«Rinvio pregiudiziale – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore –
Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione) 12 gennaio 2023 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore –
Articolo 4, paragrafo 2 – Valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali – Esclusione delle clausole relative all’oggetto principale del contratto – Clausola che prevede il pagamento di onorari di avvocato secondo il principio della tariffa oraria – Articolo 6, paragrafo 1 – Poteri del giudice nazionale in presenza di una clausola qualificata come “abusiva”»
Nella causa C‑395/21,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Lietuvos Aukščiausiasis Teismas (Corte suprema di Lituania), con decisione del 23 giugno 2021, pervenuta in cancelleria il 28 giugno 2021, nel procedimento
D.V.
contro
M.A.,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta da C. Lycourgos, presidente di sezione, L.S. Rossi, J.-C. Bonichot, S. Rodin e O. Spineanu- Matei (relatrice), giudici,
avvocato generale: M. Szpunar cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate:
– per D.V., da A. Kakoškina, advokatė;
– per il governo lituano, da K. Dieninis, S. Grigonis e V. Kazlauskaitė-Švenčionienė, in qualità di agenti;
– per il governo tedesco, da J. Möller, U. Bartl e M. Hellmann, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da J. Jokubauskaitė e N. Ruiz García, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 settembre 2022, ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, dell’articolo 4, paragrafo 2, dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva
93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29), come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011 (GU 2011, L 304, pag. 64) (in prosieguo: la «direttiva 93/13»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra D.V., avvocato, e M.A., suo cliente.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13:
«Una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».
4 L’articolo 4 di tale direttiva stabilisce quanto segue:
«1. Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.
2. La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».
5 Ai sensi dell’articolo 5 della direttiva in parola:
«Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. (...)».
6 L’articolo 6, paragrafo 1, della medesima direttiva così dispone:
«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
7 L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede quanto segue:
«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».
8 L’articolo 8 di tale direttiva è così formulato:
«Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato [FUE], per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».
Diritto lituano
Codice civile
9 Sotto il titolo «Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori», l’articolo 6.2284 del Lietuvos Respublikos civilinio kodekso patvirtinimo, įsigaliojimo ir įgyvendinimo įstatymas Nr. VIII‑1864 (legge n. VIII‑1864, sull’approvazione, l’entrata in vigore e l’attuazione del codice civile lituano), del 18 luglio 2000 (Žin., 2000, n. 74-2262), nella sua versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «codice civile»), recepisce nel diritto nazionale la direttiva 93/13. Ai sensi di tale articolo:
«(...)
2. Sono dichiarate abusive le clausole dei contratti stipulati con i consumatori che non sono state oggetto di negoziato individuale tra le parti e mediante le quali l’equilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti è stato di fatto leso a danno del consumatore a causa della violazione del requisito della buona fede.
(...)
6. Ogni clausola scritta di un contratto stipulato con i consumatori deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile. Le clausole contrarie a tale obbligo sono considerate abusive.
7. Le clausole che definiscono l’oggetto del contratto stipulato con i consumatori nonché quelle connesse alla perequazione tra un bene venduto o un servizio fornito e il rispettivo prezzo non devono essere valutate sotto il profilo del carattere abusivo, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile.
8. Nel caso in cui il giudice dichiari una o più clausole contrattuali abusive, tale o tali clausole sono nulle a decorrere dalla conclusione del contratto, ma le restanti clausole del contratto rimangono vincolanti per le parti, qualora sia possibile proseguire l’adempimento del contratto dopo la dichiarazione di nullità delle clausole abusive».
Legge n. IX-2066, relativa alla professione di avvocato
10 L’articolo 50 del Lietuvos Respublikos advokatūros įstatymas Nr. IX-2066 (legge n. IX-2066, relativa alla professione di avvocato), del 18 marzo 2004 (Žin., 2004, n. 50-1632), intitolato «Compenso per i servizi legali forniti da un avvocato», stabilisce quanto segue:
«1. I clienti versano all’avvocato gli onorari pattuiti contrattualmente per i servizi legali forniti ai sensi del contratto.
(...)
3. Nel determinare l’ammontare del compenso dovuto all’avvocato per la prestazione di servizi legali, si deve tenere conto della complessità della causa, delle qualifiche e dell’esperienza professionale dell’avvocato, della situazione finanziaria del cliente e di altre circostanze rilevanti».
