Partecipazioni sociali
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Società
Partecipazioni sociali
Le pattuizioni di co-vendita quali limiti alla circolazione di azioni
e quote
di Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx
La prassi operativa delle operazioni societarie mostra la relativa frequenza con cui le parti pattuiscono clau- sole limitative della circolazione di azioni e quote. Fra le numerose tecniche contrattuali a tal fine utilizzate spiccano le clausole di co-vendita, nella forma di clausola che prevede l’obbligo di co-vendita e nella forma - meno invadente - di clausola che prevede il diritto di co-vendita. Anche i notai sono chiamati con frequenza a occuparsi di tali pattuizioni, tutte le volte che esse devono essere inserite nello statuto di una società esi- stente o di nuova costituzione. Il Consiglio notarile di Milano si è pronunciato, seppure con alcuni distinguo, in favore della legittimità di dette clausole e le questioni giuridiche da esse poste sono giunte all’attenzione della giurisprudenza di merito, segnatamente per quanto concerne le condizioni per l’inserimento in statuto e la necessità di un’equa valorizzazione della partecipazione co-venduta.
1. Osservazioni introduttive
In questo scritto analizziamo le caratteristiche e i principali problemi giuridici posti dalle clausole di co-vendita di partecipazioni sociali. Dette clausole possono essere concordate fra due soli soci (tipica- mente sotto forma di patto parasociale, vincolante solo per i soci stipulanti (1)) oppure fra una plurali- tà di soci oppure anche fra tutti i soci (quest’ultimo caso si verifica, tipicamente, quando la clausola è contenuta nello statuto, vincolante per chiunque faccia parte - o entri a far parte - della compagine so- ciale). Nel corso dell’esposizione, per semplificare, faremo riferimento prevalente all’ipotesi in cui l’ac- cordo interessa due soli soci, dei quali - generalmen- te - uno è socio di maggioranza, l’altro di minoranza. In via del tutto preliminare sono necessarie alcune precisazioni terminologiche, in quanto non esiste una definizione normativa espressa di clausola di co-ven- dita di cui avvalersi (né esiste una disciplina specifica di dette clausole). Provando a dare una prima defini- zione, si può affermare che, con la clausola che preve- de l’obbligo di co-vendita (detta anche “clausola di trascinamento”, detta anche in inglese “drag-along”), i soci concordano che, nel caso in cui uno di essi in- tenderà vendere la propria partecipazione, il primo socio potrà obbligare il secondo socio a vendere con- testualmente al medesimo terzo acquirente anche la sua partecipazione a condizioni predefinite (2). Con
la clausola che prevede il diritto di co-vendita (detta anche “clausola di co-vendita” senza ulteriori specifi- cazioni, detta anche in inglese “tag-along”), i soci con- cordano che, nel caso in cui uno di essi intenderà vendere la propria partecipazione, il primo socio deve consentire al secondo socio di vendere contestual- mente al medesimo terzo acquirente anche la sua par- tecipazione a condizioni predefinite (3).
La differenza fondamentale è che nel primo caso vi è
Note:
(1) Sulla disciplina dei patti parasociali cfr. in particolare i volumi di V. V. Chionna, La pubblicità dei patti parasociali, Milano, 2008;
D. Proverbio, I patti parasociali, Milano, 2010; X. Xxxx, Patti pa- rasociali e gestione delle banche, Milano, 2010; X. Xxxxxx, I pat- ti parasociali nelle s.p.a. e nelle s.r.l., Milano, 2011; X. Xxxxx, Pat- ti parasociali e governance nel mercato finanziario, Bari, 2005.
(2) In tema di clausola di trascinamento di partecipazioni sociali cfr. la recentissima monografia di P. Divizia, Le clausole di tag e drag along, Assago, 2013. V. inoltre X. Xxxxxxxx, Fra “mercato” e “società”: a proposito di venture capital e drag-along, in Dir. ban- ca merc. fin., 2011, 23 ss.; X. xx Xxxx, Validità delle clausole di trascinamento (“drag-along”), in Banca borsa tit. cred., 2009, I, 174 ss.; X. Xxxxxxxxxx, L’obbligo di co-vendita statutario (drag- along): il socio obbligato ha davvero bisogno di tutela?, in Riv. dir. soc., 2010, 375 ss.; X. Xxxxxxx, La natura e la validità della clau- sola di drag along, in Riv. dir. comm., 2010, II, 124 ss.; X. Xxxxxxx- ni e X. Xxxxxxx, Clausole di drag along e limiti all’autonomia pri- vata nelle società chiuse, in Riv. dir. comm., 2010, I, 949 ss.
(3) In tema di diritto di co-vendita di partecipazioni sociali cfr. in particolare, da ultimo, C. Di Bitonto, Diritto statutario di covendi- ta (“tag-along”) collegato al cambio di controllo e vendita della nuda proprietà di azioni, in Società, 2013, 773 ss.
un obbligo del socio (tipicamente di minoranza) di co-vendere, mentre nel secondo caso vi è una mera facoltà del socio (anche qui tipicamente di mino- ranza) di co-vendere. Ambedue le clausole riguarda- no peraltro la medesima fattispecie, nel senso di co- vendita di due o più partecipazioni (4).
È curioso osservare come alle clausole di co-vendita ci si riferisca nel linguaggio degli addetti ai lavori preferibilmente con espressioni in lingua inglese, con l’effetto paradossale che le traduzioni in italiano sono perfino meno conosciute delle versioni origi- nali. L’inglese viene utilizzato in quanto si tratta di strumenti di limitazione della circolazione delle par- tecipazioni che trovano la propria origine nelle tec- niche contrattuali sviluppate negli ordinamenti giu- ridici anglosassoni. Avvalendosi della divertente espressione coniata da acuta dottrina (5), si può per- tanto affermare che le clausole di co-vendita sono “clausole aliene”, provenienti almeno originaria- mente da altri ordinamenti, con le quali peraltro il nostro sistema giuridico deve confrontarsi, in quan- to non necessariamente una qualsiasi prassi contrat- tuale proveniente dall’estero è conforme ai principi del nostro ordinamento. Va, al contrario, effettuata una valutazione caso per caso, in particolare alla lu- ce delle disposizioni cogenti del nostro diritto socie- tario. Come vedremo nel prosieguo, la giurispruden- za degli ultimi anni ha avuto alcune occasioni di oc- cuparsi delle clausole di co-vendita e di sindacarne la validità sotto alcuni aspetti (in particolare in rela- zione alla possibilità d’inserimento a maggioranza negli statuti e alla necessità di equa valorizzazione della partecipazione co-venduta).
Si occupano con frequenza delle clausole di co-ven- dita gli avvocati specializzati in diritto societario (6). Finiscono però con l’occuparsi delle clausole di co-vendita, se inserite in statuto, anche i notai che assistono le parti nelle operazioni societarie. Non è allora un caso che le clausole statutarie disciplinan- ti il diritto e l’obbligo di co-vendita delle partecipa- zioni siano state oggetto di una massima del Consi- glio notarile di Milano, che analizzeremo in detta- glio nel prosieguo (7).
