L’impugnazione del contratto a termine
Capitolo 8
L’impugnazione del contratto a termine
Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
SOMMARIO: 8.1 Impugnazione del contratto a termine e decadenze – 8.2 L’indennità “onnicomprensiva” del Collegato lavoro
8.1 Impugnazione del contratto a termine e decadenze
L’art. 32 della legge 183/2010 prevede due significative novità in mate- ria di contratto a termine.
Sotto un primo profilo, il legislatore introduce – analogamente a quanto previsto per il licenziamento1 – un duplice termine di decadenza per l’impugnazione della nullità del contratto a termine.
I termini di decadenza, previsti dalla nuova formulazione dell’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, si dovranno infatti applicare, in base all’art. 32 della legge 183/2010, ai licenziamenti che «presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto» nonché
«all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, e successive mo- dificazioni».
I termini che dovranno applicarsi sono – in base alla lettera della leg- ge – sia quello per la impugnazione in via stragiudiziale (sessanta gior- ni) che quello, di ulteriori duecentosettanta giorni, per il deposito del ricorso avanti la cancelleria del lavoro del tribunale competente ovvero l’avvio della procedura conciliativa ed arbitrale delineata dai novellati artt. 410 e seguenti del c.p.c.
Peraltro, mentre nel caso di impugnazione del licenziamento i ter- mini decorrono dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta ovvero dalla comunicazione, sempre per iscritto, dei motivi, ove non contestuale, nel caso di azione volta a contestare l’illegittimità del termi-
1 Cfr. I.M. Di Biase, Il nuovo regime delle decadenze, in questo volume.
ne apposto al contratto i termini decorrono dalla scadenza del contratto medesimo: la differenza si giustifica con la evidente necessità di evitare di porre il lavoratore nella condizione di dover impugnare il contratto in costanza del rapporto di lavoro.
La nuova disciplina dei termini di impugnazione del contratto a ter- mine ha efficacia retroattiva.
Essa si applica, infatti, come previsto dal quarto comma dell’art. 32 della legge 183/2010, sia ai contratti a termine in corso di esecuzione con decorrenza dell’impugnativa, anche in questo caso, dalla scadenza del termine, sia a quelli già cessati, come previsto dal quarto comma, lettera b) dell’art. 32 della legge 183/2010 che fa espresso riferimento ai contratti di lavoro a termine stipulati anche in applicazione di disposi- zioni di legge previgenti al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, che siano già conclusi alla data di entrata in vigore della nuova legge, data dalla quale decorrono i termini per l’impugnazione.
Le descritte modalità di impugnazione riguardano, dunque, i con- tratti stipulati in carenza della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, sostitutivo o produttivo, anche riferibili alla ordinaria at- tività del datore di lavoro2, nonché quelli carenti di indicazione e moti- vazione circa la durata del rapporto di lavoro a termine (art. 1 D.Lgs. n. 368/2001), quelli illegittimamente prorogati (art. 4 D.Lgs. n. 368/2001) ovvero sottoscritti in violazione della disposizione riguardante il caso specifico del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali o postali (art. 2 D.Lgs. n. 368/2001).
Non si applica, invece, non essendo richiamato l’art. 3 del D.Lgs.
n. 368/2001, nei casi di contratto a termine illegittimo in quanto sti- pulato:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitino il diritto di sciopero;
b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità pro- duttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge 23 lu- glio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione
2 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, L’apposizione del termine al contratto di lavoro: il nuovo quadro le- gale, in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, Milano, 2008.
di lavoratori assenti, ovvero sia concluso ai sensi dell’art. 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;
c) presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario di lavoro, con diritto al tratta- mento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni a cui si riferisce il contratto a termine;
d) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e succes- sive modificazioni.
Con l’introduzione del termine di decadenza per l’impugnazione del contratto a termine pare destinato a risolversi il contrasto giurispruden- ziale in merito alla possibilità di individuare nel comportamento del lavoratore – che alla scadenza di un contratto di lavoro a tempo deter- minato non manifesti volontà univoca alla prosecuzione del rapporto di lavoro cessato mediante la richiesta di conversione del suddetto rap- porto a tempo indeterminato, ma anzi abbia comportamenti che anche solo per facta concludentia risultino incompatibili con la volontà di voler proseguire stabilmente nel rapporto – un implicito consenso allo scio- glimento del contratto.
