L’AZIONARIATO DEI DIPENDENTI: UNA PROSPETTIVA
L’AZIONARIATO DEI DIPENDENTI: UNA PROSPETTIVA
DI DEMOCRAZIA ECONOMICA
di Xxxxxx XXXXXX*
Sommario: 1. 1. Introduzione. 2. L’antecedente storico dell’istituto: l’esperienza dei consigli di gestione. 3. Disciplina codicistica e prassi applicativa dell’azionariato dei dipendenti. 3.1 Attribuzione gratu- ita di azioni ex art. 2349 c.c.. 3.2 Sacrificio del diritto di opzione e sottoscrizione dei dipendenti ex art. 2441, comma 8, c.c.. 3.3 Assi- stenza finanziaria per acquisto di azioni proprie ex art. 2358, comma 8, c.c.. 4. Partecipazione azionaria e retribuzione. 5. Partecipazione azionaria e gestione dell’impresa. 6. Conclusioni.
1. Introduzione
La globalizzazione del mercato ha innescato una crescita esponenziale della concorrenza tra le imprese, in modo particolare nei paesi più svilup- pati, in cui si richiede un elevato stan- dard di innovazione e qualità nei pro- cessi di produzione. In tale scenario di
rinnovata competitività, un indubbio miglioramento delle potenzialità delle imprese potrebbe passare attraverso la predisposizione di un sistema più parte- cipativo, che coinvolga in maniera più approfondita i dipendenti nella vita im- prenditoriale1.
* Praticante avvocato.
1 G. M. CASMENTO, L’azionariato dei lavoratori dipen- denti in Italia, in Rivista giuridica di diritto del lavoro e della previdenza sociale, 3/2003 § 1.
In realtà, la partecipazione al ca- pitale, come via per modificare, in favore dei dipendenti, gli equilibri di potere nella gestione dell’impresa, è un’esperienza che ha trovato una limi- tata attuazione nei Paesi dell’Europa del Nord, come la Svezia, in cui sono stati istituiti dei fondi di partecipa- zione dei lavoratori, i quali possono, così, esercitare in via diretta il relati- vo potere gestionale. Altrove, invece, la partecipazione al capitale e la par- tecipazione alla gestione sono rimasti due aspetti distinti, che hanno vissuto una differente parabola di sviluppo. Ad esempio, nei paesi anglosassoni la partecipazione dei lavoratori al capi- tale è sempre stata interpretata come uno strumento per ridurre il cd. “moral hazzard”, ossia il rischio morale tipico dei contratti di agenzia. Infatti, il cd. agente principale, ossia l’azionista, cede al dipendente, qualificabile come agente subordinato, una porzione del proprio profitto, per assicurarsi da par- te sua un comportamento ottimale, in vista della massimizzazione del profitto medesimo. Quindi, l’acquisto di azioni da parte dei dipendenti funge unica- mente come strumento di partecipa- zione al capitale, non intaccando mini- mamente gli equilibri del management gestorio dell’impresa.
In Italia, dove l’assetto societario è prevalentemente caratterizzato da un azionariato poco diffuso, i princi- pali obiettivi della partecipazione dei dipendenti sarebbero sia la creazione di un clima aziendale maggiormente disteso e coeso, sia la possibilità, di non scarso rilievo considerando la cri- si, imperversante e la sempre maggio- re difficoltà ad ottenere crediti dalle banche, di reperire mezzi finanziari sicuri, attraverso un canale di finan- ziamento privilegiato, rappresentato,
appunto, dagli investimenti dei lavo- ratori. Da quest’ultimo punto di vista, infatti, l’azienda godrebbe di maggiore sicurezza nel collegare i propri mezzi finanziari ai propri dipendenti, i quali, dal canto loro, godrebbero di un flusso informativo sull’andamento della socie- tà pressoché diretto e tempestivo, per quanto spesso informale, riducendosi, così, sensibilmente il rischio legato ai loro investimenti.
2. L’antecedente storico dell’istituto: l’esperienza dei consigli di gestio- ne
È risaputo che l’idea di una parte- cipazione dei lavoratori al capitale, e di conseguenza anche alla gestione, dell’impresa sia stata tenuta in con- siderazione dal legislatore italiano sin dai tempi dei lavori dell’Assemblea Costituente. Infatti, il titolo terzo della parte prima della Costituzione, dedicato ai rapporti economici, si con- clude con tre articoli (artt. 45, 46 e 47 Cost.) concernenti la partecipazione dei lavoratori nella vita economica del Paese, ma sono in particolar modo gli ultimi due citati a riguardare da vici- no l’azionariato dei dipendenti, da un lato riconoscendo “il diritto dei lavora- tori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione del- le aziende” (art. 46 Cost.) e dall’altro incentivando “l’accesso del risparmio popolare […] al diretto e indiretto in- vestimento azionario nei grandi com- plessi produttivi del Paese” (art. 47 Cost.)2.
