Dipartimento di Giurisprudenza Cattedra di Diritto del Lavoro
Dipartimento di Giurisprudenza Cattedra di Diritto del Lavoro
IL CASO FIAT E I NUOVI MODELLI DI CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
RELATORE
Prof. Xxxxxxxx Xxxxxxx
CANDIDATA
Xxxxxx Xxxxxxxx Matr. 097923
CORRELATORE
Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx
ANNO ACCADEMICO 2012/2013
INDICE
Introduzione pag. 7
Capitolo I
Evoluzione dei rapporti sindacali in Fiat e fonti normative
1.1 Evoluzione rapporti sindacali Fiat ............................................ pag.19
1.2 L’art. 39 della Costituzione e la sua parziale applicazione…pag.27
1.2a: Gli accordi collettivi separati………………………………..pag. 31
1.3 Accordo interconfederale 15 aprile 2009 per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22
gennaio 2009…………………………………………………..…pag. 34 1.3a: Punto di vista della Cgil………………………………….. pag. 41
1.4 Settore metalmeccanico……………………………………..pag. 44
Capitolo II
Caso Pomigliano e Mirafiori
2.1 Contesto economico-sociale italiano e mondiale pag. 52
2.2Ricostruzione degli eventi Fiat: la contrattazione aziendale…pag. 58
2.3 Accordo di Pomigliano del 15 giugno 2010 e Accordo di Mirafiori del 23 dicembre 2010……………………………………………pag. 63
2.3 a. Analisi critica degli accordi collettivi aziendali di Pomigliano e Xxxxxxxxx e questioni controverse sulla loro legittimità/illegittimità.................................................................. pag. 78
2.3 b. Efficacia orizzontale e verticale del contratto collettivo…...pag. 89
2.4 Contrasto Fiat – Fiom e consultazione referendaria…………pag. 92 2.4a. Voci dei protagonisti sull’esito del Referendum…………..pag. 97 2.5 Disdetta e recesso…………………………………….……...pag. 100
2.6 Ccnl 29 settembre 2010 e art. 4 bis………………………….pag. 104
2.7 Fabbrica Italia Pomigliano……………………………….….pag. 108
2.8 Rappresentanze sindacali aziendali a rischio e contratto specifico di I livello pag. 111
2.9 Rapporto tra contratto collettivo e legge…………………….pag. 124
2.10 Confronto con la disciplina del pubblico impiego………….pag. 127 2.11 Conclusione……………………………………………...….pag. 130
III capitolo
Caso Fiat e pronunce giurisprudenziali
3.1 I gruppo di sentenze: coesistenza dei due ordinamenti contrattuali nella giurisprudenza……………………………………………...pag. 133
3.1 a. Tribunale di Torino, 18 aprile 2011……………………….pag. 136
3.1 b. Tribunale di Modena, 22 aprile 2011……………….…….pag. 138
3.1 c. Tribunale di Torino, Tolmezzo e Ivrea……………...…….pag. 143
3.2 Secondo gruppo di sentenze: NewCo. e rappresentanze sindacali aziendali a rischio……………………………………………..…pag. 145
3.2 a. Tribunale di Torino, 14 settembre 2011 pag. 147
3.2 b. Tribunale di Bologna, marzo 2012………………………..pag. 158
3.2 c. Tribunale di Milano, Lecce e Torino dell’aprile 2012...…..pag. 164 3.3 Conclusione……………………………………………….…pag. 167
Capitolo IV
Accordo Interconfederale 28 giugno 2011 e art. 8 Legge 148/2011
4.1 Accordo Interconfederale 28 giugno 2011…………………..pag. 170
4.2 Rapporto con l’accordo quadro del 2009 e come cambiano le
relazioni industriali italiane……………………………………..pag. 180
4.3 Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013: ultimi avvenimenti in
materia di rappresentanza sindacale…………………………….pag. 184 4.4 Art 8 d.l. n. 138 del 2011, convertito in l. n. 148/2011……...pag. 186
4.5 Confronto con l’accordo interconfederale del 28 giugno
2011 pag. 192
4.6 Critiche sulla legittimità costituzionale dell’art. 8……….….pag. 195
Conclusioni………………………………………………...pag. 200
Bibliografia…………………………………………………….pag. 210
Introduzione
Il contratto collettivo regola i rapporti tra lavoratori e datori di lavoro.
È il prodotto dell’autonomia privata collettiva e ha lo scopo di “predeterminare il contenuto essenziale di quei rapporti individuali, sia in ordine al corrispettivo economico della prestazione, che per quanto attiene a tutti gli altri istituti che ne disciplinano l’instaurazione, lo svolgimento e l’estinzione”1.
È possibile notare, all’interno dell’ordinamento italiano, la natura giuridica alquanto ambigua e discussa del contratto collettivo: si tratta di una fonte del diritto vera e propria oppure è meglio riconducibile ad un contratto di diritto privato? Secondo una parte della dottrina2, il contratto collettivo sta percorrendo nell’esperienza sindacale italiana un iter che sembra condurlo sempre più nel novero delle fonti.
Il fondamento di questa tesi si basa sui frequenti rinvii della legge alla contrattazione collettiva, i quali non fanno altro che avvicinare sempre più la natura degli accordi collettivi alla funzione che è propria delle fonti legislative: quella di introdurre una disciplina per quanto più possibile generalizzata sulla materia. A supporto di questo filone dottrinale basti pensare all’art. 360 del codice di procedura civile che, nell’enunciare i motivi di ricorso in Cassazione, assimila la violazione o la falsa applicazione delle norme di legge a quella dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro.
1 Xxxxx X. Xxxxxxx di diritto del lavoro, cap IV Il diritto sindacale, Torino 2012.
2 Vedi per tutti Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G., Efficacia soggettiva del contratto collettivo: accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio, Riv. It. Dir. Lav.2010, fasc. 3.
Un altro elemento che si aggiunge a supporto della tesi è rappresentato dalla l.
n. 146/1990 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali; quest’ultima, infatti, delega al contratto collettivo la funzione di individuare le prestazioni indispensabili. Da citare anche il d.lgs n. 368/2001 in tema di lavoro a tempo determinato, che all’art. 5 (introdotto nel 2007), prevede che i contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale possano derogare al limite massimo di durata dei contratti a termine di 36 mesi.
D’altro canto esiste anche un’altra importante dottrina3 nettamente contraria a considerare come fonte il contratto collettivo di diritto comune. I sostenitori della tesi che vede il contratto collettivo come frutto dell’autonomia privata ribadiscono che l’origine di questo proviene da trattative, discussioni e reciproche concessioni: proprio come un contratto di diritto privato. È possibile notare come, analizzando le differenze che contraddistinguono il contratto collettivo sia dalle norme di legge che dai contratti privati, questo possa essere identificato come un tertium genus.
Al contrario delle leggi, che hanno una durata tendenzialmente indeterminata, il contratto collettivo ha una efficacia temporale limitata a tre anni poiché è destinato a mutare con i cambiamenti politico-sociali ed economici proprio per meglio adattarsi alle esigenze del mondo del lavoro; in secondo luogo il contratto collettivo, non avendo un’efficacia erga omnes, non può essere applicato a tutti coloro cui, invece, è destinata una norma dell’ordinamento.
La sua efficacia non è né individuale né generale ma collettiva, è sintesi e non somma degli interessi individuali dei lavoratori appartenenti ad un determinato settore produttivo: la categoria. Per citare il giurista Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx0: «il contratto collettivo avrebbe il corpo del contratto e l’anima della legge».
3Vedi per tutti Persiani M., Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, in ADL, 2004 p. 1 e ss.
4 Carnelutti F., Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro, Padova, 1928.
Fino al 2008 i rapporti tra le parti sociali non avevano ancora manifestato quei contrasti che si sono prepotentemente rivelati negli anni successivi. In quell’anno era stato firmato un contratto collettivo nazionale da tutte e 3 le grandi confederazioni sindacali: Cgil Cisl e Uil5. Fino ad allora i sindacati si trovavano in un equilibrio dovuto proprio all’unione che li caratterizzava.
Le organizzazioni sindacali rappresentative dei lavoratori, infatti, trovavano la loro forza contrattuale nel fare fronte comune durante le trattative sindacali con i datori di lavoro.
Nel 2009 questo equilibrio viene meno e assistiamo al fenomeno degli accordi separati. Per separato si intende quel contratto collettivo che ha subito le conseguenze di una frattura tra le organizzazioni sindacali che hanno partecipato congiuntamente alle trattative, ma che si sono separate al momento della decisione finale, dando come risultato una firma disgiunta del contratto. Il fenomeno non è rimasto isolato, infatti nel 2009 sono stati sistematicamente stipulati accordi dove mancava la firma della Cgil.
L’accordo separato non deve far pensare, però, al mancato rispetto di quell’interesse collettivo dei lavoratori che è il fondamento di tutto il diritto sindacale, in quanto l’interesse collettivo altro non è che la sintesi degli interessi individuali dei lavoratori, sintesi che diviene più complessa da raggiungere se ci sono molti lavoratori da tutelare. Per fare l’esempio più significativo verificatosi in questi anni è da citare il caso Pomigliano e Mirafiori dove Cisl e Uil hanno ritenuto che il contratto collettivo aziendale del 2009 fosse la giusta sintesi degli interessi dei lavoratori dell’azienda,
5 Cgil: Confederazione Generale Italiana del Lavoro, la più grande e antica confederazione sindacale in Italia. Nel 1950 durante il periodo delle scissioni sindacali la prima componente a lasciare la Cgil fu quella cattolica che nell’ottobre 1948 costituì la Libera Cgil; dopo alcuni mesi, nel giugno 1949, fu la volta delle componenti socialdemocratica e repubblicana che dettero vita alla FIL (Federazione Italiana dei Lavoratori). Il percorso terminò con la nascita dell’Unione Italiana del Lavoro (UIL, 5 marzo 1950) e della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL, 1° maggio 1950).
mentre la Cgil ha ritenuto che la sintesi fosse rappresentata da un altro accordo sindacale: il contratto collettivo nazionale del 2008.
Ciò ha comportato un cambiamento nell’ambito dei rapporti sindacali. Si è parlato di accordo separato definendolo come il «termometro dello stato attuale delle relazioni sindacali6». Per meglio comprendere gli avvenimenti degli ultimi anni, occorre fare una premessa. In Italia il diritto del lavoro è stato più volte definito un “diritto senza norme”, un diritto regolato in parte dalla Costituzione e in parte da poche fonti legislative come lo statuto dei diritti dei lavoratori o, ancor prima dalla l. 604/1966. La carenza di norme è un fenomeno tipico del settore privato, infatti nella pubblica amministrazione troviamo una disciplina normativa molto più dettagliata, prima tra tutte il d.lgs. 165/2001, che permette di risolvere questioni da sempre dibattute, come il campo di applicazione del contratto collettivo o la spinosa questione riguardante la rappresentatività delle organizzazioni sindacali. La spiegazione di questa distinzione tra il settore privato e il pubblico impiego è molto semplice e si può rinvenire nella nostra Costituzione all’art. 97, comma 1 :
«I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione».
L’interesse della pubblica amministrazione, oltre alla tutela della libertà dell’azione sindacale sancita dal primo comma dell’art. 39 Cost., è quello di occuparsi della tutela del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione. Nel settore pubblico le obiezioni che da sempre i sindacati fanno contro una regolamentazione legislativa della materia non trovano giustificazione.
Il motivo per cui nel settore privato non si è giunti ad una regolamentazione completa, in special modo per quanto riguarda la rappresentatività delle
6 Xxxxxxx A.: accordi collettivi separati: tra libertà contrattuale e democrazia sindacale, Milano 2012.
organizzazioni sindacali7 e l’ambito di applicazione soggettiva del contratto collettivo, è proprio il rifiuto dei sindacati ad ogni tipo di ingerenza statale diretta ad istituzionalizzare una tema come quello della contrattazione collettiva. Ad avviso delle parti sociali contrarie ad una regolamentazione legislativa dell’argomento, ciò causerebbe non pochi problemi considerando la natura dinamica ed in continua evoluzione del contratto collettivo che deve continuamente adeguarsi ai mutamenti sociali. Se il suo contenuto fosse tipizzato all’interno di una legge, il contratto collettivo avrebbe una durata di gran lunga superiore e porrebbe vincoli insostenibili ad un settore che per definizione è in continua evoluzione. D’altro canto bisogna considerare anche la difficoltà che c’è nel settore privato ad individuare i soggetti e le categorie a cui si potrebbe applicare il contratto collettivo, poiché non c’è quella distinzione schematica e predeterminata in comparti che invece caratterizza il settore pubblico.
Uno dei principali problemi che hanno portato alle tensioni del 2009 è sicuramente la mancata attuazione della seconda parte dell’art. 39 della Costituzione, che ha trovato applicazione solo nel suo primo comma:
«L'organizzazione sindacale è libera.»
Non è stata, invece, mai attuata la parte in cui il costituente ha previsto un meccanismo di registrazione dei sindacati: «Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
E` condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.»
Non è stato neppure attuato il quarto e ultimo comma nel quale viene sancito un principio di individuazione dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo:
7 Alla luce dei recenti avvenimenti si è dato avvio ad una soluzione della materia della rappresentatività sindacale mediante una regolamentazione contenuta nel Protocollo d’intesa sottoscritto da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil il 31 maggio 2013.
«I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.»
L’art. 39 con la locuzione “i sindacati, rappresentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti” introduce un criterio di rappresentatività unitaria mentre nell’ultimo periodo ne introduce uno di applicazione soggettiva: il contratto collettivo si applicherebbe a tutte le organizzazioni sindacali appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce.
L’incertezza circa l’effettiva forza rappresentativa delle singole organizzazioni sindacali da una parte, e circa i destinatari dell’ambito di applicazione del contratto collettivo dall’altra, è visibile anche negli accordi separati. Mentre in passato, alla mancata attuazione dell’art. 39, si sopperiva con l’unione tra i sindacati partecipanti alle trattative, unione che voleva dire forza contrattuale, adesso questa è venuta meno. Ci si trova, così, in presenza di un accordo collettivo con firma disgiunta, per cui bisogna chiedersi quale sia l’ambito di applicazione del contratto: esso rimane applicabile a tutti i lavoratori del settore o solo a quelli iscritti alle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto l’accordo separato? La maggior parte della dottrina sembra aver scelto la seconda tesi in quanto non esiste una legge che preveda un’applicazione erga omnes del contratto collettivo8.
Tra le possibili soluzioni che sono state ipotizzate da giuristi come X. Xxxxxxx Passarelli9 ci sono: in primo luogo quella di ricomporre l’unità di azione tra i tre sindacati confederali e in secondo luogo il referendum, che lascerebbe alla
8 Da ricordare che le soluzioni ipotizzate di seguito per tentare di rimediare al vuoto legislativo precedevano il recente accordo del 31 maggio 2013 stipulato tra le parti sociali, che tenta di introdurre una regolamentazione circa i criteri di rappresentatività e democrazia sindacale anche nel settore privato.
9 Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G., Efficacia soggettiva del contratto collettivo: accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio, par. 15, Milano, 2010
scelta dei lavoratori la definizione del contenuto dell’accordo. Tuttavia questa soluzione non può essere utilizzata come criterio generale di determinazione del contratto collettivo, poiché lasciare una scelta del genere ai singoli lavoratori vorrebbe dire adottare un contratto che prende in considerazione solo il breve termine, solo le specifiche esigenze che il lavoratore ha in quel determinato periodo.
Il compito delle organizzazioni sindacali è, invece, quello di ponderare soluzioni che si adattino anche e soprattutto al medio-lungo termine.
È vero, però, che nei casi in cui ci si dovesse trovare di fronte ad un contrasto tra i sindacati, il referendum è stato visto come una soluzione per dirimere la controversia e soprattutto testare l’effettiva rappresentatività del sindacato dissenziente. Un’altra soluzione prospettata sarebbe l’attuazione della seconda parte dell’art. 39, anche se i commi in questione sono stati considerati in parte anacronistici. Questi ultimi, non essendo dotati di efficacia diretta nell'ordinamento, necessitano di un intervento legislativo, che non è mai stato attuato per diverse ragioni:
• La registrazione avrebbe portato a due contrasti insormontabili: sarebbe stata considerata un mezzo di intromissione dello Stato ed avrebbe comportato un controllo degli iscritti ai vari sindacati con conseguenti influenze negative in fase di contrattazione.
• Un sistema sindacale che dovesse di diritto prevedere obbligatoriamente la personalità giuridica dei sindacati e l'efficacia erga omnes dei contratti avrebbe ricordato troppo il passato sistema corporativo del periodo fascista.
Nel II capitolo dedicato al caso Pomigliano, verrà ricostruita la vicenda partendo dagli avvenimenti del 2009.
Federmeccanica10 avvia le trattative per la stipulazione di un contratto di secondo livello aziendale derogatorio del contratto collettivo di primo livello nazionale del 2008. Il quadro contrattuale di riferimento, dunque, è l’accordo sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009 (non sottoscritto da Cgil). Quest’ultimo prevede che il contratto di secondo livello abbia una funzione regolatoria circa le materie delegate dalla contrattazione collettiva nazionale e la possibilità di derogare a singoli istituti del contratto collettivo nazionale di categoria in caso di crisi o per favorire lo sviluppo aziendale od occupazionale. Tali previsioni sono state poi approfondite dall’accordo Confindustria 15 aprile 2009.
Alla luce della mancata sottoscrizione, da parte della Cgil, degli accordi del 2009 è esploso un conflitto intersindacale tra la Fiom11, che privilegia l’inderogabilità del contratto di primo livello, e le altre federazioni di categoria.
La controversia tra i sindacati riguardava fondamentalmente lo spostamento del baricentro della contrattazione dal livello nazionale a quello aziendale.
La Cisl e la Uil sembrano essere favorevoli allo spostamento, seppur sempre sotto l’egida del contratto nazionale, in ragione del principio di sussidiarietà, secondo cui i sindacati operanti a stretto contatto con l’azienda sono più competenti a stipulare contratti che tengano in seria considerazione le esigenze dei lavoratori e dei datori di lavoro. Dall’altro lato, invece la Cgil si oppone strenuamente alla possibilità che i contratti aziendali acquisiscano il potere di derogare in peius i contratti nazionali. La Fiom non si è limitata a rifiutare di sottoscrivere il contratto del 2009 ma ha avviato una serie di azioni giudiziarie
10 Federazione sindacale dell’ industria metalmeccanica italiana. Costituita nel 1971 essa tutela, nel campo dei problemi del lavoro e in particolare nel campo sindacale, gli interessi dell'industria metalmeccanica.
11 Fiom: Federazione italiana operai metallurgici. nasce a Livorno il 16 giugno 1901. Nel 2004 la Fiom ha contato 363.326 iscritti e continua a rappresentare la componente massimalista della Cgil; la sua battaglia è principalmente quella per il mantenimento dei due livelli contrattuali nazionale e aziendale.
volte sia ad impedire che la Fiat obbligasse i lavoratori iscritti alla Fiom ad accettare le condizioni indicate nel nuovo contratto aziendale, sia a dequalificare l’accordo stesso.
Nel giugno del 2010 la Fiat sottoscrive con Fim e Uilm e gli altri sindacati consenzienti, ad eccezione della Fiom, un accordo separato diretto alla realizzazione di due obiettivi:
1. L’aumento della produttività degli impianti fino a saturazione.
2. La sottoscrizione di una clausola detta di responsabilità con la quale i sindacati si sarebbero impegnati a non scioperare durante il periodo di vigenza dell’accordo.
Il momento più controverso fu raggiunto con l’accordo del 29 settembre 2010 stipulato tra Federmeccanica Fim e Uilm e concernente le deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici. La questione viene recepita nel contratto aziendale con l’ art. 4-bis, il quale prevedeva la possibilità di realizzare intese modificative, anche in via sperimentale o temporanea, di uno o più istituti disciplinati dal Ccnl anche se sempre sotto il controllo e previa approvazione delle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto nazionale.
Nel 2010 la Fiat crea una nuova società: la Xxx.xx. di Pomigliano che stipula un nuovo accordo sottoscritto da Fiat e Fim-Uilm-Fismic12.
Il piano proposto da Fiat e denominato “Fabbrica Italia” prevedeva:
• 20 miliardi di investimento nell’arco di 4 anni
• Il raddoppio della produttività in Italia
• L’ impegno specifico di investire 700 milioni per il trasferimento della
produzione della Panda a Pomigliano
• 18 turni di lavoro
12 FISMIC: Sindacato autonomo metalmeccanici e industrie collegate. Ha mantenuto la caratteristica di essere un sindacato dei lavoratori autonomo e libero da ogni forma di appartenenza politica; non ha nessun legame confederale organico, anche se mantiene dei rapporti molto stretti con la CONFSAL, il principale dei sindacati autonomi del Paese ed il quarto sindacato confederale.
• Flessibilità
• Nuova organizzazione del lavoro
• Superamento di anomalie con l’introduzione di mezzi di lotta all’assenteismo
Il piano, tuttavia non troverà l’approvazione della Fiom e, per questo, verrà indetto un referendum sull'accordo per il futuro di Xxxxxxxxxx d'Arco dove vinceranno i sì con il 63,4%, ma i voti contrari raggiungeranno comunque il 36%, probabilmente più di quanto la Fiat si aspettasse.
Nel capitolo IV si tratterà dell’accordo interconfederale del 28 giugno del 2011: un accordo particolarmente complesso sottoscritto da Confindustria da una parte e Cgil Cisl e Uil dall’altro, il quale si articola in 8 clausole e si propone l’obiettivo di porre un ordine e di introdurre principi chiarificatori alla situazione così confusa e problematica che si era creata con gli accordi separati del 2009.