Ordinanza del 2 aprile 2004
11 Il Lietuvos Respublikos teisingumo ministro įsakymas Nr. 1R-85 „Dėl Rekomendacijų dėl civilinėse bylose priteistino užmokesčio už advokato ar advokato padėjėjo teikiamą teisinę pagalbą (paslaugas) maksimalaus dydžio patvirtinimo“ (ordinanza del Ministro della giustizia della Repubblica di Lituania
n. 1R-85, relativa all’approvazione delle linee guida sull’importo massimo degli onorari da liquidare nelle cause civili per l’assistenza legale – prestazione di servizi – da parte dell’avvocato o del praticante avvocato), del 2 aprile 2004 (Žin., 2004, n. 54-1845), nella sua versione applicabile dal 20 marzo 2015 (in prosieguo: l’«ordinanza del 2 aprile 2004»), ha stabilito le raccomandazioni sull’importo massimo per la prestazione di servizi legali da parte dell’avvocato o del praticante avvocato nelle cause civili. Le raccomandazioni in parola sono state approvate dall’Ordine forense lituano, il 26 marzo 2004, e costituiscono il fondamento per l’applicazione delle norme del codice di procedura civile che disciplinano la liquidazione delle spese.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
12 M.A., in qualità di consumatore, nel periodo compreso tra l’11 aprile e il 29 agosto 2018 ha stipulato cinque contratti di prestazione di servizi legali a titolo oneroso con D.V., nella sua qualità di avvocato, e in particolare, l’11 aprile 2018, due contratti riguardanti cause civili vertenti, rispettivamente, sulla comunione di beni nonché sulla residenza di figli minori, sulle modalità di visita e sulla fissazione degli alimenti, il 12 aprile e l’8 maggio 2018, due contratti riguardanti la rappresentanza di M.A. dinanzi alla stazione di polizia e alla procura del distretto di Kaunas (Lituania) e, il 29 agosto 2018, un contratto avente ad oggetto la difesa degli interessi di M.A. nell’ambito di un procedimento di divorzio.
13 Ai sensi dell’articolo 1 di ciascuno di tali contratti, l’avvocato si impegnava a fornire consulenze legali orali e/o per iscritto, a preparare bozze di atti giuridici, a effettuare studi giuridici degli atti e a rappresentare il cliente dinanzi a diverse entità, compiendo gli atti connessi.
14 In ciascuno di detti contratti, gli onorari erano fissati in un importo di EUR 100 «per ogni ora di consulenza o di prestazione di servizi legali al cliente» (in prosieguo: la «clausola relativa al prezzo»). I contratti prevedevano che «una parte degli onorari indicati (...) fosse dovuta immediatamente, su presentazione, da parte dell’avvocato, di una fattura per servizi legali, tenendo conto delle ore di consulenza o di prestazione di servizi legali effettuate» (in prosieguo: la «clausola relativa alle modalità di pagamento»).
15 Inoltre, M.A. ha versato somme a titolo di acconto sugli onorari per un importo complessivo di EUR 5 600.
16 D.V. ha fornito servizi legali tra l’aprile e il dicembre 2018 nonché dal gennaio al marzo 2019 e, il 21 e il 26 marzo 2019, ha emesso fatture per tutti i servizi forniti.
17 Non avendo ricevuto la totalità degli onorari reclamati, il 10 aprile 2019 D.V. ha adito il Kauno apylinkės teismas (Tribunale distrettuale di Kaunas, Lituania) chiedendo la condanna di M.A. al pagamento di un importo di EUR 9 900 a titolo di prestazioni legali effettuate e di EUR 194,30 a titolo di spese sostenute nell’ambito dell’adempimento dei contratti, oltre agli interessi annui pari al 5% delle somme dovute, calcolati a decorrere dalla data di proposizione del ricorso e fino all’esecuzione della sentenza.
18 Con decisione del 5 marzo 2020, tale giudice ha parzialmente accolto la domanda di D.V. Esso ha ritenuto che, in base ai contratti stipulati, fossero stati forniti servizi legali per un importo complessivo di EUR 12 900. Detto giudice ha tuttavia dichiarato che le clausole relative al prezzo di tutti e cinque i contratti erano abusive e ha ridotto della metà gli onorari reclamati, fissandoli in EUR 6 450. Pertanto, il Kauno apylinkės teismas (Tribunale distrettuale di Kaunas) ha condannato M.A. al pagamento di un importo di EUR 1 044,33, tenendo conto della somma che era già stata versata, maggiorato degli interessi annui al tasso del 5%, calcolati a partire dalla proposizione del ricorso e fino all’esecuzione della sentenza, e di un importo di EUR 12 a titolo di spese. D.V. è stato condannato a versare a M.A. EUR 360 a titolo di spese.
19 L’appello proposto da D.V., il 30 aprile 2020, avverso tale decisione è stato respinto con ordinanza del 15 giugno 2020 del Kauno apygardos teismas (Tribunale regionale di Kaunas, Lituania).
20 Il 10 settembre 2020 D.V. ha proposto ricorso per cassazione avverso detta ordinanza dinanzi al Lietuvos Aukščiausiasis Teismas (Corte suprema di Lituania), giudice del rinvio.
21 Tale giudice si interroga, in sostanza, su due problematiche riguardanti, la prima, l’obbligo di trasparenza delle clausole vertenti sull’oggetto principale dei contratti di prestazione di servizi legali e, la seconda, gli effetti dell’accertamento del carattere abusivo di una clausola che fissa il prezzo di detti servizi.
22 Per quanto riguarda la prima delle problematiche in parola, detto giudice esamina, da un lato, la questione se una clausola di un contratto di prestazione di servizi legali, che non sia stata oggetto di negoziato individuale e che verta sul prezzo di tali servizi e sulle sue modalità di calcolo, come la
clausola relativa al prezzo, rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.