2 Entrambe le previsioni, che il legislatore costituente ha dedicato alla questione in oggetto, sono rimaste pressoché lettera morta, anche a causa dell’esaurimento
Il testo dell’articolo 46 è l’esito di un lungo dibattito tra gli esponenti delle diverse ideologie politiche che componevano la compagine dell’organo costituente; non a caso la sua formula- zione, a dir poco generica e program- matica, si presta facilmente a moltepli- ci interpretazioni, dovute appunto alla difficoltà di trovare un punto d’accordo tra i vari schieramenti politici. Tutta- via, per comprendere a pieno la porta- ta della prefata disposizione costituzio- nale non può prescindersi dal contesto socio economico concomitante alla sua formulazione, che ne ha rappresenta- to innegabilmente la principale fonte di ispirazione, ossia i cd. Consigli di gestione3. Questi sono stati considera- ti come il “potenziale embrione di un processo di regolazione istituzionale delle relazioni industriali”4. Detti or- ganismi hanno fatto la loro prima ap- parizione nel panorama istituzionale italiano durante la breve esperienza della Repubblica Sociale Italiana, che nell’atto stesso della sua fondazione ha riconosciuto il fallimento del previgente modello corporativo. Nel Manifesto di Verona, infatti, è stata stilata una lista di principi programmatici che avrebbe- ro dovuto ispirare l’azione di governo della Repubblica di Salò, ma che hanno dimostrato la loro validità anche oltre
la sussistenza di quest’ultima, diven- tando, così, un manifesto ideologico a lungo termine.5
In detto programma figurava il prin- cipio della partecipazione dei lavorato- ri alla gestione delle imprese, mediante forme di cooperazione.6 Nell’ottica del raggiungimento di tale obiettivo, in al- cuni casi sono state consolidate le pre- rogative delle commissioni di fabbrica già esistenti, in altri è stato ufficializ- zato il ruolo del consiglio di gestione come organo dell’impresa socializzata.7 In esso i lavoratori avevano diritto ad un numero di voti pari a quelli del capitale, anche se in caso di parità prevaleva la posizione scelta dal capo dell’impresa. Il consiglio di gestione deteneva, altre- sì, il potere di deliberare sulle questioni inerenti alla vita dell’impresa, nonché all’indirizzo e allo svolgimento della produzione. La sua elezione avveniva in base a liste formate dai sindacati co- munali delle singole categorie, affinché potesse realizzarsi la partecipazione dei lavoratori al potere di decisione sia nel- le questioni amministrative sia in quelle attinenti alle condizioni di lavoro. Tut- tavia, l’ostruzionismo della classe im- prenditoriale nonché l’immaturità del contesto socio-economico determinaro- no l’inevitabile fallimento del progetto partecipativo del Manifesto di Verona, del quale, in seguito, è stato conserva-
prematuro delle esperienze concrete che le avevano ispi- rate. X. XXXXXXXX, Forme e finalità dell’azionariato dei dipendenti nell’ordinamento italiano e nell’esperienza comparata, in Jus, 2/2000.
3 Per una più ampia panoramica sulla questione: X. XXXXXXXX, La partecipazione dei lavoratori in una pro- spettiva storica: i Consigli di gestione, in LD, 2/1997;
X. XXXXXXX, Alla ricerca di regole nelle relazioni industriali: breve storia di due fallimenti, in Storia del capitalismo in Italia dal dopoguerra ad oggi, Donzelli, Xxxx, 0000.
4 X. XXXXXXX, Alla ricerca di regole nelle relazioni industriali, cit. 505.
5 Per una disamina più approfondita di tale processo evolutivo A. V. XXXX (a cura di), La partecipazione azionaria dei dipendenti, Giappichelli Editore, Torino 2003, 89 e ss..
6 Tra gli altri obiettivi figuravano le espropriazioni terriere e il programma di rafforzamento del sistema cooperativo agricolo e di proprietà della casa.
7 Il legislatore prese atto e adottò in modo regolamen- tare tale progetto con il successivo decreto n. 375/1944 sulla “socializzazione delle imprese”, il quale sarebbe stato abrogato, il 17 aprile 1945, insieme a tutta la legi- slazione della Repubblica Sociale Italiana.
to soltanto il principio ispiratore. Non a caso, dove già operanti, i consigli di gestione non furono aboliti, continuan- do a riconoscere il diritto degli operai ad avere un ruolo nella gestione indu- striale.8 Per la predette ragioni, l’art.
46 Cost. ha finito per ridursi ad una norma di principio, sistematicamente ignorata negli anni successivi alla sua entrata in vigore. Alla base del proget- to di fare del lavoratore un collaborato- re della produzione e non più soltanto uno strumento, due erano gli elementi fondamentali: la sostituzione del termi- ne partecipazione con il termine “col- laborazione” e la precipua attenzione per le esigenze produttive. Tuttavia, il concetto di collaborazione ha finito per essere ricollegato a quello di solidarie- tà, allontanandosi così dalle intenzioni iniziali e facendo salvo il comando delle unità produttive, a dimostrazione della tesi secondo la quale, nelle realtà come l’impresa, non si può prescindere dalla conservazione di una scala gerarchica di compiti e responsabilità.9
L’art. 47 Cost., invece, nel primo comma si occupa della disciplina e del controllo del credito, allo scopo di in- coraggiare e tutelare il risparmio, men- tre nel secondo comma si occupa del- la collocazione del risparmio popolare ed è proprio questa la disposizione più rilevante ai fini dell’analisi che si sta
8 Tra i principali compiti dei consigli di gestione rientravano quelli attinenti all’orientamento produttivo, ossia ad essi spettava di suscitare il consenso e l’entu- siasmo della classe lavoratrice. Quindi, ben lungi dalla loro funzione più propriamente politica e concernente i rapporti esterni, essi divennero ben presto strumenti di controllo dei lavoratori stessi.
