PARERE
Parere
sulla vessatorietà delle clausole contenute nei
CONTRATTI DEL SETTORE DELL’ESTETICA E DEL BENESSERE
Realizzato in attuazione del Progetto di cui all’art. 9 Decreto DGAMTC del Ministero dello Sviluppo Economico del 2 marzo 2006
PARERE
SULLA VESSATORIETÀ DELLE CLAUSOLE CONTENUTE NEI CONTRATTI DEL SETTORE DELL’ESTETICA E DEL BENESSERE
SOMMARIO: Premessa. - Parte I / I PICCOLI CENTRI ESTETICI: 1. L’estetista. – 2. La dimensione del centro. – 3. I rapporti con il cliente. – 4. La responsabilità dell’operatore. -
5. Proposta di adozione di un “decalogo del centro”. – Parte II / I CENTRI (PALESTRE – CLUB – S.P.A.): 1. Definizioni. – 2. Rapporti con il cliente/socio. – 3. La certificazione medica. – 4. Il diritto di accedere ai locali. – 5. Gli istruttori e i servizi personalizzati – 6. Lo svolgimento del rapporto. – 7. Sospensione e/o interruzione dell’attività del Centro. -
8. Responsabilità del Centro. – 9. Sottoscrizione delle clausole vessatorie ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. – 10. Clausole di deroga del foro competente. – 11. Informativa sulla privacy. – 12. Le Condizioni generali di contratto e il modulo proposti. – Parte III
/LE ATTIVITÀ PER IL DIMAGRIMENTO: 1. Alcuni connotati caratteristici dell’attività. –
2. Aspetti critici. ALLEGATO A: DECALOGO DEL CENTRO.
Premessa
Il settore oggetto del presente parere abbraccia una realtà assai variegata, sia per la tipologia delle imprese coinvolte, sia per i tipi di servizio offerti.
Le imprese che operano nel settore del benessere sono più di 20 mila, con un giro di affari che va oltre i 10 miliardi di euro. L’andamento degli ultimi tre anni dimostra che la clientela dei centri benessere aumenta costantemente e raggiunge orami circa 18 milioni di utenti.
Al fine di descrivere compiutamente i diversi settori e le differenti tipologie di imprese operanti sul mercato, il presente lavoro si suddivide in due parti: la prima è relativa ai piccoli centri estetici, la seconda riguarda i club, le palestre di media grandezza, i grandi centri benessere, le s.p.a. e centri termali. Le prestazioni offerte dalle diverse imprese si differenziano non solo per gli eterogenei caratteri delle strutture nelle quali essi esercitano la loro attività, ma soprattutto per il loro oggetto, che nel primo caso si limita a trattamenti sulla superficie del corpo con lo scopo di mantenerlo in buone condizioni e di proteggerne l'aspetto estetico, mentre nel secondo caso è costituito prevalentemente dall’organizzazione di attività motorie, volte alla tonificazione, al dimagrimento, allo sviluppo muscolare ed effettuate a corpo libero, oppure in sale attrezzate con macchine (es. bike, step, tapis roulant), vari attrezzi (manubri, bilancieri) e attrezzature (panche, spalliere, ecc.), o anche in acqua; quest’ultimo elemento è centrale per le s.p.a. (acronimo di salus per aquam). Dunque, il rapporto tra cliente e club, palestra, o s.p.a., si snoda tipicamente attraverso una prestazione che è destinata, per sua natura, a svolgersi in un arco di tempo prolungato, mentre la relazione con il centro estetico si esplica tendenzialmente in una prestazione che trova compimento in sé stessa, anche quando sia ripetuta nel tempo.
Infine, un’ultima parte di questo parere contiene brevi cenni sui caratteri delle attività finalizzate espressamente al dimagrimento, che posseggono caratteri distinti e speciali rispetto alla complessiva area del benessere e, non raramente, presentano importanti elementi di criticità.
Esulano, invece, dagli ambiti presi in considerazione, sia il settore medico sanitario volto ad interventi di chirurgia estetica, sia lo svolgimento delle attività concernenti l’esercizio degli sport e la relativa formazione, in quanto sottoposti, rispettivamente, all’applicazione di provvedimenti normativi speciali e ai controlli delle Autorità sanitarie e del C.O.N.I. L’indagine della Commissione di Regolazione del Mercato è stata effettuata su una pluralità di testi contrattuali raccolti prevalentemente nella provincia di Torino, grazie anche alla collaborazione degli stessi operatori del settore e delle associazioni di categoria. A questo proposito è opportuno sottolineare come la sola analisi dei moduli e
delle condizioni generali di contratto non sia sufficiente a mettere in luce tutte le realtà economiche operanti nel settore; infatti, non tutte le imprese utilizzano contratti scritti né sentono l’esigenza di dare al rapporto con la propria clientela una veste giuridica di carattere formale. È stato, pertanto, necessario organizzare una serie di incontri con gli operatori professionali, nel corso dei quali si sono potuti raccogliere le notizie e i dati utili a ricostruire il rapporto fra le imprese che operano nel settore del benessere e i consumatori.
Parte I
I PICCOLI CENTRI ESTETICI
1. L’estetista
L’attività di estetista, data l’imponente espansione del settore, da quasi venti anni non è più considerata mestiere affine a quello di parrucchiere, bensì come fenomeno ben distinto, disciplinato da norme speciali. La legge regolatrice è del 1990 (1); il suo art. 1 stabilisce che l’attività di estetista comprende tutte le prestazioni e i trattamenti eseguiti sulla superficie del corpo umano con lo scopo esclusivo o prevalente di mantenerlo in buone condizioni, di proteggerne l'aspetto estetico, di snellire e modellare la figura, migliorandola attraverso l'eliminazione e l'attenuazione degli eventuali inestetismi. Tale attività può essere svolta con l'attuazione di tecniche manuali, oppure con l'utilizzazione degli apparecchi elettromeccanici per uso estetico. È prescritto, altresì, che sono escluse dall'attività di estetista “le prestazioni dirette in linea specifica ed esclusiva a finalità di carattere terapeutico”.
La legge subordina lo svolgimento dell'attività di estetista al possesso della qualificazione professionale, che è sempre necessaria, anche quando l’attività venga effettuata a titolo gratuito e in qualunque luogo venga esercitata, sia esso pubblico o privato, sia destinato esclusivamente all’estetica ovvero sia uno spazio
ricavato nell'ambito di palestre, imprese di vendita di cosmetici, di studi medici specializzati, centri di abbronzature e saune od in altre imprese affini. La l. 1/1990, per quanto riguarda le imprese individuali, richiede che la qualifica professionale e la successiva autorizzazione comunale debbano essere possedute dal titolare; con riferimento alle società e alle cooperative, prescrive che esse debbono essere possedute da “i soci ed i dipendenti che esercitano professionalmente l’attività di estetista”.
La qualifica è necessaria anche per poter procedere all’iscrizione nell’Albo delle imprese artigiane.
L'art. 5 della l. 1/1990 ha inoltre previsto che, al fine di assicurare uno sviluppo del settore compatibile con le effettive esigenze del contesto sociale, le Regioni avrebbero dovuto emanare norme di programmazione dell'attività di estetista e dettare disposizioni ai Comuni per l'adozione di regolamenti coerenti con la legislazione nazionale. Le diverse Regioni hanno provveduto e i Comuni hanno definito le modalità di accertamento dei requisiti necessari per lo svolgimento dell'attività di estetista e, in particolare, sia i criteri per la distribuzione degli esercizi a livello territoriale, sia le procedure per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività (2). Il fatto che la regolazione del settore rientri, appunto, nella competenza del Comune comporta che il rilascio dell’autorizzazione amministrativa può presentare, nelle diverse sedi, elementi peculiari. Tuttavia, deve essere segnalato che la materia è stata recentemente innovata dalla l. 2 aprile 2007, n. 40 (3), che all’art. 10.2 così prescrive: “Le attività di acconciatore di cui alle leggi 14 febbraio 1963, n. 161, e successive modificazioni, e 17 agosto 2005, n. 174, e l'attività di estetista di cui alla legge 4 gennaio 1990, n. 1, sono soggette alla sola dichiarazione di inizio attività, da presentare allo sportello unico del comune, laddove esiste, o al comune territorialmente competente ai sensi della normativa vigente, e non possono essere subordinate al rispetto del criterio della distanza minima o di parametri numerici prestabiliti, riferiti alla presenza di altri soggetti svolgenti la medesima attività,
e al rispetto dell'obbligo di chiusura infrasettimanale. Sono fatti salvi il possesso dei requisiti di qualificazione professionale, ove prescritti, e la conformità dei locali ai requisiti urbanistici ed igienico-sanitari”. Ciò evidentemente, comporterà una revisione delle leggi regionali e l’adeguamento dei regolamenti comunali alla nuova disciplina.
Infine, è utile ricordare che la Corte di Cassazione ha precisato che l'attività di estetista ha natura di attività imprenditoriale artigiana (4).
(1) L. 4 gennaio 1990, n. 1 - Disciplina dell'attività di estetista.
(2) Il T.A.R. Lombardia -Milano, 12 gennaio 2004 , n. 3, ha ritenuto che, ai sensi dell'art. 1 l. 4 gennaio 1990
n. 1, “la messa a disposizione della clientela di lampade UVA è riconducibile all'attività di estetista, in quanto consiste in una qualsiasi prestazione o trattamento eseguito sulla superficie del corpo umano, non solo con tecniche manuali ma anche con apparecchi elettromeccanici per uso estetico, e richiede l'ottenimento di un'autorizzazione comunale rilasciata previa verifica della qualifica professionale degli addetti alle apparecchiature al fine di tutelare la salute e la sicurezza di coloro che si sottopongono al trattamento abbronzante”;la sentenza ha pertanto ritenuto che “la carenza di tale autorizzazione costituisca illecito amministrativo ed esponga chi lo commette
all'ordine di sospensione dell'attività”. Analogamente T.A.R. Veneto Venezia, sez. I, 18 agosto 1999 , n. 1380.
(3) Si tratta del cosiddetto “secondo decreto Bersani”, intitolato “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese”.
(4) Cass., 19 marzo 1997, n. 2421.
2. La dimensione del Centro
L’estensione dei piccoli centri estetici non supera i 150 mq e il personale impegnato nell’attività è mediamente compreso tra 4 e 6 unità. Le prestazioni offerte vanno dai massaggi, alle lampade solari, alle saune, alla manicure e pedicure, alla pulizia della pelle, alla depilazione, al trucco e affini.
Sovente l’attività di estetica è svolta a fianco di un’attività di barbiere e parrucchiere (5), anche in forma di imprese esercitate nella medesima sede ovvero mediante la costituzione di una società. Va sottolineato che, nell’uno e nell’altro caso, la legge richiede il necessario possesso dei requisiti richiesti per lo svolgimento delle distinte attività: gli addetti che esercitano le diverse attività devono essere dotati dei titoli specificamente richiesti per il settore al quale sono applicati.