Immediatamente successivo all’accordo interconfederale del giugno 2011 è stata la contestata emanazione dell’art. 8 del d.lgs. 138/2011 convertito in l. 148/2011. L’art. 8 ha suscitato non poche polemiche nel mondo giuridico per diversi motivi: innanzitutto è stato il primo intervento legislativo13 che ha minacciato l’intoccabilità dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori14, da sempre considerato il baluardo della lotta sindacale. L’art. 8 della manovra economica, infatti, permette ai sindacati e alle loro rappresentanze in azienda di sottoscrivere contratti collettivi che, a fronte di una maggiore occupazione o di investimenti, deroghino alle discipline legislative come quella sui licenziamenti di cui all’art. 18 l. 300/1970. La dottrina si divide tra coloro che criticano la disposizione legislativa accusandola di essere incostituzionale (contraria agli art.t 39, 117 e 118 della costituzione) e di rendere liberi i
13 Le questioni discusse a seguito dell’art. 8 sono state poi seguite da lunghissima concertazione sotto
il governo Xxxxx, che ha portato, infine, alla legge 92 del 2012 c.d. riforma Fornero
14 Art 18, recentemente modificato dalla riforma Monti-Fornero del 28 giugno 0000 X 00
licenziamenti e coloro che invece affermano che l’art. 8 è fondamentale per la sostituzione di discipline ormai vecchie di 40 anni con altre di origine contrattuale al passo con i tempi.
Quest’ultima tesi ritiene che, in questo modo si riesca meglio a prendersi cura
delle esigenze dell’impresa e dei diritti dei lavoratori.
Un altro dei motivi che analizzeremo, e sulla base del quale si sono scontrate le parti sociali, richiama il comma 3 dell’articolo in esame. Esso stabilisce che le disposizioni contenute nei contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori. Si è prospettata, a proposito, la violazione dell’art. 39 IV comma della costituzione nella parte in cui delinea un procedimento per la stipulazione di contratti collettivi con efficacia generale.
Per concludere, questa tesi si prefigge di analizzare la complessa problematica sorta a seguito della rottura dell’unione tra le tre principali confederazioni sindacali e il caso che più di tutti gli altri è stato esemplificativo della situazione di emergenza e crisi che ha colpito il mondo dei rapporti sindacali: il caso Fiat. Verranno studiati e ricostruiti gli eventi e le tappe contrattuali protagonisti dello scontro tra quella parte che spinge per il decentramento della contrattazione collettiva e per l’attuazione di una democrazia sindacale che consenta, a prescindere dall’unanimità, di prendere decisioni concrete e valide per tutti i lavoratori, e quella parte che vuole difendere la centralità della contrattazione nazionale per tutelare al meglio gli interessi economici, professionali e morali, collettivi ed individuali, di tutti i lavoratori.
Eventi e scontri che hanno avuto luogo in un contesto dove non solo non esiste una situazione di certezza del diritto data da una fonte legislativa in materia di
efficacia soggettiva degli accordi sindacali e di rappresentatività delle organizzazioni, ma in un periodo durante il quale le parti sociali non avevano ancora raggiunto nemmeno degli accordi in tal senso, come invece è successo con la recente intesa siglata all’unanimità il 31 maggio 2013 tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil.
Accordo che ha affrontato il tema delle regole per misurare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali, certificare gli iscritti e il voto dei lavoratori e a dare certezza agli accordi sindacali, che una volta approvati e ratificati a maggioranza semplice varranno effettivamente per tutti.
Capitolo I
Evoluzione dei rapporti sindacali in Fiat e fonti normative
1.1 Evoluzione rapporti sindacali Fiat
Xxxxxx Xxxxxx descrisse la Fiat come: uno “Stato nello Stato”15.
La Fiat ha da sempre costituito un’eccezione nel panorama industriale italiano per la grandezza dei suoi impianti e del suo organico quasi fosse un “microcosmo coeso e accentrato come un esercito”16.
L’azienda torinese conosce il boom economico tra gli anni ’60 e gli anni ’90, grazie ad una struttura rigida e gerarchizzata capace di portare in meno di 5 anni ad un aumento del fatturato del 500%. Il momento in cui Xxxxxxx e Valletta17 giunsero in America segnò per molti aspetti il passaggio alla fase neocapitalista della produzione del consumo di massa.
Al termine di questa fase di crescita e ricostruzione in Italia si registra un’auto ogni 94 abitanti, mentre in altri paesi come la Gran Bretagna il numero di automobili presenti sul territorio era superiore: già circolava un’auto ogni 20
15 Romiti C., Amministratore delegato della FIAT dal 1976 al 1996, quando assume la presidenza della FIAT S.p.A. fino al 1998, succedendo nell'incarico a X. Xxxxxxx.
16 Revelli M., Lavorare in Fiat, da Valletta ad Agnelli a Romiti, Milano, 1989.
17 Valletta V., Dirigente industriale. Invitato nel 1921 da Xxxxxxxx Xxxxxxx ad assumere funzioni di responsabilità nella FIAT, ne fu presto nominato direttore centrale, poi nel 1928 direttore generale e nel 1939 amministratore delegato. Alla morte di Xxxxxxx (1945) assunse la presidenza del grande complesso torinese conservando le funzioni di amministratore delegato.
abitanti. Ciò poteva portare solo ad un notevole incremento del fabbisogno di vetture negli anni successivi anche nel nostro Paese.
È già da quel momento che possiamo notare i primi contrasti tra il gruppo dirigente e i lavoratori (le loro rappresentanze in particolare).
L’azienda, infatti, cavalcando l’onda, sfrutta in pieno la situazione economica e non solo, anche la forza lavoro è utilizzata al massimo delle sue possibilità.
La lotta della Fiat si manifesta con l’attacco al partito comunista in fabbrica: 207 licenziamenti individuali per rappresaglia tra cui la storica “purga” di 55 operai comunisti dopo lo sciopero del 22 gennaio 1953 contro la “Legge truffa”18 e il crollo della Fiom alle elezioni per le commissioni interne del 1955.
Rimasero commissioni interne formate principalmente da esponenti democratici appartenenti a Cisl e Uil e solidali con gli indirizzi dell’azienda. In poco meno di 3 anni lo “staff Vallettiano” aveva, così, triplicato la produzione ma senza aumentare significativamente l’organico.
Ciò era stato possibile puntando sulle macchine e gli impianti interni e sul metodo della catena di montaggio. Si puntò su operai generici, non altamente sindacalizzati.
Una nuova fase dello sviluppo economico della Fiat è data dalla fondazione della nuova officina meccanica Mirafiori sud, entrata in funzione nella seconda metà degli anni ’50, e dall’ampliamento della vecchia Mirafiori Presse e della Mirafiori Centro.
Con l’apertura dello stabilimento Fiat Rivalta del 1967 la Fiat raggiunge
l’apice del successo ed è da questo momento che possiamo identificare
18 La legge elettorale del 1953, che i suoi oppositori definirono "Legge truffa", fu una modifica in senso maggioritario della legge proporzionale vigente all'epoca dal 1946.
Promulgata il 31 marzo 1953 (n. 148/1953), la legge, composta da un singolo articolo, introdusse un premio di maggioranza consistente nell'assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi.
l’azienda come quel “gigante” che regnò sul mercato italiano negli anni ’80- ’90. I lavoratori continueranno ed essere in prevalenza operai generici dequalificati (il 65% nel 1960), assunti massivamente e non abituati al lavoro industriale organizzato dal punto di vista sindacale. Il rilevante aumento della produzione, tuttavia, non è seguito da un altrettanto elevato aumento del numero dei lavoratori. Quindi per giustificare l’aumento della produzione bisogna chiarire che è la produttività individuale ad essere aumentata e ciò comporta delle tensioni in azienda. Dopo il 1969 inizia il c.d. “autunno caldo”19, ovvero quella realtà di lotte sindacali operaie che si sviluppa a partire dall'autunno del 1969 in Italia.
La grande mobilitazione sindacale nasce dal clima politico del Sessantotto e si avvia alla scadenza dei contratti collettivi triennali in particolar modo relativi alla categoria dei metalmeccanici.
I rapporti di forza, le tecniche di sciopero, l'astensione dal lavoro e dallo studio, le occupazioni di fabbriche e scuole coordinate da una nuova coscienza politica e partecipativa permisero di formalizzare negli anni successivi conquiste sociali di rilievo.
Le rivendicazioni e le pressioni dell'autunno caldo costrinsero lo stato ad uscire dalla fase di astensionismo legislativo che aveva caratterizzato il
19 Le cause dei movimenti di contestazione del '69, vanno ricercate soprattutto nella resistenza alle innovazioni dei vertici sindacali. L'inizio di questo processo ha avuto luogo nel 1962 – 63, con la contrattazione articolata. Gli accordi aziendali tolgono parte dell’originario valore alla contrattazione nazionale e i sindacati nazionali vedono scemare rapidamente il proprio peso negoziale. Per le confederazioni dei lavoratori, la perdita di spazio contrattuale viene parzialmente compensata dall’appoggio politico; tuttavia la contestazione aziendale nasce in via conflittuale con i sindacati e i loro vertici politicizzati per cui le nuove strutture (consigli di fabbrica, delegati), vengono soprattutto imposte dalla base ai vertici confederali. Anche il distacco dei sindacati dai partiti politici, era voluto dalla base operaia, tanto che nei consigli di fabbrica spontanei del '69, veniva rifiutata qualsiasi etichetta, fosse anche di sigla sindacale. In effetti l'autunno caldo nacque in chiave antipolitica, supportato dai movimenti studenteschi e dai loro slogan, e si espresse in chiave antisindacale nelle aziende. L’unità sindacale, a ben guardare altro non è che l'accettazione del volere della base operaia, il quale si espresse spontaneamente con la realizzazione di strutture unitarie in azienda. I vertici, se volevano rimanere tali, si dovevano adeguare.
secondo dopoguerra con l'approvazione della legge 300/1970, meglio nota come Statuto dei lavoratori.
In Fiat inizia una serie di scioperi e lotte sindacali che per la prima volta denotano un’incrinatura in un sistema che era considerato di comando totale. Da allora si è messo in moto un meccanismo che vede il conflitto esplodere e diffondersi ad una incredibile velocità e intensità. Innescandosi soprattutto in quei settori a più alto grado di qualificazione professionale, le c.d. aristocrazie operaie ed estendendosi, successivamente, “quasi per contagio”20 agli strati più bassi e massificati di operai generali.
La fabbrica, sotto la spinta dell’azione collettiva, avviò il cambiamento: si rallentarono i ritmi, comparvero le prime pause nell’orario di lavoro nonché i meccanismi formalizzati di regolazione delle linee ed emerse una figura, nel reparto, titolare di un potere in grado di contrapporsi al “capo”, ovvero il delegato.
Sul piano sindacale, secondo una nota dell’ ISVOR21 Fiat, il rinnovo del contratto collettivo del gennaio 1970, pur essendo stato molto oneroso per le aziende e pesante per i lavoratori in termini di ore perse per gli scioperi, non assicurò una tregua nelle rivendicazioni.
Continuano, così, le agitazioni per le rivendicazioni a livello aziendale raggiungendo un elevatissimo numero di ore perdute in scioperi, e un elevato tasso di assenteismo.
Tuttavia, invece di ridurre gli investimenti il presidente Xxxxxxx ritenne che
l’unico modo per combattere l’assenteismo e risollevare la situazione era
20 Vedi nota 16.
21 ISVOR FIAT nasce nel 1972 per realizzare, in accordo con i vertici dell'azienda, la formazione del management a supporto dell'evoluzione organizzativa che caratterizzava quegli anni. Nel 1978 in ISVOR FIAT confluiscono due importanti strutture formative operanti in Fiat da molti anni: la Scuola Allievi, nata nel 1922, che realizzava l'addestramento tecnico degli operai, e il Centro Formazione Capi intermedi. Oggi ISVOR realizza la maggior parte delle attività di formazione per tutte le società che costituiscono il Gruppo Fiat.
quello di migliorare le condizioni di lavoro e, conseguentemente, il clima del lavoro in fabbrica.
Le condizioni, tuttavia, non migliorarono e si assistette ad una brusca inversione di tendenza rispetto ai floridi periodi precedenti. Alla Cisl era arrivato Xxxxxx del Piano, un uomo che credeva nella democrazia diretta, nell’ascolto delle esigenze della gente, e alla Fim era giunto Xxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxx, figure emblematiche del nuovo quadro del sindacato cattolico. Tali sindacati ricercavano la loro legittimazione di rappresentanti nel rapporto diretto con i lavoratori e la loro vita di tutti i giorni in fabbrica.
A livello organizzativo nascono i delegati22, prima spontaneamente e in seguito come esplicito oggetto di contrattazione.
Ci si trova dinanzi alla grande svolta: il sindacato in fabbrica. Il modello Fiat, da monocratico e gerarchico diviene poliarchico e negoziale.
A proposito dei movimenti sindacali della fine degli anni ’60 Xxxxxx Xxxxxx scrisse: “la nuova generazione operaia aveva ritrovato nella gioia dell’azione il fondamento di un’ isperata felicità pubblica”.
L’adesione al sindacato cresce impetuosamente tanto che a Mirafiori il numero degli operai iscritti alla Fiom si moltiplica e nel complesso Fiat si raggiungono più di 11000 iscritti.
Durante gli anni ’70, conseguentemente, si raggiunge un così elevato tasso di movimento sindacale da essere equiparabile solo ai recenti movimenti conseguenti al fenomeno degli accordi separati del 2009.
22 Le vicende dell’autunno caldo generarono una nuova forma di rappresentanza dei lavoratori: i delegati di fabbrica. Durante la prima fase, che accompagna il periodo “rivoluzionario” di quegli anni, i delegati rappresentano un fenomeno di marcata contestazione dell’assetto organizzativo tradizionale. In seguito, invece, tale fenomeno viene istituzionalizzato grazie all’entrata in vigore dello Statuto dei diritti dei lavoratori, che ne consente il recupero nell’ambito del sindacalismo confederale con la costituzione delle r.s.a. per ciascun sindacato avente diritto.
Per la prima volta la Fiat passa da una situazione di autofinanziamento quasi assoluto ad una situazione di indebitamento che necessita di crescenti finanziamenti dalle banche e dallo Stato.
In un’azienda con meri interessi economici si fanno largo interessi politici.
La politica prende il posto di comando sull’interesse industriale e la logica d’impresa si fa logica politica.
Nella prima metà degli anni ’70 Xxxxxxxx Xxxxxxx diventa presidente di
Confindustria.
Un importante cambiamento riguarda la figura del sindacalista, nato come un militante proveniente dal basso, diviene ora un diplomatico, un tecnico delle negoziazioni in grado di trattare col datore di lavoro; mentre prima i discorsi erano demagogici e appassionati, dopo i fenomeni di terrorismo degli anni ’80 che colpirono anche i vertici Fiat, non si poteva più rischiare di accusare con xxxx forti pubblicamente un datore di lavoro e rischiare poi che quest’ultimo venisse assassinato o gambizzato da fazioni estremiste.
Diverso divenne, dunque, il modo di approcciarsi al datore di lavoro da parte dei sindacati: più diplomatico da una parte, ma più pesante e meno accessibile ai singoli lavoratori dall’altra.
Una delle caratteristiche della struttura Fiat è quella del decentramento degli stabilimenti nel Mezzogiorno: oltre la metà della produzione italiana delle autovetture è localizzata al Centro-Sud.
Per questo negli anni ’90 era stata avviata una politica di finanziamento delle aree depresse dell’intero territorio nazionale in particolare per il Mezzogiorno, che rimane l’area più depressa di tutto il Paese.
Avvenne di conseguenza che lo Stato non abbandonò la produzione italiana di autovetture al suo destino perché ciò avrebbe provocato il ridimensionamento degli organici e la soppressione degli stabilimenti Fiat nel Centro-sud, con un conseguente drastico aumento della disoccupazione.
Anche la portata di tali conseguenze, del resto, si differenzia tra le regioni del Nord e quelle del Sud: per i lavoratori di Fiat Mirafiori o dello stabilimento di Arese sarebbe stato certo più semplice trovare posti di lavoro alternativi e in tempi relativamente brevi al contrario dei lavoratori occupati negli stabilimenti di Termini Imerese in Sicilia, Melfi in Basilicata, Termoli in Molise o in quelli campani di Pomigliano d’Arco e Cassino.
La crisi della Fiat, iniziata dopo gli anni ‘70, prosegue e si sviluppa negli anni
2000.
Nel 2002 la crisi Fiat segna ufficialmente la discesa di una delle imprese più importanti del Paese e diviene il simbolo del declino del sistema economico italiano.
La situazione si rivelò talmente grave, soprattutto per quanto riguarda
l’occupazione, da coinvolgere lo Stato.
Persino dall’Unione Europea e dalla Banca d’Italia vengono meno i freni di
fronte alla possibilità di un intervento pubblico in soccorso delle fabbriche.
I piani di risanamento ipotizzati furono diversi: dalla riduzione dei costi interni, ai pensionamenti anticipati, alle richieste di interventi straordinari della Cassa integrazione salariale; ma ciò che serviva maggiormente era un piano di investimenti di ingenti dimensioni.
La realtà è che in Italia non troviamo la tendenza alla flessibilità23 e alla liberalizzazione che troviamo nel contesto europeo: alle necessità di riduzione di personale non si accompagnano, purtroppo, altrettante possibilità per i lavoratori di essere nuovamente assunti presso un altro datore di lavoro.
Un tentativo di abbandonare pratiche di politica passiva del lavoro in favore di
una politica attiva e ispirata all’efficienza economica e ad un maggior
23Per flessibilità del lavoro s’intende quel processo che porta allo snellimento della disciplina vincolistica delle assunzioni e all’introduzione di tipologie contrattuali nuove nell’intento di rendere il mercato del lavoro più adatto alle mutevoli esigenze della produzione e di facilitare così l’incontro tra offerta e domanda di lavoro.
dinamismo nel mercato fu il Libro Bianco24 presentato dal ministro Xxxxxx nel 2001 e ritenuto da parte della dottrina fallimentare.25
Fallimentare per il fatto che proponeva una totale applicazione delle politiche comunitarie sulla flessibilità ad un Paese come l’Italia che era (e probabilmente ancora è) in una situazione strutturale che non dà possibilità concrete di protezione dei disoccupati e mobilità dei lavoratori.
Un’altra linea di azione prevista nel Libro Bianco contestata riguardava la sostituzione della concertazione, intesa come metodo di coinvolgimento di imprese e lavoratori nelle decisioni in materia sociale ed economica, con un semplice dialogo sociale meramente consultivo.
Esistono diversi modelli in Europa di organizzazione del lavoro: vi sono imprese che si concentrano sulla posizione di ciascun lavoratore incoraggiandolo a rimanere sul posto di lavoro e che ne sfruttano la crescente professionalità: da ricordare il modello giapponese del “rapporto di lavoro a vita” dove ad una stabilità di posti organici si accompagna anche l’intenzione di sfruttare il lavoratore considerandolo una risorsa da valorizzare e adeguando, quindi, il lavoro all’età.
L’altro modello organizzativo, a cui si ispira la Fiat, invece si basa sulla precarietà per ridurre i costi e accrescere la mobilità.
Questo modello, però, ha degli aspetti negativi, soprattutto se viene applicato in Paesi con politiche di flexicurity26 inefficaci.
24 I problemi a cui intende dare risposte sono sempre gli stessi: come abbattere i costi del lavoro, siano essi diretti (salari) e/o indiretti (tasse e contributi) e come consentire al padronato di avere mano libera nel mercato del lavoro per consentirgli a seconda della congiuntura economica, e per il tempo strettamente necessario di poter disporre di tutta e solo la forza lavoro strettamente necessaria, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, il che vuol dire libertà di assunzione e di licenziamento.
25 Xxxxxxxx G., Crisi Fiat e politiche del lavoro, Monitor economia, n. 2, pp 135-143, 2002.
26 La flessicurezza è una strategia politica che tenta, in modo consapevole e sincronico, di migliorare la flessibilità dei mercati del lavoro, delle organizzazioni lavorative e dei rapporti di lavoro da una parte, e di migliorare la sicurezza sociale e dell’occupazione, in particolare per i gruppi deboli dentro e fuori dal mercato del lavoro dall’altra parte”. (Wilthangen, Tros 2004, p 169).
I problemi consistono nella perdita di professionalità e di attaccamento del lavoratore. Una soluzione potrebbe, come sempre del resto, stare nel compromesso tra questi due modelli, ovvero nel suddividere l’organico tra una componente fissa, della quale è possibile avvantaggiarsi per la professionalità e specializzazione acquisita nel tempo, e una componente mobile che punta sulla flessibilità dell’incarico dove i lavoratori sono assunti per brevi periodi e a bassa remunerazione (per esempio nei periodi dove è particolarmente necessario l’utilizzo di manodopera).
1.2 L’art. 39 della Costituzione e la sua parziale applicazione
Il sistema sindacale in Italia non si è sviluppato secondo le direttive indicate
dall’art. 39 della Costituzione.
L’art. 39 e l’art. 40 della Costituzione sono da considerare come i baluardi del diritto sindacale italiano, tuttavia le due disposizioni hanno trovato nel nostro ordinamento solo parziale applicazione, rispettivamente in tema di contrattazione collettiva e di diritto di sciopero.
L’art. 39 ha trovato piena applicazione solo per quanto concerne il primo comma, nel quale si afferma che l'organizzazione sindacale è libera.
Sebbene l'art. 39 della Costituzione prevedesse per i sindacati, previo espletamento di una procedura di registrazione, la possibilità di stipulare, "rappresentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti”, contratti
collettivi di lavoro, la funzione del Ccnl di dettare quei minimi economici e normativi validi per tutti i lavoratori di un certo settore non è mai stata introdotta nel sistema giuridico legislativo italiano.
La Costituzione vorrebbe dare una precisa configurazione alle organizzazioni sindacali: libere ma con personalità giuridica di diritto privato, con autonomia propria, diversa da quella degli iscritti.
La norma non fu mai integralmente attuata per diversi motivi legati principalmente alla resistenza delle stesse organizzazioni sindacali, le quali temono che una procedura di registrazione e il controllo statale che ne deriverebbe potrebbero compromettere eccessivamente la loro libertà di azione.
I motivi per cui tale articolo non è stato mai applicato, dunque, sono molteplici e molto discussi: in primis il timore da parte dei sindacati di subire un “controllo” da parte dello Stato come era avvenuto già in passato con l’esperienza fascista. dall’altra parte c’è il timore della presenza di un sindacato dei lavoratori, magari non gradito al potere pubblico, troppo forte che potesse stipulare contratti collettivi valevoli erga omnes.
Il sindacato unitario più potente nel 1948 era la Confederazione generale del lavoro (Cgil), che presentava però già al suo interno varie anime: cattolica, democratico-liberale, estremista.