9 Così l’art. 46 Cost. ha finito per costituire soltanto un monito per lo Stato, al fine di riconoscere pari dignità al lavoro e al capitale nel contribuire all’esistenza e al buon andamento dell’impresa (A. V. XXXX (a cura di), La partecipazione azionaria dei dipendenti, cit, ibidem).
conducendo. L’obiettivo del legislatore costituente era, evidentemente, quello di incentivare un’economia partecipa- tiva in cui il risparmio popolare si sal- dasse con gli investimenti produttivi, favorendo la diffusione della proprietà, una migliore distribuzione dei redditi e maggiori responsabilità individuali e collettive.
3 . Disciplina codicistica e prassi ap- plicativa dell’azionariato dei di- pendenti
La disciplina codicistica del 1942, frutto del sistema corporativo, è ispira- ta ad un principio di solidarietà e colla- borazione tra classi, il quale ha trovato una delle sue espressioni caratteristiche proprio nella partecipazione dei lavora- tori al capitale d’impresa.10 Detta disci- plina trova la sua collocazione nel libro V, titolo V, capo V del codice civile, che è interamente dedicato alle società per azioni; invece manca il benché minimo riferimento ad essa nella parte dedicata al lavoro subordinato. Da questa inda- gine meramente formale, relativa alla collocazione delle norme d’interesse ai fini dell’oggetto in questione, è lecito dedurre che l’intenzione del legislato- re del ’42 è stata quella di limitare la partecipazione ad un profilo meramen- te economico, continuando a riservare, in via esclusiva, l’assetto gestionale al solo imprenditore, in qualità di “capo dell’impresa”, ex art. 2086 c.c.
10 A. V. XXXX (a cura di), La partecipazione azionaria dei dipendenti, cit, 111 e ss.
3.1 Attribuzione gratuita di azioni ex art. 2349 c.c.
L’art. 2349, comma 1, c.c., concer- nente le cd. azioni a favore dei pre- statori di lavoro,11 disciplina un pro- cedimento che consta di due fasi.12 È stabilito, infatti, che, se lo statuto lo prevede13, l’assemblea straordinaria14 può deliberare l’assegnazione di utili ai prestatori di lavoro dipendenti. Quindi, la prima fase del procedimento consiste in una delibera con cui si stabilisce di non distribuire ai soci gli utili maturati e risultanti dal bilancio d’esercizio re- golarmente approvato, bensì di accan- tonarli in apposita riserva, destinata in favore dei lavoratori.
La seconda fase del procedimento, invece, consta di una delibera con cui la predetta riserva viene imputata a capitale, mediante l’emissione di azio- ni da assegnare ai prestatori di lavoro. A ben vedere, si tratta di un aumento
gratuito del capitale15, che, tuttavia, deroga alla disciplina ordinaria di cui all’art. 2442 c.c., sotto due aspetti: innanzitutto, le azioni di nuova emis- sione non sono assegnate agli azionisti (comma 2 del predetto articolo), bensì a terzi (tali dovendosi considerare i la- voratori dipendenti della società rispet- to ai soci); in secondo luogo, le azioni di nuova emissione non devono neces- sariamente avere le medesime caratte- ristiche di quelle già in circolazione, in ossequio al cd. principio di omogeneità, ma possono anche essere azioni specia- li.16
È interessante rilevare, altresì, che il legislatore prevede un’assegnazione individuale e nominativa, con la conse- guenza che deve ritenersi inammissibile un’assegnazione in comproprietà a tutti i lavoratori o ad un’intera categoria. Il che vuol dire che detta assegnazione non deve necessariamente coinvolgere
11 Trattandosi di assegnazione gratuita, evidentemente il legislatore ha voluto evidenziare la differenza tra l’ipo- tesi di cui all’art. 2349 c.c. e quella disciplinata dall’art. 2099, ult. comma, cc., secondo il quale il prestatore di lavoro può essere retribuito anche tramite partecipazione agli utili. Nel primo caso, quindi, si avrebbe un’asse- gnazione una tantum, mentre nel secondo una vera e propria interessenza, dovuta a titolo di compenso per il lavoro prestato.