(5) L’ipotesi è prevista espressamente sia dall’art. 2.7 della l. 17 agosto 2005, n. 174 (Disciplina dell'attività di acconciatore), sia dall’art. 9 della precedente l. 4 gennaio 1990, n. 1 (Disciplina dell'attività di estetista).
3. I rapporti con il cliente
I piccoli centri estetici instaurano con i clienti un rapporto di carattere essenzialmente fiduciario, improntato all’assenza di qualsivoglia formalità. Ciò è tanto vero che si è riscontrata fra gli operatori la diffusa convinzione della “non contrattualità” del rapporto; questo viene instaurato attraverso accordi svolti sempre in forma orale e, secondo la percezione degli addetti, sarebbe regolato esclusivamente dalla pratica quotidiana e da regole di buona educazione e correttezza, condivise dai clienti perbene e conformi alle consuetudini osservate nell’intero settore.
La prassi dei piccoli centri estetici, in via generale, non usa prevedere finanziamenti né rateizzare i pagamenti. In concreto, secondo la testimonianza dei rappresentanti del settore, si contratta una prestazione alla cui esecuzione si procede istantaneamente, con assolvimento dell’obbligazione di pagarne il prezzo non appena questa sia stata effettuata.
Tuttavia, va segnalato che i centri estetici di piccola dimensione seguono diffusamente l’uso di vendere “pacchetti scontati”, che comprendano più prestazioni della medesima natura (ad esempio: 10 massaggi drenanti più uno gratuito). In questo caso il pagamento del prezzo è, in genere, anticipato. Ma, proprio perché le politiche commerciali sono accentuatamente connotate da iniziative volte alla fidelizzazione della clientela e sono improntate ad un rapporto di reciproca fiducia, accade che l’offerta degli operatori non pretenda che il pagamento del “pacchetto” sia effettuato in un unico momento e nella
sua totalità, ma spesso proponga la sua suddivisione in somme comunque versate anticipatamente, ma distribuite nel tempo.
4. La responsabilità dell’operatore
Dagli incontri con i rappresentanti di categoria e gli operatori dei piccoli centri estetici sono emersi alcuni punti di possibile criticità nei rapporti con la clientela. In particolare, come è già emerso dalle osservazioni che precedono, si è riscontrata una scarsa conoscenza della propria posizione giuridica e, in specie, della proprie responsabilità verso i clienti. Peraltro, si deve tener conto del dato positivo della bassa conflittualità del settore, probabilmente dovuta anche alla misurata entità dei prezzi e alla modesta consistenza delle prestazioni offerte, che anche nel caso dell’offerta di “pacchetti” non superano quasi mai i quattrocento euro.
In ogni caso, sembra opportuno richiamare l’attenzione degli operatori in particolare sui seguenti aspetti:
• responsabilità per custodia: fra gli operatori sussiste la convinzione secondo cui il centro estetico non sarebbe responsabile per lo smarrimento, il furto, il danneggiamento di oggetti o effetti personali come indumenti, borse, gioielli e valori dei clienti, da questi portati all’interno dei locali. Viceversa, date le modalità nelle quali si svolge la loro attività, è indiscutibile che si applichino le norme sulla responsabilità degli albergatori, secondo quanto disposto dall’art. 1786 c.c., pur se le piccole dimensioni possono condurre a valutare con rigore attenuato – in ragione dei criteri di ragionevolezza ed esigibilità – l’obbligazione di assicurare al cliente una prestazione di custodia effettuata secondo diligenza professionale (6).
• responsabilità per eventuali danni alla salute conseguenti all’esecuzione della prestazione: anche se è di comune percezione che alcune delle attività svolte nei centri estetici possono produrre effetti negativi per la salute (si pensi, ad esempio, all’esposizione alle lampade abbronzanti, ai tatuaggi e ai piercing), non sembra che gli operatori richiedano mai l’esibizione di specifica certificazione medica che attesti l’idoneità fisica del cliente a sopportare il trattamento. Nonostante non risulti l’esistenza di disposizioni di legge che prescrivano un preciso obbligo in tal senso, è opportuno che gli operatori abbiano coscienza della responsabilità che potrebbe essere loro addebitata, nel caso in cui un cliente risenta di un danno alla salute, ai sensi sia delle disposizioni sulla diligenza dell’adempimento, sia della disciplina generale sull’illecito aquiliano.
(6) Il Tribunale di Milano, 2 marzo 1998, ha ritenuto responsabile della sottrazione della pelliccia di una cliente il titolare dell'attività di parrucchiere, in quanto tale sottrazione era stata compiuta nel tempo necessario per il compimento del servizio e riposta in un apposito vano annesso a quello in cui veniva prestato il servizio. Di analogo contenuto la pronuncia della Corte di Cassazione del 27 febbraio 1984, n. 1389, che ha ravvisato la responsabilità del titolare di un negozio di parrucchiere nei confronti di una cliente la cui pelliccia, appesa al suo arrivo nel locale all'attaccapanni posto accanto all'ingresso, era stata sottratta da uno sconosciuto. Viceversa il Giudice di pace Catania, 28 aprile 1999, ha ritenuto che il titolare di una bottega di abbigliamento non potesse essere chiamato a rispondere del furto d'una borsetta lasciata imprudentemente nel camerino di prova da una cliente che se ne era liberata per indossare una gonna e aveva dimenticato di riprenderla.
5. Proposta di adozione di un “Decalogo del Centro”
Rilevati i caratteri accentuatamente fiduciari e informali dell’attività svolta dai piccoli centri estetici, appare del tutto fuori luogo proporre l’adozione di un modello contrattuale. Di contro, si ritiene opportuno proporre agli operatori l’adozione di un documento che tracci una sorta di autodisciplina dell’attività del centro di estetica e configuri i momenti essenziali delle condizioni generali di contratto che essi possono, se lo ritengono opportuno, scegliere di adottare per regolare le relazioni professionali con la clientela; in sostanza, una sorta di “carta
dei servizi” capace di rendere conoscibili e trasparenti le principali norme regolatrici del rapporto operatore/cliente. (vedi ALLEGATO A)
Parte II
I CENTRI (PALESTRE - CLUB – S.P.A.)
1. Definizioni
I Club sono complessi che mettono a disposizione degli associati spazi sportivi (come campi da tennis e piscine), sale equipaggiate con macchine (come bike, step, tapis roulant, cross), con vari attrezzi (come manubri e bilancieri) e con molteplici attrezzature (come panche, spalliere, ecc.), servizi (come vasche per l’idromassaggio, bagni turchi, trattamenti termali e saune), spazi accessori (ad esempio, parcheggi e aree verdi), aree ricreative (ad esempio, ristoranti e bar) e ulteriori servizi sussidiari (ad esempio, zone per intrattenimento bimbi).
L’estensione media dei Club va da mq. 513 a mq 1.196, di cui almeno la metà sono destinati allo svolgimento dell’attività fisica al coperto.
Le Palestre sono stabilimenti costituiti da spazi attrezzati per lo svolgimento di attività fisiche di tipo ginnico, da svolgersi anche con l’impiego delle macchine e degli strumenti richiamati nel precedente capoverso, con l’ausilio o non di basi musicali. L’estensione delle Palestre arriva fino a mq. 513, di cui almeno mq 326 sono destinati allo svolgimento dell’attività fisica al coperto, circa mq 97 a spogliatoi e mq 35 ad uffici. Il personale impegnato a diverso titolo va da … a… unità.
Le S.P.A. sono imprese che operano per il benessere e la cura del corpo, offrendo servizi legati essenzialmente all’impiego dell’acqua e, dunque, innanzitutto trattamenti termali ma,contemporaneamente, anche un grande spettro di servizi, come massaggi, idromassaggi, sauna, bagni turchi ed altro, volti a garantire la salute e realizzare l'armonia del corpo e della mente. La loro denominazione rappresenta l’acronimo di salus per aquam o di sanitas per aquam (in latino: salute per mezzo dell'acqua) ed è probabilmente lo stesso che spiega le origini del nome della cittadina belga Spa, nota per le sue fonti termali già ai tempi dei romani. L’estensione delle S.P.A. supera i mq 1.300. Il personale impegnato a diverso titolo va da … a… unità.
Le strutture di cui ai precedenti capoversi devono essere distinte dai Centri Sportivi riconosciuti dal C.O.N.I., i quali svolgono un’attività sottoposta a norme diverse e speciali, in quanto volte a regolare le diverse discipline sportive e, dunque, di contenuto nettamente differente da quelle relative all’area del benessere. Date queste peculiarità, il settore esula dall’interesse del presente studio.
2. Rapporti con il cliente/socio
Il rapporto tra il Centro e il cliente è disegnato, nella generalità dei casi esaminati, come una sorta di affiliazione. Momento caratteristico è il rilascio di una tessera che svolge la funzione sociale di attestare l’appartenenza al gruppo – chiuso ed esclusivo – dei frequentatori del Centro e risponde alla pratica necessità di fungere da documento di legittimazione per l’ingresso nella struttura.
L’immagine della palestra e/o del centro come un corpo sociale è spesso rafforzata da alcuni servizi e offerte aggiuntive (ad esempio: il diritto ad usufruire di sconti in esercizi commerciali convenzionati o la proposta di viaggi organizzati), con cui si mira ad esaltare l’appartenenza al gruppo e a soddisfare l’esigenza del cliente di darsi un’identità positiva, che lo assimili a quella frazione di società che cura la propria forma e tiene alla salute del proprio corpo.
Peraltro, la lettura dei moduli di “iscrizione” e dei regolamenti diretti a dettare le regole di comportamento da tenersi all’interno della struttura e a disciplinare l’uso delle sale ed apparecchiature ginniche svela immediatamente come questi centri/club/palestre/s.p.a. non presentino in alcun caso i caratteri dell’associazione e, di conseguenza, non siano giuridicamente qualificabili in tal modo. L’analisi del rapporto che lega il cliente al Club rende manifesta l’assenza di una qualsiasi posizione che sia assimilabile a quelle di un “socio” e che possa attribuirgli un pur minimo potere di influire né sull’attività della
xxxxxxxx, né sulla gestione degli spazi destinati al relax e alla socializzazione o sulle iniziative di carattere ricreativo. Manca, inoltre, qualsivoglia parvenza di un organo rappresentativo del corpo sociale. Al contrario, i documenti presi in esame mettono in evidenza che Club e Palestre non perseguono uno scopo ideale, ma hanno una finalità di lucro e la natura giuridica di imprese commerciali (7).