23 Ritenendo che così avvenga nel caso di specie, il giudice del rinvio si interroga, dall’altro lato, sull’obbligo di trasparenza che una clausola vertente sull’oggetto principale del contratto deve soddisfare al fine di sottrarsi alla valutazione del suo carattere abusivo. Al riguardo, detto giudice sostiene che, sebbene la clausola relativa al prezzo sia formulata in modo chiaro da un punto di vista grammaticale, è lecito dubitare che essa sia comprensibile, poiché il consumatore medio non è in grado di comprenderne le conseguenze economiche, anche tenendo conto delle altre clausole dei contratti di cui trattasi, in particolare della clausola relativa alle modalità di pagamento, che non prevede né la presentazione da parte dell’avvocato di relazioni concernenti i servizi forniti, né la periodicità del pagamento di questi ultimi.
24 Orbene, detto giudice ricorda che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, le informazioni, prima della conclusione di un contratto, in merito alle condizioni contrattuali e alle conseguenze di detta conclusione sono, per un consumatore, di fondamentale importanza, poiché è segnatamente in base a tali informazioni che quest’ultimo decide se desidera vincolarsi alle condizioni preventivamente redatte dal professionista (sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 44).
25 Pur riconoscendo la natura specifica dei contratti di cui trattasi nel procedimento principale e la difficoltà di prevedere il numero di ore necessarie per fornire servizi legali, il giudice del rinvio si chiede se sia ragionevolmente possibile esigere che un professionista specifichi un prezzo indicativo per i servizi in parola e se tale informazione debba figurare in contratti del genere. Esso si chiede altresì se la mancanza di informazioni precontrattuali potesse essere compensata nel corso dell’esecuzione dei suddetti contratti e se la circostanza che il prezzo diventi certo solo dopo l’attività di rappresentanza svolta dall’avvocato in una determinata causa potesse costituire un elemento utile nell’ambito di tale analisi.
26 Per quanto riguarda la seconda delle problematiche in parola, detto giudice precisa che l’articolo 6.2284, paragrafo 6, del codice civile prevede una protezione più elevata di quella garantita dalla direttiva 93/13, dato che la mancanza di trasparenza di una clausola contrattuale è sufficiente perché essa sia dichiarata abusiva, senza che si debba procedere al suo esame sotto il profilo dell’articolo 3, paragrafo 1, della citata direttiva. Il giudice si interroga, pertanto, sugli effetti che il diritto dell’Unione ricollega all’accertamento del carattere abusivo di una clausola.
27 Al riguardo, il giudice del rinvio afferma che l’invalidazione della clausola relativa al prezzo dovrebbe comportare la nullità dei contratti di prestazione di servizi legali e il ripristino della situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato se tali clausole non fossero mai esistite. Orbene, nel caso di specie, ciò condurrebbe a un arricchimento ingiustificato del consumatore e a una situazione ingiusta nei confronti del professionista che ha integralmente fornito tali prestazioni di servizi. Detto giudice si chiede inoltre se un’eventuale riduzione della tariffa di dette prestazioni pregiudichi l’effetto deterrente perseguito dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13.
28 In tale contesto il Lietuvos Aukščiausiasis Teismas (Corte suprema di Lituania) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che l’espressione “oggetto principale del contratto” ricomprende una clausola, che non sia stata oggetto di negoziato individuale e che figuri in un contratto di servizi legali concluso tra un professionista (avvocato) e un consumatore, avente ad oggetto il costo e le modalità di calcolo dello stesso.
2) Se il riferimento di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 alla chiarezza e alla comprensibilità di una clausola contrattuale debba essere interpretato nel senso che è sufficiente precisare, nella clausola contrattuale relativa al costo (che fissa il costo delle prestazioni effettivamente eseguite sulla base di una tariffa oraria), l’importo del compenso orario dovuto all’avvocato.
3) In caso di risposta negativa alla seconda questione, se l’obbligo di trasparenza debba essere interpretato nel senso che esso include l’obbligo per l’avvocato di indicare nel contratto il costo di prestazioni le cui tariffe specifiche possano essere chiaramente definite e specificate anticipatamente, oppure se sia necessario specificare anche un costo indicativo delle prestazioni (un preventivo dei compensi per i servizi legali forniti), qualora sia impossibile prevedere il numero (o la durata) di azioni specifiche, e il relativo compenso, al momento della conclusione del contratto, e gli eventuali rischi comportanti un aumento o una diminuzione del costo. Se, per valutare la conformità all’obbligo di trasparenza della clausola contrattuale relativa al costo, sia rilevante il fatto che le informazioni relative al costo dei servizi legali e alle modalità di calcolo dello stesso siano fornite al consumatore con qualsiasi mezzo appropriato o siano indicate nel contratto stesso di servizi legali. Se una mancanza di informazione nei rapporti precontrattuali possa essere compensata da informazioni fornite nel corso dell’adempimento del contratto. Se sulla valutazione della conformità della clausola contrattuale all’obbligo di trasparenza incida il fatto che il costo finale dei servizi legali forniti diventa chiaro solo dopo la cessazione della loro fornitura. Se sia rilevante, nell’ambito della valutazione della conformità all’obbligo di trasparenza della clausola contrattuale relativa al costo, il fatto che il contratto non preveda relazioni periodiche dell’avvocato concernenti le prestazioni fornite o la presentazione periodica di fatture al consumatore, che consentirebbero al consumatore di decidere in tempo utile sul rifiuto di servizi legali o sulla modifica del corrispettivo contrattuale.
