Relazione di minoranza
Convenzione sull’Autonomia
Relazione di minoranza
Xxxxxxx Xxxxxxxx.
1. Premessa.-
La legge provinciale 23 aprile 2015, n. 31 in tema di “Istituzione di una Convenzione per la riforma dello Statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige”, emendata dall’art. 17, comma 1°, della l.p. 22 dicembre 2016, n. 27, prevede, quale completamento dei suoi lavori, che la Convenzione proceda ad “una fase propositiva, in cui si elabora un documento contenente proposte al Consiglio in ordine alla revisione dello Statuto di autonomia”. La medesima disposizione della legge prevede altresì che “possono essere redatte e trasmesse anche relazioni di minoranza”.
La presente relazione individuale di minoranza si fonda pertanto sulla citata previsione legislativa e si configura come manifestazione di dissenso in ordine a due contenuti che, secondo il Documento propositivo della Convenzione, presumibilmente sono destinati a figurare nel preambolo dello Statuto stesso e a costituire, di conseguenza, una proposta rivolta al Consiglio.
Il dissenso si manifesta, in primo luogo, in relazione al richiamo delle “radici cristiane del territorio”, ancorché congiuntamente ad una caratterizzazione del territorio stesso anche in virtù dello “spirito dell’umanesimo laico e dell’illuminismo”. Si tratta di un dissenso fondato non solo su convinzioni personali - e dunque soggettive – ma riferito anche a considerazioni oggettive di natura sistematica.
In secondo luogo, il dissenso si esprime in ordine alla proposta di inserimento nel testo del preambolo di un riferimento al diritto di autodeterminazione. Il dissenso si fonda sulla mancanza di coerenza sistematica del contesto normativo nel quale si formula tale proposta fondata sull’autodefinizione di popolo, ad esclusione di quella di minoranza nazionale da inquadrare nel contesto di un’autonomia dotata – solo e proprio in quanto tale - di garanzia
internazionale. Il dissenso si giustifica, inoltre, anche in ragione di un giudizio di opportunità politica ed istituzionale in quanto sicuramente idoneo a compromettere l’accordo con il Trentino e con lo Stato italiano anche con riguardo alla configurazione di un nuovo assetto dell’autonomia che va oltre la vigente autonomia speciale e che, a giudizio di chi scrive, rappresenta e dovrebbe rappresentare la priorità della proposta rivolta alle istituzioni destinatarie del Documento.
In premessa giova altresì segnalare come l’elaborazione materiale del Documento finale della Convenzione dei 33 non appaia conforme alla prescrizione legislativa secondo la quale “La Convenzione opera […] secondo il principio del consenso”: il suddetto principio richiede che il risultato finale dell’organismo chiamato alla sua applicazione sia espressivo o del consenso esplicito, o anche del consenso implicito eventualmente corrispondente ad un dissenso non esplicitato. Ne consegue che, essendo stato il dissenso tanto sul riferimento alle radici cristiane quanto sul riferimento al diritto all’autodeterminazione esplicitato in modo palese durante le riunioni della Convenzione, il Documento finale – che dovrebbe essere basato solo sul consenso - non dovrebbe includere nessuna delle due proposte e i relativi sostenitori avrebbero di conseguenza l’onere di scrivere la loro relazione di minoranza. E invece si assiste all’elaborazione di un Documento finale privo di consenso - e dunque di maggioranza – mentre le relazioni di minoranza sono scritte a parti invertite rispetto al metodo quale prescritto dalla legge istitutiva.
2. Le radici cristiane.-
Il dissenso sul richiamo delle “radici cristiane del territorio” non intende di certo negare l’evidenza storica in base alla quale nel territorio dell’Alto Adige/Südtirol, nel corso di secoli, si registra la presenza prevalente del Cristianesimo e in particolare del Cattolicesimo; né si ritiene che la realtà di tale ininterrotta presenza possa essere compromessa dalla sua prolungata connessione con l’unione del potere spirituale con il potere temporale e dunque con il potere tout court, rafforzato anche dall’imposizione dell’apparato teologico dogmatico risultante dal Concilio di Trento.
L’affermazione de qua nel preambolo, infatti, che di certo ha un significato storico-descrittivo, è però anche suscettibile di interpretazione in senso normativo, tale cioè da tradurre un
«essere» (riferito alle “radici” e dunque al passato) in un «dover essere» attuale e riferito al presente ed al futuro.