I clienti, quando “si associano”, acquistano semplicemente il diritto di entrare nella struttura, di utilizzarne i corredi e di esigere determinati servizi (8). La relazione negoziale socio/Centro nasce da “una domanda di iscrizione” che – secondo i principi generali della libertà contrattuale - il Centro ha il diritto di accettare o respingere, ad esempio in ragione della propria politica commerciale o dell’avvenuto raggiungimento del numero ottimale degli iscritti, o infine anche nel caso limite in cui sia in possesso di cattive informazioni su colui che si propone come cliente. Il rapporto che intercorre tra “iscritto” e Centro ha i caratteri di un contratto di scambio che prevede la messa a disposizione sia di locali e attrezzature, sia di prestazioni d'opera, contro il pagamento di un prezzo; questo viene pagato, spesso, nella forma di canone (mensile, bimestrale, annuale o altra scansione temporale) (9). Pertanto, presenta una serie di elementi peculiari che valgono a conferirgli un carattere proprio; si tratta di un contratto atipico, al quale si applicano così le norme del codice civile che dettano la disciplina generale del contratto, come le disposizioni speciali che regolano il contratto d’opera e le prestazioni di servizi, come anche – è utile ribadirlo -le disposizioni che disciplinano i rapporti tra gli operatori professionali e i consumatori/utenti, dettate dal Codice del consumo.
La stipulazione del contratto di “iscrizione” e il rilascio della tessera danno luogo a una posizione giuridica complessa, che presenta un contenuto variabile, in ragione dei caratteri della struttura e delle tipologie di servizi offerte alla clientela, oltre che delle esigenze del singolo “affiliato” (10). Il contratto individuale spesso richiama all’osservanza di un “regolamento”, le cui disposizioni svolgono la funzione di integrare e completare il testo negoziale per tutti gli aspetti che non sono esplicitamente e diversamente disciplinati (11). I cosiddetti “regolamenti” coprono un vasto ambito che va dai principi di buona educazione alle norme igieniche sull’uso degli spogliatoi e degli attrezzi, alle regole sull’ingresso nei locali del Centro e sull’uso delle strutture.
(7) Conformi a questa valutazione le seguenti sentenze della Corte Suprema: Cass., 3 ottobre 2005, n. 19309, e Xxxx. 28 marzo 2003, n. 4690.
(8) Si deve segnalare come, in qualche raro caso, al descritto contratto di “iscrizione” al centro si affianchi la parallela presenza di un rapporto con un’Associazione Sportiva Dilettantistica (ADS) iscritta al C.O.N.I., il che sembra configurare la possibile e contemporanea sussistenza di una seconda situazione giuridica, la cui disciplina fa capo alle disposizioni del diritto sportivo. Tuttavia, questo dato non è capace di modificare la qualificazione giuridica del rapporto contrattuale che è qui oggetto di analisi, che mantiene integri i suoi caratteri.
(9) Si veda Cass., 3 ottobre 2005, n. 19309, ove si legge che “il versamento della quota mensile costituisce soltanto una modalità di pagamento dei servizi offerti dalla palestra e non già uno strumento di selezione volto a riservare i predetti servizi ad un limitato e scelto numero di utenti”.
(10) Alcune volte il “socio” acquista semplicemente il diritto di accedere alla struttura per svolgere una specifica e singola attività, come ad esempi un corso di tennis o di ginnastica aerobica, altre volte può utilizzare tutte le strutture e tutti i servizi, altre volte ancora acuisce la facoltà di usufruire anche di strutture esterne. Quest’ultimo caso può verificarsi allorché il Centro interessato faccia parte di un circuito più ampio; si è riscontrato che i contratti prevedono, talvolta, il diritto del socio di accedere a tutti i Centri che vi appartengono ed, anche, il diritto di “trasferire gratuitamente in qualsiasi momento il suo abbonamento” ad uno di questi.
(11) Ad esempio, in uno dei contratti analizzati si legge: “Le modalità di fruizione del Club sono contenute nel Regolamento allegato”; in un altro, invece: “Ho preso visione ed approvo il Regolamento a tergo riportato, da intendersi parte integrante del presente contratto”.
3. La certificazione medica
Tutti i contratti analizzati richiedono che i propri clienti presentino un certificato medico attestante l’idoneità fisica all’esercizio di attività sportiva non agonistica. Tuttavia alcuni operatori profilano l’ipotesi che il cliente possa, comunque, svolgere qualche attività anche in assenza di tale certificazione e si preoccupano di inserire nei moduli
contrattuali una clausola che esonera il Centro da qualsiasi responsabilità per le eventuali conseguenze negative che dovessero conseguirne. La Commissione crede che una pattuizione con questo contenuto debba essere considerata nulla. Né la possibilità di una dichiarazione di invalidità è positivamente evitata quando – come si legge in qualche modulo, evidentemente stilato da una mano più attenta – la responsabilità del Centro viene limitata ai casi di “comprovato dolo o colpa grave” (12). Se è vero, infatti, che la validità delle clausole che dispongono in merito alla responsabilità del debitore è condizionata dalla previsione dell’art. 1229 c.c., che sancisce la nullità dei patti che preventivamente la escludono o la limitano nei casi di dolo e colpa grave, è altresì indubbio che – in materia di contratti con i consumatori – le clausole con questo contenuto sono comunque viste con speciale disfavore dal legislatore. La disciplina dettata dal Codice del consumo - artt. 33.2, lett. a) e b), e 36.2, lett. a) e b) – le prevede espressamente tra le pattuizioni capaci di introdurre un significativo squilibrio tra le parti e, non solo detta una presunzione di vessatorietà, ma le condanna anche quando siano state oggetto di trattativa.
La materia è molto delicata. Ritiene la Commissione che risponda al interesse dei Centri non solo esigere la certificazione medica, ma anche impedire che, in sua assenza, il socio possa svolgere qualsiasi attività. È altresì importante che gli operatori siano coscienti del fatto che la prestazione alla quale si impegnano verso i clienti li chiama a rispondere della loro salute e sicurezza secondo un criterio di diligenza professionale. Questa lettura implica che la produzione di una certificazione medica attestante la generica idoneità fisica all’esercizio di attività sportiva non agonistica non libera dal dovere di vigilare, in ogni caso, sullo svolgimento delle diverse attività in modo da impedire che il singolo cliente possa risentirne effetti negativi, a causa dell’esecuzione scorretta degli esercizi, oppure di uno sforzo fisico incompatibile con le sue capacità; ne deriva, dunque, che l’interesse degli operatori è meglio tutelato ove si chieda al cliente, eventualmente, una certificazione medica aggiuntiva, quando l’attività da lui prescelta richieda specifiche capacità e possa presentare rischi particolari oltre a quelli connessi ad una generica attività ginnica.
(12) Si allude ad una clausola di questo tenore: “La partecipazione del socio a tutte le attività o trattamenti disponibili presso il Centro in assenza o in presenza della certificazione avviene comunque a suo completo rischio e pericolo e il Centro non assume alcuna responsabilità per le conseguenze negative, fisiche e/o patrimoniali, che il socio dovesse subire a seguito del loro esercizio, ad eccezione dei casi di comprovato dolo o colpa grave del Centro”.
4. Il diritto di accedere ai locali
Dal contratto scaturisce, in primo luogo, il diritto del cliente di avere accesso al Centro e di utilizzarne le strutture, sotto la supervisione di un istruttore.
È questo l’elemento unificante e distintivo dei contratti oggetto di analisi in questa sede. Ma è necessario chiarirne alcuni aspetti:
1) l’accesso al Centro può essere illimitato ed esteso all’intero orario di apertura, oppure limitato ad alcuni giorni della settimana e/o ad alcune fasce orarie;
2) può essere previsto il diritto del socio di servirsi di tutte le strutture, ovvero alcune di esse possono essere escluse, in quanto il Centro abbia regolato il loro utilizzo con ulteriori e diverse pattuizioni;
3) nella gran parte dei contratti analizzati, il Centro si riserva la possibilità di utilizzare l’intera struttura o una sua parte per scopi diversi (ad es. feste private, spettacoli): dunque, nel contratto è presente una clausola che attribuisce al gestore il potere di sottrarre i locali al loro normale impiego e di negarne occasionalmente la disponibilità al cliente. Si deve considerare che tale previsione negoziale – quando è presente – non definisce alcun limite temporale né, spesso, di spazio (13).
Aspetti critici. Le limitazioni segnalate ai punti 1) e 2) rappresentano momenti essenziali per la definizione della consistenza del servizio prestato e, dunque, delle obbligazioni assunte dal gestore verso il cliente: in sostanza, valgono a determinare l’oggetto del
contratto. Tuttavia, esse raramente emergono dal modulo contrattuale sottoscritto dal cliente ma, più spesso, le si rintraccia negli allegati e, nella gran parte dei casi, nel cosiddetto “regolamento”. Poiché questa prassi potrebbe inficiare, anche gravemente, la chiarezza e la comprensibilità del testo, la Commissione sottolinea l’interesse del Centro a che gli elementi centrali del contratto costituiti dall’oggetto e dal corrispettivo siano, invece, fortemente evidenziati; una prassi come questa vale a porre al riparo dalle prescrizione dell’art. 34.2 cod. cons.
La limitazione segnalata al punto 3) può presentare anche più gravi tratti: una clausola con il contenuto descritto, infatti, pur quando non produce una totale sospensione del diritto di ingresso al Centro e di utilizzo delle strutture, dà luogo a una sua forte compressione e consegna il diritto del cliente di godere del servizio alla sola correttezza dell’operatore. Il gestore del Centro, in sostanza, si riserva il diritto di modulare la sue obbligazioni a seconda di eventuali sopravvenute esigenze di carattere commerciale e, al più, si impegna a darne generica comunicazione agli utenti con qualche giorno anticipo. Si tratta di una pattuizione che potrebbe essere ricondotta all’art. 33.2 cod. cons. lett. d), oppure lett. m) o, ancora, lett. v), ed essere giudicata vessatoria: la Commissione suggerisce pertanto di definire i limiti massimi di chiusura e contemporaneamente di offrire al cliente il recupero dei giorni persi.
(13) Ad esempio, in uno dei contratti analizzati si legge: “Nel corso del periodo convenuto può verificarsi una chiusura tecnica del Club e l’eventuale mancata utilizzazione degli impianti nel detto periodo è già stata considerata in diminuzione nel prezzo come sopra indicato. Non spetterà pertanto al Socio alcuna rivalsa”.
In un altro, invece: “Il Club si riserva il diritto di ospitare talvolta
eventi privati negli spazi del Club. In tal caso, qualora si renda opportuno modificare orari e di apertura e/o chiusura del Club, oppure modificare i normali programmi, il Club avrà facoltà di farlo previa comunicazione ai Soci mediante affissione di apposito avviso nella bacheca del Club. Ogni comunicazione al Socio sarà validamente effettuata mediante l’affissione di messaggi nella bacheca del Club”.