Le clausole di co-vendita di partecipazioni sociali sono trattate relativamente poco in dottrina e in giurisprudenza, anche se - negli ultimi anni - alcuni interventi giurisprudenziali hanno riacceso l’inte- resse per questa tematica. La scarsa attenzione della dottrina è probabilmente dovuta anche al fatto che si tratta di clausole create dalla prassi, senza che esi- stano delle disposizioni che disciplinino in modo specifico dette pattuizioni. Così come avviene in al- tri settori del diritto (si pensi alla creazione di stru-
menti finanziari sofisticati nell’area del diritto del- l’intermediazione finanziaria), anche nel campo del diritto societario gli operatori hanno creato, utilizza- to e progressivamente affinato delle clausole che ri- spondono ad alcuni interessi delle parti coinvolte nelle operazioni, che necessitano però di essere va- gliate rispetto alla loro conformità con le regole esi- stenti di diritto societario nonché con i principi ge- nerali dell’ordinamento giuridico.
Le clausole di co-vendita riguardano la futura ces- sione delle partecipazioni sociali. Più precisamente, esse mirano a coordinare la futura vendita di più partecipazioni. Essendo ciascun socio titolare della propria partecipazione, ed essendo le partecipazioni in linea di principio liberamente cedibili, ciascuno di essi può procedere a vendere la propria a terzi, senza renderne conto agli altri soci. Per diverse ra- gioni l’obiettivo dei soci nel momento in cui entra- no nella compagine sociale può, però, essere quello di connettere la futura vendita dell’uno alla futura vendita dell’altro. A questo fine sono state sviluppa-
Note:
(4) Bene fa pertanto C. X’Xxxxxxxxxx, Xxxxx di “co-vendita” (tag along e drag along), in Riv. dir. civ., 2010, II, 373 ss., a intitolare il suo contributo “co-vendita”, ricomprendendovi sia la clausola di tag-along sia quella di drag-along.
(5) X. Xx Xxxx, Il contratto alieno, Torino, 2008.
(6) Le clausole di co-vendita sono frequenti nel contesto delle operazioni di acquisizione. Sul contratto di cessione/acquisizione di partecipazioni sociali cfr. i volumi di AA.VV., Acquisizioni di so- cietà e di pacchetti azionari di riferimento, a cura di X. Xxxxxxx e
X. Xx Xxxxx, Milano, 1990; AA.VV., I contratti di acquisizione di società ed aziende, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, Milano, 2007; AA.VV., Le acquisizioni societarie, a cura di X. Xxxxxx, Tori- no, 2011; G. De Nova, Il Sale and Purchase Agreement: un con- tratto commentato, Torino, 2011; X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e G. Li- mido, Acquisizioni di aziende e partecipazioni, 3a ed., Assago, 2010; X. Xxxxxx, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, Milano, 1995; X. Xxxx, Il contratto di acquisizione di partecipazio- ni azionarie, Milano, 2007. V. inoltre X. Xxxxxxx, Cessione di quo- te: efficacia, opponibilità ed esercizio dei diritti sociali, in Società, 2008, 229 ss.; X. Xxxxxxx, Osservazioni in tema di vendita della partecipazione sociale, in Giur. comm., 2008, II, 954 ss.; X. Xxxxx Xxxxxxxx, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’ac- quirente, in Riv. not., 2005, II, 156 ss.; X. Xxxxxx, L’applicazione analogica del divieto di concorrenza alle cessioni di partecipazio- ni sociali, in Società, 2012, 506 ss.; X. Xxxxxxx, Disciplina dei tra- sferimenti di quote di s.r.l. e delle cessioni d’azienda, in Riv. soc., 1993, 959 ss.; X. Xxxxx, Le controversie relative alle cessioni e acquisizioni di partecipazioni societarie e le azioni esperibili, in Riv. dir. proc., 2007, 547 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, in questa Rivi- sta, 2012, 203 ss.; X. Xxxxxx, Presupposizione ed equilibrio con- trattuale nella cessione di partecipazione sociale, in Giust. civ., 2010, II, 395 ss.; X. Xxxx, Trasferimento di partecipazioni societa- rie: risoluzione del contratto per mancanza di qualità, aliud pro alio e annullamento del contratto per dolo, in Banca borsa tit. cred., 2009, II, 565 ss.
(7) Consiglio notarile di Milano, Massima n. 88: clausole statuta- rie disciplinanti il diritto e l’obbligo di “covendita” delle parteci- pazioni, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
te dalla prassi clausole di vario genere che limitano, nell’interesse reciproco o quantomeno di una delle parti, la libera circolazione delle partecipazioni.
Proprio in quanto riguardanti la futura circolazione delle partecipazioni sociali, le clausole di co-vendita vanno considerate in parallelo alle altre possibili pattuizioni che riguardano la medesima tematica (8). Nella opzione di acquisto (l’usuale espressione inglese è: call), un primo socio si riserva - a certe condizioni - il diritto di acquistare la partecipazione sociale di un secondo socio. Nella opzione di vendi- ta (in inglese: put), un primo socio si riserva - a cer- te condizioni - il diritto di vendere la propria parte- cipazione sociale a un secondo socio (9). La diffe- renza fra le clausole di co-vendita, da un lato, e le opzioni di acquisto e di vendita, dall’altro, è che nel primo caso la cessione delle azioni o delle quote vie- ne effettuata a un terzo, mentre nel secondo caso viene effettuata a un socio.
In questo articolo ci occupiamo delle clausole di co- vendita nella s.p.a. e nella s.r.l., trattandosi dei tipi societari nei quali è più frequente la previsione di dette clausole anche perché sono i tipi destinati allo svolgimento delle attività imprenditoriali di mag- gior rilievo.
Per comprendere gli interventi giurisprudenziali e le posizioni dottrinali in materia di clausole di co-ven- dita, va altresì premessa una fondamentale distinzio- ne in merito alla “collocazione” di tali pattuizioni. Segnatamente le clausole possono essere contenute negli statuti delle società oppure in patti parasociali conclusi fra alcuni soci. Quando le clausole di co- vendita sono contenute negli statuti, sono assogget- tate alle disposizioni che regolano gli statuti, in par- ticolare per quanto riguarda il loro inserimento. Le clausole statutarie sono inoltre vincolanti per tutti i soci, anche per quelli che entrano a far parte della compagine sociale dopo la costituzione della società. Vanno tenute distinte dalla clausole statutarie di co- vendita, le clausole aventi il medesimo oggetto che si collocano però al di fuori dello statuto e che sono pattuite fra due o più soci: dette clausole non sono assoggettate alla disciplina prevista per le modifiche statutarie e solo vincolanti solo per i soci che le sot- toscrivono (non per tutta la compagine sociale).
2. Le finalità perseguite dalle clausole di co-vendita
La pattuizione di clausole di co-vendita presuppone talvolta (ma non sempre) un rapporto fiduciario fra coloro che sottoscrivono tali clausole. In forza di ta- le relazione, i soci non sono disponibili a separare le loro vicende societarie: se la partecipazione dell’uno
verrà venduta, dovrà essere venduta anche quella dell’altro (o quantomeno dovrà essere offerta all’al- tro la possibilità di co-vendere). Ad esempio può trattarsi di soci legati da rapporti familiari o di ami- cizia, i quali desiderano connettere i futuri destini delle due partecipazioni. In questo contesto, senza riflettere per ora sul diritto di prelazione (sul quale torneremo più avanti), si pensi al fatto che se un so- cio decidesse di vendere la propria partecipazione a un terzo e all’altro socio fosse precluso di co-vende- re, quest’ultimo si troverebbe nella compagine so- ciale un nuovo socio in ipotesi - per le più diverse ra- gioni - sgradito. La clausola di co-vendita può essere strutturata anche nel senso che il diritto/l’obbligo di co-vendere scatta quando muta la maggioranza del- la società. In presenza di una pluralità di soci, può capitare che solo alcuni di essi vengono contattati dal potenziale acquirente. Se il pacchetto oggetto di compravendita supera il 50% del capitale, a seguito del perfezionamento dell’operazione i soci che non hanno partecipato alla medesima si trovano in so- cietà un nuovo socio di maggioranza, che è in con- dizioni di determinare la futura vita sociale. Una clausola di co-vendita può far sì, collegando i desti- ni delle partecipazioni, che tale esito non si verifi- chi, riconoscendo a tutti i soci (o ad alcuni di essi) il diritto di co-vendere nel caso in cui stia per essere ceduto un pacchetto che garantisce al compratore la maggioranza.