Il richiamo statutario al Cattolicesimo ed inevitabilmente alla sua struttura istituzionale gerarchica, al suo apparato teologico dogmatico ed alla sua vocazione a condizionare non solo la società civile – come del resto è suo compito – ma anche il funzionamento delle istituzioni, con modi ed in misura estranei alla separazione fra sfera civile e sfera religiosa, potrebbe di conseguenza essere interpretato come fondamento normativo statutario – dotato di efficacia vincolante nei confronti della legge provinciale - idoneo a qualificare la legittimità di politiche pubbliche, in particolare e a titolo esemplificativo, in materia di famiglia, di sanità e di ricerca scientifica in senso conforme a quella specifica dottrina religiosa. Non sono mancate le circostanze nelle quali ambienti politici ed istituzionali italiani ed europei di ispirazione cattolica abbiano subordinato alle proprie priorità confessionali l’adozione di interventi rispettosi della libertà terapeutica, del riconoscimento di legami familiari ed affettivi autentici non tradizionali, del finanziamento di attività di ricerca scientifica innovative e di frontiera. In tali circostanze, solo l’intervento successivo della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo ha consentito di eliminare definitivamente le norme lesive di quelle stesse sfere di libertà. L’omissione di tale riferimento nel preambolo avrebbe la positiva conseguenza di evitare la tentazione legislativa di contenere illegittimamente la sfera delle libertà e di laicizzare nel metodo e nei contenuti il lavoro del legislatore provinciale.
Occorre anche osservare come il riferimento ad una confessione religiosa, in tanto in quanto trasforma i valori di una (presunta) maggioranza in valori generali ed assoluti, risulti – a mio giudizio - lesivo dei diritti dei credenti di altre confessioni religiose ed altresì della comunità dei razionalisti, degli atei e degli agnostici; e risulta altresì in contraddizione con il processo di secolarizzazione della società alto atesina e sudtirolese che non appare essere inferiore o diverso dall’analogo processo sviluppatosi in tutta Europa. A conferma del consolidamento del processo europeo di
secolarizzazione si può citare l’esito negativo circa la proposta di inserire un richiamo alle radici cristiane nel preambolo del trattato costituzione dell’Unione europea.
3. L’autodeterminazione.-
All’interno del preambolo del Documento finale della Convenzione dei 33 si propone l’inserimento di un testo che presumibilmente conterrà un enunciato corrispondente alla proposta di prevedere: “un riferimento al diritto all’autodeterminazione dei popoli, previsto dall’art. 1 dello Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ratificato e reso esecutivo dalla Repubblica italiana con legge 17 agosto 1957, n. 848, dall’art. 1 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, e dall’art. 1 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, ratificato e reso esecutivo dalla Repubblica italiana con legge n. 881 del 25 ottobre 1977“.
Nel medesimo preambolo sarà altresì prevista – altrettanto presumibilmente - una proposta volta ad inserire un “riferimento all’Accordo di Parigi del 5 settembre 1946 e la successiva prassi come fonte di diritto internazionale a garanzia dell’autonomia della Provincia autonoma di Bolzano/Südtirol”.
3.1 In argomento, a mio giudizio, occorre esprimere in primo luogo un’opinione secondo la quale la proposta di riferimento al diritto all’autodeterminazione è irricevibile in quanto in palese contraddizione sia con la finalità istituzionale della Convenzione, definita dalla legge istitutiva come volta ad elaborare “un documento contenente proposte al Consiglio in ordine alla revisione dello Statuto di autonomia”, sia con le modalità operative prescritte dalla legge stessa secondo le quali “La Convenzione opera […] nell'ambito degli obiettivi a essa assegnati”.
Mentre il riferimento alla garanzia internazionale dell’autonomia è del tutto conforme e pertinente, il riferimento al diritto all’autodeterminazione è incompatibile con la logica normativa stessa di uno statuto di autonomia in un contesto di diritto costituzionale: se, infatti, l’autodeterminazione de qua fosse da intendere quale autodeterminazione “interna” – tale cioè da
svolgersi nel contesto del diritto costituzionale italiano integrato dalla garanzia internazionale -, tale qualificazione dovrebbe essere espressamente specificata, al fine di palesare la sua sinonimia con autonomia ed uscire dall’ambiguità del concetto di autodeterminazione privo di specificazione, che inevitabilmente si riconnette con la sfera del diritto internazionale. Ma, in base al testo citato, il fondamento del diritto all’autodeterminazione viene espressamente ricondotto a fonti di diritto internazionale generale (art. 1 dello Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ratificato e reso esecutivo dalla Repubblica italiana con legge 17 agosto 1957, n. 848, art. 1 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, e art. 1 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, ratificato e reso esecutivo dalla Repubblica italiana con legge n. 881 del 25 ottobre 1977), quale elaborato nel secondo dopoguerra con riferimento diretto sia all’emancipazione dei popoli colonizzati verso la costituzione di Stati indipendenti e sovrani sia, in un contesto di guerra fredda, alla libertà di scelta del rispettivo regime economico e politico.