La prima scissione del sindacato unitario si ebbe all’epoca dell’attentato a Xxxxxxxxx nel 1948 con la Democrazia Cristiana al Governo, fu un atto visto come tentativo di sovversione dello Stato e per questo motivo la corrente cattolica si staccò e formò la CISL.
L’adesione al Patto Atlantico27 creò ulteriori pressioni politiche e si verificò la
seconda scissione, dell’ala democratico-liberale, che creò la UIL.
27 Il Patto Atlantico è un trattato puramente difensivo, che precede la costituzione della NATO, stipulato tra le potenze dell'Atlantico settentrionale a cui poi aderiranno anche Paesi senza sbocchi.
L’alternarsi successivo delle diverse forze politiche al governo del Paese non portò mai all’attuazione di questo secondo comma dell’art. 39 in quanto i sindacati hanno preferito non avere personalità giuridica.
In conclusione, il sindacato italiano è qualcosa di diverso da quello che la Costituzione vorrebbe.
Ma ciò che risulta più problematico è il campo di applicazione dei contratti collettivi e, di conseguenza, le disposizioni del IV comma dell’art. 39.
Qui si afferma che i sindacati possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
Tuttavia, questo principio non ha mai trovato piena applicazione in quanto trova il suo limite per il fatto che si sta pur sempre parlando di un contratto (seppur “sui generis”) di diritto privato.
Per questo motivo, durante gli anni in cui l’Italia ha assistito al fenomeno degli accordi separati e del caso Fiat, il dubbio circa il campo di applicazione del contratto collettivo non è stato risolto e le norme collettive hanno trovato applicazione nei confronti dei soli iscritti alle associazioni sindacali dei lavoratori e datoriali stipulanti il contratto, in quanto uniche a manifestare la volontà di impegnarsi nell’accordo28.
In questo senso si parla spesso di contratto collettivo "di diritto comune" ovvero di un contratto avente efficacia di atto negoziale nei confronti delle parti stipulanti.
Tuttavia in relazione a particolari condizioni la sua efficacia raggiunge anche soggetti che non li hanno esplicitamente sottoscritti grazie alla prassi
sull'Oceano Atlantico come l'Italia, la Grecia, la Turchia ed altri. Il Patto Atlantico viene firmato a Washington, negli Stati Uniti, il 4 aprile 1949.
28 In tal senso storico può considerarsi il recente accordo del 31 maggio 2013 che, finalmente, affronta (seppur non in sede legislativa) la questione concernente la rappresentatività dei sindacati e la democrazia sindacale.
giudiziaria che estende alcune clausole di tali contratti, in caso di controversia, anche ai soggetti non obbligati, sulla base dell'art. 36 della Costituzione. L’art.36 della costituzione, infatti, prevede il diritto del lavoratore ad una "retribuzione proporzionata", individuando nei contratti in questione la base per determinare il minimo contrattuale dovuto.
Il dibattito sulla qualificazione del contratto collettivo come fonte del diritto (e quindi con efficacia erga omnes) o come contratto con efficacia inter partes, non è stato ancora mai risolto in sede legislativa ed è una delle principali cause delle contraddizioni protagoniste delle vicende attuali.
Il problema di estendere l’efficacia del contratto collettivo anche ai non iscritti ai sindacati firmatari dello stesso è un tema ricorrente, tuttavia è anche vero che durante gli anni ’60 fu semplice dare efficacia generalizzata ai contratti collettivi perché i sindacati erano uniti tra loro, si contrapponevano al datore di lavoro nelle trattative come un fronte compatto e unito.
Il contenuto dell’accordo finiva, quindi, per essere efficace sia nei confronti degli iscritti a tutte le organizzazioni sindacali firmatarie sia nei confronti dei lavoratori non iscritti in virtù di una clausola di rinvio contenuta nei contratti individuali di lavoro.
A partire dal 2009, invece, tale unità si è notevolmente incrinata come risulta dalla mancata sottoscrizione da parte della Cgil dell’accordo quadro del 22 gennaio 2009 sulla riforma degli assetti contrattuali e del relativo accordo di attuazione del 15 aprile dello stesso anno.29
L’obiettivo perseguito dall’articolo 39 di riconoscere efficacia generale ai contratti nazionali di categoria e di risolvere i conflitti tra sindacati attraverso la rappresentanza unitaria in proporzione degli iscritti (IV comma) è stato totalmente demolito dai fenomeni degli anni 2000.
29 Vedi paragrafo 1.3 “Accordo interconfederale 15 aprile 2009 per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009”.
Di recente sono stati sempre più frequenti i casi in cui la Cgil non raggiungeva la firma di contratti collettivi, come in alcuni intese del settore pubblico o nel caso degli ultimi contratti firmati per il settore dei metalmeccanici e dell’accordo sulla riforma della contrattazione collettiva del 22 gennaio 2009 nel quale le parti si impegnavano, tra le altre cose, a sottoscrivere un accordo che introducesse regole sulla misurazione della rappresentanza sindacale.
Come si può annoverare il contratto collettivo nel sistema delle fonti, sia pure extra-ordinem se uno dei soggetti sindacali (tra l’altro quello numericamente più consistente) non firma il contratto? Osserviamo che il problema che ha posto così tanti quesiti negli ultimi anni sta nel fatto che da una parte il nostro contratto collettivo nazionale non ha efficacia erga omnes ma, come ogni altro contratto, ha forza di legge tra le parti; dall’altra non si può negare che il contratto collettivo, in base al principio di effettività dell’attività sindacale, ha un’efficacia che si estende di fatto anche ai non iscritti ad alcun sindacato e le sue clausole sono destinate a prevalere nei confronti di quelle regolamentazioni contenenti un trattamento peggiorativo verso i lavoratori.
Il fondamento costituzionale di tale principio è da ricercarsi, però, non nel IV
comma dell’articolo 39 della Costituzione, bensì nel I.
1.2a: Gli accordi collettivi separati
Il primo decennio del 2000 può essere ricordato come il decennio della contrattazione collettiva separata30.
La contrattazione separata è una tecnica le cui prime tracce si rinvengono solo a partire dagli anni ’70.
Xxxxxxxx Xxxxxxx00 nel 1972 scriveva: “la possibilità di contrattazione collettiva separata (…) diventò una pratica effettiva nel lungo processo di erosione della tendenza unitaria di alcune categorie industriali sino a che la svolta tecnologica degli anni ’60 (in una situazione di oramai effettiva pluralità sindacale) riformulò i problemi politici dei sindacati e suggerì loro una politica di collaborazione reciproca, per lo meno in alcune materie”.
Quello degli accordi separati può essere considerato come il fenomeno dei contratti collettivi firmati non da tutte le organizzazioni sindacali che hanno partecipato al tavolo delle trattative.
Per parti si intendono quelle che, secondo la prassi formatasi nel tempo, agiscono nel sistema di relazioni negoziali operanti nell’ambito dove l’accordo separato è destinato ad operare (ovvero la categoria contrattuale, il territorio, l’azienda).
Da distinguere rispetto agli accordi separati è il diverso fenomeno della concorrenza di accordi sindacali. In questo caso ci troviamo di fronte a contratti collettivi separati gli uni rispetto agli altri, i quali, in questo modo, danno luogo ad un pluralismo di fonti concorrenti di regolamentazione dei rapporti di lavoro, fonti che vengono applicate dalle imprese al personale dipendente in base alla sua adesione formale o sostanziale alle associazioni imprenditoriali stipulanti.
Diversamente, si qualifica come separato “quel contratto collettivo, seppure
unico nel settore, la cui stipulazione ha determinato una rottura tra le
30 Xxxxxx X.: le relazioni sindacali dei metalmeccanici e la giurisprudenza del 2011: note di metodo,
Questione Giust., 2011, fasc. 5, pp 67-84.
31 Xxxxxxx X., teorie e ideologie del diritto sindacale, Milano, 1972, pag. 55.
organizzazioni sindacali che, dopo aver partecipato alle trattative, si separano al momento di assumere la decisione se firmare o meno l’accordo”32.
Alla trattativa condotta congiuntamente si contrappone la firma disgiunta del contratto.
Il fenomeno degli accordi separati può essere a ragione paragonato ad un “termometro sociale” dello stato attuale delle relazioni sindacali ed intersindacali: fino a quando le relazioni tra i sindacati sono più o meno pacifiche si riescono a raggiungere accordi sottoscritti da tutte le associazioni partecipanti, se invece i rapporti intersindacali si incrinano, non si riesce a raggiungere un accordo che corrisponda a quella sintesi di interessi individuali condivisa da tutti i sindacati partecipanti alle trattative.
La conseguenza della prima ipotesi è che avendo raggiunto un accordo condiviso diminuiscono nettamente i problemi legati al campo di applicazione soggettiva dei contratti collettivi, mentre nell’opposto caso di accordi separati emerge il problema dell’effettività dell’accordo.
Se un contratto collettivo trova applicazione solo per gli iscritti ai sindacati stipulanti e non nei confronti degli iscritti alle organizzazioni dissenzienti si deve risolvere il problema di capire a quale disciplina assoggettare questi ultimi.
Inoltre, c’è il problema che la differenza di trattamento può comportare in termini di tutela del principio fondamentale di parità di trattamento tra i lavoratori.
Tra i maggiori esempi di accordi separati degli anni 2000 possiamo osservare, ad esempio, che nel rinnovo nel Ccnl del 2001 il sindacato dei lavoratori più rappresentativo dell’industria metalmeccanica non firmò l’accordo.
32 Xxxxxxx A., Accordi collettivi separati: tra libertà contrattuale e democrazia sindacale, Milano, 2012.
Anche nel 2003 venne firmato un secondo accordo separato per giungere, quindi, agli accordi separati del 2009 e del primo contratto nazionale di categoria nel settore metalmeccanico (15 ottobre 2009 con integrazione del 29 settembre 2010)33. Tali accordi si sono sovrapposti al Ccnl del 20 gennaio 2008, questa volta sottoscritto unitariamente.
I contratti collettivi separati sono dunque quelli in cui il tradizionale assetto unitario viene messo in crisi da divergenze politico-sindacali.
1.3 Accordo interconfederale 15 aprile 2009 per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un dibattito sulla riforma del sistema di contrattazione collettiva e delle relazioni industriali. Dopo una lunga trattativa, il 22 gennaio 2009 le associazioni imprenditoriali da una parte e Cisl, Uil e Ugl dall’altra, hanno sottoscritto un accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali.
Quest’ultimo è stato poi completato da un altro accordo stipulato, tra le stesse parti, il 15 aprile dello stesso anno con funzione attuativa.
33 Contratto collettivo nazionale di lavoro che prosegue sullo spirito del “Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo” del 23 luglio 1993 e dell’Accordo interconfederale del 15 aprile 2009. Ha come fine quello di realizzare, per quanto di competenza del contratto collettivo nazionale di categoria, le finalità e gli indirizzi in tema di relazioni sindacali.
L’accordo quadro ha come scopo quello di sostituire regole già contenute e
definite dal Protocollo del 23 luglio 1993.
Per fare un confronto tra l’accordo del 2009 e il Protocollo del ’93, possiamo affermare che nel Protocollo il cardine del sistema di relazioni industriali era rappresentato dalla coerenza tra concertazione e contrattazione, e tra le politiche contrattuali di diverso livello con lo scopo di perseguire obiettivi di equità nella distribuzione dei redditi, nello sviluppo economico e nell’occupazione.
Nel 2009, invece, non si può parlare di una vera e propria concertazione, in quanto la revisione della struttura contrattuale è stata realizzata con un accordo bilaterale.
In altre parole, rispetto al Protocollo del ’93, nell’Accordo quadro il governo non è presente come terzo che mette a disposizione risorse normative e finanziarie.
In realtà di concertazione si può parlare, tuttavia, da un punto di vista sostanziale, sebbene essa non appaia formalmente; è infatti vero che la trattativa avviata da Confindustria con Cgil, Cisl e Uil, poi proseguita con le sole Cisl e Uil, è stata conclusa con l’entrata in scena del governo.
Quindi la differenza più rilevante, rispetto al ’93, e che potrebbe far dubitare dell’esistenza di una concertazione, è la firma disgiunta di una delle tre associazioni sindacali rappresentative dei lavoratori: la Cgil.
Da un punto di vista normativo, l’accordo rimane perfettamente valido ed
efficace.
Il testo dell’accordo quadro stabilisce che il Governo e le parti sociali hanno come obiettivo lo sviluppo economico e la crescita occupazionale fondata sull'aumento della produttività, l'efficiente dinamica retributiva e il miglioramento di prodotti e servizi resi dalle pubbliche amministrazioni.34
34 Accordo quadro 22 gennaio 2009, Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Venendo al merito, il primo punto dell’accordo in questione stabilisce che “l'assetto della contrattazione collettiva è confermato su due livelli: il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria e la contrattazione di secondo livello come definita dalle specifiche intese”.
Troviamo, quindi, la conferma di un assetto contrattuale fondato su due livelli, già delineato in passato dal Protocollo Ciampi del 199335: un contratto nazionale di lavoro di categoria al primo livello e un secondo livello di contrattazione aziendale o, dove previsto, territoriale.
Una delle cause, che determinarono lo strappo della Cgil, concerne la dinamica delle retribuzioni, fissate dai contratti collettivi di categoria.
Il punto di riferimento dal 2009 non è più il tasso di inflazione programmata
ma l’IPCA36.
Si individua, dunque, un indicatore della crescita dei prezzi al consumo assumendo, al posto del tasso di inflazione, un nuovo indice previsionale per il triennio.
Alle parti è sembrato preferibile tale indice, in quanto depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici di importazione.
35 Prima del 1993 il sistema contrattuale italiano era caratterizzato da un basso grado di cooperazione e coordinamento per quanto concerneva le regole che determinavano i salari. La svolta per le relazioni industriali italiane arrivò con la stipula dell’accordo concertato del 23 luglio 1993 che gettava le basi per una nuova era di contrattazione. Con esso le parti sociali vollero dare una chiara svolta individuando la strada che avrebbe dovuto essere seguita in fase di contrattazione nazionale ed aziendale. La nuova struttura del sistema contrattuale italiano, dopo il 1993, può essere definita di “decentramento centralizzato” .
Si possono individuare tre principi cardine posti nel documento: l’associazione delle parti sociali alla determinazione della politica dei redditi, il coordinamento della struttura contrattuale e la certezza delle competenze ad ogni livello ed infine la precisa individuazione dei soggetti titolari dei poteri di rappresentanza e di contrattazione.
Uno dei punti più importanti per il futuro della nostra contrattazione collettiva riguarda la conferma dei due livelli di negoziazione l’uno nazionale di categoria e l’altro, alternativamente, aziendale o territoriale. La scelta fra le due sedi negoziali decentrate veniva demandata alla prassi in atto nei diversi settori e nelle diverse categorie .
36 IPCA: Indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri dell'Unione Europea . L'IPCA è stato sviluppato per assicurare una misura dell'inflazione comparabile a livello europeo.
Infatti viene assunto come indicatore per verificare la convergenza delle economie dei paesi membri dell'Unione Europea ai fini dell'accesso e della permanenza nell'Unione monetaria.
Il vero punto focale che ha causato un tale dissenso tra le parti sociali (da portare addirittura alla sottoscrizione sistematica di accordi separati) è da individuare nel punto 9 dell’accordo, circa lo spostamento del baricentro della contrattazione nazionale verso la contrattazione di secondo livello aziendale o territoriale.
“Per il secondo livello di contrattazione come definito dalle specifiche intese parimenti a vigenza triennale le parti confermano la necessità che vengano incrementate, rese strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure volte ad incentivare, in termini di riduzione di tasse e contributi, la contrattazione di secondo livello che collega incentivi economici al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all'andamento economico delle imprese, concordati fra le parti”.37
È dunque prevista la possibilità di derogare in peius il contratto nazionale da parte di quello aziendale, per far fronte a situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale (c.d. clausole di uscita o di opting out)38. L’espressa previsione di tale derogabilità costituisce la nascita di un modello contrattuale parzialmente nuovo.
37 Punto 9 dell’Accordo del 22 gennaio 2009.
38 Opting out: Clausola derogatoria nata ed utilizzata in ambito europeo in base alla quale alcuni Stati membri della Comunità si sono astenuti dal partecipare a determinate politiche. Il problema cominciò a sorgere quando, nel corso delle negoziazioni per il Trattato di Maastricht , emersero le divergenze fra il Regno Unito e gli altri Stati membri sul terreno della politica sociale europea. Infatti mentre la maggior parte degli Stati premeva per ampliare la dimensione sociale della Comunità, il Regno Unito si oppose fermamente a qualsiasi intervento comunitario in questo campo. Per scongiurare il pericolo di una paralisi totale delle negoziazioni, gli Stati membri decisero di introdurre una clausola di esenzione (opting-out) che consentisse al Regno Unito di essere dispensato dal rispettare il Protocollo sulla politica sociale, sottoscritto dagli undici Stati.
Per quanto riguarda l’accordo attuativo dell’aprile 2009, il punto 2.3 stabilisce che “il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria regola il sistema di relazioni industriali a livello nazionale, territoriale e aziendale”39
Da ciò si può desumere l’intenzione di riordinare, come anche il Protocollo Ciampi, i livelli di contrattazione collettiva, demandando al contratto nazionale di categoria la regolamentazione del sistema di relazioni industriali a livello nazionale, territoriale e aziendale. È per questo che autori, come Xxxxxxxx Xxxxxxx, parlano di un “decentramento organizzato dal centro40”.
Il Ccnl ha il compito e il potere di definire modalità e ambiti della contrattazione di secondo livello.
Bisogna ricordare, inoltre, che le parti sono state spinte ad avviare politiche di decentramento per uniformarsi alla sempre più forte tendenza dei Paesi dell’Unione Europea ad avviare processi di decentramento contrattuale.41
39 Accordo Interconfederale del 15 aprile 2009, attuativo dell’accordo quadro del 22 gennaio 2009.
40 Magnani M., I nodi attuali del sistema di relazioni industriali e l’accordo quadro del 22 gennaio 2009, Arg.Dir.Lav., fasc.6, pp.1278-1291.
41 Xxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxx in “conquiste del lavoro” gennaio 2013: “La crisi ha accelerato la tendenza al decentramento della contrattazione collettiva in Europa? Sì, ma non ovunque, e non solo a causa della crisi. A guidare un gruppo tutt’altro che nutrito c’è ancora una volta la Germania, che ha cominciato a derogare nei primi anni Novanta. Lo dice uno studio di Eurofound sulle clausole di deroga (le cosiddette “clausole di apertura”) sui salari nei contratti collettivi settoriali.” Il decentramento organizzato (Xxxxxxx, 1995), corrisponde ad un aumento della contrattazione a livello aziendale nel quadro di norme e standard definiti da accordi (inter)settoriali. Il decentramento spesso ha interessato questioni concernenti l’orario di lavoro, ma ormai riguarda anche la contrattazione salariale, soprattutto per quanto concerne elementi salariali non fondamentali (Keune, 2006, 2008). C’è chi sostiene che l’attuale crisi economica costituisca un ulteriore argomento a favore dell’accelerazione del decentramento della contrattazione collettiva. Altri affermano invece che proprio l’instabilità dovuta alla crisi rafforzerebbe l’importanza della contrattazione settoriale, poiché questa consente una maggiore stabilità.
Una forma specifica di decentramento è l’apertura di nuove possibilità per le aziende, in virtù di vari tipi di clausole di deroga. Il fondamento logico di tali deroghe risiede nel fatto che si tratta di strumenti che consentono alle aziende di superare difficoltà economiche temporanee senza dover ricorrere a licenziamenti di massa.
L’inserimento di clausole di deroga in accordi di livello superiore e il loro utilizzo pratico a livello aziendale (o talvolta territoriale) sono questioni molto dibattute in alcuni dei sette paesi presi in esame in questa relazione. Tuttavia, occorre rilevare che queste clausole effettivamente hanno una forte influenza solo in Germania, dove compaiono nella maggior parte dei contratti settoriali e sono ampiamente utilizzate a livello aziendale. In Austria, Belgio e Italia non svolgono alcun ruolo significativo, mentre in Francia sono stati adottati importanti cambiamenti legislativi per consentire accordi aziendali al di sotto degli standard dei contratti settoriali, ma nella pratica queste possibilità non sono quasi mai utilizzate. Allo stesso modo, in Spagna la maggioranza dei dipendenti rientra in un
Pare tuttavia che, nonostante le spinte al decentramento, in alcuni Paesi europei non risulti affatto semplice affrontare il cambiamento e ciò è dimostrato dal fatto che sindacati e datori di lavoro sono più interessati a mantenere la stabilità dei rispettivi sistemi di contrattazione collettiva invece di optare per un radicale decentramento della contrattazione salariale, continuando, in questo modo, a preferire le prassi tradizionali, che in generale li soddisfano.
In particolare i sindacati temono la frammentazione del sistema di relazioni industriali, l’aumento delle disparità e delle disuguaglianze nelle condizioni di lavoro, la diminuzione della solidarietà e la concorrenza al ribasso nei salari.
Tuttavia, anche se appare contraddittorio rispetto all’atteggiamento delineato in precedenza, nel terzo punto dell’accordo di aprile le parti hanno ritenuto che una maggiore diffusione della contrattazione di secondo livello potesse consentire di rilanciare la crescita della produttività e, di conseguenza, delle retribuzioni reali.
Da una parte, dunque, si afferma l’esigenza di incrementare e formalizzare tutte le misure volte ad incentivare la contrattazione di secondo livello che collega aumenti salariali al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia; dall’altra parte, però, si ribadisce il concetto per cui la contrattazione di secondo livello rimane applicabile per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge.
Tale concetto verrà poi ribadito dal più recente accordo interconfederale del 201142.
contratto collettivo che comprende clausole di apertura relative ai salari, che però vengono applicate raramente nella pratica. (Eurofond)
42 Clausola terza dell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011: “la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla Legge”. A questa clausola si aggiunge, poi, la settima la quale afferma che: “i contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad
A differenza del Protocollo del ’93, in questo caso vengono incentivati i
procedimenti di contrattazione aziendale nelle imprese di minori dimensioni.
È importante, infatti, l’attenzione che viene data anche alle piccole imprese, se teniamo conto del fatto che in Italia la stragrande maggioranza delle aziende sono di dimensioni medio-piccole.
