termine sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato. Il contratto a termine acausale non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi. La proroga, per la quale è necessaria la forma scritta, è ammessa a condizione che si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato, senza l’onere, a carico del datore di lavoro, di fornire la prova della causale che giustifica la prosecuzione del rapporto. Se dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato o dopo il periodo di durata massima complessiva di 36 mesi, il lavoro prosegue di fatto:per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi);per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi), il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore.
Cosa succede se, invece, il rapporto di lavoro oltrepassa questo breve periodo “cuscinetto” di 30 o 50 giorni? Il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato a far data da tale sconfinamento. Per non cadere nel regime sanzionatorio del contratto a termine, è necessario, inoltre, che trascorra un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto a termine, stipulato tra le stesse parti contrattuali:intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi;intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi. Anche il mancato rispetto di queste interruzioni temporali determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, il datore di lavoro ed il lavoratore possono decidere di stipulare un ulteriore rapporto di lavoro a termine per una durata massima di 12 mesi. Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la Direzione territoriale competente.
A ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato che non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione; per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi, hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi per il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato.
Per le ipotesi di violazione del limite percentuale, si stabilisce soltanto una sanzione amministrativa – e non la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato a carico del datore.
In ogni caso non sono soggetti a limitazioni quantitative i contratti a termine conclusi nella fase di avvio di nuove attività per i periodi individuati dalla contrattazione collettiva, per le startup innovative, per sostituzione di personale assente, per attività stagionali, per spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, nonché quelli conclusi con lavoratori di età superiore a 50 anni. Tali limitazioni non si applicano nemmeno ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa.
In caso di illegittimità del contratto a termine, l'indennità risarcitoria e la conversione del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato, è da considerarsi onnicomprensiva di tutti i danni e pregiudizi retributivi e contributivi subiti dal lavoratore. L’indennità è pari a un importo che va dalle 2,5 alle 12 mensilità.
APPRENDISTATO
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La formazione professionale è un elemento fondamentale per un lavoratore, perché permette di aggiornare ed ampliare le proprie competenze. Questa può essere inserita all’interno di un vero e proprio contratto di lavoro, la cui causa è lo scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione a cui si aggiunge l’obbligo formativo a carico del datore di lavoro. In quest’ultimo caso rientra il contratto di apprendistato che si configura come la principale tipologia contrattuale per favorire l'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, a seconda della tipologia di apprendistato.
L’elemento caratterizzante dell’apprendistato è rappresentato dal fatto che il datore di lavoro, nell’esecuzione dell’obbligazione posta a suo carico, è tenuto ad erogare, come corrispettivo della presentazione di lavoro, non solo la retribuzione, ma anche la formazione necessaria all’acquisizione delle competenze professionali o alla riqualificazione di una professionalità. Mentre l’apprendista ha la convenienza di imparare una professione, il datore di lavoro ha la possibilità di beneficiare di agevolazioni di tipo normativo, contributivo ed economico. Quest’ultimo intervento è stato rivolto alla creazione di un sistema duale che integra istruzione, formazione e lavoro, soprattutto grazie alle due tipologie di apprendistato finalizzate all’ottenimento di un titolo di studio di livello secondario o terziario.
Il contratto di apprendistato è per definizione un contratto di lavoro a tempo indeterminato, rivolto ai ragazzi di età compresa fra i 15 e i 29 anni anche se per le regioni e le province autonome che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, la contrattazione collettiva può definire specifiche modalità di utilizzo di tale contratto, anche a tempo determinato, per le attività stagionali.
Il contratto di apprendistato prevede la forma scritta del contratto, del patto di prova e del piano formativo individuale (PFI).
Solo nel caso di apprendistato professionalizzante è previsto l’obbligo, solo per gli imprenditori con più di 50 dipendenti, di proseguire a tempo indeterminato il rapporto di lavoro con almeno il 20% degli apprendisti presenti in azienda, altrimenti non si possono assumere altri apprendisti.