In altre parole, il diritto all’autodeterminazione – senza ulteriori specificazioni e qualificazioni – si esercita nell’ambito del diritto internazionale attraverso la secessione da un ordinamento statuale al fine di costituire un nuovo ordinamento statuale originario, indipendente e sovrano ovvero di aggregarsi a titolo derivato ad altro ordinamento statuale (in materia si può fare riferimento a recenti dinamiche concernenti il rapporto fra popolazioni e territori fra Ucraina e Federazione Russa nonché fra quest’ultima e la Georgia).
In tale contesto, autodeterminazione e autonomia sono vicendevolmente incompatibili, la Convenzione è chiamata per legge ad occuparsi di autonomia e pertanto la proposta di inserire il diritto all’autodeterminazione è irricevibile.
3.2 Nel corso del dibattito svoltosi in seno alla Convenzione, il suggerimento alternativo di fare riferimento alla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, adottata a Strasburgo, in seno al Consiglio d'Europa, il 1 febbraio 1995, entrata in vigore il 1 febbraio 1998, ratificata e resa esecutiva dalla Repubblica italiana con legge 28 agosto 1997, n. 302 – non è mai
stato preso in alcuna considerazione ed infatti è presumibilmente destinato a non figurare nel testo del Documento finale.
L’unica ragione verosimilmente plausibile della mancata menzione è che la Convenzione quadro in parola esplicitamente colloca il complesso delle norme di tutela delle minoranze nazionali in un contesto che, secondo il preambolo, stabilisce che “Gli Stati membri del Consiglio d'Europa e gli altri Stati, firmatari della presente Convenzione quadro …… Determinati a definire i princìpi da rispettare e gli obblighi che ne derivano per assicurare, in seno agli Stati membri ed agli altri Stati che divengano Parti del presente strumento, la protezione effettiva delle minoranze nazionali e dei diritti e libertà delle persone appartenenti a tali minoranze secondo il disposto di legge e nel rispetto dell'integrità territoriale e della sovranità nazionale degli Stati”. Giova precisare altresì che in base all’art. 2 della Convenzione quadro stessa, si prescrive che “Le norme della presente Convenzione quadro saranno applicate in buona fede, in uno spirito di comprensione e di tolleranza nonché nel rispetto dei princìpi di buon vicinato, di relazioni amichevoli e di cooperazione tra gli Stati”, come del resto risulta essere la realtà delle (ottime) relazioni fra la Repubblica federale d’Austria e la Repubblica italiana, con palese riconoscimento, da parte di quest’ultima, del ruolo di potenza tutrice della prima.
Ne consegue che sia l’Accordo Degasperi-Xxxxxx del 1946, sia la cosiddetta “quietanza liberatoria” rilasciata dalla Repubblica federale austriaca alla Repubblica italiana a titolo di riconoscimento della soluzione della vertenza internazionale (1992) hanno determinato che lo status degli “abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento [che] godranno di completa eguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca” e delle “popolazioni delle zone sopraddette [alle quali] sarà concesso l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo autonomo” venga inquadrato nell’ambito della categoria di diritto internazionale delle minoranze nazionali.
Proprio tale inquadramento viene confermato e garantito dagli articoli 6 e 116 della Costituzione repubblicana e dalla natura costituzionale dello Statuto speciale.
La qualifica di “popolo” ai fini del diritto all’autodeterminazione si rivela pertanto alternativa a quella di “minoranza nazionale” ai fini del godimento dell’autonomia speciale garantita dall’Accordo Degasperi-Xxxxxx, dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione quadro ed esercitata nella presente fase propedeutica rispetto alla revisione statutaria.