Dal punto di vista formale la legge favorisce la libe- ra circolazione delle partecipazioni. Nella s.r.l. si prevede in particolare che le partecipazioni sono li- beramente trasferibili, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo (art. 2469, comma 1, c.c.). Si- milmente si stabilisce nel contesto della s.p.a.: il passaggio secondo cui lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il trasferimento delle azioni
Note:
(8) Per uno sguardo d’insieme sulle diverse pattuizioni fra soci concernenti la circolazione delle partecipazioni sociali cfr. X. Xxxxxxx, I patti parasociali (in caso di acquisti parziali). Le pattui- zioni che riguardano i soci: le clausole di put and call, drag along e tag along; le clausole in tema di stallo decisionale (deadlock- breaking provisions), in Le acquisizioni societarie, a cura di M. Ir- xxxx, Xxxxxx, 0000, 429 ss.
(9) Sulle opzioni di acquisto e di vendita di partecipazioni sociali cfr. X. Xxxxxx, Clausole di “opzione” su quote e divieto dei patti successori, in Società, 2010, 799 ss.; F. Delfini, Opzioni “put” con prezzo determinato “a consuntivo”, arbitraggio della parte e nullità, in Giur. comm., 2012, II, 739 ss.; X. Xxxxxxxxx, Contratti di put e call option, mutamento delle circostanze per regolazione del mercato ed eccessiva onerosità, in Rass. dir. civ., 2007, 1151 ss.; P. A. Xxxxxx, Nullità di una clausola contrattuale “put” e di- vieto di patto leonino, in Nuovo dir. soc., 2012, fasc. 14, 100 ss.;
M. M. Xxxxxxxx, Rinnovo di patti parasociali e opzioni put & call, in
Giur. comm., 2010, I, 931 ss.
(art. 2355-bis, comma 1, c.c.) presuppone la regola della libera circolazione delle azioni. A fronte del principio di libera circolazione delle partecipazioni sociali, le clausole di co-vendita fissano invece delle limitazioni. Sarebbe peraltro frettoloso ritenere che l’obiettivo finale di chi pattuisce delle clausole di co-vendita sia quello di ostacolare la cessione di azioni e quote; al contrario, il fine perseguito è ge- neralmente quello di facilitare la loro circolazione. La clausole di co-vendita servono soprattutto a evi- tare che una delle due partecipazioni interessate - se considerata singolarmente - non riesca a essere ven- duta. Esse servono altresì a garantire un migliore ri- torno economico in caso di vendita congiunta delle partecipazioni rispetto a quanto succederebbe se le partecipazioni venissero cedute singolarmente.
Se formalmente le partecipazioni sociali sono libera- mente trasferibili, dal punto di vista pratico non è sempre facile venderle sul mercato. Anzitutto la scelta del tipo societario influisce sulla facilità di cessione delle partecipazioni. Nelle società quotate è astrattamente facile cedere le azioni, sussistendo un mercato preposto alla loro negoziazione. Tale mercato fissa il prezzo delle azioni e facilita l’incon- tro fra gli attuali azionisti e i potenziali compratori. Negli altri tipi societari manca invece un mercato ufficiale delle partecipazioni sociali, così che l’azio- nista di s.p.a. o il quotista di s.r.l. che voglia cedere i propri titoli deve sforzarsi di trovare un acquirente, con il quale dovranno essere avviate delle trattative. La maggiore o minore importanza riconosciuta alla futura cedibilità della partecipazione sociale è anche elemento soggettivo, dipendendo dalla natura del- l’acquirente e dagli obiettivi che questi persegue. In linea di principio i compratori di azioni e quote si possono, notoriamente, distinguere fra industriali e finanziari. Gli acquirenti industriali sono interessati al tipo di prodotto realizzato dalla società e confida- no, in seguito all’acquisto, di trarre sinergie che con- sentano di migliorare i risultati operativi. Gli acqui- renti finanziari non sono invece interessati, almeno direttamente, ai prodotti realizzati e mirano invece a trarre il massimo vantaggio economico possibile dal- la futura rivendita della partecipazione sociale (10). Come emerge da questa basilare distinzione, l’obiet- tivo dell’investitore finanziario (diversamente da quello industriale) non è la conservazione nel lungo termine, ma la vendita - prima o poi - della parteci- pazione. Nella prassi, a seconda dei casi si ipotizza - tipicamente - di conservare le azioni o quote per un periodo variabile fra i tre e i sette anni circa. Nel corso di questo periodo l’investitore finanziario in- terviene massicciamente e a diverso titolo nella ge-
stione della società, ad esempio mediante la nomina di amministratori, al fine di incrementare la redditi- vità e il valore delle azioni o quote. Così facendo, dalla futura cessione sarà possibile garantirsi una si- gnificativa plusvalenza rispetto al prezzo di acquisto, che è l’obiettivo economico finale cui punta l’inve- stitore finanziario. Questi insomma pone al centro della propria attenzione il futuro disinvestimento della partecipazione. Essendo allora la futura cedibi- lità della partecipazione di fondamentale importan- za, il socio finanziario insisterà per l’adozione di ap- posite clausole che facilitino, nella misura massima possibile, la dismissione a tempo debito delle azioni o quote. Tali clausole possono essere inserite nello statuto della società di nuova costituzione con la quale si effettua l’investimento oppure essere inseri- te nello statuto della società già esistente di cui si chiede la modifica in occasione dell’operazione d’in- vestimento. In alternativa, le clausole concernenti il disinvestimento possono essere oggetto di patti parasociali fra i soci interessati.
Un’altra distinzione fondamentale che si riflette sul- la facilità di cessione delle partecipazioni è se si trat- ta di pacchetto di maggioranza o di minoranza. Al riguardo bisogna distinguere fra il profilo economico (dei costi dell’operazione) e quello amministrativo (dei diritti che vengono conseguiti con l’acquisto). Dal punto di vista economico la partecipazione di maggioranza è più difficilmente cedibile, nel senso che l’acquirente deve pagare un prezzo più elevato per conseguirla. Tale prezzo più elevato dipende, da un lato, dal fatto ovvio che chi acquista la maggio- ranza delle azioni deve pagare un prezzo proporzio- nale a esse. Da un altro lato, tuttavia, il prezzo più elevato dipende anche dal fatto che chi cede un pacchetto di maggioranza mira a ottenere un premio aggiuntivo rispetto al valore in sé della partecipazio- ne, proprio per il fatto di cedere un quantitativo di titoli che consente di gestire in autonomia la socie- tà. Dal punto di vista dei diritti amministrativi, in- vece, è più facile cedere una partecipazione di mag- gioranza, in quanto detta partecipazione - diversa- mente da quella di minoranza - consente di gestire in autonomia la società e dunque, sotto questo pro- filo, risulta più appetibile per l’acquirente.