La formazione integrata in un contratto di lavoro può essere utile, non solo per i giovani, ma anche per coloro che intendono acquisire nuove competenze per reinserirsi nel mondo di lavoro. Per questo, tramite l’apprendistato professionalizzante, è possibile assumere anche lavoratori in mobilità o percettori di un trattamento di disoccupazione. Data la specifica finalità di riqualificazione professionale non è previsto alcun limite di età per tale rapporto di apprendistato. Come accennato, il contratto di apprendistato determina numerose agevolazioni a favore degli imprenditori che decidono di assumere con questa tipologia contrattuale. L’inserimento in azienda tramite apprendistato è, infatti, sostenuto da notevoli incentivi economici (come la contribuzione agevolata, la deducibilità delle spese e dei contributi dalla base imponibile Irap).
Esistono tre tipologie di contratti di apprendistato:
L’Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, si rivolge anche ai giovani che non hanno assolto l’obbligo scolastico che potranno così conseguire il diploma di istruzione secondaria superiore, ma anche agli iscritti a partire dal secondo anno degli istituti tecnici e professionali di istruzione secondaria superiore.
Per le ore di formazione a carico del datore di lavoro è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta. La durata del periodo formativo varia in relazione alla qualifica al diploma da conseguire, in ogni caso non può essere superiore ai tre anni ovvero ai quattro nel caso di un diploma quadriennale regionale.
È prevista, infine, la possibilità per la contrattazione collettiva di prevedere la stipula di contratti di apprendistato anche a tempo determinato per le attività stagionali, a patto che le Regioni e le Province autonome abbiano attivato un sistema di alternanza scuola- lavoro.
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L’Apprendistato professionalizzante è finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale ai fini contrattuali. Possono essere assunti, in tutti i settori di attività, pubblici e privati, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Per chi è in possesso di una qualifica professionale, il contratto può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età.
Nell’Apprendistato di alta formazione e di ricerca possono essere assunti, in tutti i settori di attività, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. La finalità è il conseguimento di un titolo di studio universitario e di alta formazione, compresi il dottorato di ricerca, i diplomi rilasciati dagli istituti tecnici superiori (ITS), nonché il praticantato per l'accesso alle professioni ordinistiche.
IL LAVORO SOMMINISTRATO, EX INTERINALE
è un contratto in base al quale l'impresa (utilizzatrice) può richiedere manodopera ad agenzie autorizzate (somministratori) iscritte in un apposito Albo tenuto presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
La somministrazione di lavoro coinvolge tre soggetti (agenzie, lavoratori, impresa), legati da due diverse forme contrattuali: il contratto di somministrazione stipulato tra utilizzatore e somministratore che ha natura commerciale e può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato; il contratto di lavoro stipulato tra somministratore e lavoratore che può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato. Il pagamento della retribuzione al lavoratore e il versamento dei contributi previdenziali e assicurativi sono a carico del somministratore, con il rimborso successivo da parte dell’utilizzatore. I contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati hanno previsto i limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione di lavoro a tempo determinato. Il periodo di lavoro svolto da dipendenti assunti con contratto di somministrazione a tempo determinato, stipulato successivamente al 18 luglio 2012, va computato nel calcolo dei 36 mesi previsti come limite massimo di durata di un contratto a tempo determinato, oltre il quale il contratto si trasforma a tempo indeterminato.
In virtù del principio di tutela del lavoratore rispetto a situazioni discriminatorie, i lavoratori in somministrazione hanno diritto a condizioni di base di lavoro e d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte. I lavoratori dipendenti dal somministratore sono informati dall'utilizzatore dei posti vacanti presso quest'ultimo, affinché possano aspirare, al pari dei dipendenti del medesimo utilizzatore, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato.