Per quanto concerne la regolazione della rappresentanza sindacale, possiamo trovare una differenza addirittura tra l’accordo di gennaio e quello di aprile del 2009.
Infatti, mentre nel primo si prevede l’adozione di “nuove regole di rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva, valutando le diverse ipotesi che possono essere adottate con accordo”, tra queste “la certificazione all’Inps dei dati di iscrizione sindacale”, in quello di aprile si fa riferimento ad uno specifico accordo interconfederale solo per aggiornare le regole che disciplinano la rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
Nulla, però, circa la regolazione del conflitto, al contrario che nel precedente accordo, dove, per il livello aziendale dei servizi pubblici locali, si giungeva addirittura a prefigurare una selezione dei soggetti legittimati a proclamare lo sciopero.
La funzione dell’accordo è quella di garantire la tutela del potere di acquisto delle retribuzioni dall’inflazione, mentre viene affidata alla contrattazione collettiva di secondo livello il compito di distribuire gli aumenti retributivi
assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti
e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro. Ove non previste ed in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’azienda, i contratti collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali operanti in azienda d’intesa con le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del presente accordo interconfederale, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Le intese modificative così definite esplicano l’efficacia generale come disciplinata nel presente accordo”.
legati realmente alla produttività quando gli accordi aziendali saranno effettivamente capaci di determinare tali aumenti.
La spinta al decentramento è ritenuta necessaria per l’avvicinamento delle dinamiche retributive alle reali condizioni del sistema produttivo, ma questa spinta è stata frenata sia a causa dalla debole diffusione della contrattazione aziendale, la quale copre circa il 30% delle aziende, sia dall’assenza di crescita economica dovuta alla recente crisi.
Da aggiungere è anche il fatto che sia l’accordo quadro che l’accordo interconfederale del 2009 sono accordi separati e, quindi, fragili dal punto di vista giuridico in quanto hanno mera efficacia obbligatoria per i soli iscritti ai sindacati stipulanti.
Per questo parte della dottrina43 ha ipotizzato che l’intesa separata sulle regole di governo della contrattazione collettiva e dei rapporti sindacali possa innescare un conflitto che comporterebbe solo un indebolimento di tutti i sindacati, della contrattazione collettiva stessa e, più in generale, delle relazioni industriali.
1.3a: Punto di vista della Cgil
Ai fini dell’indagine sulla crisi dei rapporti sindacali venutasi a creare a partire dal 2009, è utile prendere in considerazione il punto di vista del sindacato non stipulante gli accordi separati di quegli anni e che, di fatto, ha dato origine alla
43 Bellardi X., concertazione e contrattazione dal protocollo Giugni agli accordi separati del 2009, Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, 2009, fasc. 3, pag. 481.
“rivoluzione”. La Cgil ha ritenuto di essere stata indebitamente e appositamente esclusa dalla realizzazione di tali intese.
Nel commento all’accordo quadro la confederazione sindacale scrive che:
“La costruzione di questa intesa separata contiene un’esplicita volontà di esclusione della Cgil.
E’ un atto che giudichiamo di irresponsabilità innanzitutto del Governo, che ha lavorato per costruire un’intesa che:
• dividesse il sindacato;
• aprisse la strada ad ulteriori passi legislativi di scardinamento del sistema delle relazioni e di diritti sindacali.
Infatti:
• non si è potuto svolgere un negoziato sul testo elaborato da Confindustria in nome e per conto della pluralità di associazioni imprenditoriali;
• la parte dedicata al pubblico impiego è fintamente analoga a quella privata;
• si è scelto di precipitare un accordo separato anche per nascondere sul piano mediatico l’assoluta mancanza di interventi sulla crisi.” 44
La Cgil è convinta che sia sbagliato l’obiettivo di fondo, ovvero quello dell’aumento del ruolo della contrattazione aziendale con corrispondente riduzione di quello del livello centrale. Così stando le cose, qualsiasi accordo venga raggiunto con tale metodo di negoziato, esso sembra destinato a essere considerato, da quella corrente sindacale, come una sconfitta.
Un tentativo effettuato in passato dalla Cgil è stato quello di ammettere che occorre aumentare il ruolo della contrattazione aziendale, senza però ridurre il ruolo del contratto collettivo nazionale, che anzi va difeso.
44 Cgil: Confederazione Generale Italiana del Lavoro, Accordo Quadro separato del 22 gennaio 2009 Illustrazione e commento.
Come si fa a dare più spazio alla contrattazione aziendale se non a spese di quella nazionale?
Ad avviso della Cgil, l’impianto dell’accordo quadro separato cancella il modello contrattuale universale. L’impianto proposto da Confindustria e dalle iniziative del Governo, secondo quanto manifestato dalla Cgil, indicano il concreto rischio di un moltiplicarsi di modelli contrattuali che andrebbero a destrutturare il modello universale degli assetti contrattuali, generando l’effetto della rincorsa al dumping contrattuale45 e indebolendo ulteriormente le categorie più frammentate.
Infatti, nell’accordo sono indicati dei principi da cui discenderanno poi accordi interconfederali specifici (per settore, per associazione d’impresa, ecc.) che definiranno le regole applicative.
Il timore più grande è quello per cui, oltre alla moltiplicazione burocratica di adempimenti, in questo modo, si affondano le intese separate già effettuate.
Queste modalità, ad avviso della Cgil, limitano l’autonomia contrattuale delle categorie e la funzione dei contratti, dal momento che il Ccnl si riduce ad essere solo un luogo di applicazione delle decisioni assunte nelle intese interconfederali o nei comitati interconfederali.
La confederazione ritiene inaccettabili le procedure che limitino di fatto l’autonomia contrattuale delle categorie e mettano in discussione le prerogative delle rappresentanze in azienda, e sottolinea che senza un modello universale unico prenderebbe piede il federalismo contrattuale (ritorno alle gabbie salariali)46 e l’abbandono dei diritti contrattuali nazionali.
45 Il dumping contrattuale, come il dumping sociale può essere definito come quel fenomeno concorrenziale che si basa sul divario in termini di costi e condizioni di lavoro in generale tra diversi livelli di contrattazione collettiva.
46 Le gabbie salariali furono un fenomeno nato con un accordo firmato il 6 dicembre del 1945 tra industriali e organizzazioni dei lavoratori, per la parametrazione dei salari sulla base del costo della vita nei diversi luoghi. Entrate in vigore nel 1946, inizialmente furono previste solo al nord e solo in un secondo momento estese a tutto il paese. Inizialmente la divisione era in quattro zone, ciascuna con un diverso calcolo dei salari. Sono state soppresse nel ’69 a seguito di forti mobilitazioni operaie.
Per questi motivi assistiamo, oggi, alla costante contrapposizione della Cgil al raggiungimento di accordi concertati con le altre parti sociali, le quali, invece, tentano di modificare le politiche sociali e laburistiche in senso innovativo e decentralizzante.
1.4 Settore metalmeccanico
Il contratto collettivo, si vuole ribadire, è sintesi e non somma di interessi individuali. Così come a livello aziendale e territoriale i sindacati tentano di raggiungere tale sintesi, così anche a livello nazionale il contratto collettivo deve tenere in considerazione il più alto numero possibile di interessi dei lavoratori di quel settore. In termini pratici, dunque, la Cgil durante le trattative per la sottoscrizione di un contratto collettivo dovrà tener conto delle posizioni tenute dalle sue federazioni di categoria più rappresentative.
Il metalmeccanico è da sempre considerato uno dei settori più importanti del sistema industriale, e al suo interno la Fiom ha da sempre storicamente raccolto il maggior numero di adesioni.
È per questo motivo che, nel momento in cui la Fiom assume una posizione favorevole o contraria circa un determinato argomento, la Cgil ne dovrà tener conto per la sottoscrizione di contratti collettivi a livello nazionale (soprattutto dal momento in cui il settore metalmeccanico è quello più colpito dalle disposizioni contenute nell’accordo oggetto delle trattative).
Prestando attenzione alla categoria in esame, in questo settore è addirittura esploso un vero e proprio conflitto intersindacale tra la Fiom, che privilegia la
tenuta e la sostanziale inderogabilità del contratto nazionale, e le altre federazioni di categoria come la Fim e la Uilm che accettano lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva dal livello nazionale a quello territoriale o aziendale, seppur sempre sotto l’egida del contratto nazionale.
Questa situazione di inconciliabilità ha portato, il 15 ottobre del 2009, Federmeccanica e Fim e Uilm a raggiungere un’intesa per il rinnovo del contratto dei lavoratori metalmeccanici.
Si è giunti ad un accordo solo con Cisl e Uil con l'esclusione del sindacato più rappresentativo: la Fiom Cgil.
Nel 2010 si raggiungeva, infatti, un’intesa modificativa del Ccnl, sottoscritta da tutte le organizzazioni sindacali ad eccezione della Cgil, che stabiliva: “al fine di favorire lo sviluppo economico ed occupazionale mediante la creazione di condizioni utili a nuovi investimenti o all'avvio di nuove iniziative ovvero per contenere gli effetti economici e occupazionali derivanti da situazioni di crisi aziendale”, potevano essere realizzate specifiche intese modificative, anche in via sperimentale o temporanea, di uno o più istituti disciplinati dal Ccnl e dagli accordi dallo stesso richiamati.47
Tali intese, si stabilisce nell’accordo, sono definite a livello aziendale con l'assistenza delle Associazioni industriali e delle strutture territoriali delle Organizzazioni sindacali stipulanti, che le sottoscrivono.
Le intese modificative dovranno contenere una serie di indicazioni:
• gli obiettivi che si intendono conseguire,
• la durata (qualora di natura sperimentale o temporanea),
• i riferimenti puntuali agli articoli dei Ccnl oggetto di modifica,
• le pattuizioni a garanzia dell'esigibilità dell'accordo con provvedimenti a carico degli inadempienti di entrambe le parti.
47 Metalmeccanici - Industria: Accordo deroga CCNL 29 settembre 2010
Le intese modificative non potranno riguardare i minimi tabellari, gli aumenti periodici d'anzianità e l'elemento perequativo oltreché i diritti individuali derivanti da norme inderogabili di legge. Qualora queste siano promosse da aziende plurilocalizzate, le associazioni industriali e le strutture territoriali delle organizzazioni sindacali stipulanti individueranno apposite modalità di coordinamento laddove ne ricorra la necessità.
Prestando attenzione agli avvenimenti che hanno interessato la categoria dei metalmeccanici, fino al 2011-2012 troviamo presenti due contratti collettivi applicati alla categoria in questione: il primo è l’accordo nazionale del 2008, efficace nei confronti degli iscritti alla Fiom fino al 2011 e il secondo siglato dalla Fim e dalla Uilm nel 2009 efficace soltanto nei confronti degli iscritti a queste ultime.
La problematica è sorta dopo che, a seguito della sottoscrizione del Ccnl del 20 gennaio 2008, da parte della Fiom , Fim e Uilm unitariamente, nel giugno 2009 Fim e Uilm comunicavano a Federmeccanica la disdetta del Ccnl di categoria siglato nel 2008.
Così, il 15 ottobre 2009 Federmeccanica giunge ad una ipotesi di accordo solo con la Fim e la Uilm, dal momento che la Fiom non solo non ha mai espresso la propria adesione, ma ha avviato la propria battaglia per considerare come unico contratto vincolante ed esistente, quello del 2008.
Le aziende Federmeccanica, nel frattempo avevano applicato a tutti i dipendenti, gli istituti e gli aumenti retributivi previsti dal rinnovo contrattuale del 2009.
In virtù di tali fatti, la Fiom fa ricorso al giudice del lavoro per la repressione, ai sensi dell’art. 28 Legge 300/1970, dell’asserita condotta antisindacale delle aziende aderenti a Federmeccanica, incentrata sulla mancata applicazione del Ccnl 2008 ai propri iscritti.
Diversi sono stati gli orientamenti manifestatisi a seguito delle pronunce giurisdizionali.
In ben tre cause (Trib. Torino , decreti del 18 aprile 2011 e 26 aprile 2011 e Tribunale di Modena, decreto 22 aprile 2011) i giudici si sono espressi riconoscendo la condotta antisindacale delle aziende convenute accusandole di aver “negato” ai propri dipendenti, l’applicazione del Ccnl del 2008, la cui scadenza, almeno per la parte normativa, era prevista per la data del 31 dicembre 2011.
Secondo la Fiom, questo comportamento avrebbe comportato un grave danno alla sua immagine quale soggetto contrattuale e rappresentativo sia all’interno delle aziende che sul territorio locale.
La richiesta della Fiom di conseguenza fu quella della rimozione degli effetti delle asserite condotte antisindacali, applicando a tutto il personale delle aziende convenute il Ccnl del 2008, quale unico ed esclusivo contratto valido ed efficace fino alla naturale scadenza prevista per il 31 dicembre del 2011.
I giudici aditi si sono pronunciati orientandosi sulla tesi della compresenza sul piano giuridico, dei due Accordi in questione.
Per il fatto che la Fiom non ha prestato il proprio consenso alla sottoscrizione dell’accordo del 2009, l’accordo del 2008, secondo i giudici, spiegherebbe i propri effetti fino alla sua naturale scadenza del 31 dicembre 2011, nei confronti delle parti stipulanti, nonché ai relativi iscritti, ovvero a tutti coloro che, seppur non iscritti a nessun sindacato, abbiano manifestato la propria volontà di aderirvi.
Il punto focale su cui si sono sedimentate le discussioni in proposito è stata,
appunto, l’affermazione della compresenza dei due contratti.
Per quanto riguarda la questione della valutazione del comportamento delle aziende come censurabile o meno, i giudici hanno stabilito che le aziende hanno posto in essere azioni in netta contrapposizione con il sindacato
ricorrente, anche attraverso condotte idonee a ledere la funzione, l’immagine e la credibilità della Fiom; precisamente i giudici hanno sostenuto che le aziende avrebbero volutamente “sottaciuto” ai propri dipendenti la perdurante efficacia del Ccnl del 2008, affiggendo sulla bacheca aziendale solo un comunicato con il quale si evidenziava la facoltà, per i lavoratori non iscritti ad alcun sindacato, di versare la c.d. quota associativa straordinaria in favore delle organizzazioni sindacali firmatarie dell’Accordo del 2009, senza chiarire allo stesso tempo che all’ultimo accordo era da aggiungersi quello del 2008.
Dall’altra parte l’azienda ha ritenuto incongruente la pretesa del sindacato
ricorrente di vedersi erogare i benefici contrattuali dell’Accordo del 2009.
Il sindacato ricorrente, per un verso, adiva il giudice per far riaffermare, quale unico e vincolante, il solo Ccnl unitario, per l’altro verso, pretendeva di beneficiare degli aumenti contrattuali conseguenti al rinnovo dell’accordo separato.
Il giudice torinese non ha affrontato quest’ultima questione, affermando che presenta connotazioni più sindacali che giuridiche e che andrà risolta semplicemente in sede di confronto tra le parti sociali.
Il giudice si è invece espresso in relazione alla qualificazione come antisindacale della scelta delle aziende di non aver informato il proprio personale del motivo della compresenza di due Accordi collettivi, la cui vigenza non è mai stata messa in dubbio.
Secondo un orientamento alternativo48, il giudizio appena esposto potrebbe apparire controverso e discriminatorio nei confronti dei lavoratori iscritti alle organizzazioni sindacali firmatarie degli accordi del 2009. Ciò appare evidente nella parte in cui si stabilisce che i lavoratori iscritti a Fim e Uilm, per avere diritto agli aumenti retributivi devono accettare le condizioni peggiorative
48 Xxxxxxx X. , La riforma delle relazioni industriali alla prova della competizione sindacale, Riv. It. Dir. Lav., fasc 3, 2001.
previste dal contratto separato del 2009, mentre i lavoratori iscritti alla Fiom possono godere di tali aumenti senza però rinunciare al miglior trattamento contenuto nel contratto collettivo del 2008 solo perché la loro organizzazione sindacale di appartenenza non ha firmato il secondo accordo.
Probabilmente, anche per questi motivi, un altro giudice del Tribunale di Torino si è espresso secondo un diverso orientamento. Questi, ad esito del giudizio tra la Fiom e la Prime Industrie S.p.A. ha mostrato una maggiore sensibilità per la legittimazione del Ccnl del 2009. Anche questo giudice ha seguito l’orientamento che prevede la pacifica coesistenza di entrambi i contratti ma non ha dichiarato antisindacale il comportamento della società che non ha applicato in via esclusiva il Ccnl del 2008 agli iscritti Fiom.
Ma la domanda è: come si inseriscono gli accordi di Pomigliano (e Mirafiori) e il successivo contratto specifico di primo livello di Pomigliano nell’attuale struttura della contrattazione collettiva?
Possiamo affermare che la vicenda Fiat, di cui tratteremo approfonditamente nel prossimo capitolo, segna la crisi sostanziale dell’attuale sistema di contrattazione collettiva, nel senso che rende inoperante il protocollo del ’93; mentre la sua crisi formale era stata dichiarata con l’accordo quadro del gennaio 2009 cui seguiva l’accordo attuativo dell’aprile dello stesso anno: accordi che, come abbiamo visto, sono caratterizzati dal fatto di essere formalmente non unitari ma separati.
Il contratto di primo livello è identificato col contratto nazionale di categoria, il quale si occupa di uniformare condizioni economiche e normative nel modo più ampio possibile.
Il contratto di primo livello ha, quindi, una funzione solidaristica, intesa come consapevolezza per i lavoratori di essere inseriti in una determinata classe sociale e con la possibilità, assieme agli altri membri appartenenti alla classe,
di condividere interessi, talvolta, conflittuali con quelli delle altre classi costituenti la società.
La vocazione solidaristica del contratto collettivo di primo livello la riscontriamo anche nell’accordo quadro Governo-parti sociali sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, dove viene ribadita la funzione del Ccnl di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi.
Mentre il contratto collettivo generale necessita che almeno una delle due parti contrattuali sia collettiva, il contratto di primo livello, proprio per le funzioni che assolve, richiede che entrambe le parti siano collettive.
Sia sul versante dei lavoratori che su quello datoriale troviamo associazioni sindacali di categoria e non (ad esempio, il solo datore di lavoro).
Con riferimento alla formula adottata dalle parti: “contratto specifico di 1°livello” per lo stabilimento di Pomigliano”, possiamo notare come essa non sia del tutto corretta, infatti si tratta piuttosto di un contratto monolivello aziendale, di stabilimento.
Questa nuovo termine sta ad indicare, nel caso di specie, un contratto che nasce da Confindustria e che si applica a tutte le aziende (Fiat) presenti sul piano nazionale e non solo, quindi, allo stabilimento come un normale contratto collettivo aziendale (detto, appunto, di secondo livello).
Secondo i principi generali non basta dare ad un contratto un certo nomen juris (in questo caso quello di contratto di 1°livello) per qualificarlo in tal senso, ma bisogna anche che il comportamento delle parti non sia in contrasto con tale qualificazione.
Secondo parte della dottrina49 questa formula, oltre ad essere imprecisa, vuole probabilmente indicare che il contratto applicabile allo stabilimento, in
49 Vedi per tutti Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G., l’impatto del conflitto intersindacale sui livelli contrattuali nella
categoria dei metalmeccanici. Note minime su questioni ancora molto controverse, A.D.L. 2, 2011.
conseguenza della mancata adesione alla New.co.50 di Pomigliano al sistema Confindustriale, è l’unico applicabile e non deve e non può trovare applicazione il contratto collettivo nazionale.
Per concludere, l’accordo di Mirafiori e il contratto collettivo specifico di 1° livello di Pomigliano si sottraggono alla disciplina del contratto nazionale metalmeccanico che Fim e Uilm avevano siglato nel 2009 rendendo inutile la previsione dell’art. 4 bis introdotto il 29 settembre 2010 in accordo con Federmeccanica per giustificare ex post il precedente accordo di Pomigliano per certi aspetti peggiorativo del contratto nazionale del 2009.
La Fiat ha scelto la via hard51 per staccarsi dal sistema contrattuale articolato su due livelli, infatti, facendo in modo che la Xxx.xx. non aderisse all’associazione industriale territoriale di riferimento, si ottiene come risultato il fatto che questa non risponda più a Federmeccanica e, quindi, a Confindustria.
50 Xxx.xx. è un nome generico e transitorio che viene assegnato a una nuova azienda (Xxx.xx. sta per New company) che sorgerà da una ristrutturazione o da un progetto di creazione di una nuova azienda. 51 Carinci F., Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore
WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT – 133/2011
Capitolo II
Caso Pomigliano e Mirafiori
2.1 Contesto economico-sociale italiano e mondiale
«Non è un semplice caso che il processo celebrativo del quarantennio dello Statuto sia stato funestato dall’ “incidente in itinere” avvenuto a Pomigliano, in quello stabilimento di alto valore simbolico ed occupazionale, non per niente dedicato al grande filosofo napoletano dei corsi e ricorsi, Xxxxxxxxxxxx Xxxx. Funestato, tanto da cambiar di tono e contenuto, trasformandosi non di rado da dibattito scientifico a comizio ideologico, fra rigurgito nostalgico e necrologio commemorativo. Xxxxxxxxx Xxxxx, in cui la storia viene continuamente inghiottita dalla cronaca, trasformata in due documentari in bianco e in nero, dove, quel che in uno è in bianco, diviene nell’altro in nero e viceversa»52.
In questo modo Xxxxxx Xxxxxxx00 ripercorre i quarant’anni di storia dello Statuto del 1970, legge fondamentale, nata con l’intento originario di attivare un “circolo virtuoso”, ma che col tempo ha rivelato di attivarne uno “vizioso”. Lo Statuto era nato per introdurre strumenti che permettessero ai sindacati e alla contrattazione collettiva di agire libera e scevra dai vincoli dettati da
52 Carinci F., Se quarant’anni vi sembran pochi: dallo Statuto dei lavoratori all’accordo di
Pomigliano, Arg. Dir. Lav., 2010, fasc. 3, pag. 581.
53 Ordinario di Diritto del Lavoro nell'Università di Bologna, Vice-Presidente Associazione internazionale di diritto del lavoro (I.S.L.S.S.L.).
norme di legge troppo dettagliate; tuttavia la delega in bianco all’autonomia collettiva54 si basava sulla premessa e la convinzione che le tre grandi Confederazioni nazionali fossero in grado di gestire unitariamente in fruttuosa concordia l’assenza di una qualsiasi legislazione sindacale.