La distinzione che si è tracciata è ovviamente basi- lare, e - nella prassi - si possono presentare situazio- ni diverse e ben più complesse. Ad esempio non è
Nota:
(10) Per un inquadramento delle diverse tipologie di investitori fi- nanziari cfr. C. Di Bitonto, Diritto statutario di covendita (“tag- along”), cit., 779 s.
raro che i soci finanziari acquistino solo una percen- tuale di minoranza della società, al fine di limitare il complessivo esborso dovuto. Grazie tuttavia a pat- tuizioni di vario genere, la partecipazione di mino- ranza consente, se non di gestire in piena autonomia la società, quantomeno di avere una significativa in- fluenza sulle vicende sociali. Si tratta della circo- stanza, ricorrente nelle acquisizioni, della negozia- zione di un patto sociale o parasociale che consente al socio acquirente di avere un ragionevole quantum d’influenza sulla società. Fra le pattuizioni significa- tive oggetto di trattative rientrano anche quelle che garantiscono l’uscita, possibilmente facile e ben re- munerata, dalla società. Il socio di minoranza, so- prattutto se investitore finanziario, deve avere la ra- gionevole certezza di poter rivendere a tempo debito la propria partecipazione, traendone un guadagno (massimo possibile). A questo fine, non potendo avere ex ante la certezza di trovare un acquirente, può quanto meno pattuire una clausola che impone all’altro socio di comprare (opzione di vendita); al- trimenti può essere previsto un diritto/obbligo di co- vendere.
Tale diversa facilità di circolazione delle partecipa- zioni, rispettivamente di maggioranza e di minoran- za spiega la previsione - negli statuti oppure nei pat- ti parasociali - di clausole di co-vendita: esse mirano a facilitare la futura cessione. L’obbligo di co-vendi- ta è posto nell’interesse di uno dei soci, frequente- mente quello di maggioranza. Questi, nel momento in cui intende vendere la propria partecipazione, non ha in linea di principio problemi a cederla, in quanto il soggetto che la compra si trova ad avere nella società la maggioranza e può dunque esercitare tutti i poteri che derivano dal detenere la maggio- ranza. Tuttavia, il nuovo potenziale acquirente della
partecipazione come se possedesse la maggioranza. La situazione tipica potrebbe essere quella di un pri- mo socio che possiede il 40% del capitale, di un se- condo socio che possiede il 20% del capitale e di al- tri soci con quote inferiori. Se il primo socio inten- de cedere la propria partecipazione, questa potrebbe risultare non sufficientemente attraente per il po- tenziale acquirente, non consegnandogli la maggio- ranza assoluta. Ecco che una clausola di co-vendita, collegando i destini delle due principali partecipa- zioni, favorisce la futura cessione.
3. Il rapporto con il diritto di prelazione
Nell’analizzare le procedure che portano alla co- vendita di una partecipazione non va dimenticato che la clausola di co-vendita può convivere con la clausola di prelazione e si tratta allora di coordinare l’esercizio dei diritti riconosciuti da dette pattuizioni (11). La clausola di co-vendita è destinata a discipli- nare la circostanza che uno dei soci (o più soci) in- tenda vendere a un terzo la propria partecipazione (12): si tratta della medesima situazione rilevante per l’operatività della clausola di prelazione. In forza di quest’ultima clausola il socio che intende cedere a terzi la propria partecipazione deve prima offrirla in acquisto agli altri soci. La differenza fondamentale fra la clausola di prelazione e quella di co-vendita ri- siede nella persona dell’acquirente: nel primo caso si tratta di un altro socio (socio attuale), nel secondo caso di un soggetto attualmente estraneo alla com- pagine sociale (socio futuro).
Alcune precisazioni vanno effettuate sulla figura del terzo acquirente. Anzitutto nulla vieta che “il” terzo acquirente sia, in realtà, rappresentato da una plura- lità di soggetti. Si può immaginare il caso di un ter-
partecipazione potrebbe essere interessato ad acqui-
sire non solo la maggioranza ma l’intero capitale so- ciale, in quanto - con il possesso del 100% - elimina in toto la presenza di minoranze e i diritti che questi possono esercitare. Per il socio di maggioranza po- trebbe in altre parole risultare più facile cedere la propria partecipazione se anche il socio di minoran- za è costretto a co-cedere al medesimo acquirente la propria. Si tratta dell’obiettivo che è perseguito dal- la clausola di trascinamento.
L’esempio fatto (di cessione del 100% del capitale) è la situazione più semplice, anche se si tratta della fattispecie più costosa per l’acquirente, costretto a comprare l’intero capitale. Una clausola di trascina- mento può risultare utile anche nel diverso caso in cui uno dei soci non possiede da solo la maggioranza assoluta, ma vuole garantirsi la facile cedibilità della
Note:
(11) Sulle clausole di prelazione nella cessione di partecipazioni sociali cfr., sotto vari profili, C. Di Bitonto, Abolizione del libro so- ci e cessione di partecipazioni in violazione della clausola statu- taria di prelazione, in Società, 2011, 1268 ss.; F. Xxxx’Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx di prelazione e cessione di partecipazioni sociali inseri- ta nei patti di separazione consensuale dei coniugi, in Giur. comm., 2011, 440 ss.; X. Xxxxxxxxx, Questioni aperte in tema di prelazione statutaria, in Giur. comm., 2011, I, 828 ss.; X. Xxxxxxxx, La prelazione nei trasferimenti fiduciari, in Società, 2008, 856 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, Limiti interpretativi e applicativi della clauso- la di prelazione in caso di permuta di partecipazioni sociali, in Giur. comm., 2010, II, 628 ss.
(12) In linea generale il socio è libero di vendere a un terzo anche solo una parte della propria partecipazione. La clausola di co-ven- dita dovrebbe pertanto opportunamente indicare se il diritto o l’obbligo di co-vendita sussiste solo in caso di cessione dell’inte- ra partecipazione oppure anche in caso di cessione di una frazio- ne della partecipazione. Normalmente, come detto, la pattuizio- ne opererà nei casi in cui la cessione implica un mutamento del controllo della società.
zo acquirente costituito da più persone fisiche facen- ti parte della medesima famiglia che intendono rile- vare un’attività industriale o commerciale oppure da più società facenti però parte di un unico gruppo. In linea di principio, rispetto alla tutela delle posizioni dei due soci, è indifferente che vi sia un unico po- tenziale acquirente oppure una pluralità di acqui- renti, se ciò non altera le condizioni economiche dell’offerta. Una clausola di co-vendita ben struttu- rata dovrebbe opportunamente indicare se la clauso- la opera anche nel caso in cui vi sia una pluralità di potenziali compratori.
Più delicata è la questione se il c.d. “terzo” acquiren- te sia realmente terzo. Il riferimento è alla possibili- tà che, dietro il terzo, si celi in realtà il socio di mag- gioranza. La combinazione di una clausola di prela- zione e di una clausola di co-vendita può portare a fenomeni di abuso da parte del socio di maggioran- za. La situazione può in particolare verificarsi in se- de di denuntiatio, laddove il socio di maggioranza ometta di rivelare il nominativo del terzo interessa- to all’acquisto. A questo riguardo le clausole statuta- rie che prevedono il diritto di prelazione e il diritto di co-vendita dovrebbero stabilire che la comunica- zione al secondo socio dell’intenzione del terzo di comprare comprenda anche l’indicazione del nomi- nativo del potenziale acquirente.