12 X. XXXXXXXX - X. XXXXXXXXX, Le società di capitali e le cooperative, tomo I, Cedam Padova, 2015, cap. VI, 243-245.
13 In mancanza, occorrerà un’apposita preventiva mo- difica statutaria. E’ stata, tuttavia, ritenuta legittima una deliberazione contestuale di modificazione dello statuto, con inserimento della relativa clausola, e di assegnazione degli utili maturati ai dipendenti (X. XXXX - X. XXXXXXXXX, Commentario breve al Codice Civile, Cedam, Padova, 2014, art. 2349 c.c.).
14 Normalmente, la competenza a decidere sulla sorte degli utili maturati durante l’esercizio sociale, sia essa in- dirizzata verso l’accantonamento oppure la distribuzione, spetta all’assemblea ordinaria, mentre nella fattispecie in analisi spetta all’assemblea straordinaria.
15 Detta assegnazione ha natura di atto di liberalità, eccezionalmente consentito alle società di capitali (cf.
X. xx. FERRARA - X. XXXXX, Gli imprenditori e le società, Xxxxxxx Milano, 2011; X. XXXXXXX, Diritto Commerciale, I, 2, Cedam, Padova, 1999).
16 In virtù del principio di libera determinazione del contenuto delle azioni speciali, ex art. 2348, comma 2, c.c., l’assemblea deliberante potrà liberamente determi- narne il contenuto, sia con riferimento ai diritti di natura patrimoniale, sia con riferimento a quelli di natura ammi- nistrativa. Particolarmente discusso è il riconoscimento del diritto di voto e del diritto di opzione. Un primo orientamento propende per il riconoscimento di detti diritti, essendo essi connaturali ad ogni azione, nonché elemento fondamentale per contribuire alla formazione della volontà sociale. All’interno di questa corrente di pensiero c’è chi ammette la possibilità che le azioni in questione abbiano un voto limitato, come espressamente previsto dall’art. 2351 c.c., provocando, così, la questio- ne conseguente se la limitazione del voto debba essere compensata da diritti patrimoniali particolari o meno. Un altro orientamento, invece, in base al prefato principio ex art. 2348 c.c, ritiene che le azioni oggetto di assegnazione gratuita possano essere completamente prive del diritto di voto. Analoghe considerazioni, ovviamente, possono svolgersi a proposito del diritto di opzione.
l’intera collettività dei dipendenti17, potendo beneficiare anche soltanto al- cuni prestatori che presentano parti- colari requisiti, o il medesimo livello o qualifica.
Tale istituto, tuttavia, non ha mai trovato larga diffusione nella prassi, sia perché gli imprenditori hanno sempre preferito coinvolgere i dipendenti con forme di azionariato a pagamento, sia per il manifesto disinteresse della giu- risprudenza, che molto raramente si è occupata della fattispecie, rendendo così insicuro il ricorso ad una norma scarsamente collaudata.
3.2. Sacrificio del diritto di opzione e sottoscrizione dei dipendenti ex art. 2441, comma 8, c.c.
Oltre che con l’assegnazione stra- ordinaria e gratuita di azioni, ex art. 2349 c.c., la disciplina codicistica pre- vede che i dipendenti possano diven- tare azionisti della società, presso la quale prestano servizio, partecipando ad operazioni di ricapitalizzazione. Questa ipotesi è prevista dall’art. 2441, comma 8, c.c.18, secondo il quale, con deliberazione assembleare, assunta con il quorum deliberativo prescritto per le
17 Si discute se ci si debba attenere ad una interpreta- zione prettamente letterale della disposizione normativa, così da coinvolgere solo coloro che sono legati alla società da un rapporto di lavoro subordinato, oppure se tale operazione possa interessare anche dipendenti parasubordinati o interinali (X. XXXX - X. XXXXXXXXX, Commentario breve al Codice Civile, cit.).
18 Detta xxxxx ha assunto l’attuale formulazione a seguito delle modifiche intervenute ad opera dell’art. 2, comma 1, lett. d), d. lgs. 11 ottobre 2012, n. 184, mentre la sua versione originaria prevedeva che il diritto di op- zione potesse essere escluso limitatamente ad un quarto delle azioni di nuova emissione e che il superamento di detta soglia potesse essere approvato solo con un quorum deliberativo qualificato.
assemblee straordinarie, può essere escluso il diritto di opzione19 sulle azioni di nuova emissione, se queste vengono destinate alla sottoscrizione da parte dei dipendenti della società medesima. Si tratta di un’eccezione rispetto alle previsioni dell’art. 2441, commi 4 e 5, c.c., le quali, pure, comportano un sacrificio del diritto di opzione dei soci, sebbene per ragioni differenti.20 In tal caso la giustificazione è in re ipsa, sen- za qualsivoglia necessità di una moti- vazione espressa, e coincide, appunto, con l’interesse della società a favorire l’azionariato dei dipendenti.21 Dalla col- locazione di tale prescrizione nel tes- suto dell’art. 2441 c.c., oltre che dalla sua sopra esposta natura eccezionale, può legittimamente dedursi che in tale ipotesi non deve seguirsi il procedimen- to descritto nel precedente comma 6,22
19 La ratio del diritto di opzione, disciplinato appunto dall’art. 2441 c.c., è quella di garantire ai soci di non vedere diminuita la misura della propria partecipazione al voto e agli utili, in caso di emissione di nuove azioni. Infatti, il primo comma del predetto articolo stabilisce che, nelle ipotesi ordinarie di ricapitalizzazione mediante deliberazione di un aumento a titolo oneroso del capitale, le nuove azioni debbano essere offerte in opzione ai soci, in proporzione alla partecipazione già detenuta. Con l’esercizio del diritto in questione, i soci hanno modo di mantenere inalterata la propria quota di capitale.