5. Gli istruttori e i servizi personalizzati
L’attività degli istruttori all’interno dei Centri è molto varia. Costoro, in primo luogo, sovrintendono all’utilizzo delle palestre e degli altri spazi destinati alle attività ginniche e sportive, alcune delle quali possono essere svolte solo in loro presenza e sotto la loro sorveglianza; quindi si occupano di tenere i corsi relativi alle diverse discipline sportive e svolgono un’attività di guida del cliente, consigliandogli le attività più appropriate, sulla base della sua forma fisica, del suo allenamento e del suo stato di salute. Nei Centri in cui vi è uno spazio dedicato a bambini e ragazzi, inoltre, gli istruttori svolgono spesso il compito di animare le loro attività e di vigilare sulla loro incolumità.
In sostanza, gli istruttori rappresentano uno degli elementi centrali per la corretta esecuzione delle obbligazioni assunte dall’operatore verso il cliente e su questi ausiliari fa perno la sicurezza delle attività che si svolgono nei centri.
Ma non basta. Deve infatti essere ricordata anche un’altra funzione tipicamente assolta con il ricorso all’opera dell’istruttore: al diritto di accedere ai locali e di poter fare conto sull’assistenza e la guida dell’ausiliario addetto alla specifica struttura, si somma, in quasi tutte le situazioni analizzate, la possibilità di godere di ulteriori servizi personalizzati; tra questi, spiccano le prestazioni rivolte ai singoli clienti, ai quali viene offerta l’opportunità di instaurare un rapporto individuale con un istruttore selezionato dal Centro. Tali servizi sono organizzati dal Centro con l’impiego di figure interne, ovvero con l’intervento di soggetti esterni e giuridicamente autonomi rispetto al operatore (14). Costoro, denominati personal trainers, sono soggetti qualificati che, valutato lo stato della forma fisica del cliente e delle sue esigenze individuali, costruiscono un programma specifico di allenamento e di mantenimento della forma fisica, in modo da conseguire il raggiungimento degli obiettivi prefissati. In questi casi, al contratto principale se ne accompagna un secondo, le cui sorti sono condizionate e strettamente dipendenti dal primo.
Si segnala che il rapporto negoziale del cliente con i personal trainers, nei moduli contrattuali analizzati viene costruito in modo che appaia totalmente autonomo dal
Centro, fino a stabilire – in alcuni casi – che il corrispettivo per l’utilizzazione del servizio deve essere pagato direttamente nelle loro mani, senza intermediazione del Centro, e che i collaboratori esterni sono responsabili personalmente ed in via esclusiva per qualsiasi conseguenza pregiudizievole dovesse derivare al cliente per l’esercizio della loro attività.
Aspetti critici.
La situazione descritta vede operare all’interno della struttura soggetti legati al club/palestra/s.p.a. da un rapporto di collaborazione – presumibilmente da una sorta di contratto di appalto di servizi – la cui attività appare senz’altro riconducibile alla sfera di attività del Centro, in quanto da esso direttamente organizzata e presentata alla clientela come momento qualificato della sua offerta commerciale. Ciò comporta che il Centro, in quanto operatore professionale, è responsabile della corretta del servizio e non può sottrarsi all’applicazione degli artt. 1228 e 1229 c.c., se non nei limiti di legge. Dunque, la validità delle relative clausole è condizionata dalla previsione che sancisce la nullità dei patti che escludono o limitano preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave. Si ricordi, infine, che la considerazione delle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto e del complessivo testo negoziale, come degli altri eventuali contratti collegati, può condurre ad un giudizio di vessatorietà di tutte le clausole che limitano e/o escludono la responsabilità del Centro per l’attività dei personal trainers, in quanto riconducibili alle previsioni di cui agli artt. 33.2 cod. cons., lett. a) e b) e 36.2 cod. cons., lett. a) e b).
Ne consegue l’opportunità di segnalare agli operatori che, ove si voglia conservare nei propri moduli contrattuali la previsione di una limitazione o di un esonero dalla responsabilità per il fatto degli istruttori ausiliari (personal trainers), è necessario almeno eccettuare, in modo espresso, dal suo ambito di operatività le ipotesi di dolo o colpa grave del Centro.
(14) Uno schema contrattuale volto a regolare il rapporto tra la palestra, nelle vesti di committente, e un altro soggetto nelle vesti di appaltatore, per lo svolgimento dell’attività di preparazione sportiva di terzi, è pubblicato in Contratto di addestramenti fisico in palestra, in I contratti, 2005, p. 842.
In qualche caso tra questi soggetti e il centro intercorre un rapporto di franchising. Accade, in particolare, laddove il centro sia parte di una più vasta organizzazione.
6. Lo svolgimento del rapporto
Il modello di cui all’Allegato B non ha previsto la possibilità di un rinnovo automatico del contratto. Tuttavia molti Centri prevedono questa ipotesi e, in verità, se l’iscrizione ha una durata particolarmente breve (da uno a tre mesi), non sembra possano esistere ostacoli a che il contratto possa prevedere, per una sola volta, il suo rinnovo tacito ed, anche, che ciò possa avvenire senza necessità di presentare un ulteriore certificazione medica. Ma, ove le imprese vogliano inserire una clausola con questo contenuto è opportuno prevedere sia che il cliente possa agevolmente comunicare la disdetta al fine di evitare la rinnovazione del contratto, sia che la tacita proroga non dipenda dalla fissazione di un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza e (art. 33.2 cod. cons., lett. i); possibilmente si consiglia di prevedere che possa essere data fino a un solo giorno precedente alla scadenza del contratto.
Alcuni moduli contrattuali attribuiscono al Centro il potere di modificare, nel tempo, le modalità di erogazione del servizio. Altri si riservano tale facoltà e la combinano con il rinnovo automatico: la possibilità di una variazione delle condizioni contrattuali relative alla propria offerta commerciale è prevista nel modulo in una clausola secondo la quale, in caso di conferma del cosiddetto abbonamento, si applicheranno le nuove condizioni (15). Anche questa seconda previsione può essere presente nel contratto e non pone problemi particolari, purché, accanto alle condizioni richiamate nel paragrafo precedente, sia previsto, da un lato, che l’eventuale modificazione dei prezzi e della prestazione del servizio venga portata a conoscenza del Cliente tempestivamente e con tutti i possibili mezzi (ad es. comunicazione personale, pubblicizzazione mediante affissione negli appositi spazi), e dall’altro, che l’operatività delle nuove condizioni sia
affiancata dal diritto di recedere dal contratto e/o di concordare con il Centro nuove modalità di erogazione del servizio.
Aspetti critici.
Differente da quella appena esposta è la situazione determinata dalle modificazioni del servizio che il Centro, in alcuni contratti, si riserva il diritto di adottare nel corso dell’esecuzione del contratto: ad esempio, la sostituzione degli insegnanti, la modificazione degli orari e altro (16). Evidentemente, alcuni di questi interventi possono rivestire primaria e decisiva importanza per il cliente e contribuire alla definizione degli stessi connotati essenziali delle prestazioni del Centro: conseguentemente, una loro modifica può alterarli fino a trasformare sostanzialmente l’oggetto del contratto e dell’obbligazione di servizio dell’operatore, così da non assicurare più la oggettiva conformità dello scambio al regolamento di interessi predisposto originariamente dalle parti. Possono essere tali, insomma, da costituire inconfutabile inadempimento ai sensi degli artt. 1218 e 1453 c.c. Oppure, il cambiamento può riguardare fattori che hanno rivestito una determinante influenza al fine di indurre il cliente ad iscriversi al Centro e ancora – da un punto di vista soggettivo restano cruciali (si pensi all’identità degli istruttori o agli orari di apertura). In questi casi la modificazione non potrebbe forse essere considerata inadempimento grave, ma non sarebbe comunque agevole qualificarlo di “scarsa importanza” ai sensi dell’art. 1455 c.c., che doverosamente impone una valutazione che abbia riguardo all’interesse dell’altra parte.
Pertanto, laddove l’operatore ritenga indispensabile l’inserimento nei propri moduli contrattuali di una o più clausole che gli consentano l’adozione unilaterale di modificazioni del servizio, lo si deve rendere edotto del possibile rischio di veder ricondotte tali pattuizioni alle ipotesi previste dall’art. 33. 2 cod. cons., lett. m) e lett. o). Anche in questo caso è opportuno suggerire fermamente il completamento di una tale previsione con il riconoscimento del diritto di recesso al socio che non apprezzi e non intenda accettare l’iniziativa unilaterale della controparte, né consentire alla revisione del contratto. È evidente, peraltro, che l’esercizio di tale recesso dovrà consentire il recupero delle somme già versate dal cliente all’operatore e relative ai servizi che non sono stati goduti e che non lo saranno in futuro.
Infine, è opportuno sconsigliare l’adozione delle formule che subordinano il diritto del cliente di sciogliersi dal contratto ai soli casi di “peggioramento sostanziale e grave” delle condizioni dell’abbonamento, in quanto generiche, poco trasparenti e foriere di probabili motivi di lite. In sostanza, il riconoscimento di un diritto di recesso condizionato alla gravità dell’inadempimento del Centro, magari accompagnato da una lista di esempi che il contratto definisce previamente “non gravi”, può ricondurre alle ipotesi previste dall’art. 33. 2 cod. cons., lett. m) e lett. o), già richiamate nel paragrafo che precede (17).
(15) Ad esempio, in uno dei contratti analizzati si legge: “Il Club ha la facoltà di modificare le tariffe degli abbonamenti o di alcuni servizi o di prevedere che servizi precedentemente inclusi nel prezzo dell’abbonamento siano pagati a parte con costo aggiuntivo. Il Socio, il cui contratto si sia rinnovato automaticamente, sarà tenuto a corrispondere il prezzo aggiornato”.
(16) Ad esempio, in uno dei contratti analizzati è inserita una clausola che riserva alla direzione il diritto di “modificare liberamente gli orari di apertura o di chiusura del Club, spostare gli orari dei corsi o ridurre le ore dedicate a ciascun corso e ciò senza alcun onere verso il Socio frequentatore”. In un altro: “L’orario dei corsi, apertura e chiusura del Centro potrà per motivi organizzativi subire variazioni”.
(17) In uno dei contratti analizzati appare una clausola del tipo descritto, ove dapprima si riconosce al cliente il diritto di recesso e, immediatamente dopo, se ne circoscrive l’area di esercizio in modo tale da privarlo della sua positiva funzione: “Il Club può avere la necessità di modificare temporaneamente o permanentemente le disposizioni del presente regolamento, al fine, tra gli altri, di garantire l’incolumità o la salute dei Soci, ovvero per ragioni operative. Tali modifiche verranno portate a conoscenza dei Soci nei modi più opportuni a seconda delle circostanze, tra le quali l’affissioni nei locali del Club. Nel caso in cui il Socio non concordi con le modifiche effettuate dal Club comportanti un peggioramento sostanziale e grave determinante delle condizioni del suo abbonamento, egli può cancellare o modificare il proprio abbonamento, in conformità con il successivo articolo. Non sono da considerarsi tali, a titolo di esempio, variazioni dell’orario e del tipo dei corsi, chiusura temporanea di parte del Club per motivi di manutenzione, manifestazione o altro”.