Il protagonista assoluto del periodo in esame è l’Accordo di Pomigliano, il quale ha fatto emergere un problema assolutamente prioritario e da tempo discusso: quello della mobilità degli investimenti e degli stabilimenti nell’ambito di una serie di Paesi ormai soggetti alla globalizzazione e ad un mercato comune, dove tale mobilità non solo è permessa, ma è anche considerata fisiologica.
Un ragionamento economico e politico potrebbe essere riassunto, con riferimento ai movimenti Fiat del 2009/2010, in un interrogativo: la “nuova Panda” può essere prodotta in Polonia (dove è stata già costruita la “vecchia”) oppure in Italia? Se il ragionamento si basasse su un puro calcolo dei costi per ogni singola auto, una società internazionale come la Fiat Group Automobiles S.p.A., portata ad operare a misura Mondo, sceglierebbe la Polonia; se invece si facesse un ragionamento basandosi sulle ricadute nel mercato interno, una società che è pur sempre a connotazione nazionale, opterebbe per l’Italia.
Il problema è che dinanzi a questa scelta c’era in gioco un’elevata somma di denaro da investire nel progetto, sicché, scartata la Polonia, per l’Italia è apparsa possibile l’attuazione del progetto in questione solo a condizione di elevare la produttività del lavoro dello stabilimento napoletano, aumentando turni, ritmi e rendimenti e poi intervenendo sull’assenteismo dal lavoro.
I protagonisti degli eventi simbolo del cambiamento nelle relazioni sindacali ed industriali sono: da una parte la Fiat, il simbolo stesso della grande
54 Come, ad esempio, troviamo nell’art.19 dello Statuto, il quale di fatto non tocca l’organizzazione sindacale, ma privilegia la dimensione associativa plurima (sezioni sindacali) e legittima il contratto collettivo nazionale come strumento sussidiario nell’acquisto del diritto di cittadinanza nei luoghi di lavoro.
industria italiana, e dall’altra la Fiom, il rappresentante storico della forza lavoro in fabbrica. L’una e l’altra dotate di una lunga storia e di indubbia influenza all’interno dei rispettivi settori di riferimento, nonché di collaudata rilevanza politica.
La Fiat ha tentato di prendere una direzione ispirata al modello americano. Nonostante il fatto che il “lato oscuro” della globalizzazione sia tendente alla riduzione di posti di lavoro e a trattamenti economici e normativi diretti ad esternalizzare e delocalizzare per preservare il potenziale competitivo, la vicenda di Pomigliano sembrerebbe voler credere nella possibilità di una ripresa economica italiana.
L’amministratore delegato Fiat Xxxxxx Xxxxxxxxxx, durante il 2010 si è spesso pronunciato sulla volontà di effettuare ingenti investimenti nel Paese.
Per capire la posizione dell’impresa, è interessante andare ad esaminare direttamente le parole del suo principale rappresentante.
Xxxxxx Xxxxxxxxxx il 31 luglio 2010 scrive un articolo sul Sole 24 ore durante il periodo in cui le parti sociali dovevano prendere una decisione importante: modernizzare la rete produttiva nazionale affinché fosse in grado di competere con gli altri Paesi europei e mondiali, oppure accettare l’inefficienza e l’incapacità di produrre utili e di salvare posti di lavoro.
L’articolo viene intitolato esemplificativamente: “un sì o un no sull’auto italiana”: Dove “sì”, secondo l’amministratore delegato, vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana per darle la possibilità di competere e “no” significa lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utili e, quindi, a conservare o, addirittura, ad aumentare posti di lavoro.
Il problema, secondo Xxxxxxxxxx, è che la “fila per venire in Italia ad aprire
un nuovo insediamento è drammaticamente vuota”.
Il gruppo automobilistico italiano richiede che, essendo Fiat l’unica azienda disposta ad investire ingenti cifre nel Paese, gli sia dovuta, in cambio, più affidabilità e collaborazione in fabbrica.
Xxxxxxxxxx affermava che la scelta di portare la nuova Panda a Pomigliano non fosse una scelta basata su principi economici e razionali, “non era e non è la soluzione ottimale da un punto di vista puramente industriale o finanziario”.
Sarebbe stato più semplice, ad avviso del gruppo dirigente, lasciare la Panda in Polonia; la scelta di trasferirne la produzione in Italia, secondo la posizione ufficiale, è stata dettata da ciò che da sempre la Fiat rappresenta per l’Italia e dal rapporto privilegiato che ha col nostro Paese.
Forse, proprio per la situazione critica del Gruppo Fiat, l’amministratore delegato Xxxxxx Xxxxxxxxxx ha stretto un’alleanza importantissima per il Gruppo automobilistico: quella con la Chrysler e, per estensione, con l’America.
Anche la Chrysler ha affrontato una grave crisi55 a causa della situazione internazionale di declino economico.
Nel 2002 si leggevano, sui giornali, titoli come: “La Fiat chiede lo stato di crisi". "8100 esuberi e perdite pari a un terzo del capitale" . "Il titolo Fiat scivola ai minimi dall’85". "Arese addio si ferma Termini Imerese", e ancora:
55 Nel 2007, Cerberus Capital Management assieme ad altri 100 investitori acquisì l'80% di Chrysler per 5,520 miliardi di euro, con l'intento di risanare l'azienda e farne gruppo di punta del mercato nord- americano.
Nel 2008, il piano fallì a causa della grave crisi finanziaria e industriale e del conseguente rallentamento senza precedenti dell'industria automobilistica negli Stati Uniti, nonché della successiva mancanza di capitali.
Nel 2009 Chrysler Group entra a far parte di Fiat Group (successivamente nel 2011 la partecipazione azionaria viene conferita alla nuova società Fiat SpA). In conseguenza di ciò, nel 2010 il marchio Chrysler viene coordinato con il marchio torinese Lancia e dal 2011, insieme a quello Dodge, sparisce dal mercato europeo ad esclusione di Regno Unito ed Irlanda; in questi due paesi da settembre dello stesso anno, oltre agli altri modelli Chrysler, distribuisce due modelli Lancia marchiati Chrysler, la Delta e la Ypsilon.
"Di questo passo andiamo in serie B. Il declino della Fiat sembra inarrestabile".
Era il 2002 e la casa automobilistica italiana stava vivendo la peggiore crisi dalla sua nascita, nel luglio del 1899. Una crisi che rischiava di mettere in ginocchio tutta l'economia del Paese.
A partire dal 2009, nonostante la Fiat non versasse in floride acque, si dimostrò essere l’àncora di salvezza della grande casa automobilistica americana Chrysler.
L’accordo, annunciato il 19 gennaio 2009 ha ottenuto il via libera della Casa Bianca poco dopo e ha dato vita ad un gruppo dell’auto italo-americano da 4 milioni di vetture l’anno.
Le “nozze” tra le due aziende automobilistiche sono state appoggiate con entusiasmo sia dal presidente americano, il quale ha usato parole di elogio per la casa torinese, sia dagli stessi lavoratori Chrysler, i quali stavano iniziando a perdere persino la speranza di mantenere un posto di lavoro.
“L’era Marchionne”, come è stata battezzata dai media, ha portato forti critiche da parte, in particolare, delle organizzazioni sindacali italiane preoccupate di perdere la loro posizione nella tutela dei lavoratori, ma anche grandi elogi da parte, specialmente, di fonti internazionali.
Queste ultime hanno attribuito all’amministratore delegato il risollevarsi delle
sorti Fiat in tempi record trasformandola in un modello da esportare.
Su di lui, ad esempio, aveva scommesso l’Economist: “Xxxxxx Xxxxxxxxxx pensa di poter salvare la Fiat”, titolava il settimanale nel 2005 apprezzando i progressi compiuti dal punto di vista industriale, organizzativo e strategico a solo un anno dal suo insediamento.
Tuttavia, alle novità introdotte in Fiat, non ha corrisposto, nel periodo in esame, un altrettanto positivo accoglimento da parte di tutti i lavoratori degli
stabilimenti italiani, come dimostrano le proteste che per molto tempo hanno interessato lo Pomigliano d’Arco.
Il modello sindacale americano di organizzazione aziendale è profondamente diverso dal nostro: salario minimo di categoria, ferie, turni lavorativi ecc. sono tutti punti regolati nell’ambito aziendale e, per fare un esempio, le tre grandi industrie automobilistiche americane della Ford, Chrysler e General Motors sono regolate da tre contratti collettivi differenti56.
56 A tal proposito scrive Xxxxxxxx Xxxxx, docente dell’Università Bocconi di Milano, nel 2010: “Sembra persino paradossale che, nelle settimane passate, quando si parlava in continuazione di contrattazione collettiva, di turni e di pause di riposo e anche di modelli sindacali, non ci sia stato quasi nessun tentativo di mettere a paragone le esperienze negoziali concrete dell’industria dell’automobile. Si è discusso a non finire di diritti e di condizioni dei lavoratori, trascurando tuttavia di considerare la struttura degli accordi sindacali e quanto essi ci dicono delle forme effettive di esercizio della tutela sul luogo di produzione. Eppure, anche un raffronto sommario può dare indicazioni significative sulle relazioni fra imprese, sindacato e lavoratori e sullo spazio di trattativa che si delinea nell’applicazione delle regole sulla prestazione di lavoro.
Un’analisi dell’accordo siglato fra la Chrysler e la United Automobile of America nell’aprile 2009, contestuale alla definizione dell’alleanza con la Fiat, è illuminante per la distanza che rivela fra le relazioni industriali negli Stati Uniti e in Italia. Inevitabilmente, l’attenzione è condizionata dalla controversia sui punti di attrito maggiore che si è scatenata prima e dopo l’accordo Fiat del 23 dicembre scorso.(…).
Vale certamente la considerazione che il contratto americano del 2009 è concepito per sottrazione rispetto al precedente del 2007, con declaratorie relative a tutto ciò che i lavoratori perdono rispetto a un passato ben più generoso, che siano in gioco i livelli retributivi (con un salario d’ingresso che penalizza fortemente i nuovi operai) o il complesso sistema di benefits di cui usufruiva il mondo del lavoro di Detroit da oltre mezzo secolo. La riduzione delle prestazioni sanitarie per i dipendenti della Chrysler è minuziosamente dettagliata, fino alla cancellazione (già rilevata dai commentatori alla ricerca delle peculiarità contrattuali) del pagamento di farmaci come il Viagra e il Cialis.
Da una lettura d’insieme dell’accordo si trae l’idea che esso costituisca, da un lato, uno strumento di sopravvivenza per un’impresa a rischio e, dall’altro, un segnale di un passaggio di fase, in cui la tutela sindacale ripiega, ma in attesa di ridefinirsi in futuro, non appena le condizioni del settore lo permetteranno.(…)
Anche a quell’epoca, tuttavia, il sindacato non entrava direttamente sui nodi dell’organizzazione del lavoro. Perché la Uaw vi aveva rinunciato di fatto da quando era stata sconfitta nel primo grande sciopero nell’immediato dopoguerra per il principio del controllo sindacale, in cambio di una crescita incrementale dei salari e dei sistemi aziendali di previdenza e di assistenza sanitaria. Ma anche perché il pragmatismo del sindacalismo americano considera le regole sulla prestazione di lavoro come un processo di aggiustamento continuo, che si realizza nel vivo dei problemi di fabbrica. È una visione lontana da quella che vige in Italia, dove invece si tende a una normativa articolata e puntuale. (…)
La prospettiva del contratto Chrysler del 2009 rientra già nella logica della ricerca della partnership fra impresa e sindacato verso cui si è orientata in seguito la Uaw. Ma lascia capire che per fronteggiare il cambiamento nelle fabbriche occorre un’autorevolezza dell’organizzazione sindacale incompatibile con un’eccessiva frammentazione delle rappresentanze o almeno con una loro strutturale debolezza sul piano delle decisioni”.
Quella parte della dottrina che esalta l’importazione (seppur parziale) del modello americano, considera quest’ultimo un punto di svolta nella vita dei rapporti industriali in Italia: per la prima volta non si assisterebbe più ad un continuo “braccio di ferro” politico tra confederazioni sindacali in quanto il dibattito si sposterebbe a livello locale: tra lavoratori e datori di lavoro, a vantaggio delle particolari necessità di ogni azienda.
Xxxxxx Xxxxxx00 afferma a proposito, che lo slogan coniato per Fabbrica Italia Pomigliano: “ci sarà più Italia nel mondo” dovrebbe essere piuttosto invertito in: “ci sarà più mondo in Italia”.
È un periodo in cui si chiedono sacrifici per tutti i lavoratori e in tutti i Paesi. Ma così come la reazione dei lavoratori americani è stata “comprensiva” così non è avvenuto in Italia dove le opposizioni sono state forti e concrete.
Quella di Pomigliano è stata vista come l’occasione per attuare il cambiamento, per avviarsi verso nuovi e globalizzati meccanismi di gestione dell’impresa e delle sue relazioni sindacali.
2.2 Ricostruzione degli eventi Fiat: la contrattazione aziendale
Antefatti rilevanti di cui abbiamo già trattato sono certamente gli accordi interconfederali separati del 2009: l’accordo quadro del 22 gennaio di revisione del sistema contrattuale e quello, conseguente, del settore industriale del 15 aprile, entrambi conclusi nel dissenso della Cgil.
57 Brollo M., Lo shock di Pomigliano sul diritto del lavoro: il rapporto individuale, Arg. Dir. Lav.,
2010, fasc. 6, pag. 1096.
In questi contratti era già visibile la tendenza, che si sarebbe poi prepotentemente affermata nel caso Fiat, verso un maggiore decentramento della contrattazione collettiva, sia pure in certo senso «organizzato dal centro»58, con conseguente aumento del potere contrattuale del livello aziendale.
Lo sviluppo della contrattazione di secondo livello è espressa, fondamentalmente, dall’attribuzione ai contratti aziendali di un potere derogatorio in peius delle clausole contenute nei contratti collettivi nazionali. Influente dottrina si è espressa a riguardo, da ricordare Xxxxxxx Xxxx, il quale nel 2010 affermò, con riferimento alla questione dei trattamenti derogatori:
«oggi è acutizzata per il fatto che le deroghe possono essere richieste per fronteggiare non solo casi isolati di sostegno allo sviluppo in aree depresse, ma criticità aziendali diffuse causate dalla competizione globale».
Altra dottrina59 ha avuto modo di affermare il fatto che il decentramento contrattuale, per quanto controllato e filtrato dal placet dei contratti nazionali, va progressivamente penetrando e consacrandosi anche nel sistema delle relazioni industriali.
Sicuramente il caso più eclatante e che pesa maggiormente sugli attuali moti sindacali e laburistici è il caso Fiat.
La vicenda è da collegare alla situazione di crisi economica ed occupazionale
a cui l’Italia e il mondo intero hanno assistito negli ultimi anni.
La crisi economica si è fatta sentire sin dai primi mesi del 2008 in tutto il mondo a seguito del crollo di natura finanziaria scoppiato originariamente negli Stati Uniti con la crisi del subprime60.
58 Magnani M., diritto dei contratti di lavoro, Milano, 2009.
59 Vedi per tutti, Xxxxx X. Xx contrattazione in deroga: il "caso" Pomigliano, in Arg. Dir. Lav., 2010, Part 6, p. 1119-1133.
60 Per la crisi del Subprime confronta Xxxxxx X. Xxxxxxxx, Xxxxxxx X. Xxxxxx , “Is the 2007 U.S. Sub- Prime Financial Crisis So Different? An International Historical Comparison” working paper for the American Economic Review Papers and Proceedings, 2008.
Ma è l'anno 2009 a vedere una caduta economica generalizzata con pesanti recessioni e vertiginosi crolli di Pil in numerosi paesi del mondo, specialmente in Occidente.
Nel gennaio del 2009 già si parlava di interventi del governo per aiutare ad uscire dalla crisi uno dei settori più importanti del nostro Paese: il settore auto. L’allora ministro dello Sviluppo economico, Xxxxxxx Xxxxxxx, affermava:
«Entro 10 giorni l'esecutivo punta a varare un pacchetto di immediata applicazione che consenta di promuovere prodotti a basso impatto ambientale».
Un impegno che il Governo assumeva sia per i livelli occupazionali che per la produzione.
Il 2009 è stato l’anno dei cambiamenti economici e sociali.
Per quel che concerne il diritto sindacale, per la prima volta si assiste a fenomeni seriali di firme separate.
Ci si trova dinanzi ad uno scontro che non colpisce solo i rapporti tra sindacati rappresentativi dei lavoratori e datori di lavoro (cui siamo ormai abituati), ma anche (e soprattutto) le associazioni stesse.
Il contrasto nascente da opinioni contrarie divide i sindacati in riformisti (come la Cisl e la Uil), i quali si dimostrano, a torto o a ragione, aperti a modificare l’impalcatura negoziale e contrattuale per superare la crisi e, magari, andare incontro anche ad un progresso economico-sociale; dall’altra parte, invece, troviamo sigle (Cgil-Fiom) che si dimostrano essere assolutamente contrarie a manovre contrattuali che spostino il baricentro della contrattazione nazionale verso quella aziendale, difendendo fino allo stremo le loro posizioni e rischiando, tra l’altro, di perdere le proprie rappresentanze sul posto di lavoro.
Per analizzare la portata e le implicazioni dell’Accordo di Pomigliano d’Arco e Mirafiori dobbiamo considerare che ciò che è avvenuto nel mondo ha avuto i suoi pesanti riflessi anche in Italia e sul Gruppo Fiat.
Bisogna, infatti, tener presente la centralità della Fiat, della categoria dei metalmeccanici e dei suoi sindacati nel sistema industriale italiano.
Dalla fine del 2008, con la crisi economica, anche il sistema auto ha subito duri colpi a causa della competizione globale che è andata aumentando in tutti i settori, colpendo, così, la Fabbrica e l’intero sistema nazionale di diritto del lavoro e welfare.
I due principali avversari protagonisti delle vicende socio-sindacali dei nostri anni sono la Fiat da una parte e la Fiom dall’altra.
La Fiom gioca il ruolo dell’unica fazione rimasta “dura e pura” di una Cgil ormai confusa e rinunciataria, non proiettata più verso le lotte che l’avevano vista protagonista in passato.
Gli economisti che si occupano della teoria dei giochi lo chiamano il gioco del pollo: ovvero, la sfida fra due contendenti che, alla guida delle rispettive automobili, si lanciano a velocità folle verso uno scontro frontale.
Se entrambi non cedono, si ha lo scontro. Chi invece sterza per primo è appunto il pollo, il codardo.
Il problema, purtroppo è che se ambedue le parti non cedono, non solo si fanno male entrambe ma causano gravi danni anche a chi sta loro intorno.
Se dovessimo fare il paragone con altri Paesi europei vedremmo che la questione dell’accentramento o del decentramento dei regimi contrattuali è stata notevolmente dibattuta.
I Paesi scandinavi, ad esempio, fino agli anni ’80 rappresentavano “un unicum
nel panorama europeo in ragione del sistema non conflittuale di relazioni
industriali”61, grazie ai meccanismi avviati dalle parti sociali per realizzare una forma di “autogoverno” che escludesse l’intervento politico nelle dinamiche delle relazioni industriali. Tuttavia, tale modello fortemente centralizzato di contrattazione venne abbandonato con le spinte centrifughe verificatesi all’inizio degli anni ’80 per poi essere nuovamente ripreso in considerazione a seguito di uno step-back verso la contrattazione centralizzata. Questo a dimostrazione dell’instabilità diffusa dei meccanismi di risoluzione dei conflitti legati alla contrattazione collettiva e ai rapporti sindacali.
In Europa, tuttavia, sembrerebbe che la politica prevalente sia ora orientata verso una riforma dei sistemi contrattuali tendente al decentramento come, ad esempio, in Germania.
In questo Paese, grazie ad un sistema contrattuale più flessibile e decentrato, le aziende sono tornate ad essere competitive nel giro di dieci anni.
In Italia la mancata attuazione concreta della riforma del protocollo del 1993 si continua a far sentire con spinte contrastanti provenienti da più fronti sociali.
Ciò dipende innanzitutto dalla differente reazione che ha avuto l’Italia rispetto alla Germania di fronte alle sfide della globalizzazione, la quale ha sì mostrato una grande capacità di creare sviluppo, ma anche crisi.
Mentre i sindacati tedeschi hanno reagito rimanendo uniti, le organizzazioni sindacali italiane si sono divise generando, così, contrasti sia con la controparte datoriale che interni alle stesse.
I nostri sindacati sono divisi, principalmente, su due basi ideologiche: l’una indirizzata verso la riforma dell’ordinamento intersindacale, l’altra conservatrice del sistema di regole delineato dal protocollo del ’93.
Xxxx è che nel 2009, dopo anni di trattative, si era giunti ad un Accordo quadro parzialmente modificativo della previgente disciplina, tuttavia questo
61 Xxxxxxx X., La concertazione nei Paesi Scandinavi, Europa e concertazione: modelli a confronto, Padova, 2009.
non è stato sottoscritto unitariamente da tutte le maggiori sigle sindacali, ed è questa la principale manifestazione di quell’unione che è mancata e che probabilmente ha causato tutti i problemi interpretativi della disciplina sindacale in Italia.
Prima di questo periodo era come se le relazioni industriali si cullassero in un letargo causato da accordi presi senza l’ausilio di normative complete e che fossero più o meno efficaci grazie all’unione tra Cgil, Cisl e Uil.
Il principio che ha rappresentato una sorta di scossone sullo stato letargico è
stato l’accordo di Pomigliano d’Arco del 15 giugno 2010.
2.3 Accordo di Pomigliano del 15 giugno 2010 e Accordo di Mirafiori del 23 dicembre 2010
In merito all’Accordo di Pomigliano sottoscritto da Fiat e Fim-Uilm-Fismic il 15 giugno 2010, e successivamente approvato (seppur solo da un punto di vista politico non vincolante) dal 63% dei lavoratori, si è sviluppato un vivace dibattito che investe questioni destinate ad influire sul futuro delle relazioni industriali italiane.