20 Il comma 4 dell’art. 2441 c.c. prevede la possibilità di limitare, o addirittura sacrificare, il diritto di opzione dei soci in concomitanza di conferimenti in natura, mentre il successivo comma 5 prevede le medesime possibilità quando sussiste un interesse della società che deve essere specificamente motivato (X. XXXXXXXX - X. XXXXXXXXX, Le società di capitali, cit., tomo II, 770 e ss.).
21 X. XXXXXXXXXX, Diritto Commerciale, 2, Diritto
delle società, Utet, Torino, 2009, 512.
22 Per una disamina dettagliata del procedimento di deliberazione di aumento del capitale a titolo oneroso, con sacrificio del diritto di opzione, nonché della relativa documentazione aggiuntiva (relazione illustrativa degli amministratori, relazione di stima in caso di conferimento in natura, parere del collegio sindacale ed eventualmente del soggetto incaricato della revisione legale dei conti) e dei termini; X. XXXX - X. XXXXXXXXX, Commentario breve,
né tanto meno deve necessariamente prevedersi il sovrapprezzo23 nella de- terminazione del prezzo di emissione.
La poca giurisprudenza,24 che ha preso in esame la fattispecie in que- stione, ha ammesso la liceità di even- tuali patti parasociali, stipulati tra la società e i propri dipendenti, in sede di sottoscrizione delle nuove azioni, che prevedano per un periodo predetermi- nato e limitato, l’intrasferibilità delle azioni medesime, allo scopo di avvan- taggiare i dipendenti ritenuti meritevo- li di fiducia, ma allo stesso tempo per consentire alla società di mantenere un certo controllo sulla composizione della compagine sociale ed evitare operazio- ni speculative.
In ogni caso, va precisato che, tra tutte le ipotesi di esclusione del diritto di opzione, quella prevista dall’ultimo comma dell’art. 2441 c.c. è senz’altro la meno frequente nella prassi.
3.3. Assistenza finanziaria per acqui- sto di azioni proprie ex art. 2358, comma 8, c.c.
La terza norma del codice civile, che prevede espressamente un coin- volgimento dei lavoratori dipendenti nell’assegnazione delle azioni, è l’art.
2358, comma 8, c.c. Si tratta di una delle disposizioni che compongono la disciplina relativa alle operazioni sulle azioni proprie. In origine era fatto as- soluto divieto alle società di prestare assistenza finanziaria25 per l’acquisto o la sottoscrizione, da parte di terzi o di soci, delle azioni proprie.26 In seguito ad una recente riforma,27 la formulazio- ne del predetto articolo risulta modifi- cata e il divieto in esso contenuto non è più assoluto, purché, tuttavia, vengano rispettate le prescrizioni descritte nella norma medesima, perché è rimasta in- variata la ratio che ha ispirato la caute- la del legislatore in relazione a questo tipo di operazioni. Il principale rischio, infatti, derivante dall’acquisto di azioni proprie, o anche da altre operazioni ad esse relative, è rappresentato dal cd. “annacquamento” del capitale sociale, ossia una variazione del patrimonio, o capitale reale, senza che ad essa cor- risponda una proporzionale variazione del capitale nominale.28
Ciò che rileva, ai fini dell’indagine in corso, è che, sia prima che dopo la riforma, l’art. 2358 ha sempre previsto che la disciplina limitativa in questione non trova applicazione nell’ipotesi in cui l’operazione sia destinata a favorire l’acquisto delle azioni proprie da par-
cit., 3058 art. 2441 c.c., X. XXXXXXXX - X. XXXXXXXXX, Xx
società di capitali, cit., ibidem.
23 In ogni caso di esclusione del diritto di opzione, le azioni, ex art. 2441, comma 6, c.c., devono essere emesse ad un prezzo che tenga conto anche del valore del patrimonio netto e, in caso di società che ricorrono al mercato di capitale di rischio, dell’andamento delle quotazioni dell’ultimo semestre. Invece, le azioni offerte ai dipendenti vengono emesse ad un prezzo pari al loro valore nominale, che normalmente è di molto inferiore rispetto al loro valore reale.
24 A titolo esemplificativo Trib. Torino 8/5/1996, G. it.97, I, 2, 24.
25 Sia accordando prestiti (cioè finanziamenti di qual- siasi tipo) sia fornendo garanzie, reali o personali.
26 Stesso discorso valeva, altresì, per i casi di sottoscri- zione indiretta, ossia compiuta da terzi in nome proprio ma per conto della società.