In caso di convivenza della clausola di prelazione con quella di co-vendita, nello statuto deve essere opportunamente previsto che l’obbligo di co-vendi- ta al terzo scatta solo nel caso in cui il socio interes- xxxx non intenda/non possa esercitare il diritto di prelazione. Ovviamente, il rilievo pratico della clau- sola di prelazione dipende molto dalle capacità fi- nanziarie del beneficiario. Se, difatti, il soggetto che intende procedere alla vendita a un terzo della par- tecipazione è il socio di maggioranza, è meno proba- bile che il socio di minoranza disponga dei mezzi fi- nanziari per esercitare la prelazione su un pacchetto così consistente. Se il socio minoritario non riceve tutela a mezzo del diritto di prelazione (non avendo i mezzi finanziari per affrontare l’acquisto), può però ricevere una diversa tutela a mezzo del diritto di co- vendita: pur non potendo comprare la quota di mag- gioranza, può almeno co-vendere la sua quota di mi- noranza e non si trova esposto al rischio di rimanere “intrappolato” in una società della quale cambia il controllo e in cui entra un nuovo socio in ipotesi non gradito.
La giurisprudenza ha avvicinato la clausola di trasci- namento a un’opzione di acquisto subordinata al mancato esercizio del diritto di prelazione. Più pre- cisamente il Tribunale di Milano ha affermato che la
clausola statutaria che prevede l’obbligo di co-ven- dita deve essere ricostruita come la concessione da parte del socio di minoranza al socio di maggioranza di un’opzione call a favore di terzo sulla partecipazio- ne di minoranza, sospensivamente condizionata al fatto che il socio di maggioranza riceva un’offerta di acquisto dell’intero capitale sociale e che il socio di minoranza non intenda esercitare il diritto di prela- zione sulla quota di maggioranza (13).
Esaurita la procedura di prelazione, se il diritto di comprare la partecipazione non è stato esercitato dal socio di minoranza (ad esempio per mancanza di fondi), questi perde il diritto di prelazione, e si dovrà esperirà la procedura di co-vendita.
4. La procedura di co-vendita
Trovato il terzo acquirente, il socio cedente potreb- be violare il diritto di co-vendita dell’altro socio e procedere da solo alla vendita al terzo. Si tratta di una situazione patologica e compito del giurista è chiedersi quali siano le conseguenze di un compor- tamento del genere. Le conseguenze sono diverse a seconda che la clausola di co-vendita sia contenuta nello statuto o solo in un patto parasociale. Nel pri- mo caso, la clausola ha effetti reali: il contratto di cessione azionaria concluso in violazione del diritto di co-vendita è valido ed efficace fra le parti, ma è inopponibile alla società, con la conseguenza che il terzo acquirente non può esercitare i diritti sociali (14). Nel diverso caso in cui il diritto di co-vendita sia previsto solo in un patto parasociale, il compor- tamento scorretto del cedente non avrebbe effetti nei confronti della società e comporterebbe solo l’obbligo del socio cedente di risarcire il danno pati- to dall’altro socio.
Tralasciando però i casi-limite e tornando all’analisi della situazione fisiologica di corretto svolgimento della procedura di co-vendita, questa prevede tipica- mente che - una volta che è stato trovato il terzo ac- quirente - il socio cedente deve comunicare all’altro socio (che gode del diritto di co-vendita o che è as- soggettato all’obbligo di co-vendita) il fatto che è stato trovato un accordo di massima con il terzo in
Note:
(13) Trib. Milano 31 marzo 2008, ord. Il precedente è uno dei po- chi in materia di clausole di co-vendita ed è pertanto stato pub- blicato in diverse riviste, in particolare in Giur. comm., 2009, II, 1029 ss., con nota di X. Xxxxxxxx; in Giur. it., 2009, 381 ss., con nota di X. Xxxxxxxx; in Riv. dir. comm., 2010, II, 113 ss., con nota di X. Xxxxxxx; in Riv. dir. soc., 2010, 370 ss., con nota di X. Xxxxxxxxxx; in Società, 2008, 1373 ss., con nota di C. Di Biton- to.
(14) In questo senso C. Di Bitonto, Diritto statutario di covendita (“tag-along”), cit., 785.
merito alla cessione. Si tratta del meccanismo, co- mune alla prelazione, della denuntiatio. Dal punto di vista formale, anche per ragioni probatorie, è oppor- tuno prevedere che la comunicazione avvenga a mezzo lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. Dal punto di vista sostanziale la denuntiatio deve ri- portare i termini essenziali dell’accordo di massima intercorso con il terzo: fra detti termini rientra so- prattutto il prezzo che il terzo è pronto a pagare per la partecipazione del socio (approfondiremo la que- stione centrale del prezzo più avanti).
La clausola di co-vendita deve poi prevedere un ter- mine, congruo, entro il quale il secondo socio - rice- vuta la denuntiatio - può dichiarare di esercitare il di- ritto di co-vendere. Nella prassi sono usuali termini di durata variabile fra i 15 e i 45 giorni. Un termine ragionevole deve essere concesso, in quanto la scel- ta di co-vendere è di fondamentale importanza per il secondo socio, che - a seguito dell’esercizio di tale diritto - perde addirittura la qualità di socio. La de- cisione se vendere o non vendere è influenzata da numerosi fattori, il più importante dei quali è certa- mente il prezzo offerto dal terzo, fattori che necessi- tano di un certo tempo per essere valutati in tutte le loro caratteristiche. In particolare, laddove il prezzo offerto dal terzo venisse reputato non congruo dal socio di minoranza, questi dovrebbe avere il tempo d’incaricare degli esperti di effettuare una valutazio- ne del valore di mercato della partecipazione. È al- tresì ipotizzabile, anche se risulterebbe sotto questo profilo incompleto, un patto di co-vendita che non preveda alcun termine per l’accettazione dell’offerta del terzo. In assenza di tale termine, l’intera opera- zione rischia però di sfumare: il terzo potenziale compratore, una volta raggiunto un accordo di mas- sima con il primo socio, non sarà di norma disponi- bile ad attendere lungo tempo prima di avere il con- senso del secondo socio.
Di norma comunque, entro il termine previsto, il se- condo socio comunicherà le proprie intenzioni in merito alla co-vendita. Anche per la comunicazione del secondo socio è preferibile prevedere l’esercizio in forma scritta mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno.
Cerchiamo ora di distinguere le varie situazioni che si possono realizzare nella prassi, a seconda delle condotte poste in essere dal secondo socio, separan- do il diritto di co-vendita dall’obbligo di co-vendita. La prima fattispecie di cui occuparsi è quella in cui il secondo socio ha un diritto di co-vendita: il socio
a rilevare anche la partecipazione di minoranza. Va in particolare tenuto presente che l’acquisto aggiun- tivo della partecipazione di minoranza comporta un esborso economico maggiore rispetto al mero acqui- sto della partecipazione di maggioranza, esborso che il terzo potrebbe non essere in grado di oppure non voler affrontare. Può pertanto capitare che la pre- senza di un diritto di co-vendita, invece di facilitare, renda più difficile la cessione della partecipazione sociale. Se il terzo si rifiuta di acquistare la parteci- pazione del secondo socio, può essere fatta valere la responsabilità civile del primo socio, che ha formal- mente concesso il diritto di co-vendere, ma nei fatti non è riuscito ad assicurare il risultato promesso. La concessione del diritto di co-vendere va difatti qua- lificata come promessa del fatto del terzo, con con- seguente applicazione dell’art. 1381 c.c.: colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto di un terzo è te- nuto a indennizzare l’altro contraente, se il terzo ri- fiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso. Vi è poi il caso di non adesione del secondo socio al- la proposta di co-vendita del primo socio. Detta mancata adesione può realizzarsi in forma espressa (nel senso che il socio comunica espressamente per iscritto che non lo esercita) oppure in forma tacita (nel senso che il socio lascia decorrere il termine previsto per l’esercizio). L’effetto di tale mancato esercizio è che il primo socio non ha più ostacoli al- la vendita e può cedere liberamente la propria parte- cipazione al terzo.