In alcune pronunce3, infatti, si è affermato che il contratto di lavoro a tempo determinato, rispetto al quale si invochi, dopo la scadenza del rapporto, la declaratoria di nullità del termine illegittimamente appo- sto, può essere dichiarato risolto per mutuo consenso anche in presen- za non di dichiarazioni, ma di comportamenti significativi tenuti dalle parti, spettando al giudice del merito la valutazione sulla loro efficacia solutoria.
In particolare, è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie le- gale di cui all’art. 1372, comma 1, c.c., il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto la- vorativo a termine in base a modalità tali da evidenziare il loro disin- teresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano “og- gettivo” del contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà dei contraenti, intesa come momento psicologico dell’inizia-
3 Ex multis Cass. 6 luglio 2007, n. 15264.
tiva contrattuale, con conseguente attribuzione del valore di dichia- razioni negoziali a comportamenti sociali valutati in modo tipico, là dove, nella materia lavoristica, operano, proprio nell’anzidetta pro- spettiva, principi di settore (quali la caratterizzazione professionale del lavoratore; l’obbligazione retributiva del datore di lavoro funzio- nale alla soddisfazione dei bisogni primari del dipendente; la nasci- ta dell’inderogabile rapporto previdenziale), che non consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione (in base a questo principio, ad esempio, si è ritenuta sussistente la risoluzio- ne consensuale di un rapporto di lavoro a tempo determinato in un caso in cui l’attività lavorativa era stata svolta soltanto per circa nove mesi e l’azione per il riconoscimento della nullità dell’apposizione del termine e dell’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato era stata proposta dopo otto mesi dalla cessazione del predetto rapporto a termine, avendo il lavoratore reperito, nel frattempo, un’altra oc- cupazione a tempo indeterminato presso azienda dello stesso settore merceologico della precedente).
Tuttavia, l’accertamento della eventuale risoluzione del rapporto per mutuo consenso pone inevitabili problemi di valutazione: essa deve es- sere riscontrata, infatti, con particolare rigore e, ove non contenuta in un atto formale, deve risultare da un comportamento inequivoco che evidenzi il completo disinteresse di entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto stesso4.
4 Ex multis, Cass. 5 agosto 2008, n. 21141, che ha sottolineato come occorra in par- ticolare superare la presunzione contraria secondo cui i comportamenti passivi del lavoratore possano essere indotti dalla particolare situazione di soggezione dovuta alla condizione di precario. Più recentemente, la stessa Corte di Cassazione (sent. 1° febbraio 2010 n. 2279) ha anche precisato che l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la «volontà chiara e certa delle parti di voler porre fine al rap- porto» grava sul datore di lavoro che deduca la risoluzione dello stesso per mutuo consenso e che la mera inerzia del lavoratore non può essere interpretata come fatto estintivo del rapporto. Nella specie, l’inerzia era durata per poco più di un anno e la Corte ha valutato tale tempo come notoriamente necessario a valutare l’eventuale illegittimità del termine e quindi rivolgersi al sindacato o a un legale, con necessità di impostare la causa e provvedere al tentativo di conciliazione presso la D.P.L.; è stata ritenuta notoria anche la circostanza relativa all’affidamento del lavoratore precario sulla prospettiva di futuri contratti a termine e al timore di pregiudicare tale esito con l’azione giudiziaria.
8.2 L’indennità “onnicomprensiva” del Collegato lavoro
A seguito della recente sentenza n. 214/2009 della Corte Costituzionale sull’art. 4-bis, D.Lgs. 368/2001 – che, prevedendo in caso di lavoro a ter- mine illegittimo un’indennità in favore del lavoratore da 2,5 a 6 mensi- lità con esclusivo riferimento ai soli giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge 183/2008, è stato ritenuto illegittimo per violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.5 – il legislatore è tor- nato, con la legge 183/2010, anche sulle conseguenze della illegittima apposizione del termine.