CONTRATTO DI LAVORO PART-TIME
Non si tratta propriamente di un’altra tipologia contrattuale, bensì di un particolare regime dell’orario di lavoro, che può consentire al lavoratore di coniugare i tempi di vita e di lavoro. Il part-time, infatti, implica un orario di lavoro inferiore a quello ordinario (full-time), individuato in
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40 ore settimanali, ovvero un minor orario rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva. Sebbene la norma non contenga più una specifica definizione, la riduzione dell'orario di lavoro può essere: di tipo orizzontale, quando il dipendente lavora tutti i giorni ma meno ore rispetto all’orario normale giornaliero; di tipo verticale, quando il dipendente lavora a tempo pieno ma solo alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno; di tipo misto che contempla una combinazione delle due forme precedenti. Il contratto di lavoro deve contenere la precisa determinazione degli orari ridotti in modo da permettere al lavoratore l’organizzazione e la gestione del proprio tempo. L’orario può però essere modificato tramite l’apposizione, in forma scritta nel contratto, di apposite clausole, la cui applicazione deve essere preavvisata al lavoratore: le clausole flessibili prevedono la possibilità di modificare la collocazione temporale della prestazione di lavoro e possono essere contenute in tutte e tre le tipologie di contratto part-time; le clausole elastiche prevedono la possibilità di aumentare il numero delle ore della prestazione di lavoro rispetto a quanto fissato originariamente e possono essere stipulate nei rapporti di part- time verticale o misto.
Il lavoro supplementare invece corrisponde alle prestazioni lavorative svolte oltre l'orario di lavoro concordato fra le parti nel contratto, anche su base giornaliera, settimanale o mensile. I contratti collettivi stabiliscono il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili, nonché le conseguenze del suo superamento. Inoltre è riconosciuta una maggiorazione retributiva onnicomprensiva del 15%; la misura massima dell'aumento di orario non può eccedere del 25% per cento la normale prestazione annua a tempo parziale.
Il legislatore ha individuato nel part-time uno degli strumenti utili per poter conciliare i tempi di vita e lavoro, in particolare per alcune categorie di lavoratori. La trasformazione da full a part-time è sempre possibile se richiesta da malati con patologie cronico-degenerative od oncologici. I parenti dei malati cronico-degenerativi hanno un titolo di priorità nelle richieste di trasformazione. I soggetti che assistono i malati con patologie cronico degenerative od oncologici oppure i disabili gravi ai sensi dell’art. 3, comma 3, della L. n. 104/1992, oppure i genitori di figli conviventi di età non superiore a 13 anni, hanno un titolo di priorità nelle richieste di trasformazione. La possibilità di trasformazione a part-time è poi possibile per i lavoratori genitori che lo chiedano in alternativa alla fruizione del congedo parentale.
LAVORO INTERMITTENTE O A CHIAMATA
È un contratto che si può attivare qualora si presenti la necessità di utilizzare un lavoratore per prestazioni con una frequenza non predeterminabile, permettendo al datore di lavoro di servirsi dell’attività del lavoratore, chiamandolo all’occorrenza. Sono spesso assunti con questa tipologia contrattuale i lavoratori dello spettacolo, gli addetti al centralino, i guardiani, receptionist.
È richiesta la forma scritta del contratto (anche se solo ai fini della prova della sussistenza del contratto e non per la sua validità) indicando i contenuti previsti per legge, tra cui la durata a tempo determinato o indeterminato. Il contratto è ammesso per ciascun lavoratore e con il medesimo datore di lavoro per un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate nell’arco di tre anni solari, ad eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo. Nel caso in cui sia superato questo periodo, il rapporto di lavoro intermittente si trasforma in un rapporto a tempo pieno e indeterminato.
LAVORO A PROGETTO
Dal 25 giugno 2015, con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n.81/2015, non è più possibile stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto ai sensi degli artt-61- 69bis del Decreto Legislativo 276/2003. A partire dal 1° gennaio 2016, le collaborazioni di tipo parasubordinato o nella forma del lavoro autonomo saranno considerate come lavoro subordinato, qualora si concretizzino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative ed organizzate dal committente rispetto al luogo ed all’orario di lavoro.
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Nelle pubbliche amministrazioni il divieto di stipulare collaborazioni coordinate e continuative con le caratteristiche suddette scatterà il 1° gennaio 2017. Così la legge ha previsto disincentivi normativi e contributivi, nonché una definizione più stringente del progetto o dei progetti che costituiscono l'oggetto della collaborazione coordinata e continuativa: quando l’attività del collaboratore a progetto sia analoga a quella svolta da lavoratori subordinati, salvo prova contraria del committente, la collaborazione viene considerata un rapporto di lavoro subordinato fin dall'inizio. A questo proposito, si precisa che il contratto a progetto non prevede un orario rigido o un monte ore predeterminato ma l’assolvimento del progetto nei tempi e xxxx indicati al momento della stipula del contratto. Il compenso del collaboratore, proporzionato alla qualità e quantità di lavoro prestato, non potrà essere inferiore ai minimi contrattuali previsti per mansioni equiparabili a quelle svolte dal collaboratore e calcolate sulla media dei contratti collettivi di riferimento.