4) Qualora il giudice nazionale dichiari che la clausola contrattuale che stabilisce il costo dei servizi effettivamente forniti sulla base di una tariffa oraria non è formulata in modo chiaro e comprensibile, come richiesto dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, se esso debba esaminare se tale clausola sia abusiva ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva (vale a dire che in sede di esame del carattere eventualmente abusivo della clausola contrattuale occorre verificare se tale clausola determini un “significativo squilibrio” dei diritti e degli obblighi delle parti del contratto, a danno del consumatore) oppure se (...) tenendo conto del fatto che tale clausola riguarda informazioni essenziali ai sensi del contratto, il mero fatto che la clausola relativa al costo sia non trasparente sia sufficiente per ritenerla abusiva.
5) Se il fatto che, quando la clausola contrattuale relativa ai costi è stata dichiarata abusiva, il contratto di servizi legali non sia vincolante, come indicato all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, implichi la necessità di ripristinare la situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza della clausola di cui è stato accertato il carattere abusivo. Se il ripristino di tale situazione implichi che il consumatore non ha l’obbligo di pagare i servizi già forniti.
6) Se, qualora la natura di un contratto di prestazione di servizi a titolo oneroso renda impossibile il ripristino della situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di una clausola dichiarata abusiva (i servizi sono stati già forniti), la fissazione di un compenso per i servizi forniti dall’avvocato sia contraria all’obiettivo dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13. In caso di risposta negativa a tale questione, se l’equilibrio reale mediante il quale si ristabilisce la parità delle parti del contratto si possa ottenere: i) allorché l’avvocato sia pagato per i servizi prestati alla tariffa oraria indicata nel contratto; ii) allorché all’avvocato sia pagato il corrispettivo minimo per i servizi legali (ad esempio, quello indicato in un atto normativo nazionale, in particolare raccomandazioni sull’importo massimo del compenso per l’assistenza fornita da un avvocato); iii) allorché all’avvocato sia pagato un importo ragionevole per i suoi servizi [in base a un livello] determinato dal giudice, tenuto conto della complessità della causa, delle qualifiche e dell’esperienza dell’avvocato, della situazione finanziaria del cliente e di altre circostanze pertinenti».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
29 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che rientra nell’«oggetto principale del contratto», ai sensi di tale disposizione, la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un
avvocato e un consumatore, clausola che non sia stata oggetto di negoziato individuale e che fissi il prezzo dei servizi forniti secondo il principio della tariffa oraria.
30 A tal proposito, occorre ricordare che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 sancisce un’eccezione al meccanismo di controllo nel merito delle clausole abusive quale previsto nell’ambito del sistema di tutela dei consumatori attuato da tale direttiva e che, pertanto, occorre fornire un’interpretazione restrittiva della disposizione in parola. Peraltro, l’espressione «oggetto principale del contratto», di cui a detta disposizione, deve di norma essere oggetto nell’intera Unione europea di un’interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto di tale disposizione e della finalità perseguita dalla normativa di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 34 nonché giurisprudenza ivi citata).
31 Per quanto riguarda la categoria delle clausole contrattuali rientranti nella nozione di «oggetto principale del contratto», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la Corte ha statuito che tali clausole devono intendersi come quelle che fissano le prestazioni essenziali del contratto stesso e che, come tali, lo caratterizzano. Per contro, le clausole che rivestono un carattere accessorio rispetto a quelle che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale non possono rientrare in tale nozione di «oggetto principale del contratto» [v., in particolare, sentenze del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punti 35 e 36, nonché del 22 settembre 2022, Vicente (Azione per il pagamento degli onorari di avvocato), C‑335/21, EU:C:2022:720, punto 78].
32 Nel caso di specie, la clausola relativa al prezzo riguarda il compenso per i servizi legali, stabilito secondo una tariffa oraria. Una clausola del genere, che determina l’obbligo del mandante di pagare gli onorari dell’avvocato e specifica la tariffa di questi ultimi, fa parte delle clausole che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale, essendo tale rapporto proprio caratterizzato dalla fornitura dietro compenso di servizi legali. Detta clausola rientra, di conseguenza, nell’«oggetto principale del contratto», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. La sua valutazione può, inoltre, vertere «sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi (...) che devono essere forniti in cambio, dall’altro», ai sensi di detta disposizione.