La seconda fattispecie di cui occuparsi è quella in cui il secondo socio ha un obbligo di co-vendere.
Se il secondo socio si determina liberamente a co- vendere e non contesta il prezzo di cessione (che ri- sulta di suo gradimento), non si pone alcun proble- ma: l’operazione viene realizzata con soddisfazione di tutti gli interessati.
Nel caso di obbligo di co-vendita, potrebbe tutta- via succedere che il socio obbligato a co-vendere non presti il consenso alla vendita della propria partecipazione al terzo. In questo caso il socio di maggioranza, titolare del potere di costringere il socio di minoranza a co-vendere, può adire l’auto- xxxx giudiziaria per vedere condannato il secondo socio a cedere la sua partecipazione. Il socio di mi- noranza che rifiuta di co-vendere viola un obbligo di contrarre con il terzo acquirente. In caso d’inos- servanza di tale obbligo sarà in particolare possibi- le ottenere una sentenza costitutiva ex art. 2932
c.c. (15).
può aderire o non aderire alla proposta di co-vendita.
Nel caso di adesione alla proposta, il problema prin- cipale è che il terzo potrebbe non essere interessato
Nota:
(15) Così Trib. Milano 31 marzo 2008, ord., cit.
5. Il problema della maggioranza
per l’inserimento in statuto della clausola di trascinamento
Ci siamo finora occupati in modo abbastanza parita- rio di tutte le clausole di co-vendita di partecipazio- ni sociali, sia di quelle che attribuiscono un diritto di co-vendita al secondo socio sia di quelle che im- pongono al medesimo una situazione di soggezione (obbligo di co-vendere). Va però evidenziato come, dal punto di vista della tenuta giuridica, siano certa- mente più problematiche le seconde clausole rispet- to alle prime, in quanto limitano significativamente l’altrui sfera di libertà. Nel caso di concessione del diritto di co-vendere, tutto sommato la posizione del secondo socio, invece di indebolirsi, si rafforza. Il se- condo socio difatti beneficia di tutti i comuni diritti che gli spettano in quanto socio e, in aggiunta, gode di una facilitazione nella cessione della propria par- tecipazione, potendola co-cedere insieme a quella del socio di maggioranza. Una volta che si realizza la situazione descritta nella clausola (ossia quando il primo socio ha trovato un acquirente), il secondo socio ha una mera facoltà: può liberamente decidere di vendere oppure di non vendere. La clausola rela- tiva al diritto di co-vendere non presenta pertanto particolari problemi dal punto di vista del secondo socio e la sua validità è fuori discussione (16).
Decisamente diversa è la situazione che si verifica
nel caso di obbligo di co-vendere. Tale obbligo col- loca il secondo socio in una posizione di soggezione e lo obbliga a porre fine “forzatamente” al suo status di socio. La clausola non è automaticamente valida e sia il suo inserimento in contratto sia le sue moda- lità concrete di esercizio debbono essere vagliate e possono dare luogo a criticità. Nel prosieguo dovre- mo pertanto soffermarci su alcuni aspetti problema- tici posti dalle clausole di trascinamento.
Nel contesto delle operazioni societarie è del tutto
comune la pattuizione di clausole di co-vendita. Mentre nelle operazioni di acquisizione e cessione prevale però la comune volontà delle parti (vi è in- somma un “accordo” in senso tecnico fra le parti), le più significative problematiche in merito alla validi- tà di tali clausole si pongono quando esse vengono deliberate e inserite in statuto a maggioranza (e, dunque, senza il consenso del socio di minoranza in- teressato). Uno dei principali problemi giuridici po- sti dalla clausola di trascinamento è se essa possa es- sere introdotta in statuto sulla base di una delibera- zione presa a maggioranza oppure se richieda l’una- nimità dei soci (17).
Il Tribunale di Milano ha deciso che l’attribuzione al
socio di maggioranza del potere di trascinamento può essere introdotta nello statuto solo con il con- senso di tutti i soci e in particolare con il consenso del socio “forzabile”, altrimenti venendosi a rimette- re nelle mani di alcuni solo dei membri della com- pagine la radicale alterazione della stessa struttura sociale (18). L’autorità giudiziaria milanese afferma incidentalmente che la maggioranza può in linea ge- nerale introdurre e rimuovere vincoli alla circolazio- ne dei titoli azionari, introduzione e rimozione alle quali consegue, secondo la previsione dell’art. 2437, comma 2, lett. b, c.c., il diritto di recesso del socio che non ha espresso voto favorevole alla relativa de- liberazione (19). Tuttavia detta previsione del codi- ce civile non si riferirebbe, secondo il Tribunale di Milano, specificamente alle clausole di trascina- mento, in quanto l’obbligo di co-vendita non confi- gurerebbe un mero “vincolo” alla circolazione delle azioni, ma un congegno di “vendita forzosa” delle azioni di minoranza, congegno innescato a iniziativa del solo socio di maggioranza. L’autorità giudiziaria milanese assimila invece la clausola di trascinamen- to alle azioni riscattabili da parte della società o dei soci (art. 2437-sexies c.c.). Mediante l’attivazione della clausola, il socio di maggioranza obbliga il so- cio di minoranza a cedere la propria partecipazione, non diversamente da quanto avverrebbe se il socio di minoranza possedesse azioni riscattabili.
Con riguardo alla posizione assunta dal Tribunale di Milano, giova rilevare che il diritto di riscatto può sussistere nei confronti della società o dei soci, men- tre la clausola di trascinamento opera nei confronti di un terzo acquirente. La distinzione tuttavia non rileva ai fini dell’analisi che si sta conducendo, an- che in considerazione del fatto che l’esercizio del di- ritto di trascinamento potrebbe essere astrattamente qualificato come esercizio del diritto di riscatto a fa- vore del socio con contestuale cessione della parte-
Note:
(16) Consiglio notarile di Milano, op. cit.
(17) Sulla questione delle maggioranze necessarie per introdurre in statuto clausole di co-vendita cfr. P. Divizia, Clausole di tag- along e drag-along e modalità di introduzione nello statuto, in questa Rivista, 2011, 395 ss.; X. Xxxxxxxxxx, Introduzione du- rante societate di riscatto e drag-along e principio maggioritario, in Riv. dir. soc., 2011, 655 ss.; X. Xxxxx, Introduzione di drag- along e consenso del socio forzabile, in Corr. mer., 2011, 692 ss.
(18) Trib. Milano 24 marzo 2011, in questa Rivista, 2011, 395 ss., con nota di P. Divizia; in Corr. mer., 2011, 692 ss., con nota di X. Xxxxx; in Riv. dir. soc., 2011, 652 ss., con nota di X. Xxxxxxxx- sa.