27 D. lgs. 14 agosto 2008, n. 142, in attuazione della direttiva comunitaria 2006/68/CE.
28 Se, infatti, si consentisse alla società di accordare, indiscriminatamente, prestiti o garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, si rischierebbe di creare aumenti di capitale meramente apparenti, perché effettuati con conferimenti che, anziché provenire da sottoscrittori terzi, derivano dalle risorse della società medesima.
te dei lavoratori dipendenti, oppure da parte di quelli delle società controllanti o controllate, restando salva l’applica- zione del comma 6.29 Merita di essere evidenziata, altresì, la circostanza che la norma in questione, a tali condizioni, consente non soltanto l’accettazione di prestiti, ma anche l’accettazione di azioni proprie in garanzia.
4. Partecipazione azionaria e retri- buzione
Si è già avuto modo di precisare30 la differenza che sussiste tra la forma di salario variabile, prevista dall’art. 2099, ult. comma, c.c., e l’azionaria- to dei dipendenti. La prima fattispecie, pur trasferendo in capo ai dipendenti una parte dei rischi di impresa, non al- tera minimamente la causa tipica del contratto di lavoro subordinato, con- sistente nel sinallagma tra prestazione lavorativa e retribuzione. La seconda, invece, implica una vera e propria ade- sione del lavoratore al capitale di ri- schio, sia tramite l’accesso diretto alla proprietà dell’azienda, sia mediante la partecipazione indiretta ai risultati economici, sotto forma di dividendi31.
29 Detto comma prescrive che l’importo complessivo delle somme impiegate e delle garanzie prestate, ai sensi della disciplina in oggetto, non può eccedere il limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili, risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato.
30 Vedi nota 11.
31 Nel primo caso, la retribuzione incentivante è legata alla mera produttività del singolo prestatore, non esercitando su di essa alcuna incidenza la partecipazione dei lavoratori alle scelte organizzative. Nel secondo caso, invece, sebbene il profitto dei lavoratori sia comunque sensibile all’aumento del valore di mercato dei titoli della società e, di conseguenza, anche alla produttività della stessa, i lavoratori medesimi, in quanto anche azionisti, sono direttamente partecipi della gestione aziendale (X. XXXXXXXXX VIGORITA, Azionariato dei dipendenti: nozione
Operazioni di apertura ai lavorato- ri del capitale azionario, collegate alla retribuzione, costituiscono uno dei più probabili canali di diffusione del feno- meno in questione.32 Tale collegamento può dar luogo a due tipologie fondamen- tali di relazione. La prima, di tipo indi- retto e meramente eventuale, ricorre quando il prestatore di lavoro ha la pos- sibilità di utilizzare parte del proprio salario per acquistare delle azioni.33 La seconda, invece, di tipo diretto e so- stitutivo, consiste in una vera e propria “retribuzione azionaria”, ossia la pre- stazione retributiva del datore di lavoro viene, in parte, adempiuta attraverso l’assegnazione di azioni. Tanto può av- venire, per esempio, quando l’impre- sa è obbligata a versare azioni in una quantità indeterminata, per un valore di mercato che, invece, viene predeter- minato sin dal momento dell’accordo.34 Un’altra ipotesi si ha nel caso in cui l’oggetto della prestazione obbligatoria del datore di lavoro viene identificato con il valore nominale delle azioni, pre-
e profili di diritto del lavoro, in Diritto delle relazioni industriali, 1/2000).
32 X. XXXXXX, La partecipazione azionaria dei lavora- tori. Retribuzione, rischio e controlli, Xxxxxxx, Milano, 1998, 127 e ss.
33 In tal caso, il lavoratore ha semplicemente la fa- coltà di impiegare una frazione del proprio salario per acquistare una quota di capitale della società per la quale lavora, senza esservi giuridicamente obbligato e, quindi, senza sopportare l’incidenza del rischio dell’investimento azionario sulla propria retribuzione.
34 In questi casi, anche se l’adempimento della pre- stazione retributiva del datore di lavoro, tipicamente pecuniaria, viene adempiuta tramite assegnazione di azioni, è certo sin da subito il controvalore in denaro, corrispondente, appunto, al valore di mercato. Quando tale forma di adempimento è rimessa alla libera facoltà dell’impresa, ci si trova dinanzi ad una tipica obbligazio- ne alternativa, ex art. 1285 c.c., o con facoltà alternativa (nel caso in cui, pur essendo unica la prestazione dedotta in obbligazione, il debitore ha la facoltà di liberarsi eseguendone un’altra diversa).
scindendo completamente dal valore reale di mercato. In tal caso, tuttavia, la retribuzione è molto rischiosa, in quanto il suo controvalore pecuniario non viene predeterminato, bensì di- pende unicamente dall’andamento del mercato azionario.
Una terza ipotesi, cd. di “salario variabile”, ricorre quando si stabilisce che le azioni da erogare costituiscano solo un elemento retributivo aggiunti- vo, ferma restano una base fissa e pre- determinata di retribuzione.