CONTRATTI PER PARTITE IVA
Si intendono generalmente i contratti di lavoro stipulati con prestatori d’opera, ossia i lavoratori autonomi che offrono, dietro corrispettivo e senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti del committente, un servizio o la realizzazione di un bene materiale. Partite IVA, pertanto, è il regime fiscale cui fa riferimento questa tipologia contrattuale. Rientrano, ad esempio, in questa fattispecie: cooperatori, liberi professionisti, consulenti e altre figure professionali autonome. Con l’obiettivo di contenere gli abusi e sfavorire quindi un uso improprio di questa tipologia contrattuale, sono stati adottati dal legislatore alcuni accorgimenti.
A partire dal 1° gennaio 2016, il Decreto Legislativo 81/2015 introduce un nuovo regime secondo il quale le collaborazioni di tipo parasubordinato o nella forma del lavoro autonomo saranno considerate come lavoro subordinato, qualora si concretizzino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, ripetitive ed organizzate dal committente rispetto al luogo ed all’orario di lavoro. A decorrere dall'1 gennaio 2016 i datori di lavoro che assumono coloro con cui hanno avuto un precedente rapporto di collaborazione, anche a progetto, o i titolari di partita IVA con cui hanno intrattenuto un rapporto di lavoro autonomo, godono del beneficio dell’estinzione degli eventuali illeciti amministrativi, contributivi e fiscali legati all'erronea qualificazione del rapporto di lavoro antecedenti all’assunzione.
La L. 92/2012 (legge Fornero) prevede che per considerare come genuina la collaborazione a partita IVA abbia un compenso minimo di 18 mila euro lordi annui per il 2012, elevate competenze professionali del collaboratore o la sua iscrizione ad un Albo o ordine professionale. In presenza di tali presupposti la collaborazione viene considerata realmente autonoma, impedendo quindi che scatti la trasformazione del contratto.
CONTRATTI CON LAVORO ACCESSORIO
si è inteso regolamentare quelle prestazioni lavorative non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma caratterizzate da un limite prettamente economico e dal pagamento attraverso dei voucher. Si tratta perlopiù di quelle attività lavorative che potrebbero collocarsi al di fuori della legalità, nell'ottica di una maggiore tutela del lavoratore. Per contratto di lavoro accessorio si intende l’insieme di prestazioni lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a € 7.000 netti (€9.333 lordi) nel corso di un anno civile (dal 1° gennaio al 31 dicembre). Qualora il committente sia un imprenditore o un professionista le prestazioni di lavoro accessorio rese a loro favore non possono eccedere il limite di € 2.000 nell’anno civile per ciascun lavoratore. Il Decreto Legislativo n. 81/2015 ha confermato il venire meno così della caratteristica dell’occasionalità - già eliminata dal Decreto Legge 76/2013 - e la possibilità che il lavoro accessorio possa essere usato per qualsiasi tipo di attività. Il lavoro accessorio si utilizza, quindi, in diversi ambiti: agricolo, commerciale, turistico, dei servizi, della Pubblica Amministrazione. Per il lavoratore, il compenso è esente da ogni imposizione fiscale e non incide sul suo stato di disoccupato o inoccupato. Il pagamento della prestazione occasionale di tipo accessorio avviene attraverso i cosiddetti voucher (o buoni lavoro) che garantiscono, oltre alla retribuzione, anche la copertura previdenziale presso l'INPS e quella assicurativa presso l'INAIL.
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Nel settore agricolo, il lavoro accessorio si applica:alle attività lavorative occasionali di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani under25. Per questi ultimi è necessario che l’attività sia compatibile con gli impegni scolastici, se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, mentre potranno essere svolte in qualunque periodo dell'anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi universitari; alle attività agricole svolte a favore di piccoli produttori agricoli (aziende agricole cha hanno un volume d’affari non superiore
a € 7.000) che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli. In generale, è vietato ricorrere al lavoro accessorio per l’esecuzione di appalti di opere o servizi.