(19) In tema di diritto di recesso cfr. in particolare le opere di X. Xxxxxxxxxx, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Mi- lano, 2008; X. Xxxxxxxxxx, Diritto di recesso e autonomia statuta- ria nelle società di capitali, Milano, 2004.
cipazione al terzo. In definitiva, secondo il prece- dente citato, l’inserimento in statuto di una clauso- la di trascinamento necessita del consenso di tutti i soci.
6. Il prezzo di cessione nelle clausole di co-vendita
Il problema del prezzo è centrale nella predisposizio- ne delle clausole di co-vendita, come del resto nel contesto dell’esercizio del diritto di prelazione, e più in generale in ogni fattispecie di cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali. Le clausole di co- vendita dovrebbero indicare il prezzo di cessione della seconda partecipazione o, alternativamente, quantomeno indicare i criteri in base ai quali si de- terminerà il prezzo di futura cessione.
È invece dubbio che possa reputarsi legittima la clausola che obbliga il secondo socio sic et simpliciter a co-vendere al prezzo che sarà pattuito fra il primo socio e il compratore, pattuizione che fa dipendere non solo la cessazione della qualità di socio, ma an- che il corrispettivo previsto per la cessione, sostan- zialmente dalla discrezionalità del primo socio (sep- pure sulla base dell’accordo con il terzo acquirente). Si può dubitare della legittimità di una clausola sif- fatta in quanto sussiste un immanente conflitto d’interessi fra il primo e il secondo socio che potreb- be portare il primo socio a sottovalutare, in accordo con il terzo, la partecipazione del secondo socio. Per comprendere meglio il concetto che si intende esprimere, va osservato che un conto è il prezzo che il terzo paga per la prima partecipazione, un conto è il prezzo che paga per la seconda partecipazione. Non necessariamente tale prezzo deve essere uguale, nel senso di proporzionale al numero di azioni cedu- te - rispettivamente - dal primo e dal secondo socio. Mentre però il primo socio, nel negoziare la cessione della propria partecipazione ha interesse a negoziare al rialzo il prezzo, nel negoziare la cessione della se- conda partecipazione ha interesse a negoziarlo al ri- basso. Infatti, nei confronti del terzo, sarà tanto più facile vendere ambedue le partecipazioni quanto in- feriore sarà il prezzo complessivo da corrispondersi. Non si possono pertanto escludere atteggiamenti di azzardo morale in capo al socio di maggioranza. Ri- spetto a rischi del genere l’unica ragionevole tutela è quella di determinare prima (o almeno di rendere determinabile prima) il prezzo di cessione.
Dal punto di vista tecnico, il passaggio della clauso- la di co-vendita concernente il prezzo di cessione è fra quelli più complessi. Le clausole di co-vendita presuppongono che la cessione abbia luogo in un momento futuro, con un valore della partecipazione
che solo difficilmente può essere stabilito con esat- tezza nel momento in cui la clausola viene concor- data. A ciò si aggiunga che il prezzo di cessione del- le partecipazioni non dipende solo dalla volontà dei due soci che stipulano il patto, ma dipende soprat- tutto dall’accordo che viene raggiunto con il terzo, che è del tutto estraneo alle clausole di co-vendita e la cui volontà non può essere coartata in assenza di vincolo negoziale.
Una prima possibilità è quella che la clausola di trasci- namento preveda già, in termini assoluti, il prezzo della cessione. Si supponga che Xxxxx sia titolare del 40% e Caio del 20% del capitale, per un valore di mercato della società - nel momento in cui si stipula la clausola di trascinamento - di 10 milioni di euro. Il contratto potrebbe prevedere che Xxxx si obbliga a co-vendere la propria quota al prezzo di due milioni di euro. La clausola così formulata dovrebbe conside- rarsi valida, ma presenta una significativa controin- dicazione: il problema difatti è che può passare un lungo lasso di tempo fra la stipula della clausola e la futura cessione, durante il quale il valore di mercato della società muta profondamente. Una clausola a prezzo fisso è pertanto utilizzabile solo quando la ven- dita avviene nel breve termine e nel caso di società piccole, in cui il valore della società - in termini as- soluti - non può mutare significativamente in poco tempo. Negli altri casi, le clausole andranno struttu- rate in altro modo, per tenere debitamente conto de- gli interessi del socio di minoranza.
Le clausole di co-vendita, se non determinano in modo fisso il prezzo, devono allora quantomeno in- dicare i parametri ai quali commisurare il prezzo al quale il secondo socio può/deve vendere la sua par- tecipazione. In detta prospettiva una seconda possibi- lità consiste nella pattuizione per cui il secondo so- cio ha il diritto/l’obbligo di vendere alle medesime condizioni a cui vende il primo socio. Formalmente si tratta di una garanzia particolarmente elevata per il secondo socio, in quanto il primo socio vuole mas- simizzare il ritorno economico derivante dalla ven- dita e vorrà cedere al miglior prezzo possibile la pro- pria partecipazione (e ciò, conseguentemente, av- verrà anche per la seconda). Sostanzialmente po- trebbe però rivelarsi una clausola che tutela poco il secondo socio, in quanto non si può escludere che il primo socio - per le più svariate ragioni - venda la propria partecipazione a un prezzo inferiore al valo- re di mercato, costringendo il secondo socio a subire il medesimo trattamento. In altre parole, un conto è il prezzo al quale il socio è disponibile a vendere, un altro conto è il prezzo di mercato di una partecipa- zione, che può essere superiore - anche di molto - al
prezzo di cessione. Si immagini il caso di un socio al- tamente indebitato che ha urgenza di fare cassa e ce- de pertanto la propria partecipazione a un prezzo in- feriore a quello di mercato, producendo - “per trasci- namento” - lo stesso effetto in capo all’altro socio. Ai fini della legittimità della clausola di co-vendita, un accordo secondo cui il socio di minoranza deve poter vendere alle medesime condizioni di quello di maggioranza non pare necessario, potendosi invece prevedere che il secondo socio possa vendere a con- dizioni diverse (20).
Una terza possibilità, e si tratta forse dell’ipotesi più ricorrente nella prassi, consiste nel prevedere nella clausola di co-vendita delle regole sulla valorizzazio- ne del pacchetto del secondo socio. Al riguardo non esistono limiti alla fantasia dei contraenti e all’auto- nomia privata, ferma restando la necessità - come vedremo nel paragrafo successivo - che sia assicura- ta al socio di minoranza una corretta valorizzazione della sua partecipazione.
7. La corretta valorizzazione della partecipazione co-ceduta
In quest’ultimo paragrafo analizzeremo pertanto la questione se il socio che è obbligato a co-vendere abbia il diritto a ottenere, anche in difformità dalla pattuizioni intercorse con l’altro socio, una corretta valutazione della propria partecipazione. Il primo socio, come detto quasi sempre di maggioranza, ne- gozia con il terzo potenziale acquirente le condizio- ni di cessione della propria partecipazione. Il punto è che il secondo socio potrebbe non essere d’accordo con il prezzo che il terzo è disponibile a pagare per la partecipazione. Sul problema della corretta valoriz- zazione della seconda partecipazione si sono pro- nunciati il Consiglio notarile di Milano e il Tribu- nale di Milano.