7. Sospensione e/o interruzione dell’attività del Centro
Molti contratti prevedono una clausola che regola l’ipotesi di chiusura, temporanea o definitiva, del Centro.
Con riferimento alla prima ipotesi, una parte dei testi correttamente riconosce il diritto del socio di sciogliersi dal contratto e di pretendere la restituzione della somma di danaro corrispondente alla quota di abbonamento corrispondente al periodo non utilizzato; alternativamente, i centri che fanno parte di un più vasto circuito, propongono al cliente l’opportunità di optare, a sua scelta, per il trasferimento in altro Centro. La chiusura temporanea del Centro viene altre volte regolata da una clausola che individua una soluzione di compromesso tra le ragioni dell’operatore professionale e l’opposta esigenza del cliente/socio di godere del servizio al quale ha diritto. Si legge in qualche contratto che il mancato accesso alle strutture del centro e alla piscina, dovuto ad esigenze organizzative del Centro, dà diritto a recuperare il periodo di tempo non goduto e alla proroga del termine finale del proprio abbonamento per un periodo corrispondente a quello del mancato godimento; ma quasi sempre tale previsione concerne la sola ipotesi che la chiusura del centro ecceda una misura predeterminata (nel caso di specie i trenta giorni) (18).
Aspetti critici.
A proposito di clausole che presentano il contenuto appena descritto, si deve richiamare l'attenzione sul fatto che il mancato godimento del diritto ad usufruire del servizio, protratto fino ad un mese e senza la previsione di alcuna misura volta a riparare la compressione del diritto del cliente, non solo determina un sensibile sbilanciamento fra le posizioni delle parti del rapporto contrattuale ma si allontana – non ragionevolmente – dalle previsioni codicistiche che regolano ipotesi simili e che prevedono per la controparte il diritto di ottenere la riduzione del corrispettivo e, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto (19). Questo discostarsi dalla disciplina delle situazioni analoghe rappresenta un dato che tradizionalmente è stato considerato dalla giurisprudenza come un indicatore di vessatorietà. Bisogna pertanto consigliare agli operatori di correggere le clausole che presentano un contenuto siffatto e di studiare, a vantaggio del cliente, gli opportuni accorgimenti compensativi del mancato godimento (20).
È opportuno, infine, segnalare che taluni contratti – un piccolo numero fra i tanti esaminati – includono clausole secondo le quali l’interruzione dell’attività o la sua sospensione, a qualunque causa dovute, non comportano per il cliente alcun rimborso: previsioni di questo genere portano ad uno squilibrio talmente pesante a svantaggio del consumatore da essere davvero sorprendenti (21).
Evidentemente, qui si è in presenza di una invalidità assoluta, che non può essere compensata in alcun modo.
Meno pesante, ma sempre di dubbia validità, è la clausola che prevede l’eventualità di un’interruzione dell’attività dovuta a cause di forza maggiore e/o non dipendenti dalla volontà del Centro e, ugualmente, stabilisce che il socio non ha comunque diritto ad alcun rimborso (22). Anche in questo caso si presenta un vistoso discostarsi dalle disposizioni codicistiche e, in particolare, dalla disciplina della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, che esonera l’operatore dal risarcimento dei danni e, tuttavia, prevede che egli proceda alla restituzione di quanto ha incassato per le prestazioni che non potrà erogare (art. 1463 c.c.)
Non si può dubitare che previsioni del genere di quelle descritte da ultimo, nel far gravare il rischio della cessazione dell’attività d’impresa interamente sulle spalle del cliente, determinano un grave e significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, tale da presentare un carattere vessatorio difficilmente compensabile da contrapposte clausole “buone” e vantaggiose per il consumatore. Pertanto, la Commissione ritiene che se ne debba proporre senza esitazioni la cancellazione.
(18) Ad esempio: “Nel caso in cui fosse necessario eseguire nel Club lavori di ristrutturazione permanente, riparazione, decorazione, migliorie, pulizie straordinarie, ovvero esercitarvi funzioni speciali o ricevimenti, comportanti la non utilizzabilità del Club per più di trenta giorni consecutivi, il Socio avrà diritto all’estensione del proprio abbonamento per un periodo pari al mancato utilizzo del Club”.
(19) Si allude, in particolare, alla disciplina che il codice civile detta per il caso analogo del locatario privato del godimento del bene a causa di “riparazioni urgenti”. L’art. 1583 stabilisce che, se “nel corso della locazione la cosa abbisogna di riparazioni che non possono differirsi fino al termine del contratto, il conduttore deve tollerarle anche quando importano privazione del godimento di parte della cosa locata”. La sottolineatura del dettato di legge sul requisito della inevitabilità dell’intervento (riparazioni che “non possono differirsi”) evidenzia anche l’eccezionalità della prevista compressione dei diritti del locatario, la cui posizione è regolata dal successivo art. 1584, che completa la disciplina regolando i diritti di questo soggetto in caso di riparazioni: “1. Se l'esecuzione delle riparazioni si protrae per oltre un sesto della durata della locazione e, in ogni caso, per oltre venti giorni, il conduttore ha diritto a una riduzione del corrispettivo, proporzionata all'intera durata delle riparazioni stesse e all'entità del mancato godimento. 2. Indipendentemente dalla sua durata, se l'esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia, il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto”.
(20) Ad esempio, ove la sospensione del servizio sia motivata dall’impiego dei locali per funzioni speciali che impediscano il normale svolgimento del servizio (come ricevimenti, congressi, esposizioni e simili), il Centro potrebbe offrire al Cliente la possibilità di estendere la propria iscrizione per un periodo superiore a quello di mancata esecuzione della propria prestazione (es. pari al doppio), tenendo comunque presente l’opportunità di fare salva la possibilità di esercitare il diritto di recesso, come previsto dall’articolo 17 delle Condizioni generali di contratto, pubblicate in questo volume.
(21) Ad esempio, in uno dei contratti analizzati si legge: “L’eventuale interruzione dell’attività non comporta alcun rimborso o recupero” per altri esempi vedi la clausola riportata alla nota 10.
(22) Ad esempio: “Per motivi di forza maggiore e non dipendenti dalla volontà del Club, lo stesso può trasformare l’attività e/o cessarla. Nel caso di cui sopra nulla è dovuto per intero o in parte della quota versata dal socio al Club.
8. Responsabilità del Centro
In quasi tutti i contratti sono presenti clausole di esonero o limitazione della responsabilità del Centro per eventi dannosi che dovessero verificarsi durante l’esercizio dell’attività e pregiudicare gli interessi del cliente. L’area è vasta: comprende i danni alla persona e quelli alle cose; i soggetti coinvolti e astrattamente imputabili sono, oltre la stessa impresa erogatrice del servizio, i suoi dipendenti e/o i suoi ausiliari e i terzi.
Nell’intento di salvaguardare gli interessi dell’operatore professionale, alcuni modelli contengono una semplice e secca previsione di esonero totale da qualsiasi responsabilità, a vantaggio del Centro e dei suoi dipendenti, per qualsiasi danno, sia esso alla persona del “socio”, sia alle cose di sua proprietà (23). In qualche caso, forse indotta da una precedente incresciosa esperienza, emerge la preoccupazione di dover rispondere per eventuali episodi di furto nelle aree pertinenziali (ad es. parcheggi adiacenti al Centro); ciò spinge l’estensore del testo contrattuale a precisare che l’esonero dalla responsabilità non ha limiti e valica lo spazio naturalmente coinvolto nell’attività svolta, per riconprendervi tutti gli episodi accaduti “tanto all’interno quanto all’esterno dei locali del Club” (24).
Talora, l’intendimento di cautelare il Centro si estende al di là di qualsiasi ragionevole limite, fino a prevedere l’esonero da responsabilità anche per i “furti o danneggiamenti” dei beni “depositati nelle cassette di sicurezza” messe a disposizione dei clienti (25).
Aspetti critici.
Occorre che i Centri abbiano consapevolezza che pattuizioni di esonero di una così vasta ampiezza non possono, né devono, essere inserite nei modelli contrattuali. Ancora una volta, queste clausole non servono ad una più efficace tutela degli interessi degli operatori e, al contrario, ne danneggiano l’immagine e li espongono ad azioni giudiziarie: è infatti indubbio sia che violano sia i principi generali espressi dalle disposizioni contenute negli artt. 1228 e 1229 c.c., già più volte richiamati, sia le disposizioni del Codice del consumo che prevedono la nullità di pieno diritto, pur quando siano state oggetto di trattativa, delle clausole che abbiano per oggetto o per effetto di escludere o limitare “la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista” e “le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di
inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista” (art. 33.2, lett. a) e lett. b), e art. 36.2, lett. a) e lett. b), cod. cons.).
L’importanza che le clausole sui danni alla persona e alle cose rivestono nei diversi moduli contrattuali e la particolare sensibilità degli operatori sui problemi che ne derivano, suggeriscono qualche ulteriore considerazione:
a) danni alla persona
La possibilità di un giudizio positivo è sempre esclusa quando le clausole di esonero riguardino un danno all’integrità fisica. Queste pattuizioni sono invalide da diversi punti di vista: perché adottate in violazione di una norma imperativa e/ o perché la loro causa è illecita in quanto mira a produrre un effetto contrario ai principi fondamentali e superiori dell’ordinamento. Il sistema giuridico prevede espressamente diverse ipotesi riconducibili a questo fondamento. Escludendo il richiamo delle ipotesi di reato che potrebbero configurarsi nei casi più gravi, sia sufficiente ricordare, a titolo di esempio, alcuni divieti volti alla tutela della salute e fondati sulla indisponibilità del bene che potrebbe essere leso dalla condotta negligente del debitore: nell’ambito del trasporto, il comma 2° dell’art. 1681 c.c. e gli artt. 415 e 498 c. nav., che dispongono la nullità delle clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscano la persona del viaggiatore; nella disciplina della locazione l’art. 1580 c.c., che dichiara senza effetto il patto con il quale il conduttore abbia previamente rinunciato ad avvalersi della garanzia dovuta del locatore per i vizi del bene e a chiedere la risoluzione del contratto, quando essi “espongono a serio pericolo” la sua salute o quelle dei suoi familiari; in tema di responsabilità extracontrattuale, l’art. 124 cod. cons., che commina la nullità di qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente la responsabilità del produttore verso il danneggiato per i danni cagionati da difetti del suo prodotto. La severità delle disposizioni richiamate, in conclusione, nasce da un principio fondamentale che non può in nessun caso essere attenuato da una previsione del contratto.