Il gruppo Fiat, nell’intento di partecipare alla ristrutturazione su scala mondiale dell’industria dell’auto, propose un Piano, denominato Fabbrica Italia che prevedeva un investimento di 20 miliardi di euro nel quadriennio successivo, il raddoppio delle produzioni in Italia, una pesante riorganizzazione interna con la chiusura dello Stabilimento di Termini-
Imerese62 ed un impegno su Pomigliano di 700 milioni di euro tramite il trasferimento delle produzioni della nuova Panda (dove l’alternativa era la Polonia).
L’accordo di Pomigliano per il rilancio dello stabilimento può essere considerato come la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Esso ha costituito, infatti, l’occasione per lo scontro tra il vecchio e il nuovo
ordinamento contrattuale.
L’accordo si pone in stretta correlazione con le intese del 2009 che lo avevano preceduto, infatti, già l’Accordo del 22 gennaio 2009 prevedeva una funzione regolatoria del contratto nazionale circa le materie delegate alla contrattazione collettiva di secondo livello63, nonché la possibilità di derogare a singoli istituti economici e normativi dei contratti collettivi di categoria per situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale.
La Fiat Group Automobiles ha deciso di seguire la via tracciata dal punto 16 dell’Accordo quadro del 22 gennaio 2009, il quale stabiliva che: “(…)per consentire il raggiungimento di specifiche intese per governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, le specifiche intese potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte,
62 Lo stabilimento sorse nel 1970 nel territorio comunale di Termini Imerese grazie ad un consistente contributo della Regione Siciliana erogato al gruppo Fiat per ottenerne la localizzazione nel territorio. In conseguenza della crisi del settore auto e del calo delle vendite del gruppo Fiat lo stabilimento di Termini Imerese venne inserito tra quelli economicamente poco competitivi secondo i piani aziendali, in quanto buona parte della componentistica per l'assemblaggio delle vetture era prodotta nel Nord Italia e ciò faceva aumentare i costi a causa del trasporto. Un altro motivo sfavorevole all'impianto è stato il fatto che, producendo un solo modello per volta, è rimasto strettamente legato nel calcolo produttivo al successo commerciale dell´auto prodotta.
Per questi motivi venne inserito tra gli stabilimenti da chiudere secondo il piano approntato dall'amministratore delegato del gruppo, Xxxxxx Xxxxxxxxxx.
Il 26 novembre 2011 venne ufficializzata la chiusura della trattativa sulla parte economica riguardante gli incentivi alla mobilità per i lavoratori dello stabilimento, dismesso definitivamente dalla Fiat il 31 dicembre 2011.
63 Punto 11 dell’Accordo separato del 22 gennaio 2009:salvo quanto espressamente previsto per il comparto artigiano, la contrattazione di secondo livello si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto nazionale o dalla legge e deve riguardare materie ed istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione.
anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi
dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria;”
Proprio sulla base di tale assunto, la Fiat, insieme ai sindacati c.d. riformatori ha sottoscritto, con l’assistenza dell’Unione industriale di Napoli, il 15 giugno del 2010, con Fim, Uilm e tutti gli altri sindacati, salvo Fiom, un accordo separato.
Il 15 giugno 2010 viene, dunque, stipulato un accordo che, come recita il preambolo stesso, trova espressa giustificazione nella necessità di fronteggiare la grave situazione di crisi economica che ha colpito il settore produttivo automobilistico.
Non si può fare a meno di entrare nel merito dei contenuti degli accordi di Pomigliano e di Mirafiori, solo così si comprendono veramente i problemi che, oggi, solleva la regolazione dei rapporti di lavoro e dunque la direzione delle relazioni industriali.
L’accordo si articola in diversi punti:
1. Orario di lavoro: si interviene sul regime di turnazione, articolato in 18 turni settimanali. L’attività lavorativa degli addetti lascia inalterato l’orario individuale contrattuale e viene articolata su 3 turni giornalieri di 8 ore ciascuno a rotazione.
Con l’Accordo di Pomigliano l’orario di lavoro viene reso più flessibile grazie alla nuova articolazione in turni e più elastico con l’aumento del lavoro straordinario e la riduzione delle pause.
Ferme restando le 40 ore settimanali per ciascun lavoratore previste dal Ccnl del 2008, il primo punto dell’Accordo prevede l’utilizzo continuo degli impianti di produzione e una disciplina dell’orario di lavoro più impegnativa per i lavoratori.
Tuttavia la riorganizzazione del lavoro su 18 turni e il nuovo orario normale non sembrano essere in contrasto né con la normativa
comunitaria64, la quale afferma che gli Stati membri devono prendere le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori: a) la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali; b) la durata media dell'orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.
L’Accordo non sembra contrastare nemmeno con la normativa nazionale di cui al d.lgs n°66/2003 e successive modifiche, né pare derogare al Ccnl dei metalmeccanici del 20 gennaio 2008, seppur renda più pesanti le condizioni di lavoro e, conseguentemente, di vita.
2. Lavoro straordinario: Le condizioni di lavoro, già rese più rigide dal punto primo, diventano più pesanti se si considera che l’azienda, per far fronte alle esigenze produttive di avviamenti, recuperi o punte di mercato, potrà far ricorso a lavoro straordinario per 80 ore annue pro capite senza preventivo accordo sindacale, da effettuare a turni interi. Tali ore, aggiunte alle 40 già previste dall’art. 7, sez. IV, titolo III del Ccnl del 2008 portano ad un monte ore totale di straordinario che può essere “comandato” dall’azienda di 120 ore annue pro capite.
L'Azienda comunicherà ai lavoratori, di norma con 4 giorni di anticipo, la necessità di ricorso al suddetto lavoro straordinario e terrà conto di esigenze personali entro il limite del 20% con sostituzione tramite personale volontario.
Il lavoro straordinario, nell'ambito delle 200 ore annue pro capite, potrà essere effettuato per esigenze produttive (non specificate nell’accordo) durante la mezz'ora di intervallo tra la fine dell'attività lavorativa di un
64 Direttiva n° 93/104 ampliata dalla direttiva n° 2000/34 sull’orario di lavoro.
turno e l'inizio dell'attività lavorativa del turno successivo, tenuto conto del sistema articolato di pause collettive nell'arco del turno.
In questo caso le comunicazioni ai lavoratori del lavoro straordinario per esigenze produttive saranno effettuate con un preavviso minimo di 48 ore.
Tutto questo senza intaccare la disciplina del Ccnl del 2008, ma riconoscendo alla direzione aziendale un ampio potere di modifica unilaterale dell’orario di lavoro.
Sono proprio i ritmi serrati, i turni di rotazione, l’incidenza del lavoro straordinario che hanno dato origine alle accuse di stress organizzativo e di violazione del d.lgs n° 81 del 2008 sull’obbligo di garantire il benessere nei luoghi di lavoro, alimentando, inoltre, la possibilità di richiedere risarcimenti per danni non patrimoniali.
3. Rapporti diretti-indiretti65: viene progettato un programma formativo che consenta la riassegnazione ai lavoratori delle mansioni necessarie per assicurare un corretto equilibrio tra operai diretti e indiretti. Garantendo loro, durante i cambiamenti dovuti all’avvio della produzione della Panda, la retribuzione e l’inquadramento professionale precedentemente acquisiti.
Potrà essere richiesto ai lavoratori l’assegnazione ad altre posizioni lavorative a fronte di particolari necessità produttive-organizzative, ma sempre compatibilmente con le loro competenze professionali.
65 Appartengono alla categoria dei lavoratori “diretti”, ad esempio, i tornitori, saldatori, xxxxxxxx, aggiustatori, montatori, meccanici, tipografi. Sono questi lavoratori coloro i quali nell’espletamento delle loro rispettive mansioni “costruiscono” “producono”, fanno si che con la loro operatività creino quei prodotti che saranno poi oggetto di mercato, di commercio, coloro che, insomma, produrranno materialmente le merci e i prodotti che andranno a finire sul mercato per essere venduti.
Nella seconda categoria, quella dei lavoratori indiretti, troveremo invece centralinisti, impiegati, disegnatori, progettisti, magazzinieri, come anche tutti gli addetti alla contabilità e/o similari. E’ questa una categoria che è indispensabile per completare il cerchio produttivo/commerciale.
In altre parole, il punto 3 prevede che l’Azienda, terminato il programma formativo di cui al punto 6 diretto a preparare i lavoratori alla nuova realtà produttiva, provvederà ad una riassegnazione strutturale delle mansioni con la garanzia che gli addetti mantengano la retribuzione e l’inquadramento professionale precedentemente acquisiti.
Secondo la giuslavorista Xxxxxx Xxxxxx ci sarebbe il rischio della delegittimazione e dell’introduzione di figure di lavoratori polivalenti che, a parità di inquadramento e retribuzione, divengano dei “tutto- fare” o “tappabuchi” 66 .
4. Bilanciamenti produttivi: il punto in questione prevede che l’azienda potrà coprire eventuali deficienze in organico mediante procedure di mobilità interna da area ad area.
In questo modo saranno assicurati sia la quantità di produzione prevista da effettuare per ogni turno su ciascuna linea sia il corretto rapporto produzione/organico.
Su questo punto bisogna sempre tener presente che la riassegnazione delle mansioni deve avvenire nel rispetto dell’art. 2103 del codice civile, tenendo conto, dunque, che il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.
Un’ interpretazione estensiva da citare risale ad una sentenza della Xxxxx xx Xxxxxxxxxx xxx 0000: “Le Sezioni Unite, decidendo in tema di clausola di fungibilità tra le mansioni espressa dalla contrattazione
66 Brollo M., prof .ord. dell’Università di Udine, lo shock di Pomigliano sul diritto del lavoro: il rapporto individuale, Arg. Dir. Lav., fasc. 6, 2010, pag. 1104-1105.
collettiva, sia nazionale sia integrativa territoriale, hanno affermato che la contrattazione collettiva, pur muovendosi nell’ambito, e nel rispetto, della prescrizione posta dal primo comma dell’art. 2103 cod. civ., è autorizzata a porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale, precedendo, con apposita clausola, la fungibilità funzionale tra le mansioni per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica, senza incorrere nella sanzione della nullità comminata dal secondo comma della citata disposizione. La S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto legittima la clausola di fungibilità espressa dall’art. 46 del Ccnl 26 novembre 1994 per i dipendenti postali, recante l’intercambiabilità delle mansioni, con esclusione delle mansioni tecniche, all’interno della stessa area operativa e di quella di base, sul presupposto della ricorrenza delle necessità di servizio, la cui sussistenza, nella specie, non risultava contestata, se non in termini assolutamente generici, dalla lavoratrice. La S.C. ha, inoltre, ribadito il costante orientamento secondo cui ai fini della verifica del legittimo esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro, deve essere valutata dal giudice di merito - con giudizio di fatto incensurabile in cassazione ove adeguatamente motivato - l’omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed all’utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente.”67
Nonostante permangano i limiti imposti dalla legge sul divieto di indiscriminata fungibilità tra mansioni diverse valutabile dal giudice
67 Corte di Cassazione sulla Sentenza n. 25033 del 24 novembre 2006.
con riferimento al caso concreto, siamo di fronte ad una pronuncia che ha aumentato la flessibilità e la duttilità della manodopera e operato, quindi, un allargamento dello jus variandi datoriale, in particolare se legato a processi formativi come nel caso di Pomigliano.
5. Organizzazione del lavoro: viene posto un obiettivo per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco, comunemente noto come Alfasud di Pomigliano e rinominato nel 2008 stabilimento "Xxxxxxxxxxxx Xxxx": riportare il suo sistema produttivo alle migliori condizioni calcolate in base agli standard internazionali di competitività .
La Fiat ha adottato un modello di organizzazione del lavoro, il World class manifacturing (Wcm), che si propone di ridurre i costi e aumentare efficienza e qualità dei prodotti.
Il Wcm in «versione Fiat» prevede anche l’utilizzo di una metodologia (ErgoUas) che associa gli aspetti ergonomici con la definizione dei tempi e dei ritmi di una postazione di lavoro.
Questo punto rappresenta il nocciolo duro del cambiamento tecnico e delle condizioni di lavoro avviato in Fiat; si tratta di un modello basato sulla razionalizzazione dell’ambiente di lavoro. I nuovi criteri organizzativi della WCM perseguono due obiettivi: a) permettere di produrre sulla stessa linea anche vetture diverse tra loro per motorizzazione, accessori e simili e b) eliminare gli sprechi in maniera tale che nemmeno un secondo del tempo retribuito di un operaio possa passare senza che questi produca qualcosa di utile (per esempio, il lavoratore non dovrà sprecare tempo in movimenti inutili in quanto tutti i materiali gli saranno recapitati sul posto tramite un sistema di carrelli e vassoi: passi in meno si traducono in secondi in più per lavorare sulla linea).
La Fiat ha iniziato la sperimentazione di ErgoUas a Mirafiori (Torino) a settembre 2008 con l’obiettivo di estenderla in tutti gli stabilimenti in Italia. Il risultato di questa sperimentazione, secondo la Cgil è stata la riduzione dei «fattori di riposo», con conseguente aumento dei ritmi di lavoro e della fatica, nella maggioranza delle postazioni analizzate68. Secondo le tesi più scettiche, ad un iniziale incremento della produzione, seguirebbe una progressiva intensificazione della forza lavoro e, quindi, un probabile peggioramento delle condizioni materiali di lavoro. Il sistema, sempre secondo la tesi più critica, appare progettato per un computer, non per un essere umano dotato di età, peso, psicologia; nonostante la fatica sia ridotta grazie all’ausilio delle macchine, il nuovo meccanismo ricorda molto la catena di montaggio degli anni della rivoluzione industriale e le conseguenze sono note: monotonia, sforzo e stress provocato dalla reiterazione.
È interessante notare come, qui, si potrebbe opporre la stessa normativa comunitaria che pareva non essere violata dal punto primo dell’accordo: la direttiva n° 93/104, la quale, all’art. 7 69 stabilisce che gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché il datore di lavoro, che prevede di organizzare il lavoro secondo un certo ritmo, tenga conto del principio generale dell'adeguamento del lavoro all'essere umano, segnatamente per attenuare il lavoro monotono e il lavoro ripetitivo, a seconda del tipo di attività e delle esigenze in
68 Fiat: Wcm e sistema ErgoUas: La nuova organizzazione del lavoro e gli effetti sulle condizioni di lavoro, Fiom-Cgil
69 Direttiva n° 93/104 punto 7: La realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea. Tale processo avverrà mediante il ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso soprattutto per quanto riguarda la durata e l'organizzazione dell'orario di lavoro e le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il lavoro temporaneo e il lavoro stagionale.
materia di sicurezza e di salute, in particolare per quanto riguarda le pause durante l'orario di lavoro.
6. Formazione: è previsto un importante investimento per la formazione dei lavoratori, per metterli nelle condizioni di operare nella nuova realtà produttiva.
7. Recuperi produttivi: viene accordata una modalità di recupero di eventuali perdite legate alla produzione non effettuata per cause di forza maggiore o a seguito di interruzione delle forniture. Esse potranno essere recuperate collettivamente entro i sei mesi successivi durante le pause o nei giorni di riposo individuale.
8. Assenteismo: è uno dei punti più caldi e controversi dell’accordo. L’assenteismo, specie se anomalo, è fonte di danno per l’impresa sia per i costi diretti non preventivati dalla contrattazione collettiva e addebitati tendenzialmente all’azienda, sia per i costi indiretti derivanti dalle conseguenze, in termini di produttività, delle assenze sull’organizzazione del lavoro. Tuttavia non c’è una disposizione legale che stabilisca da quando il livello di assenteismo può essere considerato anomalo.
In questo punto si lamenta il disagio per l’azienda dovuto alla forza di tale fenomeno causato dai lavoratori in occasione di particolari eventi tra cui, ad esempio, astensioni collettive dal lavoro, manifestazioni esterne, messa in libertà per cause di forza maggiore o per mancanza di forniture.
Nell’accordo viene individuata, quale modalità efficace di contrasto al fenomeno, la possibilità per l’azienda di non corrispondere l’indennità di malattia per i primi tre giorni.
L’Accordo stabilisce che, nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia significativamente superiore alla media, venga individuata quale
modalità efficace la non copertura retributiva, a carico dell'azienda, dei periodi di malattia correlati al periodo dell'evento.
Viene inoltre stabilito che, in caso di assenteismo derivante da elezioni politiche, amministrative e referendum tale da compromettere il normale svolgimento dell’attività produttiva, lo stabilimento potrà essere chiuso per il tempo necessario e la copertura retributiva sarà effettuata con il ricorso a istituti retributivi collettivi (permessi annui retribuiti residui e/o ferie) e l'eventuale recupero della produzione sarà effettuato senza oneri aggiuntivi a carico dell'azienda secondo le modalità definite.
È stato osservato70 che l’Accordo sembra distinguere un assenteismo fisiologico, ordinario e, per questo, sopportabile da uno patologico, anomalo che, invece, bisogna combattere.
Al centro della contestazione datoriale ci sono le troppo frequenti assenze per malattia che, stranamente, avvengono in concomitanza di astensioni collettive dal lavoro o manifestazioni esterne. È su questo che è nato il sospetto di ricorso strumentale ai certificati medici da parte dei lavoratori al fine di garantirsi l’erogazione della retribuzione in occasione dell’assenza.
Il punto n. 8 ha suscitato un acceso dibattito dottrinale sulla sua legittimità, dal momento che è stato accusato di essere contrario alla legge e, per alcuni aspetti, anche ai principi costituzionali.
Sin dal 1972, infatti, tutti i contratti collettivi, tra cui quello pilota dei metalmeccanici, prevedevano la copertura economica a carico del datore di lavoro anche per i primi 3 giorni di assenza.
70 Brollo M., lo shock di Pomigliano sul diritto del lavoro: il rapporto individuale, Arg. Dir. Lav., fasc. 6, 2010, pag. 1109.
Tuttavia non esiste une legge che vieti quanto stabilito dall’articolo in questione e, infatti, se andiamo ad analizzare l’art. 2110 del codice civile notiamo che “in caso d'infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge (o le norme corporative) non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, (dalle norme corporative) dagli usi o secondo equità”. Sicché il punto n. 8 non sembrerebbe ledere diritti indisponibili contenuti in norme di legge, né norme costituzionali come l’art. 32 sul diritto alla salute, considerando che non è certo la salute l’oggetto del punto in questione, ma la mera garanzia di un’indennità integrativa.
9. Cassa integrazione guadagni straordinaria: viene sfruttato questo istituto per tutto il periodo della ristrutturazione dello stabilimento Xxxxxxxxxxxx Xxxx finalizzato alla predisposizione degli impianti per la produzione della futura Panda. Sorge il dubbio circa la cancellazione della regola della rotazione tra lavoratori in Cigs in relazione alla seconda parte di tale punto dove è stabilito che: “in considerazione degli articolati interventi impiantistici e formativi previsti nonché della necessità di mantenimento dei normali livelli di efficienza nelle attività previste, non potranno essere adottati meccanismi di rotazione tra i lavoratori, non sussistendone le condizioni”.
10. Abolizioni retributive: non viene ridotta la retribuzione fissa dei dipendenti ma, tuttavia, vengono abolite alcune voci (quali paghe di posto, indennità disagio linea, premio mansione e premi speciali).
Un’utile premessa ci viene fornita dall’ OCSE71, la quale da decenni studia i preoccupanti problemi in tema di retribuzioni che stanno portando ad una modifica nella distribuzione del reddito a vantaggio del capitale con impoverimento dei lavoratori.
Ciò premesso, l’accordo di Xxxxxxxxxx d’Arco non modifica drasticamente il trattamento retributivo riconosciuto ai lavoratori (come è avvenuto con le politiche imprenditoriali di altri Paesi), al contrario, conferma quanto previsto dai Ccnl di categoria e dai precedenti accordi aziendali. Qui non trova, dunque, applicazione la clausola di “sganciamento” contenuta dell’art. 16 dell’ Accordo quadro del 22 gennaio 2009 che dava la possibilità di ridiscutere i livelli retributivi per motivi premiali o per far fronte a situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale.
11. Maggiorazioni lavoro straordinario, notturno e festivo: vengono confermate le indennità e i regimi di tassazione precedenti. Con la nuova organizzazione del lavoro, con i turni domenicali e notturni si stima un incremento medio annuo dei livelli retributivi ma, allo stesso tempo, si avrà anche un aumento della gravosità del lavoro svolto.
12. Viene confermato il Polo logistico di Nola72.
71 L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) o Organisation for Economic Co-operation and Development - OECD e Organisation de coopération et de développement économiques - OCDE in sede internazionale è un'organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri, paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un'economia di mercato. L'organizzazione svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un'occasione di confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l'identificazione di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed internazionali dei paesi membri.
72 Nel Polo Logistico Fiat di Nola sono previsti corsi di formazione propedeutici alla nuova metodologia del "Word Class Logistics", fondamentale per il metodo di organizzazione complessiva degli stabilimenti adottato dal Lingotto, denominato Wcm. La formazione riguarda tutti i dipendenti del Polo logistico. Come prevedono gli accordi tra azienda e sindacati, esclusa la Fiom, il sito di Nola ha un ruolo strategico per lo smistamento dei materiali nei vari stabilimenti Fiat del Mezzogiorno. Xxxxxx Xxxxxxx, Rsu Fim del Polo logistico di Nola, affermò, in occasione dell’avvio del progetto:
<<Il via ai corsi di formazione è un ulteriore segnale, utile a comprendere l'importanza degli accordi, che la Fim a tutti i livelli ha contribuito a costruire, per dare ai lavoratori di Nola e Pomigliano una
13. Clausola di responsabilità: altra fonte di forti contestazioni è stato il punto 13 dell’accordo il quale stabilisce che “(….)il mancato rispetto degli impegni eventualmente assunti dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU ovvero comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate per la realizzazione del Piano e i conseguenti diritti o l'esercizio dei poteri riconosciuti all'Azienda dal presente accordo, posti in essere dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU, anche a livello di singoli componenti, libera l'Azienda dagli obblighi derivanti dalla eventuale intesa nonché da quelli derivanti dal Ccnl Metalmeccanici in materia di: -contributi sindacali -permessi sindacali retribuiti di 24 ore al trimestre per i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali delle Organizzazioni Sindacali ed esonera l'Azienda dal riconoscimento e conseguente applicazione delle condizioni di miglior favore rispetto al Ccnl Metalmeccanici contenute negli accordi aziendali in materia di: -permessi sindacali aggiuntivi oltre le ore previste dalla legge 300/70 per i componenti della RSU - riconoscimento della figura di esperto sindacale e relativi permessi sindacali.”