33 Tale interpretazione vale indipendentemente dal fatto, menzionato dal giudice del rinvio nella sua prima questione pregiudiziale, che detta clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale. Infatti, quando una clausola contrattuale fa parte di quelle che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale, ciò vale tanto nell’ipotesi in cui tale clausola sia stata oggetto di negoziato individuale quanto in quella in cui un siffatto negoziato non abbia avuto luogo.
34 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi il prezzo dei servizi forniti secondo il principio della tariffa oraria.
Sulle questioni seconda e terza
35 Con le questioni seconda e terza, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che soddisfa l’obbligo di formulazione chiara e comprensibile, ai sensi di tale disposizione, la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi il prezzo di tali servizi secondo il principio della tariffa oraria, senza contenere altre precisazioni o informazioni oltre alla tariffa oraria praticata. In caso di risposta negativa, il giudice del rinvio chiede quali siano le informazioni da comunicare al consumatore nella situazione in cui risulti impossibile prevedere il numero effettivo di ore necessarie per fornire i servizi oggetto di tale contratto e se la mancanza di informazioni del genere nell’ambito del rapporto precontrattuale possa essere compensata nel corso dell’adempimento di detto contratto.
36 Per quanto riguarda, in primo luogo, la portata dell’obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali, quale risulta dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la Corte ha sottolineato che tale obbligo, contenuto anche nell’articolo 5 della direttiva in parola, non può essere limitato unicamente al carattere comprensibile sui piani formale e grammaticale di tali clausole, ma, al contrario, poiché il sistema di
tutela istituito da detta direttiva si fonda sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda, in particolare, il livello di informazione, tale obbligo di redazione chiara e comprensibile delle clausole contrattuali e, pertanto, di trasparenza, posto dalla medesima direttiva, deve essere inteso estensivamente (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punti 46 e 50 nonché giurisprudenza ivi citata).
37 Il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile va pertanto inteso nel senso che impone che il contratto esponga in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo al quale si riferisce la clausola in parola nonché, se del caso, il rapporto fra tale meccanismo e quello prescritto da altre clausole, di modo che tale consumatore sia posto in grado di valutare, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano (sentenze del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 45 nonché del 16 luglio 2020, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, C‑224/19 e C‑259/19, EU:C:2020:578, punto 67 nonché giurisprudenza ivi citata).
38 Di conseguenza, l’esame della questione se una clausola come quella di cui trattasi nel procedimento principale sia «chiara e comprensibile», ai sensi della direttiva 93/13, deve essere effettuato dal giudice nazionale alla luce di tutti gli elementi di fatto pertinenti. Più in particolare, spetta a tale giudice verificare, tenendo conto delle circostanze della conclusione del contratto, se sia stato comunicato al consumatore il complesso degli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno, che gli consentano di valutare le conseguenze finanziarie di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).
39 Per quanto riguarda, in secondo luogo, il momento in cui tali elementi devono essere portati a conoscenza del consumatore, la Corte ha dichiarato che la comunicazione, prima della conclusione del contratto, delle informazioni in merito alle condizioni contrattuali ed alle conseguenze di detta conclusione, sono, per un consumatore, di fondamentale importanza. È segnatamente in base a tali informazioni che quest’ultimo decide se desidera vincolarsi alle condizioni preventivamente redatte dal professionista (sentenza del 9 luglio 2020, Ibercaja Banco, C‑452/18, EU:C:2020:536, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).
40 Nel caso di specie, occorre osservare che, come precisato dal giudice del rinvio, la clausola relativa al prezzo si limita a specificare che gli onorari che il professionista deve percepire ammontano a EUR 100 per ogni ora di servizi legali forniti. Un siffatto meccanismo di fissazione del prezzo non consente, in mancanza di qualsiasi altra informazione fornita dal professionista, a un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, di valutare le conseguenze finanziarie derivanti da tale clausola, ossia l’importo complessivo da pagare per detti servizi.
41 Certamente, tenuto conto della natura dei servizi oggetto di un contratto di prestazione di servizi legali, è spesso difficile, se non impossibile, per il professionista prevedere, sin dalla conclusione del contratto, il numero esatto di ore necessarie per fornire servizi del genere e, di conseguenza, il costo totale effettivo di questi ultimi.
42 Peraltro, la Corte ha dichiarato che il rispetto da parte di un professionista del requisito di trasparenza di cui all’articolo 4, paragrafo 2, e all’articolo 5 della direttiva 93/13 deve essere valutato con riferimento agli elementi di cui tale professionista disponeva al momento della conclusione del contratto che ha stipulato con il consumatore (sentenza del 9 luglio 2020, Ibercaja Banco, C‑452/18, EU:C:2020:536, punto 49).
43 Tuttavia, se è vero che non si può esigere che il professionista informi il consumatore riguardo alle conseguenze finanziarie finali del suo impegno, che dipendono da eventi futuri, imprevedibili e indipendenti dalla volontà di detto professionista, ciò non toglie che le informazioni che egli è tenuto a comunicare prima della conclusione del contratto debbano consentire al consumatore di prendere la sua decisione con prudenza e con piena cognizione, da un lato, della possibilità che siffatti eventi si verifichino e, dall’altro, delle conseguenze che essi potrebbero comportare per quanto riguarda la durata della prestazione di servizi legali di cui trattasi.