Un’ulteriore ipotesi è quella in cui vengono effettuate delle trattenute sul salario o sulle quote di trattamento di fine rapporto (art. 2120 c.c.), da desti- narsi all’acquisto di azioni. Tale desti- nazione non modifica la qualificazione, in termini di retribuzione, della quota impiegata per l’acquisto.35
5. Partecipazione azionaria e gestio- ne dell’impresa
La scarsa attuazione pratica dell’azionariato, ma soprattutto le re- more della classe imprenditoriale hanno fatto sì che la partecipazione azionaria e la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, per quanto co- stituiscano due fenomeni strettamente interconnessi, si sviluppassero a due ve- locità differenti. Se, infatti, la prima ha goduto di alcune significative sperimen-
35 Normalmente la ritenuta costituisce un’operazione contabile mediante la quale vengono effettuati, dal datore di lavoro, pagamenti verso terzi dovuti dal lavoratore (si pensi all’obbligazione contributiva verso l’I.N.P.S.). Nel caso di specie, invece, la ritenuta realizza una vera e propria compensazione (artt. 1241 e ss. c.c.) tra una porzione dell’obbligazione retributiva, gravante sul datore di lavoro, e l’obbligo di corrispondere il prezzo delle azioni, gravante sul lavoratore.
tazioni, la seconda ha incontrato molte più difficoltà sul piano attuativo.
Il principale strumento che consen- te ai dipendenti azionisti di interveni- re attivamente nella gestione dell’im- presa è, senz’altro, il diritto di voto. Tuttavia, come si è già avuto modo di anticipare,36 poiché in caso di assegna- zione gratuita delle azioni ai lavoratori, data l’eccezionalità della previsione, non vige il principio di omogeneità tipi- co dell’aumento gratuito del capitale, bensì le predette azioni possono anche essere speciali e, come tali, prive del diritto di voto, un orientamento mette fuori gioco la possibilità di una parteci- pazione attiva al management gestorio della società escludendo, appunto, l’at- tribuzione del diritto amministrativo in questione.
In realtà, anche nelle altre ipotesi di azionariato dei lavoratori e anche aderendo all’orientamento contrario, secondo il quale non c’è ragione di escludere il diritto di voto, soltanto perché le azioni sono di titolarità dei lavoratori dipendenti, la partecipazio- ne diretta alla gestione societaria non è mai scontata o automatica. Questa situazione è aggravata, altresì, dalla mancanza di una disciplina specifica per tale proposito, inducendo, quindi, i lavoratori-azionisti a ricorrere ai comu- ni strumenti di tutela di qualsiasi cate- goria di azionisti di minoranza e a pre- diligere, dunque, un esercizio uniforme dei diritti connessi alle loro azioni, ed in modo particolare del diritto di voto, così da intensificare la propria capacità di influenzare le scelte assembleari.
Tra i sistemi utilizzabili a questo scopo, il più tradizionale è certamente rappresentato dalla stipulazione di un
36 Vedi nota 16.
sindacato di voto, ossia un patto para- sociale in virtù del quale l’esercizio del diritto di voto viene effettuato secondo direttive predeterminate dagli aderen- ti.37 Tuttavia, con il sindacato di voto non è possibile assicurare, inderogabil- mente, l’esercizio del diritto di voto secondo la prescelta direttiva, pertanto la prassi ha escogitato la possibilità di affidare le azioni degli azionisti dipen- denti in gestione a società fiduciarie, così da garantire l’omogenea espressio- ne delle potenzialità di dette azioni.
Un’ulteriore possibilità per i lavora- tori-azionisti è quella di costituire for- me di comproprietà delle azioni di loro titolarità, il che comporterebbe la no- mina di un rappresentante comune per l’esercizio dei relativi diritti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1111 e 2347, comma 1, c.c.).38
Strettamente connessa al problema della partecipazione gestionale dei la- voratori è, altresì, la questione di una loro rappresentanza “organica” nella società di cui sono dipendenti, ossia una loro rappresentanza negli organi socie- tari. La disciplina codicistica, a questo proposito, è quanto mai lacunosa, non prevedendo, nemmeno in via generale, i requisiti di ammissione alla partecipa- zione “organica”. Se, infatti, sarebbe sconveniente, oltre che suscettibile di
37 L’efficacia obbligatoria dei patti parasociali (Cass. 21 novembre 2001, n. 14629) fa sì che, nel caso in cui uno degli aderenti ne disattenda il contenuto, non potrà essere impugnato il voto espresso, ma l’unica forma di tutela si sposta su un piano meramente risarcitorio.
38 Sempre nell’ottica di facilitare i dipendenti nell’esercizio dei loro diritti, in qualità di azionisti, vanno ricordate anche la possibilità di manifestare il voto per corrispondenza, come consentito dall’art. 2370, comma 4, c.c., purché ci sia un’esplicita previsione statutaria in tal senso, nonché la possibilità di delegare l’esercizio del voto (possibilità inizialmente preclusa e resa possibile solo ad opera del T.U.F., d. lgs. 58/1998).
creare dispersione del potere decisio- nale, l’immissione nell’organo ammi- nistrativo anche dei rappresentanti di azionisti che detengono un numero minimo di azioni, al contrario sarebbe quanto meno opportuno assicurare la predetta partecipazione agli azionisti che superino una determinata soglia del capitale sociale.