Fino a qui sembrerebbe solamente un punto severo, ma identificato dalla prevalente giurisprudenza come una legittima clausola di tregua sindacale, considerata legittima in quanto riferibile alle sole organizzazioni sindacali e non ai singoli lavoratori.
prospettiva reale e concreta di garanzia occupazionale e di reddito>>. <<I 300 lavoratori di Nola coinvolti in questo ambizioso progetto - aggiunge l'esponente della Fim - stanno dimostrando ancora una volta di essere immuni da condizionamenti ideologici, ed esprimono apprezzamento per gli sforzi compiuti dalla Fiat per tenere fede agli impegni assunti. Auspichiamo che al percorso formativo individuato, possa seguire un processo di crescita professionale per i lavoratori attraverso un rinnovato senso di appartenenza>>. <<Ci aspettiamo - conclude il sindacalista - che l'azienda voglia quanto prima porre le basi per una ripresa rapida e duratura. A tale scopo, riteniamo quindi indispensabile alimentare, da parte nostra e dell'azienda, uno spirito costruttivo e di attaccamento alla mission che saremo chiamati a realizzare>>.
Al contrario, la seconda parte del punto in esame aggiunge: “ (…) comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le presenti clausole ovvero a rendere inesigibili i diritti o l'esercizio dei poteri riconosciuti da esso all'Azienda, facendo venir meno l'interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale ed inficiando lo spirito che lo anima, producono per l'Azienda gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente punto.”
Riferendosi l’Accordo agli individui, il problema potrebbe riguardare la lesione del diritto costituzionalmente garantito di azione individuale e/o collettiva73.
14. Clausole integrative del contratto individuale di lavoro: anche qui c’è il riferimento al fatto che la violazione da parte del singolo lavoratore di una delle clausole dell’Accordo costituisce infrazione disciplinare.
Per quanto riguarda l’accordo separato di Xxxxxxxxx sottoscritto il 23 dicembre 2010 notiamo che contiene le stesse caratteristiche e gli stessi punti innovativi già esternati a Pomigliano: un nuovo modello di organizzazione del lavoro, fondato sui criteri organizzativi, di matrice giapponese, della WCM (World Class Manufacturing) e, nell’ambito della WCM, sulla nuova metrica del lavoro del sistema Ergo-UAS.
L'intesa prevedeva un investimento da oltre un miliardo di euro attraverso una joint xxxxxxx00 tra Fiat e Chrysler, ma di fatto escludeva dalle rappresentanze sindacali la Fiom-Cgil, che non l’aveva sottoscritta.
In 10 punti potremmo riassumere quanto contenuto nell’accordo di dicembre:
73 Per ulteriore approfondimento vedi prossimo paragrafo.
74 Joint Venture: Contratto con cui due o più imprese, anche appartenenti a stati diversi, si impegnano a collaborare nella realizzazione di un determinato progetto per suddividere i rischi e sfruttare le reciproche competenze
- un investimento in joint venture tra Fiat e Chrysler per oltre un miliardo di euro;
- la produzione a regime di 280mila vetture l'anno di Suv Chrysler e Alfa Romeo;
- il pieno utilizzo degli impianti su sei giorni lavorativi;
- il lavoro a turni avvicendati che mantiene l'orario individuale a 40 ore settimanali;
- la crescita del reddito annuo individuale di circa 3.700 euro per la maggiore incidenza delle maggiorazioni di turno;
- la possibilità di lavorare il 18esimo turno solo con il pagamento dello straordinario;
- il mantenimento della pausa per la mensa nel turno fino a che la joint venture non andrà a regime;
- la salvaguardia dei malati reali e un intervento volto a colpire gli assenteisti, al fine di tutelare coloro che hanno assiduità e puntualità nella prestazione;
- la compensazione di oltre 32 euro mensili per l'assorbimento della pausa di
10 minuti, resa possibile dal minore affaticamento del lavoro con l'introduzione della nuova ergonomia;
- il mantenimento di tutti i diritti individuali oggi esistenti e il loro miglioramento attraverso la prossima stesura di un Contratto Collettivo su molti punti migliorativo del Ccnl Metalmeccanici (scatti di anzianità, paga base, premio di risultato, ecc.).
2.3 a. Analisi critica degli accordi collettivi aziendali di Pomigliano e Mirafiori e questioni controverse sulla loro legittimità/illegittimità
Ci troviamo dinanzi ad accordi di stabilimento che mirano fondamentalmente alla realizzazione di due obiettivi:
• Deroga alla disciplina prevista dal Ccnl per il settore metalmeccanico sottoscritto il 20 gennaio del 2008 in materia di orario di lavoro, straordinario, pause, organizzazione dei turni e lotta all’assenteismo anomalo.
• Clausola di responsabilità per assicurare governabilità allo stabilimento ed esigere il rispetto del contenuto del contratto. Con questa, infatti, i sindacati sottoscrittori si impegnano a non scioperare nel periodo di vigenza dell’accordo per contestare questioni su cui si era già trovato un punto d’incontro in quella sede.
Gli accordi di Pomigliano e Mirafiori sono stati accompagnati da forti contestazioni e, in breve tempo, sono divenuti oggetto di dibattiti politici e sindacali nonché giurisprudenziali.
Si è parlato di accordo incostituzionale e di violazione dei diritti fondamentali, sono stati contratti accusati di andare contro norme inderogabili di legge, specialmente a proposito di argomenti quali l’orario di lavoro, il trattamento economico in caso di malattia, il diritto di sciopero.
Si tratta di accuse che si aggiungevano alle altre aspre polemiche riguardanti gli eventi verificatisi in quei mesi come la mancata attuazione dei risultati di un referendum di stabilimento che aveva dato esiti positivi.
Parte della dottrina75 si è espressa riguardo i conflitti riguardanti i contenuti dei contratti collettivi di Pomigliano e Xxxxxxxxx.
75 Confronta per tutti Ferraresi M.: Ricercatore di Diritto del lavoro, Università di Pavia e Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici di Pavia “Beato Xxxxxxxx Xxxxxxx”, Accordi ‘incostituzionali’? Disamina dei contenuti dei contratti collettivi di Pomigliano e Mirafiori, Atti del convegno Università di Pavia, 3 febbraio 2011.
Iniziando dalla questione degli orari di lavoro, le critiche si sono concentrate su diversi punti; tra questi troviamo la questione delle pause lavorative ridotte: la giurisprudenza e la dottrina ritengono che un contratto collettivo possa modificare anche in peius la disciplina delle condizioni di lavoro contenuta nel contratto precedente rispettando le norme di legge inderogabili in materia.
I rapporti tra contratti collettivi nella loro successione temporale sono regolati dal principio secondo cui il nuovo contratto si sostituisce integralmente al precedente anche se contiene disposizioni meno favorevoli al lavoratore. Le modifiche peggiorative sono ammissibili in quanto le disposizioni del contratto collettivo non si incorporano in quello individuale.
Il divieto di deroga in peius posto dall'art. 2077 cod. civ.76, infatti, è relativo solo alle disposizioni contenute nel contratto individuale di lavoro in relazione alle disposizioni del contratto collettivo, non viceversa77.
I rapporti di successione temporale tra contratti collettivi sono regolati dal principio della libera volontà delle parti stipulanti, cosicché, le precedenti disposizioni possono essere modificate da quelle successive anche se in senso sfavorevole al lavoratore, con il solo limite dei diritti che sono già entrati a far parte del patrimonio individuale del lavoratore78.
Se poi andiamo a guardare bene le clausole dell’accordo si può notare come quei minuti di pausa andati perduti siano compensati da un emolumento retributivo di corrispondente valore denominato “indennità di prestazione collegata alla presenza”.
76 Art. 2077 cod. civ.: Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale: I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.
Le clausole difformi dei contratti individuali preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro (1339).
77 Corte di Cassazione: 21.2.2007, n. 4011.
78 Cass. 10.10.2007, n. 21234.
Un altro punto critico previsto dagli accordi di Pomigliano e Xxxxxxxxx consiste nell’aver regolato il recupero delle prestazioni lavorative perse per interruzione della produzione79.
In questo caso la disciplina del Ccnl del 2008 appariva più garantista stabilendo sia che le interruzioni dovute a cause di forza maggiore e sino ad un massimo di 60 minuti fossero comunque retribuite, sia che i recuperi dovuti a forza maggiore, o concordati coi sindacati o anche con patto individuale, potessero essere effettuati nei trenta giorni successivi, per un massimo di un’ora al giorno oltre all’orario di lavoro.
Nonostante il peggioramento del trattamento previsto dal nuovo accordo, si deve ritenere che la materia in questione possa essere liberamente regolata dalla contrattazione collettiva, seppur nei limiti massimi previsti dalla legge per l’orario di lavoro.
Un altro punto innovativo sul piano dell’organizzazione del lavoro, concerne
il sistema di turnazione, finalizzato al massimo sfruttamento degli impianti produttivi80.
79 In base all’art. 3 del contratto di Pomigliano, le perdite della produzione non effettuata per causa di forza maggiore o a seguito di interruzione delle forniture potranno essere recuperate collettivamente a regime ordinario entro i sei mesi successivi, oltre che nella mezz’ora di intervallo fra i turni, nel diciottesimo turno (salvaguardando la copertura retributiva collettiva) o nei giorni di riposo individuale, previo esame con la r.s.a. anche al fine di individuare soluzioni alternative di pari efficacia. Il recupero è anche previsto al titolo IV, alla voce «assenteismo», in ipotesi di un numero anomalo di assenze in occasione di tornate elettorali. Con gli stessi presupposti ed entro il medesimo limite semestrale, in base all’art. 9 della parte sulla joint venture dell’intesa per Mirafiori, le prestazioni potranno recuperarsi, previo esame con le r.s.a., nelle giornate di sabato per gli schemi a dieci e quindici turni, nel diciottesimo turno (salvaguardando la copertura retributiva collettiva) o nei giorni di riposo individuale per lo schema a diciotto turni, o ancora nelle giornate di riposo nel caso della organizzazione sperimentale su dodici turni.
80 L’art. 4 del titolo II del contratto collettivo di Pomigliano prevede lo svolgimento di 18 turni settimanali di lavoro, ovvero tre turni giornalieri per sei giorni alla settimana.
Il primo turno ha luogo dalle 6 alle 14; il secondo dalle 14 alle 22; il terzo dalle 22 alle 6. Ciascuno è prestato da ogni lavoratore a rotazione settimanale (dal terzo, al secondo, al primo).
Inoltre, si dispone che la prestazione venga eseguita, individualmente, a settimane alterne di sei e di quattro giorni lavorativi.
Infine, il diciottesimo turno, occorrente tra le 22 del sabato e le 6 della domenica, non viene lavorato,
ma è comunque retribuito attraverso l’utilizzo collettivo dei permessi annui retribuiti.
Come abbiamo già visto in precedenza, a ben guardare nessuna deroga alla legge81 si rende necessaria, posto che appare sempre rispettato sia il riposo giornaliero di undici ore consecutive, sia il riposo settimanale di ventiquattro ore consecutive (ulteriore alle undici ore consecutive di riposo giornaliero).
Dall’altra parte neanche il Ccnl del 2008 è oggetto di deroga in quanto lo stesso non prevede particolari disposizioni sul sistema dei turni, rinviando, anzi, al contratto aziendale, ritenendo, in questo modo, la materia come strettamente connessa alle esigenze specifiche delle singole unità produttive.
Altra tematica sollevata è stata la presunta violazione del diritto alla salute, costituzionalmente garantito, da parte delle misure volte a contrastare forme anomale di assenteismo.
L’accordo, infatti, prevedeva alla clausola 8 che i dipendenti non avessero il diritto al pagamento dei primi tre giorni di malattia se, nell’anno in corso, avessero effettuato tre assenze inferiori a cinque giorni a ridosso delle festività. Si tratta del c.d. periodo di carenza, relativo ai primi tre giorni di malattia, decorrendo l’erogazione del trattamento da parte dell’Inps solo dal quarto giorno.
In altre parole, nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia “significativamente superiore alla media”, come si leggeva in un articolo del Corriere della Sera il 9 giugno del 2010, l’azienda non è più tenuta a corrispondere trattamenti economici per malattia contrattualmente dovuti.
L’intenzione del team di Xxxxxx Xxxxxxxxxx era quella di «“scovare i furbi” che intendono approfittare dei “ponti” giustificando l’assenza con un certificato di malattia. Tale “sanzione” – sottolinea il Lingotto – sarebbe applicata solo se la richiesta di malattia arriva da più del 3,5% dei dipendenti».
81 D.lgs. n. 66 del 2003 in materia di riposi giornalieri e settimanali.
Sul punto, tuttavia, sin dalla contrattazione collettiva dei primi anni ’70 si era previsto il pagamento dell’intera retribuzione anche per i primi tre giorni di malattia. La Uilm, infatti, si è mostrata contraria a tali disposizione basandosi sulle statistiche dei mesi pregressi in periodi “non sospetti” (quando non c’erano festività in corso).
A Mirafiori i sindacati hanno registrato che la media del 3,5% di malattia è fisiologica e, dunque, un tetto così basso imposto dall’azienda automobilistica avrebbe portato automaticamente all’applicazione del mancato pagamento della malattia.
Di parere differente, invece, Fim, Fismic e Ugl che si sono mostrate disponibili alla firma.
Tuttavia, sul fenomeno dell’assenteismo in Fiat si discute da sempre e non solo con riferimento ad eventi particolari, quali scioperi, tornate elettorali, appuntamenti sportivi o periodi di festività ma anche come dato medio in generale.
I mezzi per combattere il fenomeno sono stati diversi, da ricordare, ad esempio il tentativo di ricondurre l’eccessiva frequenza con la quale si manifestava una malattia al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Questa tesi, però, è stata rigettata con decisione dalla giurisprudenza di legittimità che, ai fini del licenziamento, richiede il superamento del periodo di comporto82.
Altrettanto fallimentari sarebbero stati i tentativi del datore di lavoro di una ulteriore visita di idoneità allo svolgimento delle mansioni ex art. 5 S.l. “Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico” in base al cui esito si potrebbe recedere eventualmente solo nei confronti, appunto, di lavoratori effettivamente non idonei alle mansioni.
82 Cass. 28 gennaio 2010, n. 1861.
Per quanto riguarda il pubblico impiego vi sono, infine, i rimedi elaborati dall’ex ministro Xxxxxxxx per i soli rapporti di lavoro nella pubblica amministrazione:
• quello consistente nella privazione del trattamento economico accessorio, che tuttavia ha un’efficacia deterrente abbastanza scarsa a causa del fatto che il trattamento in questione è assolutamente esiguo (salvo che per i dirigenti, per i quali però il problema dell’assenteismo è quantitativamente inferiore);
• quello consistente nell’ampliamento delle fasce di reperibilità per la
c.d. visita fiscale di controllo, che sembra invece aver prodotto migliori risultati.
Il problema dell’estensione di tale metodo anche al settore del lavoro privato sta nel fatto che ciò richiederebbe un intervento ministeriale, per tutto il settore, difficilmente realizzabile a causa della sua eterogeneità
Il contratto collettivo di Pomigliano prevede una soluzione ancora diversa disponendo che, in occasione di assenze in periodi sospetti, ai lavoratori non sia corrisposto il trattamento di malattia normalmente a carico dell’azienda secondo le previsioni dei contratti collettivi83.
Il trattamento a carico dell’azienda non verrà corrisposto se il lavoratore sarà risultato assente, per asseriti motivi di malattia, in occasione di «particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche, quali in via esemplificativa ma non esaustiva, astensioni collettive dal lavoro, manifestazioni esterne, messa in libertà per cause di forza maggiore o per mancanza di forniture», se
83 Per i dipendenti delle imprese industriali, infatti, il trattamento di malattia è a carico dell’Inps a partire dal quarto giorno sino al centottantesimo, nella misura del 50% della retribuzione sino al ventesimo e del 66,66% per i giorni restanti. Sicché usualmente i contratti collettivi prevedono la copertura aziendale per i primi tre giorni e così infatti è anche per lo stabilimento di Pomigliano (art. 19 del Titolo III del Contratto collettivo).
la percentuale di assenza dovesse risultare «significativamente superiore alla media».
Le maggiori critiche all’intervento contro l’assenteismo riguardano l’esclusione del trattamento economico dovuto ai lavoratori che svolgano funzioni di rappresentanti di lista e dei candidati che abbiano formalmente giustificato l’assenza per impegni di natura elettorale, in caso di abnorme numero di assenze nei giorni a cavallo di elezioni e consultazioni referendarie nazionali in evidente contrasto con l’art. 119 del d.p.R. n. 361 del 1957 e succ. modif. e integr.84
D’altro canto, secondo alcuni, “sembra doversi ritenere che detta clausola contrattuale costituisca un invito ad un utilizzo responsabile dei ‘benefici’ della legislazione elettorale”85.
La previsione riguardante l’assenteismo rappresenta, pertanto, una deroga al contratto collettivo nazionale del settore metalmeccanico, ma non certo la violazione di una norma di legge né di principi costituzionali.
Per evitare, poi, il rischio di colpire ingiustamente il lavoratore effettivamente malato, si rinvia ad un’apposita commissione paritetica per i casi di particolare criticità a cui non bisogna applicare quanto previsto.
Gli accordi di Pomigliano e Mirafiori chiudono con la previsione della c.d. Clausola di responsabilità86: questa prevede sanzioni a carico delle organizzazioni sindacali stipulanti, in termini di revoca dei contributi e dei permessi sindacali a vario titolo, in caso di “mancato rispetto degli impegni
84 Art 119 d.p.R. n. 361 del 1957 : «1. In occasione di tutte le consultazioni elettorali disciplinate da leggi della Repubblica o delle regioni, coloro che adempiono funzioni presso gli uffici elettorali, ivi compresi i rappresentanti dei candidati nei collegi uninominali e di lista o di gruppo di candidati nonché, in occasione di referendum, i rappresentanti dei partiti o gruppi poli- tici e dei promotori del referendum, hanno diritto ad assentarsi dal lavoro per tutto il periodo corrispondente alla durata delle relative operazioni».
2. I giorni di assenza dal lavoro compresi nel periodo di cui al comma 1 sono considerati, a tutti gli effetti, giorni di attività lavorativa.».
85 Vedi nota n. 91.
86 Punto 13 dell’Accordo.
assunti….ovvero (di) comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni
concordate”.
Si tratta, in pratica, di un patto di tregua sindacale, che consiste nell’impegno a non proclamare scioperi, o altre forme di agitazione, che rendano impraticabili le condizioni di lavoro concordate, che trova riferimento nella disciplina contrattuale del 2009, ma ora con sanzioni più pesanti in caso di violazione.
Secondo l’intento dell’Azienda, la clausola di responsabilità sarebbe finalizzata a garantire l’adempimento degli obblighi contrattuali e, dunque, in ultima istanza, l’efficiente svolgimento dell’attività produttiva.
Una delle contestazioni più rilevanti riguarda la presunta violazione dell’art. 40 della Costituzione manifestatasi come compressione del diritto di sciopero. La tesi difensiva (e largamente diffusa) afferma, al contrario che le c.d. clausole di tregua sindacale sono rivolte esclusivamente alle organizzazioni sindacali e non ai singoli lavoratori verso i quali soltanto è riferito il diritto costituzionalmente garantito di sciopero.
Per questo motivo non sembra essere contraria ai precetti costituzionali una previsione contrattuale che prevede semplicemente un dovere di non violare, durante il periodo di vigenza del contratto collettivo, quanto precedentemente discusso e approvato a tavolino dalle parti sottoscriventi.
Più problematica, invece, appare la previsione del punto 13 dell’Accordo di Pomigliano, secondo la quale gli effetti penalizzanti per il sindacato, indirizzati ad impedire le agitazioni sindacali durante l’arco di vigenza del contratto collettivo, possono prodursi da “comportamenti individuali e/o collettivi dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa” le clausole dell’accordo.
Il concetto di tregua sindacale sembrerebbe passare da un obbligo di mezzi ad un obbligo di risultato87 facendo, così, ricadere sul sindacato stipulante una forte responsabilità: quella, non solo di rispettare l’Accordo, ma di farlo anche rispettare.
Il problema è, dunque, pratico (considerato che presumibilmente la clausola intende rivolgersi anche al comportamento dei lavoratori non iscritti ad alcun sindacato) ma, anche in questo caso, non sembrerebbero sussistere problemi di legittimità costituzionale.
Non pare vi sia una violazione del diritto di sciopero dal momento che le sanzioni sono poste nei confronti delle sole organizzazioni sindacali che non rispettino i patti sottoscritti e non dei singoli lavoratori.
La ratio della previsione sta nel fatto che sarebbe quanto meno contraddittorio per le parti stipulanti, raggiungere un accordo, sottoscriverlo e, successivamente, cambiare indirizzo e rivoltarsi contro l’accordo stesso.
Si tratta di un impegno a non proclamare scioperi o altre forme di lotta sindacale che rendano inapplicabili le condizioni di lavoro concordate.
Le clausole di tregua sindacale rientrano nella c.d. parte obbligatoria del contratto collettivo88, concernente gli impegni tra le parti firmatarie.
Per concludere, nei contratti in esame è previsto89 che le clausole dell’accordo vengano ad integrare la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro. Ciò significa che la violazione di una delle clausole da parte del singolo lavoratore costituisce infrazione disciplinare e potrebbe dar luogo a provvedimenti anche estintivi del rapporto di lavoro.
87 Lai M., L’Accordo Fiat di Pomigliano: la contrattazione collettiva tra decentramento,
responsabilità e partecipazione, Riv. Inf. e Mal. Prof., 2010, fasc. 2, pag. 256.
88 Il contenuto del contratto collettivo viene distinto dalla dottrina in: parte normativa e parte obbligatoria. Destinatari della parte normativa sono i singoli datori e prestatori di lavoro; la parte obbligatoria, disciplina i diritti ed i doveri delle associazioni sindacali stipulanti; essa adempie la funzione di assicurare il vigore pratico alla parte normativa.