Da un lato è vero che il Consiglio notarile di Mila- no ha affermato che si reputano legittime le clauso- le statutarie che prevedono, in caso di vendita di partecipazioni in s.p.a. o in s.r.l., il diritto e/o l’ob- bligo dei soci diversi dall’alienante di vendere con- testualmente, a loro volta, le partecipazioni posse- dute (21). Tuttavia, sempre secondo il Consiglio no- tarile, queste clausole - ove prevedano l’obbligo di vendita - devono essere compatibili con il principio di un’equa valorizzazione della partecipazione obbli- gatoriamente dismessa.
Se il socio Xxxxx ha il potere di far sì che il socio Be-
me di cessazione del rapporto sociale in capo a un singolo socio. Gli istituti che vengono in considera- zione sono quelli dell’esclusione del socio, del suo recesso nonché delle azioni riscattabili.
In particolare l’art. 2437-sexies c.c. prevede la possi- bilità di azioni riscattabili da parte della società o dei soci. Nel caso della clausola di trascinamento, il “ri- scatto” avviene a opera di un terzo acquirente sulla base dell’iniziativa del socio beneficiario della clau- sola di trascinamento. Nelle ipotesi di riscatto delle azioni (e di recesso), trova applicazione l’art. 2437- ter c.c., che stabilisce i criteri di determinazione del valore delle azioni. Secondo il Consiglio notarile di Milano da questa disposizione si può ricavare il di- ritto del socio a un’equa valorizzazione delle sue azioni. Il ragionamento è dunque nel senso che, se è pacifico che un socio possa obbligarsi a cedere in fu- turo la propria partecipazione, tale obbligazione non può equivalere a una sottrazione forzata della quali- tà di socio se - contestualmente - non gli viene rico- nosciuto un corrispettivo che fotografi il reale valo- re delle azioni/quote. Altrimenti il socio interessato subirebbe una perdita, consistente nella differenza fra il valore reale della partecipazione e il diverso (e inferiore) prezzo che gli viene effettivamente pagato sulla base di un accordo fra l’altro socio e il terzo.
Il Consiglio notarile di Milano, nella sua massima, assimila la co-vendita obbligata (oltre che all’eserci- zio di un riscatto) all’esercizio di un diritto di reces- so e afferma la validità delle clausole che consento- no di riconoscere al socio uscente un prezzo per la sua partecipazione che sia uguale o quantomeno so- stanzialmente in linea con il prezzo che riuscirebbe a ottenere in sede di recesso. In quest’ottica il Consi- glio notarile ritiene in particolare valida la clausola che preveda l’obbligo di vendere a un prezzo non in- feriore al valore che spetterebbe in caso di recesso. La clausola insomma può essere formulata senza in- dicare il prezzo in valore assoluto e senza nemmeno prevedere formule matematiche più o meno com- plesse, ma semplicemente dicendo che - nel mo- mento in cui il primo socio venderà la partecipazio- ne - anche il secondo socio dovrà poter vendere la propria a un prezzo corrispondente a quello che gli verrebbe riconosciuto in caso di esercizio del diritto di recesso. La clausola così formulata presenta il vantaggio di lasciare la determinazione del valore della partecipazione al momento in cui si verifiche- rà la cessione.
ta debba co-vendere la propria partecipazione, il po-
tere riconosciuto a Xxxxx consiste nel far cessare lo stato di socio di Beta. Questo potere si avvicina, dal punto di vista degli effetti che produce, alle altre for-
Note:
(20) In questo senso Consiglio notarile di Milano, op. cit.
(21) Consiglio notarile di Milano, op. cit.
Il Consiglio notarile di Milano considera altresì va- lida la clausola che preveda l’obbligo di vendere la partecipazione senza predeterminazione di un prezzo minimo, purché sia statutariamente previsto il dirit- to di recesso nel caso in cui il prezzo risulti - nel ca- so concreto - significativamente inferiore al valore che spetterebbe in caso di recesso. Una clausola sif- fatta obbliga il secondo socio a co-vendere la propria partecipazione, ma gli consente di sindacarne il prezzo: qualora il prezzo offerto dal terzo si discosti significativamente dal valore reale della partecipa- zione, il secondo socio può esercitare il diritto di re- cesso, ottenendo così un’equa valorizzazione delle azioni o quote.
Gli articolati ragionamenti contenuti nella massima del Consiglio notarile di Milano sono sostanzial- mente sulla stessa linea di uno decisione del Tribu- nale di Milano già più volte citata (22). L’autorità giudiziaria milanese ha stabilito che condizione pri- xxxxx della validità dell’obbligo di co-vendita è l’equa valorizzazione della partecipazione del socio di minoranza, al quale deve essere offerto almeno il valore stabilito a norma dell’art. 2437-ter, commi 2 e 4, c.c. L’obbligo di dismissione non deve tradursi, di fatto, in un danno per il socio di minoranza. Il Tri- bunale di Milano esclude inoltre che il prezzo offer- to in sede di esercizio di prelazione rappresenti sem- pre un’equa valorizzazione della quota. Secondo l’autorità giudiziaria milanese l’esercizio del diritto di prelazione in alternativa all’obbligo di co-vendita non garantisce di per sé la congruità del prezzo di di- smissione della partecipazione del socio di minoran- za, ma anzi finisce per configurarsi come un’ulterio- re costrizione della libertà negoziale di quest’ultimo, il quale sarebbe obbligato ad acquistare la quota di maggioranza - dunque a un notevole impiego di ri- sorse finanziarie - tutte le volte che non ritenga con- veniente la cessione della sua quota al prezzo offerto. Il Tribunale di Milano conclude affermando la nul- lità della clausola di co-vendita obbligata che non garantisce un congruo corrispettivo, in quanto con- traria a principi inderogabili dell’ordinamento. Tali principi sono le regole che stabiliscono che, tutte le volte che viene meno la qualità di socio, deve essere
dai parametri che vengono usati per calcolare il suo valore ed esistono diversi metodi che possono porta- re a risultati anche significativamente diversi. L’art. 2437-ter, comma 2, c.c. fa riferimento alla consi- stenza patrimoniale della società e alle sue prospetti- ve reddituali, nonché all’eventuale valore di merca- to delle azioni. Nella valutazione possono peraltro entrare significativi elementi di discrezionalità. In caso di disaccordo fra le parti sul prezzo della secon- da partecipazione, può essere utile - per cercare di evitare controversie - prevedere nel testo del con- tratto una clausola di arbitraggio, con la quale viene affidato a un terzo il potere di determinare con effet- to vincolante per i contraenti il corretto valore del- la partecipazione co-venduta.
riconosciuto al socio uscente un corrispettivo so-
stanzialmente corrispondente al valore della sua partecipazione. Nel caso di specie la clausola statu- taria non prevedeva invece i criteri sulla base dei quali valutare la partecipazione da co-cedersi (23). Le osservazioni del Consiglio notarile di Milano e del Tribunale di Milano appaiono sostanzialmente condivisibili, anche se va fatto un rilievo di fondo. L’equa valorizzazione della partecipazione dipende
Note:
(22) Trib. Milano 31 marzo 2008, ord., cit.
(23) La soluzione del Tribunale di Milano si pone in contrasto con il lodo precedentemente pronunciato nella medesima vicenda (lodo arbitrale, 29 luglio 2008, Arbitro unico X. Xxxxxxx, in Banca borsa tit. cred., 2009, II, 493 ss., con nota di C. F. Xxxxxxxxxxx). Secondo il lodo la clausola di co-vendita non è assimilabile al di- ritto di riscatto e non deve pertanto assicurare ex ante la certez- za di una valutazione equa o non inferiore a quella garantita dalla norma sulla liquidazione delle azioni dei recedenti.