Ai sensi del comma 5 dell’art. 32, «nei casi di conversione del con- tratto a tempo determinato il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 men- silità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604» e cioè al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del lavoratore, al comportamento e alle condizioni delle parti. Per effetto di quanto stabilito dal comma 7, dette conseguenze trovano applicazione anche in relazione ai giudizi pendenti: in tali casi il giudice potrà fissare alle parti un termine per integrare la domanda e potrà am- mettere i mezzi di prova che riterrà opportuni al fine della valutazione dell’ammontare dell’indennità.
In punto di conseguenze derivanti dall’illegittimo ricorso al contrat- to a termine, la giurisprudenza, in passato, si è orientata prevalente- mente nel senso che la illegittima apposizione del termine, così come la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il termine inizialmente fissato, comportassero la conversione del contratto a termine in contratto a tem- po indeterminato, nonché la corresponsione delle mancate retribuzioni
5 «In effetti, situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nello stesso periodo, per la stessa durata, per le medesime ragioni ed affetti dai medesimi vizi) risultano destinatarie di discipline sostanziali diverse (da un lato, secondo il diritto vivente, conversione del rapporto in rapporto a tempo indetermina- to e risarcimento del danno; dall’altro, erogazione di una modesta indennità economi- ca), per la mera e del tutto casuale circostanza della pendenza di un giudizio alla data (anch’essa sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice) del 22 agosto 2008 (giorno di entrata in vigore dell’art. 4-bis del D.Lgs. n. 368 del 2001, introdotto dall’art. 21, comma 1-bis, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112)». (C. Cost., 14 luglio 2009, n. 214, in xxx.xxxxx.xx, indice A-Z, voce Lavoro a termine).
(dedotto l’aliunde perceptum e, secondo alcune pronunce, previa messa in mora del datore di lavoro) dalla cessazione del rapporto, per scaden- za del termine, alla riammissione in servizio (Trib. Milano Sez. lavoro, 8 maggio 2009, n. 1939; Cass. civ. Sez. lavoro, 14 novembre 2006, n. 24273;
Cass. civ. Sez. lavoro, 3 marzo 2006, n. 4677; Trib. Torino, 23 marzo 2005). Secondo un orientamento dottrinale6 seguito da una giurisprudenza minoritaria7, nondimeno, la nullità della clausola con la quale è apposto il termine comporterebbe la nullità dell’intero contratto venendone a mancare una parte in correlazione inscindibile ed essenziale con il resto (art. 1419 c.c., primo comma) e troverebbe applicazione l’art. 2126 c.c. per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione.
Con le modifiche di cui all’art. 32, comma 5, del Collegato, come pre- messo, il legislatore ha introdotto una nuova sanzione, quella dell’inden- nità onnicomprensiva, sulla quale, già dalle prime letture della norma, è sorto un problema interpretativo-applicativo circa natura e funzione.
In effetti, si può ipotizzare che la stessa indennità possa essere:
a) sostituiva della trasformazione e dell’eventuale retribuzione matu- rata dal lavoratore nel periodo intercorrente tra la data di cessazione del rapporto e la data di decorrenza della riammissione in servizio;
b) sostituiva della sola eventuale retribuzione di cui sopra, ferma re- stando l’effettività della trasformazione del rapporto;
c) aggiuntiva rispetto sia alla trasformazione del rapporto sia all’even- tuale retribuzione di cui ai due punti precedenti.
Contrastanti gli orientamenti: taluni ritengono che, ferma restando la trasformazione derivante dalla conversione del contratto di cui sia ri- conosciuta giudizialmente l’illegittima apposizione del termine, per il risarcimento del lavoratore, il Legislatore avrebbe stabilito un’inden- nità onnicomprensiva commisurata tra un minimo di 2,5 ed un massi- mo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in sostitu- zione della retribuzione maturata nel periodo tra la data di cessazione del rapporto e la successiva riammissione in servizio; secondo un di- verso indirizzo, invece, la norma disciplinerebbe la “conversione” in modo speciale rispetto al diritto comune facendo ricadere in capo al datore di lavoro una sanzione che allontana l’incertezza del precetto indeterminato della giustificazione del termine ed offrendo al lavora-
6 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxx, Il nuovo lavoro a termine, Cedam, Xxxxxx, 0000.