89 Vedi punto 14 Accordo del 15 giugno 2010.
Ha fatto discutere molto quest’ultimo punto in quanto l’incorporazione del contratto collettivo in quello individuale suscita dubbi dal momento in cui le due fonti hanno natura e portata diversa. Inoltre, in questo caso trovano maggior fondamento (rispetto al punto precedente) le critiche riguardanti la limitazione del diritto di sciopero in quanto, seppur le sanzioni non appaiono espressamente rivolte ai singoli lavoratori, di fatto, assumono valore di sanzioni disciplinari per comportamenti individuali ostruzionistici.
Nulla di nuovo se, invece, si paragona l’effetto sanzionatorio individuale alla
preesistente disciplina legata alla violazione del regolamento aziendale. Secondo parte della dottrina la previsione in esame verrebbe ad incidere sui limiti posti dall’ordinamento all’esercizio del potere disciplinare di licenziamento90.
La qualificazione di una qualsiasi violazione delle clausole in termini di infrazione disciplinare di licenziamento e l’indefinito rinvio ai provvedimenti disciplinari contenuti nel contratto aziendale, appaiono in contrasto con i principi di predeterminazione e proporzionalità tra infrazione e sanzione applicabile, da tempo affermatisi in giurisprudenza91.
90 Art. 7 Statuto dei lavoratori sulle sanzioni disciplinari e art. 2106 c.c. circa il fatto che l’inosservanza della diligenza del prestatore di lavoro e del suo obbligo di fedeltà può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione.
91 Cassazione Sezione Lavoro n. 22170 del 29 ottobre 2010.
«L'inadempimento idoneo a giustificare il licenziamento deve essere individuato in ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, sicché quel che è veramente decisivo, ai fini della valutazione della proporzionalità fra addebito e sanzione, è l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare la condotta del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, nel rispetto dei canoni di buona fede e correttezza. Ne deriva che la proporzionalità della sanzione non può essere valutata solo in conformità alla funzione dissuasiva che la stessa sia destinata ad esercitare sul comportamento degli altri dipendenti, dal momento che il principio di proporzionalità implica un giudizio di adeguatezza eminentemente soggettivo, e cioè calibrato sulla gravità della colpa e sull'intensità della violazione della buona fede contrattuale che esprimano i fatti contestati, alla luce di ogni circostanza utile (in termini soggettivi ed oggettivi) ad apprezzarne l'effettivo disvalore ai fini della prosecuzione del rapporto contrattuale. Solo a queste condizioni, del resto, il principio di proporzionalità risulta in grado di influire sul comportamento degli altri dipendenti senza assumere un valore di "esemplarità" disgiunto dalla
2.3 b. Efficacia orizzontale e verticale del contratto collettivo
Le questioni attinenti l’estensione dell’ambito di efficacia “orizzontale” e “verticale” del contratto collettivo sono apparse molto complesse, per non parlare di quelle relative alla c.d. efficacia verticale, concernente i rapporti tra contratti collettivi di diverso livello.
La principale conseguenza della mancata attuazione dell' art. 39 Cost. è il venir meno della obbligatorietà generale (erga omnes) del contratto collettivo. Durante il periodo fascista c’era il contratto corporativo, il quale aveva efficacia generalizzata, al contrario, l'attuale contratto collettivo di diritto comune non è efficace per tutti i lavoratori.
Quest’ultimo, come qualsiasi altro contratto fra privati, è valido solo per le parti firmatarie92.
“Affermare che il contratto collettivo non ha efficacia generale significa che se un'impresa, direttamente o tramite le associazioni datoriali stipulanti, non ha voluto vincolarsi con il sindacato nella determinazione delle condizioni di
misura della responsabilità del dipendente e dalla conseguente realizzazione dell'interesse aziendale in termini proporzionati alla portata della prima, garantendo in tal modo, la reale eticità del rapporto. Sulla base di tale configurazione, spetta, pertanto, al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzi tutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed in specie alla sua durata e all'assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia».
92 Da notare che i recenti avvenimenti (intesa raggiunta da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil il 31 maggio 2013) in materia di rappresentatività e democrazia sindacale stanno concretamente modificando tale disciplina in direzione di una più generalizzata efficacia dei contratti collettivi.
lavoro, non è tenuta, in linea di principio, ad applicare il contratto (nel caso di specie Fiat è sia parte dell’accordo di Pomigliano sia parte del Ccnl 2008 e 2009, sottoscritti da Federmeccanica, cui aderisce)93.
Nel corso del tempo, sono stati i meccanismi giurisprudenziali che, nella pratica, hanno dotato di applicabilità il contratto collettivo, estendendolo così anche alle imprese non affiliate. I giudici, nell'applicazione del principio dell'art. 36 primo comma della Costituzione sulla retribuzione sufficiente, fanno di solito riferimento, a titolo orientativo, ai minimi tariffari stabiliti dalla contrattazione collettiva.
Sempre per giurisprudenza consolidata deve ritenersi vincolato l'imprenditore che per prassi costante applichi il contratto collettivo.
Per quel che concerne la contrattazione aziendale (nonostante i dubbi dottrinali sul fatto che il modello costituzionale oltre alla contrattazione di categoria si estenda a tale livello) la dottrina ritiene che tra gli argomenti alla base dell’applicazione generale della disciplina collettiva in presenza di eventuale dissenso sia da annoverare l'effettiva rappresentatività dei soggetti stipulanti, l'indivisibilità degli interessi coinvolti e il consenso prestato dalla maggioranza dei lavoratori.
l’applicazione generale della disciplina collettiva, anche aziendale, potrebbe derivare dalla clausola di rinvio dinamico, contenuta nel contratto individuale di lavoro. “In caso tuttavia di dissenso esplicito del lavoratore alla nuova regolamentazione non si potrà rivendicare l’applicazione della precedente (nel caso di specie quella del Ccnl del 2008), in quanto la disciplina collettiva non si incorpora in quella del contratto individuale di lavoro, ma opera come fonte eteronoma di regolazione del rapporto, rimanendo in vigore sul piano individuale i trattamenti minimi previsti per legge”.87
93 Lai M., Centro studi nazionale Cisl L’accordo Fiat di Pomigliano: La contrattazione collettiva tra decentramento, responsabilità e partecipazione, 10/12/2010.
Il problema del rapporto tra contratti collettivi di diverso livello (c.d. efficacia verticale) si manifesta (e si è manifestato) quando uno stesso aspetto del rapporto di lavoro viene regolato differentemente e in modo contrastante in diversi livelli contrattuali: ad esempio quando il contratto aziendale prevede una determinata disciplina in materia di retribuzioni diversa da quella indicata nel contratto nazionale di categoria.
In giurisprudenza è stata per lungo tempo dominante una soluzione ispirata al criterio del favor per il lavoratore: tra le due regolamentazioni in contrasto prevarrebbe cioè quella più favorevole al lavoratore.
Se si considera, come in passato, l’interpretazione del contratto aziendale come somma di contratti individuali troverebbe applicazione l'art. 2077 del codice civile94 che, nel disciplinare la relazione tra contratto collettivo e contratto individuale, stabilisce la possibilità di deroghe ad opera del contratto individuale solo in quanto migliorative per il lavoratore.
Nel corso del tempo, però, si è ritenuto che il contratto aziendale avesse la stessa natura collettiva del contratto nazionale di categoria, per cui non sarebbe applicabile quanto disposto dall'art. 2077 del codice civile. Secondo una prima soluzione alternativa, peraltro superata dagli esiti del referendum del 1995, esisterebbe un principio gerarchico all'interno del sistema contrattuale, per cui i contratti collettivi di livello inferiore non potrebbero modificare, né in meglio né in peggio, quanto stabilito dai contratti di livello superiore.
Più di recente, affermatasi l’uguale natura collettiva dei contratti, si è ritenuto che nel conflitto tra contratti collettivi di diverso livello prevalga in ogni caso
94 Art. 2077 c.c.: Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale
I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.
Le clausole difformi dei contratti individuali preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro (1339).
la disciplina, nazionale o aziendale, posteriore nel tempo, sia essa migliorativa o peggiorativa rispetto al contratto nazionale preesistente.
Per altro verso bisognerebbe prendere in considerazione il criterio della specialità, secondo il quale dovrebbe prevalere il contratto aziendale, in quanto disciplina speciale, più vicina al rapporto di lavoro (e quindi sia all’azienda che ai singoli lavoratori), sia in senso peggiorativo che migliorativo rispetto a quanto stabilito a livello nazionale.
Ovviamente, in questo caso, la regolamentazione aziendale deve essere opera di soggetti dei quali sia accertato il grado di rappresentatività (proprio sulla questione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali si sono recentemente pronunciate le parti sociali con un intesa firmata il 31 maggio 2013).
2.4 Contrasto Fiat – Fiom e consultazione referendaria
Un’idea abbastanza diffusa in dottrina è quella per cui, dopo vent’anni di globalizzazione, il sistema delle relazioni industriali ha bisogno di riforme o per lo meno di aggiornamenti.
Il problema del precedente sistema (quello delineato prima degli accordi separati) sottoponeva le aziende ad un insieme di regole che complicava e limitava processi decisionali e non assicurava il rispetto degli accordi.
Una delle principali conseguenze riguarda il fatto che in Italia la percentuale delle grandi imprese è bassissima: tra le aziende iscritte a Confindustria solo il
20% ha grandi dimensioni, mentre il restante 80% è fatto di piccole imprese che occupano meno di 50 dipendenti.
Ci sono esigenze e problemi differenti tra grandi e piccole imprese, per citare una dottrina: “le prime, come la Fiat, sono maggiormente proiettate sui mercati internazionali, spesso hanno sedi, stabilimenti e dipendenti all’estero e necessitano di maggiore governabilità, mentre le seconde sono in genere radicate sul territorio, dove occupano pochi dipendenti nell’unica sede aziendale e, se hanno necessità di internazionalizzarsi, preferiscono avvalersi dei servizi offerti dal sistema Confindustriale, piuttosto che assumere direttamente dipendenti ad hoc. Allo stesso modo mentre nelle prime c’è di regola una nutrita e stabile rappresentanza sindacale, nelle seconde il sindacato è spesso assente perché i lavoratori dell’azienda non ne sentono il bisogno. Si sentono protetti dal contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) e, se hanno bisogno di qualcosa, trattano direttamente con l’imprenditore.” 95 Sono differenze, queste, che alcuni ritengono debbano riflettersi anche nella contrattazione collettiva.
In questi anni, infatti, si è apertamente manifestato il rifiuto del regime accentratore dettato dalla contrattazione nazionale. Per alcuni, la contrattazione nazionale sarebbe l’unica in grado di proteggere effettivamente tutti i lavoratori senza distinzioni, ma per altri quel duplice regime, rigidamente accentrato, ha soffocato le potenzialità del livello contrattuale aziendale.
Il contratto collettivo aziendale non si era mai diffuso, non aveva mai avuto quell’importanza che gli è stata attribuita dopo le lotte sociali e sindacali avviatesi con gli accordi separati del 2009 e con il caso Fiat.
95 Xxxxxxx M., Doppio canale per i contratti , Il Sole 24 Ore, 5 marzo 2011.
È indubbio che il biennio 2009/2010 sia stato caratterizzato da una serie di eventi che hanno inciso profondamente non solo sul diritto sindacale ma anche sulla stessa visione dell’economia industriale.
Il risultato dell’escalation di eventi caratterizzanti il biennio è stato, sicuramente, l’indebolimento della coesione tra le organizzazioni sindacali nonché la “fuga (in avanti o all’indietro dipende dai punti di vista)”96 della componente massimalista della Cgil.
Gli accordi del gennaio e aprile 2009 hanno, di fatto, segnato la fine dell’unità sindacale confederale con conseguenze che sono andate a ricadere sull’attività contrattuale successiva.
Era da tempo maturata l’idea di ampliare gli spazi negoziali alla contrattazione integrativa, ma ciò non si era mai realizzato in concreto sia a causa della grave crisi economica globale, sia per l’assenza di materia negoziale in termini di margini per incrementi salariali connessi alla produttività aziendale.
Dal punto di vista politico, rileva la presa d’atto che le specificità aziendali possono connotarsi come “negative”, ovvero, possano consentire deroghe ed interventi peggiorativi al ribasso.
In questo contesto, si pone come centrale la questione dell’efficacia dei contratti in deroga nei confronti dei lavoratori non iscritti alle organizzazioni stipulanti, seppur raggiunti secondo le regole previste dalla legge e dagli accordi interconfederali.
La conferma della gravità del tema in esame è, appunto, l’Accordo separato di Pomigliano d’Arco e quello seguente di Mirafiori.
Analizzando approfonditamente il caso si può notare come tali accordi abbiano generato una vicenda che racchiude tutti i nodi del diritto sindacale:
96 Pessi R., la contrattazione in deroga: il «caso» Pomigliano, Arg. Dir. Lav., part 6, p. 1119-1133, 2010.
• Quello degli effetti del trasferimento d’azienda sui rapporti individuali
e collettivi;
• Quello della funzione svolta dal referendum di ratifica (anche se solo politica);
• Quello dell’estensione dell’efficacia del contratto collettivo anche ai dissenzienti (in questo caso minoritari ma pur sempre significativi numericamente).
Secondo parte della dottrina97, di fronte ad un quadro così articolato e confuso in tema di rapporti tra i diversi livelli di contrattazione, l’unica possibilità per apportare un po’ di ordine era quella di accettare un accordo aziendale contenente clausole derogatorie al contratto nazionale.
La Fiom, tuttavia, non solo si è rifiutata di firmare gli accordi sin dalla prima intesa a Pomigliano, ma ha dichiarato che avrebbe contrastato con tutti i mezzi possibili l’attuazione dell’accordo poiché, avendo lei sottoscritto il Ccnl del 2008, non concepiva nessuna modifica a quest’ultima disciplina da imporre ai suoi iscritti (che costituiscono, oltretutto, una percentuale molto elevata del totale dei lavoratori sindacalizzati).
Ha negato qualsiasi legittimità alle deroghe delegittimando, così, l’accordo
del 2009.
È iniziata, in questo modo, la guerra tra Fiom e Fiat.
Sarà così, come vedremo, che, per rendere con certezza efficaci ed operanti le previsioni derogatorie delle clausole del Ccnl poste dall’Accordo aziendale di Pomigliano, si renderà necessario, per la Fiat, dissociarsi da Federmeccanica e Confindustria; solo in questo modo si sarebbe prodotto il “disinnesco”, ovvero la cessazione di operatività per la Fiat del Ccnl del metalmeccanici a partire dalla sua scadenza.
97 Per tutti vedi De Xxxx Xxxxxx R., L’accordo di Pomigliano: una storia italiana, Arg. Dir. Lav., fasc.6, 2010, pp. 1080-1088.
I sindacati riformisti, da parte loro, hanno tentato di interpretare la volontà dei lavoratori indicendo una consultazione referendaria nello stabilimento di Pomigliano.
Al referendum sull'accordo per il futuro di Xxxxxxxxxx d'Arco hanno vinto i “sì” con il 63,4%, ma i voti contrari hanno raggiunto il 36%, probabilmente più di quanto la Fiat si aspettasse.
Nonostante l’opinione della maggioranza dei lavoratori fosse rivolta al cambiamento e all’accettazione di quei sacrifici necessari in un periodo di crisi per far ripartire l’azienda, il risultato non può certo essere considerato soddisfacente poiché dimostra che circa il 40% dei lavoratori (una percentuale elevatissima) era schierato con la fazione estremista della Cgil e non accettava il nuovo contratto collettivo del 2009.
Al termine del lungo scrutinio delle 4.642 schede (su 4.881 votanti), infatti, i favorevoli risultavano 2.888, contro i 1.673 che rifiutavano l'intesa siglata dall’ azienda e sindacati (Fiom esclusa) il 15 giugno.
Si votava anche al Polo di Nola, dove è arrivato un secco no: su 273 voti 77 sono stati favorevoli e 192 contrari.
La Fiom ha ottenuto un risultato importante però rischiando molto poiché, proprio a causa del risultato del referendum, la Fiat poteva decidere di mantenere la produzione della Panda in Polonia e, come conseguenza, ciò avrebbe provocato un effetto a catena per gli altri imprenditori cosicché Pomigliano sarebbe stata colpita dalla fuga delle industrie e di coloro che sono intenzionati ad investire nel nostro Paese come era già avvenuto in diverse zone del sud.
Ponendo attenzione alle opinioni dei lavoratori raccolte dopo il referendum, pare che due lavoratori su tre fossero pronti ad accettare un accordo che, per garantire la produttività dello stabilimento, li costringesse a rinunciare ad alcuni dei diritti previsti dal contratto collettivo nazionale.
Si poteva ritenere che i lavoratori avessero accettato le rinunce previste dall’accordo di Pomigliano per la paura di ritorsioni da parte della Fiat; oppure che il loro voto non fosse stato libero perché condizionato dalla paura di perdere il posto di lavoro.
D’altra parte era possibile, anche, ritenere che il “sì” avesse vinto per il fatto che sul voto dei lavoratori avesse pesato soprattutto la consapevolezza che all’estero hanno problemi del tutto simili ai nostri. All’estero, durante quel biennio vi erano operai che il lavoro non lo avevano, lavoratori che, per la paura di divenire disoccupati, hanno accettato condizioni anche peggiori (vedi gli stessi lavoratori americani in Chrysler).
È, dunque, possibile che, con questa magra consapevolezza, i lavoratori abbiano accettato di rinunciare ad alcuni diritti per accogliere la produzione della Panda in attesa di superare concretamente e con i mesi la situazione di crisi acuta che aveva colpito anche lo stabilimento campano.
2.4a. Voci dei protagonisti sull’esito del Referendum
Le opinioni raccolte subito dopo l’esito del referendum sono state differenti: per l’allora ministro del lavoro Xxxxxxx il risultato sembrava essere stato soddisfacente, questi affermò che la logica del conflitto era stata isolata ed aveva prevalso quella della collaborazione tra le parti; aggiunse, inoltre, che:
«La partecipazione al voto è stata straordinariamente alta. A questo punto - spiegava - la Fiat non può che riconoscere che vi sono tutte le condizioni per realizzare il promesso investimento in un contesto di pace sociale. Da oggi il
Paese si rivela ancora più moderno». «Ha vinto - aggiungeva Sacconi - la volontà del Mezzogiorno di attrarre investimenti per consolidarsi come piattaforma produttiva per l'intero bacino del Mediterraneo. Cambiano con questo voto le relazioni industriali nelle quali si isola la logica del conflitto e prevale quella della collaborazione tra le parti nel nome del comune destino dell'impresa e del lavoro. Il baricentro dei nuovi rapporti sindacali diventano l'azienda e il territorio». Xxx Xxxxxxx «a questo punto la Fiat non può che riconoscere che vi sono tutte le condizioni per realizzare il promesso investimento in un contesto di pace sociale che, sono convinto, tutti o quasi tutti sapranno garantire. Questo voto - concludeva il ministro del Lavoro - è paragonabile al referendum sulla scala mobile che consolidò l'accordo di San Valentino»98.
Dall’altro lato bisogna riportare anche il punto di vista e i commenti dei
sindacati.
il segretario della Uilm Campania Xxxxxxxx Xxxxxxxx sottolineò, in un articolo comparso sul Corriere della Sera del 23 giugno 2010, che «la partecipazione è stata altissima, pari al 95%. In tutta la giornata si è registrato un assenteismo pari al 4%. È un risultato che non si era mai registrato prima in consultazioni del genere».
La vice segretaria generale della Cgil, Xxxxxxx Xxxxxxx, commentò il risultato del referendum sottolineando il gravoso peso che la chiamata al voto aveva significato per i lavoratori in fabbrica: «I sì per il lavoro e i no per non cancellare i diritti. La partecipazione al voto era prevedibile, come la prevalenza dei sì: i lavoratori di Pomigliano si sono ritrovati improvvisamente arbitri di una contesa che preme su di loro e sulle loro aspettative personali
98 Il 9 e 10 giugno 1985 in Italia gli elettori furono chiamati a decidere se abrogare la norma che comporta un taglio dei punti della scala mobile. Il referendum fu promosso dal PCI. Il Referendum fu bocciato con 18 milioni di NO 54,3% e 15 milioni di SI 45,7% (PCI, DP e MSI). Tantissimi i voti degli operai in quella maggioranza di 18 milioni.
perché in quel territorio, caratterizzato da un'alta disoccupazione, uno stabilimento come quello della Fiat svolge un ruolo essenziale e non sostituibile». Secondo Xxxxxxx «anche un voto così particolare, nella sua articolazione tra sì e no, dice che ci vuole una soluzione condivisa, come la Cgil ha sempre sostenuto. Tanto più che intese che cancellano diritti sono inefficaci in quanto illegittime. Per questo chiediamo a Fiat di confermare e avviare l'investimento e la produzione della nuova Panda a Pomigliano, di riaprire la trattativa per un'intesa condivisa da tutti». «Al governo, - concludeva Xxxxxxx - che è stato ininfluente sulle scelte industriali, che ha voluto giocare una sua partita di divisione del sindacato, il voto dice che un Paese moderno difende i diritti dei lavoratori».
Per concludere, il segretario nazionale della Fim-Cisl, Xxxxx Xxxxxx, valutò
«positivamente» il risultato di Pomigliano e chiese alla Fiat di procedere con l'investimento. «I due terzi dei lavoratori hanno votato per il sì. Cosa ci si deve aspettare per Pomigliano? Xxxxxxx chiederlo a Xxxxxxxxxx: sarebbe un Paese strano quello in cui si fa un accordo, si vince, e poi ci si comporta come se si fosse perso».
Tuttavia le aspettative di prendere seriamente e, soprattutto, esecutivamente in considerazione il referendum di Pomigliano per avviare l’investimento dell’azienda non si sono realizzate.
Non esiste, infatti, alcuna fonte legislativa che attribuisca potere vincolante
all’esito di un referendum effettuato nell’ambito di un’azienda.
Il referendum esiste ma è utilizzato solo per fini politici, per valutare le posizioni e la volontà dei lavoratori.
Nulla di più, nulla di meno. Non avendo un valore giuridico, ma solo politico, i suoi risultati non possono essere considerati vincolanti.
Secondo la maggioranza degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali ci si trovava di fronte ad una coesistenza di discipline contrattuali: il Ccnl del 2008,