In concreto, dinanzi a uno specifico episodio, l’operatore professionale potrà liberarsi della responsabilità solamente fornendo la prova della propria totale estraneità, con la dimostrazione che l’evento dannoso è stato causato da una circostanza imprevedibile e inevitabile, avulsa dalla propria sfera di controllo, ovvero che è stato prodotto da un evento naturale a cui è stato impossibile far fronte, oppure è imputabile al fatto di un terzo del tutto estraneo alla propria organizzazione imprenditoriale (26).
In questa logica, si deve segnalare che anche le clausole che legano la responsabilità del Centro alla sussistenza di una sua “azione od omissione, dolosa o colposa” – se inserite in contratti con il consumatore, come lo sono quelli oggetto d’esame – possono ricadere nell’area delle clausole vessatorie ed essere giudicate nulle, in quanto alterano la disciplina di legge, in particolare quando attribuiscono al cliente l’onere di fornire la prova, che è particolarmente gravosa, della negligenza dell’impresa (27). Oppure, quando collegano a un comportamento doloso o colposo dell’impresa la responsabilità per la condotta illecita e dannosa tenuta dai dipendenti e dai collaboratori ausiliari nell’esercizio delle incombenze alle quali sono adibiti, in quanto in tal modo si modifica – a svantaggio del consumatore – la disciplina dettata dalla legge con il disposto sia dell’art. 1228 c.c., come dell’art. 2049 c.c., che fondano la responsabilità di “padroni e committenti” su criteri rigorosamente oggettivi (28).
b) danni alle cose
Il giudizio non può essere meno severo con riguardo alle clausole che mirano a elidere qualsiasi impegno di vigile attenzione del Centro sulle cose di proprietà dei clienti, soprattutto in considerazione del fatto che le attività che vi vengono svolte (nuoto, tennis, attività ginnica in palestra e simili) esigono naturalmente che i frequentatori si cambino d’abito e possano ragionevolmente contare sulla custodia dei propri effetti personali (29). La Commissione, anche in questo caso, ritiene che l’intento di alleviare la responsabilità del Centro non possa essere conseguito con tali strumenti, che si rivelano inopportuni e non rispondono ai suoi interessi.
Come si è già avuto occasione di segnalare a proposito dei piccoli centri estetici (30), è indiscusso che questi aspetti dell’attività di Club, S.P.A. e Palestre rientrano nell’area
delle norme sulla responsabilità degli albergatori che, secondo quanto disposto dall’art. 1786 c.c., “si applicano anche agli imprenditori di case di cura, stabilimenti di pubblici spettacoli, stabilimenti balneari, pensioni, trattorie, carrozze letto e simili” e dunque – non sembra dubbio – anche alle strutture nelle quali si svolgono attività legate al benessere.
A tal proposito deve essere ricordato che la disciplina del deposito in albergo prevede la possibilità di un’attenuazione della responsabilità dell’impresa per le cose che il cliente porta con sé, ma non tollera alcuna limitazione per le cose sono state consegnate agli addetti (31). Infine si deve tener presente il dettato dell’art. 1785-quater c.c., ai sensi della quale “sono nulli i patti o le dichiarazioni tendenti ad escludere o a limitare preventivamente la responsabilità dell'albergatore”.
Per di più, nel caso delle Palestre e dei Club, l’operatore non può fare conto sull’elemento delle “piccole dimensioni” dell’impresa, che in altre ipotesi, come per i piccoli centri estetici, potrebbe condurre il giudice a valutare con rigore attenuato – in ragione dei criteri di ragionevolezza ed esigibilità – la concreta capacità dell’impresa di garantire al cliente una prestazione di custodia da effettuarsi secondo il rigore della diligenza professionale.
In sintesi, è opportuno suggerire agli operatori di accertarsi che i moduli contrattuali impiegati ripettino senza eccezioni i limiti massimi dettati dalla legge con le disposizioni del codice civile già richiamate e con la speciale previsione dell’art. 1785 c.c., che esclude la responsabilità dell’operatore solamente “quando il deterioramento, la distruzione o la sottrazione sono dovuti: 1) al cliente, alle persone che l'accompagnano, che sono al suo servizio o che gli rendono visita; 2) a forza maggiore; 3) alla natura della cosa”. Le imprese potranno, inoltre, giovarsi del disposto dell’art. 1785-quinquies c.c., a mente del quale le disposizioni richiamate “non si applicano ai veicoli, alle cose lasciate negli stessi, né agli animali vivi”.
(23) Ad esempio: “Il socio solleva il Club e/o i dipendenti da ogni responsabilità per danni alla sua persona o per perdita, smarrimento, furto o danno di cose di sua proprietà”, o ancora “il socio, iscritto come sopra, solleva il Club e/o i dipendenti da ogni responsabilità per danni alla sua persona o perdita, smarrimento, furto o danno di cose di sua proprietà”.
(24) Ad esempio: “Il Centro è espressamente esonerato da ogni e qualsiasi responsabilità per oggetti e/o valori smarriti, furti, danni a persone e/o cose che si dovessero verificare tanto all’interno quanto all’esterno dei locali del Club. In particolare il Centro non risponderà per eventuali furti o danneggiamenti che si dovessero verificare anche nell’ipotesi in cui i beni sottratti o danneggiati fossero stati dagli utenti depositati nelle cassette di sicurezza a disposizione degli stessi”.
(25) V. la clausola riportata alla nota precedente.
(26) X. Xxxx. 00 febbraio 2003 , n. 2312, che ha ritenuto non sussistesse la responsabilità contrattuale del ristoratore in un caso in cui l'avventore di un ristorante aveva riportato danni alla persona a causa di una attività pericolosa svolta da alcuni clienti all'interno del locale (lancio di piatti a terra in occasione del Capodanno, a cui l'avventore rimasto ferito si era unito ed aveva partecipato, prima di rimanerne danneggiato).
(27) Può presentare tale carattere, in ragione del contenuto delle precisazioni esemplificative che seguono la clausola principale, una previsione come quella di seguito riportata a titolo di esempio, che pure si segnala tra quelle più rispettose delle prescrizioni di legge: “X é responsabile nei confronti del Socio e dei suoi ospiti per qualsiasi danno da costoro subito durante la permanenza nel Club che sia conseguenza di una azione od omissione dolosa o colposa di X.
X non è pertanto responsabile nei confronti dei Socio, dei suoi ospiti e dei loro aventi causa per i danni derivanti: a. da un comportamento del Socio o dell'ospite contrario alle norme di legge, al presente regolamento o a qualsiasi altra disposizione di volta in volta regolante il rapporto tra X ed il Socio o tra X e l'ospite e portate a loro conoscenza con le opportune modalità; b. da un comportamento del Socio o dell'ospite contrario alle normali regole di prudenza richieste per l'esercizio delle attività praticate nel Club;
c. da azioni od omissioni di terzi (a mero titolo di esempio, i personal treiners, l'impresa di pulizie, il personale addetto al reparto/bimbi, ecc,) salvo se dovute a dolo o colpa grave di X e, in tal caso, nei limiti della responsabilità attribuibile a X; d. da cause di forza maggiore al di la del ragionevole controllo di X”.
(28) V. il punto c) della clausola riportata alla nota che precede.
(29) Xx Xxxxx xx Xxxxxxxxxx (xxxxxxxx 0 ottobre 1991, n. 10393, e 9 novembre 1087, n. 8268) ha esaminato un caso di sottrazione di un soprabito che era stato appeso ad un attaccapanni in una sala del ristorante e ne ha affermato la responsabilità ai sensi degli artt. 1786, 1783, 1784 c.c. In
particolare la sentenza ha affermato il principio secondo il quale la responsabilità sussiste per tutte le cose delle quali, pur se non gli sono consegnate in custodia, è opportuno che il cliente si liberi per il miglior
godimento della prestazione (ad esempio: cappotto, cappello, ombrello), mentre restano sotto la diretta vigilanza del cliente tutte le altre cose che non costituiscono intralcio per la consumazione del pasto e della cui sottrazione il ristoratore non deve quindi rispondere. Parimenti Cass., 12 aprile 1978, n. 1740, ha ritenuto che la responsabilità dell'albergatore per le cose portate in albergo dai clienti si applichi anche al gestore di una sala da ballo provvista di "buffet".
(30) Si veda nella Parte I, paragrafo 4, e in particolare le pronunce citate in quella sede alla nota 6.
(31) Le disposizioni interessate sono dettate dagli artt. 1783 e 1784 c.c., di cui si ritiene opportuno riportare il testo per intero: art. 1783 c.c. – Responsabilità per le cose portate in albergo. “Gli albergatori sono responsabili di ogni deterioramento, distruzione o sottrazione delle cose portate dal cliente in albergo. Sono considerate cose portate in albergo: 1) le cose che vi si trovano durante il tempo nel quale il cliente dispone dell'alloggio; 2) le cose di cui l'albergatore, un membro della sua famiglia o un suo ausiliario assumono la custodia, fuori dell'albergo, durante il periodo di tempo in cui il cliente dispone dell'alloggio; 3) le cose di cui l'albergatore, un membro della sua famiglia o un suo ausiliario assumono la custodia sia nell'albergo, sia fuori dell'albergo, durante un periodo di tempo ragionevole, precedente o successivo a quello in cui il cliente dispone dell'alloggio. La responsabilità di cui al presente articolo è limitata al valore di quanto sia deteriorato, distrutto o sottratto, sino all'equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell'alloggio per giornata”. art. 1784, c.c. – Responsabilità per le cose consegnate e obblighi dell'albergatore. “La responsabilità dell'albergatore è illimitata: 1) quando le cose gli sono state consegnate in custodia; 2) quando ha rifiutato di ricevere in custodia cose che aveva l'obbligo di accettare. L'albergatore ha l'obbligo di accettare le carte- valori, il denaro contante e gli oggetti di valore; egli può rifiutarsi di riceverli soltanto se si tratti di oggetti pericolosi o che, tenuto conto della importanza e delle condizioni di gestione dell'albergo, abbiano valore eccessivo o natura ingombrante. L'albergatore può esigere che la cosa consegnatagli sia contenuta in un involucro chiuso o sigillato”.
9. Sottoscrizione delle clausole vessatorie ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c.
L’art. 1341 c.c., al secondo comma, prescrive che, allorché il contratto contenga clausole che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, “limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria”, tali clausole non hanno effetto se non sono “specificamente approvate per iscritto”.