44 Le informazioni in parola, che possono variare in funzione, da un lato, dell’oggetto e della natura delle prestazioni previste nel contratto di servizi legali e, dall’altro, delle regole professionali e deontologiche applicabili, devono contenere indicazioni che consentano al consumatore di valutare il costo totale approssimativo dei servizi di cui trattasi. Tali sarebbero una stima del numero prevedibile o minimo di ore necessarie per fornire un determinato servizio, oppure un impegno a inviare, ad intervalli ragionevoli, fatture o relazioni periodiche che indichino il numero di ore di lavoro svolte. Spetta al giudice nazionale, come ricordato al punto 38 della presente sentenza, valutare, tenendo conto di tutte le pertinenti circostanze della conclusione di tale contratto, se le informazioni comunicate dal professionista prima della conclusione del contratto abbiano consentito al consumatore di prendere la sua decisione con prudenza e con piena cognizione delle conseguenze finanziarie derivanti dalla conclusione di detto contratto.
45 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni seconda e terza dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che non soddisfa l’obbligo di formulazione chiara e comprensibile, ai sensi di tale disposizione, la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi il prezzo di tali servizi secondo il principio della tariffa oraria senza che siano comunicate al consumatore, prima della conclusione del contratto, informazioni che gli consentano di prendere la sua decisione con prudenza e piena cognizione delle conseguenze economiche derivanti dalla conclusione di tale contratto.
Sulla quarta questione
46 Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi, secondo il principio della tariffa oraria, il prezzo di tali servizi e che rientri, pertanto, nell’oggetto principale di detto contratto, debba essere considerata abusiva per il solo fatto che essa non soddisfa l’obbligo di trasparenza di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva in parola.
47 Al riguardo, va ricordato che la Corte ha dichiarato, per quanto concerne l’articolo 5 della direttiva 93/13, che il carattere trasparente di una clausola contrattuale costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione nell’ambito dell’esame del carattere abusivo di tale clausola, valutazione che deve essere svolta dal giudice nazionale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva in parola. Nell’ambito di tale esame, detto giudice è tenuto a valutare, alla luce di tutte le circostanze della controversia, in un primo momento, la possibile violazione del requisito della buona fede e, in un secondo momento, la sussistenza di un eventuale significativo squilibrio a danno del consumatore, ai sensi di tale ultima disposizione (sentenza del 3 ottobre 2019, Kiss e CIB Bank, C‑621/17, EU:C:2019:820, punto 49 nonché giurisprudenza ivi citata).
48 Come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 36 della presente sentenza, l’obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali ha la stessa portata ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 e ai sensi dell’articolo 5 di quest’ultima (v. altresì, in tal senso, sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 69). Pertanto, non occorre trattare in modo diverso le conseguenze della mancanza di trasparenza di una clausola contrattuale a seconda che quest’ultima riguardi l’oggetto principale del contratto o un altro aspetto di quest’ultimo.
49 Se è vero che dalla giurisprudenza ricordata al punto 47 della presente sentenza risulta che l’esame del carattere abusivo di una clausola di un contratto stipulato con un consumatore si fonda, in linea di principio, su una valutazione complessiva che non tiene conto unicamente dell’eventuale mancanza di trasparenza di tale clausola, va nondimeno rilevato che agli Stati membri è consentito garantire, conformemente all’articolo 8 della direttiva 93/13, un livello di protezione più elevato per i consumatori.
50 Nel caso di specie, come risulta dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni presentate dal governo lituano, la Repubblica di Lituania ha scelto di garantire un livello di protezione più elevato, atteso che l’articolo 6.2284, paragrafo 6, del codice civile dispone che le clausole contrarie all’obbligo di trasparenza sono considerate abusive.
51 Poiché gli Stati membri restano liberi di prevedere, nel loro diritto interno, un livello di protezione del genere, la direttiva 93/13, pur senza esigere che la mancanza di trasparenza di una clausola di un contratto stipulato con un consumatore comporti automaticamente l’accertamento del suo carattere abusivo, non osta a che una siffatta conseguenza derivi dal diritto nazionale.
52 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi, secondo il principio della tariffa oraria, il prezzo di tali servizi e che rientri, pertanto, nell’oggetto principale di detto contratto, non deve essere considerata abusiva per il solo fatto che non soddisfa l’obbligo di trasparenza di cui all’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva, a meno che lo Stato membro il cui diritto nazionale si applica al contratto di cui trattasi abbia espressamente previsto, conformemente all’articolo 8 di detta direttiva, che la qualificazione come «clausola abusiva» discenda da questo solo fatto.