3.3 Su un diverso piano si colloca un’ulteriore motivazione del dissenso circa la proposta di inserimento di un diritto all’autodeterminazione, precisamente un piano di opportunità politica ed istituzionale.
Secondo la legge istitutiva, “il documento è trasmesso alle/ai presidenti dei Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano e alla/al presidente del Consiglio regionale ai sensi dell'art. 103 dello statuto di autonomia”.
Il Documento finale risultante dai lavori della Convenzione dei 33 e delle distinte articolazioni dell’esperienza di democrazia partecipativa predisposte (il Forum dei 100) è stato elaborato in modo da riflettere i contenuti e le priorità propri della società civile e della società civile organizzata dell’Alto Adige/Südtirol, con indifferenza rispetto a quanto invece possa venire ricondotto ai contenuti e le priorità propri della società civile e della società civile organizzata del Trentino e al lavoro analogo della Consulta. Del resto, anche la Consulta trentina sembra aver operato in base a tale orientamento.
L’autoreferenzialità di entrambe le esperienze si giustifica in ampia misura ma non in assoluto: essa è da valutare in senso positivo in tanto in quanto si rappresenta una visione autentica del futuro dell’autonomia – quale dovrebbe essere riflesso dalla revisione dello Statuto unico – e si pongono in essere sollecitazioni unilaterali che possano essere accolte ed incorporate in una concezione condivisa di autonomia molto avanzata ma, al contrario, essa rappresenta un atteggiamento da valutare in senso negativo quando si esprimono
contenuti che in nessun modo possano essere ricondotti a sintesi da parte dei due soggetti istituzionali – le due Province autonome – a loro volta coinvolti in sede regionale, in base all’art. 103 dello Statuto richiamato dalla legge istitutiva.
Secondo tale inquadramento, la proposta di riferimento al diritto all’autodeterminazione corrisponde ad una logica meramente dichiarativa, il cui obiettivo è di enunciare un’istanza ideologica ed è incompatibile con una diversa logica, di natura negoziale, espressiva sia di forte innovazione statutaria sia di una dose di realismo politico che proprio nell’attitudine negoziale trova il proprio fondamento.
I lavori della Convenzione dei 33 hanno prodotto una visione del futuro di un’autonomia forte, avanzata, compiuta – suscettibile di rappresentare in modo concreto una concezione di autonomia integrale - che certamente, se accolta e formalizzata, andrebbe molto al di là dell’attuale autonomia speciale. Si tratta di una concezione prossima alla forte sensibilità identitaria del gruppo di lingua tedesca e del gruppo di lingua ladina – almeno in tanto in quanto la sua rappresentanza politica sia stata assunta dalle organizzazioni partitiche di lingua tedesca -, distinta da una concezione aperta, cosmopolita e a marcata vocazione europea, pure presente nel contesto de quo ma che dovrà presumibilmente attendere un altro ciclo storico per affermarsi come prevalente. Ma occorre porre in evidenza come tale concezione, nel presente, si traduca anche in una configurazione forte dell’autonomia territoriale che non può non essere condivisa anche dal gruppo linguistico italiano. Su tale concezione dell’autonomia sarebbe inoltre opportuno promuovere una forte intesa con il Trentino e, insieme al Trentino, una (per quanto ampia possibile) condivisione con il Parlamento italiano. Ma, a questo fine, l’ambizione del disegno riformatore andrebbe riposta con il massimo realismo politico nella ragionevolezza e nella realizzabilità nel tempo breve se non immediato delle proposte condivise. Il riferimento al diritto all’autodeterminazione non è compatibile con alcuna logica negoziale, né con il Trentino né con lo Stato italiano.
Non si può non riconoscere come la popolazione sudtirolese abbia subito una serie di traumi politici e culturali - dall’annessione, al fascismo, alle opzioni, al primo statuto di autonomia – ed è
pertanto comprensibile come, sul piano ideologico, culturale e politico, la vocazione all’autodeterminazione sia ancora viva e venga anche trasmessa alle giovani generazioni. Ma occorre distinguere fra il piano ideologico e politico e il piano normativo, sia pure nella sede del preambolo dello Statuto speciale, che – come ben noto – è una legge costituzionale della Repubblica italiana.
Il riferimento al diritto all’autodeterminazione è incompatibile con le esigenze della logica negoziale che il Documento è chiamato ad esprimere sia, in funzione trainante, nei confronti del Trentino sia, in funzione persuasiva, nei confronti dello Stato italiano.