Questa prescrizione trova la sua ragione d’essere non già – o non solo – nel contenuto delle clausole, che possono operare alla sola condizione che siano lecite, bensì nel particolare procedimento di formazione della volontà che connota i contratti per adesione. Data la predisposizione unilaterale e la destinazione del contratto ad una serie indeterminata di rapporti negoziali, per le clausole il cui contenuto è ritenuto più gravoso per l’aderente, l’impresa deve ottenere l’approvazione scritta e specifica di ognuna di esse.
Sulle concrete modalità di tale approvazione scritta esiste un orientamento giurisprudenziale consolidato, del quale bisogna prendere atto. Alle singole clausole previste dal secondo comma dell’art. 1341 c.c. i moduli e le condizioni generali di contratto devono fare un riferimento che abbia separata collocazione da quella dell’insieme delle altre pattuizioni e le renda chiaramente individuabili: ciò può essere fatto anche in un’unica frase e sia pure per mezzo del solo richiamo del numero d’ordine o della lettera, ovvero dell’oggetto o del titolo. Di contro, non soddisfa il requisito della specifica approvazione la sottoscrizione di una clausola che richiama genericamente gli artt. 1341 e 1342 c.c. e in generale tutte le clausole del contratto, senza distinguere tra clausole vessatorie e non (32). La Corte di Cassazione ha giudicato non conforme alla legge il richiamo numerico di quattordici condizioni generali di contratto su un insieme di diciotto, in quanto inadeguato a mettere in chiara evidenza le proposizioni da approvare specificamente (33).
Aspetti critici.
I moduli analizzati non sempre rispettano queste prescrizioni e si espongono, dunque, a veder giudicare prive di effetti anche le clausole che potrebbero superare il controllo di vessatorietà ma che, in mancanza di una sottoscrizione regolare, sono destinate ad essere inefficaci. Alcuni moduli, pur contenendo diverse clausole “critiche”, dimenticano del tutto la necessità della sottoscrizione separata; molti richiamano tutte o quasi tutte
le clausole del contratto rendendo vana la finalità di attrarre l’attenzione del cliente (34); altri adottano soluzioni più fantasiose, ma ugualmente inefficaci (35).
Poiché si riscontra una importante serie di prassi improprie, la Commissione sottolinea la necessità di informare le imprese sulla funzione della sottoscrizione richiesta dall’art. 1341 c.c. e sulle corrette modalità da adottare.
(32) V. per tutte Cass., 9 dicembre 1997, n. 12455, e Cass., 12 giugno 1998, n. 5860.
(33) Cass., 10 gennaio 1996, n. 166.
(34) Ad esempio, in un modulo che contiene un testo composto da un totale di 10 clausole si legge “Dopo attenta lettura il Socio dichiara di conoscere e approvare specificatamente le clausole degli articolo 2-3-4-5- 6-7-8-9 del su esteso contratto d’iscrizione”.
(35) Un modulo, nella parte finale di un testo composto da 10 punti, inserisce una proposizione che si presenta così: “DA SCRIVERE DI PROPRIO PUGNO:<con espressa approvazione dei patti di cui agli Artt.1-2- 3-4-5-6-7-8-9 10”, a cui seguono due righe in bianco destinate allo scopo. In un altro si legge: “Ai sensi e agli effetti degli articoli 1341 e 1342 c.c. il cliente dichiara di aver letto ed accettato integralmente le condizioni generali sopra descritte e di approvare esplicitamente tutte le clausole citate” (non vi è alcuna specifica “citazione”).
10. Clausole di deroga del foro competente
In questa materia, la formulazione più vastamente presente detta così: “Per qualsiasi controversia è competente l’autorità giudiziaria del luogo in cui è ubicato il Centro”. Si può ipotizzare che, nella gran parte dei casi, il luogo indicato in questo modo coincida con quello dove è domiciliato il consumatore, il quale verosimilmente sceglie di iscriversi ad un centro sito nel medesimo luogo dove abita; dunque si può ritenere che una clausola come quella riportata, nella generalità delle situazioni, non sia capace di produrre alcun concreto problema.
Tuttavia, è comunque opportuno ricordare alle imprese che l’art. 33.2 cod. cons., alla lett. u), inserisce tra le clausole vessatorie quella che stabilisce come sede del foro competente sulle controversie una “xxxxxxxx xxxxxxx xx xxxxxx xx xxxxxxxxx o domicilio elettivo del consumatore”. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (36) hanno stabilito trattarsi di “competenza territoriale esclusiva”, ma derogabile sulla base di una trattativa individuale, la cui prova è – evidentemente – assai ardua, quando la clausola di deroga del foro sia inserita in un modello contrattuale previamente disposto dall’impresa, come è nei casi qui esaminati. Peraltro, poiché la medesima Corte ritiene che la disposizione citata abbia natura di norma processuale, occorre essere avvertiti che il suo disposto si applica a tutte “le cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivanti da contratti stipulati prima" e, dunque, anche a situazioni avviate prima dell’entrata in vigore delle disposizioni sui contratti dei consumatori. In definitiva, il suggerimento più opportuno è quello dell’abolizione delle clausole sul foro competente.
(36) Cass. 1 gennaio 2003, n. 14669.
11. Informativa sulla privacy e prestazione del consenso
Molti Xxxxxx inseriscono nella parte finale dei loro contratti sia l’informativa relativa al trattamento dei dati personali, sia la formula per il consenso al trattamento. Altri, in numero ridotto, adottano uno specifico modulo.
Anche su questa materia, a fianco di alcune previsioni più limpide e rispettose degli adempimenti richiesti dal d. lgs. 30 giugno 2003, n, 196, se ne presentano alcune improprie e formulate in modo errato. In via generale, la lettura dei diversi modelli evidenzia ripetutamente alcuni problemi.
Il più diffuso nasce dalla prassi di sottoporre alla firma del cliente un modulo che non distingue le diverse tipologie di trattamento dei dati e, dunque, in concreto gli impedisce di consentire solo alle operazioni utili e necessarie per l’espletamento del servizio oggetto del contratto. Le previsioni delle quali si è riscontrato il più ampio impiego riguardano la comunicazione dei dati a terzi per i più diversi impieghi, spesso indicati genericamente come “finalità gestionali, statistiche, promozionali e commerciali”, altre volte si fa
riferimento allo scopo di “inviare materiale pubblicitario” e di “informare e aggiornare il socio su servizi e prodotti offerti dal Club”, in alcuni casi si chiede il consenso a che i dati siano “resi accessibili ad intermediari bancari e finanziari per fini di controllo dei rischi connessi all’attività creditizia e finanziaria”, ovvero “a società o persone fisiche incaricate del recupero crediti”.
La Commissione ritiene opportuno ricordare agli operatori che il Garante per la protezione dei dati personali ha più volte raccomandato di non raccogliere un eccesso di notizie e di limitare il trattamento dei dati alle sole informazioni strettamente pertinenti alle finalità perseguite. Il Garante ha altresì condannato l’adozione dei modelli che contengano formulazioni troppo generiche, ampie e al tempo stesso complesse, che hanno l'effetto di confondere gli interessati e di ostacolare una serena manifestazione di volontà, mentre è necessario che l’informativa sia semplice nel linguaggio e nel contenuto, specifica e collegata in modo immediato al servizio o alla prestazione richiesta dal cliente. Per rispettare tali direttive, la Commissione suggerisce l’adozione di un modulo che distingua la prestazione del consenso per le operazioni relative ai dati necessari ad eseguire il contratto, dall’autorizzazione dei trattamenti non strettamente connessi ai servizi richiesti contrattualmente (in riferimento, ad esempio, all'invio di materiale pubblicitario e, in genere, all'offerta di prodotti e servizi anche di società terze); in questo secondo caso il modulo dovrebbe altresì di chiarire che, in caso di denegata adesione, ciò non avrà riflessi negativi sul contratto medesimo. In sostanza: la formula di consenso, preceduta da una chiara e corretta informativa, dovrà essere precisa e ben articolata, con la previsione di specifiche opzioni per l'interessato; queste dovranno essere di tipo "positivo" e permettere di esprimere o di negare il consenso alle diverse operazioni. Si deve segnalare, infine, che qualche modulo contiene una generale autorizzazione del cliente all’utilizzo della propria immagine per fini di promozione commerciale, senza alcun limite temporale né alcuna indicazione sulla natura degli spazi nei quali tale utilizzo potrebbe avvenire (37). La Commissione ritiene che una tale clausola sia di assai dubbia validità e, comunque, del tutto inappropriata; nel rispetto delle indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali se ne suggerisce la cancellazione.
(37) La clausola in oggetto è così formulata: “Autorizzo il Centro a utilizzare a titolo gratuito la mia immagine, in foto o filmati individuali o collettivi, anche successivamente alla scadenza dell’abbonamento, esclusivamente per fini promozionali stabiliti dal Centro. Rilascio sin d’ora ampia liberatoria a favore del centro per l’uso della mia immagine ai suddetti fini”.
12. Le Condizioni generali di contratto e il modulo proposti
I documenti contrattuali devono pertanto fondarsi sulla scelta di semplificare, per quanto possibile, gli aspetti amministrativi della relazione fra Centri e Clienti, per promuoverne invece il carattere fiduciario: è convinzione della Commissione, infatti, che la gran parte dei problemi che possono ragionevolmente prospettarsi trovino quotidianamente soluzione, nella migliore prassi degli operatori, con la ricerca di una composizione bonaria che soddisfi così l’interesse a consolidare la propria reputazione presso il cliente, come le sue legittime aspettative.
Il modulo contrattuale deve contenere i soli elementi essenziali del contratto, in modo da determinare nel modo più chiaro le prestazioni alle quali le due parti si impegnano con la sottoscrizione. Per previsioni di maggiore dettaglio il modulo deve rinviare alle Condizioni generali di contratto e al Regolamento del Centro (ove questo ne sia dotato).
Le Condizioni generali di contratto ripropongono la regolazione delle materie più frequentemente presenti nei modelli che sono stati esaminati; ma, come era doveroso, sono stati esclusi tutti i possibili profili di vessatorietà e sono state curate con particolare attenzione la chiarezza e la comprensibilità del testo.
In particolare si segnalano i seguenti aspetti:
• è necessario il richiamo sin dai primi articoli dell’eventuale “Regolamento contenente le norme di gestione e di utilizzo dei locali e dei servizi a disposizione della clientela”. Tale
documento, che non può essere oggetto di una versione unica, uguale per tutti gli operatori, non deve riproporre profili di vessatorietà esclusi dal regolamento contrattuale.
• secondo la prassi prevalente deve essere possibile l’iscrizione di minori; va chiarito che resta ferma la facoltà dei singoli Centri di escludere questa possibilità;
• adeguatamente regolamentato deve essere il prerequisito della certificazione medica e l’onere di pretenderne la consegna, secondo le prassi migliori.