I voucher o buoni lavoro voucher o buoni lavoro costituiscono un particolare sistema per il pagamento delle prestazioni di lavoro di tipo accessorio che incorporano il compenso per la prestazione di lavoro, la copertura INAIL e il versamento dei contributi previdenziali all’INPS. Il valore nominale di un buono lavoro è di 10 euro e tale importo è comprensivo della contribuzione (pari al 13%) a favore della gestione separata INPS, che viene accreditata sulla posizione individuale contributiva del prestatore, di quella in favore dell'INAIL per l'assicurazione contro gli infortuni (7%) e di un compenso al concessionario per la gestione del servizio, pari al 5%. Il valore netto del voucher, cioè il corrispettivo netto della prestazione in favore del prestatore, è pari a 7,50 euro. Il criterio per la determinazione del compenso del lavoratore accessorio si misura sulla prestazione oraria per evitare che con un singolo voucher da 10 euro si possano retribuire più ore, mentre una singola ora di lavoro accessorio potrà essere retribuita anche con più voucher. Il superamento del limite quantitativo relativo al compenso e quello relativo alla durata possono trasformare il contratto di lavoro accessorio in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
IL TIROCINIO FORMATIVO
consiste in un periodo di formazione utile all’acquisizione di nuove competenze da utilizzare per inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro e non è assimilabile in alcun modo ad un rapporto di lavoro subordinato. La disciplina che regolamenta i tirocini è di competenza regionale e si distingue in base alla tipologia dei destinatari dell’azione formativa:
I tirocini curriculari , promossi dalle università o dalle scuole, sono svolti all’interno di un percorso formale di istruzione o formazione.
I tirocini extracurriculari comprendono:
Tirocini formativi e di orientamento, svolti da soggetti che abbiano conseguito un titolo di studio entro e non oltre i 12 mesi (neodiplomati o neolaureati), finalizzati ad agevolare le scelte professionali e l’occupabilità dei giovani nella transizione scuola lavoro;
Tirocini di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, finalizzati a percorsi di recupero occupazionale a favore di inoccupati e disoccupati, anche in mobilità, nonché a beneficiari di ammortizzatori sociali sulla base di specifici accordi in attuazione di politiche attive del lavoro;
Tirocini di orientamento e formazione oppure di inserimento/reinserimento in favore di disabili, persone svantaggiate e richiedenti asilo politico o titolari di protezione internazionale;
Tirocini finalizzati allo svolgimento della pratica professionale e all’accesso alle professioni ordinistiche;
Tirocini transnazionali realizzati nell'ambito di specifici programmi europei
Tirocini per soggetti extracomunitari promossi all’interno delle quote di ingresso;
Tirocini estivi.
E’ previsto il riconoscimento di un’indennità risarcitoria minima per le attività svolte dal tirocinante, in assenza del quale è prevista la sanzione amministrativa di una ammenda di importo da 1.000 a 6.000 euro.
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IL DISTACCO DEL LAVORATORE
disciplinato dall’art. 30 del D. Lgs. 276/03, consiste in un provvedimento organizzativo con il quale il datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più
lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. Il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo del lavoratore e, in termini generali, non è subordinato all’indicazione di specifiche ragioni o al consenso del lavoratore distaccato. Tuttavia occorre considerare che: il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato; il distacco che comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore é adibito può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.