Problematica risulta essere, anche, la determinazione del sistema di desi- gnazione dei rappresentanti dei dipen- denti-azionisti negli organi societari. Allo stato attuale, il codice civile pre- vede, in linea generale e salve poche eccezioni, la competenza assemblea- re per la nomina degli amministratori e dei sindaci (artt. 2383, comma 1, e 2400, comma 1, c.c.); tuttavia, sarebbe auspicabile che, in un futuro intervento legislativo, si prevedano, altresì, delle deroghe a questa regola fondamenta- le per le s.p.a., così da garantire, nel modo più oggettivo possibile, la rappre- sentanza di tutte le minoranze, anche con meccanismi di nomina extra-assem- bleare.
6. Conclusioni
Rebus sic stantibus, è manifesto come l’azionariato dei dipendenti sia un fenomeno complesso e polivalente, con numerose ed eterogenee finalità, oltre che molteplici formule e modali- tà attuative. Proprio la circostanza di questa varietà e ambivalenza struttu- rale rappresenta, al medesimo tempo, il potenziale punto di forza, ma anche il principale aspetto debole dell’istituto, perché non fa altro che alimentare la diffidenza delle parti sociali. Per que- ste ragioni risulta altamente opportu- no, se non addirittura necessario, un intervento normativo, volto non certo
ad irrigidire la partecipazione aziona- ria dei lavoratori, già troppo limitata, quanto piuttosto a fornire delle diretti- ve per incentivarla. È auspicabile, inol- tre, che un futuro interessamento del legislatore, sfruttando anche gli imput di derivazione comunitaria, sia in grado di risolvere il vero cuore del problema, ossia l’alternativa tra azionariato col- lettivo e azionariato individuale, che, secondo la migliore dottrina in materia, costituisce “il nodo politico decisivo per lo sviluppo futuro della partecipa- zione finanziaria dei lavoratori a livello d’impresa”.39 Fino a questo momento, il legislatore sembra aver prediletto la strada dell’“indifferenza”,40 lasciando che il fenomeno si sviluppasse in forma individuale, in forza dell’iniziativa e dell’intraprendenza di singole imprese. In questo modo, tuttavia, l’azionariato dei dipendenti non ha realizzato, fatta eccezione per pochi casi circoscritti, una reale democratizzazione dell’or- ganizzazione industriale, dando luogo a trasformazioni soltanto parziali, quando non addirittura apparenti, dei rapporti tra datori di lavoro e dipendenti, re- stando, tra l’altro, un fatto meramen- te speculativo, che non è mai riuscito a diventare significativo nell’ottica di una concreta instaurazione della cultu- ra della partecipazione. L’azionariato collettivo, invece, sarebbe suscettibile di diventare un’esperienza duratura, capace di produrre un vantaggio sia per
i datori di lavoro, perché garantirebbe stabilità del possesso azionario, sia per i dipendenti, perché assicurerebbe loro visibilità, ma soprattutto il riconosci- mento effettivo del ruolo di azionisti.
Se, poi, la ragione di questa reniten- za, sia della classe datoriale, sia del le- gislatore, va rintracciata nel timore di eventuali squilibri nella gestione delle imprese, può risultare utile evidenzia- re che nelle società di capitali italiane, prevalentemente caratterizzate da un azionariato poco diffuso, in cui è facile che la presenza dei rappresentanti dei lavoratori costituisca una piccola mino- ranza, l’interesse prevalente dei dipen- denti-azionisti non sarebbe tanto quello della gestione diretta (anche perché lo scarso peso nell’organo amministrativo non consentirebbe loro di incidere se- riamente sulle scelte imprenditoriali), quanto piuttosto quello del buon anda- mento della società medesima. Si trat- terebbe, quindi, di un interesse duratu- ro, a differenza delle altre minoranze, più interessate alla redditività dei pro- pri investimenti, che potrebbe essere adeguatamente tutelato garantendo la rappresentanza dei lavoratori nel colle- gio sindacale.
39 X. XXXXX, La partecipazione azionaria dei dipen- denti tra intervento legislativo e autonomia collettiva, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 3/1999; X. XXXXX, Azionariato dei lavoratori e democrazia economica, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 4/2003;
40 Come dimostrato, tra gli altri esempi, dalla riforma del diritto societario (d. lgs. 17 gennaio 2003, n.6), che non è stata affatto risolutiva di alcuno degli aspetti di maggiore criticità dell’istituto in questione.
Abstract
Un esperimento iniziato in Italia negli anni ottanta che, probabilmente per la scarsa at- tenzione del legislatore, oppure per le caratteristiche dell’assetto societario italiano, non ha mai avuto una concreta affermazione, né ha mai prodotto i vantaggi a cui potrebbe realmente condurre.
An experiment started in Italy in the eighties that, probably for lack of attention of the legi- slature, or to the characteristics of the Italian company, never had a concrete affirmation, nor has it ever produced the advantages that might actually lead.