Sulle questioni quinta e sesta
53 Con le sue questioni quinta e sesta, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che, qualora un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore non possa sussistere dopo la soppressione di una clausola dichiarata abusiva che fissa il prezzo dei servizi secondo il principio della tariffa oraria, e tali servizi siano già stati forniti, essi ostano a che il giudice nazionale decida di ripristinare la situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola, anche quando ciò comporti che il professionista non percepisca alcun compenso per i suoi servizi, o a che esso sostituisca detta clausola con una disposizione di diritto nazionale relativa alla tariffa massima del compenso per l’assistenza fornita dall’avvocato oppure con una sua propria stima del livello di compenso che esso ritiene ragionevole per i servizi in parola.
54 Al fine di rispondere a tali questioni, occorre ricordare che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, l’accertamento del carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto deve consentire di ripristinare, per il consumatore, la situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato in mancanza di tale clausola abusiva (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2018, Sziber, C‑483/16, EU:C:2018:367, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
55 In forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, spetta al giudice nazionale disapplicare le clausole abusive, affinché esse non producano effetti vincolanti nei confronti del consumatore, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. Tuttavia, il contratto deve sussistere, in linea di principio, senz’altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile (sentenza del 25 novembre 2020, Banca B., C‑269/19, EU:C:2020:954, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
56 Nell’ipotesi in cui un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore non possa sussistere successivamente alla soppressione di una clausola abusiva, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non osta a che il giudice nazionale, in applicazione di principi del diritto contrattuale, sopprima la clausola abusiva sostituendola con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva in situazioni in cui dichiarare invalida la clausola abusiva obbligherebbe il giudice ad annullare il contratto nella sua interezza, esponendo in tal modo il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, sicché quest’ultimo ne sarebbe penalizzato (sentenza del 25 novembre 2020, Banca B., C‑269/19, EU:C:2020:954, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
57 Nel caso di specie, il giudice del rinvio si interroga sulle conseguenze da trarre dall’eventuale accertamento del carattere abusivo della clausola relativa al prezzo. Tale giudice ritiene, da un lato, che i contratti di cui trattasi nel procedimento principale non possano sussistere in assenza di tale clausola e, dall’altro, che la situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di detta clausola non possa essere ripristinata, dato che quest’ultimo ha beneficiato dei servizi legali previsti in detti contratti.
https://curia.europa.eu/juris/document/document_print.jsf?mode=DOC&pageIndex=2&docid=269150&part=1&doclang=IT&text=&dir=&occ=firs… 10/13
58 Al riguardo, occorre osservare che, come risulta dalla giurisprudenza citata ai punti da 54 a 56 della presente sentenza, l’accertamento del carattere abusivo della clausola relativa al prezzo comporta l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicarla, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. Il ripristino della situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola si traduce in linea di principio, anche nel caso in cui i servizi siano stati forniti, nella sua esenzione dall’obbligo di pagare gli onorari stabiliti sulla base di detta clausola.
59 Pertanto, nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio ritenesse che, in applicazione delle pertinenti disposizioni di diritto interno, i contratti non possano sussistere dopo la soppressione della clausola relativa al prezzo, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non osta all’invalidazione di questi ultimi, anche quando ciò comporti che il professionista non percepisca alcun compenso per i suoi servizi.
60 È solo nell’ipotesi in cui l’invalidazione dei contratti nella loro interezza esponga il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, cosicché quest’ultimo ne risulterebbe penalizzato, che il giudice del rinvio dispone della possibilità eccezionale di sostituire una clausola abusiva dichiarata nulla con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva o applicabile in caso di accordo tra le parti del contratto di cui trattasi.
61 Per quanto concerne le conseguenze che la dichiarazione di nullità dei contratti di cui trattasi nel procedimento principale potrebbe comportare per il consumatore, si deve osservare che, nel caso di un contratto di mutuo, la Corte ha dichiarato che una dichiarazione di nullità del contratto nella sua interezza renderebbe in linea di principio immediatamente esigibile l’importo residuo dovuto a titolo del mutuo in proporzioni che potrebbero eccedere le capacità finanziarie del consumatore e potrebbe comportare conseguenze particolarmente dannose per quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 63 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, il carattere particolarmente dannoso della dichiarazione di nullità di un contratto non si riduce unicamente alle conseguenze di natura puramente pecuniaria.
62 Infatti, come sostenuto dall’avvocato generale ai paragrafi 74 e 76 delle sue conclusioni, non è escluso che la dichiarazione di nullità di un contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi legali che siano già stati forniti possa porre il consumatore in una situazione di incertezza giuridica, in particolare nell’ipotesi in cui il diritto nazionale consenta al professionista di reclamare un compenso per tali servizi su un fondamento diverso da quello del contratto dichiarato nullo. Inoltre, anche in funzione del diritto nazionale applicabile, l’invalidità del contratto potrebbe eventualmente incidere sulla validità e sull’efficacia degli atti compiuti in forza del contratto medesimo.