La legge 9 agosto 2013, n. 99, di conversione del D.L. 76/2013, ha inserito una particolar previsione relativa al distacco di personale che avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa. I requisiti di legittimità del distacco ai sensi dell’art. 30 D. Lgs. 276/2003, così come precisato nella Circolare del Ministero del Lavoro del 15 gennaio 2004 n. 3 e da ultimo con la risposta a Interpello 1/2011, sono:l’interesse del distaccante che deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente, da accertare caso per caso, in base alla natura dell’attività espletata e non semplicemente in relazione all’oggetto sociale dell’impresa. Può trattarsi di qualsiasi interesse produttivo del distaccante, anche di carattere non economico, che tuttavia non può mai coincidere con l’interesse lucrativo connesso alla mera somministrazione di lavoro; la temporaneità del distacco: il distacco deve essere necessariamente temporaneo. Tale previsione non incide sulla durata del distacco, breve o lunga che sia, ma sul presupposto che, qualunque sia la durata del distacco, non può trattarsi di passaggio definitivo; lo svolgimento di una determinata attività lavorativa: il lavoratore distaccato deve essere adibito ad attività specifiche e funzionali al soddisfacimento dell’interesse proprio del distaccante. Ne consegue che il provvedimento di distacco non può risolversi in una messa a disposizione del proprio personale in maniera generica e, quindi, senza predeterminazione di mansioni. In assenza di tali requisiti di legittimità, il lavoratore interessato può fare ricorso in giudizio per la costituzione di un rapporto di lavoro con il soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, cioè il datore di lavoro presso cui è stato distaccato.
Gli oneri relativi al trattamento economico e normativo del lavoratore rimangono a carico dell’effettivo datore di lavoro, tuttavia appare oramai pacificamente ammessa la possibilità di un “ribaltamento” dei costi sostenuti per il lavoratore dal distaccante sul distaccatario. Il Ministero del lavoro, con l’interpello n. 1/2011, ha altresì precisato che il distacco è ammissibile anche quando lo svolgimento della prestazione lavorativa avvenga in un luogo diverso dalla sede del distaccatario. Il distacco del lavoratore è oggetto di comunicazione obbligatoria on line . Deve essere comunicato dal datore di lavoro distaccante utilizzando il Modulo Unilav – quadro Trasformazione - entro 5 giorni dal verificarsi dell’evento. La comunicazione deve essere inviata anche se trattasi di distacco parziale o distacco presso azienda estera.
IL CONTRATTO DI RETE
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E’ un nuovo istituto giuridico mediante il quale più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, impegnandosi a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica.
Unita 2
SERVIZI E COMPETENZE TERRITORIALI IN MATERIA DI LAVORO
Le competenze in materia di servizi per l’impiego sono suddivise tra nazionali, regionali, provinciali e locali.
Le Regioni sono un importante punto di riferimento nell'erogazione dei servizi per tutti coloro che cercano lavoro: sono infatti gli Enti che coordinano i servizi pubblici per l'impiego sul territorio.
Le Regioni hanno competenze di:
orientamento relativo al collocamento;
programmazione regionale e relativo coordinamento;
promozione avvio attività imprenditoriale;
promozione iniziative di collocamento per fasce deboli;
attività coordinate con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
politiche attive e di monitoraggio.
A livello provinciale invece sono istituiti i Centri per l’impiego le cui funzioni sono specificatamente:
gestione dei servizi di collocamento e preselezione;
promozione di iniziative e interventi di politiche attive del lavoro sul territorio;
coordinamento territoriale per informare in modo integrato sulle attività di formazione e orientamento (professionale, avvio nuova impresa, incontro domanda e offerta)
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L’Assessorato regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro- Regione Sicilia svolge attività di: programmazione, funzionamento e qualità del sistema integrato dei servizi e degli interventi socio-assistenziali e socio-sanitari; Promozione e sostegno delle famiglie. Promozione e sostegno del terzo settore; Inclusione sociale; Vigilanza e controllo sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (Ipab); Servizio civile; Lavoro; Attività ispettive e di vigilanza sul lavoro; Emigrazione ed immigrazione; Cantieri di lavoro; Fondo siciliano per l'occupazione; Servizi pubblici per l'impiego; Ammortizzatori sociali; Politiche attive del lavoro; Orientamento e servizi formativi e per l'impiego, Ciapi; Incentivi per l'occupazione; Formazione in azienda e nell'ambito dei rapporti di lavoro; Tirocini e stage in azienda; Apprendistato e contratti di inserimento; Fondo per l'occupazione dei disabili; Lavori socialmente utili e workfare; Statistiche; Diritti civili; Pari opportunità; Previdenza sociale e assistenza ai lavoratori; Rapporti con gli enti pubblici relativi.