Parte III
LE ATTIVITÀ PER IL DIMAGRIMENTO
1. Alcuni connotati caratteristici dell’attività
Alcuni centri estetici si distinguono per il fatto di proporsi alla clientela come specializzati nelle attività volte a far dimagrire. Questo obiettivo, che viene assunto contrattualmente dall’operatore come un proprio preciso impegno negoziale, conferisce alla struttura caratteristiche proprie, ulteriori ed diverse da quelle che connotano la generalità dei centri estetici e il settore del benessere, i quali, caso mai, prospettano l’effetto del dimagrimento come esito secondario di un’attività volta al miglioramento del tono muscolare e della salute fisica. Il dato preminente – da segnalare con forza – è costituito dall’ambito dei potenziali clienti, che differisce da quello a cui si rivolgono gli altri Centri, in quanto qui vengono sollecitati prima di tutto coloro che hanno, o ritengono di avere, un problema di soprappeso e cercano una risposta decisiva per risolverlo. I clienti che aderiscono all’offerta commerciale dei centri per il dimagrimento sono spinti dalle proprie imperfezioni fisiche e da un senso di inadeguatezza che, poiché provoca forti implicazioni emotive e psichiche, li rende particolarmente deboli e vulnerabili.
I trattamenti proposti sono i più diversi, dai massaggi ai bagni turchi, alle saune, al linfodrenaggio, a bendaggi, all’utilizzo di macchinari e altro; questi, all’atto pratico, si accompagnano sempre ad indicazioni sulla dieta e sull’attività fisica, che vengono raccomandate e prescritte fin dalle prime sedute. Tale circostanza, però, non sempre emerge chiaramente dai messaggi pubblicitari diffusi dai centri dimagranti, nei quali sovente vengono utilizzate formule quali “senza ginnastica”, “senza fatica” e “senza stress”; queste espressioni, quando siano poste in primo piano, possono creare l’aspettativa che il risultato prospettato derivi esclusivamente dal trattamento estetico e favorire l’idea che il cliente, nello svolgimento del trattamento dimagrante, dovrà svolgere un ruolo del tutto passivo. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si è più volte occupata della pubblicità dei centri di dimagramento e molte volte ha condannato – in quanto ingannevoli – i messaggi con i quali, contrariamente al vero, si lascia intendere che, grazie al metodo o alle apparecchiature adottati, sia possibile perdere peso con molta rapidità, senza bisogno di ricorrere a trattamenti dietetici o a programmi di attività fisica, e che anche i consumatori con seri problemi di sovrappeso possano facilmente raggiungere la forma fisica ideale, spesso rappresentata anche fotograficamente nelle pubblicità (38). In altri casi l’Autorità ha rilevato gli estremi dell’ingannevolezza nei messaggi pubblicitari che impiegavano una terminologia evocativa di prestazioni cliniche (39), capace di indurre in errore i destinatari in merito alla pretesa effettuazione di visite mediche nella sede del centro e alle indicazioni relative allo svolgimento di prestazioni sanitarie presso il centro.
I moduli contrattuali impiegati dai centri di dimagrimento analizzati dalla Commissione rispecchiano i medesimi caratteri messi in luce dai provvedimenti dell’Autorità antitrust. Gli elementi caratteristici dei modelli esaminati sono seguenti: in tutti è indicato il risultato di “perdita minima prevista”, che viene comunemente determinata in centimetri e/o in chilogrammi, mentre in una seconda parte viene descritto il programma dei
trattamenti; molti prospettano il possibile intervento di una società finanziaria; alcuni operatori utilizzano una complicata modulistica che tende a raccogliere, spesso con l’impiego di vocaboli tipici del gergo clinico (40), una molteplicità di informazioni anche di carattere sanitario (41); solo qualcuno fa richiamo della necessità che il cliente consegni la consueta certificazione medica attestante l’idoneità fisica all’esercizio di attività sportiva non agonistica.
A questo impegno, invece, fanno sempre riferimento le Condizioni generali di contratto che, talvolta, qualificano il contenuto del certificato, richiedendo che venga specificamente attestata l’idoneità a svolgere i trattamenti programmati. Più frequentemente si è riscontrata la presenza di una clausola con la quale il cliente asserisce di essere stato informato dei trattamenti previsti e delle relative modalità di esecuzione e dichiara di essere in grado di svolgere tutto quanto è stato programmato (42). Vi si affianca l’abituale clausola di esonero da qualsiasi responsabilità della società fornitrice del servizio e, spesso, l’obbligo di adempiere al pagamento del corrispettivo comunque ed anche in caso di contraria certificazione medica.
Le condizioni generali di contratto relative a programmi di dimagrimento contengono solitamente un’ulteriore clausola – che assume un carattere tipizzante dei contratti di questo settore – con la quale viene stabilito un nesso tra il risultato promesso dall’operatore e il rispetto rigoroso, da parte del cliente, delle modalità indicate nel singolo programma dimagrante: in particolare, vi si legge che la “garanzia della perdita minima” opera solamente in ragione del regolare svolgimento della frequenza e della quantità delle sedute previste, accompagnato dall’impiego dei prodotti eventualmente definiti nello stesso programma dei trattamenti e attenendosi scrupolosamente alle disposizioni degli addetti.
(38) Fra i tanti interventi in materia di trattamenti e prodotti dimagranti, v. i provvedimenti n. 8123 del 2000, n. 8238 del 2000, n. 8315 del 2000, n. 8540 del 2000, n. 9012 del 2000, n. 10350 del 2002, n. 11062 del 2002.
(39) Nel provvedimento n. 10350 del 2002 l’Autorità rileva questo particolare aspetto di ingannevolezza in un volantino pubblicitario che prospettava un’attività di “anamnesi”, svolta da una apposita “consulente” e costituita da un’indagine, propedeutica ad ogni trattamento estetico o dimagrante, volta ad individuare “le caratteristiche fisiche, [...] le carenze energetiche, [...] i punti deboli” dei soggetti che si rivolgono al centro di bellezza, sulla base della loro età, struttura fisica e abitudini di vita.
(40) Ad esempio, i dati relativi all’altezza e al peso vengono definiti “dati metabolici” e le informazioni sull’attività fisica svolta e sulla fascia oraria nella quale verrà frequentato il centro sono parte di un settore denominato “check livello fisico”.
(41) Come, ad esempio, dati sul livello medio di insulina, sul “risultato del TSH”, sull’eventuale presenza di “malattie endocrine”, sulla glicemia e altro. La rilevazione di questi dati pone, evidentemente, anche tutti i delicati problemi che conseguono alla raccolta e al trattamento di dati sensibili.
(42) Nelle condizioni generali di contratto di un operatore così si legge: “La Cliente dichiara sotto la sua esclusiva responsabilità, essendone stata esaurientemente informata, di essere a piena conoscenza del contenuto e delle modalità relativi al programma di trattamenti prescelto, pertanto di essere in grado di eseguire quanto ivi previsto. In ogni caso, ferma restando l’efficacia vincolante del presente contratto dal momento della sua sottoscrizione, la Cliente si impegna a consegnare un certificato medico di idoneità all’effettuazione dei trattamenti programmati”.
2. - Aspetti critici
L’attività descritta da un lato comporta l’accentuazione di alcuni dei problemi già illustrati con riferimento ai centri estetici, alle palestre e ai club e, dall’altro lato, presenta alcune questioni particolari, estranee a quel settore.
Una prima osservazione riguarda la cura della salute del cliente, giacché i programmi di dimagrimento – tanto più ove siano accompagnati dall’assunzione di specifici prodotti o dall’impiego di creme o simili – possono mettere in serio pericolo la condizione fisica. Dunque, mentre deve essere ancor più accentuato il dovere del Centro di pretendere le necessarie certificazioni mediche, assume un particolare ruolo la necessità di informare adeguatamente i clienti non solo sui rischi, ma anche sull’esigenza di consultare un medico per accertare il proprio effettivo stato di salute e le eventuali incompatibilità. Queste potrebbero manifestarsi in relazione sia al trattamento, sia all'assunzione di
qualsiasi prodotto integrativo; di questi – vale la pena di sottolinearlo - il Centro deve fornire le avvertenze e stimolare a il Cliente a leggere quelle contenute sulle confezioni.
Inoltre, gli operatori devono essere coscienti del fatto che il dovere d'informazione gravante sul professionista che promette un preciso risultato ha un contenuto più ampio rispetto alle prestazioni alle quali si impegnano Palestre e Club, quando prospettano un generale miglioramento del tono fisico: in altri termini, il programma di dimagrimento offerto deve essere capace di migliorare effettivamente l'aspetto fisico del cliente e deve ripercuotersi favorevolmente nella sua vita di relazione. Da questo punto di vista, il dovere di informazione va oltre gli eventuali pericoli determinati dal programma di dimagrimento ed investe le ragioni che possono rendere inutile la prestazione del Centro in rapporto al risultato sperato dal cliente: in particolare, nel rapporto fra cliente e operatore professionale questo dovere concerne anche la conseguibilità o meno del miglioramento estetico desiderato dal cliente per soddisfare le esigenze della sua vita di relazione e della sua salute (43).
Quest’ultimo punto può rivestire una particolare importanza. Un’informazione negligente da parte degli addetti; la prospettazione di risultati che, alla luce dell’esperienza e delle conoscenze scientifiche, devono ritenersi – quando non impossibili – almeno improbabili; la definizione di un programma di trattamenti che esiga uno sforzo eccedente le attitudini fisiche del cliente e tale che la competenza professionale di un operatore estetico mediamente diligente valuterebbe sproporzionato; l’omissione di informazioni che si inserisca in un comportamento che generi nel cliente una rappresentazione alterata della realtà, in modo da indurlo a concludere il contratto; se questi elementi sono ravvisabili nella condotta commerciale del centro di dimagrimento e sono tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, si può configurare l’ipotesi prevista dall’art. 1439 c.c., che conduce all’annullabilità del contratto. Con tutto ciò si tenga conto anche del fatto che, nei casi più gravi, alcuni dei profili richiamati potrebbero assumere rilevanza penale.
Per concludere. La Commissione suggerisce che le imprese del settore, da un lato, facciano proprie le cautele che questo parere indica nella sua prima parte a tutti gli operatori e, d’altro lato, traggano dalle ultime osservazioni l’indicazione di agire secondo i canoni della più rigorosa correttezza professionale che, nella particolare area del dimagrimento, deve essere calibrata anche in ragione del coinvolgimento emozionale a cui è vistosamente esposta la potenziale clientela, resa tanto più vulnerabile perché motivata dalla ricerca di una risposta alle proprie imperfezioni fisiche e da un senso di inadeguatezza di fronte ai modelli sociali dominanti.
(43) Così la Corte di Cassazione descrive il dovere d'informazione del chirurgo estetico nei confronti di una paziente: Xxxx. 8 agosto 0000 , x. 0000.