63 Di conseguenza, ove, alla luce delle considerazioni che precedono, il giudice del rinvio constati che la dichiarazione di nullità dei contratti di cui trattasi nella loro interezza comporterebbe conseguenze particolarmente dannose per il consumatore, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non osta a che tale giudice sostituisca la clausola relativa al prezzo con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva o applicabile in caso di accordo tra le parti di detti contratti. Occorre, tuttavia, che una siffatta disposizione sia applicabile specificamente ai contratti conclusi tra un professionista e un consumatore e non abbia una portata talmente generica che la sua applicazione equivarrebbe a consentire, in sostanza, al giudice nazionale di fissare, sulla base di una sua propria stima, il compenso dovuto per i servizi forniti [v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2022, D.B.P. e a. (Mutuo ipotecario espresso in valute estere), da C‑80/21 a C‑82/21, EU:C:2022:646, punti 76 e 77 nonché giurisprudenza ivi citata].
64 Sempreché l’ordinanza del 2 aprile 2004, menzionata nella decisione di rinvio, contenga una siffatta disposizione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, tale ordinanza potrebbe essere impiegata per sostituire la clausola relativa al prezzo con un compenso fissato dal giudice.
65 Per contro, il giudice del rinvio non può integrare i contratti di cui trattasi nel procedimento principale con una sua propria stima relativa a un livello di compenso che ritiene ragionevole per i servizi forniti.
66 Infatti, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, qualora il giudice nazionale accerti la nullità di una clausola abusiva in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, tale giudice non
può integrare il contratto rivedendo il contenuto di tale clausola (sentenza del 25 novembre 2020, Banca B., C‑269/19, EU:C:2020:954, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).
67 Al riguardo, la Corte ha rilevato che, se il giudice nazionale potesse rivedere il contenuto delle clausole abusive contenute in un simile contratto, una facoltà del genere potrebbe compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine di cui all’articolo 7 della direttiva 93/13. Tale facoltà contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice disapplicazione nei confronti del consumatore di siffatte clausole abusive, dal momento che essi rimarrebbero tentati di utilizzare le clausole stesse, consapevoli che, quand’anche esse fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale, in modo tale, quindi, da garantire l’interesse di detti professionisti (sentenza del 18 novembre 2021, A. S.A., C‑212/20, EU:C:2021:934, punto 69 nonché giurisprudenza ivi citata).
68 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni quinta e sesta dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che, qualora un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore non possa sussistere dopo la soppressione di una clausola dichiarata abusiva che fissi il prezzo dei servizi secondo il principio della tariffa oraria, e tali servizi siano già stati forniti, essi non ostano a che il giudice nazionale ripristini la situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola, anche quando ciò comporti che il professionista non percepisca alcun compenso per i suoi servizi. Nell’ipotesi in cui l’invalidazione del contratto nella sua interezza esponga il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, tali disposizioni non ostano a che il giudice nazionale sani la nullità di detta clausola sostituendola con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva o applicabile in caso di accordo tra le parti di detto contratto. Per contro, tali disposizioni ostano a che il giudice nazionale sostituisca la clausola abusiva dichiarata nulla con una stima giudiziaria del livello del compenso dovuto per detti servizi.
Sulle spese
69 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
1) L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011,
deve essere interpretato nel senso che:
rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi il prezzo dei servizi forniti secondo il principio della tariffa oraria.
2) L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83, deve essere interpretato nel senso che:
non soddisfa l’obbligo di formulazione chiara e comprensibile, ai sensi di tale disposizione, la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi il prezzo di tali servizi secondo il principio della tariffa oraria senza che siano comunicate al consumatore, prima della conclusione del contratto, informazioni che gli consentano di prendere la sua decisione con prudenza e piena cognizione delle conseguenze economiche derivanti dalla conclusione di tale contratto.
3) L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83, deve essere interpretato nel senso che:
la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi, secondo il principio della tariffa oraria, il prezzo di tali servizi e che rientri, pertanto, nell’oggetto principale di detto contratto, non deve essere considerata abusiva per il solo fatto che non soddisfa l’obbligo di trasparenza di cui all’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva, come modificata, a meno che lo Stato membro il cui diritto nazionale si applica al contratto di cui trattasi abbia espressamente previsto, conformemente all’articolo 8 di detta direttiva, come modificata, che la qualificazione come clausola abusiva discenda da questo solo fatto.
4) L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83,
devono essere interpretati nel senso che:
qualora un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore non possa sussistere dopo la soppressione di una clausola dichiarata abusiva che fissi il prezzo dei servizi secondo il principio della tariffa oraria, e tali servizi siano già stati forniti, essi non ostano a che il giudice nazionale ripristini la situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola, anche quando ciò comporti che il professionista non percepisca alcun compenso per i suoi servizi. Nell’ipotesi in cui l’invalidazione del contratto nella sua interezza esponga il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, tali disposizioni non ostano a che il giudice nazionale sani la nullità di detta clausola sostituendola con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva o applicabile in caso di accordo tra le parti di detto contratto. Per contro, tali disposizioni ostano a che il giudice nazionale sostituisca la clausola abusiva dichiarata nulla con una stima giudiziaria del livello del compenso dovuto per detti servizi.
Firme
* Lingua processuale: il lituano.