7 Trib. Brescia, 22 gennaio 2007, n. 67, in xxx.xxxxx.xx, Boll. Adapt. n. 33/2007.
tore il vantaggio della conservazione della garanzia della conversione del contratto8.
In tale ipotesi l’indennità assorbirebbe qualsiasi “risarcimento”, così come suggerirebbe l’aggettivo “onnicomprensiva”, incluso quello da mora accipiendi per il periodo intercorrente tra la illegittima cessazione del rapporto e la data della sentenza dichiarativa della nullità del ter- mine; né sarebbe ravvisabile una violazione dell’art. 36 Cost. essendo venuta meno, nel periodo considerato, la prestazione lavorativa.
La ragionevolezza del regime speciale, d’altronde, sarebbe indubbia alla luce della considerazione per cui la liquidazione del risarcimento, fino ad ora spettante al giudice in relazione al singolo caso e spesso fon- data su presunzioni semplici sull’aliunde perceptum e percipiendum, ver- rebbe ad essere sostituita da una indennità da riconoscersi a prescindere dal concretizzarsi di un danno effettivo per il prestatore.
Né si porrebbero problemi di conformità al diritto comunitario, che lascia al legislatore nazionale la scelta di prevedere «se del caso» la tra- sformazione in contratto a tempo indeterminato della serie illegittima di contratti a termine, come è stato riconosciuto proprio per l’esclusione di tale regola nella disciplina italiana del pubblico impiego, consentendo, d’altro canto, «arretramenti anche del livello generale di tutela purché riferibili ad un “valido motivo”, qui, come si è visto, addirittura macro- scopico9».
Un incentivo premiante all’intervento della contrattazione collettiva sul punto è contemplato dal sesto comma dell’art. 32 ove si stabilisce che in presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’in- dennità è ridotto della metà.
8 X. Xxxxxxxxx, Una buona svolta del diritto del lavoro, in X. Xxxxxxx (a cura di), Arbitra- to: una soluzione alternativa, Bollettino speciale ADAPT n. 9/2010, in xxx.xxxxx.xx.
9 X. Xxxxxxxxx, op. cit.
Tabella riepilogativa
L’impugnazione del contratto a termine nel Collegato (art. 32) | |
Comma 3, lett. a) (Controversie sulla legittimità dell’apposizione del termine) | – estende l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 dello stesso art. 32, a tutti i licenziamenti che presuppongano controversie aventi ad ogget- to sia la corretta qualificazione del rapporto di lavoro sia la legittimità dell’apposizione del termine al contratto |
Comma 3, lett. d) (Azione di nullità del termine apposto) | – applicazione delle medesime disposizioni di cui sopra anche all’azio- ne di nullità del termine apposto in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1, 2 (disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo ed i servizi aeroportuali) e 4 del D.Lgs. 368/2001, con termine decorrente dalla sca- denza del medesimo |
Comma 4, lett. a) (Contratti di lavoro a termine in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della legge di riforma) | – estensione della disciplina della legge sui licenziamenti individuali, così come novellata, ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 del D.Lgs. 368/2001 in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della legge di riforma |
Comma 4, lett. b) (Contratti di lavoro a termine già conclusi e, eventualmente, stipulati in applicazione di disposizioni di legge previgenti) | – estensione della disciplina della legge sui licenziamenti individuali, così come novellata, ai contratti di lavoro a termine stipulati anche in appli- cazione di disposizioni di legge previgenti al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, già conclusi alla data di entrata in vigore del Collegato e con decorrenza dalle medesima |
Comma 5 (Indennità onnicomprensiva) | – nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al solo risarcimento del lavoratore sta- bilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 |
Comma 6 (Ipotesi di riduzione dell’indennità) | – in presenza di contratti o accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’in- dennità fissata dal comma 5 è ridotto della metà |
Comma 7 (Disciplina di cui ai commi 5 e 6 e giudizi pendenti) | – quanto statuito nei due commi precedenti trova applicazione rispetto a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, con la specificazione per cui, in riferimento a questi ultimi, e ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale in- tegrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 del c.p.c. |